1. Lo Statuto regionale Ciascuna Regione, in quanto ente

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LE FONTI DEL DIRITTO REGIONALI
1. Lo Statuto regionale
Ciascuna Regione, in quanto ente territoriale dotato di autonomia politica
all’interno della Repubblica, adotta proprie fonti del diritto, ossia atti che contengono
disposizioni e, quindi, norme giuridiche (regole) dirette a regolare le fattispecie concrete
nel territorio di ciascuna Regione. L’insieme di queste norme regionali, unitamente alla
popolazione residente nella Regione e all’apparato organizzativo della stessa,
costituiscono l’ordinamento giuridico regionale.
Lo Statuto regionale fa parte di questo sistema regionale delle fonti del diritto;
come recita la Costituzione (art. 123), infatti, ciascuna Regione ha un proprio Statuto;
ciò comporta che esistano 15 Statuti delle Regioni ordinarie e 5 Statuti delle Regioni
speciali (Sicilia, Sardegna, Trentino Alto-Adige, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia).
Attraverso lo Statuto, le singole Regioni disciplinano alcune materie specifiche,
indicate dalla Costituzione all’art. 123, ossia:
la forma di governo della Regione ed i principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento;
l’esercizio del diritto di iniziativa e di referendum su leggi e
provvedimenti della Regione;
la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali;
l’organizzazione ed il funzionamento del Consiglio delle Autonomie
locali.
Il testo originario della Costituzione, adottato dall’Assemblea costituente ed entrato in
vigore il 1 gennaio del 1948, disciplinava in maniera diversa le materie oggetto dello
Statuto regionale; prima della legge costituzionale n. 1 del 1999, infatti, esse erano
limitate:
all’organizzazione interna della Regione;
all’esercizio del diritto di iniziativa e di referendum su leggi e
provvedimenti della Regione;
alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
Per forma di governo regionale si intende il rapporto che intercorre tra gli organi
politici della Regione, ossia Consiglio regionale, Giunta regionale e Presidente della
Regione. La forma di governo regionale è già disciplinata in Costituzione e dall’art. 5
della legge costituzionale n. 1 del 1999, tuttavia, ciascuna Regione può modificare
questa disciplina posta dallo Stato. In base ad essa, il Presidente della Regione (che è
anche Presidente della Giunta) è alla guida dell’esecutivo regionale ed è eletto a
suffragio universale e diretto dagli elettori residenti nei Comuni della Regione;
quest’ultimi scelgono, contemporaneamente, anche i componenti del Consiglio
regionale, ossia dell’organo assembleare regionale che è titolare della funzione
legislativa. La forma di governo “suggerita” in Costituzione è di tipo parlamentare
razionalizzato, perché il Consiglio, pur non scegliendo il Presidente, lo può sempre
sfiduciare, costringendolo alle dimissioni. Così facendo, però, il Consiglio è sciolto e gli
elettori regionali devono esser nuovamente chiamati alla urne per eleggere il Presidente
ed il Consiglio.
Sostanzialmente, con i nuovi statuti regionali, le Regioni possono sostituire
questa forma di governo con una di tipo parlamentare puro, ossia possono prevedere che
a scegliere il Presidente sia il Consiglio e non gli elettori direttamente. In questo caso,
l’organo assembleare potrebbe cambiare quando vuole, senza essere sciolto, l’esecutivo
regionale e la forma di governo sarebbe di tipo parlamentare a tendenza assembleare,
come, d’altronde, è stata sulla base del quadro normativo precedente alla legge
costituzionale n. 1 del 1999, ossia fino alle elezioni regionali del 2000.
Per quanto concerne ancora il contenuto dello Statuto, la dottrina e la Corte
costituzionale (sentt. nn. 921 e 829 del 1988) riconoscono già da tempo la legittimità
dell’esistenza, accanto a quelli che possono essere definiti i contenuti necessari dello
Statuto (previsti dall’art. 123 Cost.), altre norme che risultino ricognitive delle funzioni
e dei compiti della Regione o che indichino “aree di prioritario intervento politico e
legislativo”. L’unicxo profilo problematico, quindi, non è se gli statuti regionali possano
disciplinare ulteriori contenuti oltre quelli che sono ad essi costituzionalmente riservati,
ma se tali norme statutarie possiedono o meno efficacia giuridica.
Per quanto riguarda il procedimento di adozione dello Statuto regionale, per
quanto concerne le Regioni ordinarie, l’art. 123 della Costituzione prevede che il
Consiglio regionale approvi l’identico testo per due volte a distanza non inferiore ai due
mesi con la maggioranza assoluta dei consiglieri (ossia la metà più uno dei membri del
Consiglio regionale, il cui numero varia da Regione a Regione).
La Costituzione richiede che il testo sia approvato, dunque, con un procedimento
aggravato rispetto a quello con il quale si approva la legge regionale, per la quale è
sufficiente che il Consiglio si esprima per una sola volta e con la maggioranza semplice
dei propri membri.
In seguito al doppio voto favorevole da parte del Consiglio regionale, lo Statuto
(o meglio, la delibera statutaria) è pubblicata sul Bollettino ufficiale regionale. Da quel
momento, entro trenta giorni, il Governo può impugnare lo Statuto regionale qualora
ritenesse che esso non sia “in armonia” con la Costituzione, ossia, non solo nei casi in
cui il Governo ritenga che la fonte regionale violi una “disposizione” della Costituzione,
ma anche quando esso ne violi “lo spirito” (Corte costituzionale, sentt. nn. 304/02 e
2/04).
La Costituzione, inoltre, prevede che gli elettori possano esprimersi con un
referendum sullo statuto regionale approvato dal Consiglio regionale, qualora lo
richiedano, entro tre mesi dalla pubblicazione, 1/50 degli elettori regionali ovvero 1/5
dei consiglieri regionali.
La Corte costituzionale (sent. n. 304 del 2002) ha chiarito che le due
pubblicazioni delle quali si parla per il ricorso del Governo alla Corte costituzionale e
quella per la richiesta di referendum non coincidono; lo Statuto, infatti, è pubblicato una
prima volta, ai fini del controllo governativo (pubblicazione notiziale).
Se i tre mesi entro i quali il Governo può impugnare lo Statuto trascorrono
inutilmente (ovvero nel caso di assenza di dichiarazione di illegittimità costituzionale da
parte della Corte), lo Statuto è nuovamente pubblicato (quindi seconda pubblicazione)
dopo che il Presidente della Regione lo abbia promulgato, al fine di premetterne
l’entrata in vigore. I questo caso, qualora i 1/5 dei consiglieri o 1/50 degli elettori lo
richiede, lo Statuto è sottoposto a referendum popolare, al quale partecipa la frazione
regionale del corpo elettorale della Repubblica.
Il testo originario della Costituzione, adottato dall’Assemblea costituente ed entrato in
vigore il 1 gennaio del 1948, disciplinava in maniera diversa il procedimento di
adozione dello Statuto regionale; prima della legge costituzionale n. 1 del 1999, infatti,
lo Statuto era adottato dalla Regioni a maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio
regionale, ma con una sola deliberazione, alla quale succedeva la legge statale di
approvazione dello Statuto. Lo Stato, quindi, aveva la possibilità, attraverso la legge di
approvazione, di condizionare sensibilmente il contenuto dello Statuto, il quale, secondo
parte della dottrina, proprio per questo motivo non doveva essere considerato una fonte
regionale, ma una fonte del diritto statale.
Lo Statuto regionale è una fonte primaria, quindi si colloca nel sistema delle
fonti del diritto insieme a tutte quelle fonti sottoposte subito alla Costituzione e
sovraordinate alle fonti secondarie (regolamenti del Governo e regionali).
In ogni modo, nel rapporto con le altre fonti primarie, lo Statuto vive in un
rapporto di separazione di competenze (è il caso della legge statale) o di gerarchia (è il
caso della legge regionale).
Le leggi regionali, infatti, sono tenute a rispettare lo Statuto nella parte in cui
esso prevede dei vincoli relativi alla loro produzione o al loro contenuto.
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