Monastero S.Maria del Monte Carmelo ::: Concenedo di Barzio
Per creare un orecchio ebraico
di C. Dobner
Una necessità per il cristiano
Da quel punto di non ritorno nella storia della Chiesa che è il Vaticano II, le relazioni fra ebrei e cristiani hanno conosciuto
un’apertura e una ricchezza prima sconosciuta.
L’apporto più significativo e che fa riflettere sulla cecità esibita e sostenuta per secoli è proprio Gesù riconosciuto
figlio d’Israele, radicato nelle tradizioni, conoscitore della Torah e molto vicino alla mentalità e al linguaggio dei
maestri del suo tempo.
In questo grembo, quello della Third Quest , si avverte sempre più urgente la necessità per il cristiano di crearsi un
orecchio ebraico. Modalità insolita quando non inedita, fortemente auspicata anche per non piegare l’ebraismo,
con tutta la sua secolare tradizione, a puro uso per comprendere il proprio cristianesimo, ma per procedere insieme da
amici che, solo nel confronto, crescono nella loro personale e comunitaria identità.
Maestro in questa creazione dell’orecchio ebraico è rav Philipp Haddad che è stato rabbino a Nîmes e a Parigi,
inoltre, dal 1992, insegna a l’École Laïque des Religions, un’istituzione parigina volta ad informare
sull’Ebraismo, sul Cristianesimo, sull’Islam, l’Induismo e il Buddismo, come pure su ogni pensiero
religioso considerato dal punto di vista storico e filosofico.
Ricca è la produzione stampata almeno quanto quella orale e di partecipazione ad convegni, sessioni di studio ed
incontri fra amici, considero alcune opere che si stagliano per il loro valore.
Ebraismo spiegato ai miei amici: la sua storia, i suoi riti, le sue sfide
Rav Haddad si fa maestro appassionato e porta luce di chiarimento e una grande apertura, con una mente da
razionalista credente, da storico ma anche da persona spirituale quando spiega l’ebraismo ai suoi amici.
Egli delinea l’ebraismo plurale, con la sua vocazione monoteista e suddivide l’opera in due parti:
- la storia degli ebrei fino alla creazione dello Stato d’Israele;
- la tradizione, i grandi pensatori, la pratica religiosa, la preghiera, il sionismo, politico e religioso.
Rav Haddad sottolinea come l’ascolto dell’altro richieda coraggio e umiltà e un certo distacco dalla propria
comunità.
Chiudendo il libro si riallaccia a rav Kook, primo gran rabbino askenazita in Israele che «aveva studiato i più ortodossi,
era una vetta sia sul piano del Talmud sia su quello della Kabbalà, diagnosticò all’inizio del secolo che era
necessario riformare i metodi d’insegnamento per rispondere agli interrogativi della nuova generazione».
Un dittico particolarmente felice e impegnativo, malgrado la scorrevolezza del dettato, è rappresentato dalle due opere:
Quand Jésus parlai à Israël. Une lecture juive de paraboles de Jésus
Il libro raccoglie gli interventi d’incontri di studi di gruppi diversi di amici ebrei e cristiani di Nîmes, Saint-Germainen Laye, Parigi al Collège des Bernardins e nella diocesi di L’Essonne.
L’ottica precisa si delinea seguendo Gesù nei racconti evangelici, un ebreo praticante vissuto all’epoca del
II Tempio e itinerante in Galilea, Giudea e Gerusalemme.
Collocandosi nel testo vero e proprio, così come viene esplicitato oppure nella griglia sottesa e rimasta implicita, e
nell’insegnamento di Jeshua, si viene formando un mosaico tipico dell’epoca che fa conoscere la vita
liturgica, lo Shabbat, le feste bibliche. Insieme palesa quella che è l’originalità propria dell’ebreo Gesù.
La parabole di Gesù, lette ed interpretate da chi, come Ph. Haddad si muove nella tradizione ebraica con un respiro
naturale e profondo, acquistano nuova luce.
La ricerca diventa fraterna e condivisa all’interno della metodologia del rabbinismo applicata alla narrazione
evangelica che aiuta a comprende Jeshua, che ha parlato con grande vigore e originalità e si inscrive nella logica dei
farisei.
Non si tratta in questa ricerca di portare a convincimenti di mutamento di religione, di fede o confessione ma al radicarsi
in profonda, alla comprensione di quanto letto fino a quel momento in sola superficie.
Notre Père. Avinou shébashamayim. Une lecture juive de la prière de Jésus
Testo non da leggere e lasciar passare ma da dover fare proprio nella ricerca che si spinge sempre più in profondità e si
apre «a profondità del tutto insospettate dall’inizio» e guidano in uno studio in cui risplende la valenza ebraica e
non solo l’acquisizione occidentale: «Studiare e ancora studiare il Padre Nostro come si studia la Torah, con i
nostri strumenti intellettuali, con le nostre conoscenze, con la nostra memoria, con i nostri maestri, con le nostre opere,
con la nostra buona volontà, e soprattutto per la grazia e la gloria di Dio, alleluia» (p. 13).
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Nulla è tralasciato: il midrash, la liturgia d’Israele, la tradizione orale. Nulla è dato per scontato, lo si può verificare
con gli interrogativi indicati e che oggi ci si deve porre perché vengono a toccare la persona nella sua identità.
Rav Philippe Haddad esplicita con chiarezza la sua posizione:
Io amo il Padre Nostro! Preghiera semplice e profonda. Ci apre all’universale, ci vinta alla pace. Senza accuse,
senza reprimende verso i cattivi, i devianti, senza accuse contro l’inferno degli altri. Senza ebraico-centrismo,
senza cristiano-centrismo. Una preghiera né ebraica, né cristiana, che un ebreo potrebbe recitare, come qualsiasi
credente di un’altra fede (pp. 206-207).
Libri quindi che esigono una postura semplice ma inedita: sedersi ai piedi del maestro per apprendere ad ascoltare con
orecchio e cuore ebraico quel Gesù di Nazaret che, finalmente, stiamo rispettando nella sua identità, quella che il Padre
gli ha scelto, grazie alla mediazione dei nostri amici ebrei che, quest’orecchio, hanno connaturato ed addestrato.
Infatti siamo nel campo dei suoni, la voce di rav Philippe Haddad lascia trasparire un’altra voce: «La dolce voce di
Gesù ci invita al risveglio delle nostre risposte» (p. 209).
Preghiera però uscita dalle labbra e dal cuore del Figlio incarnato e rav Philippe Haddad non lo misconosce e non lo nega.
La conferma incrociata si trova nell’analisi dell’articolo centrato sul Sermone della Montagna , drasha al
hahar, «ebrei e cristiani si trovano quindi chiamati a rispondere ad un’etica di vita, praticamente simile, un ethos
tanto esigente da una parte quando dall’altra. In nome però di quale autorità trascendente? L’ebreo risponde
in nome della Torah, parola del Dio vivente. Il Cristiano risponde nel nome di Gesù, figlio del Dio vivente» (p. 750).
Il sospetto quindi di una sincresi spuria o di una commistione viene così fugato all’insegna di una trasparenza che
accresce l’amicizia e costruisce non sulle macerie dei devastanti secoli che ci hanno preceduti ma sulle basi più
reali dell’elezione di Israele, del dono della Torah, della grande tradizione dei Maestri in Israele e della certezza,
per i cristiani della venuta del rabbi di Nazaret, Yeshua, il Messia con la sua Passione e Risurrezione.
QOL 162/163
Gennaio-febbraio-marzo 2014.
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