Diego Manetti
Canobbio - riassunto
Giacomo Canobbio, Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso di un
controverso principio teologico (Queriniana, Brescia 2009).
PREFAZIONE
Nel corso del XX secolo il fenomeno del pluralismo religioso e le conoscenze offerte dai media hanno reso
ineludibile il verificare se le singole religioni potessero proporsi con uguale dignità quali luoghi di esperienza
salvifica. È una sfida lanciata alla teologia cristiana: se tutte le religioni sono luoghi di esperienza salvifica, che
ne è della missione della Chiesa? Ha ancora senso affermare “extra ecclesiam nulla salus”?
INTRODUZIONE
Quando si esamina un principio teologico, occorre tenere presente la storia che l’ha prodotto, guardandosi dagli
opposti pregiudizi per cui “ciò che è più antico è migliore” o “ciò che è più recente è più vero”.
Anche la teologia conosce un certo tipo di progresso, tuttavia il criterio di verità delle sua proposizioni non è il
progresso bensì la fedeltà alla rivelazione.
Questo vale per “extra ecclesiam nulla salus”: l’odierno pluralismo religioso parrebbe porre fuori gioco un tale
principio, senza neppure discuterne la validità, mentre il presente testo mira a studiarne l’eventuale odierna
pertinenza.
Tre prospettive in cui collocare la questione (Schineller):
 Ecclesiocentrismo: extra ecclesiam nulla salus (fino a metà XX sec.) – cristologia esclusiva
 Cristocentrismo: in virtù di Cristo ci si salva anche se si è orientati alla Chiesa solo implicitamente
(anni ’50-’60) – cristologia inclusiva (Cristo è via di salvezza costitutiva, non esclusiva)
 Teo/Pneumato/Regnocentrismo: tutti si salvano perché tutte le religioni in quanto tali sono salvifiche
(anni ’50-‘60) – cristologia normativa (Cristo è via di salvezza normativa, cioè esemplare, ma non
costitutiva)
 Teo/Pneumato/Regnocentrismo: tutti si salvano perché tutte le religioni in quanto tali sono salvifiche
(oggi) – cristologia non normativa (Cristo è solo una delle molteplici vie di salvezza).
Chi sostiene la quarta posizione oggi lo fa invocando la trascendenza di Dio (per cui non potrebbe
identificarsi/ridursi con una sua manifestazione storica, neppure con Gesù) e i limiti della conoscenza
umana, come pure il fatto che un dialogo autentico richiede che nessuno pretenda di possedere la verità.
Triplice esito di queste premesse: il cristianesimo non ha pretese di assolutezza; Cristo non è l’unico
salvatore; la Chiesa non è necessaria per la salvezza. Si superano ecclesiocentrismo e cristocentrismo e ci si
orienta al soteriocentrismo.
Superamento dell’ecclesiocentrismo - Tradizionalmente il cristianesimo si identifica con la Chiesa cattolica
e questa è considerata unico luogo di salvezza, distinguendo la appartenenza reale (re) e di desiderio (voto)
per riaffermare che extra ecclesiam nulla salus. L’attività missionaria ha come scopo la implantatio
ecclesiae e la conversione degli infedeli. Dopo il CVII tale ecclesiocentrismo inizia a esser superato in virtù
della distinzione tra Regno di Dio (meta finale) e Chiesa (suo germe e inizio) espressa in LG 5, mentre
prima le due realtà coincidevano. Adesso si afferma che la Chiesa è sacramento (segno e strumento) del
regno, dunque il fine degli uomini non è la Chiesa ma il Regno di Dio. E tale regno non può rinchiudersi
nella sola Chiesa cattolica perché ciò sarebbe un limitare la signoria di Dio su tutta la creazione.
La Dichiarazione Nostra Aetate (1965) per la prima volta si occupa del rapporto tra Chiesa e religioni,
affermando che rispetta le dottrine che “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti
gli uomini” (NA 2), riconoscendo che “tutto ciò che di buono e vero si trova in loro (i non cristiani, ndr) è
ritenuto dalla Chiesa una preparazione ad accogliere il Vangelo” (LG 16). Pure il decreto sull’attività
missionaria della Chiesa Ad Gentes (1965) rimanda alla dottrina dei “semi del Verbo” e riconosce del buono
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in “usi e civiltà particolari dei popoli” (AG 9), intesi come “preparazione al Vangelo” (AG 3).
La novità è che nelle diverse religioni si vede un riflesso della verità. Per cui la missione della Chiesa non
è spingere i non cristiani ad abbandonare le proprie credenze bensì a progredire verso il compimento della
verità.
Non si dice ancora che le altre religioni possano esser via di salvezza, privilegiando invece l’unione dei
singoli uomini con Cristo: Cristo è morto per tutti e lo Spirito Santo dà a tutti gli uomini di buona volontà la
possibilità di partecipare, “nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (GS 22).
Si supera l’ecclesiocentrismo (Cristo è il salvatore di tutti, anche extra ecclesiam) ma resta la necessità della
Chiesa per la salvezza (LG 14). Resta da determinare in che senso.
Superamento del cristocentrismo – Oggi si afferma però che il passaggio dall’eccl. al cristocentrismo non è
sufficiente perché si lascerebbero le diverse religioni in una situazione di incompiutezza.
La rivoluzione copernicana ha inizio con Karl Rahner (1904-1984), teorizzatore dell’uomo quale
“cristiano anonimo” implicito accanto ai cristiani pieni ed espliciti. Per cui le diverse religioni sarebbero
espressioni della presenza universale della grazia di Cristo, “nascosto” nelle diverse fedi. Nelle diverse
religioni ci si salva dunque in forza di Cristo, benché Egli non sia manifestato come nel cristianesimo. Cristo
resterebbe nascosto, come in fondo lo è rimasto nell’alleanza con Noé che, mai revocata, avrebbe preparato
la successiva.
Ogni religione sarebbe incontro dell’uomo con Dio, anzi con Gesù Cristo, benché non lo si riconosca
esplicitamente. Questa visione permetterebbe di salvare i due principi (1) della universale volontà salvifica
di Dio e (2) della salvezza che per tutti si realizza in Cristo. Cristo è dunque necessario per la salvezza di
tutti, mentre la Chiesa è necessaria alla salvezza solo di quanti vi appartengono.
La posizione attuale si diversifica nella terza e quarta prospettiva sopra indicata: un universalismo
teocentrico in cui Gesù Cristo resta normativo, oppure è semplicemente una tra le diverse manifestazioni di
Dio.
Il rischio è separare il Gesù della storia dal Cristo della fede, trasformando Cristo in un mito (Bultmann).
Panikkar distingue la fede (rapporto vissuto con una trascendenza, comune a tutte le religioni) e credenza (il
“mito” religioso nel quale la fede assume espressione concreta) per cui Cristo è più ma non altro rispetto a
Gesù. Per cui la fede cristiana sarebbe uguale a quella di ogni altre religione, differenziandosi invece e solo
per la credenza. Altri sostengono tale superamento del cristocentrismo in nome di una economia dello
Spirito (che soffia dove vuole - Gv 3, 8) che si porrebbe successivamente o in parallelo all’economia di
Cristo.
Tutte queste posizioni sono superate dall’Enciclica Redemptoris Missio che afferma esser “contrario alla
fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo” (RM 6; ribadito da Dominus
Iesus 10).
Tendenza al soteriocentrismo – Se Cristo è solo una delle manifestazioni di Dio, non si può dire che Cristo
sia il salvatore di tutti, poiché solo Dio lo è (John Hick). Occorre superare la pretesa di universalità del
cristianesimo, riconoscendo l’equivalenza delle diverse religioni. Unico parametro per valutare le quali
sarebbe la prospettiva di salvezza, tanto da parlare addirittura del “mito della unicità cristiana” (Paul
Knitter). In questo modo si tralascia però la questione della verità. Che rende più facile il dialogo, ma
senz’altro meno autentico (pensiero debole). Si metterebbe tra parentesi la fides quae (dottrina e contenuti di
verità) per incentrarsi sulla fides qua (per la salvezza). Se si sceglie l’apofatismo (di Dio non si può parlare,
è ineffabile), ogni prospettiva di dialogo perde consistenza (di che parlare se non posso parlare in quanto Dio
è indicibile?).
Se la tradizione ha sempre riconosciuto nella Scrittura, nella Sacra Tradizione, nel Magistero le fonti
principali della fede, ora si parlerebbe invece di mutamento di “paradigma” (H. Kueng) e si arriverebbe
addirittura a parlare della necessità di superare il cristianesimo. Ma è dalla tradizione che si deve partire per
verificare la pertinenza di tale posizione.
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CAPITOLO 1 – ALL’ORIGINE DEL PRINCIPIO EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS
Bisogna verificare la odierna convinzione che tale principio non valga più.
Il clima in cui questo principio matura è la originaria convinzione che il cristianesimo sia il compimento
dell’ebraismo (attese messianiche) e il suo superamento (dall’elezione di Israele all’universalismo di Cristo),
con una definitività che differenza il cristianesimo dai culti pagani, rispetto ai quali si vive un clima di
opposizione radicale, mentre c’è una certa apertura nei confronti della filosofia ellenistica che viene riletta
spesso come praeparatio evangelica.
La tradizione giudaica e quella ellenistica mostrano che Dio si è fatto conoscere prima di Gesù Cristo in cui
ha termine l’attesa scandita nei secoli da promesse e profezie. Si pone dunque il problema della salvezza per
quanti sono nati e morti prima di Cristo, alla luce della volontà salvifica universale di Dio.
Il cristianesimo come novità e compimento – Giustino (+167), filosofo convertito al cristianesimo, afferma
che in esso si trova la verità in forma definitiva. Chi è venuto prima di Cristo o non lo ha conosciuto, se vive
secondo il Verbo può esser detto cristiano. Il cristianesimo è compimento e vera filosofia sia rispetto al
pensiero greco (Apologie), sia al giudaismo (Dialogo con Trifone). La filosofia è una forma di rivelazione di
quella verità che appartiene al Cristianesimo perché viene dal Logos. Quindi è “logico” che si aderisca al
cristianesimo, ove si compiono la sapienza greca e la fede giudaica.
La recente teologia delle religioni fa riferimento ai Logos “seminatore” di Giustino per parificare le diverse
religioni, omettendo però i riferimenti di Giustino al Logos come apparso appieno in Cristo, dunque non è
possibile usare il pensiero del martire per sostenere che il Logos abbia diffuso i suoi semi ovunque nel
mondo, né per dire che la filosofia sia preparazione al cristianesimo.
Diverso è il caso di Clemente Alessandrino, secondo il quale Dio ha dato la legge ai Giudei e la filosofia ai
Greci come propedeutiche al cristianesimo. Anche in questo caso si tratta però di prospettive parziali rispetto
alla verità manifestatasi totalmente in Cristo. La filosofia ha però un ruolo introduttivo finché il Vangelo non
sia accolto personalmente, dopo di che potrà esser abbandonata (Protrettico) per aderire alla verità fatta
carne.
Come afferma Ireneo di Lione, una volta che la verità si è manifestata in Cristo, non si può più restare nella
fase preparatoria, ormai terminata.
Inoltre filosofia e Legge non stanno sullo stesso piano: la Legge è più antica, per non dire dei vizi in cui sono
caduti molti filosofi pagani, per cui Tertulliano afferma che un cristiano e un filosofo non hanno nulla in
comune (Apologeticum).
Insomma, alla letteratura cristiana dei primi secoli pare chiaro che giudaismo e filosofie pagane hanno ormai
esaurito il loro compito in ordine alla salvezza. Restano due quesiti: (1) quale destino per chi è morto prima
di Gesù Cristo?; (2) perché il Salvatore è giunto così “tardi”?
Il primo quesito nasce dalla tensione tra un fatto puntuale (l’incarnazione del Verbo) e la pretesa
universalistica di salvezza: Cristo è venuto per salvare tutti, anche coloro che son venuti prima di Lui. La
discesa di Cristo agli inferi (1Pt 3, 18-20; 4, 6) offre lo spunto per dire che Cristo fu attivo nei giorni tra la
morte e la resurrezione e predicò la salvezza, amministrando il Battesimo (Lettera degli apostoli, apocrifa) ai
giusti dell’AT, compiendo un atto trionfale di liberazione a beneficio dei giusti, contro la morte e il demonio.
Cristo annuncia il Vangelo e battezza: è necessario entrare nella Chiesa per salvarsi, e tale necessità
conserva in particolare il battesimo (Pastore di Erma).
Ancora, 1Pt 3, 20ss offre l’immagine della Chiesa come arca, cioè unico luogo in cui è possibile trovare
salvezza. L’arca è la Chiesa, Cristo il nuovo Noé, l’acqua del diluvio rimanda a quella del Battesimo.
Chi può entrare nell’arca? Per Tertulliano solo i santi e i giusti; per altri tutti, poiché Noé ha accolto animali
mondi e immondi. In tal modo vi è chi intende la Chiesa come luogo dei salvati e chi invece come mezzo di
salvezza.
Dall’arca si passa alla figura della “madre”: emerge il rapporto con la vita, la generazione spirituale,
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riprendendo l’archetipo della dea-donna prolifica che ha il segreto della vita. Così la Chiesa è la
Gerusalemme celeste “che è nostra Madre” (Gal 4, 26), fonte della vita, per cui lasciare la Chiesa significa
lasciare la fede. Chi torna alla fede dopo aver tradito per timore del martirio (Eusebio di Cesarea) è come
ricevesse un nuovo concepimento. Chi fugge dalla Chiesa rinuncia a nutrirsi del latte della fede che ci offre
dal suo seno (Ireneo di Lione). Tertulliano sottolinea come il legame con la Chiesa-Madre sia condizione
necessaria per chiamare Dio “Padre”.
Se questo è il sottofondo, l’assioma “extra…” viene inventato da Origene e Cipriano.
Origene (183-253) nelle omelie su Giosué pone questi – che fa entrare il popolo nella terra promessa – in
parallelo con Gesù – che introduce l’umanità nel Regno di Dio. Quindi paragona la Chiesa a Raab, la
prostituta che accoglie in casa sua gli esploratori di Israele (Gs 2, 1-21). Raab significa “larghezza”
(accoglienza della Chiesa), ma è anche prostituta come la Chiesa è radunata dai peccatori. È pagana, ma
anche gli ebrei per salvarsi devono entrare in essa poiché “al di fuori della Chiesa, nessuno si salva… Qui
infatti c’è il segno del sangue (il battesimo)”.
Il fondamento di questo principio è cristologico: la Chiesa è luogo di salvezza perché corpo di Cristo.
Poiché solo quelli che si troveranno in questa “casa” potranno salvarsi, allora bisogna invitare tutti a entrare.
Cipriano (+258), vescovo di Cartagine, non riconosce il battesimo impartito dagli eretici e afferma che va
(ri)dato, opponendosi a Stefano, vescovo di Roma. Se gli eretici son fuori dalla Chiesa, non possono
rivendicare un bene che appartiene alla Chiesa, cioè il Battesimo. Laddove non c’è l’integrità della fede,
neppure si ottiene l’effetto che questa produce. Solo nella Chiesa si scioglie e si lega, cioè si perdonano i
peccati e dunque solo nella Chiesa si ottiene salvezza. Neppure il martirio giova a chi è fuori della Chiesa,
ancor meno il Battesimo!
La Chiesa è dunque l’unica arca dotata dei mezzi necessari alla salvezza (De catholicae Ecclesiae unitate) e
tra essa e i fedeli c’è una relazione madre-figli, indispensabile per mantenere il legame con Dio-Padre: se si
rifiuta una, si rifiuta pure Dio (De lapsis). “Non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come
madre” (De Cath.) e separarsi dalla Chiesa significa interrompere il legame con la fonte della vita ricevuta
nel Battesimo. Separandosi dal principio della vita, non si può più vivere.
È necessario (ri)battezzare chi era con gli eretici, poiché la Chiesa non può considerare suoi i figli di
un’adultera.
Il tono esortativo di Cipriano può far pensare che il suo “extra…” sia più un richiamo per chi è uscito dalla
Chiesa piuttosto che negare ogni salvezza a chi si trovi (da sempre) al di fuori di essa. Tuttavia restano le sua
affermazioni sul necessario legame tra la Chiesa-Madre e il riconoscimento di Dio-Padre.
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CAPITOLO 2 – SALVEZZA “INCONDIZIONATA” PER TUTTI? UNO SGUARDO ALLE SCRITTURE
CRISTIANE
Si tratta ora di verificare se il principio “extra…” sia in linea con la Scrittura o semplicemente sia nato per
esigenze pastorali legate alla prima comunità cristiana.
La recente Th delle Religioni ricorre volentieri alla Scrittura per giustificare l’idea di una salvezza universale
e arriva alla conclusione che i Padri della Chiesa nei primi secoli avrebbero ristretto la visione biblica,
limitando la possibilità di salvarsi solo a chi appartiene alla Chiesa. La Bibbia, insomma, direbbe che Dio
vuol salvare tutti gli uomini, senza richiedere l’adesione a una particolare forma storica di manifestazione.
Ora, è un dato biblico l’elezione di Israele secondo la categoria dell’Alleanza, cioè una scelta assolutamente
gratuita di Dio. Dio sceglie il popolo meno numeroso perché lo ama e lo ha fatto uscire dall’Egitto (Dt 7,
7ss); per tale elezione, è un popolo santo, separato, “figlio di Dio”, consapevole di avere la funzione
(universalistica) si esser stato scelto (particolare) per esser araldo di Dio tra le genti. È un invito a
partecipare della stessa eredita secondo movimento centripeto: tutti i popoli andranno a Gerusalemme e
riconosceranno come loro Dio il Dio di Israele (Is 60).
Non è necessario appartenere al popolo di Israele per accoglierne il Dio: Naaman il Siro si porta via la terra
di Israele per edificare un altare (retaggio cosmo-biologico dell’appartenenza a terra e razza; 2Re 5); Giona
viene mandato a predicare a Ninive, città pagana, che si converte. Al tempo stesso, Israele è come gli altri
popoli (Amos 9, 7) e anche gli Egiziani riconosceranno il Signore (Is 19): Israele è speciale solo in virtù
dell’elezione gratuita da parte di Dio.
La condizione per partecipare dell’eredità è cambiare i propri costumi e servire solo il Signore (Gs 24),
distruggendo gli idoli: Israele attua la prassi dello sterminio per eliminare i culti pagani.
Dio unico (monoteismo) o solo il + importante (monolatria)? Questione aperta. Forse solo con Elia e il
profetismo del 7°/8° secolo si arriva al monoteismo. Jahvé è perlomeno il supremo dinanzi agli altri dei (Es
20).
Resta una valutazione profondamente negativa delle altre religioni anche nel libro della Sapienza che
condanna i pagani che non hanno riconosciuto il Creatore dalle sue opere (Sap 13), ponendosi nel filone
della polemica anti-idolatrica.
L’universalismo dell’AT emerge dal fatto che, laddove non si neghino altri dei, si afferma però chiaramente
l’universalità di Jahvé, esaltando poi l’alleanza originaria con Noé come aperta all’umanità tutta.
L’alleanza con Noé non viene revocata, benché abbia un carattere particolare in quanto non c’è un contratto
e Noé e la terra siano passivi. La berìth (alleanza) è la promessa di non distruggere più la terra, col segno
dell’arcobaleno che unisce la terra al cielo.
Cam, fratello di Sem e Jafet, vede la nudità del padre ubriaco (Gen 9) e merita la condanna alla schiavitù,
che diverrà soggezione a Israele/Sem, benedetto da Noé e collocato in posizione primaria rispetto agli altri.
Se l’alleanza è aperta all’umanità, il punto di avvio particolare è Israele, centro di una salvezza
universalmente offerta a tutti.
La particolarità di Israele pare superabile in Malachia 1, laddove si dice che a fronte dei tradimenti di
Giacobbe, Dio lo ripudierà a vedrà onorato il suo nome presso altri popoli. È un hapax, di difficile
valutazione. Se non accoglie le altre religioni tout court, almeno approva i culti di altri popoli purché
jahvisti, benché non esclusivisti.
Insomma, l’AT affermerebbe che le diverse religioni non hanno particolare valore se non riconoscono
(magari accanto ad altri dei) Jahvé.
Questo giudizio è in linea con l’idea che si debba tornare a una unità originaria che si è persa a causa del
peccato (Babele, Gen 11): la pluralità non è originaria, deriva dal peccato, dunque va superata in vista di una
unità il cui centro sia Jahvé.
Israele riceve il dono particolare della Legge, ma questa può universalmente esser fatta valere per tutti i
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popoli, benché Israele non si senta investito di una missionarietà specifica, limitandosi ad accogliere chi vuol
aderire.
Se di apertura salvifica universalistica si parla, lo si fa dunque senza escludere la necessità per gli altri
popoli di convertirsi a Jahvé per esservi inclusi; né si mettono gli altri popoli sul piano di Israele, eletto in
modo particolare.
La Chiesa, nuovo popolo eletto - Anche nel NT resta il concetto di elezione: Dio sceglie tra il popolo un
resto fedele. Il Messia compie le attese dell’Alleanza.
Con Gesù, Dio è entrato nella storia in forma umana e la Chiesa deve ora annunciare a tutti i popoli che
Gesù è il Salvatore (1Tim 2, 4).
La singolarità sta nel fatto che solo Cristo rivela il Padre e solo Cristo salva. Se in Gesù si apre a tutti gli
uomini la possibilità di accedere a Dio – Lui è infatti l’unico mediatore (Eb 1; Gv 1) – si attua una alleanza
con l’umanità intera chiamata a salvezza entrando a far parte del nuovo popolo di Dio che è a Chiesa.
Ancora una volta, un movimento centripeto, non verso Gerusalemme bensì verso Gesù: arrivano infatti i
magi (Mt polemizza con l’assenza dei sapienti giudei: è il vangelo più antigiudaico proprio perché scritto
per gli ebrei) poiché non ci si salva in quanto ebrei, ma perché Cristo salva. Questa apertura universalistica
non comporta una valutazione positiva delle altre religioni.
Né positivamente è giudicato il mondo, immerso nel peccato, dal quale i cristiani sono chiamati a separarsi
in virtù del Vangelo (Rom 1-2).
A differenza del giudaismo rabbinico, il movimento centrifugo della Chiesa (missione) rende possibile
quello centripeto: l’annuncio fa nascere la fede, che porta al Battesimo per entrare nella Chiesa e alla
salvezza.
L’azione di Cristo si estende a tutta la creazione (Ef, Col, Gv 1) e questo fonda l’universalità
dell’evangelizzazione. La Chiesa e la sua opera missionaria sono il riscontro storico del disegno di Dio di
condurre tutto all’unità. Dunque non si pone il cristianesimo sullo stesso piano delle altre religioni.
Se poi nel prologo di Gv si trova una azione del Logos prima e dopo l’incarnazione, bisogna chiedersi se sia
logos àsarkos (disincarnato) oppure incarnato (Cristo). Nel secondo caso di tratterebbe di pensare, in
sintonia con Paolo (Ef, Col) che c’è una dilatazione dell’opera di Cristo fino alla origini del mondo. In
parallelo a Sir 24, è come se la Sapienza avesse compiuto un itinerario da Dio fino a radicarsi in un popolo.
Ma è un parallelismo limitato dal fatto che il prologo di Gv non parla di Sofia bensì di Logos (inteso come
Gesù Cristo, a differenza del Logos gnostico che è una delle diverse figure di salvatori).
Insomma il Logos giovanneo non può pensarsi prescindendo da Cristo, poiché “si è fatto carne” (Gv 1, 14) e
la rivelazione – che ha percorso diverse tappe attraverso la creazione – si concentra ora in Gesù Cristo. Il
prologo di Gv non lascia spazio dunque ad azioni del Logos equivalenti nelle diverse religioni, ma piuttosto
all’universalismo della presenza e dell’azione di Cristo.
Paolo sembra valutare positivamente le religioni circostanti nel discorso agli Ateniesi (At 17) che adorano
un dio ignoto, ma forse vuol solo dire che devono ormai passare dagli idoli a Dio che ordina a tutti gli
uomini di “ravvedersi” (At 17, 30). È dunque un riferimento retorico, anche per far emergere la
contraddizione dei filosofi che adorano ciò che non conoscono… Il Vangelo non è dunque compimento della
ricerca filosofica bensì novità e invito alla conversione. La filosofia ha parlato di Dio, ma non con Dio. Per
cui sia giudei che greci restano sotto “il dominio del peccato” (Rom 3).
Gesù è morto per tutti. È una universalità realizzata o da realizzare?
Gesù è venuto “tardi”. In Ebr 11 si dice che gli antichi avrebbero voluto arrivare dove siamo noi, e noi
dobbiamo tendere al compimento futuro del Cielo.
1Pt 3 parla della discesa agli inferi di Cristo tra le “anime prigioniere”: (1) i contemporanei di Noé che non
avevano creduto, oppure (2) i contemporanei di Noé cui il Cristo preesistente annunciò la salvezza tramite
Noé, (3) o le potenze dell’aria che sarebbero sconfitte.
Se tutto il NT parla dell’universale azione salvifica di Cristo, non spiega però “come” Cristo sia morto
per tutti. Se oggi si pensa che lo Spirito possa soffiare dove vuole, aldilà dell’annuncio del Vangelo, nell’At
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è chiaro che lo pneuma divino interviene laddove si confessa Gesù Cristo. “Tutti” direbbe dunque un’ala
avanzata di un’umanità che cammina verso l’incontro con Cristo. Tutti possono credere e salvarsi, ma non
tutti attualmente credono e sono salvi.
San Paolo in Rom 9-11 scrive del suo popolo che non ha creduto, proprio esso che aveva ricevuto le
promesse. Eppure Dio non ripudia il suo popolo, poiché è rimasto un resto santo che ha creduto (i giudeocristiani) e le promesse di Dio sono irrevocabili. Si prospetta pure uno scambio di favori: come
l’obbedienza di Israele ha aiutato i pagani, ora l’obbedienza pagana servirà a Israele per tornare al Signore,
finché “tutto Israele sarà salvato” (Rom 11, 26). “Tutto” riferendosi a una promessa offerta a tutti, purché si
convertano.
La salvezza “per tutti” si lega all’annuncio del Vangelo “a tutti”, come segno degli ultimi tempi (Mc 13,
Mt 24). L’Universalità della salvezza, mediata da Gesù, si sta realizzando, ma il suo compimento è nel
futuro, quando ebrei e pagani si convertiranno.
La volontà salvifica universale di Dio (1Tim 2, 4) raggiunge ogni uomo attraverso la predicazione della
Chiesa fino ai confini della terra. “Conoscenza della verità” e salvezza coincidono: chi conosce la verità, si
salva. Ecco perché è volontà di Dio che tutti gli uomini conoscano il Vangelo e, se lo accolgono, si salvino.
La verità è che Cristo è Salvatore e Mediatore per l’umanità intera. Se accolgo il Vangelo, riconosco Cristo
come mediatore, quindi accedo al Padre e mi salvo. Diversamente, no. Ecco perché “accogliere la verità”
coincide col salvarsi.
Da quanto visto, le Scritture non paiono affatto sostenere una salvezza incondizionata per tutti. Occorre la
conversione, l’accoglienza di Cristo come unico mediatore e salvatore.
Nel NT l’elezione riguarda la comunità cristiana. Si concretizza nella chiamata di Gesù ai suoi apostoli: 12,
come germe delle 12 tribù del nuovo Israele.
Negli Atti degli Apostoli la Chiesa è luogo dei convertiti o dei salvati: “Il Signore ogni giorno aggiungeva
alla comunità quelli che erano salvati” (At 2, 47). Nella comunità si entra col Battesimo, meta della
conversione avviata dalla predicazione. 4 passi secondo il discorso di Pietro a Pentecoste: conversione /
battesimo / perdono dei peccati / dono dello Spirito Santo.
Elemento discriminante per appartenere è la fede (Ef 2, Gal 3) per cui si abbattono le barriere sociali e
razziali, con apertura universalistica.
Il principio “extra…” appare dunque in continuità con la Scrittura.
Un conto è la volontà salvifica universale di Dio, altro la condizione esistenziale dei singoli uomini, chiamati
ad accogliere in libertà l’elezione di Dio. La Chiesa appare così il luogo in cui incontrare Cristo, salvatore
degli uomini, dunque momento necessario alla salvezza.
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CAPITOLO 3 – VERSO LA DOGMATIZZAZIONE E LA RELATIVIZZAZIONE DELL’ASSIOMA
Se il principio sorge dalla Scrittura – “Senza fede non si può piacere a Dio” (Ebr) cioè si deve credere che
Dio esiste ed è remuneratore - è necessario però esaminarne le diverse letture offerte nei primi secoli del
cristianesimo.
Agostino (354-430) affronta due questioni. La prima è la polemica coi donatisti (eretici rigoristi, secondo i
quali il battesimo ha valore in dipendenza del ministro) in cui dice: “Pietro battezza? È Cristo che battezza.
Giuda battezza? È Cristo che battezza”. Nel discorso alla Chiesa di Cesarea emerge un accorato appello
all’unità, poiché “da nessuna parte si può trovare la salvezza se non nella Chiesa cattolica”. Il motivo è che
solo nella Chiesa cattolica si trova la caritas (agape = amore di Dio come dono + eros = amore di ritorno
per la Bellezza/Dio) cioè l’unità.
Riprende la metafora, cara a Cipriano, della Chiesa-Madre, collegandola al riconoscere Dio-Padre.
Accosta l’arca, con la porta aperta sul fianco, al costato aperto di Cristo per il quale si entra nel suo corpo
che è la Chiesa.
Se non si appartiene alla ecclesia catholica (unità visibile) non si può appartenere alla ecclesia sancta, come
pure senza communio sacramentorum (esterna, caduca) non si dà communio sanctorum (interna, perenne).
Solo mangiando dell’unico pane, infatti, si partecipa dell’unico corpo (1Cor 10) che è la Chiesa.
Né vale il martirio fuori dalla Chiesa: “Se anche dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la
carità…” (1Cor 13), per cui Agostino dice “Martyres non facit poena sed causa” (si è martiri se uccisi in
odio alla vera fede, non solo perché uccisi…).
Si può appartenere alla Chiesa visibile senza avere caritas, ma non si può avere caritas senza appartenere
alla Chiesa visibile. Chi dunque desidera la caritas interna (salvifica) deve appartenere alla Chiesa
esterna/visibile.
Problema: e la salvezza di quanti morirono prima di Cristo?
Tutti quelli che hanno creduto in Lui “in qualsiasi tempo e luogo siano vissuti” sono salvati per mezzo di
Gesù Cristo (Lettera 102). Poiché Cristo è da sempre, grazie a Lui sono salvati gli antiqui humiles (patriarchi
e profeti) anche di altre nazioni (Giobbe). Resta un mistero come a essi sia giunta la rivelazione.
L’umanità per Agostino è massa damnata (condannata) a causa del peccato originale, ma Dio trae da essa
alcuni predestinandoli infallibilmente alla salvezza. Dio è libertà (sceglie chi vuole) e giustizia (non salva
tutti indiscriminatamente).
Eletti e salvati costituiscono la Ecclesia ab Abel (Abele è il primo che è morto), una societas sanctorum che
va oltre i confini della communio sacramentorum nel senso che precede e segue la Chiesa terrena/visibile.
Dopo l’incarnazione di Cristo, chi resta fuori dalla Chiesa per mancanza di fede e di Battesimo non può esser
salvato. Per la salvezza la communio sacramentorum è condizione necessaria ma non sufficiente.
Fulgenzio, vescovo di Ruspe (Tunisia, 467-532) è punto di passaggio verso una interpretazione rigida del
principio “extra…”.
Senza la vera fede, senza il battesimo (o il martirio), senza caritas non si può rientrare nel numero dei figli
di Dio. Anche il martirio senza fede non basta (1Cor 13, 2).
Come Agostino, afferma che Dio predestina (misteriosamente) alcuni a fuoriuscire dalla massa damnata e a
salvarsi. Ma non parla della Ecclesia ab Abel: chi è fuori dalla Chiesa cattolica, è fuori per sempre (principio
esclusivo). Forse si tratta di una accentuazione di carattere pastorale, come deterrente all’apostasia.
Nei secoli successivi si crea tensione tra la volontà salvifica universale di Dio e il principio “extra…” tanto
che si cercano correttivi. Si giunge a dire che Dio, infinitamente buono, offre a tutti la grazia per la salvezza
(vs predestinazione), e chi non si salva lo deve alla sua malizia.
Viene condannato Godescalco e la doppia predestinazione (concilio di Quiercy, nord della Francia, 853) e
si afferma che “Se alcuni si salvano, è per dono di colui che salva; se alcuni si perdono, è per loro
colpa”.
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
La soluzione alle tensioni tra volontà universale e salvezza particolare passa attraverso la distinzione tra
volontà antecedente di Dio (per la salvezza universale) e conseguente (per la salvezza effettiva di alcuni) a
opera di Giovanni Damasceno (645-749), De fide orthodoxa.
Nel sinodo di Toledo (693) si afferma che quanti non sono nella Chiesa cattolica o si allontaneranno da essa
saranno puniti con la “dannazione eterna”. Si accentua il legame tra la Chiesa (luogo della vera fede) e la
salvezza.
Con la teologia scolastica si ribadisce che la salvezza è dono di Dio ma l’uomo deve compiere un atto di
accettazione. In che senso?
Si stabilisce anzitutto che è necessaria la fede, senza la quale non si può piacere a Dio (Ebr 11, 6), cioè
credere nell’esistenza di Dio e nella sua bontà (remuneratore).
Se occorre la fede nel mediatore, che ne è dei semplici che ignorano la rivelazione di Cristo? E di quanti
sono morti prima?
L’episodio di Cornelio (Atti) pare confermare – secondo Pietro Lombardo - una fede in mysterio
nell’incarnazione, per quanto poi Pietro viene mandato per l’annuncio esplicito e poi il battesimo.
Anche Tommaso dice che è necessario credere l’oggetto della fede – la incarnazione e passione di Cristo –
per quanto in modo diverso a seconda dei tempi e delle persone. Così rilegge Gen 2, 24 alla luce di Ef 5, 32
(il matrimonio come figura dell’unione tra Cristo e la Chiesa). Se dopo il peccato originale alcuni avevano
fede esplicita e altri implicita (maiores vs semplici), dopo la rivelazione tutti devono avere una fede
esplicita in Cristo, sulla base dell’assunto che tutti hanno una qualche nozione di Cristo (anche l’Islam
eretico).
La fede che salva è quella nell’incarnazione ed è una sola, una ha da esser la Chiesa, strumento (unico) di
salvezza. Se ciò che salva è la fede, e questa si trova solo nella Chiesa, deve esserci una Ecclesia ab Abel
(come Agostino).
Oltre alla fede, è necessario il Battesimo. Come si riconosceva una fede implicita, così si parla del
Battesimo di desiderio (Ambrogio nel rito funebre dell’imperatore Valentiniano), sulla base del principio
che “Dio non ha legato la sua potenza ai sacramenti” (Pietro Lombardo).
Tommaso precisa: (1) chi è senza battesimo di fatto e di proposito (re et voto) non può salvarsi; (2) chi è
senza battesimo di fatto ma non di proposito (re et non voto) come nel caso di Valentiniano, può salvarsi. Si
può dunque ricevere la res del sacramento senza riceverlo di fatto (re) e la fede è più necessaria del
battesimo (che è appunto sacramento della fede).
Alla luce delle distinzioni scolastiche, si può dire che il principio “extra…” viene almeno parzialmente
mitigato.
Tale principio fa ormai parte della coscienza ecclesiale, tanto da comparire nella professione di fede
prescritta nel 1209 ai Valdesi. Si parla di Chiesa “romana”, per tentare di richiamare all’unità gli ortodossi
separatisi nel 1054.
Nel 1302 con la bolla Unam sanctam papa Bonifacio VIII fa un suo politico del principio “extra…”, nella
polemica contro l’imperatore Filippo IV “il Bello” di Francia: se la Chiesa è una, uno è il capo, cioè i papa
successore di Pietro scelto da Cristo. Chi non si riconosce a lui sottoposto, non si salva. La sottomissione al
papa diventa condizione ancor più esclusiva di salvezza. Si esplicita quanto era già implicito con la riforma
gregoriana di Gregorio VII (XI sec.).
Identica visione esclusivista emerge dal decreto per la Chiesa giacobita – sorta nel VI sec. in reazione a
Calcedonia – redatto nel concilio di Firenze (1442) che condanna inderogabilmente scismatici e pagani
(musulmani) in quanto rifiutano di appartenere alla Chiesa cattolica. Il testo viene redatto, tra gli altri, dal
domenicano Torquemada che nella Summa De Ecclesia afferma esser falso ed eretico che possa salvarsi chi
è separato dall’unità della Chiesa cattolica. L’unità della fede richiama l’unità della Chiesa e viceversa.
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
Nell’ottica di contrastare scismatici ed eretici, non ci si cura della Ecclesia ab Abel, ma si ribadisce che per
salvarsi occorre appartenere alla unica vera Chiesa, quella romana, in cui si trova la sola vera fede.
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
CAPITOLO 4 – L’ASSIOMA ALLA PROVA DELLA SVOLTA MODERNA
La scoperta dei nuovi mondi porta a interrogarsi nuovamente sulla sorte di quanti non hanno potuto ascoltare
l’annuncio evangelico. Sia arriverà all’indifferentismo, condannato dal magistero nel XX Secolo.
Il platonismo degli umanisti porta a valorizzare le religioni antiche, scoprendo una concordanza di fondo tra
cristianesimo e filosofia platonica (Ficino, Pico della Mirandola). Si tratta di dimostrare che nel platonismo
si trovano i principi di una teologia razionale poi rivelata nel cristianesimo, che pertanto è superiore alle
altre religioni storiche e alle altre filosofie. La verità è una, ma questo non significa appiattire religioni e
filosofie poiché il criterio di verità è Cristo. Alla presa di coscienza di un pluralismo di fede e pensiero fa
riscontro l’ideale di una superiore armonia, sempre da perseguire.
Cusano, convinto che le guerre siano scatenate dalle diversità di religione, vorrebbe trovare l’unica verità
comune alle diverse fedi (De pace fidei, 1453), puntando sul culto all’unico Dio piuttosto che sulle diversità
di riti. Tollerante verso le religioni diverse, ma il cristianesimo resta superiore (e Maometto è ispirato dai
demoni).
Le nuove scoperte geografiche pongono il problema della salvezza di popoli che ignorano il Vangelo, se
non la legge naturale.
Gli indigeni erano invitati ad aderire al Vangelo e alla Chiesa cattolica, diversamente erano fatti schiavi
(rapporto tra missionari e potere politico) poiché, ricevuto l’annuncio, la mancanza di fede non era più
tollerata. Se Domingo de Soto teorizza la possibilità di salvezza per questi popoli a prescindere dalla
conversione al cristianesimo (in virtù della loro ignoranza invincibile), afferma altresì che si deve verificare
se l’annuncio poi ricevuto sia credibile. Solo allora si potrà richiedere una fede esplicita nel Verbo incarnato.
Bartolomeo de las Casas riconosce invece che deve poterci esser salvezza anche se l’umanità non coincide
con la cristianità.
Eco di queste dispute si trova nel Decreto sulla giustificazione (Trento, 1545-1563) che afferma che “dopo
la promulgazione del Vangelo” non ci si salva senza il battesimo o il voto di esso. Ambiguo: dopo
l’annuncio di Cristo oppure l’evangelizzazione attuale?
Il richiamo al “voto” di battesimo pare indicare la possibilità di una fede implicita. Si voleva salvare il
principio della universale volontà salvifica di Dio col fatto della ignoranza del Vangelo da parte di così
tanti popoli emersi con le nuove scoperte geografiche. La scoperta dell’America rende necessario ripensare il
principio “Extra…” in versione mitigata. Al tempo stesso, la controversia coi Riformati imponeva di
ribadire che la vera Chiesa era quella cattolica. Due rischi opposti: restringere la grazia entro la sola Chiesa,
oppure dissolvere la Chiesa.
Il primo rischio si presenta nel giansenismo. Per Trento libertà e grazia non si annullano, ma la seconda
sorregge la prima e si conciliano volontà universale salvifica di Dio e il fatto che non tutti si salvino.
Il teologo gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) distingue tra appartenenza alla Chiesa reale (re) o di
desiderio (desiderio), specificando che Dio sa far giungere anche chi ignora il Vangelo alle condizioni
necessarie per la salvezza.
Cornelio Jansen (1585-1638), vescovo di Ypres, scrive l’Augustinus, un tentativo di rilanciare la dottrina
agostiniana contro il pelagianesimo. Giansenio (così viene latinizzato) afferma: se la grazia è origine della
fede, il fatto che alcuni non giungano alla fede significa che non ricevono la grazia, dunque non è vero che
Dio ha volontà salvifica universale. La condanna del giansenismo nel Seicento non ne impedisce però la
diffusione.
In età moderna, le tensioni tra principi che pareva difficile conciliare aumentano quando nasce il problema
del rapporto tra le religioni e la religione. Si affermano 4 tendenze principali: la storicizzazione (lo storico
non ha valore definitivo, la verità è meta-storica); la generalizzazione (anche il cristianesimo è storico,
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
dunque non può aver pretese di universalità che spettano solo a una kantiana “religione nei limiti della pura
ragione”); la razionalizzazione (anche la religione va sottoposta al tribunale della ragione, come un fatto
naturale); l’antropocentrismo (la religione manifesta un sentimento interiore dell’uomo e dunque va ridotta a
fatto privato e intimo).
D’altra parte, non mancavano gli illuministi che accusavano la Chiesa cattolica di pretendere un valore
universale quanto il Vangelo non era giunto a tutti gli uomini, contraddicendosi.
Fino a tutto il XVIII secolo il rapporto tra cristianesimo e altre religioni era mediato dall’idea de “la
religione” meta-storica in cui il cristianesimo soltanto poteva esprimersi, colla conseguenza però che così
veniva sganciandosi dalla Chiesa storica e visibile.
La Riforma aveva portato alla pace di Augusta (1530) e al principio “cuius regio eius et religio” per cui
ogni cittadino avrebbe dovuto aderire alla religione del proprio principe. Se in ambito riformato si cerca di
affermare la distinzione tra verità fondamentali (comuni) e marginali (diverse tra le chiese), la Chiesa
cattolica non accoglie questa strada per non dover accettare di mettere in discussione l’indefettibilità della
Chiesa stessa e ribadisce l’intento di mostrare che la vera Chiesa è il cristianesimo quale si trova espresso
nella Chiesa cattolica. Questo significa rifiutare ogni compromesso col deismo e con la religione naturale.
Se tutte le religioni fossero egualmente salvifiche – si obiettava da parte cattolica – perché Dio avrebbe
rivelato agli uomini la sua volontà in Gesù Cristo?
La verità della rivelazione cristiana è dunque il miglior antidoto all’indifferentismo. Così pure si
condannano le posizioni che vedono nel cristianesimo il compimento di un germe presente ovunque, dovuto
alla rivelazione originaria di Dio (Lamennais, 1782-1854) per cui esso si differenzia dalle altre religioni
solo per grado.
Pio IX ribadisce invece che ci si salva solo nella Chiesa cattolica, ma introduce per la prima volta nel
magistero il tema della ignoranza invincibile: “la Chiesa apostolica romana è l’unica arca di salvezza”. Per
salvarsi senza conoscere il Vangelo occorre osservare la legge naturale, esser pronti a obbedire a Dio,
condurre una vita retta e onesta. Ma per chi lo conosce, vale il principio “extra…”.
Il CVI – schema De Ecclesia - condanna l’indifferentismo confessionale (ogni fede cristiana sarebbe
egualmente buona e salvifica). La religione non può esser ridotta a fatto privato (vs riformati) poiché la vera
religione ha una dimensione sociale.
La necessità di appartenere alla Chiesa cattolica è di precetto ma anche di mezzo. La salvezza si ottiene non
solo in ecclesia, ma anche per ecclesiam (dunque possono salvarsi quanti sono nell’ignoranza invincibile).
Non essendo solo di precetto, è una necessità che fonda uno speciale legame tra aderire a Cristo e
appartenere al suo corpo mistico che è la Chiesa. Si distingue altresì l’appartenenza re o voto.
L’ingresso della storia nella ricerca teologica porta a negare l’assolutezza del cristianesimo: esso è un
fenomeno storico e nessun dato storico può esser ritenuto assoluto, pertanto il cristianesimo va ripensato in
una concezione storica (Troeltsch, 1865-1923). L’assolutezza del cristianesimo non sarebbe altro che
riconoscergli di essere un vertice storico, con valenza normativa (esemplare) ma non assoluta.
Nel 1949 il Sant’Ufficio risponde all’americano p. Leonard Feenay che appoggiava una lettura rigida del
principio “extra…”, negando la salvezza anche a chi si trovasse nell’ignoranza invincibile, opponendo
l’appartenenza di desiderio (voto). Cristo ha stabilito la Chiesa come mezzo di salvezza, ma gli effetti (la
salvezza) si possono ottenere anche senza questi, “mediante il voto o il desiderio degli stessi”. In sintesi, ciò
che Dio ha stabilito come necessario per la salvezza, lo è solo per chi ne sia a conoscenza.
Si afferma che la religione naturale è “il complesso delle verità dei compiti e delle relazioni con Dio che si
possono desumere dalla considerazione del solo fatto della creazione”, e non si deve contraddirla nell’aderire
a una delle molteplici religioni positive.
La religione ha il fine di condurre alla beatitudine, dunque si colloca nell’ordine dei mezzi.
Se solo il cristianesimo corrisponde alle caratteristiche necessarie per raggiungere il fine, come spiegare il
pluralismo religioso dal versante della volontà di Dio?
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
Si risponde dicendo che il cristianesimo come unica vera religione dipende dalla volontà di beneplacito di
Dio, mentre il pluralismo religioso dipende dalla sua volontà permissiva.
In sintesi, si ribadisce la singolarità del cristianesimo e la Chiesa cattolica come luogo della verità e mezzo
della salvezza.
CAPITOLO 5 – VERSO NUOVI ORIZZONTI. IL CONCILIO VATICANO II (1962-1965).
Il CVII nasce da una intuizione di Giovanni XXIII: rinnovare la Chiesa ripensando la missione e
l’ecclesiologia stessa.
Le quattro costituzioni possono descrivere un percorso: il mistero si rende presente nella storia (DV) e dà
origine a un popolo che appartiene a Dio (LG), parte dell’umanità che Dio vuol portare a compimento in
Cristo (GS) e che trova nella celebrazione eucaristica il principio e la fonte della sua vita e della sua
missione (SC) che consiste nell’introdurre nell’umanità il vangelo del Regno (LG).
Il CVII ribadisce che la Chiesa è necessaria per la salvezza (LG 14), senza ripetere il principio “extra…”.
MA: supera l’identificazione tra Chiesa cattolica e mistero della Chiesa di Cristo che “sussiste nella Chiesa
cattolica” (LG 8); riconosce che anche le altre chiese sono strumenti di salvezza per quanti vi appartengono
(UR 3); riconosce gli elementi di bene presenti nelle religioni non cristiane (NA 2); afferma che Cristo è
morto per tutti e lo Spirito offre a tutti la possibilità di partecipare del mistero pasquale (GS 22).
LG introduce il tema della Chiesa universale (Ecclesia ab Abel, LG 2), indicando la Chiesa come luogo
escatologico di salvezza più che come mezzo di salvezza. Si ribadisce che si possono salvare anche quanti
non appartengono al popolo di Dio (LG 9).
Il rischio della Chiesa come popolo di Dio era che (1) si pensasse che non tutti gli uomini appartenessero a
Dio oppure (2) che la Chiesa coincidesse con tutta l’umanità. Ma si parla di un popolo messianico che
sarebbe segno per l’umanità.
La Chiesa è sacramento dell’unità e in quanto tale è necessaria perché se non ci fosse l’umanità non
avrebbe lo strumento (né il segno) per giungere a quell’unità che è volontà di Dio che si realizzi.
LG 14 ribadisce che la Chiesa è necessaria perché Cristo è il solo mediatore, come pure sono necessari fede
e battesimo e pertanto non si salvano quanti, sapendo questo, rifiutano la Chiesa.
Non si distingue la necessità di mezzo o di precetto, poiché basta dire che Cristo ha stabilito questa
necessità (si citano Mc 16, 16 e Gv 3, 5 come uniche referenze per una consapevolezza che accompagna da
sempre la Chiesa).
Il Battesimo è necessario perché è la porta per la quale si entra nella Chiesa, necessaria alla salvezza. Non si
avverte la necessità di giustificare la necessità della fede (mai messa in dubbio nella storia).
La necessità della Chiesa – che resta pur indicando tanti elementi di verità e santificazione anche esterni ad
essa - si fonda essenzialmente sulla relazione della Chiesa stessa con Cristo.
LG non spiega però come la Chiesa sia universale sacramento di salvezza. A chi accusa LG di
ecclesiocentrismo si può facilmente obiettare che la Chiesa è solo mezzo, non fine. È luogo di un’esperienza
– l’unione con Cristo – che non è dato vivere al di fuori di essa, il luogo in cui si può conoscere la meta della
vita umana. Se è più facile capire come la Chiesa sia segno per tutti gli uomini, meno è come essa sia anche
strumento della salvezza per ognuno.
Nel definire il rapporto tra la Chiesa e gli uomini, LG dice “appartengono” (vale per cristiani cattolici e non
cattolici, ma questi appartengono solo “in qualche modo”), “sono incorporati” (solo i cattolici; pienamente
incorporati quanti sono nella carità, i bambini e gli incapaci di intendere), “sono congiunti” (i non cattolici e
i catecumeni, per i quali mancano ancora alcuni elementi), “sono ordinati” (quanti ancora non hanno
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
ricevuto il Vangelo, con diverse gradazioni: ebrei, musulmani, coloro che cercano Dio, coloro che ancora
non lo conoscono).
La chiesa cattolica realizza in pieno la sacramentalità - che pure appartiene ad altre chiese – poiché in essa
sussiste la chiesa di Cristo.
Per Dignitatis Humanae “la vera religione sussiste nella chiesa cattolica e apostolica alla quale il Signore
Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini” (DH 1). La religione cristiana coincide con
la verità e si identifica con la chiesa cattolica. Questa verità resta intatta anche se si riconosce la libertà
religiosa che non toglie i diritti verso la Chiesa Cattolica ma semplicemente impedisce che questa possa
forzare chiunque ad appartenerle. La libertà religiosa non lascia dunque alcuno spazio all’indifferentismo.
Parallelamente NA 2 considera con rispetto le diverse religioni che riflettono un raggio della verità che
illumina tutti gli uomini, ma annuncia che “Cristo è la via, verità e vita (GV 14, 6)”.
Il fatto che vi sia in esse un raggio di verità, non significa che le altre religioni abbiano altresì valenza
salvifica, per quanto possano placare l’inquietudine del cuore e riconoscere il legame con Abramo
(induismo, buddismo, islam, ebraismo).
Il CVII ribadisce quindi che la Chiesa è necessaria per la salvezza, ma non l’appartenenza ad essa. Ciò che
è assolutamente necessaria è la fede.
Si passa dall’ecclesiocentrismo al teocentrismo: la salvezza segue il piano di Dio e la Chiesa ha valore solo
in quanto è segno e strumento (sacramento) del piano di Dio.
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
CAPITOLO 6 – DIO HA ANCORA BISOGNO DELLA CHIESA?
La recente teologia delle religioni vorrebbe sganciarsi anche dal teocentrismo per valorizzare il pluralismo
religioso e il dialogo, oltre a salvare pienamente il principio della universale volontà salvifica di Dio.
Dio ha scelto alcuni “mezzi” di salvezza: prima un popolo eletto, poi Cristo, poi la Chiesa (ovviamente non
stanno sullo stesso piano poiché dipendono e hanno senso solo in funzione di Cristo stesso).
La riflessione si è mossa a partire dal concetto di salvezza ripensato dopo la svolte antropologica e le
teologie liberazioniste. Ci si è spostati dalla questione della verità a quella della salvezza (prospettiva
soteriocentrica). E si è definita la salvezza come un “umano riuscito”, collocandosi nell’orizzonte della
ricerca di senso da parte dell’uomo.
Le teologie della liberazione hanno ricondotto la salvezza alla liberazione umana e storica. Mentre
tradizionalmente si è definita la salvezza come giustificazione del peccatore e compimento escatologico. La
salvezza è stata ritenuta opera di Cristo re, profeta e sacerdote, capace di liberare l’uomo dal peccato, dalla
morte e dal Male. Soteriologia e Cristologia erano legate indissolubilmente: salvarsi significa essere
conformi a Gesù sia nella sua condizione terrena sia in quella escatologica di Risorto (GS 22).
Le teologie politiche del Terzo Mondo hanno differenziato (Gutierrez) la liberazione economica,
antropologica e teologica. La Chiesa dovrebbe occuparsi solo della salvezza dell’anima se si svincolassero i
diversi orizzonti. D’altra parte non si possono neppure ritenere identici Regno di Dio e società giusta (Boff
parla infatti di identificazione ma non di identità) pena la perdita della imprescindibile dimensione
escatologica. Il rischio delle teologie liberazioniste è comunque la separazione tra chiesa e salvezza,
intendendo che se la salvezza si identifica nella società giusta, questa non coincide per forza con la Chiesa,
quindi ci si salva anche senza chiesa (ma non senza società giusta).
Il Regno di Cristo – in cui l’uomo sarà pienamente “salvato” - però, non può realizzarsi senza la Chiesa,
che del Regno è sacramento. Il Regno è esito della signoria di Dio, dunque coincide con l’umanità liberata
dal male ed è una realtà sospesa tra il già e il non ancora.
La chiesa ha una missione che Gesù le ha affidato e che trascende la semplice liberazione terrena e storica
degli uomini, poiché va intesa alla luce della Resurrezione che libera l’uomo dalla morte. La Chiesa non è
uno dei tanti movimenti sociali, ma è “di Dio”, anzitutto. Anche quando la chiesa si muove in ambito
terreno, la sua missione ha sempre un orizzonte escatologico: mostra quale umanità Dio voglia costruire,
ricordando che gli uomini sono popolo “di Dio” tramite la Chiesa.
Lo Spirito Santo agisce nelle società e nelle culture e religioni diverse (RM 28, LG 17) ma il fine è condurre
all’adesione a Cristo.
In prospettiva soteriocentrica, non si può scegliere l’apofatismo, poiché senza definire che cosa sia la
salvezza, nessun dialogo sarebbe possibile. Non si può eludere la domanda: qual è la vera religione?, se di
vuol valutare ogni religione in quanto esperienza di incontro col trascendente.
Se il compimento escatologico della salvezza è indicabile come un già e non ancora, deve esser possibile
individuare un luogo in cui questo germe di salvezza sia sperimentabile e questo è la Chiesa, con tutta la
ricchezza della sua tradizione e con tutti i limiti della sua effettività storica.
La chiesa è pertanto necessaria perché permette di identificare nella storia il principio della trasformazione
salvante dell’umanità: Gesù Cristo in quanto rivelazione storica di Dio. La Chiesa è segno e strumento del
piano che Dio vuol realizzare. Solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza (RM 55). Ma, ancora,
non si spiega quale sia la “misteriosa relazione con la chiesa” della grazia in virtù della quale tutti si salvano
(RM 10).
La Chiesa è necessaria alla salvezza?
Dio può trovare vie diverse, perché è Lui che salva. Ma la salvezza passa attraverso la chiesa, poiché senza
di essa non si saprebbe in forma definitiva che cosa sia la salvezza. E senza un luogo nel quale la signoria di
Diego Manetti
Canobbio - riassunto
Cristo sia riconosciuta come tale non sarebbe possibile affermare che egli è il Signore: questo luogo è la
Chiesa quale luogo dei salvati, di coloro che scelgono di accogliere il Vangelo e tendono a vivere come
Cristo. Dio ha dunque “bisogno” della sua chiesa come sacramento di salvezza, per mostrare l’umanità “già
e non ancora” salvata. Forse proprio questa umanità salvata escatologicamente mediante la chiesa potrebbe
essere quanto lega misteriosamente la grazia che tutti salva alla Chiesa stessa.