Il XVII secolo e la peste.

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Il XVII secolo e la peste.
Nel corso del XVII secolo si verificò nella comunità un forte irrigidimento sociale
che rese sempre più difficile per chi non apparteneva alla ristretta cerchia di ricchi
finanziatori, la possibilità di arrivare ad occupare importanti ruoli sociali. Questo
ristretto gruppo che deteneva il potere economico, tese a concentrare nelle
proprie mani anche il potere delle Universitas, ad accaparrarsi la gestione delle
gabelle e a chiudersi sempre più nelle proprie prerogative sostenendo la famiglia
feudale a cui tentava anche di assomigliare attraverso l’acquisto di titoli nobiliari.
Accanto a questa classe sociale ce ne fu un’altra più ampia, costituita da
proprietari, artigiani e piccoli finanziatori che pur in posizione di inferiorità rispetto
all’altra per la minore disponibilità economica, era a questa legata da vincoli di
parentela o economici. Appartenevano poi ad una fascia sociale più bassa di
questi ultimi i mercanti e i piccoli artigiani, che, posti in posizione di dipendenza
dai primi gruppi, finivano per subirne le prepotenze. Infine, la posizione più bassa
era occupata dai bracciali, fetta di società più umile che ovviamente soffriva di
molte limitazioni e che si sentiva unita alla precedente. Furono queste due ultime
classi sociali a risentire maggiormente dei danni provocati dal dominio feudale
all’economia solofrana, attraverso l’usurpazione degli usi civici, gli arbitrii del
tribunale feudale e ai pesi dei censi sul credito. Su di esse inoltre gravava anche il
peso della proprietà ecclesiastica di cui non facevano parte, e che serviva a
sostenere il commercio che però si era accentrato nelle mani di pochi.
Espressione più evidente di questo stato di cose furono le strutture ecclesiastiche
dei conventi di S. Chiara e S. Domenico, che, volute dagli Orsini, erano
completamente gestite dalle famiglie più abbienti. Queste angherie e le difficoltà
economiche in cui versavano le classi più povere ma anche più numerose della
società, furono le motivazioni che spinsero le stesse a sostenere e promuovere
qualunque idea diretta a sovvertire questo stato di cose, producendo così i germi
di un vivo radicalismo.
Questi erano i fermenti sociali di cui si nutriva la parte più umile della società
quando la comunità visse la partecipazione alla rivolta masaniellana del 1647, che
per le sue connotazioni antifeudali traeva linfa vitale proprio dai ceti meno
abbienti. Il frutto di questi fremiti rivoluzionari furono nuovi capitoli statutari
strappati agli Orsini e l’elezione di un governo con un deciso programma
antifeudale per difendersi dalle usurpazioni dei beni demaniali, dalle prepotenze
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Il XVII secolo e la peste.
nella formazione dei catasti e a tutela di coloro che combattevano contro i banditi
sostenuti dal feudatario.
Ma la forte spinta rivoluzionaria ben presto generò un’energia troppo forte per
poter essere gestita da coloro che l’avevano provocata, degenerando in una
imprevista recessione resa ancora più grave dal banditismo che, imperversando
incontrastato, causava enormi danni ai già difficili traffici commerciali. Il peggio
però doveva ancora arrivare. Infatti nel 1656 la popolazione fu decimata dalla
peste che in tal modo però favorì l’ingresso nella comunità di molti elementi
forestieri.
Testo a cura dell’Associazione culturale AMT – Arte Musei Territorio
Ricerche effettuate sui testi di M. de Maio (“Alle radici di Solfora” – “Solofra nel Mezzogiorno Ang
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