I FISICI PLURALISTI La contrapposizione tra i sostenitori del divenire e dell'essere continua anche dopo la morte di Eraclito, Parmenide e Zenone. Ma accanto a chi sostiene l'una o l'altra tesi, si fa avanti una corrente che ritiene assolutamente necessario un compromesso tra le due posizioni. Si tratta dei cosiddetti “fisici pluralisti”, i quali non costituiscono una vera e propria scuola, ma sono accomunati, appunto, dall'intento di porre fine alla contesa, proponendo, per così dire, una soluzione che possa accontentare entrambe le fazioni. Si chiamo “fisici” in quanto tornano, dopo le “astrazioni” di Eraclito e Parmenide, ad occuparsi della realtà concreta, fisica appunto, e “pluralisti” poiché sono fermamente convinti che tale realtà non sia formata da una sola sostanza (il Logos di Eraclito oppure l'essere di Parmenide) ma da una pluralità di elementi. EMPEDOCLE Empedocle nasce ad Agrigento nel 492 da famiglia nobile. Il nonno, Empedocle anche lui, aveva vinto la settantunesima Olimpiade, un evento che allora – in parte come accade ancora oggi – andava ben oltre l'evento sportivo. I vincitori delle Olimpiade, infatti, potevano godere dei più svariati privilegi, tra i quali quello di sedere accanto ai supremi magistrati della polis nelle cene ufficiali, di vedere i loro nomi trascritti nelle tavole ufficiali, di potere viaggiare per il mondo a spese della collettività. È per questa ragione che il padre del futuro filosofo, Meton, decide di chiamarlo così. Empedocle junior si avvicina sin da giovanissimo alla filosofia, ma i suoi primi interessi sono politici. Sposa le idee più radicali del partito democratico e partecipa con successo ad una sommossa contro il potere aristocratico della città. Dopodiché si trasferisce ad Elea, dove viene in contatto con il pensiero di Parmenide e Zenone. L'incontro non è certo dei più fortunati: Empedocle, giovane inquieto e ribelle, non vede di buon occhio i giochi astratti dei maestri della città e decide di lasciare Elea per fare ritorno in Sicilia, dove viene in contatto con le idee pitagoriche. Naturalmente anche questo incontro non è dei più felici: i pitagorici, come detto, costituiscono una setta chiusa, anzi blindata da rigide quanto assurde regole ed in più parteggiano per il partito aristocratico. Empedocle il contestatore viene così retrocesso al rango dei peggiori studenti della scuola, tra coloro ai quali viene negato persino il diritto alla parola. È bene ricordare che lo stesso trattamento verrà riservato, di lì a pochi anni, anche ad uno studente del calibro di Platone! Non rimane che rimettersi nuovamente in viaggio, questa volta verso l'Egitto, quindi dai Magi. In questi luoghi Empedocle apprende le arti mistiche, come la magia, l'ipnosi, la lettura del pensiero e la telecinesi. È forse a causa di questi interessi, ben poco scientifici, che non pochi suoi contemporanei lo etichettano con l'infame appellativo di “ciarlatano”. E tuttavia, nei medesimi luoghi, apprende anche la scienza medica, la matematica e l'astronomia. Insomma, il giovane agrigentino è quello che oggi si direbbe un “tuttologo”. Tornato nuovamente in patria, Empedocle non resiste alla tentazione di buttarsi nuovamente in politica e ancora una volta con successo. Le sue battaglie, contro il nuovo governo aristocratico della città sono di stampo “giustizialista” e “moralista”. Si scaglia soprattutto contro la corruzione dilagante tra il Consiglio dei Mille (il potere esecutivo in mano al partito aristocratico), conquistando ogni giorno nuovi consensi. Divenuto in breve tempo un vero capopopolo, rifiuta tuttavia un ruolo attivo nella politica ufficiale. Gli piace molto di più girare per la città circondato da folle esultanti, che pendono dalle sue labbra. Disinteressato alla politica attiva, Empedocle non si sottrae però ai suoi obblighi di scienziato. Riesce nella ardua impresa di scoprire le cause di una epidemia che attanaglia da mesi Agrigento: un fiumiciattolo inquinato che attraversa il centro abitato. Immediatamente si mette al lavoro, facendo costruire tutta una serie di canali in modo da convogliare acqua più pulita da altri fiumi, garantendo nel contempo riserve idriche per i periodi di siccità. Il popolo esulta, anche perché l'intera operazione viene realizzata a sue spese. Ma l'impresa più nota è un'altra. Agrigento, come gran parte della Sicilia, è soggetta in estate a periodiche quanto micidiali tempeste di un vento caldo che proviene direttamente dal deserto del Sahara. In queste occasioni la temperatura supera abbondantemente i quaranta gradi centigradi per intere settimane, rendendo l'aria irrespirabile e mietendo non poche vittime. Empedocle studia con molta attenzione il fenomeno e decide di sbarrare con centinaia di pelli di asino la stretta gola attraverso cui il vento si incunea nella valle. Una impresa geniale: Plutarco, nelle “Curiosità”, lo chiamerà “il trattenitore di venti”. Anche sulla sua vita privata gli aneddoti si sprecano. È Aristotele a riferirci di un presunto flirt con Pausania, un suo giovane discepolo, mentre una miriade di altri racconti si dice tutto e il contrario di tutto. Sulle cause della morte, poi, la lista è quasi infinita. C'è chi parla di suicidio per strangolamento, chi per impiccagione, chi di morte naturale, chi per annegamento. Ma la versione più nota è quella di Eraclide Pontico, il quale narra che, subito dopo avere resuscitato un donna, Empedocle si rese conto di essere diventato un dio e dunque di non fare parte di questo mondo. E, come un dio, decide di sparire dalla circolazione gettandosi nel cratere dell'Etna. Ma non finisce qui. Pare che qualche istante dopo il vulcano abbia eruttato uno dei suoi sandali di bronzo! Non si capisce come mai sia proprio questa versione ad imporsi rispetto ad altre molto meno fantasiose, citate da cronisti molto più attendibili. Eraclide, infatti, è lo stesso autore che, di lì a pochi anni, scriverà di avere avuto quello che oggi si chiamerebbe un incontro ravvicinato del terzo tipo con un essere precipitato su questo mondo direttamente dalla Luna. Comunque sia finita, quella di Empedocle è a tutti gli effetti una “vita attiva”, un altro esempio che dimostra come i filosofi siano tutt'altro che persone dedite alla sola speculazione astratta. Ma Empedocle è anche uno studioso e se ancora oggi lo ricordiamo non è per le sue imprese, vere o false che siano, quanto per avere per primo risolto il problema della dicotomia tra essere e divenire. Il filosofo agrigentino scrive molto. Aristotele parla di diverse opere filosofiche e di ben quarantatre tragedie. Tuttavia, ciò che rimane del suo pensiero sono solo quattrocento frammenti di due opere, “La Natura” e “Purificazioni”, sufficienti tuttavia a ricostruirne il pensiero. Il più importante è senza dubbio il seguente: quattro sono le radici delle cose: Zeus, splendente, Era avvivatrice, Aidoneo e Nesti che di lacrime distilla la sorgente immortale Parole enigmatiche solo per chi non conosce la mitologia greca. Per farla breve, Empedocle afferma che sono quattro gli elementi primordiali (arché) della natura: il fuoco (Zeus), l'aria (Era), la terra (Aidoneo) e l'acqua (Nesti). Questi elementi possiedono molte delle proprietà che furono dell'unico essere parmenideo: non hanno una nascita né una morte e sono indistruttibili. Ma allora come spiegare il divenire? Questi quattro esseri si combinano tra loro dando vita alle cose, gli enti. Sono gli enti, dunque, ad avere una nascita, ad avere una vita dopo la quale sopraggiunge la morte, cioè la fine dell'unità degli esseri. Una geniale soluzione del problema aperto da Eraclito e Parmenide: vi sono esseri che non muoiono mai, ma la cui associazione e dissociazione dà luogo al divenire delle cose. Questi esseri sono chiamati radici. Ma che cosa li fa unire e disunire? Due forze, l'Eros e la Contesa, l'Amore e l'Odio. In origine Eros trionfa e tutti gli elementi si trovano, per così dire, uniti nello Sfero. In questa fase è improprio parlare di vita. Affinché questa possa vedere la luce occorre l'intervento della Contesa, che libera gli elementi, cioè le radici. Dunque si passa da una situazione di pace ad una di anarchia. Ma l'intervento della Contesa non annulla il potenziale aggregativo di Eros, il quale interviene nuovamente per aggregare le particelle dando così origine alle cose dell'universo, uomo compreso. Dunque, tutto l'universo è formato da queste quattro radici, naturalmente in quantità differenti: un uomo avrà una percentuale superiore di acqua rispetto, per esempio, ad una pietra, la quale avrà a sua volta una percentuale superiore di terra rispetto ad una nuvola. Ma tutti, l'uomo, la pietra e la nuvola sono composti dai medesimi quattro elementi e da null'altro. Il che favorisce la conoscenza (reciproca): una creatura emana infatti un flusso di radici che va a combinarsi perfettamente con i medesimi di chi gli si pone davanti, secondo il principio del “simile incontra il simile”. Per esempio, io conosco il foglio che ho davanti perché le mie particelle incontrano quelle del foglio, creando un “legame” in cui ogni singola particella di acqua che emano io si incontra con quella che emana il foglio e così anche per le particelle di terra, aria e fuoco. Da notare come anche in questo caso (come in tutti i filosofi precedenti) risulti pressoché assente il divino. Non che si tratti di filosofi atei (Empedocle, per esempio, crede nella metempsicosi di stretta osservanza pitagorica e infatti anche lui odia ... le fave!) ma la religione occupa un posto, ad essere buoni, marginale nella loro speculazione. Come già in Anassimandro, nessun dio ha parte nella formazione del mondo, la quale si deve a forze, per quanto invisibili, assolutamente non divine. I filosofi, in fondo, sono perfettamente inseriti nella cultura del loro tempo, che celebra gli dei, in molti casi con sacrifici brutali e rituali rituali che si perdono nella notte dei tempi, ma non li considera affatto creatori del mondo, come invece accadrà con le religioni monoteistiche. Anzi, gli dei presentano tutti caratteristiche umane: sono gelosi, dediti ai piaceri terreni, fino al punto da approfittare della loro potenza per passare piccanti serate con qualche bella mortale. Infine la poesia. Davvero siamo di fronte ad un uomo che ama tutta la cultura e non solo l'aspetto scientifico o speculativo (per non parlare di quello pratico). Ecco alcuni tra i passaggi più significativi giunti fino ai giorni nostri: “il mare, sudore della terra”, “la notte, solitaria e cieca”, “il sole che, acuto, saetta”. E non potevano mancare riferimenti sessuali, come nella migliore tradizione della cultura greca, che non considera il sesso come peccato, al punto da adorare dei come Eros, Afrodite, Dioniso. Trattando, da buon medico, l'argomento del parto e dovendo perciò indicare l'apertura attraverso cui il bambino si affaccia alla vita, ricorre a queste parole: “le fessure dei prati di Afrodite”. ANASSAGORA L'altro grande fisico pluralista è Anassagora, nato a Clazomene intorno al 500 a.C. Profondamente influenzato dalla filosofia di Mileto, il giovane futuro filosofo passa letteralmente le giornate a fissare il cielo, ma non in passiva contemplazione, bensì prendendo appunti circa i movimenti degli astri. Si narra che ad un concittadino che lo accusava di disinteressarsi degli affari terreni e quindi di non amare la patria, Anassagora risponde: “non è affatto vero! Io amo la patria!”, indicando però il cielo. Una vera e propria fissazione. Ma una fissazione feconda, in quanto in poco tempo diviene uno degli astronomi più apprezzati dell'antica Grecia. Una valanga di successi riempie la sua biografia: dalla previsione, in netto anticipo, di una eclissi solare ad un terremoto, passando per il crollo di una casa e la caduta di un meteorite. Leggende, miti, verità? Impossibile saperlo con certezza. Ma certo è che la sua fama cresce rapidamente e a dismisura. Forse è proprio per questi motivi che un giorno viene chiamato ad Atene o forse perché quella città rappresenta ormai il centro del mondo, che un giovane curioso e intraprendente come Anassagora non può fare a meno di visitare. Comunque siano andate effettivamente le cose, è Anassagora – come scrivono tutti i libri di filosofia – a portare la filosofia in Atene. Qui viene subito in contatto con l'ambiente democratico, dove conosce, divenendone presto amico, un brillantissimo Pericle. E tuttavia il suo soggiorno ad nella più importante polis greca viene subito turbato da una pesantissima accusa, quella di vilipendio alla religione di Stato. Atene sarà anche il centro della vita culturale e politica greca, ma in fatto di libertà religiose è ancora in età arcaica. Ad Atene i processi sono pubblici e la giuria è popolare. Ed è proprio il popolo di Atene a condannare il filosofo alla pena capitale, sebbene per un pungo di voti. Immediatamente tradotto in carcere, il filosofo medita su cosa l'aspetti dopo la morte. Ma dovrà aspettare ancora alcuni anni, poiché il suo migliore amico, Pericle, pur sempre il “tiranno” (cioè il primo ministro, per usare una terminologia moderna) di Atene, decide di intervenire in suo soccorso. Egli non può certo sconfessare un verdetto popolare, ma può convincere, come capo della milizia, le guardie della prigione a fare fuggire il filosofo. Ed è molto probabile, per tornare al processo, che sia proprio l'amicizia con Pericle la causa di tutti i guai di Anassagora ad Atene. Non è la prima volta, e non sarà l'ultima, che un uomo finisce davanti ad una giuria popolare per rispondere di accuse assolutamente infondate, in realtà frutto di rivalità personali, spesso politiche. Occorre comunque ricordare come non tutte le fonti concordino, a tale proposito, sulla pena capitale. Altre – le più accreditate a dire il vero – parano di ostracismo, cioè di esilio forzato per alcuni anni. E per comminare un tale pena non c'era bisogno di convocare una giuria popolare, bastava la firma di almeno seimila cittadini (e se la causa dell'odio nei confronti del filosofo era la sua amicizia con Pericle, era facilissimo raccoglierle, bastavano quelle del partito aristocratico all'opposizione). Ma altre fonti parlano di un secondo processo a danno di Anassagora, ma non si capisce se con il filosofo nuovamente in Atene dopo anni di esilio (il che confermerebbe la tesi dell'ostracismo) ovvero, come si dice oggi, in contumacia. Vera o falsa che sia, questa notizia merita però più attenzione. Pare infatti che l'accusa sia stata emessa dopo le rilevazioni di uno schiavo (rivelazioni estorte: gli schiavi venivano frustati). Lo schiavo dichiara di avere udito il filosofo parlare di strane teorie circa l'universo e in particolare di una pietra infuocata che ruota libera nel cielo. Nulla di eccezionale, insomma. Come abbiamo visto – e come vedremo in seguito – c'è chi si spinge ben oltre. Ma siamo ad Atene e qui l'intolleranza religiosa fatica a tramontare. E anche in questa occasione, troviamo Pericle che si mobilita per salvare l'amico. Lo va a trovare in carcere, cerca di convincerlo a presentarsi davanti alla giuria, ma questi, molto malato, rifiuta. E allora lo trascina di forza con sé e prende la parola davanti al Consiglio: “Ateniesi, siete convinti che io abbia sempre agito per il bene della patria? Avete qualcosa da rimproverami? E allora sappiate che sono stato discepolo di costui!”. Dopo questo accorato intervento, pare che Anassagora sia stato immediatamente liberato, per morire, tuttavia, pochi mesi dopo. In punto di morte, pare anche che abbia pronunciato queste parole, al cospetto del solito Pericle: “anche quelli che hanno bisogno di luce, versano l'olio nelle lanterne”. E a chi gli chiede come debbano ricordare il giorno della sua morte, risponde: “fate fare un giorno di vacanza ai fanciulli”. Il pensiero di Anassagora non si discosta molto da quello di Empedocle. Anche per lui, infatti, il problema principale è quello di conciliare la posizione di Eraclito con quella di Parmenide. Esistono non un solo essere, come in Parmenide, né solamente quattro radici, come pensava Empedocle, bensì infinite entità primordiali chiamate semi o anche omeomerie. Queste in origine vagavano caoticamente per l'universo finché una forza non ha cominciato ad aggregarle. Tale forza è il Nous, cioè una sorta di Intelletto universale, che ricorda vagamente l'Eros di Empedocle. Dunque, tutte le cose dell'universo sono composte dalle medesime omeomerie e quindi tutti siamo fatti allo stesso modo, frutto cioè di una complessa combinazione di elementi. Insomma, come asserisce il filosofo, “il tutto è nel tutto”. Questo significa che in ogni essere vi è anche la combinazione di contrari: un fiocco di neve possiede, per esempio, il “bianco” in massima quantità, ma anche qualche particella di “nero”, così come nel sale vi è qualche particella di zucchero e viceversa. Dati questi presupposti, ne consegue che il processo cognitivo, questo sì, risulta l'opposto di quello di Empedocle: se per quest'ultimo il tutto avviene secondo la legge della somiglianza, per Anassagora accade l'esatto contrario, per cui noi avvertiamo il freddo in base al calore del nostro corpo, il dolce in base all'esperienza dell'amaro, il piacere in base al ricordo del dolore e così via. Anche Anassagora, come tutti i principali filosofi del suo tempo, è uno studioso di cosmologia. La visione della volta celeste lo affascina, come detto, sin da giovanissimo. Egli pensa che gli astri siano pietre infuocate che ruotano vertiginosamente nel cielo, fino a che non perdono di velocità e precipitano sulla Terra: ecco, forse il fatto di non vedere alcun intervento divino volto a deviarne la rotta, il fatto di vedere tali movimenti superiori al volere degli dei, forse queste considerazioni gli costano la vita. La Luna è solo una “pietra fredda” che riceve la luce direttamente dal sole ed è la sua orbita a determinare cicliche eclissi. Il nostro satellite è del tutto simile alla Terra, presentando tutta una serie di montagne, colline, burroni eccetera e se così è deve esserci anche la vita: un'altra posizione blasfema, in quanto il cielo è il regno degli dei e non è possibile parlare di una dimora di “pietre fredde” né ipotizzare che possano esistere altri esseri mortali. Le comete sono veri e propri pianeti che si lanciano nell'universo a velocità siderali, lasciandosi dietro una coda di scintille. Ma Anassagora studia anche i fenomeni terrestri. I venti sono frutto della rarefazione dovuta al riscaldamento prodotto dal Sole; i tuoni il frutto di uno scontro tra le nuvole più imponenti e l'uomo è frutto di una complessa evoluzione che parte dall'acqua alla conquista della terra ferma. Il segreto del successo, secondo Anassagora, sta tutto nelle mani, una intuizione che gli studi più recenti hanno confermato. L'uomo, non avendo un suo habitat naturale, se lo è costruito ex novo, ha trasformato la faccia della Terra, l'ha radicalmente umanizzata. Un pensiero che allora poteva sembrare alquanto ardito, ma che la storia più recente dell'umanità non fa che confermare quotidianamente. DEMOCRITO Decmocrito nasce ad Abdera tra il 457 e il 472 a.C. da una famiglia molto ricca di idee democratiche. Alla morte del padre riceve in eredità una cospicua eredità che decide di spendere in viaggi molto avventuruosi. Compie il classico tour dei filosofi del suo tempo, studiando l'astronomia presso i Caldei, la teologia dai Magi, la geometria dagli Egiziani, spingendosi tuttavia fin nell'Africa nera, in Etiopia, nel Mar Rosso e persino in India. Scrive di se stesso: Io sono, tra i miei contemporanei, quello che ha percorso la maggior parte della Terra, facendo ricerca delle cose più strane; e vidi cieli e terre numerosissime; e udii la maggior parte degli uomini dotti; e nella composizione di figure geometriche, con relativa dimostrazione, nessuno mi superò ... Quando torna in patria, non ha più una dracma, suscitando scandalo tra i suoi concittadini, che non riescono a capire come abbia potuto dilapidare un tale patrimonio in così poco tempo. Pressato dalla riprovazione popolare, il governo della città emana un decreto con il quale gli impedisce di essere sepolto in patria. Trattato come un bandito, Democrito cerca di lavare l'onta alla maniera di un vero filosofo: convincendo la massa dell'errore commesso. Decide di convocare la cittadinanza nella pubblica piazza affinché possa rendersi conto che il patrimonio di papà non è stato affatto dilapidato in attività ludiche bensì messo a frutto per conoscenze utili allo sviluppo della polis. In poche ore riversa sugli spettatori tutta la conoscenza acquisita nei suoi viaggi, lasciando letteralmente di stucco i suoi concittadini. Alla fine non solo il governo decide di ritirare il decreto, ma anche di garantirgli i funerali a spese della collettività. Di più: decide di fare una colletta per restituirgli l'ammontare della somma spesa durante i viaggi. La personalità di Democrito è l'esatto contrrario di quella di Anassagora, almeno di quella emersa dopo la condanna. Tanto chiuso quest'ultimo, tanto aperto il primo, al punto che la sua fragorosa risata viene ricordata ancora oggi in Grecia. Ed è proprio Anassagora il bersaglio principale dell'esuberante filosofo di Abdera, soprattutto la teoria del Nous. Critiche feroci, le sue, spesso volgari. Ma faremmo un torto alla storia della filosofia – e allo stesso Anassagora – se non ricordassimo un episodio che lo stesso Diogene Laerzio riporta nelle sue “Vite dei Filosofi” e cioè che Democrito venne sonoramente bocciato proprio da Anassagora nel test di ammissione per entrare scuola che aveva da poco fondato in Atene. Come quasi tutti i filosofi della sua epoca, anche a Democrito si conferiscono facoltà divinatorie. Si narra che un giorno abbia salutato una amica di Ippocrate (l'inventore della scienza medica) con un semplice “buongiorno fanciulla” e che il giorno dopo abbia fatto lo stesso con un più complesso “buongiorno donna”. Sta di fatto che nella notte la ragazza aveva avuto la sua prima esperienza sessuale (forse con lo stesso Ippocrate, che naturalmente avrebbe potuto raccontare il fatto allo stesso Democrito). A Democrito, su questo non ci sono dubbi, piace molto stupire gli amici. Un giorno, bevendo un bicchiere di latte, esclama: “questo latte è stato munto da una pecora nera, nata di primo parto”. Effettivamente – a quanto pare – le cose stavano proprio così se tutti rimasero stupiti. Ma l'episodio che lo consegna alla storia è un altro. Democrito, di fronte a Dario, re di Persia, disperato per la morte della moglie, esclama con la solita enfasi: “procurami tutte le cose che ho scritto su questo foglio e io ti prometto che la farò resuscitare”. Dario si mette naturalmente al lavoro, ma non gli riesce di soddisfare l'ultima richiesta, quella di incidere sulla lapide della moglie il nome dei tre uomini che nella vita non avessero mai provato dolore. La risposta di Democrito è lapidaria: “o irragionevole uomo, tu piangi senza ritegno come se fossi il solo essere al mondo ad avere sofferto una simile sventura!”. Personaggio indubbiamente molto particolare questo Democrito, al punto che pare si sia privato volontariamente della vista, esponendo i propri occhi ai raggi del sole riflessi su uno scudo argentato. Stava diventando vecchio e non voleva che “la vista del corpo gli impedisse quella dell'anima”, come scrive Cicerone. Tertulliano, un filosofo cristiano, sarà molto più esplicito: a suo parere l'accecamento è conseguenza dei suoi istinti sessuali, insomma non voleva avere tentazioni che non poteva più soddisfare. Una versione sicuramente molto credibile, poiché Democrito passa per uno che non rinuncia alle gioie della vita. Ecco perché Decmorito non accetta di diventare vecchio: spesso il vivere a lungo non è un lungo vivere ma un lungo morire E dovette morire a lungo se è vero che supererà i cento anni, nonostante i non pochi tentati suicidi, le pratiche autolesionistiche, una dieta totale eccetera. E mentre sta finalmente per lasciare questo mondo, la sorella gli prega di sopravvivere ancora per qualche giorno, il tempo necessario per consentirgli di partecipare alle feste (la morte di un parente impone alla famiglia un lungo lutto). Democrito comprende e decide di resistere ancora per un po'. Passano tre giorni e, ormai sfinito, chiede alla sorella se finalmente siano finite le feste. La risposta affermativa di quella, consente finalmente a Democrito di morire in pace. Del filosofo di Abdera possediamo soprattutto biografie positive: un uomo fortunato, dunque, forse l'unico che abbia suscitato così tanta simpatia. E tuttavia, tra le poche note negative giunte fino a noi, ce n'è una firmata niente meno che da Platone, il quale non è che lo attacca direttamente ... non lo cita proprio! Si dice addirittura che si attiverà per fare sparire tutti i suoi libri dalla circolazione, esattamente come faranno qualche secolo più tardi ebrei, cristiani e musulmani. Perché? La filosofia di Democrito è tanto semplice quanto rivoluzionaria. È materialista e dunque esclude qualsiasi intervento “meta-fisico” (cioè che vada oltre il puro dato fisico), figuriamoci gli interventi divini. Ecco perché non sopporta Anassagora: il Nous è una forza misteriosa, quasi un dio che dal caos crea l'ordine. Per Democrito, al contrario, l'unica realtà esistente è la materia e questa è costituita da atomi, che in greco significa “non divisibili”. L'atomo, dunque, è l'ultima parte della materia nonché ciò che dà vita alle cose. Gli atomi sono dei corpuscoli infiniti, compatti, tutti uguali per qualità ma assolutamente diversi per forma e grandezza. Tra un atomo e l'altro non esiste nulla, c'è solo il vuoto. È nel vuoto che gli atomi si muovono, velocissimi e senza alcuna metà, caoticamente, in maniera vorticosa. E nei loro movimenti questi atomi talora si aggregano, dando vita alle creature dell'universo, mentre altri continuano a vagare nel vuoto senza alcuno scopo. Se fosse vivo, Anassagora avrebbe chiesto a Democrito “ma chi li muove? Chi li fa aggregare e disgregare?”. Scartata l'ipotesi di una Intelligenza universale, Democrito avrebbe risposto, un po' seccato: gli atomi non nascono dal nulla e non muoiono; sono dotati di movimento e nel loro moto caotico talvolta si sfiorano, altre volte si urtano, in piccole percentuali si aggregano, dando vita alle cose. La domanda di Anassagora, tuttavia, è ancora attuale, il che significa che la risposta di Democrito non è esaustiva. Qualche secolo dopo un estimatore convinto di Democrito, Epicuro, ipotizza una “deviazione” chiamata klinamen in grado di deviare i corpuscoli dalla loro traiettoria e consentendo l'incontro, quindi l'aggregazione degli atomi. Ma per Epicuro gli atomi si muovono solo verticalmente, parallelamente gli uni agli altri e quindi non vi è possibilità di incontrarsi. Democrito, invece, li vede muoversi vorticosamente, dunque il loro incontro è possibile ed è dato proprio dalla natura stessa del movimento, che favorisce le aggregazioni, senza ricorrere ad ipotesi non fisiche, come il klinamen o il nous. Come si è detto gli atomi non differiscono tra loro qualitativamente ma solo quantitativamente. Per esempio, quelli dell'anima sono più rotondi, più mobili e più lisci. La differenza con le omeomerie di Anassagora sta nel fatto che mentre queste ultime sono divisibili all'infinito, gli atomi, per loro stessa definizione, non lo possono essere, risultando in tal modo l'ultima frontiera della materia: oltre non si può andare, altrimenti .... Quell'altrimenti lo mostrerà la storia dell'atomo. Spezzare un atomo significa liberare una forza spaventosa, la medesima che si accanirà contro le sfortunate popolazioni di Hiroshima e Nagasaki nell'estate del 1945. La conoscenza avviene attraverso un effluvio materiale chiamato éidolon che l'oggetto che si percepisce con i sensi emana, urtando gli stessi atomi dei nostri sensi, i quali a loro volta trasmettono l'urto agli atomi del nostro pensiero. Ma il problema principale è quello relativo al vuoto. Senza ombra di dubbio l'idea di pensare qualcosa che non può essere pensato, cioè il non essere – se vogliamo stare al ragionamento di Parmenide – è un problema di difficile soluzione. Ancora oggi la questione è ancora molto dibattuta. Dopo Einstein si è risolto il problema parlando non di vuoto che intercorre tra due oggetti materiali bensì di “intervallo”, il che, tuttavia, non risolve proprio nulla, non sapendo bene come definire tale intervallo, fosse anche di due “eventi”, come la teoria della relatività sottolinea, e non specificamente di due “cose” concrete. E tuttavia, se stiamo alle teorie fisiche moderne, parlare di “eventi” ovvero di qualcosa che si mostra nel momento stesso in cui sparisce, dunque di brevissima durata, come l'apparire di un atomo, allora la ragione sta dalla parte di Democrito – e di Eraclito, per il quale tutto scorre – e non di Parmenide e di chi sostiene che il vuoto non esiste. Ma se questo è vero, è vero anche che lo stesso Democrito si colloca nell'ambito dei Fisici Pluralisti, cioè di coloro che hanno tentato di conciliare il pensiero di Eraclito e di quello di Parmenide, perché gli atomi sono gli esseri di Parmenide e il vuoto non fa che giustificare proprio il divenire di Eraclito. .