Le tipologie del paesaggio italiano Le tipologie del paesaggio italiano

Le tipologie del paesaggio italiano
Testo a cura di Monica Morazzoni, ricercatrice di geografia
Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
e di Patrizia de Ponti, geografa, collabora alla cattedra di geografia del turismo e geografia
umana. Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
Il paesaggio alpino
Il sistema montuoso alpino interessa le regioni, o porzioni di esse, quali Liguria, Piemonte,
Valle d’Aosta Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Si sviluppa
dal Colle di Cadibona, a Occidente, e termina con il passo Vrata, a Oriente. E’ composto da
materiali di diversa origine, elevati dal processo di orogenesi, che per secoli hanno reagito
in modo differente agli agenti erosivi esogeni (precipitazioni, venti, temperature,
ghiacciai), dando così origine alle diverse forme del paesaggio alpino.
I paesaggi naturali delle Alpi Occidentali e della zona più interna di quelle Centro-Orientali
sono caratterizzati da alte ed asprissime vette, dove i graniti, gli scisti cristallini, le rocce
verdi denunciano le profonde trasformazioni che gli strati rocciosi hanno subito all’interno
della Terra ad opera delle spinte orogenetiche. L’erosione ha modellato poi le forme più
diverse, dalle piramidi del Monviso, della Grivola, del Cervino, ai rilievi massicci del Monte
Bianco (la vetta più alta d’Europa, 4.810 m) e dell’Adamello. Pareti vertiginose e guglie
appuntite, ma anche presenza di valli dalla tipica forma a U, grandi circhi glaciali, terrazzi
e sbarramenti morenici testimoniano il continuo lavorio dei ghiacciai, che ancora ricoprono
i massicci più elevati.
Tipiche rocce delle Alpi Orientali sono la dolomia, di cui sono costituite appunto le
Dolomiti, e la roccia calcarea. A differenze delle Alpi cristalline, dove le valli sono incise
profondamente nelle rocce metamorfiche, le Alpi calcaree) poggiano su grandi banchi di
rocce tenere (da cui anche il fenomeno del carsismo con formazione di doline), dalle forme
più dolci e tondeggianti. Le sezioni inferiori delle valli intagliano solchi profondi (canyons),
mentre quelli superiori si allargano in ampie conche e spesso hanno origine da altopiani
erbosi sui quali si innalzano, circondati da depositi di detriti (i ghiaioni), i possenti banchi
di roccia viva. Tutto ciò dà origine alla varietà delle forme: castelli di roccia, pareti a
strapiombo, torrioni scolpiti dall’erosione, guglie e canaloni.
Se le rocce costituenti la catena alpina e le forme delle valli costituiscono gli elementi
portanti del paesaggio, modellati da eventi che si misurano in tempi geologici, la grande
varietà delle condizioni climatiche determina una vegetazione che si distribuisce sui
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versanti alpini secondo fasce altimetriche che vedono succedersi, dal basso verso l’alto, i
boschi di latifoglie (castagno, frassini, querce), le foreste caratteristiche delle zone
continentali fredde (faggi, pini, larici, abeti), le formazioni arbustive proprie delle zone
pre-tundriche (mughi, pinastri, ontani) e quelle tipiche della tundra vera e propria (le
magre praterie degli alti pascoli).
Il limite altimetrico delle singole formazioni vegetali varia parecchio fra versante
settentrionale e meridionale della catena alpina, ma notevoli differenze esistono anche
all’interno dello stesso versante, in funzione dell’esposizione al sole, dei tipi di suoli, della
quantità di precipitazioni, che è assai varia e tende a diminuire nelle zone interne del
sistema montuoso e ad aumentare verso est.
Queste caratteristiche geomorfologiche e climatiche hanno condizionato fortemente la vita
dell’uomo: i centri abitati sono situati spesso in ampie valli, costruiti su coni di deiezione,
favoriti dalla posizione più elevata e al riparo da eventuali esondazioni dei fiumi che
scendono a valle. Al di sotto dei 1000-800 m, le migliori condizioni climatiche hanno
consentito le coltivazioni che, dove, si sono specializzate (frutteti, vigneti) hanno modellato
il territorio costruendo paesaggi peculiari attraverso la realizzazione di canalizzazioni,
argini dei fiumi, coltura dei terrazzi naturali.
Le diverse forme d’insediamento presenti oggi nel paesaggio alpino sono soprattutto il
frutto dei differenti modelli culturali ed economici portati nel tempo dai Romani e dai
popoli germanici. Nel settore Sud-Occidentale delle Alpi, la conquista romana (da 25 al 9
a.C.) ha introdotto nuove colture (vite e castagno), costruito nuove strade (che resero più
accessibili le zone interne) e favorito l’insediamento accentrato, con case costruite
(almeno in origine) in pietra. Nel settore settentrionale, invece, popoli di stirpe germanica,
a partire dal VI secolo, introdussero un’economia fondata prevalentemente
sull’allevamento, su insediamenti sparsi (il maso) o raccolti in minuscoli nuclei di fattorie
con edifici prevalentemente in legno.
La regione alpina è stata per secoli caratterizzata da un’economia agro-silvo-pastorale, a
cui si aggiungevano, nei fondivalle, le attività minerarie, artigianali e poi industriali
(metallurgia e tessile). Le maggiori trasformazioni del paesaggio si devono però al grande
sviluppo del turismo. Negli ultimi cinquanta anni, infatti, la pratica degli sport invernali e il
desiderio di trascorrere le vacanze estive in montagna hanno attirato un numero crescente
di persone. Pertanto, il paesaggio in molti casi è cambiato proprio ad opera dell’industria
del turismo: i borghi di montagna sono diventati vere e proprie “città” attrezzate di
strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere, nonché di tutte quelle infrastrutture
ludiche e di trasporto utili ai turisti. Frequente è stato anche il fenomeno della
speculazione edilizia, che ha certamente contribuito ad alterare i delicati equilibri
dell’ambiente.
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L’esplosione del turismo ha modificato anche la vita della gente: nuove figure professionali
(albergatori, guide alpine, maestri di sci…) si sono aggiunte a quelle più tradizionali del
pastore o agricoltore. Vecchie forme di cultura vengono quindi minacciate dalle nuove
“mode”.
Il paesaggio prealpino - lacustre
Le Prealpi costituiscono la fascia intermedia, molto ampia in Lombardia, posta tra la catena
alpina e la Pianura Padana. Hanno una struttura prevalentemente calcarea e si estendono
dalla zona del lago Maggiore all’Isonzo. L’ambiente prealpino può essere suddiviso nelle
sezioni occidentale e orientale, tra loro separate dalla valle dell’Adige. La prima coincide
con le Prealpi lombarde e presenta un paesaggio erto, vigoroso, caratterizzato dai laghi
che occupano i grandi solchi vallivi modellati dai ghiacciai. La sezione orientale
corrisponde alle Prealpi venete e carniche e presenta un rilievo più disteso, caratterizzato
da altipiani come quello d’Asiago.
I grandi laghi presenti in Lombardia (Maggiore, Orta, Como, Iseo e Garda) occupano la
sezione terminale delle grandi valli alpine sbarrate dagli ammassi morenici depositati dai
ghiacciai al loro sbocco in pianura. Il clima mite rende possibile la vegetazione
mediterranea, con presenza di specie vegetali come cisti, artemisie e piante arboree
sempreverdi. A questa vegetazione termofila si associa, soprattutto sul lago di Garda e
d’Iseo, l’olivo, introdotto probabilmente dagli etruschi, ma diffuso dai romani che per primi
seppero valorizzare in “senso mediterraneo” le eccezionali possibilità di questo ambiente
lacustre.
Intorno ai laghi il terreno coltivabile non è molto esteso e ciò per la pendenza dei versanti.
Gli insediamenti si posizionano lungo le rive, su conoidi alluvionali laterali. I centri abitati
sono formati da case aggregate, mentre rara è la casa sparsa. In passato, l’economia delle
popolazioni è sempre stata legata all’agricoltura, integrata dalla pesca, e dall’epoca
comunale i centri lungo le sponde estesero il loro potere nei territori limitrofi collinari,
sfruttando così boschi, pascoli, cave di marmo e altri prodotti, che per via lacustre
arrivavano alle città padane.
A partire dal 1500, le Prealpi lombarde entrarono nell’organizzazione economica padana e
ciò comportò l’arrivo della nobiltà presso le sponde dei laghi. Questo fenomeno si accentuò
nell’800, quando la ricca borghesia iniziò a costruire lungo le coste le proprie residenze di
lusso, circondate da parchi con piante esotiche e sempreverdi. Queste ville vennero
affiancate da grandi alberghi nella belle-époque e successivamente da alberghi e
residence per il turismo alimentato dalle popolazioni urbane delle non lontane città padane.
A queste edificazioni e alle infrastrutture imposte dal turismo pendolare del fine settimana
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si deve la più recente trasformazione del paesaggio, ormai integrato nell’organizzazione
della pianura.
Nella fascia subalpina occidentale rientrano le colline del bresciano e del bergamasco, le
appendici montuose del Friuli, i Monti Berici, i Colli Euganei.
Nella sezione orientale l’insediamento umano comincia in epoche remote, poiché le alture
offrivano condizioni di vita più favorevoli della pianura, ancora in parte paludosa e
malarica. In questa porzione di territorio il paesaggio dominante è costituito da forme
addolcite, si pratica la policoltura (che associa cioè colture legnose ai seminativi) favorita
da scarse precipitazioni e clima asciutto. Particolare risalto ha avuto, nel corso dei secoli,
anche la coltivazione della vite che ha aree specializzate soprattutto nel veronese,
bresciano, trevigiano, udinese.
Oltre alla vite, il paesaggio di un tempo era caratterizzato da essenze legnose come il
ciliegio e il gelso che, diffusosi a partire dal ‘600, portò un grande beneficio all’economia
prealpina. Associate alle piante legnose si coltivavano pure mais, sorgo, grano.
La distribuzione spaziale dei centri abitati riflette ancora oggi un’organizzazione sociale ed
economica che nei secoli passati si basava principalmente sulla conduzione diretta o
mezzadrile dei fondi (nel primo caso i piccoli proprietari terrieri lavoravano personalmente
i propri campi, mentre i salariati lavoravano le terre di proprietà del padrone dividendone
con quest’ultimo i prodotti). Al dominio signorile si deve, invece, l’inserimento nel
paesaggio collinare, delle dimore di delizia, costruzioni armoniose circondate da giardini
all’italiana o all’inglese.
Oggi, la fascia collinare delle Prealpi comprende grossi centri abitativi ed è fittamente
popolata. Il paesaggio tende spesso ad omologarsi a quello urbano, come se fosse un’unica
indistinta “periferia” delle città.
Il paesaggio
paesaggio appenninico
La catena appenninica costituisce una sorta di ossatura della penisola italiana e risulta
concatenata a Nord-Ovest alla catena alpina, a Sud invece continua con i rilievi della
Sicilia Settentrionale. Dal punto di vista geologico possiamo distinguere l'Appennino
Settentrionale, Centrale e Meridionale. La catena, nel suo insieme, è lunga circa 1000 km e
presenta una sostanziale unità strutturale, manifestata con formazioni sedimentarie, ad
eccezione delle formazioni cristalline nella Calabria e nei Peloritani. I suoi rilievi sono di
modesta altezza, pochi superano i 2000 m: il tratto più elevato è quello laziale abruzzese
(con il Gran Sasso, 2.912 m). La morfologia è pertanto piuttosto blanda con monti
arrotondati e dolci nella parte settentrionale, un po' più aspri e di tipo calcareo dolomitico
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nella parte centro-meridionale, che è anche caratterizzata dal vulcanesimo (la vetta più
elevata di tutta è rappresentata dal vulcano Etna, 3.323 m).
L’Appennino Settentrionale comprende porzioni di territorio di Liguria, Toscana ed Emilia
Romagna; è formato da rocce sedimentarie e pendii dolci e arrotondati. L’argilla ha qui
determinato il caratteristico paesaggio dei calanchi, privo di vegetazione e predisposto a
frane e smottamenti. Profonde valli a V, incise da brevi torrenti, contrafforti, valli
longitudinali e conche, come il Mugello, il Casentino, la Garfagnana, un tempo ricoperte da
acqua e oggi prosciugate ad opera di sistemi di bonifica.
La bella continuità strutturale e morfologica di questa porzione appenninica ha una
differenza sostanziale nei versanti. Il versante orientale, adriatico, è poco scosceso e si
distribuisce in uno spazio più ampio, dove i fiumi hanno un decorso trasversale. Il versante
tirrenico, invece, è ripido soprattutto quando scende direttamente al mare, come nel caso
della Liguria. Al variare dei versanti, differisce anche la vegetazione: le linee di crinale più
alte sono caratterizzate dal paesaggio delle praterie, dove distese di nardi, anemoni, astri
alpini e genziane purpuree, ad esempio, sono punteggiate da affioramenti rocciosi con una
flora erbacea simile a quella alpina. Scendendo di quota, si incontrano le brughiere, che
anticipano la fascia delle foreste, sottoposte in passato a frequenti incendi ad opera dei
pastori per favorire la crescita delle praterie utili al pascolo. Le specie più diffuse sono il
mirtillo nero e rosso, il sorbo, il rododendro ed alcuni importanti relitti glaciali come l'erica
baccinifera.
I boschi arrivano a coprire i versanti appenninici fino a 1700 m di quota circa. Intorno ai
1000 m di altitudine si trovano querceti di cerri e roverelle, con aree a castagneto ad uso
originario ceduo, mentre oltre questa quota ci sono le foreste di faggio ed abete bianco.
Questi boschi sono stati sfruttati per secoli dall'uomo per la produzione di legname spesso
eccessiva, e che ha comportato in tempi più recenti alcuni interventi di rimboschimento
(con abete rosso e bianco), soprattutto nel versante toscano. Inoltre, se in passato la
superficie boscata si contraeva per fare spazio a pascoli e coltivi, oggi si assiste ad
un'inversione di tendenza a causa del progressivo abbandono dell'attività agricola e della
pastorizia, per cui si ritrovano distese di arbusteti che ricolonizzano le terre abbandonate
dall'uomo.
Dove i versanti diventano più dolci, si apre il paesaggio agricolo. Verso l'Emilia Romagna, i
campi ricamati sulle colline sono finalizzati all'allevamento bovino e, quindi, alla produzione
del Parmigiano Reggiano, caratteristica di queste terre. Tra le innumerevoli foraggiere,
che d'estate sono decorate dalle tipiche rotoballe di fieno, alcuni campi sono coltivali a
cereali, quali il grano, il granturco e l'orzo. Sul lato tirrenico, sui pendii spesso terrazzati,
si coltivano soprattutto ulivi e viti per la produzione dell'olio e del vino.
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Il paesaggio si caratterizza anche per la presenza delle antiche mulattiere e dei percorsi
selciati, un tempo frequentati da mercanti, pellegrini e briganti che passavano dal versante
adriatico a quello tirrenico e viceversa, attraverso i Passi del Lagastrello, del Cerreto e di
Pradarena. Anche i piccoli borghi, arroccati sulle alture o adagiati ai piedi dei monti, sono
un elemento fondamentale di questo paesaggio, dove i pochi insediamenti di una certa
estensione sono localizzati solo perimetralmente, dove cioè la morfologia del territorio lo
consente. Protetti dai resti delle mura e delle fortezze medioevali, questi raccolti nuclei
abitati spiccano tra i boschi, accompagnati da una corona di campi coltivati e segnalati in
lontananza dall'emergere del campanile della chiesa di paese.
Lungo l’Appennino centrale, che comprende quello Umbro-Marchigiano e Abruzzese, i
rilievi si fanno più aspri ed elevati; carsismo e l’erosione ne modellano il territorio. Le
acque penetrano nei terreni calcarei e scorrono sotterranee, formando così abbondanti
falde freatiche. L’idrografia cambia a seconda del versante: in quello orientale è
trasversale, mentre sul versante occidentale è longitudinale. Tutto ciò si riflette sul
paesaggio, che sulle alture appare arido e brullo, mentre nei fondovalle e in pianura è ricco
di vegetazione. Inoltre, la posizione geografica, l’altezza raggiunta dalle montagne, nonché
la differente geologia dei rilievi (calcari e dolomie sul Gran Sasso e sui Monti Gemelli,
arenarie e marne sui Monti della Laga), determinano una straordinaria ricchezza di specie
animali e vegetali, come pure una varietà di ecosistemi e paesaggi davvero unici. Il
territorio ospita numerose specie faunistiche (lupo, camoscio, orso, aquila reale) e
floristiche che evocano con forza una natura primordiale e selvaggia.
La millenaria opera dell’uomo si è integrata in maniera armonica in questo superbo
contesto ambientale, arricchendolo ulteriormente. Antichi paesaggi agrari e pastorali, quali
campi aperti, mandorleti, monumentali boschi di castagno, geometrici orti fluviali sono solo
alcuni dei risultati del lavoro di generazioni di contadini e pastori che, con la loro maestria,
hanno modellato interi versanti. L’introduzione del terrazzamento dei versanti, in
particolare, bloccò la tendenza al degrado, in quanto la trasformazione del pendio in
gradoni, impediva lo scolo dell’acqua.
Nel corso del XVI secolo, poi, si diffuse la mezzadria, un patto agrario tipico di queste
zone. I proprietari dei terreni, per mettere a coltura le proprie terre, le affittavano a
famiglie numerose assegnando a ciascuna di esse un podere di ampiezza variabile. Ogni
famiglia aveva l’obbligo di risiedere sul podere, ragion per cui venne a crearsi un
insediamento sparso, e poteva coltivare tutto ciò di cui aveva bisogno: cereali, legumi, viti,
ulivi, alberi da frutto, foraggere e perfino allevare bovini. In tal modo, l’ambiente della
mezzadria diveniva il regno tipico delle colture promiscue, che con la loro varietà
conferivano tonalità di colori diversi alla campagna e davanono ad ogni podere l’aspetto di
un “giardino”.
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Ancora oggi in queste conche intermontane, caratterizzate dalla presenza dell’acqua e da
un clima più temperato, si conserva quel antica varietà colturale, gelosamente custodita
come si deve a ciò che c’è di più prezioso dell’eredità dei padri. Si coltivano tuttora le
lenticchie ad oltre 1500 m di quota, la pastinaca, lo zafferano, la solina (antico grano
tenero conosciuto già in epoca romana), l’aneto o il coriandolo. Queste zone, ben definite e
ben coltivate, sono oggi antropizzate, nonostante l’elevato grado di sismicità: fra le conche
intermontane, quelle più popolate sono quelle dell’Aquila, di Sulmona, di Avenzano.
Montagne, colline e pianure disposte in modo disordinato caratterizzano l’Appennino
Meridionale, che comprende quello Campano, Lucano, Calabrese, Siciliano. Esso si
presenta meno unitario e si differenzia da quello centrale perchè mancano lunghe zone
corrugate e predominano invece, zolle isolate, separate da aree depresse. Qui il
corrugamento sembra stato meno intenso, onde i massicci hanno minore altezza: le cime
superiori a 2000 m sono molto rare. I più elevati massicci sono più vicini al Tirreno che
all'Adriatico, e più vicina al Tirreno è la linea spartiacque, del resto molto irregolare. Le
pendici rivolte al Tirreno sono anche, in genere, più ripide, mentre sul versante adriatico
si affianca all'alta montagna un insieme di pianalti e colline. I suoli, generalmente argillosi,
sono aridi d’estate, mentre in inverno sono soggetti a frequenti frane, anche a causa della
distruzione del manto vegetale per incrementare i pascoli e i seminativi, da sempre scarsi
a causa di un clima caldo e secco e di una inadeguata opera di irrigazione. In questa
situazione ambientale, fin dai tempi antichi, si affermò nella gestione della terra il latifondo
che, unitamente a un’intensa opera di disboscamento, contribuì al degrado del territorio.
Il carsismo è un’altra presenza importante che ha condizionato l’intervento dell’uomo.
Vette appuntite e fianchi scoscesi si trovano nel primo tratto dell’Appennino Siculo (Monti
Peloritani). Caratteristici di questa sezione sono anche gli altipiani, tra cui spicca quello
della Sila dove, alternate ai prati e alle coltivazioni, si estendono vaste pinete d’Italia e
ampie terrazze, come le pendici dell’Aspromonte, in parte coltivate e talora interrotte da
gole.
Dove vi sono vaste estensioni di terra coltivata a cereali o utilizzate per il pascolo sono
sorti i primi e più importanti insediamenti, concentrati in gruppi di case costruite dapprima
sulle alture. Due ordini di centri si possono oggi scorgere lungo l’Appennino Meridionale:
uno all’esterno della catena, con città come Napoli, Palermo, Catania; e uno ai suoi
margini, con città quali Benevento e Avellino. Nella parte più interna vi sono centri urbani
di antiche tradizioni, quali Isernia, Potenza, Castrovillari, scarsamente collegati fra loro.
Il paesaggio padano
Si tratta di una pianura alluvionale (prodotta col deposito dei detriti trasportati dalle acque
fluviali alpine e appenniniche), formatesi nell’era quaternaria nel luogo in cui vi era un
golfo marino.
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La Pianura Padana è chiusa a Nord e a Ovest dalle Alpi, a sud dagli Appennini, mentre a
Est si apre il Mar Adriatico. La superficie è nel complesso pianeggiante, anche se non
mancano modesti rilievi collinari in Veneto (Colli Euganei, Monti Berici) e terrazzi fluviali
in prossimità dei rilievi, dove l’erosione dei corsi d’acqua ha prodotto scarpate che
possono raggiungere decine di metri di dislivello rispetto all’alveo dei fiumi. Solo in
Piemonte, il salto tra montagna e pianura è immediato a causa della mancanza di alture
submontane.
All'interno della pianura alluvionale si possono individuare due zone molto diverse tra di
loro: l'alta pianura asciutta e la bassa pianura irrigua. L'alta pianura si sviluppa a ridosso
della fascia alpina e prealpina, in corrispondenza del deposito dei detriti pesanti (come
ciottoli e ghiaia). Qui l'acqua piovana non rimanere in superficie ma penetra nel sottosuolo,
attraverso gli spazi esistenti fra i detriti, e scende in profondità fin laddove trova uno
strato impermeabile che blocca (in parte) il suo percorso, dando origine alle falde
acquifere. L'acqua presente nelle falde scorre verso il mare, come un fiume, ma molto
lentamente. I suoli impermeabili, costituiti da detriti più fini e leggeri, (come argilla e
sabbia) sono tipici, invece, della bassa pianura che perciò risulta ricca di acque
superficiali. Nel punto di incontro tra alta e bassa pianura si crea la fascia delle risorgive
(dette anche fontanili): “lembo” di terra in cui una parte dell'acqua sotterranea riemerge e
continua il suo ciclo in superficie.
Alla diversa morfologia del territorio padano si associano differenti caratteristiche
paesaggistiche, nonché socio-economiche. L’altopiano asciutto, infatti, è sede di
localizzazioni delle attività industriali e delle relative infrastrutture e presenta pertanto un
paesaggio fortemente urbanizzato, dove i caratteri della città prevalgono su quelli della
campagna. La pianura irrigua, invece, si configura come area a vocazione agricola,
orientata alla commercializzazione dei prodotti; i prati e i campi coltivati sono più frequenti
che nell’alta pianura, come pure le case rurali isolate nella campagna, seppure non manchi
la presenza di importanti centri cittadini.
Questa diversità vocazionale cominciò a maturare già nel XII secolo, quando in Europa ci fu
una notevole espansione demografica e un risveglio economico che coinvolse anche la
Pianura Padana. In quegli anni iniziarono le grandi opere idrauliche, che continuarono nel
secolo successivo: si scavarono i primi canali e si procedette a bonificare le paludi. I
monaci benedettini, cistercensi e cluniacensi introdussero la coltura a marcita nella bassa
pianura e ne trasformarono il paesaggio, caratterizzandolo attraverso la rigorosa
geometria dei poderi a campi aperti e la costruzione di strade e canali rettilinei.
Nei secoli XV-XVIII l'espansione dell'attività manifatturiera favorì l'introduzione su larga
scala della canapa, del lino, del gelso e del baco da seta, in seguito abbandonate a causa
della concorrenza di lana e cotone extraeuropeo. Inoltre, fu introdotto il riso, coltivato in
acquitrini permanenti. L'introduzione della piantata padana, che consisteva nel collocare
filari di alberi (i pioppi per esempio) spesso con viti appoggiate lungo i fossi, i corsi
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d’acqua e le strade per definire i confini di proprietà, in aggiunta alla riduzione sempre più
consistente delle aree boschive, avvicinò il paesaggio padano a quello attuale. Dell'antica
copertura vegetale, costituita soprattutto da querce, faggi, frassini, olmi e tigli, non
rimangono oggi che alcune aree, spesso protette, intorno alle quali sono stati ricavati
terreni su cui coltivare ed edificare. Anche la brughiera (tipica dell’alta pianura) è oggi
quasi inesistente, a causa del processo di urbanizzazione.
Nella bassa pianura, nei secoli addietro, vennero costruiti cascinali rurali, che portarono ad
un tipo di insediamento sparso. Si affermò un'agricoltura di tipo capitalistico orientata, a
est del Lambro, verso la produzione di cereali e foraggio; a ovest del Lambro, verso il
binomio riso-foraggio. Tutto ciò diversificò il paesaggio padano: infatti, l'area a frumento
era caratterizzata dalla piantata padana, mentre l'area risicola era priva di alberature.
Nell'alta pianura asciutta, invece, l'assenza di irrigazione non poteva consentire uno
sviluppo agricolo pari a quello della "bassa", pertanto vi dominavano la policoltura e la
piccola proprietà fondiaria, mentre quasi inesistente risultava la grande azienda agricola.
Nell'Ottocento, in particolare, la Pianura Padana fu investita da grandi cambiamenti: si
selezionarono ulteriormente le colture, le città accrebbero progressivamente di abitanti e
l'edilizia dilatò notevolmente. Inoltre, si ebbe un consistente sviluppo infrastrutturale con
la costruzione della rete ferroviaria, fondamentale per lo sviluppo commerciale e
industriale; iniziò la bonifica del basso Po, l'apertura del Canale Cavour, lo scavo dei Canali
Villoresi e Marzano. Maturarono, inoltre, tutte quelle condizioni necessarie per avviare il
decollo dell'industria: le città divennero importanti centri di attività artigianale,
manifatturiera e commerciale; si crearono vere e proprie aree specializzate e nelle
periferie cominciarono ad apparire gli opifici, che rompevano l'uniformità del paesaggio
rurale. Anche quest'ultimo, col tempo, si modificò ad opera della meccanizzazione
dell'agricoltura e della comparsa di nuove colture specializzate, come gli alberi da frutta.
La seconda metà del Novecento vide ulteriori cambiamenti dovuti alla crescita ulteriore
dell'industria e alla forte immigrazione. Dalle campagne e dall'Italia meridionale grandi
masse di genti immigrarono nella Pianura Padana, dove le grandi industrie necessitavano
di manodopera. Ciò richiese la costruzione di nuove abitazioni, di infrastrutture e nuovi
servizi che contribuirono a cambiare ulteriormente la fisionomia dei centri urbani. Le
periferie si trasformarono in squallidi quartieri dormitori, privi di spazi verdi e talvolta
carenti di infrastrutture. Lo sviluppo industriale degli anni del "miracolo economico
(Cinquanta e Sessanta del XX secolo) ha reso il paesaggio padano estremamente
complesso e caratterizzato da un'intensa urbanizzazione.
Oggi siamo di fronte a un paesaggio profondamente umanizzato, in cui si localizzano grandi
aree metropolitane (Torino e Milano), in cui il terziario e il quaternario (ormai la grande
industria è ridotta a pochi stabilimenti a causa del fenomeno di delocalizzazione iniziato a
fine anni Settanta) costituiscono le attività economiche prevalenti. Un'estesa, duplice
fascia urbana si estende da Torino, attraverso Novara, Milano, Bergamo, Brescia, Verona,
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Vicenza, Padova, Venezia, Treviso, Udine, fino ad arrivare a Trieste; e da Torino,
attraverso Asti, Alessandria, Piacenza, Parma, Modena, Bologna, raggiunge Forlì e
Ravenna.
Se l'urbanizzazione è il carattere prevalente dell'alta pianura asciutta, nella bassa pianura
irrigua sopravvivono ancora aree a carattere esclusivamente agricolo. È, comunque
un'agricoltura tendente alla specializzazione colturale che crea un paesaggio monotono e
vario nelle stesso tempo: il paesaggio della risaia, per esempio, tipico di questa zona, è
monotono nella piattezza dei suoi campi, delimitati da canali e rogge e segnati spesso da
lunghi filari di pioppi; vario nell'alternarsi delle stagioni, poiché in tarda primavera e in
estate la risaia si presenta come un grande acquitrino, mentre in autunno le acque
scompaiono e i campi si colorano del giallo delle spighe e infine in inverno si immergono
nella nebbia. A caratterizzare, inoltre, questo paesaggio sono le grandi cascine, che un
tempo dovevano ospitare l'ingente manodopera richiesta da questo tipo di coltura, mentre
oggi sono in parte abbandonate o ristrutturate e adibite ai servizi di ristorazione.
Il paesaggio costiero e insulare
Le coste rappresentano un elemento paesaggistico fondamentale del territorio italiano.
Esse hanno caratteri estremamente vari: a coste alte e rocciose si alternano tratti sabbiosi
e pianeggianti, alle lagune si susseguono le insenature profonde e dirupate, le alte falesie
e le dune.
La morfologia costiera è condizionata da quella del suolo, che determina i percorsi dei
fiumi che, a loro volta, modificano le coste per accumulo dei detriti. L’azione costruttiva
dei fiumi è evidente alla foce del Po, nell’Adriatico settentrionale, e del Tevere, nel
Tirreno centrale. In entrambi i casi abbiamo coste di deposito.
Un altro elemento che segna profondamente la conformazione delle coste è la vicinanza
dei rilievi, perciò dove le montagne corrono vicino al mare le coste sono alte e rocciose,
spesso incise da insenature profonde; dove invece i rilievi si allontanano dal mare,
lasciando il posto a pianure costiere, si hanno litorali bassi e sabbiosi. Un tipo particolare
di costa rocciosa è quella della Sardegna, detta costa a rías, in Gallura: il litorale è
intagliato da strette e profonde insenature, in origine valli fluviali poi sommerse dal mare.
Partendo da Nord-Ovest incontriamo le coste liguri che sono rocciose, altissime sul mare,
con ridotte frange di sabbia sabbiose frapposte tra i capi rocciosi. Qui il paesaggio è
dominato dall’affascinante variare dei panorami. Questa tipologia morfologica, determinata
dalla vicinanza della catena appenninica al mare, muta in Toscana e prosegue fino alla
Campania. In questo tratto di costa si alternano tratti di litorali sabbiosi, corrispondenti alle
pianure costiere, inframmezzati da promontori rocciosi (Piombino, Argentario, Circeo), un
tempo antiche isole poi unite al continente dai depositi alluvionali trasportati dai fiumi
appenninici.
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La scienza idraulica si è imposta in queste pianure costiere specie a partire dal XVIII
secolo con la bonifica di quelle paludi formatesi con l’apporto di detriti dei fiumi
appenninici che ostruivano la foce dei corsi d’acqua e spesso straripavano. Le opere di
bonifica hanno liberato il Valdarno, la Maremma, la Campagna Romana, l’Agro Pontino,
solo per citare qualche esempio e oggi queste pianure sono fra le più importanti aree
agricole del nostro Paese.
Boschi e foreste di faggi, lecci, pini marittimi sono quasi del tutto scomparsi dai litorali, in
quanto in epoche passate, vi è stata l’esigenza di recuperare legname e terreni su cui
pascolare e coltivare. Al posto dei boschi si è sviluppata l’agricoltura e la macchia
mediterranea, formata quest’ultima da cespugli sempreverdi di olivo selvatico, ginestra,
mirto, rosmarino, acacia. Lungo i pendii, per poter praticare l’agricoltura è stato
necessario un lungo lavoro di terrazzamento. Tali terrazze, solo in parte coltivate,
rappresentano una delle caratteristiche del paesaggio costiero italiano.
Pianure costiere basse e sabbiose interposte fra capi rocciosi si ritrovano anche in Sicilia
e in Sardegna. Quivi ci sono luoghi dove l’immagine storica delle terre è legata alla malaria
che dominava incontrastata, è il caso della Piana di Catania e del Campidano. Anche queste
pianure sono diventate, nel tempo, importanti aree agricole, modernamente condotte pur
conservando ancora lembi dell’antica geografia, soprattutto con gli ultimi stagni ricchi di
fauna (aironi, fenicotteri, cormorani, e anche testuggini). In Sardegna gli insediamenti
costieri sono nati, per lo più, per soddisfare le esigenze dei turisti, se si eccettuano le città
come Cagliari, Olbia, Porto Torres. In Sicilia, invece, le coste sono la parte più abitata; su
di esse sorgono, infatti, importanti città come Messina, Palermo, Trapani, Siracusa,
Catania. In alcuni tratti le pareti rocciose dei monti cadono a picco sul mare, creando baie,
cale e calette, oggi molto care ai turisti. Una caratteristica presenza lungo le coste
siciliane sono, inoltre, le saline, che rendono suggestivo il paesaggio.
Ritornando sul continente, la pianura costiera della Campania, situata tra i rilievi
dell’Appennino e quelli vulcanici dei Campi Flegrei, già in passato, grazie alla fertilità dei
suoli, è stata densamente popolata e coltivata. Oggi è una pianura fittamente urbanizzata, la
cui crescita enorme e disordinata ha “sconvolto” il paesaggio naturale. Di particolare
bellezza rimane la costiera amalfitana, dove l’uomo è intervenuto fin da epoche passate per
ricavare spazi abitativi.
La Calabria offre strette strisce litoranee per lunghi tratti del suo perimetro, poiché la
montagna appenninica è a ridosso del mare. Ripe scoscese, alte, chiuse, rettilinee sono la
tipologia di coste calabresi maggiormente presente sul Tirreno.
Basso e sabbioso ci appare, invece, il litorale ionico della Calabria e della Basilicata, orlato
da una lunga spiaggia sabbiosa, inframmezzata in corrispondenza di Sibari (Calabria) e di
Metaponto (Basilicata) da pianure bonificate e coltivate.
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In Puglia il paesaggio cambia nuovamente. Le coste sono basse ma rocciose per il
digradare al mare degli altipiani calcarei, sia sul Mar Ionio che sul Mar Adriatico. L’unica
pianura, irrigua e intensamente coltivata è il Tavoliere delle Puglie, situato tra il
promontorio calcareo del Gargano e le Murge. La sponda adriatica pugliese è orlata, infine,
da dune sabbiose e lagune.
A Nord del Gargano inizia la distesa delle lunghe pianure adriatiche, spesso alluvionali, le
cui poche zone lasciate libere dagli impianti turistici sono attualmente coltivate a orti. La
costa bassa, ghiaiosa - sabbiosa, si estende fino al confine settentrionale dell’Italia,
interrotta solo dal promontorio calcareo del Monte Conero.
Lungo la costa adriatica, all’altezza di Venezia, si estende una fascia costiera formata da
cordoni di sabbia, i lidi, che racchiudono ampie lagune. La più vasta è la Laguna di Venezia,
che si estende tra la foce dei fiumi Piave e Brenta.
La frangia sabbiosa del litorale adriatico è andata, nel corso del tempo aumentando, ma la
scarsa tortuosità ha indotto l’uomo a intervenire sulle foci dei fiumi con la costruzione di
porto-canali, come a Rimini e a Ravenna.
In generale, le coste italiane non si sono mostrate favorevoli all’impianto dei moderni porti,
in quanto le insenature, ottime per l’attracco di piccole imbarcazioni da pesca o da diporto,
non sono, invece, adatte per le navi che richiedono grandi spazi. Per questo, i porti italiani
sono in gran parte artificiali; ne è un esempio quello di Genova, il maggiore d’Italia, posto
ormai al di fuori della baia originale; e quello di Livorno e di Venezia - Marghera,
completamente costruiti dall’uomo. L’unico porto naturale importante è quello di Napoli,
situato in un’insenatura e con un enorme entroterra pianeggiante alle spalle.
Le aree costiere italiane sono fortemente popolate, urbanizzate e accolgono spesso
insediamenti industriali e turistici che contribuiscono pesantemente al degrado ambientale,
cementificando il litorale. Vere e proprie “conurbazioni turistiche”, talvolta accompagnate
da fenomeni di abusivismo edilizio, edificazione selvaggia e privatizzazioni delle aree
costiere hanno snaturato il paesaggio mediterraneo rendendolo antropizzato.
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