foto di Claire Pasquier mer 23 novembre 2011 gio 24 novembre 2011 L’AVARO di Molière Teatro delle Albe Prosa L’AVARO L’Avaro di Molière Teatro delle Albe di Molière Sinossi e traduzione Cesare Garboli ideazione Marco Martinelli e Ermanna Montanari in scena Loredana Antonelli Alessandro Argnani Luigi Dadina Laura Dondoli Luca Fagioli Roberto Magnani Michela Marangoni Marco Martinelli Ermanna Montanari Alice Protto Massimiliano Rassu Laura Redaelli Felicetta Valerio Mastro Giacomo Claudia Mastro Simone Cleante Frosina Anselmo Arpagone Mariana Saetta e un commissario Elisa spazio Edoardo Sanchi luci Francesco Catacchio e Enrico Isola musiche originali Davide Sacco costumi Paola Giorgi direzione tecnica Enrico Isola assistente spazio Gregorio Zurla assistenti ai costumi Giada Masi e Maria Adele Porro realizzazione spazio Fabio Ceroni, Luca Fagioli, Danilo Maniscalco, Nicola Fagnani (Opera Ovunque), Gregorio Zurla realizzazione costumi Laura Graziani Alta Moda, A.N.G.E.L.O. manifesto dello spettacolo Leila Marzocchi regia Marco Martinelli mol ièr La trama è quella classica del vecchio taccagno che, pur di tenersi tutti i suoi soldi, impone scelte di interesse nei matrimoni dei figli e vuol tenere invece per sé una bellissima e giovane ragazza, seppur senza dote. Arpagone, il vecchio protagonista, è a dir poco odiato dai suoi due figli, Cleante ed Elisa. Cleante lo odia perché Arpagone vuole sposare la giovane e povera Marianna che lui segretamente ama; Elisa, invece, lo detesta perché vuole darla in sposa all’anziano Signor Anselmo che è disposto a prenderla senza alcuna dote. Cleante fa rubare dal suo servo, chiamato Freccia, la cassetta dove lo stizzoso Arpagone tiene tutti i suoi averi pensando di usarla come merce di scambio con il padre per avere Marianna. Ma il padre accusa di furto il suo intendente Valerio, che da tempo ha imbastito una storia d’amore con Elisa. Tutto s’aggiusta con l’arrivo del ricco Anselmo che, invece di chiedere ufficialmente la mano di Elisa, riconosce nella bella Marianna e nell’intendente Valerio i suoi figli, che credeva da tempo morti in un naufragio. Convolate a giuste nozze le due coppie di innamorati, Arpagone ritroverà il suo tanto bramato ed adorato tesoro. In questa commedia Molière riesce magistralmente a ridicolizzare all’estremo l’avarizia e la totale mancanza di sentimenti del vecchio Arpagone rendendole, soprattutto nelle scene in cui sono poste a confronto con gli impeti giovanili del figlio Cleante, drammaticamente amare. Nella rappresentazione del Teatro delle Albe, Arpagone ci parla del suo denaro come un innamorato, e così estrae dalla sua perdita, dalla sua ferita, degli accenti toccanti. Chiede al buio della platea di essere “resuscitato”. Ed è questo, anche, il miracolo della scena. 3 Avari di Marco Martinelli e Ermanna Montanari 1. In questa commedia sul denaro, il denaro non c’è. Se ne parla sempre, ma non c’è. Meglio: non si vede. è invisibile, come un dio. è il dio di quella miserabile religione di cui Arpagone è l’officiante. è un fantasma che circola tra gli esseri umani in carne e ossa. è sottoterra, sepolto in giardino. 2. Visibili sono gli esseri umani, anche troppo. Cercano di nascondersi gli uni agli occhi degli altri, ma non ce la fanno. Il privato e il pubblico, il segreto e lo spiattellato, sono inesorabilmente confusi. Non è possibile nessun genere di intimità. In questa commedia, in questa “casetta”, tutti spiano tutti. 3. Arpagone è l’avido, l’avaro, l’ossesso. E gli altri? Non si tratta di leggere al nero Molière, lo si sa da un pezzo, Molière è cupo come la notte, come il manto di Scaramouche, e soprattutto in questa commedia che Copeau definiva “la più dura, la più cattiva”. Prendiamoli uno a uno, a partire dai giovani: Valerio è un ipocrita dichiarato, teorizza la necessità del “leccare” il potente di turno, a fin di bene s’intende. Cleante è un cinico vanesio, sogna di uccidere il padre e ereditarne il capitale (e l’avarizia). Elisa e Mariana sono le vittime più o meno consenzienti, più o meno silenziose, dentro a una condizione subalterna che accettano passivamente. Frosina e Saetta, servi che ambiscono al denaro del padrone. Tutti desiderano lo scettro del potere, nel nostro caso quel microfono che amplifica la “voce del padrone”, tutti vorrebbero sostituire il cupo signore di quella casa, o accomodarsi a fianco di un nuovo reggente. Arpagone è un piccolo sovrano con la sua corte popolata di larve, la sua voce troneggia, ma a differenza di Macbeth non verrà sgozzato, dato che il finale non può che essere lieto, e qui è fin troppo di maniera, con modi che echeggiano i finali posticci e avventurosi di tanta tradizione, e alle nostre orecchie richiamano molto da vicino i ricongiungimenti familiari che ci ammanisce in serie la televisione. 4. Forse solo Mastro Giacomo prova a portare una nota diversa: la tenerezza della ragione. In altre commedie di Molière sono le serve che cercano di far ragionare il loro maniaco, ossessivo padrone. Ma la nota apparentemente diversa di Mastro Giacomo nasce da un impasto di pavidità, rassegnazione, invidia, che la rende alla fin fine poco credibile. è questo essere sdoppiati (tranne Arpagone), fra ciò che si dice di essere e ciò che si è. Il mistero sta forse in quel che sognamo di noi, in come sognamo gli altri. Nel potere che il nostro corpo subisce, che il nostro corpo esercita, fin dentro ai sogni, quelli notturni e quelli a occhi aperti. I fantasmi dei sogni. I simulacri. I fantasmi dei corpi. Ma appunto non è un simulacro, un fantasma, l’invisibile dio denaro al centro di ogni frase? In principio era il soldo. E accanto al soldo, prima o dopo, il sesso, l’eternità in forma di prostituzione. Dietro Molière, fa capolino Sade. Meglio, è Molière che occhieggia divertito dietro la plumbea prigione di Sade. 7. Se tutti sono avidi e avari, è sorprendente il monologo di Arpagone che chiude il quarto atto. Nel suo andamento psichico, in quel parlarci nel buio, dal buio: “povero mio denaro, amico mio caro... se tu non ci sei... è finita per me, non so che cosa fare al mondo”. Arpagone ci parla come un innamorato. Il malvagio estrae dalla sua perdita, dalla sua ferita, degli accenti toccanti. Chiede al buio della platea di essere “resuscitato”. Non abbiamo alterato la traduzione di Cesare Garboli, e i cinque atti ci sembrano scritti ieri. Oggi. 6. Se il denaro è la “prostituta universale”, come non può non essere un potenziale bordello questa casacasettapalazzo di Arpagone? A dispetto del suo puritanesimo economico, lo è. La modalità di reclutamento di Mariana da parte di Frosina è antica come il mondo, e sempre attuale. 5. Se tutti spiano tutti, tutti sognano tutti. In questa commedia così tutta cose, concretezza, cifre, calcoli, c’è un fondo misterioso. Che forse 5 Recensioni foto L’avaro secondo il Teatro delle Albe È da sempre così: quando il Teatro delle Albe lavora su un testo della tradizione, non si tratta mai di una messa in scena, ma di una “messa in vita”, concetto inventato dal regista Marco Martinelli che risponde al desiderio della compagnia di restituire ai classici quella carica vitale, prorompente, spesso provocatoria, che possedevano in origine. Non ci deve essere niente di scandaloso nel manipolare testi considerati intoccabili, per restituire loro la capacità di comunicare ad un pubblico che inevitabilmente cambia nel tempo (...). Nero e freddo è l’allestimento, così come gli animi di tutti i protagonisti, corrotti da vane passioni e svuotati da sentimenti sinceri. Primo fra tutti Arpagone, l’avaro del titolo, ossessionato dal denaro e dal potere, che tiene in pugno una corte popolata da figurette non meno sgradevoli, interessate a nient’altro, se non a un tornaconto personale. Molti amori si intrecciano, creano dispute, ma ci si accorge ben presto della loro vacuità, tant’è che l’unico monologo d’amore autentico sarà quello di Arpagone nei confronti della preziosa cassetta di denaro che gli è stata rubata. Tra chi accumula soldi e chi scialacqua c’è ben poca differenza, poiché sono tutti vittime di un egocentrismo e di una smania di apparire mal celata, esplicitata dalla regia di Martinelli che inserisce riflettori a vista, tecnici al lavoro per dare indicazioni agli attori e per indirizzare i fasci di luce nel modo migliore (...). La star di questa svelata recita è Arpagone: una impeccabile Ermanna Montanari dai capelli corvini e dai nerissimi abiti maschili. Parla attraverso un inseparabile microfono, scettro del potere che tutti cercano di sottrarle. La sua voce è roca, sotterranea, nasce dall’aridità; è una sorta di afasia fatta suono, come se il protagonista volesse risparmiare anche sull’eloquio. La vocalità di Arpagone riassume in modo stupefacente tutti i tratti della sua personalità: è ripugnante, molesta, ridicola, sinistra. Lo spettacolo appaga la vista, nonostante l’essenzialità della messinscena, con ricercati contrasti fra buio e luce. Bagliori improvvisi e colpi sordi imprimono un ritmo assillante, incessante, e si corre veloci verso il finale. Quanto alla recitazione, il Teatro delle Albe si fa tranquillamente beffe di un testo che aire l di C Molière ha voluto eccessivo e stravagante, lasciando agli attori la libertà di giocare fra un registro naturalistico ed uno caricaturale (...). Sara Trecate, “Teatri Milano” 23/01/2011 Gli artigli del Teatro delle Albe È piccolo, nero, l’Arpagone di Ermanna Montanari. Attaccato ferocemente al suo tesoro, alla cassetta dove stipa le sue diecimila monete, sepolta nel giardino. Arpiona e trattiene tutto, ingordo. Anche la voce, abbassata nelle regioni gutturali, arriva all’esterno solo tramite un microfono. Si manifesta subito, appena entra, dallo sguardo che vorrebbe trattenere, rapinare. Intorno a lei si muove un carillon sgangherato di figli, amanti dei figli, servi: giovani, molti giovani, frenetici più che vitali, molto spesso fatui, senza speranza anche loro, mossi come marionette meccaniche da qualche avidità, da qualche interesse (...). La regia di Marco Martinelli gioca sul grottesco: l’avidità perde i connotati anestetizzati della caricatura per diventare malattia metafisica e affezione sociale molto attuale, passione gretta e quasi spirituale, egoismo, idolatria er qui Pas assoluta del denaro, fede cieca in essa come prolungamento di sé, come altro sé. L’interesse, il particolare, è sempre quello che domina, in ogni situazione, generando sospetti, odi, invidi, tradimenti, delazioni, desideri di vendetta e di dominio. Le tinte sono cupe: la luce, bianchissima, si concentra, spesso, solo sul volto della protagonista, si stringe quasi solo sugli occhi, a disegnare quell’aurea immateriale e molto concreta che è l’avidità (...). Tutto è spigoloso in questa commedia, anche la risata, basata sui un meccanismo caro a Martinelli, quello della ripetizione, ossessiva, che muta gli esseri umani in pupazzi, una volta avviati incapaci di fermarsi, ripetitivi, inadatti a imparare dall’esperienza. Con una nota più tagliente del solito, impietosa: nulla e nessuno si salva, e il lieto fine risulta smaccatamente posticcio, con la sala che si illumina e il regista stesso che fa da deus ex machina a salvare dal collasso e dalla guerra di tutti contro tutti questo piccolo inferno senza redenzione (...). Massimo Marino, “Corriere della Sera” 16/04/2011 7 Teatro delle Albe foto Nel 1983 Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni fondano il Teatro delle Albe. La compagnia sviluppa il proprio percorso intrecciando alla ricerca del “nuovo” la lezione della tradizione teatrale: il drammaturgo e regista Martinelli scrive i testi ispirandosi agli antichi e al tempo presente, pensando le storie per gli attori, i quali diventano così veri e propri co-autori degli spettacoli. Nel 1988 la compagnia acquisisce al suo interno dei griots senegalesi: Mandiaye N’Diaye, Mor Awa Niang e El Hadji Niang. La formazione diventa afro-romagnola, e pratica un originale meticciato teatrale che coniuga drammaturgia e danza, musica e dialetti, invenzione e radici. Gli spettacoli, da Ruh. Romagna piu’africa uguale (1988) a All’inferno! (1996), da I Polacchi (1998) al Sogno di una notte di mezza estate (2002), da Salmagundi (2004) a Sterminio (2006), valgono alle Albe premi e riconoscimenti, nazionali e internazionali, evidenziando una poetica rigorosa, raffinata ed emozionante, capace di restituire alla scena la sua antica e potente funzione narrativa. Oltre alla direzione artistica tenuta da Martinelli (Premio Drammaturgia infinita nel 1995, Premio Ubu per la drammaturgia nel 1997, Premio Hystrio alla regia nel 1999, Golden Laurel come “miglior regista” al Festival Internazionale “Mess” di di C lair eP asq uie r Sarajevo nel 2003), si ricordano i principali attori del gruppo: Ermanna Montanari (segnalazione al Premio Narni Opera nel 1986, Premio Ubu come “migliore attrice” nel 2000 e 2007, Premio Adelaide Ristori nel 2001, Golden Laurel come “miglior attrice” al Festival Internazionale “Mess” di Sarajevo nel 2003); Luigi Dadina (Griot-fuler, scritto a quattro mani con Mandiaye N’Diaye, menzione al Premio Nazionale Stregagatto 1995-96); gli attori e attrici cresciuti nella fucina della nonscuola: Alessandro Argnani, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Laura Redaelli e Alessandro Renda. Infine fondamentali gli apporti di Enrico Isola (direzione tecnica), Vincent Longuemare (luci), Luigi Ceccarelli (musiche), Cosetta Gardini e Edoardo Sanchi (scenografie), Nevio Spadoni e Luca Doninelli (scrittura testi). a Mons (Belgio) con La mano, “de profundis rock”, tratto dal romanzo omonimo di Luca Doninelli e coprodotto dal Centre Culturel Transfrontalier de diffusion et de création di Mons e dai festival italiani Ravenna Festival e Le Colline Torinesi. Tra maggio e giugno 2005 il Teatro delle Albe è a Chicago con un intenso programma di spettacoli e laboratori; il cuore del progetto è la reinvenzione dei Polacchi con un gruppo di studenti africani della Senn High School. Nel novembre 2006 vanno in scena due spettacoli: Leben e Sterminio (4 Premi Ubu). Nel gennaio 2007 debutta lo spettacolo Ubu buur, reinvenzione dell’Ubu re di Alfred Jarry. Nel giugno 2008 debutta Rosvita. Nell’ottobre 2008 giunge il momento di Stranieri di Antonio Tarantino, nuovo approdo alla drammaturgia contemporanea del Teatro delle Albe. Nel 1999 le Albe creano il Cantiere Orlando, percorso triennale sui poemi cavallereschi rinascimentali, coprodotto con la Biennale di Venezia, Ravenna Festival e Santarcangelo dei Teatri. Tra il 2003 e il 2004 Marco Martinelli ha diretto il corso Epidemie-percorso per la crescita professionale dell’attore, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione e Ravenna Teatro. Nel febbraio 2005 lo stesso Martinelli ed Ermanna Montanari debuttano Nel 2010 le Albe si immergono nell’opera di Molière, sviluppando due spettacoli. Dopo una lunga residenza artistica in Belgio debutta a Mons detto Molière, scritto e diretto da Marco Martinelli, un evento corale che vede in scena una tribù di 40 persone, tra attori professionisti, musicisti, studenti del Conservatorio di Mons e adolescenti delle aree di confine tra Francia e Belgio. Il secondo spettacolo del dittico molieriano, L’Avaro, debutta nell’aprile 2010, prodotto da Ravenna Teatro in collaborazione con AMAT (Associazione Marchigiana Attività Teatrali) e ERT (Emilia Romagna Teatro Fondazione. L’anno seguente Ermanna Montanari firma la direzione artistica del Festival internazionale di Santarcangelo, all’interno di un triennio di lavoro 2009-2011 condiviso con Chiara Guidi-Societas Raffaello Sanzio e Enrico CasagrandeMotus. Nel 2006 la non-scuola approda a Napoli trasformandosi in Arrevuoto, un’iniziativa triennale del Teatro Mercadante diretto da Martinelli, a cura di Roberta Carlotto, che ha coinvolto settanta adolescenti del centro di Napoli e del quartiere di Scampia. Tale progetto, che ha avuto grandissima risonanza a livello nazionale e ha ottenuto il Prestigioso Premio Ubu 2006 come “progetto speciale”, ha dato vita nel 2008 a Punta corsara, con il sostegno della Fondazione Campania Festival. Nel gennaio 2011, sulla scia di queste esperienze, nasce anche il progetto Capusutta, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Lamezia Terme, di cui Martinelli è direttore artistico, che vede impegnati il Teatro delle Albe e Punta Corsara in una serie di laboratori teatrali con gli adolescenti lametini. 9 P prossimi appuntamenti GIO 12 VEN 13 GENNAIO 2012 ore 20.45 LA BOTTEGA DEL CAFFÈ favola di Carlo Goldoni con Marina Bonfigli, Antonio Salines, Virgilio Zernitz, Massimo Loreto scene e costumi di Guido Fiorato musiche di Giancarlo Chiaramello regia di Giuseppe Emiliani MAR 24 MER 25 GENNAIO 2012 ore 20.45 ITIS GALILEO –1 2d LUOGHI DEL CONTEMPO RANEO Sala del Ridotto ic LUN 12 DICEMBRE 2011 ore 20.45 FAVOLA con Marco Paolini di Francesco Niccolini e Marco Paolini C’ERA UNA VOLTA UNA BAMBINA E DICO C’ERA PERCHÈ ORA NON C’è PIù uno spettacolo di e con Filippo Timi e con Lucia Mascino e Luca Pignagnoli SAB 18 DOM 19 FEBBRAIO 2012 VEN 20 GENNAIO 2012 ore 20.45 ore 20.45 Tato Russo in IL FU MATTIA PASCAL con Katia Terlizzi, Renato De Rienzo e altri 11 interpreti versione teatrale di Tato Russo dal romanzo di Luigi Pirandello regia di Tato Russo MAR 20 MER 21 MARZO 2012 ore 20.45 Leo Gullotta in LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR di William Shakespeare con Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini regia di Fabio Grossi GIO 29 VEN 30 MARZO 2012 ore 20.45 IL PRINCIPE DI HOMBURG di Heinrich von Kleist con Lorenzo Gleijeses, Ludovica Modugno, Maria Alberta Navello, Graziano Piazza, Stefano Santospago traduzione e regia di Cesare Lievi ELEONORA, ULTIMA NOTTE A PITTSBURGH di Ghigo De Chiara con Annamaria Guarnieri musiche a cura di Simone Cussino regia di Maurizio Scaparro GIO 9 FEBBRAIO 2012 ore 20.45 SENSO “avevo sposato il mare... avevo bisogno... di amare” dalla novella di Camillo Boito lettura scenica con Monica Guerritore e Antonio Ballista al pianoforte progetto e drammaturgia di Giacomo Bottino SAB 24 MARZO 2012 ore 20.45 è STATO COSì di Natalia Ginzburg con Alba Rohrwacher regia di Valerio Binasco Soci Fondatori ww w.t cv i.it Partner Logo Aim Energia concreta.pdf Sponsor C M Y CM MY CY CMY K 1 31/08/11 15.05