5. Il primo principio della termodinamica

 CAPITOLO SECONDO 5. Il primo principio della termodinamica
Quando compiamo lavoro su di un sistema, possiamo cambiare la sua energia cinetica (accelerandone
i corpi), la sua energia potenziale («accumulandovi»
energia cinetica) o la sua temperatura (scaldando i corpi per attrito): in tutti questi casi stiamo cambiando il
contenuto di energia del sistema. Ma lavoro e calore
sono equivalenti, entrambi rappresentano un trasferimento di energia: quindi, anche quando forniamo
calore a un sistema dobbiamo produrre una variazione della sua energia, aumentando l’energia cinetica del
sistema, la sua energia potenziale o la sua temperatura. Vediamo come.
Pensiamo, ad esempio, a un gas racchiuso in un
certo volume. L’esempio s’ispira ovviamente al vapore contenuto in una macchina di Watt, che abbiamo
intuito rappresentare un trasformatore di calore in lavoro. Fornendo calore al gas, questo cercherà di espandersi, esercitando una forza maggiore sulle pareti del
suo contenitore. Se uno dei lati del contenitore può
muoversi, pensiamo a un pistone in un cilindro, la
maggiore pressione del gas dovuta al trasferimento di
calore provoca uno spostamento del pistone (ovvero
un’espansione del volume del gas). La forza esercitata
dal gas sul pistone, moltiplicata per lo spostamento
conseguente del pistone, rappresenta il lavoro compiuto dal gas, che può essere sfruttato, ad esempio
per sollevare un peso, ossia aumentarne l’energia potenziale. Attraverso il pistone, il gas ha trasformato
almeno una parte del calore ricevuto durante il riscaldamento in lavoro. Diciamo «almeno una parte», perché solo nel caso in cui la temperatura del gas durante
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ENERGIA l’espansione rimane costante, il calore fornito è esattamente uguale al lavoro eseguito (in formule: se ∆T
= 0, allora Q = L).
Cosa succede se la temperatura del gas cambia?
Consideriamo il caso estremo, nel quale forniamo calore al sistema, mantenendo il volume del gas costante (ad esempio, blocchiamo il pistone). In questo
caso sappiamo che il calore fornito al gas ne provoca
un aumento della temperatura. Il sistema non compie
alcun lavoro, perché, sebbene la forza sulle pareti del
contenitore aumenta (aumenta la pressione del gas),
essa non provoca alcuno spostamento e dunque il lavoro prodotto sarà nullo (L = 0). Dove è finita allora
l’energia fornita con il calore?
Diciamo, in questo caso, che il calore ha aumentato l’energia interna del gas (che indicheremmo con
la lettera U). Al momento non possiamo descrivere
meglio questa energia interna, ma dobbiamo ammetterne l’esistenza in modo da assicurare che torni il
bilancio dell’energia. Come il lavoro di una forza
esterna può aumentare l’energia meccanica di un sistema conservativo, così il calore può aumentare l’energia interna (termica) di un corpo. Nel caso in cui il
calore fornito non produca alcun lavoro, esso deve
essere completamente trasferito all’energia interna
(ovvero: Q = ∆U se L = 0). Per comprendere davvero cosa sia l’energia interna di un corpo, dovremmo
conoscerne meglio la struttura interna, indagare la
natura microscopica della materia, ma ne parleremo
più avanti, nel quarto capitolo. Per ora accontentiamoci di postulare l’esistenza di questa energia interna
e osservare come questa cambi in corrispondenza alle
variazioni di temperatura dei corpi.
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CAPITOLO SECONDO Quest’osservazione ci fornisce una nuova, importante interpretazione della temperatura in termini di
energia: poiché lo scambio di calore può provocare un
aumento di energia interna, che a sua volta può corrispondere a un aumento di temperatura, possiamo affermare che la temperatura rappresenta un indicatore
della quantità di energia interna al sistema.
A conferma di quest’osservazione, notiamo che possiamo aumentare la temperatura di un corpo comprimendolo rapidamente. È quello che succede quando
gonfiamo la ruota della bicicletta: alle ultime pompate, poca aria passa nel pneumatico e il nostro sforzo
riesce solo a comprimere l’aria nella pompa. Se tocchiamo la pompa in queste condizioni, ci accorgiamo
che è più calda. In effetti, la compressione dell’aria è
molto rapida e l’aria non ha tempo di scambiare molto calore con l’esterno (Q = 0). L’aumento di temperatura corrisponde dunque all’aumento di energia interna dovuto esclusivamente al nostro lavoro, ovvero
al lavoro che il gas ha subito a causa della nostra
azione (in formule, ∆U = -L se Q = 0).
Cosa succede nel caso più generale? Ovvero cosa
accade se forniamo calore al sistema (Q), mentre esso
si espande, quindi effettua un lavoro (L), e contemporaneamente cambia la sua temperatura, e quindi
cambia la sua energia interna (di un ammontare ∆U)?
Il primo principio della termodinamica impone che l’energia totale deve conservarsi, ovvero che l’energia totale
durante qualsiasi processo naturale, non può né
crearsi ne distruggersi. Il primo principio della termodinamica predice che il bilancio totale di energia
coinvolta nella trasformazione deve andare in pareggio. Ovvero la quantità di calore fornito (Q), meno il
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ENERGIA lavoro prodotto (L) deve essere pari alla variazione di
energia interna del sistema (∆U):
∆U = Q - L.
(Questa formula riassume tutte le precedenti, che
rappresentano dei casi particolari in cui uno dei termini era pari a zero.)
La formulazione precisa del primo principio risente
del contesto in cui essa è stato elaborato, quello dello
studio delle macchine termiche, come la macchina a
vapore di Watt. Il calore che assorbe il sistema (la macchina) rappresenta la quantità di combustibile bruciato
nella caldaia. Ad una parte di questo calore assorbito
dalla macchina corrisponde il lavoro che il sistema fornisce, cioè il movimento dei pistoni del motore che ci
permette di pompare l’acqua fuori dai tunnel della miniera, di muovere il telaio della fabbrica o di tirare le
carrozze del treno. Il calore restante aumenta l’energia
interna della macchina, ossia la sua temperatura. Tuttavia, per evitare di fondere la macchina e permetterle
invece un funzionamento ciclico perfetto, dobbiamo
raffreddarla costantemente, facendo circolare al suo
interno un flusso continuo d’aria o d’acqua fresca, oppure scaricando in atmosfera il vapore o i gas caldi utilizzati nel motore. Questo accorgimento permette di
sottrarre calore alla macchina, cedendolo al condensatore (rappresentato dal flusso di fluido refrigerante o
dall’atmosfera nella quale scarichiamo i fumi), in modo
che la variazione di energia interna del sistema sia pari
a zero dopo ogni ciclo. Il calore ceduto rappresenta
una frazione di energia, contenuta nel combustibile,
che la macchina non è riuscita a convertire in lavoro
utile. Ne parleremo ancora, nel quarto capitolo.
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CAPITOLO SECONDO I cubetti di Feynman
L’energia è dunque una quantità conservata importantissima. Abbiamo visto, anche storicamente,
come si è giunti alla sua definizione. In realtà abbiamo mostrato come il passaggio cruciale sia stato l’identificazione del calore come un trasferimento di energia equivalente al lavoro: accettata l’equivalenza tra
calore e lavoro, tutte le tessere del mosaico, gli studi
di termodinamica, quelli di meccanica, i risultati dell’elettromagnetismo, hanno trovato posto nel quadro
dell’energia. Da allora ogni nuovo fenomeno naturale
scoperto, come l’energia nucleare, i fenomeni quantistici, i fenomeni relativistici, dalle osservazioni astronomiche alla dinamica delle microscopiche particelle
elementari, hanno sempre confermato il principio
della conservazione dell’energia, purché si aggiungessero nuove tessere al mosaico. Per descrivere questo
processo, Richard Feynman (1918-1988), un fisico
americano molto abile nel divulgare con intelligenza
la fisica, amava raccontare una piccola parabola.
Una mamma regala a suo figlio 28 cubetti di legno
colorati. La sera, quando riordina la stanza della piccola
peste, li ritrova sempre sparpagliati per terra, un po’
ovunque, ma la mamma nota che contandoli sono sempre 28. Un giorno, però, sul pavimento ci sono solo 27
cubi. Dopo una breve ricerca, la madre scopre che uno
è finito sotto il tappeto: il loro numero dunque è rimasto costante, sempre 28. Un altro giorno i cubi sono 26,
ma la finestra è aperta: affacciandosi, la madre vede due
cubi sul prato e si rassicura, i cubi in totale sono sempre
28, anche se per trovarli bisogna cercarli in posti diversi
e qualcuno può essere uscito dalla stanza.
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ENERGIA Tutto procede come previsto, fin quando la mamma trova nella stanza 30 cubetti! La povera donna ha
difficoltà a raccapezzarsi con la nuova scoperta, ma
poi si ricorda della visita di un amichetto del figlio,
che ha portato con sé i suoi cubetti colorati: «deve
averne dimenticati due», pensa la mamma, «il che fa
tornare i conti». Bandito l’amico e chiusa la finestra,
tutto torna in ordine, finché un giorno mancano di
nuovo all’appello 3 cubetti. Dopo aver cercato dappertutto, la madre si dirige verso una scatola di giocattoli per verificarne il contenuto, ma il figlio le si
para davanti: «quella è la mia scatola segreta, non
puoi aprirla». La madre è turbata, ma promette al figlio di non aprire la scatola. Escogita quindi un metodo
ingegnoso per continuare la sua indagine sul numero di
cubetti: un giorno che tutti e 28 i cubetti sono sul pavimento, la mamma pesa la scatola e annota il peso: 320
grammi. Fatto questo, conoscendo il peso di un cubetto
(60 grammi), prova a calcolare il numero di cubetti presenti nella scatola senza aprirla. In effetti, la donna scrive una formula matematica, della quale verifica con
soddisfazione l’esattezza il giorno seguente:
(num.cubetti visti) +
(peso scatola) - (320)
= 28.
(60)
Un altro giorno, la formula appena trovata non
funziona più, ma la donna si accorge che la vasca dove il figlio ha fatto un lungo bagnetto, è piena d’acqua
sporca. Subito pensa che dentro ci siano i cubetti
mancanti, ma non riuscendo a guardare il fondo (il
bambino era davvero sporco) elabora una nuova
formula, basata sul livello normale dell’acqua (18
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CAPITOLO SECONDO cm) e l’aumento del livello quando è immerso un
cubetto (2 cm):
(peso scatola) - (320)
+
(60)
( livello acqua) - (18)
+
= 28.
(2)
(num.cubetti visti) +
Anche questa nuova formula funziona, finché il
frugoletto non trova nuovi nascondigli, costringendo
la madre ad aggiungere termini alla sua formula.
La metafora di Feynman è chiara: i cubetti rappresentano l’energia e la formula ne fornisce il bilancio,
in ogni occasione. I fisici, come la mamma della parabola, sono sempre riusciti ad aggiungere termini alla
formula in modo da assicurare la validità del principio
di conservazione dell’energia, ogni volta che apparivano strani fenomeni che sembravano smentirlo.
Feynman aggiunge un’ultima frase su cui riflettere:
«Qual è l’analogia di tutto questo con la conservazione dell’energia? Il concetto cruciale che deve essere
estrapolato da questa metafora è che non ci sono cubetti». Nelle varie formule proposte dalla madre, cioè, va
eliminato il primo termine: (numero cubetti visti), perché
nessuno ha mai visto l’energia direttamente. Sappiamo solo calcolarne la quantità osservandone gli effetti
e le manifestazioni in fenomeni apparentemente scollegati. Possiamo assegnare nomi diversi ai vari termini che aggiungiamo nella formula della conservazione, e possiamo dire che sono diverse forme di energia.
Feynman cita queste «forme», alcune le abbiamo già
incontrate: «energia gravitazionale, energia cinetica,
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ENERGIA energia elastica, energia termica, energia elettrica,
energia chimica, energia di radiazione, energia nucleare, energia di massa». Ciascuna di queste «forme» di
energia è in realtà solo un termine all’interno di un’equazione: sommando il valore che ciascuno di questi
termini assume nel nostro sistema, il valore finale
non cambia, purché non entri energia dall’esterno o
non ne esca dal sistema.
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