11.1 Processi di ossidazione 11.1.1 Processi di ossidazione in fase vapore Introduzione I processi di ossidazione selettiva, in particolare quelli che utilizzano catalizzatori solidi (processi di ossidazione eterogenea) hanno un ruolo fondamentale nella petrolchimica. Circa il 50% dei principali prodotti chimici e oltre l’80% dei monomeri vengono sintetizzati mediante almeno uno stadio di ossidazione catalitica selettiva eterogenea. La tab. 1 riporta un elenco dei principali processi di ossidazione selettiva di idrocarburi utilizzanti catalizzatori solidi, con l’indicazione dei valori di conversione e di selettività ottenuti. In molti processi commerciali di ossidazione selettiva esiste ancora un margine significativo di miglioramento delle prestazioni. Per esempio, il possibile incremento di selettività in due dei principali processi di ossidazione selettiva (etilene a ossido di etilene e propilene ad acrilonitrile) permetterebbe un risparmio annuale sul costo dei reagenti di circa 800 milioni di euro. Già agli inizi dell’Ottocento era nota l’attività di catalizzatori solidi nell’ossidazione, ma è solo verso la metà del 20° secolo che è iniziato lo studio sistematico dei processi di ossidazione selettiva con catalizzatori solidi e della loro applicazione industriale. I primi processi che hanno avuto sviluppo industriale sono stati: l’ossidazione e l’ammonossidazione (ossidazione in presenza di ammoniaca) del propilene a formare rispettivamente acroleina e acrilonitrile, l’ossidazione dell’etilene a ossido di etilene e l’ossidazione di aromatici a formare anidridi (anidride maleica e ftalica). Lo sviluppo di questi processi, derivante anche dalla crescente domanda verso questo tipo di prodotti, ha portato al potenziamento della ricerca di base, con effetto sinergico all’attuazione di nuove applicazioni e il miglioramento di quelle già commercializzate. Come esempio si può riportare il processo di ammonossidazione del propilene con aria e ammoniaca, che VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA ha sostituito rapidamente il processo precedente basato sulla reazione tra acetilene e HCN, sia per il costo minore delle materie prime sia per i minori problemi di sicurezza. Ciò ha permesso di produrre l’acrilonitrile con una notevole riduzione dei costi e con conseguente rapida espansione del suo mercato negli anni 1960-80. Il successo di questo prodotto ha determinato d’altra parte uno sviluppo della ricerca sui catalizzatori utilizzati (ossidi misti a base di Bi e Mo), portando a un loro progressivo miglioramento. La prima generazione di catalizzatori, basati su Bi9PMo12O52 supportato, dava una resa del 55%, passata al 65% con lo sviluppo della seconda generazione di sistemi contenenti ferro come elemento redox e a circa il 75% con lo sviluppo della terza generazione di catalizzatori multicomponente. L’attuale quarta generazione di catalizzatori, contenenti fino a 25 elementi, permette di ottenere rese oltre l’80%. Lo sviluppo di nuovi catalizzatori ha comportato un’analoga evoluzione nel tipo di reattori catalitici utilizzati, inizialmente a letto fisso, poi a letto fluido ‘bollente’ e infine a letto fluido ‘frenato’. Nel periodo 1990-2005 lo sviluppo e l’innovazione nel settore sono invece derivati dalla crescente attenzione verso i problemi ambientali e di sicurezza, sebbene nell’ultimo decennio l’introduzione di nuovi processi sia stata fortemente condizionata dalla riduzione degli investimenti nella petrolchimica, derivante dalla ristrutturazione di tutte le industrie del settore. Nel seguito sono riassunte le principali direttrici di sviluppo in quest’ultimo periodo (Centi e Perathoner, 2003b). Utilizzo di nuove materie prime e di agenti ossidanti alternativi. È stato progressivamente esteso l’utilizzo di alcani come materia prima, al posto di aromatici e alcheni; per esempio, la sintesi di acrilonitrile da propano invece che da propilene e la sintesi di anidride maleica da n-butano invece che da benzene, al fine di ridurre i costi e/o migliorare l’ecosostenibilità del processo. Sono allo 617 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA tab. 1. Principali processi di ossidazione selettiva di idrocarburi utilizzanti catalizzatori solidi e tipici risultati ottenuti (Arpentinier et al., 2001; Centi et al., 2002) REAGENTE PRODOTTO PRINCIPALE TIPO DI CATALIZZATORI SELETTIVITÀ* (%) Metano/O2/NH3 HCN Rete di Pt-Rh 100 60-70 CH4 o (CH2)x /O2 Gas di sintesi (CO/H2) Rh o Ni supportati 99 90-95 Metanolo/aria Formaldeide Ag su a-Al2O3, oppure ossidi di Fe-Mo 97-99 91-98 92 Etilene/O2/acido acetico Vinilacetato Pd-Cu-K su a-Al2O3 8-12** Etilene/O2 Ossido di etilene Ag-K-Cl su a-Al2O3 13-18** 72-76 Etilene/aria o O2/HCl 1,2-dicloroetano Ossicloruri di Cu-Mg(K) su g-Al2O3 95 93-96 45-50** 94-96 Etanolo/O2 Acetaldeide Ag, Cu Propilene/aria Acroleina Ossidi supportati di Bi-Mo-Fe-Co-K 92-97 80-88 Ossidi supportati di Bi-Mo-Fe-Co-K 98-100 75-83 Propilene/aria/NH3 Acrilonitrile Acroleina/aria Acido acrilico Ossidi di V-Mo-W 95 90-95 n-butano/aria Anidride maleica Ossidi di V-P 75-80 67-72 n-butano/aria Buteni/butadiene Ossidi di Bi-Mo-P 55-65 93-95 Alcol t-butilico Metacroleina Ossidi di Bi-Mo-Fe-Co-K 99 85-90 Isobutene/aria Metacroleina Ossidi di Bi-Mo-Fe-Co-K 97 85-90 Metacroleina/aria Acido metacrilico Ossidi di V-Mo-W 97-99 95-98 Benzene/aria Anidride maleica Ossidi di V-Mo 98 75 o-xilene/aria Anidride ftalica Ossidi di V-P-Cs-Sb su TiO2 98-100 81-87 Naftalene/aria Anidride ftalica Ossidi di V-K su SiO2 100 84 * ** Conversione dei reagenti e selettività dei prodotti rispetto all’idrocarburo Nei processi che operano con riciclo del reagente non convertito la conversione è per singolo passaggio studio nuovi processi che utilizzano ossidanti alternativi, ad esempio per la sintesi diretta di fenolo da benzene (invece del processo multistadio da benzene con cumene intermedio), con N2O come agente ossidante invece di O2, per ridurre la complessità e i rischi del processo, evitare la coproduzione di acetone e utilizzare un sottoprodotto quale N2O (riducendo anche i costi per il suo smaltimento). Sviluppo di nuove classi di catalizzatori e processi. I processi che utilizzano catalizzatori solidi (eterogenei) stanno progressivamente sostituendo quelli di tipo omogeneo, per ridurre i costi di separazione e l’impatto ambientale e/o utilizzare nuove materie prime, per esempio nella sintesi diretta di acido acetico da etano. I processi di deidrogenazione ossidativa di alcani sono sempre 618 CONVERSIONE* (%) più competitivi rispetto a quelli di deidrogenazione di alcheni. Sono allo studio anche processi che permettono di ridurre o eliminare la formazione di coprodotti e/o la formazione di intermedi tossici o pericolosi; un esempio è la sintesi di acido metacrilico mediante ossidazione diretta di isobutano, come alternativa al processo commerciale aceton-cianidrina, che utilizza HCN come reagente e coproduce ammonio solfato. Conversione dei processi basati sull’utilizzo di aria in processi basati sull’alimentazione di ossigeno puro. Tali processi consentono di ridurre le emissioni inquinanti; ne sono esempi la sintesi della formaldeide da metanolo, l’epossidazione dell’etilene e l’ossiclorurazione dell’etilene a 1,2-dicloroetano. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE Miglioramento della produttività dei processi. È dovuto allo sviluppo di nuove generazioni di catalizzatori con proprietà migliorate e/o al miglioramento dell’ingegneria dei reattori (per esempio, l’introduzione di un reattore monolitico nella sintesi della formaldeide, o di reattori a letto strutturato nella sintesi dell’anidride ftalica). Inoltre, nel periodo 2000-05 è cresciuto notevolmente l’interesse per lo sviluppo di nuove tecnologie reattoristiche (quale per esempio quella dei reattori a membrana), che permettono una buona economia di processo anche per produzioni medio-piccole (scale-down dei processi; Centi e Perathoner, 2003a), al fine di delocalizzare la produzione e ridurne l’impatto ambientale, in opposizione alla tendenza tipica del 20° secolo di migliorare l’economia dei processi attraverso l’aumento di scala e l’integrazione spinta in grandi siti petrolchimici. Ciò a causa dell’elevato impatto ambientale e della forte opposizione sociale verso quest’ultima soluzione, oltre che per problemi legati allo scarso adattamento a un mercato con forti fluttuazioni nella domanda. I processi di ossidazione catalitica selettiva possono essere divisi in tre classi. La prima riguarda l’ossidazione di molecole inorganiche (per esempio, l’ossidazione dell’ammoniaca a NO e di H2S a zolfo). La seconda classe riguarda la sintesi di prodotti chimici di base (per esempio, l’ammonossidazione del metano a HCN o l’ossidazione parziale del metano a gas di sintesi; miscele CO/H2). La terza classe infine riguarda la conversione di idrocarburi attraverso processi in fase liquida (principalmente in fase omogenea, anche se è crescente l’interesse verso quelli utilizzanti catalizzatori eterogenei) e processi in fase vapore, i più applicati industrialmente (v. ancora tab. 1). Occorre rilevare che questa ultima classe di processi utilizza aria od O2 come ossidanti (a parte il citato processo di idrossilazione diretta del benzene a fenolo con N2O), mentre nei processi in fase liquida, oltre a O2, si utilizzano estensivamente anche altri agenti ossidanti quali alchilperossidi e H2O2 (Centi e Perathoner, 2003b). Le differenti classi di processi di ossidazione selettiva in fase vapore (su catalizzatori solidi) e le relative principali reazioni industriali sono riassunte nella tab. 2 (Arpentinier et al., 2001; Centi et al., 2002). Alcune importanti classi di reazioni, non incluse nella tabella in quanto non ancora commerciali, sono: la deidrogenazione ossidativa di alcani C2-C5 alle corrispondenti olefine; l’ossidazione selettiva di alcani quali la sintesi di anidride ftalica e maleica da n-pentano, di acido acrilico da propano e di metacroleina o acido metacrilico da isobutano; l’ammonossidazione del propano ad acrilonitrile. I catalizzatori utilizzati per queste reazioni possono essere classificati in base al meccanismo di reazione che li caratterizza. Ossidazione allilica. Per questa reazione sono utilizzati catalizzatori a base di ossidi misti di metalli di VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA transizione, capaci di estrarre selettivamente un atomo di idrogeno rompendo un legame CH in posizione allilica ed eventualmente inserendo un atomo di ossigeno nella stessa posizione. I catalizzatori industriali sono generalmente multicomponente (per esempio, gli ossidi di Bi-Mo, utilizzati nella sintesi dell’acrilonitrile da propilene, contengono vari promotori quali Fe, Cu, W, Te, Sb, K), ma tipicamente si può identificare una fase principale (Bi-molibdato) capace di catalizzare differenti reazioni, quali: la sintesi di acroleina da propilene, l’ammonossidazione di propilene ad acrilonitrile, la dimerizzazione di propilene a cicloesene e la deidrogenazione ossidativa di buteni a butadiene. Queste reazioni sono caratterizzate da un primo stadio comune di ossidazione allilica (fig. 1), ove l’estrazione di un atomo di idrogeno in posizione allilica dà luogo a un complesso p-allilico chemiadsorbito sul metallo di transizione. La natura degli stadi successivi determina il tipo di reazione e di prodotto che si ottiene. L’ossidazione e l’ammonossidazione in catena laterale di alchilaromatici (per esempio, l’ossidazione del toluene a benzaldeide o benzonitrile, rispettivamente) segue in linea di principio un meccanismo di reazione analogo, ma l’interazione dell’anello aromatico con la superficie è differente e quindi si utilizzano differenti tipi di catalizzatori, come ossidi di vanadio supportati su TiO2 o catalizzatori a base di molibdati di Fe-(V, P, K). Ossidazione nucleofila al gruppo CO (deidrogenazione ossidativa di alcoli e ossidazione di aldeidi ad acidi). Sebbene questo tipo di reazione abbia analogie con il meccanismo descritto in precedenza, esistono vari tipi di substrati quali alcoli (metanolo) o aldeidi (acroleina o metacroleina) che interagiscono troppo fortemente con la superficie del catalizzatore quando vengono utilizzati catalizzatori che appartengono alla prima classe. Nella conversione del metanolo in formaldeide, il catalizzatore più utilizzato a livello industriale è il molibdato di ferro (contenente anche altri componenti in piccola quantità), mentre catalizzatori multicomponente, a base di ossidi di Mo-V o di eteropoliacidi di P-Mo-V, sono utilizzati per la conversione delle aldeidi nei corrispondenti acidi. Inserzione elettrofila di un atomo di ossigeno. I catalizzatori per questa classe di reazione sono altamente specifici. Esempi sono i sistemi a base di Ag/a-Al2O3 per la sintesi di ossido di etilene da etilene (questo catalizzatore, per esempio, quando applicato alla sintesi dell’ossido di propilene da propilene non è selettivo) e Fe/ZSM-5 per l’idrossilazione del fenolo con N2O come ossidante. Ossidazione (o ammonossidazione) di alcani. In questo caso, lo stadio lento è l’attivazione iniziale selettiva dell’alcano, per esempio per estrazione concertata di un atomo di idrogeno da parte di un sito superficiale di Lewis (un metallo di transizione) e di un secondo atomo di 619 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA H H C H C H C H H H C C H C O C H C H H Me H Me O Me O Me O O H H H Me H C Me O H Me O Me O vacanza anionica H H O O Bi OH O Mo O O Bi O OH O Mo O O Bi O O Mo O O complesso p-allilico fig. 1. Schema generale di meccanismo di ossidazione allilica ed esempio nel caso dell’ossidazione del propilene su molibdato di bismuto per ottenere acroleina. idrogeno da parte di un sito basico (atomi di ossigeno) per dare un alchene, che immediatamente viene convertito a prodotti ossigenati mediante meccanismi di ossidazione o ammonossidazione allilica. A causa della debole interazione del substrato con la superficie e del meccanismo di attivazione, sono necessari catalizzatori con proprietà differenti da quelle dei catalizzatori appartenenti alla prima classe di reazioni. Sono utilizzati, per esempio, catalizzatori a base di pirofosfato di vanadile per l’ossidazione del n-butano ad anidride maleica, o a base di vanadio antimoniati per l’ammonossidazione di propano. In quest’ultimo caso, l’ossido di antimonio è attivo nell’ammonossidazione di propilene, ma non è in grado di attivare la molecola di propano; tab. 2. Differenti classi di processi di ossidazione selettiva in fase vapore (su catalizzatori solidi) e relative principali reazioni industriali (Arpentinier et al., 2001; Centi et al., 2002) TIPO DI REAZIONE 620 ESEMPI Ossidazione allilica – propilene ad acroleina o acido acrilico – isobutene a metacroleina o acido metacrilico La sintesi degli acidi può essere effettuata in un unico stadio dall’alchene, ma commercialmente si preferisce utilizzare due stadi per le migliori selettività possibili Deidrogenazione ossidativa – buteni a butadiene e isopentene a isoprene – metanolo a formaldeide – acido isobutirrico ad acido metacrilico Inserzione di tipo elettrofilo di un atomo di ossigeno – epossidazione dell’etilene a ossido di etilene con O2 – sintesi diretta di fenolo da benzene con N2O Acetossilazione – sintesi dell’acetato di vinile da etilene e acido acetico Ossiclorurazione – sintesi dell’1,2-dicloroetano da etilene e HCl in presenza di O2 Ammonossidazione – propilene ad acrilonitrile – isobutene a metacrilonitrile – a-metilstirene ad atroponitrile Sintesi di anidridi – n-butano ad anidride maleica – o-xilene ad anidride ftalica ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE l’addizione di V conferisce al sistema la capacità di ossidare l’alcano. Meccanismo di ossidazione tipo Wacker. L’acetato di vinile è prodotto per acetossilazione dell’etilene con acido acetico in presenza di ossigeno, con catalizzatori a base di Pd/Au supportati. Il Pd supportato su V2O5/Al2O3 o V2O5/TiO2 è selettivo nella sintesi in fase vapore di acetaldeide da etilene o di metiletilchetone da 1-butene, con un meccanismo di reazione analogo. Ossiclorurazione. 1,2-dicloroetano è prodotto commercialmente da etilene, HCl e O2 su catalizzatori a base di cloruro di rame supportato. Il meccanismo consiste in un’addizione diretta di atomi di cloro da parte del catalizzatore sull’olefina, piuttosto che in un’ossidazione di HCl a cloro molecolare, seguita da clorurazione del doppio legame. Addizione di ossigeno al nucleo aromatico, con apertura dell’anello. L’attacco elettrofilo di ossigeno a substrati idrocarburici porta tipicamente alla formazione di ossidi di carbonio, ma nel caso dell’ossidazione del benzene si ottiene invece ossidazione selettiva ad anidride maleica. Questo processo, che utilizza catalizzatori a base di ossidi misti di vanadio e molibdeno, è stato in parte soppiantato dalla sintesi mediante ossidazione di n-butano. Catalizzatori analoghi sono utilizzati nell’ossidazione selettiva di composti poliaromatici. Meccanismi di ossidazione non classici. L’etilbenzene può essere deidrogenato ossidativamente con alta selettività a stirene su vari catalizzatori quali ossidi e fosfati, ma la fase attiva è costituita dalla formazione di un sottile superficiale di carbone contenente siti attivi nella reazione. Recentemente anche alcuni tipi di carbone e nanotubi di carbonio hanno mostrato elevate selettività nella deidrogenazione ossidativa dell’etilbenzene a stirene. Un altro esempio è l’ammossimazione del cicloesanone (a cicloesanonossima) su silice amorfa. Caratteristiche dei processi di ossidazione in fase vapore nel meccanismo di riossidazione del catalizzatore ridotto, noto come meccanismo di Mars-van Krevelen (fig. 2). L’ossidazione del catalizzatore da parte di O2 avviene attraverso la formazione di specie di ossigeno inter medie quali O 2 e O , che hanno caratteristiche di elettrofilicità e tendono a dare addizione a molecole insature, con rottura dei doppi legami e formazione finale di ossidi di carbonio; al contrario, l’ossigeno strutturale del catalizzatore (O2) ha caratteristiche nucleofile (fig. 3). Pertanto, per essere selettivo un catalizzatore deve non solo possedere i siti di attivazione dell’idrocarburo e di inserzione selettiva dell’ossigeno sul substrato, ma deve anche essere velocemente riossidabile, in modo da evitare che le specie non selettive di ossigeno chemiadsorbito H2O catalizzatore ossidato O2 VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA M1n idrocarburo catalizzatore ridotto ossido (catalizzatore) fig. 2. Meccanismo di Mars-van Krevelen di ossidazione selettiva di idrocarburi su catalizzatori a base di ossidi. O2 O2 M(n1) Mn O2 O2 Mn O22 O O2 O2 O2 Mn O 2 O2 O2 O2 M(n1) Mn O2 A specie elettrofile di ossigeno (O 2 , O , ...) Aspetti generali Sebbene nell’industria petrolchimica siano utilizzati processi di ossidazione selettiva sia in fase vapore sia in fase liquida, quelli in fase vapore sono i più diffusi. Si impiega tipicamente ossigeno (o aria) come agente ossidante, sebbene le specie coinvolte nella reazione di ossidazione selettiva non siano solitamente costituite da ossigeno adsorbito sul catalizzatore, quanto piuttosto dall’ossigeno strutturale del catalizzatore (tipicamente ossidi misti, v. ancora tab. 1). Lo ione ossigeno O2rimuove gli atomi di idrogeno dall’idrocarburo con conseguente formazione di acqua oppure, inserito sulla molecola di reagente, dà luogo alla formazione di composti ossigenati (v. ancora fig. 1). L’ossigeno gassoso interviene invece M2m prodotto ossidato prodotto con rottura del legame C C e formazione di COx C attivazione O2 B specie nucleofile di ossigeno (O2) C C C H prodotti di ossidazione selettiva (per es. aldeidi) fig. 3. A, meccanismo schematico di incorporazione di ossigeno in catalizzatori a base di ossidi; B, schema del differente tipo di attacco sull’idrocarburo da parte di specie nucleofile ed elettrofile di ossigeno (Centi et al., 2002). 621 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA abbiano tempi di vita sufficientemente lunghi da dare luogo a reazioni di combustione. Questo meccanismo è generalmente accettato per l’ossidazione di alcheni su ossidi misti, ma esistono dubbi sulla sua validità nel caso dell’ossidazione di substrati diversi, quali alcani. Una caratteristica generale dei processi di ossidazione selettiva di idrocarburi è rappresentata dalla complessità delle reazioni coinvolte. Per esempio, l’ossidazione del n-butano ad anidride maleica è una reazione che coinvolge 14 elettroni, la rimozione di 8 atomi di idrogeno e l’inserzione di 3 atomi di ossigeno nel substrato, con il coinvolgimento di altri 4 atomi di ossigeno del catalizzatore per formare 4 molecole d’acqua. Nonostante la complessità della trasformazione, la reazione avviene senza formazione di prodotti con grado di ossidazione intermedio; si ottengono selettività comprese tra il 70 e l’85%, in funzione delle condizioni di reazione. Il catalizzatore, costituito da un ossido misto di V e P con composizione (VO)2P2O7, possiede quindi caratteristiche tali da evitare sia il desorbimento degli intermedi di reazione, sia la trasformazione non selettiva di questi in ossidi di carbonio. Infine, un’ulteriore caratteristica dei catalizzatori di ossidazione selettiva è la multifunzionalità, necessaria per la trasformazione dell’idrocarburo nel prodotto finale; infatti, per realizzare il complesso meccanismo sopra indicato, è necessario che il catalizzatore sia in grado di attuare diversi tipi di trasformazioni sul substrato (Arpentinier et al., 2001). Inoltre, è necessario che i diversi stadi coinvolti nella trasformazione abbiano velocità tra loro confrontabili. Velocità relative diverse potrebbero portare al desorbimento dei prodotti intermedi o all’aumento della velocità di reazioni parallele, con diminuzione della selettività al prodotto desiderato. Questo viene ben esemplificato dall’ossidazione selettiva di n-butano (fig. 4). Progettazione accoppiata del catalizzatore e del reattore L’ottimizzazione di resa, produttività e selettività nelle reazioni di ossidazione selettiva richiede non solo una conoscenza dettagliata della natura del catalizzatore e del meccanismo di interazione di reagenti e prodotti con il catalizzatore stesso, ma anche l’ottimizzazione del reattore utilizzato. Recentemente nuove soluzione reattoristiche (che prevedono, per esempio, la separazione dei due stadi di interazione del catalizzatore con idrocarburo e con ossigeno) hanno portato allo sviluppo di nuove classi di catalizzatori; i due aspetti (sviluppo del catalizzatore e ingegneria del reattore) sono quindi strettamente correlati. I reattori industriali utilizzati nell’industria petrolchimica per reazioni fortemente esotermiche, quali quelle di ossidazione selettiva, sono tipicamente a letto fisso multitubolare o a letto fluido. Tuttavia, vi è un interesse crescente verso lo sviluppo di nuove soluzioni reattoristiche, 622 n-butano COx, H2O eliminazione concertata di 2 atomi di idrogeno buteni ⫹ isomerizzazione estrazione di H allilico butadiene inserzione 1,4 di ossigeno diidrofurano O 5 H, 2-furanone furano O O O in fase adsorbita (sul catalizzatore) anidride maleica O O deidrogenazione allilica e/o inserzione allilica di ossigeno inserzione di ossigeno O fig. 4. Schema del meccanismo di reazione nell’ossidazione selettiva di n-butano ad anidride maleica su catalizzatori a base di (VO)2P2O7, con indicazione del carattere multifunzionale del catalizzatore. quale per esempio il reattore a letto fluido circolante, recentemente applicato dalla DuPont per la sintesi di anidride maleica da n-butano. Il ‘disaccoppiamento’ delle due reazioni redox, di ossidazione dell’idrocarburo da parte del catalizzatore e di riossidazione di quest’ultimo da parte dell’ossigeno (v. ancora fig. 2), permette un aumento della selettività ad anidride maleica rispetto alla reazione condotta in presenza contemporanea di idrocarburo e di ossigeno. Ulteriori vantaggi di questo tipo di reattore sono l’isotermicità e la diminuzione dei rischi di esplosione. Tuttavia, il limite è costituito dalla bassa produttività; è necessario infatti far circolare tra i due reattori, ciascuno adibito a uno dei due stadi della reazione, elevate quantità del catalizzatore, pari a circa 1 kg per g di anidride maleica prodotta. Un altro esempio di nuova configurazione reattoristica, adottata per processi petrolchimici, è costituito dai reattori di tipo monolitico; essi uniscono i vantaggi della possibilità di conduzione autotermica della reazione e di una ridotta perdita di carico. Le nuove generazioni di processi per ossidazione di metanolo a formaldeide utilizzano uno stadio finale adiabatico (post-reattore), con il catalizzatore strutturato in forma di monolito. Risultati molto interessanti sono stati ottenuti con reattori a bassissimo tempo di contatto (dell’ordine dei millisecondi, rispetto a tempi di secondi nei reattori convenzionali), ove anche la configurazione del catalizzatore è di tipo non convenzionale (per esempio, in forma di reti). Date le alte velocità spaziali utilizzate (cioè gli elevati rapporti tra la portata dei reagenti e la quantità dei catalizzatori) e il tipo di meccanismo coinvolto, è ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE possibile evitare le ossidazioni successive e ottenere quindi elevate selettività nei prodotti intermedi (per esempio, nella deidrogenazione ossidativa di alcani ad alcheni). Infine, occorre ricordare gli sviluppi nel settore dei reattori a membrana catalitica, ove è possibile la rimozione continua di uno dei prodotti o l’addizione differenziata lungo il letto catalitico di uno dei reagenti (per esempio, ossigeno). Ciò permette di mantenere un rapporto ottimale idrocarburo/O2 lungo tutto il profilo, di limitare la formazione di punti caldi e di controllare lo stato di ossidazione del catalizzatore. Tuttavia, uno dei limiti attuali è la bassa produttività, oltre al costo elevato delle membrane stesse. Anche i reattori convenzionali a letto fisso possono essere migliorati con una maggiore integrazione tra la progettazione del catalizzatore e quella del reattore. Nel processo di sintesi dell’anidride ftalica da o-xilene vengono usati letti catalitici differenziati, contenenti cioè diversi strati di catalizzatore con composizione differente tra loro, in modo da ottimizzare il profilo assiale di attività e selettività del catalizzatore stesso. Una nuova tecnica reattoristica in fase di sviluppo è costituita dai sistemi con inversione periodica del flusso; ciò permette di rendere più uniforme il profilo di attività e temperatura nel reattore, pur se persistono alcuni importanti problemi, costituiti dalla difficoltà di gestione delle operazioni non stazionarie e dalla loro potenziale pericolosità. Anche in questo caso, la progettazione del catalizzatore è differente da quella per operazioni in condizioni stazionarie. Utilizzo di aria o di ossigeno puro come agenti ossidanti L’aria è attualmente il reagente più utilizzato nei processi di ossidazione in fase vapore, ma è crescente l’interesse per l’utilizzo di O2 puro, al fine di aumentare la produttività e ridurre le emissioni inquinanti e i consumi energetici. Nella tab. 3 è illustrato un esempio delle emissioni nel processo di ossiclorurazione dell’etilene, nei casi di utilizzo di aria o di ossigeno come reagente ossidante. Si può notare la significativa diminuzione dell’impatto ambientale nel secondo tipo di processo. I seguenti processi in fase vapore utilizzano O2 puro, oppure aria arricchita con ossigeno, in alternativa all’aria: a) ossidazione parziale (a gas di sintesi) di frazioni pesanti ottenute dalla distillazione del petrolio; b) ossidazione del metanolo a formaldeide (aria o aria arricchita); c) ossidazione dell’etilene a ossido di etilene (aria od ossigeno, quest’ultimo in particolare per i nuovi impianti); d) ossiclorurazione dell’etilene a 1,2-dicloroetano (aria oppure ossigeno, quest’ultimo in particolare per i nuovi impianti); e) acetossilazione dell’etilene a vinilacetato (ossigeno); f ) ossidazione del n-butano ad acido acetico (aria od ossigeno); g) ossidazione dell’etilene ad acetaldeide (aria od ossigeno); h) ossidazione dell’acetaldeide ad anidride acetica (aria od ossigeno); i) ammonossidazione del propilene ad acrilonitrile (aria arricchita con ossigeno). Catalizzatori di ossidazione selettiva di idrocarburi Caratteristiche dei catalizzatori di ossidazione I catalizzatori di ossidazione appartengono alla classe più ampia dei materiali aventi caratteristiche di tipo redox, od ossidoriduttive; a tale classe appartengono anche i sistemi che catalizzano reazioni di idrogenazione, deidrogenazione, alogenazione e dealogenazione. Nella tab. 1 sono elencati i più importanti catalizzatori di ossidazione di idrocarburi nel campo della petrolchimica per processi realizzati in fase gas. In aggiunta a questi, è utile menzionare i catalizzatori per ossidazione di composti inorganici, quali quelli per tab. 3. Composizione delle emissioni nel processo di ossiclorurazione dell’etilene nei casi di utilizzo di aria od ossigeno (Arpentinier et al., 2001). DCE: 1,2-dicloroetano; VCM: cloruro di vinile monomero Processo utilizzante aria Componente Processo utilizzante O2 Contenuto (vol%); flusso (m3/h) O2+Ar 4-8; 400-2.400 0,1-2,5; 25 Etilene 0,1-0,8; 10-24 2-5; 50 COx (CO2/CO3-4/1) 1-3; 100-900 15-30; 300 DCE e composti clorurati 0,02-0,2; 2-60 0,5-1; 10 resto resto 10.000-30.000 1.000 N2 Spurgo (m3/h)* *Approssimativamente 300-900 m3 per t di VCM prodotto VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA 623 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA ossidazione di SO2 a SO3 (a base di ossido di vanadio supportato), di ammoniaca a NO (a base di Pt/Rh) e di cloruro di idrogeno a cloro molecolare (a base di cloruro di rame supportato). Nel seguito sono elencate le caratteristiche principali dei catalizzatori di ossidazione per reazioni in fase gassosa. Presenza di un metallo di transizione come componente attivo principale (V, Mo, Cu, Fe, Pd, Pt, Rh, Ag). In questi casi, è spesso presente anche un secondo elemento, che può essere di transizione oppure di post-transizione (per esempio, P, Sb o Bi), il quale contribuisce a determinare le caratteristiche di reattività del catalizzatore. Questo effetto si può esplicare attraverso la formazione di un ‘ossido misto’ (ovvero un composto specifico, quale per esempio Bi2Mo2O9, eventualmente solo sulla superficie di un altro ossido, di una soluzione solida oppure di un ossido drogato dall’altro elemento), con caratteristiche di reattività differenti da quelle dei singoli elementi, se presenti in fasi distinte. In taluni casi, l’elemento è inizialmente presente nella forma metallica, ma in ambiente di reazione può generare il corrispondente ossido (oppure cloruro od ossicloruro). Presenza di piccole quantità di elementi ‘promotori’ (o ‘droganti’). Questi elementi hanno lo scopo di ottimizzare le prestazioni degli elementi attivi principali. I promotori possono essere di varia natura e giocare quindi ruoli diversi nella trasformazione dei reagenti. Gli elementi attivi e gli elementi promotori, costituiscono la fase attiva, cioè la fase direttamente coinvolta nella trasformazione dei reagenti a prodotti. Presenza di un supporto (solitamente silice, allumina o titania). Tale supporto nella formulazione del catalizzatore può avere diversi compiti. Un primo compito è quello di disperdere gli elementi attivi, conferendo alla fase attiva un’area superficiale più elevata rispetto a quella che avrebbe in assenza del supporto. È pertanto chiaro che il supporto deve avere caratteristiche dell’area superficiale idonee per la reazione di interesse. Nelle ossidazioni selettive, ove la selettività nella formazione del prodotto di ossidazione parziale dipende significativamente dalle reazioni consecutive a prodotti non desiderati (per esempio ossidi di carbonio, che sono termodinamicamente favoriti), è necessario un supporto con area superficiale non eccessivamente elevata. In questo modo si limita la velocità delle reazioni indesiderate secondarie, che dipendono anche dal tempo necessario al prodotto per retrodiffondere dal centro attivo alla fase gassosa. Un ulteriore compito del supporto è quello di conferire resistenza alla fase attiva nei confronti di fenomeni abrasivi o di sgretolamento, soprattutto per quelle applicazioni che implicano particolari sollecitazioni meccaniche sul catalizzatore (per esempio, in reattori a letto fluidizzato), oltre a evitare fenomeni di spolveramento durante il carico del catalizzatore in reattori a letti fissi 624 impaccati. Infine, in taluni casi il supporto serve per alterare le caratteristiche di reattività chimica intrinseca della fase attiva, tramite effetti di interazione tra questa e il supporto stesso. Questo avviene quando il supporto presenta dei gruppi funzionali alla sua superficie, in grado di dare luogo a legami chimici con gli elementi della fase attiva, oppure si verifica in conseguenza di particolari similitudini cristallografiche tra la superficie e il supporto. Questi effetti di interazione possono risultare positivi per la reattività del catalizzatore stesso, alterandone le caratteristiche di ossidoriducibilità o diminuendone la volatilità; vengono così rallentati i fenomeni indesiderati di perdita dei componenti della fase attiva per sublimazione. La combinazione opportuna tra tipo e quantità di fase attiva (inclusi i promotori) e tipo di supporto è funzione delle caratteristiche della reazione e del tipo di reattori utilizzati. In particolare, sono di seguito citati i fattori che maggiormente condizionano la formulazione e la morfologia del catalizzatore nelle reazioni di ossidazione. Tipo di trasformazione chimica coinvolta e meccanismo attraverso cui si esplica. Più complessa è la trasformazione, più articolata diventa la composizione del catalizzatore, in termini di numero di elementi che costituiscono la fase attiva, o di complessità strutturale (formazione di fasi cristalline aventi caratteristiche di multifunzionalità). Per esempio, catalizzatori per ossidazione o ammonossidazione allilica contengono sempre Mo come elemento principale per la fase attiva, mentre catalizzatori per la sintesi di anidridi o di acidi contengono quasi sempre V. Ottimizzazione delle caratteristiche redox o delle proprietà acide o basiche del catalizzatore. I promotori (o droganti) possono giocare un ruolo fondamentale nel controllo di queste proprietà. Promotori con caratteristiche basiche (ossidi di metalli alcalini o alcalino-terrosi) possono diminuire l’acidità superficiale della fase attiva, con conseguente miglioramento della selettività tramite la soppressione delle reazioni acido-catalizzate (cracking, formazione di oligomeri di composti insaturi). Promotori con caratteristiche di tipo acido possono diminuire l’interazione tra la fase attiva e intermedi di reazione con caratteristiche di tipo acido, favorendone il desorbimento in fase gassosa e limitando il contributo delle reazioni consecutive indesiderate. Altri promotori possono ottimizzare le proprietà ossidoriduttive della fase attiva, tramite una modificazione delle proprietà elettroniche collettive del solido. Schema della reazione. La presenza di reazioni consecutive (tipicamente, reazioni di combustione del prodotto desiderato, oppure reazioni che portano dal reagente al prodotto desiderato attraverso la formazione di prodotti intermedi con stato di ossidazione via via crescente) implica l’utilizzazione di un catalizzatore con caratteristiche tali da limitare (o, al contrario, favorire) ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE il contributo di tali reazioni. Questo può essere realizzato non solo mediante un controllo dell’attività intrinseca del catalizzatore, ma anche attraverso una modulazione della porosità della fase attiva (e quindi del supporto, se presente). Un valore elevato di area superficiale e di porosità implica tempi di residenza intraparticellari effettivi ben superiori a quelli calcolabili dalla portata di alimentazione al reattore, e quindi un contributo importante delle reazioni consecutive a parità di conversione del reagente. Ciò può influenzare considerevolmente la selettività al prodotto desiderato. Tenore termico della reazione. Reazioni fortemente esotermiche implicano la necessità di reattori catalitici a letto fluidizzato, più efficienti nella rimozione del calore rispetto ai reattori multitubolari, e quindi di catalizzatori atti a operare in condizioni di forti sollecitazioni meccaniche. In questi casi vengono utilizzati supporti fluidizzabili, caratterizzati cioè da particelle aventi diametro medio compreso tra 50 e 150 mm, resistenza all’abrasione e densità opportuna. Per tenori termici mediobassi, possono essere utilizzati reattori tubolari o a fascio tubiero (multitubolari). In questo caso i catalizzatori hanno morfologia caratteristica per queste applicazioni e vengono realizzati in forma di estrusi (o pellet). Quando possibile, vengono utilizzati supporti a elevata conducibilità termica, quale SiC, per favorire la dissipazione del calore di reazione. Velocità spaziale nel reattore. Elevate velocità spaziali in letti catalitici impaccati possono portare a elevate perdite di carico, e quindi alla necessità di onerose compressioni della corrente a monte del reattore. È possibile minimizzare la perdita di carico aumentando il grado di vuoto del letto catalitico, mediante l’utilizzazione di particolari conformazioni delle particelle del catalizzatore. Questo aspetto può risultare determinante nel condizionare le prestazioni del processo, come nella deidrogenazione ossidativa di metanolo a formaldeide. In questo caso, l’utilizzazione di pellet cilindrici con foro assiale permette di diminuire le perdite di carico e quindi di aumentare, a parità di portata di alimentazione, la velocità lineare nel reattore. Questo implica tempi di contatto minori, miglior controllo della temperatura di reazione e minori effetti di disattivazione del catalizzatore. Meccanismi della catalisi di ossidazione in fase gassosa I principali meccanismi dell’ossidazione catalitica sono elencati nella tab. 2. Il meccanismo di tipo redox è quello coinvolto nella maggior parte delle reazioni di ossidazione. Esso si esplica attraverso una serie di stadi successivi, che includono: l’adsorbimento del reagente (il substrato da ossidare) sul centro attivo; il trasferimento di elettroni dal reagente al centro attivo e il contemporaneo trasferimento di ioni ossigeno da questo al reagente (l’ossigeno viene incorporato nel substrato, VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA o in alternativa rientra nella formazione del coprodotto acqua); infine il desorbimento del prodotto. La medesima successione di stadi coinvolge la molecola di ossigeno per lo stadio di riossidazione del catalizzatore: coordinazione al centro metallico; trasferimento di elettroni (fino a 4 per ogni molecola di ossigeno); dissociazione della molecola in due specie atomiche in forma ionica; infine incorporazione dell’ossigeno nella sua forma ionica all’interno della fase attiva. Potranno essere coinvolti uno o più centri attivi per ogni molecola di reagente, in funzione dei seguenti fattori: a) numero complessivo di elettroni trasferiti e quindi di ioni ossigeno coinvolti nel processo ossidoriduttivo; b) proprietà di conducibilità ionica ed elettronica del solido, e quindi della fase attiva superficiale, nelle condizioni di reazione; c) grado di copertura della fase attiva da parte di molecole adsorbite (reagenti e prodotti); d) mobilità superficiale degli intermedi di reazione; e) numero di centri attivi prossimi a quello in corrispondenza del quale è avvenuta l’attivazione dell’idrocarburo. Sulla base del modello redox, la selettività del processo, cioè il rapporto tra la quantità di prodotto formato e la quantità totale di reagente trasformato, può essere ricondotta a due differenti situazioni. Innanzitutto la selettività dipende dalla natura degli ioni ossigeno presenti come specie adsorbite sulla fase attiva e dall’interazione tra queste e il reagente o gli intermedi di reazione. Come detto precedentemente, la specie O2, incorporata nel reticolo dell’ossido, è considerata la specie selettiva, mentre le specie O2 e O hanno caratteristiche elettrofile e sono considerate specie non selettive. Poiché la formazione della prima specie avviene attraverso la formazione intermedia di quelle elettrofile, è chiaro che la velocità di trasformazione di ciascuna di esse e la loro reattività nei confronti degli intermedi di reazione ottenuti per attivazione del substrato determinano la selettività del processo (Bielanski e Haber, 1991). La selettività del processo di ossidazione è inoltre riconducibile alla concentrazione di specie O2 incorporate nel reticolo dell’ossido metallico, e quindi in definitiva allo stato di ossidazione medio del catalizzatore (Grasselli, 2002). Un catalizzatore fortemente ossidato possiede un’elevata densità di centri attivi in grado di ricevere elettroni dal substrato e di cedere ioni O2, e quindi è in grado di trasformare quel substrato in molecole con elevato stato di ossidazione (per esempio, in prodotti di combustione). Al contrario, un catalizzatore costituito da un ossido parzialmente ridotto possiede una capacità ossidante discreta, e quindi è potenzialmente più selettivo nei confronti dei prodotti di ossidazione parziale. Secondo il modello redox, lo stato di ossidazione di un ossido metallico in condizioni stazionarie è funzione delle condizioni di reazione; ciò implica che la selettività è a sua volta funzione di parametri operativi, quali la composizione dell’alimentazione (cioè il 625 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA rapporto tra il substrato da ossidare e l’agente ossidante) o la temperatura di reazione. Entrambi i modelli hanno avuto riscontri sperimentali per diverse reazioni di ossidazione, e rimangono ancora oggi validi per spiegare le selettività dei processi di ossidazione in cui sono coinvolte reazioni con meccanismo di tipo redox. Principali processi industriali e casi rilevanti Deidrogenazione ossidativa del metanolo a formaldeide Tra i primi venti composti chimici prodotti su scala mondiale, la formaldeide (HCHO) è utilizzata nella sintesi di varie resine (urea-formaldeide, fenolo-formaldeide, poliacetali) che trovano applicazione nei settori delle costruzioni, automobilistico, dell’industria tessile e della carta. Il metanolo può essere convertito in formaldeide sia per deidrogenazione ossidativa diretta: CH3OH0,5O2 HCHOH2O ∆H°=155 kJ/mol sia per deidrogenazione accoppiata a ossidazione dell’H2 prodotto: CH3OH HCHOH2 H20,5O2 H2O ∆H°= 84 kJ/mol ∆H°=238 kJ/mol I due processi differiscono per condizioni operative e tipo di catalizzatori. Nel primo processo si utilizzano basse concentrazioni di metanolo in alimentazione, per evitare la formazione di miscele esplosive e per controllare la temperatura di reazione. I catalizzatori commerciali sono a base di molibdato di ferro, ma contengono anche un eccesso di molibdeno (Fe2(MoO4)3MoO3), in quanto la presenza di ossido di molibdeno è condizione necessaria per un’elevata selettività. Si utilizza tipicamente un rapporto Mo/Fe compreso nell’intervallo 1,5-3,0; talvolta, vengono addizionati ossidi di Co e Cr come promotori. L’eccesso di molibdeno è necessario anche perché la sublimazione dell’ossido (soprattutto nei punti di maggiore surriscaldamento) causa il progressivo impoverimento di Mo nel catalizzatore e la condensazione di MoO3 nella parte più fredda del reattore. Ciò provoca non solo la disattivazione del catalizzatore, ma anche un progressivo aumento della perdita di carico. Le temperature di reazione sono tipicamente comprese nell’intervallo 310-340 °C, con conversioni superiori al 98% e selettività pari a 92-95%. Si utilizzano generalmente reattori multitubolari a letto fisso. Un recente sviluppo è rappresentato dall’introduzione di uno stadio finale (postreattore) adiabatico. Nella deidrogenazione accoppiata a combustione parziale dell’H2 (il processo globale risulta parzialmente esotermico) si alimenta una corrente sottostechiometrica in 626 ossigeno, per operare nella regione superiore ai limiti di infiammabilità. A causa dei limiti termodinamici della deidrogenazione, occorre operare a temperature di reazione superiori rispetto a quelle della deidrogenazione ossidativa. Si utilizzano catalizzatori a base di Ag supportato su allumina con bassa area superficiale, tipicamente nella forma di sfere con diametro di 1-5 mm. Se si opera a temperature superiori a 600 °C (in particolare 680720 °C), si può ottenere una conversione quasi completa del metanolo, mentre a temperature inferiori (500-550 °C) le conversioni sono minori (65-75%) e occorre effettuare il riciclo del metanolo che non ha reagito. Inoltre, è necessario utilizzare tempi di contatto brevi per evitare la decomposizione della formaldeide. Si ottengono selettività a formaldeide pari al 98-99%, con formazione dei seguenti sottoprodotti: dimetiletere ((CH3)2O), la cui formazione è dovuta alla presenza di siti acidi nel catalizzatore; metilformiato (HCOOCH3), ottenuto per disproporzionamento della formaldeide su siti basici; ossidi di carbonio, derivanti da reazioni sia parallele sia consecutive. Per limitare queste ultime è necessario un rapido raffreddamento dei prodotti di reazione all’uscita dal letto catalitico. Selettività elevate si conseguono tramite l’ottimizzazione delle proprietà acidobase del catalizzatore, la limitazione dell’ossidazione della formaldeide ad acido formico (prodotto che decompone facilmente) e il controllo delle proprietà redox del catalizzatore. La fig. 5 illustra il meccanismo di reazione nel caso dell’ossidazione diretta del metanolo su catalizzatori a base di ossidi. La specie metossi è la prima specie chemiadsorbita che si forma per contatto del metanolo con il catalizzatore; la sua successiva trasformazione dipende sia dalle condizioni di reazione sia dalle proprietà del catalizzatore. Se la concentrazione del metanolo è alta e la velocità di ossidazione consecutiva della specie metossi è bassa, avviene la reazione di condensazione che porta a dimetiletere (tipica degli ossidi acidi contenenti cationi non riducibili, quale allumina). L’ossidazione della specie metossi (estrazione di un atomo di H e trasferimento di un elettrone) porta a formaldeide coordinata, che è in equilibrio con la specie diossimetilene. La reazione richiede un attacco nucleofilo da parte dell’ossigeno strutturale del catalizzatore. Se il legame MeO ha un carattere covalente, l’equilibrio tra il diossimetilene e la formaldeide coordinata è spostato verso quest’ultima specie, a sua volta in equilibrio con la formaldeide in fase gas. Su ossidi ionici invece la formazione della specie diossimetilene è favorita. Quest’ultima dà luogo alle specie metossi e formiato per disproporzionamento di Cannizzaro; il formiato si può formare anche per deidrogenazione ossidativa diretta del diossimetilene. Per reazione con metanolo, il diossimetilene forma il dimetossimetano, che può desorbire in fase gas. La specie formiato può anche reagire con il metanolo per ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE CH3OCH3⫹H2O CH3OH CH2 O OH ⫺[H] ⫹CH3OH H CH2 O⫺ metossi O CH2O formaldeide OH ⫺[H] dimetossimetano OCH3 CH2 OCH3 CH2 2CH3OH O O OH diossimetilene formiato di metile O acido formico HCOOH H COCH3 ⫺H2O disproporzionamento ⫹H2O CH COx O CH3OH O formiato vacanza di ossigeno fig. 5. Meccanismo di reazione nell’ossidazione del metanolo su catalizzatori a base di ossidi (Centi et al., 2002). dare metilformiato; la formazione di questo prodotto richiede che la velocità di desorbimento della formaldeide sia bassa e che la velocità di ossidazione/disproporzionamento sia relativamente elevata. Entrambi questi percorsi di reazione contribuiscono alla formazione della specie formiato. Le velocità relative dipendono dal grado di ricoprimento superficiale della specie diossimetilene e dalle condizioni di reazione. Tuttavia, la specie formiato può anche essere convertita e quindi la formazione selettiva del metilformiato richiede che la velocità di conversione della specie formiato sia bassa e la concentrazione di metanolo sia relativamente elevata. Lo schema semplificato dei processi commerciali di conversione del metanolo a formaldeide che utilizzano come catalizzatori ferro molibdato e Ag supportato è riportato nella fig. 6. La deidrogenazione ossidativa del metanolo su catalizzatori a base di ferro molibdato è effettuata in un reattore multitubolare raffreddato (v. ancora fig. 6 A). A causa della progressiva disattivazione del catalizzatore (il tempo di vita è pari a 1-2 anni), occorre aumentare a mano a mano la temperatura del reattore per mantenere costante la produttività. La resa in formaldeide è pari al 9596%. I processi più vecchi operano alimentando il 6% di metanolo in aria (concentrazione minore del limite inferiore di infiammabilità), ma in questo caso le produttività sono basse, la purezza della formaldeide è scarsa a causa della formazione di acido formico, il tempo di vita del catalizzatore è limitato e occorre operare con grandi volumi di gas inerte. Per questa ragione, circa la metà degli impianti è stata convertita ad alimentazione con difetto di ossigeno (10%), e concentrazioni di metanolo più elevate (8,2%). A causa dell’elevata quantità di calore generato, occorre diluire il catalizzatore e rendere VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA più efficiente il sistema di raffreddamento del reattore. In alcuni impianti si utilizza anche vapor d’acqua come diluente. I gas in uscita dal reattore, dopo il recupero del calore, sono inviati a una colonna di absorbimento, ove si utilizza acqua come solvente. La soluzione di formaldeide, dal fondo della colonna di absorbimento, ha una concentrazione del 50-60%; viene poi inviata a una colonna di scambio ionico per rimuovere l’acido formico. I gas dalla testa della colonna vengono invece riciclati; la corrente di spurgo mantiene costante la composizione nel reattore. Il processo che utilizza Ag supportato come catalizzatore (v. ancora fig. 6 B) ha il vantaggio, rispetto a quello di ossidazione diretta, di produrre una corrente di spurgo che può essere direttamente inviata all’incenerimento, in quanto contiene H2, metanolo e formaldeide, più piccole quantità di N2 e CO2. La combustione di questa corrente produce la maggior parte del vapore utilizzato nel processo. Lo schema del processo è analogo a quello discusso in precedenza, ma è richiesta un’alimentazione più pura di metanolo (devono essere assenti carbonili di ferro e composti di zolfo che avvelenerebbero il catalizzatore), è necessario uno scambiatore di calore per scaldare il metanolo, il reattore deve operare con tempi di contatto molto bassi e avere un sistema di raffreddamento rapido (tempi di raffreddamento del flusso in uscita al letto catalitico inferiori a 0,02 s), al fine di evitare reazioni consecutive sulla formaldeide, e infine occorre utilizzare due colonne di assorbimento in serie. Epossidazione dell’etilene a ossido di etilene L’ossido di etilene è un prodotto intermedio sintetizzato su larga scala, essendo utilizzato nella produzione 627 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA riciclo spurgo H2 O acqua di raffreddamento aria metanolo soluzione di formaldeide AA riciclo spurgo catalizzatore vapore H2O metanolo aria H2 O rifiuti BB soluzione di formaldeide fig. 6. Schema semplificato del processo di sintesi della formaldeide da metanolo: A, deidrogenazione ossidativa diretta con catalizzatori a base di ferro molibdato; B, processo utilizzante catalizzatori a base di Ag supportato (Arpentinier et al., 2001). del glicole etilenico e di poliglicoli, di etanolammine e detergenti non ionici, e di esteri del glicole etilenico. Esistono due tecnologie: il processo via cloridrina, oggi non più utilizzato, e l’ossidazione diretta dell’etilene con ossigeno su catalizzatori a base di Ag supportato CH2CH20,5O2 H2CCH2 O ∆H°105 kJ/mol Come promotori si utilizzano CsCl e BaCl2 (la concentrazione di questi droganti è di 0-10 ppm), in quanto sia i metalli alcalini sia gli ioni cloruro promuovono la selettività. Oltre a CO2, i sottoprodotti sono acetaldeide e formaldeide, ma in concentrazioni non superiori allo 0,1%. Sebbene ancora vi siano opinioni contrastanti, numerosi 628 dati indicano che la specie attiva del catalizzatore è costituita da AgO, con caratteristiche elettrofile, mentre atomi di ossigeno a ponte tra due atomi di argento (AgOAg) hanno un carattere nucleofilo e non sono selettivi, al contrario di quanto avviene nel caso dell’ossidazione selettiva su ossidi (v. ancora fig. 3 B). Nel passato si riteneva che le specie selettive nell’epossidazione fossero costituite da AgO2, che dopo inserzione dell’ossigeno sull’etilene lasciava sulla superficie O atomico adsorbito e AgO, a sua volta responsabile dell’ossidazione non selettiva di etilene a CO2 e H2O. Sulla base di questo modello, era stata ipotizzata una selettività massima pari a 85,7%, mentre i processi commerciali attuali operano con selettività (a bassa conversione) superiori, comprese nell’intervallo 88-94%. Lo schema di reazione è di tipo ‘triangolare’, con due reazioni parallele di trasformazione dell’etilene in ossido di etilene e in CO2, e una reazione consecutiva dell’ossido di etilene in CO2. Vengono qui riassunti i principali fattori che influenzano la cinetica di reazione e quindi la scelta delle condizioni ottimali di reazione. La velocità di formazione dell’ossido di etilene aumenta con l’aumento della pressione parziale dell’ossigeno, mentre si osserva un massimo rispetto alla concentrazione di etilene, a causa della competizione tra etilene e ossido di etilene sugli stessi siti catalitici. La velocità di formazione dell’ossido di etilene diminuisce aumentando la concentrazione di ioni cloruro utilizzati come drogante (oltre un certo valore, tuttavia, si formano come sottoprodotti tracce di composti clorurati, quali vinilcloruro e dicloroetilene) e la concentrazione di CO2. Dal punto di vista pratico, la concentrazione di etilene è determinata essenzialmente dai limiti di infiammabilità. Il rapporto tra le velocità delle due reazioni parallele di formazione di ossido di etilene e di combustione, ovvero la selettività iniziale, aumenta con la concentrazione di ioni cloruro, con il contenuto dei promotori metalli alcalini e con la pressione parziale di etilene. I processi di ossidazione dell’etilene operano con aria oppure con ossigeno puro. I primi sono ancora ampiamente diffusi, ma i nuovi impianti utilizzano principalmente ossigeno puro, che presenta vantaggi in termini di rese e produttività più elevate, di maggiore selettività (dovuta alla maggiore pressione parziale di etilene nel reattore), di minore quantità di gas di spurgo, di possibilità di scegliere il tipo di gas diluente e di minori costi del reattore e delle apparecchiature. D’altra parte, il processo con ossigeno puro presenta maggiori costi dovuti al suo utilizzo e alla necessità di separare il CO2 prodotto. Lo schema semplificato dei due processi è illustrato in fig. 7. Nel processo con aria l’etilene è ossidato in una serie di reattori tubolari (due o tre, negli impianti più grandi), in modo da aumentare la conversione e gestire più efficacemente il calore di reazione (nel primo reattore la conversione è intorno al 40%). L’uscita dal ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE fig. 7. Schema semplificato del processo di sintesi dell’ossido di etilene da etilene: A, processo con aria; B, processo con ossigeno puro (Arpentinier et al., 2001). riciclo ossido di etilene spurgo leggeri etilene pesanti aria aria vapore A riciclo spurgo CO2 spurgo inerte vapore ossido di etilene leggeri etilene O2 B reattore viene raffreddata e quindi inviata a una colonna di absorbimento con acqua, per il recupero dell’ossido di etilene. Una parte dell’uscita gassosa dalla colonna di absorbimento viene riciclata, mentre un’altra parte viene inviata a un secondo reattore ove la conversione arriva VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA vapore pesanti all’80% (95% nel caso di tre reattori in serie). La selettività è pari a circa il 70% nel primo reattore, ma si abbassa in quelli successivi. Il processo con ossigeno puro (purezza 97%) è a stadio singolo e utilizza reattori multitubolari. Il rapporto 629 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA etilene/O2 è tipicamente 3,0-3,5, mentre la concentrazione di O2 viene mantenuta inferiore al 9% per evitare la formazione di miscele infiammabili. La conversione per passaggio dell’etilene è compresa nell’intervallo 1015%, mentre quella globale è superiore al 97%. La selettività è tipicamente maggiore dell’80%. Dopo il raffreddamento, i gas in uscita dal reattore sono inviati alla colonna di absorbimento dell’ossido di etilene, mentre i gas in uscita dalla colonna sono compressi e riciclati. Una parte dei gas è inviata a una colonna per eliminare CO2 tramite absorbimento a caldo in soluzione acquosa di carbonato di potassio. Una piccola frazione dei gas (meno dell’1%) è inviata allo spurgo, per evitare l’accumulo di gas inerti. In alcuni processi si utilizza anche un diluente, quale metano o etano. Sebbene il CO2 stesso possa essere un diluente efficace, esso ha un effetto di avvelenamento sul catalizzatore e quindi è necessario mantenere bassa la sua concentrazione. Ossiclorurazione dell’etilene La reazione di ossiclorurazione (ossidazione in presenza di HCl) dell’etilene a 1,2-dicloroetano (DCE) CH2CH22HCl0,5O2 CH2ClCH2Cl ∆H°=238 kJ/mol è la base per la produzione del cloruro di vinile monomero (CH2CHCl), utilizzato nella produzione di omoe copolimeri in PVC. Sono possibili tre differenti opzioni di processo, a seconda della tecnologia utilizzata e delle condizioni operative: i reattori possono essere a letto fisso o fluidizzato; si può utilizzare aria oppure O2; si può impiegare un valore stechiometrico oppure un eccesso di etilene. In generale, si utilizza ossigeno puro quando si opera in un reattore a letto fisso, con largo eccesso di etilene (rispetto al valore stechiometrico) e l’etilene non convertito viene riciclato, oppure quando si utilizzano rapporti stechiometrici, con conseguimento di elevate conversioni di etilene, ma si ricicla comunque la corrente gassosa al fine di ridurre l’impatto ambientale del processo (v. ancora tab. 3). L’utilizzazione di un eccesso di etilene, che possiede migliori caratteristiche di conducibilità termica rispetto all’azoto, permette di conseguire vantaggi quali un profilo di temperatura più uniforme nel reattore (con conseguenti migliori selettività dovute alla minore combustione e alla minore formazione di prodotti secondari quali tricloroetano), una migliore conversione di HCl e una vita più lunga del catalizzatore (grazie a una minore sublimazione della fase attiva e a una ridotta formazione di carbone sulla superficie del catalizzatore). Poiché nei reattori a letto fisso la produttività è limitata dalla capacità di trasferimento del calore al fluido di raffreddamento, una fase gassosa con migliore conducibilità permette di aumentare la produttività. 630 Il principale problema connesso all’uso di O2 è rappresentato dal suo maggior costo rispetto all’aria e alla necessità di sistemi più complessi per operare in condizioni di sicurezza. Tuttavia, molti impianti ad aria sono stati opportunamente modificati per operare con ossigeno. Il tipo di reattore più utilizzato è quello multitubolare a letto fisso, in virtù delle maggiori produttività conseguibili; tuttavia, gli elevati investimenti necessari (occorre utilizzare acciaio resistente alla corrosione) portano a preferire la tecnologia a letto fluidizzato per la costruzione di nuovi impianti. Nella fig. 8 è riportato uno schema semplificato del processo a letto fisso, alimentato ad aria. Si utilizzano tre reattori multitubolari in serie; il catalizzatore viene diluito con grafite, per ridurre i gradienti termici nel reattore; un quarto reattore è utilizzato per clorurare direttamente l’etilene residuo con Cl2. I gas vengono raffreddati per condensare il DCE (1,2-dicloroetano), che poi è inviato alle colonne di purificazione: la prima rimuove l’acqua, la seconda i prodotti leggeri (cloruro di etilene, vinilcloruro, 1,1-dicloroetano e dicloroetilene) e la terza i prodotti pesanti (tricloroetano, percloroetano, percloroetilene). Per ottimizzare il rapporto locale etilene/O2 e ottenere un miglior controllo della temperatura nei reattori e quindi della selettività, si alimentano etilene e HCl nel primo reattore, mentre l’alimentazione di aria o di ossigeno viene distribuita nei tre reattori in serie. Ciò permette anche di operare fuori dai limiti di infiammabilità, di ridurre la formazione di CO2, di avere un profilo di temperatura più omogeneo e infine di aumentare il tempo di vita del catalizzatore. L’ossigeno e l’etilene sono alimentati in leggero eccesso rispetto alla quantità stechiometrica, per ottenere una conversione di HCl maggiore del 99,5%. Nei processi che operano con ossigeno e con largo eccesso di etilene, invece, l’idrocarburo non convertito viene separato e riciclato. I catalizzatori sono a base di cloruro di rame supportato su allumina; ruolo fondamentale hanno i componenti promotori, costituiti da metalli alcalini o alcalino-terrosi. Le temperature di reazione sono comprese tra 220 e 250 °C, con pressioni fino a 5 bar. La selettività a DCE è compresa tra 93 e 97%. Acetossilazione dell’etilene L’acetossilazione (ossidazione in presenza di acido acetico) in fase vapore dell’etilene con acido acetico e O2 è il principale processo per produrre il vinilacetato (CH3C(O)OCHCH2). Si utilizza Pd supportato su silice, promosso con oro e con metalli alcalini (acetato di potassio); l’oro permette di ridurre la reazione secondaria di formazione di etilacetato. Si opera con O2 puro alla temperatura di circa 150 °C, con pressioni comprese nell’intervallo 8-10 bar; in queste condizioni la reazione ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE Cl2 NaOH H2O etilene HCl aria 1,2-dicloroetano leggeri acqua (al trattamento) spurgo pesanti fig. 8. Schema semplificato del processo di ossiclorurazione dell’etilene in reattore a letto fisso (processo basato sull’aria) (Arpentinier et al., 2001). avviene in un film liquido, formatosi per condensazione capillare nei pori del catalizzatore. Il meccanismo di reazione coinvolge la riduzione del Pd acetato a Pd metallico per reazione con l’etilene e la riossidazione del Pd0 da parte dell’ossigeno. Le selettività possono raggiungere il 98%, sebbene nei processi industriali siano tipicamente comprese tra 92 e 95%. La conversione per passaggio è intorno al 10%. Dopo un preriscaldamento, l’etilene fresco, mescolato con quello di riciclo e con l’acido acetico, è inviato al reattore contenente il catalizzatore, previo mescolamento con O2. La composizione tipica è la seguente: 40-55% etilene, 10-20% acido acetico e 7-8% O2, oltre a inerti (CO2, etano, Ar, N2 e H2O). Dopo la reazione, i gas vengono raffreddati, con condensazione dell’acido acetico, dell’acqua e della maggior parte dell’acetato di vinile. La corrente liquida viene frazionata mediante distillazione azeotropica per recuperare l’acido acetico e il vinilacetato. Sono tuttavia necessarie ulteriori colonne di purificazione per raggiungere la purezza richiesta per il vinilacetato, in particolare per abbassare la concentrazione di etilacetato sotto 150 ppm. La fase vapore dalla prima colonna di condensazione è inviata a una colonna di absorbimento ove viene VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA alimentato acido acetico, per rimuovere l’acetato di vinile, e poi a una seconda colonna alimentata con una soluzione di NaOH, per rimuovere il CO2. I gas vengono poi riciclati al reattore principale. Ossidazione del propilene ad acroleina e ossidazione dell’acroleina ad acido acrilico L’ossidazione del propilene ad acido acrilico (utilizzato nella produzione di esteri acrilici) avviene tramite la formazione intermedia di acroleina: C3H6O2 CH2CHCHOH2O ∆H° =339 kJ/mol CH2CHCHO0,5O2 CH2 CHCOOHH2O ∆H° =255 kJ/mol Sottoprodotti della reazione sono ossidi di carbonio, acido acetico, acido propionico, formaldeide, acido maleico, acetaldeide e acetone. Per la prima reazione si utilizzano catalizzatori multicomponenti a base di molibdati di bismuto (per esempio Mo12BiFe3Co4,5Ni2,5Sn0,5 K0,1Ox), mentre per la seconda reazione i catalizzatori sono a base di ossidi di molibdeno e vanadio (per esempio Mo12V3Cu2,5Fe1,25Mn0,1Mg0,1P0,1Ox). È possibile la sintesi in un unico stadio ma, a causa della 631 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA forte esotermicità della reazione, il tempo di vita dei catalizzatori è ridotto. Inoltre, la selettività globale è maggiore nel processo a due stadi, essendo possibile ottimizzarli indipendentemente. Nel primo stadio la selettività ad acroleina è tipicamente maggiore dell’85% e la conversione del propilene è superiore al 90%, mentre nel secondo stadio la selettività ad acido acrilico è maggiore del 95%, con rese comprese tra 90 e 96%. Sono utilizzati reattori a letto fisso multitubolari, in serie. Il primo reattore opera con temperature nell’intervallo 330-400 °C, e velocità spaziali pari a 1.3002.600 h1 (la pressione è 2-2,5 bar), mentre il secondo opera a temperature inferiori (250-300 °C), velocità spaziali più elevate (1.800-3.600 h1) e pressioni inferiori (dovute principalmente alle perdite di carico del primo reattore). La concentrazione di propilene in entrata al primo reattore è pari al 5-8% in aria. Come diluenti si utilizzano gas di ricircolo e/o vapor d’acqua, in modo da operare al di fuori dei limiti di esplosività. L’utilizzo del vapor d’acqua permette anche di diminuire le reazioni in fase omogenea, migliorare il trasferimento termico e aumentare la selettività, favorendo il desorbimento dell’acroleina e dell’acido acrilico. Tuttavia, concentrazioni eccessive di vapor d’acqua abbassano la concentrazione della soluzione di acido acrilico. I gas in uscita dal reattore, dopo il raffreddamento e il recupero del calore, sono inviati a una colonna di absorbimento con acqua. Si addiziona un inibitore per evitare la polimerizzazione dell’acido acrilico. I gas in uscita sono poi inviati all’incenerimento e in parte riciclati, dopo l’eliminazione dei composti condensabili. La soluzione di acido acrilico è inviata alla sezione di purificazione, costituita da una serie di colonne di distillazione azeotropica (con metiletilchetone come terzo componente). Nel caso di soluzioni diluite si può, in alternativa, utilizzare una separazione per estrazione, usando come solvente acetato di etile o composti aromatici. I vari processi industriali differiscono nella composizione del catalizzatore e nella sezione di separazione. Sintesi del metilmetacrilato L’estere metilico dell’acido metacrilico, avente formula CH2C(CH3) COOCH3, è utilizzato nella produzione di polimeri vinilici. Il processo acetoncianidrina (che consiste nella reazione tra acetone e HCN, seguita dalla reazione di acetoncianidrina con acido solforico e dalla idrolisi finale dell’addotto in presenza di metanolo) è quello maggiormente utilizzato per la sintesi di metilmetacrilato e presenta molti inconvenienti, legati alla tossicità dell’HCN e alla coformazione di elevate quantità di solfato di ammonio, che si genera in rapporto 2:1 rispetto al metilmetacrilato. Il processo alternativo è l’ossidazione diretta in fase vapore dell’isobutene (con stadio successivo o integrato di esterificazione); questo 632 processo tuttavia presenta rese e selettività troppo basse per risultare competitivo. Metodi di sintesi alternativi sono: a) l’ossidazione diretta di isobutano (processo ancora in fase di studio), che ha il vantaggio del minor costo della materia prima e del minor impatto ambientale; b) l’ossidazione dell’aldeide isobutirrica ad acido isobutirrico, poi convertito in acido metacrilico per deidrogenazione ossidativa (processo Mitsubishi Kasei/Asahi); c) l’ossidazione dell’alcol terbutilico a metacroleina, seguita dall’ossidazione ad acido metacrilico e dalla esterificazione; d) l’idroformilazione dell’etilene ad aldeide propionica, che viene fatta poi condensare con formaldeide per dare metacroleina, la quale viene infine ossidata ad acido metacrilico ed esterificata (processo BASF). Tra queste alternative, la sintesi diretta da isobutano è la più interessante; tuttavia, la selettività ottenuta e la stabilità dei catalizzatori non sono ancora sufficienti per consentirne lo sviluppo industriale. La composizione media dei catalizzatori per quest’ultima applicazione è la seguente: (H mY 0,2-1,5) (P1-1,2Mo12-nX0,4-1,5Ox), dove Y è lo ione di un metallo alcalino e X un elemento quale V, As e Cu; sono inoltre presenti vari altri additivi. Occorre utilizzare elevate concentrazioni di isobutano e di vapor d’acqua (fino al 65%) per ottenere buona selettività e stabilità dei catalizzatori. Sintesi dell’acrilonitrile per ammonossidazione del propilene L’acrilonitrile è prodotto su larga scala (oltre 5 milioni di t/a) mediante il processo di ammonossidazione (ossidazione in presenza di ammoniaca) catalitica del propilene in fase vapore: CH2CHCH3NH31,5O2 CH2CHCN + 3H2O ∆H°=515 kJ/mol L’acrilonitrile trova applicazione nella sintesi di vari omo- e copolimeri utilizzati come fibre, resine ed elastomeri; è inoltre intermedio nella produzione di adiponitrile e acrilamide. Sottoprodotti della reazione sono HCN, acetonitrile, N2 (dalla combustione dell’ammoniaca) e ossidi di carbonio. La reazione è fortemente esotermica e per controllare la temperatura la maggior parte degli impianti utilizza reattori a letto fluido. I catalizzatori commerciali sono multicomponente, a base di molibdato di bismuto e supportati su silice (per esempio, (K, Cs)0,1(Ni, Mg, Mn)7,5(Fe, Cr)2,3Bi0,5Mo12Ox/SiO2). Non è necessario riciclare il propilene, in quanto si raggiungono conversioni superiori al 95%, pur mantenendo elevata selettività ad acrilonitrile (superiore all’80%). Il reattore a letto fluido contiene quantità elevate di catalizzatore, fino a 70-80 t, in forma di particelle sferiche con diametro medio pari a 40-50 mm, al ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE fine di consentirne un’efficiente fluidizzazione. La purezza dell’alimentazione deve essere molto elevata (90% per il propilene e 99,5% per NH3). Il rapporto di alimentazione ammoniaca/propilene è pari a 1,05-1,2 e il rapporto O2/propilene è compreso nell’intervallo 10-15. La temperatura di reazione è compresa tra 420 e 450 °C e la pressione tra 1,5 e 3 bar. Pressioni superiori a 1 bar sono negative per la selettività ad acrilonitrile, ma necessarie per ottenere una buona fluidizzazione e aumentare la produttività. I reagenti sono alimentati al reattore indipendentemente, per minimizzare le reazioni in fase omogenea e prevenire la formazione di miscele esplosive prima del letto catalitico; la composizione della miscela nel reattore è entro i limiti di infiammabilità, ma la presenza del letto fluido inibisce la propagazione delle reazioni radicaliche bloccando l’eventuale fronte di fiamma. Il reattore a letto fluido contiene vari serpentini e sistemi per minimizzare la formazione di slug e ridurre i fenomeni di retromiscelazione del fluido. La testa del reattore ha sezione maggiore, per ridurre la velocità del gas e diminuire i fenomeni di trasporto pneumatico ed eluizione del catalizzatore. Appositi cicloni permettono il recupero delle particelle di catalizzatore e la loro reintroduzione nel reattore. Gli effluenti dal reattore sono inviati a una colonna di absorbimento con acqua, mentre l’ammoniaca non convertita è neutralizzata con acido solforico. I gas in uscita da questa colonna, contenti N2, ossidi di carbonio e piccole quantità di propilene, vengono inviati all’incenerimento. La miscela acetonitrile/acrilonitrile forma un azeotropo con l’acqua che per smiscelazione dà luogo a una fase acquosa (riciclata all’assorbitore) e a una fase organica, ricca in acrilonitrile e HCN, che è inviata alla purificazione. La soluzione acquosa di acetonitrile è concentrata per distillazione azeotropica. L’acrilonitrile viene purificato in due colonne in serie, per recuperare l’acido cianidrico e le impurezze (acetone, acetaldeide, propionaldeide, acroleina). Uno stadio finale di distillazione sotto vuoto viene utilizzato per ottenere acrilonitrile con purezza superiore al 99,4%. Recentemente numerosi studi sono stati dedicati all’utilizzo di propano come reagente alternativo al propilene, per il suo minore costo. Nuove classi di catalizzatori (per esempio quelli sviluppati dalla Mitsubishi, costituiti da ossidi quaternari di molibdeno, vanadio, tellurio e niobio, MoV0,3Te0,23Nb0,12Ox) danno rese in acrilonitrile superiori al 50%. Questo valore potrebbe essere sufficiente per giustificare lo sviluppo di un nuovo processo a partire dal propano, sebbene sia auspicabile un ulteriore aumento delle rese e della stabilità del catalizzatore. Ammonossidazione di alchilaromatici Numerosi nitrili aromatici quali benzonitrile, ftalonitrile, isoftalonitrile, tereftalonitrile e nicotinonitrile trovano applicazione nella sintesi di prodotti per la chimica fine. Per esempio, il nicotinonitrile può essere idrolizzato alla corrispondente ammina o ad acido nicotinico, utilizzati nella sintesi della vitamina B. L’isoftalonitrile è utilizzato nella sintesi di erbicidi e funghicidi. Lo ftalonitrile è un intermedio per pigmenti a base di ftalocianine. Numerosi catalizzatori sono attivi nella reazione: ossido di vanadio supportato su TiO2 (preferibilmente nella struttura cristallina anatasio), drogato con Cs, P e W; catalizzatori multicomponente a base di molibdati; vanadio-antimoniati drogati con Bi e Fe ed eteropoliacidi supportati (PV3Mo12Ox su silice). Oltre a massimizzare la selettività al nitrile, è importante anche minimizzare la reazione di ossidazione dell’ammoniaca a N2. Sono generalmente possibili selettività superiori al 90% per conversioni comprese tra 50 e 80%, sebbene i risultati varino considerevolmente in funzione del tipo di substrato. Uno dei principali problemi nell’applicazione industriale del processo è la necessità di operare effettuando campagne successive con diversi tipi di alchilaromatici, in quanto la richiesta di mercato per questi prodotti non è tale da giustificare un utilizzo dell’impianto dedicato a una sola reazione. Anche le immidi aromatiche possono essere ottenute per ammonossidazione catalitica (fig. 9), per esempio alimentando o-xilene e utilizzando un catalizzatore a base di ossido di vanadio supportato su titania. fig. 9. Schema della sintesi della ftalimmide per ammonossidazione catalitica in fase vapore dell’o-xilene. O ftalimmide CH3 O2, NH3 CH3 V2Ox /TiO2 CH3 O2, NH3 CN V2Ox /TiO2 toluonitrile ftalonitrile VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA NH O COx CN CN 633 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA Anidride maleica da n-butano L’anidride maleica è utilizzata come additivo nella sintesi di vari polimeri, nella sintesi di prodotti chimici per l’agricoltura e degli acidi malico e fumarico, oltre a essere intermedio per la sintesi di g-butirrolattone e di tetraidrofurano. Oggi la maggior parte degli impianti per la produzione di anidride maleica utilizza n-butano come alimentazione; questo processo ha soppiantato quello da benzene, in virtù del minor numero di sottoprodotti, della migliore efficienza atomica e del minor costo, e della non tossicità del reagente. Sottoprodotti ottenuti nell’ossidazione di n-butano sono ossidi di carbonio e acido acetico, mentre numerosi sottoprodotti si formano da benzene, o utilizzando buteni o butadiene come materia prima. I vari processi commerciali differiscono nella tecnologia reattoristica (reattore a letto fisso, oppure a letto fluido o circolante), nella percentuale di n-butano nell’alimentazione (meno del 2% nei processi con reattore a letto fisso, compresa tra 2,6 e 5% per i processi con reattore a letto fluido e più del 10% nel processo DuPont, con reattore a letto circolante, analogo a quello utilizzato nel cracking catalitico) e nella metodologia di recupero e purificazione dell’anidride maleica (utilizzo di solventi organici o acquosi nel recupero, modalità di purificazione). In tutti i processi il catalizzatore è costituito da pirofosfato di vanadile (VO)2P2O7, eventualmente promosso con elementi droganti, sebbene possano variare le modalità di preparazione, di attivazione e di formazione e le dimensioni delle particelle. La composizione in alimentazione è connessa direttamente alla scelta del reattore, come evidenziato sopra. Un aumento della concentrazione di n-butano aumenta la produttività, ma richiede speciali precauzioni per lo smaltimento del calore di reazione e per la riduzione dei rischi di esplosività; n-butano non convertito generalmente non viene riciclato, ma utilizzato nella produzione di vapore ad alta temperatura, essendo il valore di questo idrocarburo prossimo a quello dei combustibili. La conversione di n-butano è compresa tra 80 e 90% e la resa in anidride maleica tra 55 e 65%. Si opera a temperature pari a 400-450 °C. I principali processi sono commercializzati da Denka/Scientific Design, Amoco, BP-UCB, Lonza/Lummus, Mitsubishi Kasei, Mitsui Toatsu, Monsanto e DuPont. Il processo ALMA della Lonza utilizza un reattore a letto fluido, mentre il processo DuPont un reattore a letto circolante. La fig. 10 riporta lo schema semplificato dei due processi. Nel processo ALMA, dopo la separazione del catalizzatore mediante due cicloni in serie, gli effluenti dal reattore vengono raffreddati a 200 °C, filtrati per rimuovere le particelle più fini e inviati alla sezione di recupero dell’anidride maleica; quest’ultima è basata sull’absorbimento in solventi cicloalifatici. I gas sono inviati 634 all’incenerimento per la produzione di vapore ad alta temperatura, mentre la soluzione è inviata a un’unità di stripping. L’anidride maleica è poi ulteriormente purificata per rimuovere i prodotti leggeri (inviati all’incenerimento), mentre il solvente viene riciclato. Il processo permette elevate produttività, produzione di vapore ad alta temperatura, ridotta quantità di rifiuti, basse formazioni di acido fumarico e di prodotti pesanti. La produzione di vapore contribuisce all’economicità del processo. Il processo DuPont è caratterizzato dall’utilizzo di un reattore innovativo per il settore dell’ossidazione selettiva, di derivazione dal cracking catalitico, che permette il contatto separato di idrocarburo e ossigeno con il catalizzatore. Ciò porta a un aumento significativo della selettività, ma implica la necessità di un’elevata ricircolazione del catalizzatore tra i due reattori (il reattore riser per il contatto con l’idrocarburo e il reattore a letto fluido per la riossidazione del catalizzatore). Inoltre è necessaria un’elevata resistenza meccanica del catalizzatore. Il processo DuPont di sintesi dell’anidride maleica è integrato con la sezione di idrogenazione a valle, per la produzione di tetraidrofurano. L’absorbimento dell’anidride maleica viene in questo caso effettuato con acqua. Anidride ftalica da o-xilene L’anidride ftalica è utilizzata nella preparazione di diesteri (plasticizzanti per PVC), resine alchiliche, poliesteri e coloranti. Il processo originale utilizzava naftalene come materia prima, ma oggi la maggior parte degli impianti utilizza o-xilene, in virtù dei minori problemi ambientali e di sicurezza, oltre che per la maggiore purezza del prodotto. I principali sottoprodotti da o-xilene sono o-tolualdeide e ftalide, piccole quantità di anidride maleica, acido benzoico, acido toluico, oltre a ossidi di carbonio. La formazione di ftalide è un aspetto critico del processo, in quanto la concentrazione di questo composto nell’anidride ftalica, per applicazioni nel settore dei polimeri, deve essere molto bassa. In un reattore multitubolare, circa un terzo del letto catalitico permette di raggiungere oltre il 90% di conversione dell’o-xilene, mentre i rimanenti due terzi del letto servono a ridurre la concentrazione di ftalide. I catalizzatori sono a base di ossido di vanadio supportato su TiO2 (nella forma cristallina ottaedrica), con area superficiale relativamente bassa (intorno a 10-20 m2/g). Come promotori si utilizzano K, Cs, Sb, Nb e P. Le ultime generazioni di reattori caricano due o tre strati di catalizzatore con composizione tra loro diversa (soprattutto per il tipo e la quantità di elementi promotori); in questo modo è possibile ottenere la massima resa e selettività, ottimizzando il profilo di attività e minimizzando i ‘punti caldi’ lungo il reattore. Effetto positivo sulle prestazioni hanno anche i promotori ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE spurgo filtro a secco reattore anidride maleica solvente fresco vapore n-butano sottoprodotti aria AA vapore H2 aria BB reattore di rigenerazione a letto fluido n-butano tetraidrofurano riciclo H2 spurgo soluzione acquosa di acido maleico riciclo n-butano spurgo fig. 10. Schema semplificato del processo di sintesi di anidride maleica da n-butano: A, processo ALMA; B, processo DuPont. in fase gassosa, come SO2, che oggi però non vengono più utilizzati. Esistono vari processi, tra cui i principali sono quelli sviluppati da Wacker, BASF, Lonza-Alusuisse, Atochem e Nippon Shokubai. I processi differiscono nel tipo di reattore (a letto fisso o fluido, sebbene il primo tipo sia utilizzato nella maggior parte dei casi), nella composizione del catalizzatore e nella sezione di recupero/purificazione. Si utilizza aria come ossidante, sebbene l’utilizzazione di aria arricchita con ossigeno permetta di aumentare la produttività. La concentrazione VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA di o-xilene non è superiore a 1,2% in aria, per evitare la formazione di miscele infiammabili e per conseguire un buon controllo del calore di reazione. Il recupero dell’anidride ftalica viene fatto per desublimazione e poi per absorbimento in olio. Il reattore a letto fisso opera a temperature comprese nell’intervallo 350-390 °C e con basse velocità spaziali, mentre il processo con reattore a letto fluido opera a temperature più elevate (450-550 °C) e con tempi di contatto più bassi. L’o-xilene e l’aria, dopo preriscaldamento, sono inviati a un reattore multitubolare operante a circa 380 °C e raffreddato con sali fusi; questi ultimi sono raffreddati esternamente in uno scambiatore di calore, con produzione di vapore ad alta temperatura. Si ottengono una resa in anidride ftalica superiore all’80% e una conversione di o-xilene maggiore del 99%. Gli effluenti dal reattore sono raffreddati, con produzione di vapore a bassa pressione, e quindi inviati a una colonna di absorbimento con acqua. La soluzione è prima inviata a un sistema sotto vuoto per decomporre le impurità (si addizionano inibitori della polimerizzazione) e poi a una colonna di distillazione (anch’essa sotto vuoto) per separare l’anidride maleica e gli acidi benzoico e toluico dalla testa. La soluzione raccolta al fondo della colonna di distillazione è inviata a una seconda colonna, per separare anidride ftalica a elevata purezza (99,5% in peso). Bibliografia citata Arpentinier P. et al. (2001) The technology of catalytic oxidations, Paris, Technip. Bielanski A., Haber J. (1991) Oxygen in catalysis, New York, Marcel Dekker. Centi G., Perathoner S. (2003a) Catalysis and sustainable green chemistry, «Catalysis Today», 77, 287-297. Centi G., Perathoner S. (2003b) Selective oxidation. Section E (Industrial processes and relevant engineering issues), in: Horvath I.T. (editor in chief) Encyclopedia of catalysis, New York, John Wiley, 6v. Centi G. et al. (2002) Selective oxidation by heterogeneous catalysis, New York, Kluwer Academic-Plenum. Grasselli R.K. (2002) Fundamentals principles of selective heterogeneous oxidation catalysis, «Topics in Catalysis», 21, 79-88. Fabrizio Cavani Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali Università degli Studi di Bologna Bologna, Italia Gabriele Centi Dipartimento di Chimica Industriale e di Ingegneria dei Materiali Università degli Studi di Messina Messina, Italia 635 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA 11.1.2 Processi di ossidazione in fase liquida con ossigeno Ossidazioni in fase liquida con catalizzatore metallico omogeneo e ossigeno molecolare Introduzione L’ossidazione in fase liquida è ampiamente utilizzata nell’industria chimica per la sintesi di intermedi destinati all’industria petrolchimica e alla produzione di specialità chimiche e farmaceutiche, oltre che per la depurazione delle acque di scarico. L’ossidazione in fase liquida viene preferita alla catalisi eterogenea in fase gassosa nei seguenti casi: quando i prodotti sono termicamente instabili (come nella produzione di idroperossidi e di acidi carbossilici, a eccezione dei composti b-insaturi); quando i prodotti sono così reattivi da potersi ulteriormente ossidare ad alta temperatura (cioè epossidi, aldeidi e chetoni, a eccezione di composti b-insaturi, ossido di etilene e formaldeide); nella chimica fine, dove l’ossidazione in fase liquida è particolarmente indicata, a causa dell’instabilità termica e/o della reattività degli stessi reagenti (come nell’ossidazione di poliidrossialcoli). Oltre a rappresentare l’esempio più diffuso di catalisi omogenea, l’ossidazione in fase liquida ha un’importanza superiore ai processi eterogenei di ossidazione in fase gassosa sul piano della quantità e della varietà dei prodotti (Prengle e Barona, 1970a; Lyons, 1980; Sheldon e Kochi, 1981). Tra i problemi tecnici posti dalla catalisi omogenea, i principali sono la selettività, la rimozione del calore di reazione e le condizioni di sicurezza. Le ossidazioni in fase liquida possono essere distinte in cinque classi di processi catalitici, sulla base del meccanismo utilizzato e del relativo catalizzatore: a) ossidazione a catena via radicali liberi (con o senza catalizzatore), con ossigeno molecolare come agente ossidante; b) meccanismo di ossidoriduzione con complessi di palladio o rame, e ossigeno molecolare; c) trasferimento catalitico di ossigeno, con alchilidroperossido o H2O2 come agenti ossidanti e catalizzatori di tipo omogeneo o eterogeneo; d) deidrogenazione ossidativa con ossigeno molecolare e catalizzatori supportati, a base di metalli di transizione; e) processi fotocatalitici. La prima classe è la più importante dal punto di vista industriale e pertanto i suoi aspetti tecnologici più rilevanti saranno dettagliatamente esaminati. 636 L’ossidazione dei substrati organici: substrato donatore di ossigeno substrato ossidato donatore ridotto ha una notevole importanza in campo industriale e svolge un ruolo fondamentale in diversi processi biologici. Le ossigenazioni di substrati organici (principalmente alcani e alcheni) per trasferimento di gruppi osso, utilizzate in alcuni processi, sono state oggetto di molte ricerche. L’elenco dei possibili donatori di ossigeno comprende: ossigeno molecolare, peracidi, alchilidroperossidi, perossido di idrogeno, iodosilareni, N-ossidi, ipoclorito e persolfato di ammonio. Vengono impiegati anche diversi catalizzatori, quali metalloporfirine, metalloftalocianine, complessi di sali solubili di metalli di transizione con leganti chelanti e basi di Schiff. Tra i sistemi che hanno suscitato maggiore interesse negli ultimi anni i più efficaci sembrano essere i poliossometallati. L’ossidazione di un substrato con ossigeno molecolare può coinvolgere due elettroni (con il coinvolgimento di un solo atomo di ossigeno), o quattro elettroni (con il coinvolgimento di entrambi gli atomi di ossigeno). La coordinazione con un metallo modifica le caratteristiche dell’ossigeno (cioè la sua basicità e il suo carattere radicale), rendendolo più suscettibile a reagire con un substrato organico. La tab. 1 presenta uno schema sintetico dei possibili complessi tra ossigeno molecolare e ioni metallici (Sheldon e Kochi, 1981). Oltre alle specie superosso e perosso saranno discusse anche le specie metallo-osso, prodotte dal trasferimento di due elettroni dall’atomo di metallo a quello di ossigeno. La formazione di specie idroperosso si può verificare per idrolisi dei complessi perosso o per inserzione di ossigeno molecolare nei metallo idruri: M H O M O OH O MOOMH MOOHM MHO2 MOOH La formazione di specie metallo-osso si verifica se il metallo è in grado di fornire due elettroni; i metalli di questo tipo comprendono le coppie redox Mn/M(n2): ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROCESSI DI OSSIDAZIONE tab. 1. Possibili specie formate dalla complessazione di ossigeno a ioni metallici MnO2 M(n1)O2 (superosso) M(n1)O2 Mn M(n1)(OO)2 M (n1)(m-perosso) M(n1)(OO)2M(n1) 2 M(n2)O2(osso) M(n2)O2Mn M(n1)O2M(n1) (m-osso) MOH2O2 M(OH)OOH (metallo-peracido) M(OH)OOH H2OM (perosso) M(n1)O perosso 2 Co(I)/Co(III), Ir(I)/Ir(III), Pd(0)/Pd(II), Pt(0)/Pt(II). I metalli negli stati di ossidazione più alti (III e IV) non possono trasferire elettroni all’ossigeno molecolare e non formano addotti stabili. In questo meccanismo, la formazione di specie metallo-osso ad alta valenza avviene attraverso la scissione del legame OO di un complesso intermedio dinucleare m-perosso, con trasferimento di elettroni dal metallo e appaiamento di spin nell’ossigeno molecolare. Una descrizione più accurata dovrebbe tener conto delle due strutture di risonanza: M(IV)O2 M(II)O Il modo più comune di rappresentare questo gruppo è MO. Si possono distinguere diverse classi di ossidazioni con O2 e catalizzatore metallico, in base al complesso formato con l’ossigeno e agli stati di ossidazione del metallo (cioè al ruolo svolto dall’atomo metallico nell’attivazione dell’ossigeno; Sheldon e Kochi, 1981; Drago e Beer, 1992). Una particolare attenzione sarà rivolta alle ossigenazioni con specie metallo-osso, che ricoprono una particolare importanza nella funzionalità dei substrati organici. Specie metallo-osso formate per interazione con perossidi e ossigeno molecolare Il meccanismo che presiede la formazione delle specie MO può essere diviso in due stadi: la reazione di formazione del perossido e la reazione del perossido con il complesso metallico per formare le specie metalloosso. L’ossidazione con catalizzatore metallico non avviene in conseguenza dell’attivazione dell’ossigeno molecolare da parte del metallo, dato che le caratteristiche del metallo non permettono il trasferimento elettronico all’ossigeno. La presenza di un agente riducente permette di convertire l’ossigeno molecolare in H2O2 o in un alchilidroperossido (che hanno maggior potere ossidante dell’ossigeno), il quale reagirà a sua volta con il complesso metallico per produrre le specie metallo-osso VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA ad alta valenza. In effetti, nelle ossidazioni omogenee in fase liquida in condizioni blande, quando si fa uso di ossigeno molecolare la generazione di specie metalloosso richiede la presenza di un agente riducente, necessaria per fornire elettroni al sistema. Inoltre, l’azione catalitica delle specie metallo-osso nell’ossigenazione del legame CH deve sempre competere con processi di autossidazione rapidissimi, che causano reazioni radicaliche a catena non selettive e indiscriminate. L’obiettivo è pertanto quello di sviluppare sistemi in grado di operare in assenza di altri agenti riducenti e che possano competere cineticamente con le autossidazioni iniziate da radicali liberi. Tra gli agenti riducenti in grado di ridurre l’ossigeno molecolare a H2O2 si possono citare i derivati dell’antrachinolo, NADH e BH 4 . I complessi metallo-perosso M(n2)O2 possono reagire con l’acqua o con un 2 acido, portando alla formazione di H2O2 o di specie MOOH: M(n2)2eO2 M(n2)O2 2 (complesso perosso) M(n2) H O M(n2)O2 2H 2 2 2 (n2)OOH M(n2)O2 2 H M Allo stesso modo, gli addotti superossidici metalloO2 (cioè quelli in cui si è verificato il trasferimento della carica di un singolo elettrone dal metallo all’ossigeno molecolare) possono essere ridotti a specie metallo-perosso in presenza di un agente riducente monoelettronico (agente riducente sacrificale): M(n1)OO e M(n1)O2 2 (complesso perosso) Il secondo stadio è l’ossidazione dei complessi metallici in specie metallo-osso con H2O2, che può procedere nel modo seguente: M(II)(H2O) H2O2 M(IV)O 2H2O oppure mediante sostituzione del legante e formazione del complesso dinucleare m-perosso, che si decompone in seguito nelle specie metallo-osso. Quanto sopra equivale alla ben nota reazione tra perossido di idrogeno (o alchilidroperossidi) e ioni metallici, con ossidazione dello ione metallico e riduzione di H2O2, catalizzata da ioni quali Fe2 o Cu: 2M22HH2O2 2M32H2O 2M3H2O2 2M2O2 2H In questo caso, tuttavia, si genera anche ossigeno molecolare, dato che lo ione metallico nello stato di ossidazione più elevato formato dalla reazione catalizza l’ossidazione di H2O2 a O2. Ciò avviene perché lo ione metallico ha due stati di ossidazione stabili – cioè M(II)/M(III) –, e il disproporzionamento del perossido di idrogeno è preferito alla formazione di uno stato di ossidazione ancora più alto, M(IV). 637 PRODUZIONE DI INTERMEDI PER LA PETROLCHIMICA In teoria, la for0mazione delle specie metallo-osso può implicare una rottura omolitica o eterolitica del legame OO nell’idroperossido. Il processo eterolitico comporta il trasferimento di due elettroni dal metallo (aumentandone lo stato di ossidazione da Mn a M(n2)), mentre ovviamente il processo omolitico causa l’ossidazione a M(n1). In questo caso, si genera anche un radicale HO (o RO nel caso degli alchilidroperossidi), la cui elevata reattività intrinseca può originare reazioni secondarie indesiderate, come accade nel caso delle autossidazioni innescate dal metallo. È stata ipotizzata la formazione di specie metalloosso ad alta valenza negli enzimi monossigenasi, il più studiato e conosciuto dei quali è il citocromo P-450. Tali enzimi catalizzano le reazioni in cui un atomo di ossigeno è incorporato in un substrato organico, mentre il secondo atomo di ossigeno è ridotto e forma acqua (Hayaishi, 1974): RH O2 2e2H ROH H2O I complessi Fe-porfirine, analoghi del citocromo P-450 (sistemi biomimetici), danno luogo alla formazione di specie Fe-osso previa riduzione dell’ossigeno molecolare per mezzo di un agente coriducente sacrificale, come NaBH4, LiBH4, acido ascorbico, o Pt/H2 (Groves, 1985; Ortiz de Montellano, 1985; Dawson, 1988; Mansuy e Battioni, 1989; Shilov, 1989). Il meccanismo comporta la riduzione dell’ossigeno molecolare e la formazione di un complesso Fe(III)-perosso, che si decompone a (P )Fe(IV)O (dove P è la porfirina), che, a sua volta, svolge la funzione di agente ossidante attivo. Dopo l’ossidazione, il Fe(III) formato è ridotto di nuovo a Fe(II). L’impiego di H2O2, in luogo di O2, rende inutile l’agente riducente sacrificale, dato che il perossido di idrogeno forma direttamente le specie metallo-osso (nel campo degli enzimi, questo fenomeno è noto come shunt del perossido di idrogeno). I centri metallo-osso sono stati proposti come siti attivi ossidanti nei catalizzatori Fe(TFPP)N3, {Fe(TFPP)}2O e Mn(TFPP)N3 (TFPP, meso-tetrafenilporfirinato) per l’ossidazione di isobutano ad alcol t-butilico con ossigeno molecolare (Ellis e Lyons, 1989a e 1989b). Si è anche affermato che le caratteristiche dei complessi utilizzati rendono inutile la presenza dell’agente coriducente. Nella reazione di ossidrilazione del legame CH negli alcani o in altri substrati contenenti legami CH, possono intervenire diversi meccanismi (Hill, 1989), in rapporto alla natura della specie intermedia che si è formata. Il tipo del percorso di reazione è in genere una funzione delle proprietà dell’accettore di elettroni del legame metallo-osso. Sono possibili i seguenti meccanismi: • estrazione di H: MnO2RH [M(n1)OH R] 638 con la formazione di una coppia di radicali, che evolve poi a: [M(n1)