Il regime fascista
Il governo formato da Mussolini nel 1922 non era composto da soli fascisti, ma anche da esponenti
del liberalismo, del Partito Popolare e dell’esercito. Rimasero all’opposizione comunisti,
repubblicani e socialisti. Le prime azioni di governo di Mussolini furono volte a pagare i debiti alle
classi alto-borghesi che lo avevano sostenuto: abolizione della nominatività dei titoli, riduzione
delle imposte di successione, restituzione ai privati della rete telefonica, dei fiammiferi e delle
assicurazioni sulla vita. Tutti questi provvedimenti si ispiravano ad un’impostazione liberistica ben
gradita agli ambienti dell’alta finanza. Ma ancora più redditizia per i grandi borghesi fu
l’intimidazione esercitata nei confronti dei sindacati. In quest’ottica si inserisce il Patto di Palazzo
Vidoni che ridusse i sindacati a due, uno per i lavoratori e l'altro per il padronato (entrambi
fascisti), abolendo il diritto di sciopero (per gli operai) e di serrata (per il padronato) e riconducendo
le controversie fra lavoratori e datori di lavoro all'arbitrato dello stato.
Sin dal dicembre 1922 cominciarono le riunioni periodiche del Gran Consiglio del Fascismo 1.
Nello stesso dicembre fu istituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale2. Per portare a
termine l’instaurazione di un potere totalitario, il fascismo voleva raggiungere una più ampia
rappresentanza alla Camere. In tale prospettiva il duce fece sciogliere le Camere e fece approvare
la legge Acerbo3 . Nel gennaio 1924 le elezioni vennero fissate per il 6 aprile. I fascisti di
presentarono nel cosiddetto listone (liberali, clericali e fascisti) a cui si contrapposero i liberali,
democratici, socialisti, comunisti e repubblicani. La campagna elettorale si svolse in un clima
d’intimidazione e di sopraffazione sistematica delle opposizioni, ed i risultati furono favorevoli al
listone, che si presentava come una soluzione alternativa al pericolo rosso rappresentato dal
socialismo e dal comunismo. Nella nuova Camera il deputato del partito socialista, Giacomo
Matteotti, contestò la validità delle elezioni e fornì un ampio e documentato elenco delle violenze
compiute dai fascisti nel periodo pre-elettorale. Matteotti tenne il suo discorso alla Camera il 30
maggio 1924. Il 10 giugno fu aggredito a Roma da quattro loschi figuri dello squadrismo, rapito
in automobile e trucidato. Il suo cadavere fu ritrovato il 16 agosto. L’emozione nel paese fu
enorme, si ebbe così uno sbandamento parziale anche nelle stesse file del fascismo, mentre i
gruppi d’opposizione, tranne i comunisti, decisero di abbandonare la Camera e si riunirono in
un’altra sala di Montecitorio, sino a quando il governo non avesse fatto chiarezza sul fatto e si
fosse tornati alla legalità. Questa secessione detta dell’Aventino era ispirata dall’ipotesi che il
governo dovesse dimettersi. Alcuni speravano in un intervento del monarca, ma egli in realtà
aveva già fatto la sua scelta nel 1922, lo stesso Giolitti non partecipò all’Aventino. Altri, come i
comunisti, speravano in una mobilitazione di massa, ma ciò avrebbe significato una ripresa della
politica di sinistra e ciò spaventava la borghesia ed i conservatori. In realtà Mussolini, dopo un
primo momento di perplessità, passò alla controffensiva: il 10 luglio un decreto-legge assegnava
al governo i più ampi poteri di controllo sulla stampa ed il 3 gennaio 1925 annunziò alla Camera
1
Organo politico del regime fascista che divenne operante nel dicembre del 1922. Composto dai dirigenti che
detenevano posizioni di rilievo sia nel governo sia nelle organizzazioni paramilitari, sindacali e politiche, fu concepito
come uno strumento per la realizzazione dello stato fascista. Fu trasformato in un organismo istituzionale con una legge
predisposta da Alfredo Rocco e promulgata il 9 dicembre 1928.
2
Corpo militare istituito da Mussolini nel 1923 allo scopo d’inquadrare e legittimare le Camicie Nere.
3
Legge di riforma elettorale emanata il 18 novembre 1923. Elaborata da Giacomo Acerbo, la riforma era intesa a
favorire il Partito nazionale fascista. In base ad essa, infatti, alla lista che avesse ottenuto anche una lieve maggioranza
relativa, cioè un numero di voti superiore a quello delle liste concorrenti, sarebbero spettati i due terzi dei seggi alla
Camera; i seggi rimanenti sarebbero stati ripartiti proporzionalmente fra le altre liste.
la fine di ogni garanzia liberale statutaria, assumendosi la responsabilità politica, morale e storica
di tutto quanto era avvenuto.
La famosa normalizzazione si rivelava per quello che era effettivamente: non un ritorno alla
legalità liberale, ma l’instaurazione di un regime autoritario. Il terrorismo reazionario, secondo le
previsioni di Gramsci, era diventato Stato. Nel giro di pochi anni, con le cosiddette leggi
fascistissime, il fascismo completò la propria edificazione in regime totalitario, ed ogni residua
libertà politica e sindacale vennero a cessare. Tuttavia il regime fascista, a parere di alcuni storici,
diede luogo ad un totalitarismo imperfetto, nella misura in cui dovette scendere a compromessi
con le forze tradizionali della società italiana, quali la Chiesa, l’esercito e la monarchia. La stampa
fu progressivamente imbavagliata mediante censure, sospensioni delle pubblicazioni, sequestri,
allontanamento coatto di direttori non graditi alle autorità. Tra il febbraio ed il settembre 1929 due
disposizioni di legge sostituirono ai sindaci ed ai consigli comunali i podestà e le consulte di
nomina governativa. Il 3 aprile 1926 venne istituita l’Opera Nazionale Balilla4 (sostituita nel 1937
dalla Gioventù italiana del Littorio), che aveva il compito di monopolizzare l’educazione dei
giovani e di forgiare le nuove generazioni secondo ideali del militarismo fascista. Scioperi e
serrate vennero proibiti ed ogni sentenza sui contratti nazionali di lavoro venne deferita alla corte
d’appello, che per l’occasione fungeva da Magistratura del Lavoro. Nel gennaio del 1927 la CGL
viene sciolta. Nell’aprile del 1927 il gran Consiglio del Fascismo approva la Carta del Lavoro, che
ufficialmente segna l’atto di nascita dello Stato corporativo 5. Lo stato corporativo venne attuato
giuridicamente nel 1934 con l’istituzione di 22 Corporazioni. Sulla base di questa premessa, nel
gennaio del 1939 al Camera dei deputati venne sostituita da una Camera dei Fasci e delle
Corporazioni, lo stato corporativo non si fondò affatto sulla rappresentanza delle categorie
economiche e sulla collaborazione tra capitale e lavoro, piuttosto sulla subordinazione delle
categorie economiche al regime. Il sistema corporativo funzionò soprattutto come mezzo di
sviluppo di alcune importanti oligarchie industriali (Montecatini, Pirelli, Fiat) che videro
aumentare rapidamente i loro profitti in regime di prezzi artificialmente, sostenuti a danno dei
consumatori. Certamente si ebbe un incremento dell’occupazione ed un’elevazione del reddito,
ma si ebbe anche un aumento del debito pubblico. I deputati dell’opposizione vennero dichiarati
decaduti dal mandato parlamentare; tutti i partiti e le associazioni non fasciste vennero dichiarate
illegali; fu reintrodotta la pena di morte ed un Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Nel
1928 venne attuata una riforma elettorale, il numero dei candidati della camera fu fissato a 400, i
candidati sarebbero stati proposti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e da una
4
Organizzazione ricreativa e paramilitare sorta durante il regime fascista, rivolta all'educazione morale, fisica e politica
della gioventù secondo i valori del fascismo. Istituita nel 1926, organizzava i ragazzi dagli otto ai dieci anni nei "balilla"
ed i giovani tra i dodici ed i diciotto anni negli "avanguardisti". Divenne nel 1928 l'unica associazione giovanile
autorizzata: per questo motivo fu criticata dalle gerarchie ecclesiastiche che si sentivano minacciate in un terreno
tradizionalmente da loro egemonizzato. L'organizzazione fu sciolta nel 1937 per essere assorbita nella Gioventù italiana
del Littorio.
5
Sistema politico ed economico che si propone di superare l'antagonismo fra lavoratori e datori di lavoro, creando un
sistema di mediazione degli interessi sotto l'egida dello stato. Il fascismo italiano adottò il corporativismo come forma
istituzionale capace di promuovere la solidarietà nazionale e la produzione, subordinando gli interessi dei lavoratori e
degli imprenditori all'interesse supremo dello stato. Le relazioni industriali sotto il fascismo, tuttavia, furono regolate
sostanzialmente in modo autoritario attraverso il divieto di sciopero ed il Sindacato unico fascista, che era dotato di
personalità giuridica pubblica. Le corporazioni furono inizialmente concepite come organi di collegamento tra le
organizzazioni sindacali nazionali con compiti di conciliazione delle controversie di lavoro. L'ordinamento corporativo
trovò piena attuazione legislativa nel 1934; nel 1939 il Consiglio nazionale delle corporazioni si fuse con il Consiglio
nazionale del partito fascista per dare vita alla Camera dei fasci e delle Corporazioni. L'ordinamento corporativo italiano
fu soppresso nel 1944.
serie di enti morali; il Gran Consiglio del Fascismo avrebbe scelto tra questi nominativi (con la
facoltà d’indicarne dei propri) 400 deputati da presentare all’attenzione degli elettori. Se la lista
avesse avuto almeno la metà dei consensi sarebbe stata approvata in blocco.
La lotta attiva contro il Fascismo, che poteva costare il carcere o la vita, fu condotta da un’esigua
élite, costretta alla clandestinità o all’esilio. Il fuoriuscitismo divenne un fenomeno estremamente
importante per combattere la dittatura fascista. La data d'inizio del movimento antifascista si può
far risalire all'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924). Con le leggi
eccezionali del 1925-26 Benito Mussolini abolì le libertà politiche e costrinse gli oppositori alla
clandestinità o all'emigrazione. Dopo il 1926, infatti, ogni forma di opposizione al fascismo fu
condannata come un delitto contro lo Stato; di conseguenza i membri più rappresentativi dei
partiti d'opposizione (di formazione democratica, socialista, comunista, liberale e cattolica) furono
perseguitati (taluni condannati a lunghe pene detentive od al confino) oppure costretti a riparare
come esuli all'estero, dove costituirono gruppi ed organizzazioni che ebbero soprattutto Parigi
come centro principale della battaglia contro il regime. L'unica voce di dissenso tollerata dal
regime fu quella del filosofo, di fama internazionale, Benedetto Croce, di formazione politica
liberale moderata, che poté continuare ad operare ed a scrivere in Italia negli anni del fascismo.
Promotore nel 1925 del celebre "Manifesto degli intellettuali antifascisti", Croce diventò il
principale punto di riferimento e la guida morale dell'antifascismo d'ispirazione liberale e di tutti
gli intellettuali non allineati al regime. Fra le altre autorevoli voci della prima stagione
dell'antifascismo vanno ricordate anzitutto quelle dei liberali democratici Giovanni Amendola (già
promotore della protesta parlamentare dell’Aventino) e Piero Gobetti (giovane intellettuale
torinese che fu animatore della rivista "Rivoluzione liberale"), dello storico Gaetano Salvemini
(ex socialista e già interventista democratico), del cattolico democratico don Giovanni Minzoni.
Dopo le leggi eccezionali del 1926, numerosi antifascisti furono costretti a scegliere la via
dell'emigrazione e presero il nome, che i fascisti dettero loro, di fuoriusciti; fra questi vanno
ricordati l'ex presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti, il fondatore del Partito popolare
Luigi Sturzo, i socialisti Claudio Treves, Filippo Turati e Pietro Nenni. Alcide De Gasperi, ultimo
segretario del Partito popolare, trovò rifugio in Vaticano. In Italia gli antifascisti poterono
esercitare una scarsa influenza politica, tuttavia essi continuarono ad alimentare dall'estero la
speranza di un ritorno della libertà e per primi studiarono il fenomeno del fascismo. Dopo l'arresto
di Antonio Gramsci nel novembre del 1926, il Partito comunista d'Italia costituì un centro estero a
Parigi, sotto la direzione di Togliatti, ma mantenne un collegamento con alcuni gruppi di militanti
che avevano scelto di organizzarsi e di operare in clandestinità in patria, pur subendo numerosi
arresti e condanne. Un altro centro di opposizione al regime si formò, sempre a Parigi, nel 1927
con la Concentrazione antifascista a cui aderirono principalmente esponenti delle correnti del
socialismo italiano e che si propose il compito di denunciare all'opinione pubblica internazionale
il carattere illiberale del regime mussoliniano. In polemica sia con le analisi marxiste che con
l'attività della Concentrazione, giudicate attendiste, sorse nel 1929 il movimento Giustizia e
Libertà (GL) per iniziativa dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Il manifesto teorico del gruppo era
contenuto nell'opera Socialismo liberale che Carlo Rosselli pubblicò a Parigi nel 1930: si
teorizzava una terza via, tra capitalismo e socialismo, come prospettiva nuova che recuperasse i
valori liberali e fondasse quella tradizione democratica che fino allora era mancata in Italia.
Gruppi di GL si formarono in Italia soprattutto tra gli studenti universitari, molti dei quali (come
Ernesto Rossi, Ferruccio Parri, Leone Ginzburg) furono arrestati e condannati a lunghe pene
detentive. Neppure l'esilio bastava a garantire la vita: Carlo e Nello Rosselli furono assassinati nel
1937 da sicari francesi per ordine del governo italiano. Alla metà degli anni Trenta l'antifascismo
italiano riuscì a stabilire nuovi livelli di collaborazione: a questa svolta concorsero alcuni eventi
internazionali. Fu importante la linea politica adottata nel 1935 dall'Internazionale comunista, che
indusse i comunisti italiani a stabilire alleanze con le forze socialiste e democratiche per
fronteggiare l'avanzata dei fascismi europei, ormai rafforzati dal successo dei nazisti in Germania.
Inoltre la partecipazione di più di tremila volontari italiani, in massima parte provenienti dagli
ambienti dell'emigrazione politica, alla guerra civile spagnola in difesa della repubblica creò le
premesse per una collaborazione operativa, che faceva in Spagna le sue prove anche sul terreno
militare. Nella penisola iberica combatterono alcuni uomini che avrebbero avuto una parte di
rilievo nella Resistenza e nella Repubblica italiana, quali Nenni, Sandro Pertini, Giuseppe Di
Vittorio. Per la repressione dell’antifascismo, il regime istituì l'OVRA (organo di polizia segreta
costituito nel 1926 dal regime fascista italiano allo scopo di reprimere le attività antifasciste e più
in generale di impedire qualsiasi forma di dissenso e di opposizione) che poteva adottare
procedure di intervento libere da controlli, servirsi di una propria rete di informatori ed operare
anche al di fuori dei confini nazionali. La sua esistenza non venne mai ufficializzata, al punto che
è tuttora dubbio il significato della sigla.
Il fascismo fu largamente favorito dall’atteggiamento benevolo e conciliante di papa Pio XI
(1922-39). Per la Chiesa il fascismo si presentava infatti come una controrivoluzione preventiva
contro il comunismo ateo. Da parte di Mussolini i motivi che spingevano all’accordo erano più
semplici ed immediati. Malgrado il suo superficiale e violento anticlericalismo, egli considerava
la Chiesa come una tradizionale forza d’ordine, di disciplina, di gerarchia, pericolosissima come
nemica, preziosissima come alleata, e voleva trasformarla in un pilastro del fascismo. Dalle due
parti esistevano dunque ragioni di convergenza. I contatti, iniziati sin dal 1926, per una
conciliazione fra Stato e Chiesa vennero portati a buon termine l’11 febbraio 1929 quando
Mussolini ed il cardinale Gasparri firmarono i Patti Lateranensi articolati in un concordato, in una
convenzione finanziaria in un trattato. Con il trattato s’abrogava la legge delle guarentigie e si
riconosceva alla Santa Sede al piena sovranità sul Vaticano e la Chiesa a sua volta riconosceva il
Regno d’Italia con Roma capitale. Con la Convenzione finanziaria l’Italia si obbligava a versare
la somma pari circa a 2000 miliardi di lire a titolo d’indennizzo per l’occupazione del Vaticano
nel 1870. Con il concordato, rimasto in vigore sino al 1984 (rivisto dagli accordi Craxi-Casaroli),
si riconosceva il cattolicesimo religione di stato in Italia, si definiva una nuova disciplina del
matrimonio religioso che, regolato dal diritto canonico, aveva tutti gli effetti civili e
dell'insegnamento della religione; i chierici venivano esonerati dall’obbligo del servizio militare e
lo stato s’impegnava ad usare speciali riguardi nel caso di procedimenti penali contro prelati; i
preti apostati ed irretiti da censura non potevano esercitare alcun ufficio che li mettesse a contatto
con il pubblico. Inoltre si riconoscevano le organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica, nella
misura in cui svolgessero la loro attività al di fuori di ogni partito politico, per la diffusione e
l’attuazione di dei principi cattolici.
Nella prima fase (dal 1922 al 1924) la politica economica del fascismo fu favorita da un ciclo di
espansione economica e si caratterizzò, nell’azione del ministro delle finanze Alberto de Stefani,
per una serie di provvedimenti ispirati ai principi del liberismo economico. La lira, dopo un
periodo di stabilità, riprese a deprezzarsi fra il 1925-26. Tale deprezzamento, se per un verso
conservava la competitività dei nostri prodotti sul piano internazionale, per l’altro rendeva
rovinoso l’acquisto all’estero di materie prime e del grano in special modo. Il governo pensò
dunque di ricorrere ai ripari e decise di difendere la lira al oltranza, mediante provvedimenti
monetari intesi a contenere le importazioni di grano, petrolio, minerali e cellulosa. Il traguardo di
quota novanta – così definito perché portò il cambio con la sterlina a poco più di novanta lire – fu
annunciato dal duce nel 1926, ovviamente tutto ciò fu reso possibile anche grazie alla
compressione dei salari. Con la crisi del ’29 la politica economica del fascismo entrò in una nuova
fase, connotata da una sempre più massiccia presenza dello stato nelle attività produttive e
finanziarie. Poiché le banche si trovavano in gravi difficoltà nel 1931 venne creato l’IMI (Istituto
Mobiliare Italiano), per concedere prestiti a lungo e breve termine alle grandi industrie mentre le
piccole aziende venivano falciate. Il processo di concentrazione industriale subì una forte
accelerazione nel 1932 favorendo la fusione di aziende che ne facevano richiesta. Nascevano così
potentissimi trust in condizione di monopolio, come quello delle industrie idroelettriche, come
quello degli zuccherieri, protetto da dogane, o come la società di Montecatini che si consolidò.
Nel gennaio del 1933 viene fondato l’IRI6. La battaglia del grano iniziata nel 1925 era rivolta a
diminuire l’importazione del grano, essa ottenne notevoli risultati, culminati nel 1933 con una
produzione che copriva quasi per intero il fabbisogno nazionale, con lo svantaggio che il grano
nazionale raggiunse dei prezzi molto superiori a quello straniero. Nel 1928 fu iniziato un
programma di bonifica integrale, esito estremamente vantaggioso l’ebbe la bonifica dell’Agro
Pontino, in questo territorio vennero costruite anche due città: Littoria e Sabaudia ed alcuni borghi
rurali. Allo scopo di frenare gli effetti della crisi economica mondiale il fascismo fra il 1929-34
diede un particolare impulso ai lavori pubblici, sviluppando la rete autostradale, ferroviaria ed
incrementando l’edilizia pubblica, trasformandosi così in uno stato imprenditore. Sempre in
quest’ottica a partire al 1935 in campo economico di ebbe una forte tendenza all’autarchia, cioè
all’autosufficienza economica. Il commercio con l’estero venne sottoposto ad uno stretto
controllo, si procedette alla ricerca di giacimenti minerari. L’intervento statale risultò ancora più
massiccio aumentando la produzione militare e l’accentuazione di un regime di protezione
doganale. Distrutto ogni autentico sindacalismo, il fascismo varò una legislazione sociale che
stabiliva in otto ore la durata del lavoro, che elevava da 12 a 14 anni l’età minima per l’assunzione
dei giovani. Più autentiche furono le cure che il regime dedico alla maternità con l’Opera
Nazionale per la maternità e per l’infanzia fondata nel dicembre del 1925. Per l’aumento
demografico fu imposta una tassa sul celibato, delle facilitazioni fiscali per le famiglie numerose,
la premiazione delle madri prolifiche.
Scopo dichiarato della politica estera fascista, fin dai primissimi atti e discorsi politici di Mussolini,
era quello di assicurare "ad un popolo di quaranta milioni di individui" un posto di primo piano
sulla scena mondiale. Questo significava annettere all'Italia territori coloniali dove "esportare" la
propria eccedenza demografica attraverso la valorizzazione delle colonie esistenti e poi - nel 1935 con la conquista dell’Etiopia. Contemporaneamente, la politica a breve periodo previde - fin quando
possibile - la revisione dei trattati sottoscritti dall'Italia fra il 1918 e il 1922 che "mutilavano" la
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Impresa pubblica fondata il 13 gennaio 1933 allo scopo di provvedere al salvataggio di alcune banche messe in
difficoltà dalla crisi del 1929 (Banca Commerciale Italiana, Credito italiano, Banco di Roma) ed alla gestione delle
aziende industriali in precedenza affidate all'Istituto di liquidazione creato dal governo nel 1926. Nel 1937 assunse il
controllo e la gestione delle imprese a partecipazione statale, quelle cioè di cui lo Stato italiano era in qualche misura
azionista; a tal scopo, l'IRI creò una serie di società finanziarie sotto il proprio controllo per i singoli settori di attività.
Sino al 2002, anno in cui cessò di esistere perché sottoposto ad un processo di privatizazione, aveva inoltre il controllo
dei trasporti aerei tramite il gruppo Alitalia, della società Autostrade, che gestisce la rete autostradale, e della RAI, nel
campo delle comunicazioni radiotelevisive.
vittoria nella grande guerra e che portarono l'Italia ad acquisire Fiume nel 1924. Spartiacque della
politica estera fascista fu essenzialmente la prima crisi austriaca del 1934, con il tentativo di Hitler
di annettere l'Austria dopo aver fatto assassinare il cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss (amico
personale di Mussolini). In quel frangente l'Italia schierò le proprie divisioni al Brennero,
minacciando un'azione militare in difesa dell'alleato austriaco, se la Germania avesse varcato le
frontiere. Di fronte a questa crisi - tuttavia - le potenze europee rimasero a guardare, ingenerando in
Mussolini la penosa sensazione che in caso di guerra fra Italia e Germania, la sua nazione sarebbe
stata lasciata sola. Così nel 1925 l’Italia aderì ai patti di Locarno e ci fu una collaborazione con il
governo inglese. Era il periodo in cui il fascismo cercava di consolidare il suo potere tanto
all’interno quanto all’estero, del resto l’amicizia con l’Italia all’Inghilterra giovava per ottenere un
compromesso nel Mediterraneo dinanzi alla crescente influenza francese. Da ciò i rapporti italofrancesi ne risultarono compromessi. Rimase ferma invece la linea d’amicizia con Inghilterra ed
USA. Quando infine la Germania uscì dalla SDN accostò alla Francia ed all’Inghilterra nel Fronte
di Stresa. Tale alleanza fu il frutto di un incontro tenutosi nella cittadina di Stresa sul Lago
Maggiore tra l’11 e il 14 aprile del 1935 tra i governanti di Gran Bretagna, Francia e Italia in
risposta al rifiuto di Hitler di accettare le clausole del trattato di Versailles (1919), che ponevano
limiti al riarmo della Germania. La conferenza, comunque, si rivelò l'ultima dimostrazione di unità
tra gli ex alleati della prima guerra mondiale contro l'antico nemico: il "Fronte di Stresa" si sciolse
rapidamente a causa del perseguimento di strategie diplomatiche divergenti. Nel maggio del 1935 la
Francia firmò un patto franco-sovietico con Stalin ed alcuni mesi dopo la Gran Bretagna inaugurò la
sua politica di appeasement7, stipulando unilateralmente un trattato con la Germania (trattato navale
anglo-tedesco). Pertanto la contraddittoria politica Inglese e Francese, unitamente alla scarsa
coesione del Fronte di Stresa, convinse Mussolini di dover dotare l'Italia di un potente impero
coloniale al più presto, come "retrovia" e riserva demografica, industriale, agricola e di materie
prime in caso di un nuovo conflitto generalizzato in Europa. Giocoforza, questo impero non poteva
che essere cercato in Abissinia, uno dei pochi territori africani ancora indipendente. La campagna fu
condotta con un imponente dispiegamento di forze e vinta con relativa facilità. Dal punto di vista
propagandistico, essa fu il più grande successo del regime fascista: riuscì a attirare intellettuali e
perfino antifascisti attorno ai leitmotiv del posto al sole, della liberazione degli abissini dalla
schiavitù e della rinascita dell'Impero Romano. L'invasione dell'Etiopia fu intrapresa nell'ottobre
del 1935 con l'occupazione di Adua. La Società delle Nazioni intervenne con un appello alla
cessazione del conflitto, accusando l'Italia di aver bombardato obiettivi civili, di aver fatto uso di
gas asfissianti e di aver colpito bersagli protetti dalla Croce rossa. Il negus Hailé Selassié
abbandonò la capitale Addis Abeba, che venne occupata il 5 maggio dalle truppe italiane, passate
7
Politica di compromesso seguita, a costo di pesanti concessioni, dai governi britannico e francese nei confronti delle
tendenze espansionistiche della Germania nazista e dell'Italia fascista negli anni Trenta. Dettata dalla convinzione di
poter scongiurare una guerra europea, la politica di appeasement ("pacificazione") si tradusse fin dall'inizio in una serie
di cedimenti di fronte alle mire aggressive italo-tedesche.
sotto il comando del maresciallo Pietro Badoglio. Quattro giorni dopo Mussolini in un discorso alla
folla annunciò la nascita dell'impero dell'Africa Orientale Italiana, costituito da Eritrea, Somalia ed
Etiopia, la cui corona fu assunta da Vittorio Emanuele III. Come conseguenza dell'aggressione
all'Etiopia, l'Italia subì la condanna della Società delle Nazioni, che determinò un blocco
commerciale del mar Mediterraneo e le sanzioni economiche condotte da 52 nazioni (fra cui tutte le
potenze coloniali europee). Ciò favorì l'avvicinamento economico e politico dell'Italia
alla Germania nazista (sebbene questa avesse rifornito di armi l'Etiopia in funzione anti-italiana sino
a poco prima del conflitto), che era già uscita dalla Società delle Nazioni e aveva denunciato
gli accordi di Versailles. Pertanto, lungi dal rafforzare economicamente il paese, la conquista
dell’Etiopia in politica estera determinò l’allontanamento dalla Francia e dall’Inghilterra, spingendo
l’Italia ad allinearsi in maniera crescente con la Germania nazista (1936: Asse RomaBerlino, 1937: Patto Anticomintern ; 1939: Patto d'Acciaio in funzione offensiva). L’avvicinamento
alla Germania di Hitler fu cementificato anche dall’introduzione in Italia dell’antisemitismo. Le
leggi razziali in Italia furono una questione squisitamente politica priva di qualsiasi contenuto
ideologico, poiché gli ebrei che vivevano in Italia erano perfettamente integrati nel tessuto sociale e
mancava nella mentalità collettiva nazionale quel mito della superiorità della razza tanto
sponsorizzato in Germania. L’emanazione delle leggi razziali avvenne nel 1938: vennero vietati i
matrimoni tra ebrei ed i dipendenti dello stato. Gli ebrei non potevano possedere aziende o beni
immobili che oltrepassassero un cero valore, né prestare servizio nella pubblica amministrazione, né
assolvere al servizio militare. Vennero esclusi dalle scuole pubbliche. Tali provvedimenti non
furono mai accettati dal popolo italiano che restò impermeabile alla campagna propagandistica del
regime.