Concilio Vaticano I
Ventesimo concilio ecumenico della Chiesa cattolica, in cui furono solennemente definiti il
primato di giurisdizione e l’infallibilità del pontefice in materia di fede e di morale.
Annunciato da Pio IX nel 1864, il Concilio si aprì nella Basilica di San Pietro a Roma l’8
dicembre 1869 e fu sospeso il 1° settembre 1870, allo scoppio della guerra franco-prussiana.
La presa di Roma (20 settembre 1870) ne impedì la ripresa, e il Concilio venne formalmente
chiuso solo nel 1960, da papa Giovanni XXIII. Dei 1050 vescovi aventi diritto, solo 800 vi
parteciparono, metà dei quali in rappresentanza di diocesi europee; la maggioranza degli altri
partecipanti era costituita da missionari europei all’estero. Nella terza sessione del Concilio (24
aprile 1870) fu approvata la costituzione dogmatica De Fide catholica (Dei Filius), in cui
vennero condannati il panteismo, il materialismo e l’ateismo; nella quarta sessione (18 luglio
1870) venne proclamato il dogma dell’infallibilità, con la costituzione Pastor Aeternus. In
questo documento si dichiara che il papa detiene il primato di giurisdizione sulla Chiesa intera
e che, quando parla ex cathedra, è dotato da Dio di libertà da errore (cioè infallibilità)
nell’insegnamento di fede e morale. La discussione della costituzione Pastor Aeternus fu
accesa, benché gli oppositori non fossero più di un terzo dei presenti. Alcuni partecipanti erano
convinti dell’inopportunità di proclamare l’infallibilità del pontefice, considerata la situazione
politico-religiosa dell’Europa; altri formularono seri dubbi storici e teologici sulla dottrina
stessa. Alcuni membri del concilio si assentarono dalla sessione del 18 luglio, nella quale si
registrarono 433 voti a favore della costituzione Pastor Aeternus e due voti contrari. Lo storico
della Chiesa Ignaz von Döllinger fu scomunicato per aver rifiutato di accettare il dogma. Il fatto
portò allo scisma dei “vecchi cattolici”, che fondarono una loro Chiesa ispirandosi alla figura di
Döllinger.
Infallibilità
Dottrina secondo cui l'assistenza divina dispensa la Chiesa e il papa da errori sostanziali in
materia di fede e di morale. Generalmente posta in relazione con la Chiesa cattolica, questa
dottrina viene applicata anche dalla Chiesa ortodossa alle decisioni dei concili ecumenici,
mentre la rifiutano i protestanti, i quali affermano che solo Dio può essere definito 'infallibile'.
La teologia cattolica afferma che la Chiesa intera è infallibile (e non può quindi commettere
errori in materia di fede), quando, dai vescovi al laicato, mostra consenso universale in
materia di fede e di morale. Si ritiene che solo i seguenti soggetti nella Chiesa, che detengono i
più alti gradi del magistero, possano proclamare infallibilmente la dottrina cristiana: 1) l'intero
collegio dei vescovi in unione col papa – vescovo di Roma – se il loro insegnamento si fonda su
principi morali unanimemente adottati; 2) un concilio ecumenico che riceva l'approvazione
papale; 3) a certe condizioni, il solo papa. Secondo la definizione promulgata nel 1870 dal
Concilio vaticano I, il papa esercita un magistero infallibile solo quando: 1) parla ex cathedra,
cioè nella sua funzione ufficiale di pastore e maestro; 2) parla con l'intenzione manifesta di
vincolare la Chiesa intera ad accogliere le sue parole; 3) la questione riguarda la fede o la
morale insegnata come parte della rivelazione divina trasmessa dall'età apostolica. Pertanto le
opinioni personali o private del papa non vengono mai considerate infallibili. Dalla metà del XIX
secolo sono stati fatti nella Chiesa cattolica solo due pronunciamenti ex cathedra: la definizione
dei dogmi dell'Immacolata Concezione nel 1854 da papa Pio IX, e dell'Assunzione della Vergine
Maria nel 1950 da papa Pio XII. Per i cattolici, l'infallibilità non è una sorta di miracolosa
chiaroveggenza, bensì piuttosto una grazia, o dono divino, biblicamente e teologicamente
fondata. Si sostiene che la Chiesa riceva questo dono da Dio, che è l'unica fonte di infallibilità.
Poiché gli argomenti soggetti all'infallibilità sono dottrine radicate nelle Scritture e nella
tradizione antica della Chiesa, che non possono essere contraddette, si ritiene che nuove
dottrine e innovazioni debbano essere escluse. L'infallibilità è quindi considerata come un dono
da usare con la massima cura nel servizio del Vangelo.
Pastor Aeternus
La Pastor Aeternus è una costituzione dogmatica del Concilio Vaticano I sulla Chiesa di Cristo,
approvata il 18 luglio 1870.
Fin dall’inizio del Concilio il problema della Infallibilità papale preoccupava ed agitava un po’ tutti,
la Curia romana, i Padri conciliari, i Governi e le Cancellerie europee, e l’opinione pubblica. Il
Concilio Vaticano I era iniziato l’8 dicembre 1869, e già alla fine del mese furono raccolte firme tra
i Padri perché si iniziasse al più presto la discussione sulla questione dell’infallibilità. Dall’altra
parte, anche coloro che erano contrari ad una definizione del dogma raccolsero firme per
manifestare la loro contrarietà. Così, a febbraio 1870, furono raccolte circa 450 firme favorevoli
all’apertura della discussione, mentre circa 150 si dimostrarono contrari: la maggioranza dunque
voleva la discussione. Già il 21 gennaio ai Padri conciliari era stato sottoposto un lungo schema
dottrinale sulla chiesa (De Ecclesia), redatto dalla Commissione preparatoria al Concilio nei mesi
precedenti la sua apertura, in cui però mancava ogni accenno all’infallibilità. Il 1º marzo Pio IX
decise di intervenire direttamente, annunciando la sua volontà che il Concilio affrontasse la
questione che lo riguardava così da vicino. Così allo schema sulla chiesa, venne aggiunto un
capitolo, quasi un’appendice, dedicato all’infallibilità del magistero pontificio. Ma in questo modo
lo schema risultava ancora più lungo del testo originale, e, facendo due conti, i Padri conciliari si
accorsero che la discussione sull’infallibilità sarebbe stata affrontata solo nella primavera del 1871.
Alcuni Padri conciliari proposero allora che il Concilio iniziasse immediatamente l’esame e la
discussione dell’ultimo capitolo dello schema sulla chiesa. Dopo vari interventi a favore o contro
tale proposta, alla fine del mese di aprile, Pio IX dette ordine di iniziare l’esame del capitolo
sull’infallibilità. Per ovviare agli inconvenienti di questa inversione di discussione, il capitolo fu
estrapolato dallo schema originale (De Ecclesia) e trasformato in un nuovo testo (De Romano
Pontifice), suddiviso in quattro capitoli. La discussione su questo nuovo schema si prolungò
vivacissima dal 13 maggio al 18 luglio 1870. Secondo la prassi consueta, la discussione
inizialmente verteva sullo schema nel suo insieme, e poi si affrontavano i singoli capitoli. Il primo
esame occupò i Padri conciliari dal 13 maggio fino agli inizi di giugno; il 6 giugno iniziò invece la
discussione sui singoli capitoli del testo. In due giorni si affrontarono e si approvarono i primi due
capitoli; il terzo capitolo fu discusso nella settimana successiva; e il 15 giugno cominciò l’esame e
la discussione sul quarto capitolo, dedicato all’infallibilità. Dopo interminabili discussioni, tra il
caldo dell’estate romana, il 13 luglio si votò lo schema nel suo insieme: 50 Padri circa non
parteciparono alla seduta, e dei 601 presenti, 88 dettero un voto negativo e 62 approvarono con la
riserva iuxta modum. Sommando questi ultimi voti con quelli dei non presenti, circa un quarto
dell’assemblea si mostrò contraria all’approvazione dello schema. Così in quelle ore e in quei
giorni, si fecero pressanti gli appelli e gli interventi dell’una e dell’altra parte: i favorevoli, per
spiegare il senso dell’infallibilità; i contrari, per limitare i poteri del papa infallibile. Su decisione di
Pio IX, fu inserito nel testo di proclamazione del dogma dell’infallibilità la famosa espressione non
autem ex consensu Ecclesiae (e non per il consenso della Chiesa), che fece molto arrabbiare ed
amareggiare gli antiinfallibilisti, e che tanto fece discutere in seguito. Il 18 luglio, durante un
violento uragano che imperversava su Roma e in mezzo alle tenebre che improvvisamente avevano
invaso la basilica vaticana, fu letto il testo definitivo della Pastor Aeternus e si procedette alla
votazione. La minoranza antiinfallibilista aveva già comunicato a Pio IX la sua decisione di non
partecipare alle votazioni, e la sera precedente aveva abbandonato il Concilio. Su 535 vescovi
presenti, 533 dettero la loro approvazione: gli unici due vescovi contrari aderirono subito al parere
unanime dei loro colleghi. Pio IX sanzionò immediatamente il testo, e fra l’oscurità generale si
cantò il Te Deum.
La Pastor Aeternus, significativamente approvata col titolo di « prima costituzione dogmatica sulla
chiesa di Cristo », si compone di un prologo e di quattro capitoli.
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Il prologo evoca l’istituzione della chiesa da parte di Cristo, parla della missione degli apostoli e
della funzione di Pietro come di « intramontabile principio e visibile fondamento » dell’unità della
chiesa.
Il primo capitolo è dedicato a sostenere la « istituzione del Primato Apostolico nel Beato Pietro » e
dunque a respingere da una parte la tesi di coloro che negano che Pietro abbia ricevuto un vero e
proprio primato di giurisdizione, e dall’altra la tesi secondo la quale Cristo conferì il primato non a
Pietro ma alla chiesa, e solo per mezzo di essa a Pietro come suo ministro.
Il secondo capitolo è dedicato a dimostrare che il primato concesso a Pietro si perpetua nei Papi di
Roma, e che questa perpetuità è direttamente collegata alla volontà divina.
Il terzo capitolo parla « del valore e della natura del primato del romano pontefice ». Il primato del
Papa (ossia la sua autorità suprema di giurisdizione), al quale tutti devono obbedienza in forza della
subordinazione gerarchica, è qualificato come ordinario, immediato, veramente episcopale, su
tutti, pastori e fedeli, e non riguarda solo la fede ed i costumi, ma anche la disciplina e il regime
della chiesa. I Vescovi, d’altra parte, non sono dei semplici funzionari, subordinati al papa e suoi
puri esecutori: la Pastor Aeternus, utilizzando le medesime espressioni, afferma che « questo
potere del Sommo Pontefice non pregiudica in alcun modo quello episcopale di giurisdizione,
ordinario e immediato, con il quale i Vescovi, insediati dallo Spirito Santo al posto degli Apostoli,
come loro successori, guidano e reggono, da veri pastori, il gregge assegnato a ciascuno di loro ». Il
documento non affronta però il problema di come possano coesistere questi due poteri, papale ed
episcopale, entrambi qualificati con gli aggettivi ordinario, immediato, episcopale. Questo, dicono
gli storici, spiega il perché questa Costituzione dogmatica sia qualificata come prima nel suo titolo.
Il quarto capitolo affronta e definisce il dogma della Infallibilità papale in questi termini:
« Proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex
cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in
forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola
tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di
quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la
dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono
immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa ».
I vescovi che non avevano partecipato alla votazione finale aderirono più o meno prontamente al
nuovo dogma. Primi furono i vescovi francesi, che scrissero al Papa o accettando senza commenti le
decisioni del concilio. Più lenta fu l’adesione dei vescovi austriaci e tedeschi, che poi però finirono
per accettare la fede comune. Solo Döllinger, professore di teologia, non volle riconoscere il nuovo
dogma e il 17 aprile 1871 venne scomunicato: i suoi discepoli abbandonarono la Chiesa cattolica e
fondarono la Chiesa vetero-cattolica.
Il governo austriaco colse il pretesto del nuovo dogma per denunziare il Concordato stipulato con la
Santa Sede nel 1855, in quanto esso era stato fatto con un pontefice che non si presentava come
infallibile, mentre ora una delle due parti contraenti si arrogava una posizione sostanzialmente
diversa dalle precedenti; in questo modo, secondo il governo austriaco, cadeva ogni obbligo di
fedeltà al patto precedentemente concluso.
L’intervento dei vescovi tedeschi [modifica]
In Germania, il Bismarck diramò un dispaccio, il 14 maggio 1872 (ma rimasto segreto fino al
1874), nel quale si sosteneva che in occasione di un futuro conclave si sarebbe dovuto prestare
speciale attenzione all’elezione del papa, dato che dopo il Concilio Vaticano I i vescovi non
avevano più alcuna importanza, essendo stati ridotti a semplici rappresentanti locali del pontefice di
Roma. I vescovi tedeschi, quando il documento divenne di dominio pubblico, presero la decisione
di indirizzare al Cancelliere una risposta collettiva. Questa lettera è importante per due motivi:
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primo perché i suoi contenuti furono lodati ed approvati da Pio IX, con un breve, il 2 marzo 1875;
secondo perché, proprio in forza di questo riconoscimento, essa rappresenta la più genuina ed
autentica interpretazione del dogma dell’infallibilità. [1]
Cosa dissero i vescovi tedeschi? La loro reazione al dispaccio di Bismarck era imperniato su due
punti: che il concilio si era limitato a sancire ciò che era già nella prassi e nella coscienza della
Chiesa cattolica, senza alcuna innovazione; e che la costituzione Pastor Aeternus in nessun modo
ledeva o limitava la responsabilità di ciascun vescovo e dell’episcopato nel suo insieme.
In particolare, la risposta dell’Episcopato tedesco affermava:
1. che il Papa è vescovo di Roma e di nessuna altra diocesi;
2. che il suo non è un potere di tipo monarchico assoluto, in quanto è sottoposto al diritto divino ed è
vincolato dalle disposizioni date da Cristo alla sua chiesa;
3. su questa istituzione divina è fondato il papato, ma anche l’episcopato, per cui i vescovi non sono
affatto funzionari senza responsabilità propria;
4. l’infallibilità non è nulla di nuovo, in quanto già presente nella coscienza e nella prassi della Chiesa
cattolica; e riguarda solo gli interventi ex cathedra, ossia quando il pontefice impegna la propria
autorità;
5. e benché il papa non abbia il dovere giuridico di ascoltare l’episcopato quando impegna questa sua
autorità (questo il senso del non autem ex consensu Ecclesiae), tuttavia non esprimerà mai niente
di contrario o di diverso da ciò che già la Chiesa crede e vive (dunque ha l’obbligo di un consenso
morale).
Nella sua risposta, Pio IX approvò la dichiarazione dei vescovi tedeschi, in quanto essa « fornisce la
pura dottrina cattolica e conseguentemente quella del santo concilio e di questa Santa Sede ».