Informazione e Pubblicità: le relazioni pericolose Ricerca curata dal Gruppo di lavoro sulla Qualità dell’ informazione del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti e dal LaRiCA Università degli Studi di Urbino Carlo Bo La pubblicità condiziona la linea editoriale delle testate secondo un giornalista su due Introduzione di Pino Rea - Coordinatore del gruppo di Lavoro del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti “Qualità dell’informazione e pubblicità” 1. Metà dei giornalisti italiani ritiene che la pubblicità condizioni la linea editoriale delle testate, mentre il 54% è convinto che debbano essere riviste le norme deontologiche che regolano il rapporto fra informazione giornalistica e pubblicità. Sono i risultati più rilevanti della Ricerca compiuta dal Gruppo di lavoro su Qualità dell’ informazione e pubblicità* del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti insieme al LaRiCA1 dell’ Università di Urbino Carlo Bo, dall’équipe di ricerca costituita da Giovanni Boccia Artieri, Luca Rossi e Stefania Antonioni. L’ analisi mette in rilievo il progressivo accentuarsi della complessità del rapporto informazione/pubblicità, determinato dai mutamenti profondi che hanno investito in questi decenni tutta la macchina della produzione giornalistica, e segnala alcune rilevanti criticità. Indicando la necessità di un grosso lavoro di formazione delle giovani generazioni di giornalisti (che ormai i capi delle redazioni non riescono più a svolgere) e di una campagna di rilancio dei principi etici accompagnata dall’ adozione di sanzioni più severe e più efficaci. 1 Il LaRiCA è il Laboratorio di Ricerca sulla Comunicazione Avanzata all’interno del Dipartimento di Scienze della Comunicazione diretto da Lella Mazzoli nell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. 2 http://www.qualinfo.it 2. Il sondaggio conferma prima di tutto il sospetto di una sorta di ‘’doppiezza’’ fra livello teorico e realtà dei fatti e fa emergere l’ urgenza del problema della possibile influenza degli inserzionisti (o dei soggetti di ‘’riferimento’’) sulla linea delle testate. La grande maggioranza dei giornalisti italiani hanno ben chiare le linee teoriche di comportamento etico nei confronti della pubblicità - affermando di ritenere importante evitare di fornire informazioni, consigli o giudizi in favore degli inserzionisti (73%), dell’ editore (63%) o di un gruppo politico o sociale (66%) -, ma, quando si passa ad esaminare la realtà concreta, solo il 50% sono convinti che la pubblicità non influisca sulla linea dei giornali. Una doppiezza che è accentuata nelle redazioni online (sia quelle ‘’native’’ che quelle che fanno capo a testate tradizionali) dove, come mostra l’ analisi dei questionari, c’ è una differenza di 7-8 punti percentuali in più nella coscienza del fenomeno. Nelle redazioni cartacee infatti l’ influenza della pubblicità sulla linea editoriale delle testate viene avvertita con minore urgenza. Per quanto riguarda l’ età, la percezione di una criticità nel rapporto fra informazione e pubblicità sembra emergere con maggiore rilevanza soprattutto per le generazioni intermedie, quelle fra i 30 e i 54 anni. La complessità del rapporto pubblicità/informazione giornalistica è sottolineato anche dall’ analisi delle questioni relative ai linguaggi, la cui evoluzione ha messo in crisi la nettezza della separazione formale dei relativi spazi. Mentre infatti alla domanda sulla visibilità di questa separazione il 79% del campione ha detto di essere d’ accordo col fatto che tale separazione sia ‘’sempre meno facilmente definibile’’ (sottolineando quindi come esista una effettiva difficoltà nel distinguere i due ambiti comunicativi), per quanto riguarda l’ uso specifico del linguaggio solo il 53% del campione è 3 http://www.qualinfo.it d’ accordo con l’ affermazione secondo cui l’ informazione utilizza lo stesso linguaggio della pubblicità’’ (con una forte accentuazione delle redazioni cartacee rispetto alle altre). Ma se pubblicità e informazione finiscono a volte per convergere sul piano dei linguaggi questo da solo non basta a mettere in discussione l’ autonomia della linea di una testata giornalistica. Restano comunque alcune rilevanti criticità, come dimostra anche il fatto che un’ ampia maggioranza del campione (il 54%) ritiene che sia necessaria una revisione delle carte deontologiche. Alla domanda sulla eventuale necessità di una revisione delle norme (il 33% era in disaccordo con tale ipotesi) il 13% degli interpellati, una percentuale significativamente alta, hanno detto di essere incerti. Con una presenza molto accentuata di incerti nella fascia d’ età 18-29 anni. L’ incapacità di esprimere un parere in questo campo indica probabilmente una scarsa conoscenza di quelle norme oppure una scarsa percezione del loro valore nell’ attività quotidiana. Questo dato fa presumere che ci sia un problema di comunicazione delle norme e del loro valore alle fasce di giornalisti più giovani e/o che esse diano meno importanza al sistema di autoregolazione che regge la professione. 3. Quanto al merito delle norme, le critiche avanzate dal 63% del campione riguardano non tanto i principi contenuti nelle Carte, quanto la loro effettiva applicazione e le relative sanzioni, che qualcuno ritiene ‘’fin troppo blande’’ e a cui, secondo qualcun altro, si dovrebbero accoppiare anche misure pecuniarie. Un ulteriore problema segnalato è la difficoltà di controllare quello che accade nel giornalismo online, ritenuto un ambito maggiormente ambiguo e sfuggente per quanto riguarda la possibilità di distinguere fra informazione e pubblicità e quindi maggiormente 4 http://www.qualinfo.it esposto ai ‘’pericoli’’ derivanti dalla confusione degli ambiti promozionale e informativo. Ma non è escluso che si possa trattare di forme di pregiudizio (o di mancanza di conoscenza) del giornalismo tradizionale nei confronti del mondo digitale. Per quanto riguarda le possibili soluzioni per rendere più evidente la distinzione fra pubblicità e informazione vengono citati possibili espedienti grafici o soluzioni ‘’semplici’’ (font e grafiche diverse, inserti separati, scritte in grande evidenza, ecc.) ma anche semplicistiche, mentre non manca in alcuni un totale disincanto nei confronti della soluzione del problema, ritenuto per molti aspetti irrisolvibile. Comunque, tra chi cita il Codice etico del Sole24Ore, chi la rivista femminile statunitense Ophra, chi il manifesto sull’informazione locale partecipata, chi i dossier del magazine inglese Monocle, e chi porta l’esempio del Fatto quotidiano, emerge anche la posizione di coloro che segnalano come la rete restituisca gli esempi dell’ unica informazione libera, quella partecipata e “dal basso”, che comprende anche le forme di citizen journalism e di crowdfounding. Anche se il “sogno” rimane quello di riuscire a sostenersi esclusivamente attraverso le proprie lorze e quindi facendo a meno della pubblicità. 4. In conclusione, le soluzioni praticabili citate dagli intervistati sono diverse, rispecchiano la molteplicità delle forme di giornalismo con le quali ci confrontiamo oggi, così come con le diverse idee di giornalismo e di eticità della professione che si stanno facendo strada. Segno questo della necessità di riflessione ed auto osservazione che in questo momento la professione può e deve fare su se stessa. 5 http://www.qualinfo.it Il 54% ritiene che le attuali norme deontologiche debbano essere riviste 1. Giornalismo e pubblicità Ragionare oggi sul rapporto tra giornalismo e pubblicità significa interrogarsi sul rapporto tra due ambiti del sistema dei media che spesso sono visti come assolutamente antitetici ma che si ritrovano sempre più spesso ad una convivenza che è forzata dall’evoluzione dello scenario mediale. Fare questo, e farlo attraverso una ricerca che vede coinvolti i giornalisti in prima persona, significa attivare un processo di auto-osservazione – da parte della categoria giornalistica – altamente complesso e non privo di incognite. La complessità, della quale la ricerca cercherà come possibile di dar conto, nasce anche dal fatto che il giornalismo, oggi, è una realtà quanto mai varia e complessa che ha al proprio interno una pluralità di esperienze di cose significhi “fare il giornalista” nella quotidianità che difficilmente trovano una facile sintesi. Queste differenze sono ovviamente riconducibili alla varietà di giornalismi con i quali abbiamo spesso a che fare, con la loro molteplicità di temi ma anche e soprattutto sono riconducibili alla molteplicità di piattaforme nelle quali il giornalismo contemporaneo si articola: piattaforme che coprono ogni possibile ambito dal cartaceo all’online fino alle frontiere del mobile. Se l’aspetto della piattaforma tecnica di riferimento è sicuramente significativo riflettendo sugli aspetti generali della professione giornalistica, diventa assolutamente cruciale quando ragioniamo del rapporto tra giornalismo e pubblicità. Dietro alle varie piattaforme tecnologiche, infatti, non vi sono solo stili giornalistici diversi ma anche modelli di business completamente differenti che devono essere compresi e – spesso – reinventati. In quest’ottica oggi il rapporto tra giornalismo e pubblicità non è più il semplice rapporto tra il singolo giornalista, la sua etica individuale, e la pubblicità in quanto tale ma inserisce questa 6 http://www.qualinfo.it dialettica – comunque inevitabile – all’interno di una serie di mutamenti che investono tutta la macchina dell’informazione dai giornalisti fino agli editori. 2. Per un giornalista su due la pubblicità influenza la linea editoriale Dai dati raccolti emerge infatti uno 4% scenario dalle molte facce. Se da un lato i giornalisti sembrano avere ben chiare le linee di comportamento 50% 46% etiche nei confronti della pubblicità definendosi molto d’accordo con una affermazione che sottolinea D'accordo Disaccordo Incerto l’importanza di evitare di fornire Grafico 1: La pubblicità non influisce in alcun modo sulla linea editoriale informazioni, consigli o giudizi dei giornali. nell’interesse degli investitori pubblicitari (73%), dell’editore (63%) o di un qualsivoglia gruppo politico o sociale (66%), dall’altro, quando devono esprimersi sull’effettiva realtà del rapporto tra informazione e pubblicità le risposte cambiano. Infatti quando si interrogano i giornalisti circa l’influenza che la pubblicità ha sulla linea editoriale dei giornali, chiedendo loro di esprimere un parere di accordo o disaccordo sull’indipendenza della linea editoriale nei confronti della pubblicità, solo il 50% degli intervistati se la sente di definirsi “molto” o “abbastanza” d’accordo con questa affermazione mentre ben il 46% degli intervistati ritiene di non condividere questa indipendenza. Questa doppiezza del dato fa pensare inevitabilmente ad una differenza tra la teoria del comportamento giornalistico e la realtà quotidiana che viene esperita almeno in alcuni ambiti. Per cercare di approfondire questo aspetto è forse importante esplodere il dato che abbiamo appena fornito per cercare di capire quali sono quelle realtà che vivono maggiormente questa differenza. 7 http://www.qualinfo.it 40 34,8 35 30 32,4 28,2 23,5 25 34,8 30,8 20,5 17,6 20 15 13 17,9 17,6 13 8,9 10 2,6 5 4,4 0 Molto Abbastanza Solo Online Poco Red. ODTC Per Niente Non So Cartaceo Grafico 2: La pubblicità non influisce in alcun modo sulla linea editoriale dei giornali – Grado di accordo/disaccordo per tipologia di redazione. Il grafico 2 mostra i livelli di accordo e disaccordo rispetto a questa domanda incrociati con Grafico 3: La pubblicità non influisce in alcun modo sulla linea editoriale dei giornali – Accordo e disaccordo aggregato diviso per tipologia di redazione. la tipologia di redazione. Le tipologie prese in considerazione qui sono redazioni solo online, redazioni online di testata anche cartacea, redazione cartacea. I dati mostrano come gli appartenenti alle varie tipologie abbiano risposto a questa specifica domanda. È interessante perché – fatti salvo alcuni picchi particolari – si registra un sostanziale equilibrio la le posizioni. Anche le forme di polarizzazione maggiore, come il 34,8% dei rispondenti che lavorano 8 http://www.qualinfo.it presso redazioni online di testate anche cartacee che non condividono Per Niente l’affermazione viene compensato da un’uguale percentuale che, all’interno della stessa tipologia redazionale, la condivide Abbastanza. Di fronte ad una tale scarsa polarizzazione delle opinioni una visione più aggregata può ancora una volta aiutarci. Il Grafico 3 mostra l’aggregazione dei valori Molto-Abbastanza e Poco-Per Niente per le tre tipologie di testata. Mentre tra le redazioni unicaente online e quelle online di testate anche cartacee si riscontra un certo allineamento emerge la significativa differenza costituita dalle redazioni cartacee: il 56% dei rispondenti in questa categoria ritiene che la pubblicità non influenzi la linea editoriale dei giornali. Questa percentuale è di 7-8 punti maggiore rispetto a quanto viene registrato tra i rispondenti delle altre tipologie di redazione. Se sommiamo a questo una significativa percentuale di incerti (il 9%) sembra emergere che l’influenza delle esigenze pubblicitarie all’interno delle linee editoriali dei giornali sia un problema avvertito con minor urgenze nelle redazioni tradizionali piuttosto che in quelle digitali (di qualunque natura esse siano). Un’ulteriore linea interpretativa delle risposte sull’influenza della pubblicità sulla linea editoriale potrebbe essere di chiave generazionale. Se osserviamo i dati di accordo/disaccordo incrociati con le età dei rispondenti, infatti, troviamo un fenomeno interessante (Grafico 4). 50 40 30 20 45,4 35,7 31,7 24,1 21,4 27,3 24,1 29,3 24,1 30-44 14,3 12,2 10 7,27,3 3,6 0 0 Molto 18-29 27,3 24,1 21,4 19,5 Abbastanza Poco Per Niente 45-54 0 55-64 Non So Grafico 4: La pubblicità non influisce in alcun modo sulla linea editoriale dei giornali – Grado di accordo/disaccordo per fascia di età. Il valore di accordo Molto risulta essere stato scelto in maniera marcata dagli estremi anagrafici del nostro campione: il 45% degli over 55 e il 35% degli under 29. Questo 9 http://www.qualinfo.it genera la sensazione che la percezione di una criticità nel rapporto tra informazione e pubblicità esista soprattutto per le generazioni intermedie dai 30 ai 54 anni. 3. È sempre più difficile per i lettori distinguere tra informazione e pubblicità Il rapporto tra pubblicità ed 0% informazione non ha a che fare solo con la possibilità della prima di influenza più 21% o meno pesantemente la linea editoriali di un giornale o di un organo di informazione ma chiama in causa anche l’evoluzione dei linguaggi della 79% comunicazione e dell’informazione alla quale abbiamo assistito negli ultimi Accordo Disaccordo Incerto Grafico 5: La separazione tra informazione e pubblicità è sempre meno facilmente definibile anni. In particolare un punto potenzialmente molto critico è quella della capacità del lettore di distinguere tra i momenti informativi e quelli pubblicitari. La separazione degli spazi si è ridefinita molte volte nel corso degli anni anche in funzione di nuove strategie pubblicitarie che spesso spingono per rendere il messaggio pubblicitario sempre meno esplicitamente pubblicitario. Per indagare questa dimensione abbiamo chiesto al nostro campione il loro grado di accordo o disaccordo rispetto all’affermazione secondo la quale “La separazione tra informazione e pubblicità è sempre meno facilmente definibile”. Le risposte – aggregate anche in questo caso per creare una più semplice opposizione tra accordo e disaccordo – sono state molto chiare (Grafico 5). Ben il 79% percento dei rispondenti si dice d’accordo con questa affermazione sottolineando come un’effettiva difficoltà a distinguere tra i due ambiti comunicativi esiste. 10 http://www.qualinfo.it Tale percezione sembra effettivamente essere condivisa e non sembra (Grafico 6) di poter individuare una differenza sulla base della tipologia di testata o generazionale. 80 69,6 60 40 20 52,8 43,9 29,3 17,4 Solo Online 25 14,6 13 16,6 Red. ODTC 12,2 0 0 Molto Abbastanza Poco Cartaceo 5,6 0 Per Niente 0 0 Non So Grafico 6: La separazione tra informazione e pubblicità è sempre meno facilmente definibile. – Grado di accordo/disaccordo per tipologia di redazione. 1% Se la difficoltà nel distinguere e separare tra ambiti pubblicitari e informativi all’interno della comunicazione contemporanea sembra essere un problema ampiamente sentito dal nostro 46% 53% campione quando andiamo ad indagare se dietro questa difficoltà a distinguere vi sia anche un problema di linguaggi specifici dei due ambiti comunicativi troviamo uno scenario molto diverso. Accordo Disaccordo Incerto Grafico 7: L’informazione utilizza lo stesso linguaggio utilizzato dalla pubblicità La ricerca ha infatti sondato anche l’accordo e il disaccordo rispetto alla affermazione secondo la quale “L’informazione utilizza lo stesso linguaggio utilizzato dalla pubblicità”. Una visualizzazione aggregata delle risposte (Grafico 7) mostra chiaramente una situazione molto meno definita dove solo il 53% dei rispondenti di dichiara Molto o Abbastanza d’accordo con l’affermazione. La convergenza dei linguaggi informativi e pubblicitari sembra quindi un aspetto non condiviso da un’ampia maggioranza ma piuttosto un ambito ancora in forse. In quest’ottica, per capire come viene a costruirsi questo dato, è interessante incrociare queste risposte con le tipologie di redazione come già fatto in precedenza. 11 http://www.qualinfo.it Grafico 8: : L’informazione utilizza lo stesso linguaggio utilizzato dalla pubblicità – Accordo e disaccordo aggregato diviso per tipologia di redazione. Il grafico 8 mostra ancora una volta una differenza rispetto al livello di accordo tra le redazioni online (di entrambi i tipi) e quelle cartacee. Sembrano proprio quest’ultime quelle più d’accordo con l’identificare una omologia dei linguaggi dell’informazione con quelli pubblicitari. Appare importante sottolineare qui come la convergenza dei linguaggi non sia, in quanto tale, un elemento problematico. Tant’è che le stesse redazioni che segnalano questa maggiore convergenza sono anche quelle che lamentano meno un problema di influenza da parte della pubblicità per quanto riguarda la linea di un giornale. In quest’ottica quindi se pubblicità e informazione possono talvolta miscelarsi anche in funzione di una convergenza di linguaggi non sembra che questo basti, da solo, a mettere in discussione l’autonomia di linea di un giornale o di un altro organo di informazione. Quest’ultimo aspetto mette chiaramente in evidenza la complessità dell’oggetto di indagine. Il rapporto tra pubblicità e informazione, infatti, si esplicita in molti ambiti diversi che hanno, inevitabilmente, diversi livelli di importanza e rilevanza anche per gli stessi giornalisti. Anche come conseguenza di questo ampio spettro di implicazioni le norme della carta deontologica dei giornalisti che riguardano il rapporto tra informazione e pubblicità 12 http://www.qualinfo.it sono di grande importanza. Non solo perché regolano un ambito nel quale, come abbiamo visto, i giornalisti stessi rilevano più di una criticità ma anche perché, come abbiamo sottolineato all’inizio, si trovano a cercare di regolare un ambito la cui velocità di cambiamento è estremamente elevata ed all’interno del quale vengono a coesistere interessi diversi: da quelli del lettore a quelli dell’editore passando per gli inserzionisti ed, ovviamente, i giornalisti. 4. La carta deontologica? Va ripensato il rapporto tra informazione e pubblicità Ecco quindi che una delle ultime aree di indagine della ricerca ha riguardato la necessità di cambiare o 13% meno le norme della carta deontologica che direttamente si 54% 33% occupano di questi temi. Si è quindi chiesto al nostro campione di indicare il proprio grado di accordo o disaccordo rispetto alla seguente D'accordo Disaccordo Incerto frase: “Le norme delle Carte deontologiche Grafico 9: Le norme delle Carte deontologiche che riguardano il rapporto che riguardano il rapporto tra informazione tra informazione e pubblicità dovrebbero essere riviste e pubblicità dovrebbero essere riviste”. Come mostra il grafico 9 la maggioranza dei rispondenti ritiene che sia necessaria una revisione delle norme della carta mentre solo un terzo (33%) è in disaccordo con la necessità di questa revisione. È interessante sottolineare come una percentuale significativamente alta del campione (il 13%) non abbia saputo prendere una posizione rispetto a questa affermazione. 13 http://www.qualinfo.it 60 40 20 26,725 19 13,3 50 40 33,3 26,7 26,7 2021,4 13,3 8,3 16,820 Poco Per Niente 8,4 9,513,38,3 0 Molto Abbastanza Non So 18-29 30-44 45-54 55-64 Grafico 10: Le norme delle Carte deontologiche che riguardano il rapporto tra informazione e pubblicità dovrebbero essere riviste – Grado di accordo/disaccordo per fascia di età. Questa elevata percentuale assume un significato particolare se incrociamo queste risposte con le informazioni sull’età dei rispondenti (Grafico 10). In questo modo risulta subito evidente come a fronte di un andamento più o meno regolare delle risposte con uno spostamento di tutte le età verso le risposte Molto o Abbastanza vi sia però il 26,7% dei rispondenti nella fascia 18-29 anni che non ha espresso un parere. L’incapacità di esprimere un parere sulla necessità di rivedere le norme della carta indica, con buona probabilità, una scarsa conoscenza delle stesse o una scarsa percezione del loro valore nell’attività quotidiana. Che questa mancata conoscenza sia concentrata soprattutto sulla fascia più giovane del nostro campione può indicare diversi aspetti: da un lato può essere un problema di comunicazione ai più giovani delle norme della carta e del loro valore, ma al tempo stesso può indicare come le giovani generazioni diano meno importanza ad un sistema di autoregolamentazione come quello della carta deontologica. A questo punto, quindi, particolarmente interessante si rivela l’analisi delle uniche due domande aperte del questionario, che chiedevano agli intervistati di esprimersi direttamente sull’opportunità di rivedere alcuni aspetti delle carte deontologiche riguardo al rapporto tra informazione e pubblicità (domanda 24) e di citare possibili esempi di soluzioni “creative” adottate da alcune testate per risolvere opportunamente il rapporto tra informazione e pubblicità (domanda 25). È innanzitutto necessario rilevare che il tasso di risposta a queste due domande è stato piuttosto basso (54% per la domanda 24 e 42% per la domanda 25), segno probabilmente della indecisione o della difficoltà di esporre la propria idea in maniera più circostanziata. 14 http://www.qualinfo.it Per quanto riguarda l’opportunità o meno di rivedere alcuni aspetti delle Carte deontologiche specificamente relativi al rapporto tra informazione e pubblicità, circa il 37% esprime il proprio dissenso nei confronti di una eventuale revisione del testo, evidentemente ritenuto efficace nel distinguere il dominio dell’informazione da quello della pubblicità e reputando sufficienti anche i termini con i quali si richiede ai giornalisti di palesare per i propri lettori la distinzione tra contenuto promozionale e informazione, oltre al richiamo di attenersi al proprio codice deontologico. Il restante 63%, invece, avanza critiche non tanto ai principi esposti nella Carte, quanto piuttosto alla loro effettiva applicazione, e propone ipotesi di parziale revisione del testo. In particolare, diversi intervistati rilevano che il reale problema sia costituito dal mancato rispetto di questo principio di carattere generale, in sé condivisibile ma non sempre applicato, anche a causa della mancanza di controlli efficaci. «Ritengo che i codici e le carte siano strumenti teoricamente sufficienti a distinguere l’informazione dal messaggio pubblicitario. Il problema è che spesso le norme deontologiche non sono rispettate. Con l’eccezione della Carta di Treviso sui minori che sembra essere entrata nella cultura e nella prassi quotidiana dei giornalisti italiani»2. Il controllo più stringente (o reale) dell’applicazione di questo codice interno dovrebbe, secondo alcuni, essere affiancato e rinforzato nella propria cogenza anche da pene pecuniarie, evidentemente ritenute più “educative” di qualsiasi altro strumento etico. «L’unico aspetto da rivedere è il sistema di sanzioni, fin troppo blando». «Aggiungere regole e aspetti pecuniari per chi non rispetta le regole». Un ulteriore problema è per molti costituito dalla difficoltà di controllare ciò che accade nel giornalismo online, da alcuni ritenuto un ambito maggiormente ambiguo e sfuggente per 2 Le frasi virgolettate che seguiranno sono verbatim estratti dalle risposte di alcuni intervistati, perché ci pareva particolarmente efficace esprimerci con le parole dei rispondenti stessi. 15 http://www.qualinfo.it quanto riguarda la possibilità di distinguere tra informazione e pubblicità e quindi maggiormente esposto ai “pericoli” derivanti dalla confusione degli ambiti promozionale e informativo, e di conseguenza terreno reputato di più facile aggiramento delle imposizioni e impostazioni etiche. «Secondo me, il testo così come è formulato è perfetto. Deve solo essere messo in pratica. Soprattutto per quanto riguarda l’informazione su Internet». «Le regole ci sono, basterebbe farle rispettare. Magari andrebbe applicata al meglio anche alle testate on-line». Questa visione del giornalismo online corrisponde, per certi versi, con alcune delle opinioni più guardinghe emerse anche dalle risposte alle altre domande, che paiono inquadrare un leggero pregiudizio (o mancanza di conoscenza) del giornalismo tradizionale nei confronti delle sue forme diffuse sui media digitali. Alcuni altri ricordano che l’attività di promozione può essere intesa anche in termini di carattere più generale e pertanto può riguardare non solo i prodotti commerciali, ma anche la classe politica o i gruppi di potere, altrettanti soggetti nei confronti dei quali dovrebbero essere fatte rispettare le norme delle carte deontologiche relative alla separazione tra informazione e pubblicità. «…sì, partendo dal rispetto reale della separazione tra informazione e pubblicità. Anche politica, ovviamente». Tra le possibili soluzioni per rendere più evidente la distinzione tra informazione e pubblicità, viene citato il possibile utilizzo di espedienti grafici che permettano di evidenziare immediatamente la differenza dei contenuti, agli occhi di qualsiasi lettore. «Utilizzare un colore diverso e univoco per i messaggi pubblicitari, anche indiretti (negli articoli di informazione)… ». «La “marchetta” deve essere sempre palesata. Basta che nel testo venga indicato che si tratta di un servizio fatto da un inserzionista. Ad esempio, una emittente televisiva che parla diffusamente solo dei film che va ad acquistare, dovrebbe dirlo». 16 http://www.qualinfo.it In conclusione, possiamo citare una risposta da parte di un intervistato che pone al centro della questione anche la necessità di formazione dei colleghi professionalmente più giovani, aspetto questo che rimanda alle differenze generazionali già emerse nella lettura dei dati precedentemente presentati ed in particolare con quelli analizzati nel grafico 10. «…una rinfrescata che tenga conto delle continue innovazioni tecnologiche che si possono utilizzare per aggirarla sarebbe utile. Così come utile, ritengo, sarebbero un paio di ore almeno, all’inizio del lavoro redazionale, in cui qualche collega anziano e “scafato” ponesse all’erta il neofita su trucchi e malizie di proprietà ed editore circa i mezzi pratici utilizzati per aggirare le misure in questione. Poi ognuno avrà modo di imparare sulla propria pelle professionale…». Come dicevamo in precedenza, la seconda domanda aperta (la 25) ha avuto un tasso di risposta ancor più basso della precedente, così come evidentemente inferiori sono risultate le proposte di eventuali soluzioni “creative” a conoscenza degli intervistati ed adottate da altre testate giornalistiche in materia di risoluzione dei problemi inerenti il rapporto tra informazione e pubblicità. Questo probabilmente perché: a) non si è a conoscenza di esempi di tale genere, ma anche perché b) forse non si ha una idea chiara di come questa spinosa quanto ineludibile relazione possa essere proficuamente risolta dal punto di vista etico. Da una parte, quindi, si propongono soluzioni piuttosto “semplici” perché ottenibili attraverso l’utilizzo di font diversi, impaginazioni differenti o ancora la costituzione di plichi o inserti separati o evidentemente distinguibili dai restanti contenuti del giornale. «Esplicitare per iscritto la committenza della pagina da parte dell’agenzia pubblicitaria; non numerare la pagina pubblicitaria; rendere più marcata la differenza grafica tra le sezioni pubblicitarie e quelle giornalistiche, a partire dai font utilizzati; avere un garante del lettore all’interno del giornale». «Creare speciali pubblicitari o pagine con servizi pubblicitari dove però è chiaramente indicato, in forte evidenza, che si tratta di informazioni pubblicitarie e non di informazione redatta dal corpo giornalistico redazionale». 17 http://www.qualinfo.it D’altra parte alcuni intervistati mostrano anche un totale disincanto nei confronti di una possibile soluzione della questione, giudicata per molti aspetti irrisolvibile. «Spazi pubbliredazionali, inserti speciali a pagamento: tutte soluzioni già praticate». «Bene o male l’informazione è schiava della pubblicità. Per questo il mestiere del giornalista è quello di sostegno al pubblicitario, che finanzia il suo lavoro. Il giornalista non deve più creare l’informazione, ma solo supervisionarla, adattarla». «Certamente ci sono, come segnalare con “Redazionale” gli articoli pubblicati, ma anche qui è ben difficile per il lettore comune capire bene. Forse si potrebbe scrivere come sulle sigarette ben chiaro la pericolosità del “Redazionali” ma si cadrebbe nel ridicolo e non si risolverebbe certo il problema che ripeto è esclusivamente di chi fa il giornale». Tra chi cita il Codice etico del Sole24Ore, chi la rivista femminile statunitense Ophra, chi il manifesto sull’informazione locale partecipata, chi i dossier del magazine inglese Monocle, e chi porta l’esempio del Fatto quotidiano, emerge anche la posizione di coloro che segnalano come la rete restituisca gli esempi dell’unica informazione libera, quella partecipata e “dal basso”, che comprende anche le forme di citizen journalism e di crowdfounding. «L’informazione davvero libera è quella creata dai cittadini sui blog e sui sociale network». «Le testate online che prendono finanziamenti dai lettori, sono soprattutto siti di inchieste». Anche se il “sogno” rimane quello di riuscire a sostenersi esclusivamente attraverso le proprie forze e quindi facendo a meno della pubblicità: «La capacità di ricavare finanziamenti attraverso le vendite delle proprie copie, possibile attraverso un giornalismo di qualità e che dimostra di essere indipendente, o mediante gli abbonamenti, praticando la via dell’abbonamento online, senza dover ricorrere necessariamente a forme di finanziamento provenienti da grandi o medi enti pubblicitari che, alla fine, condizionano la linea del giornale». Insomma, le soluzioni praticabili citate dagli intervistati sono diverse, rispecchiano la molteplicità delle forme di giornalismo con le quali ci confrontiamo oggi, così come con le diverse idee di giornalismo e di eticità della professione che si stanno facendo strada. Segno 18 http://www.qualinfo.it questo della necessità di riflessione ed autoosservazione che in questo momento la professione può fare su se stessa. Note sulla Metodologia I dati presentati in questo il risultato in una ricerca svoltasi durante l’estate 2011. I dati sono stati raccolti attraverso un questionario online autosomministrato su un campione di giornalisti italiani (N=101). Le testate giornalistiche partecipanti alla ricerca sono state individuate dal Gruppo di Lavoro sulla Qualità dell’Informazione del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Le testate, selezionate per rappresentare il più ampio panorama possibile di tipologia di testata informativa3, sono state contattate via email nel mese di Luglio 2011 ed una seconda volta nel mese di Settembre 2011. Il questionario era composto da 32 domande a risposta multipla che sono analizzate con il software PSPP e 2 domande a risposta aperta che sono state analizzate qualitativamente. 3 La tipologia di testate contattate comprende: Quotidiano Nazionale, Quotidiano Free Press, Quotidiano Inter-regionale, Quotidiano Locale, Settimanale, Quindicinale, Mensile. 19 http://www.qualinfo.it