Progetto n. 05/MI/2002
Regione Veneto
Reg.to (CE) n° 2792 del 17/12/1999.
Misura 4.6 – Misure innovanti
Titolo del progetto: “Realizzazione di un progetto pilota per lo svezzamento di novellame di Tapes
philippinarum all’interno del Biotopo della Valle Bonello nel comune di Porto Tolle”
Beneficiario:
CONSORZIO COOPERATIVE PESCATORI DEL POLESINE O.P.
Via della Sacca, 11 Scardovari di Porto Tolle (RO)
Tel. 0426-389226 Fax 0426-389148
INDICE
1. INTRODUZIONE……………………..……….…..………………Pag. 3
1.1 Allevamento dei veneridi in Italia e in Polesine………………………………………...pag. 3
1.2 Caratterizzazione ambientale delle lagune Polesane…………………………………….pag. 4
1.3 Motivazioni della sperimentazione……………………….……………………………...pag. 8
1.4 Tecniche generali di allevamento di Tapes philippinarum………………………………pag. 10
1.5 sistemi di svezzamento…………………………………………………………………...pag. 18
2. MATERIALI E METODI…………………………….…………...Pag. 22
2.1 Descrizione della Val Bonello……………………………………………………………pag. 22
2.2 Descrizione del modulo di svezzamento in “upwelling”………………………….……...pag. 22
2.3 Gestione delle acque………………………………………………………………………pag. 24
2.4 La semina…...……………………………………………………………………………..pag. 25
3. RISULTATI E DISCUSSIONE……………….…………….…......Pag. 27
3.1 Andamento dei principali parametri fisico-chimici………………………………………pag. 27
3.2 Crescita e mortalità……………………………………………………………………….pag. 27
3.3 Indagini su parassitosi e patologie………………………………………………………..pag. 28
4. CONCLUSIONI……………………………………….…...Pag. 30
5. BIBLIOGRAFIA…………………………………….……..Pag. 31
GRAFICI………………………………………………………Pag. 35
SCHEMA………………………………………………………Pag. 37
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INTRODUZIONE
1.1 Allevamento dei veneridi in Italia e in Polesine
Sviluppatasi a partire dai primi anni ’80, dapprima in via sperimentale e quindi a fini produttivi,
la venericoltura ha trovato grande sviluppo nelle lagune del Veneto e dell’Emilia Romagna sino a
divenire un’importante realtà economica ed occupazionale nel panorama dell’acquacoltura
nazionale ed in particolare dell’Alto Adriatico. Attualmente l’Italia, con una produzione di circa
45.000 tonnellate annue, è il primo produttore europeo di vongole veraci filippine Tapes
philippinarum.
Dal punto di vista ecologico siamo di fronte al fatto che l’eutrofizzazione del Mare Adriatico, ed
in particolare dell’area deltizia e della laguna di Venezia, anziché causa di catastrofi, diviene fonte
di ricchezza, mediante lo sfruttamento del più basso anello della rete trofica rappresentato dai
molluschi bivalvi. Dal punto di vista gestionale si è assistito ad un tentativo e poi ad una
applicazione, in molte aree, di passare dalla semplice raccolta del prodotto naturale alla cosiddetta
“culture based fishery”, mediante uno sforzo di programmazione delle semine, degli spostamenti,
dei prelievi.
In Polesine, lo sviluppo delle venericoltura è risultato particolarmente vivace ed importante.
Infatti, se nel 1987 gli addetti alla molluschicoltura (prevalentemente mitilicoltura) non superavano
le 400 unità per un fatturato dell’intero comparto intorno a 5,2 milioni di euro, con l’introduzione
della vongola filippina si è assistito ad una esplosione economica ed occupazionale che nel 2002
vede coinvolti 1.450 addetti ed un fatturato complessivo che sfiora i 36,2 milioni di euro. Le ragioni
che spiegano il successo dell’allevamento dei molluschi bivalvi nel Delta del Po sono, in termini
generali, le stesse che permettono buoni risultati in ogni tipo di delta. Nel caso specifico, oltre alla
naturale ricchezza di un ambiente situato all’interfaccia acque continentali e marine, siamo di fronte
ad una evidente situazione di eutrofia che deriva dall’eccesso di nutrienti scaricati dal Po.
L’andamento della salinità è tipico delle acque salmastre, e varia nel tempo e nello spazio dal 14 al
32 ‰ (tranne casi di piena eccezionale del fiume), che è praticamente il range di tolleranza di molte
specie di molluschi bivalvi. Il regime idrologico è regolato dalle correnti di marea che forniscono
anche l’alimentazione costituita da fitoplancton e sostanze organiche disciolte. I sedimenti
presentano una tessitura mista di fango e sabbia ottimale per l’insediamento della vongola verace.
Le ragioni per le quali la specie alloctona ha soppiantato la specie indigena (Tapes decussatus) sono
dovute ad alcuni vantaggi bioecologici tipici della specie. Questi vantaggi costituiscono anche il
motivo e la fiducia che noi riponiamo nel successo del progetto di svezzamento che riteniamo possa
dare nuovo impulso alla produzione locale. Nel confronto con la specie indigena, infatti, la vongola
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filippina dimostra una maggiore tolleranza/resistenza alle variazioni di salinità, all’anossia, alle
patologie, al parassitismo ed alla competizione. Altri vantaggi biologici sono la lunghezza del
periodo riproduttivo (che dura quasi il doppio), la minore taglia di prima riproduzione ed un
maggior numero di uova per femmina. Anche la sopravvivenza delle larve e del seme sembra essere
migliore (Rossi, 1992), ed il tasso di crescita notevolmente maggiore (la taglia commerciale di 40
mm è raggiunta in soli due anni contro i circa tre della vongola indigena); inoltre la relativa facilità
di riproduzione artificiale della specie filippina (Breber, 1985) la fanno preferire a quella nostrana.
1.2 Caratterizzazione ambientale delle lagune palesane
Secondo Bramati (1988) la cartografia corrente usa spesso impropriamente e confonde i
termini laguna e stagno costiero per indicare specchi d’acqua salmastra separati dal mare da corpi
sabbiosi; mentre è corretto definire “laguna” soltanto un bacino costiero dominato dalle maree,
separato dal mare da un cordone litorale (insieme di lidi) e comunicante con esso attraverso bocche
(foci) lagunari. La definizione ben si applica per le lagune Alto-Adriatiche che Pellizzato (1998)
definisce come specchi d’acqua che si formano in regime trasgressivo, in presenza di apporti
terrigeni e significativo trasporto litoraneo. Queste aree oltre ad essere tipicamente dominate da
maree, sono secondariamente influenzate dal moto ondoso e dal vento che concorrono al
modellamento dei lidi. Quindi la tipica genesi ed evoluzione di queste zone umide si ripercuote
nella particolare morfologia, sedimentologia, idrografia e batimetria di questi specchi acquei. Così
anche dal punto di vista ecologico le lagune vengono ad assumere caratterizzazioni del tutto
peculiari. Sono ambienti che pur essendo in continua comunicazione con il mare e con le zone
continentali, vengono ad assumere strutture ed elementi che non si trovano né in ambito marino né
in quello dulciacquicolo. Oltre a ciò, come sottolineato da Guelorget et al. 1984, esiste, tra dominio
marino e quello delle acque continentali, un numero elevato di ambienti diversi per origine ed
evoluzione.
È il così detto sistema paralico ovvero di aree che hanno origine, evoluzione, dinamiche
molto varie dipendenti anche dalle condizioni climatiche e idrografiche regionali e dalle
caratteristiche idorlogiche locali, che proprio per queste ragioni assumono parametri fisici, chimici,
ecologici molto variabili e peculiari.
Carrada e Fresi (1988) sono riusciti a ben sintetizzare le caratteristiche salienti degli
ecosistemi lagunari mediterranei, pur loro stessi rimarcando il fatto che questi presentano e
mantengono una notevole differenziazione che, dal punto di vista pratico, dà ad ognuno una
specifica individualità ecologica. È possibile comunque descrivere le caratteristiche generali degli
ambienti lagunari, che sono proprie anche per le aree del Delta Padano:
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1. alta produttività: le lagune sono caratterizzate da alti tassi di produzione primaria e
secondaria e da importanti biomasse autotrofe ed eterotrofe. I tassi di produzione sono tra i
più elevati tra gli ecosistemi naturali con alti valori di produzione netta che spiegano per
tanto l’importanza economica che assumono le lagune e l’interesse derivante dalla
possibilità di sfruttamento economico e commerciale delle risorse biologiche;
2. complessità: non intesa come diversità specifica (che nelle lagune è invece solitamente
relativamente bassa) ma come elevata diversità di fattori ambientali e habitat, nonché
elevata interconnessione tra reti trofiche e relazioni tra sistema interno e sistemi circostanti;
3. stabilità: intesa non in senso classico di un sistema di grande inerzia e quindi statico, ma
inteso come “resilienza” ovvero la grande capacità della laguna di ritornare allo stato
originario dopo una perturbazione. Vale a dire pur in casi di fenomeni distrofici si riesce a
ristabilire le condizioni tipiche per il nuovo sviluppo delle proprie peculiari comunità
biotiche;
4. molteplicità delle interfacce: è forse la caratteristica più saliente, ovvero le connessioni con
il sistema continentale e con quello marino sono numerose e sono probabilmente
ulteriormente aumentate con l’uso del territorio da parte dell’uomo.
Secondo Rossi le lagune costiere di tipo mediterraneo in Italia presentano le seguenti principali
caratteristiche morfologiche e ambientali:
1. scarsa profondità (con medie tra 1 e 2 metri e massimi fino a 8 – 10 metri)
2. sono in comunicazione con il mare mediante una o più foci o canali che assicurano l’apporto
di acqua marina
3. la temperatura dell’acqua dipende dalle condizioni ambientali esterne: mostra notevoli
variazioni nel corso dell’anno, specialmente nelle lagune meno profonde, da 0 a 30° C e più,
e oscillazioni marcate anche nel passaggio notte – giorno
4. la salinità dipende strettamente dalle possibilità di ricambio con il mare e dal tipo di apporti
dall’entroterra, che ha come risultante una marcata variazione stagionale passando da
concentrazioni estremamente basse nel periodo invernale ha concentrazioni elevate nel
periodo estivo dovuto anche all’elevata evaporazione
5. il tenore di ossigeno nell’acqua è, specialmente nelle lagune meno profonde, quasi sempre
prossimo alla saturazione grazie all’azione rimescolante dei venti e alla presenza della
componente vegetale planctonica e bentonica. Anche per l’ossigeno, in particolari
condizioni però, si possono verificare gravi deficit con rischi per le comunità biotiche.
6. alta produttività, condizionata dal livello di scambio con il mare e il tipo di apporti dal
continente. I nutrienti (principalmente fosfati e nitrati) provengono in generale da acque
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fluviali spesso arricchite da scarichi urbani e industriali e da acque di drenaggio dei campi
coltivati, contenenti elevate concentrazioni di fertilizzanti (Quignard, 1984; Kapetsky, 1984)
7. per evoluzione naturale la laguna tende a scomparire per insabbiamento dei collegamenti
con il mare e a evolversi in bacini dulcaquicoli; o in altri casi può ricongiungersi con il mare
per rottura dei cordoni litorali; o in altri ancora interrarsi per accumulo di depositi fluviali.
Determinante è quindi l’intervento dell’uomo che può ad esempio accelerare il processo di
interramento o prolungare la vita della laguna con opere idrauliche.
Non si discostano per genesi, morfologia, evoluzione e caratteristiche ecologico ambientali
le lagune del Delta del Po ove numerose sacche, delimitate dalle foci dei rami dei fiume, si aprono
al mare con superficie variabile dalle poche centinaia di ettari (Burcio, Basson) sino a superare i
3.000 ettari come nel caso della Sacca di Scardovari. In tali aree le acque dei canali si mescolano a
quelle marine trasformandosi in salmastre, cioè a bassa salinità, e proprio tale elemento, unitamente
agli ingenti apporti di sostanze minerali presenti nel fiume, conferiscono all'ambiente acquatico
deltizio una grande ricchezza alimentare che ha da sempre creato una elevata varietà e quantità di
stock ittici.
In passato, più in generale tutta l’are costiera alto Adriatica compresa tra Ravenna e Grado
era un continuo alternarsi di lagune e foci fluviali, sempre in evoluzione e trasformazione. La stessa
laguna di Venezia, compresa fra l’Adige e il Piave, era un sistema ben diverso dall’attuale con
addirittura otto bocche di porto ed in essa sfociavano numerosi corsi d’acqua.
Tutti questi ambienti, “naturalmente” instabili hanno un normale trend evolutivo che,
proprio per azione di quegli apporti terrigeni fluviali dai quali hanno avuto vita, tende a portarli
verso un graduale interramento con chiusura delle bocche di comunicazione con il mare, e
successiva trasformazione in stagni, paludi ed in fine terre emerse.
Questa tendenza delle lagune alto Adriatiche è stata invece fermata ed addirittura, in alcuni
casi, invertita dall’azione dell’uomo che a deviato i fiumi, portandoli a sfociare direttamente in
mare, e costruendo opere che impedissero l’ostruzione delle bocche, cercando di ottenere un
generale aumento dell’influenza dell’azione marina nell’ambito lagunare.
Questi ambienti salmastri presentano delle caratteristiche proprie del tutto specifiche con
una chimica e un trofismo, diversi sia dall’ambiente marino sia dall’ambiente fluviale.
In genere si tratta sempre di ambienti eutrofici, con grande disponibilità di nutrienti algali,
frutto dei trasporti fluviali e della loro concentrazione in masse d’acqua ristrette. Ciò rende possibile
il sostentamento di una elevata produzione primaria, punto di partenza fondamentale per ogni rete
trofica.
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Negli ambienti deltizi, quali il Delta del Po, si viene ad instaurare una situazione ambientale
di transizione e trasformazione via via crescente da zone prettamente dulciacquicole a zone
prettamente marine: le lagune occupano perciò aree che presentano in genere una variabilità assai
elevata dei principali caratteri chimico-fisici ed idrologici come la temperatura, la salinità,
l'ossigeno disciolto, ecc... sia in termini spaziali che temporali. La salinità è uno dei parametri che
maggiormente varia risentendo del mescolamento delle acque dolci con quelle salate, ma che è
ulteriormente influenzato dall'azione della marea e degli agenti atmosferici. Infatti, per esempio, in
assenza di vento si realizza una stratificazione dell'acqua di mare più salata e quindi più pesante sul
fondo, e l'acqua dolce, più leggera, che si posiziona nello strato superficiale; d'altra parte, in fase di
alta marea la spinta di entrata dal mare supera quella dei fiume e si verifica un aumento di salinità.
Viceversa accade in bassa marea o quando si verificano nel fiume delle "morbide", ovvero
delle piene stagionali, che riescono a ridurre bruscamente e notevolmente la concentrazione di sale
disciolto. Anche l'evoluzione orografica dei fondali influenza la salinità: con il passare dei tempo si
ha infatti una riduzione della profondità dei canali interni alle lagune ed i fondali tendono
naturalmente ad uniformarsi; in tal modo le aree più interne saranno maggiormente influenzate
dagli agenti atmosferici e risentiranno in misura sempre minore dell'effetto della marea.
La temperatura è un altro parametro fondamentale che presenta grandissime escursioni
nell’arco dell'anno. I valori, nelle lagune polesane, possono oscillare dai 3-4 °C invernali, sino a
superare i 30°C in particolari situazioni stagionali ed ambientali. E' il relativo basso fondale delle
lagune deltizie che permette tali evidenti escursioni in quanto la capacità termica della massa
acquea è ridotta. Così le zone lagunari dove vi è presente un discreta canalizzazione dei fondali
vengono ad assumere una maggiore costanza della temperatura avendo un apporto continuo di
acqua di mare, mentre le aree più interne risentono maggiormente dei bruschi cambiamenti
atmosferici facendo registrare grandi variazioni termiche.
Un altro parametro di fondamentale importanza e notevole variabilità è l'ossigeno disciolto.
Le oscillazioni dei valori sono parzialmente legate agli stessi fattori che determinano la variabilità
della salinità ma in maniera maggiore dagli eventi "biologici" della laguna. L'ossigeno è
maggiormente disciolto nell'acqua tanto più questa è fredda e tanto meno questa presenta soluti
disciolti. Inoltre l'azione del vento e del movimento ondoso aumentano notevolmente il tenore di
ossigeno presente nell'acqua lagunare. Valori inferiori al 40 % di saturazione di ossigeno disciolto
sono già limiti vitali per molte specie di molluschi.
Nel Delta del Po Polesano la favorevole situazione ambientale ha indotto molti pescatori ad
intraprendere l’attività dapprima di semplice raccolta, e successivamente di allevamento dei
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molluschi. Infatti i molluschi bivalvi sono abitatori comuni delle lagune e, a secondo delle loro
abitudini di vita, popolano diversi tipi di fondali occupando delle precise nicchie.
Pertanto sino alla metà degli anni '60 l'attività principale era la raccolta sul fondo delle cozze
con svariati attrezzi, successivamente si è iniziata la realizzazione dei primi vivai per l'allevamento
dei mitili che prevede, dopo la raccolta del novellame dai banchi naturali, la sua messa a dimora
mediante calze di rete cilindrica.
Questo primo tipo di attività molluschicola si è sviluppato soprattutto nella Sacca di
Scardovari a partire dagli anni ’70 e attualmente occupa circa 400 addetti con produzioni annuali
che possono sfiorare i 30.000 quintali all’anno.
1.3 Motivazioni della sperimentazione
Fondamentalmente sono due i punti di forza su cui si basa l’utilità del progetto, il primo è di
carattere bioecologico legato proprio alle intrinseche “qualità” di adattamento, robustezza e crescita
della specie filippina, il secondo è di natura prettamente ambientale-ecologica: l’elevata produzione
fitoplanctonica, i fondali poco profondi, la ricchezza di particellato organico in sospensione, dovuta
al consistente apporto di nutrienti ad opera dei fiumi, rappresentano, nelle lagune del Delta del Po
una condizione vantaggiosa per l’insediamento e la crescita di organismi bentonici filtratori,
soprattutto molluschi bivalvi (Ceccarelli, 1985).
Tra i problemi e le difficoltà produttive, uno fra i più urgenti è il reperimento di seme da
immettere nelle aree di allevamento. Infatti sino alla metà degli anni ’90, nelle stesse aree di
produzione gli animali si riproducevano spontaneamente ed abbondantemente dando origine a vere
e proprie nursery naturali che mettevano a disposizione grandi quantità di seme naturale. Si riusciva
così a soddisfare le necessità degli allevatori che evitavano l’acquisto di novellame riprodotto
artificialmente (Rossi 1996). Nelle aree polesane vi erano siti con densità elevatissime, anche 30
mila animali per metro quadrato, ed era praticata l’attività di trasferimento di tale semina da queste
aree in zone lagunari preventivamente individuate come idonee ed immessa a densità opportuna per
il corretto accrescimento. Era anche seguita l’attività di acquisto di semina proveniente da banchi
naturali presenti nelle lagune limitrofe (sacca di Goro e soprattutto Laguna di Venezia).
In questi ultimi anni però notevoli sono state le trasformazioni ambientali: l’apporto solido
dei rami del Po sta provocando un progressivo ed inesorabile interramento delle lagune con
diminuzione della profondità e conseguente riduzione del ricircolo dell’acqua. Il mancato
idrodinamismo comporta, dal punto di vista biologico, uno scadimento della qualità ambientale e si
verificano continue riduzioni delle zone idonee all’allevamento dei molluschi. Tale fenomeno si
ripercuote negativamente anche nelle aree vocate all’insediamento del novellame. Emblematico a
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tale proposito è il caso della laguna del Basson che negli anni passati veniva utilizzata come nursery
naturale in quanto fonte importantissima di cria. L’interramento della laguna e la mancata
vivificazione dell’area con l’assenza totale di canalizzazione interna di collegamento con il mare, ha
provocato ormai la estinzione di questa peculiare funzione di attivo reclutamento naturale
fondamentale per l’intera attività di venericoltura polesana.
La situazione si è aggravata in questi ultimi due anni dove la crisi produttiva ha investito
anche la laguna di Venezia, zona rilevante per l’acquisto di semina naturale da parte degli allevatori
polesani. Tali condizioni hanno spinto i dirigenti della provincia di Venezia a predisporre un piano
di emergenza per la gestione della pesca ed allevamento della vongola verace. Tale piano, fra gli
altri provvedimenti, prevede che “…il novellame di vongola non può essere ceduto, trasportato ed
immesso al di fuori della Laguna di Venezia”. Questa grave situazione ha spinto i dirigenti del
Consorzio a ricercare disponibilità di semina presso schiuditoi nazionali e stranieri. In realtà a
Scardovari era già prassi acquistare da impianti di riproduzione artificiale semina selezionata al fine
di mantenere elevata la variabilità della struttura genetica delle popolazioni naturalizzate e per
prevenire fenomeni di impoverimento genetico.
La possibilità quindi di acquistare grandi quantità di semina da riproduttori selezionati, di
preingrassarla in vasche e di immetterla nelle aree di ingrasso sino al raggiungimento della taglia
commerciale, si ritiene sia un percorso da seguire in quanto il “rimescolamento genetico” con
animali provenienti da diverse aree geografiche (USA, Spagna, Inghilterra) possa contribuire al
raggiungimento di risultati favorevoli. Da studi effettuati sul corredo cromosomico di vongole
veraci provenienti da varie aree compresa quella del Delta del Po (Mattoccia) è scaturita l’ipotesi
che le variazioni genetiche siano imputabili al regime di selezione propria di ciascuna località.
Questa importante osservazione fa intravedere la possibilità di selezionare ceppi particolarmente
adatti agli ambienti lagunari. Tale aspetto riteniamo sia molto rilevante ed è quindi importante
avviare l’immissione in laguna di vongole ottenute da tali ceppi adattati e selezionati. Da subito a
tale proposito, un grande schiuditoio californiano sta effettuando, su nostro ordinativo,
accoppiamenti selettivi di vongole sopravvissute da alluvioni nello stato di Washington.
Il quantitativo, in termini di numero di animali, necessari alle semine è però molto elevato.
Basti pensare che la produzione di vongole veraci del Consorzio di Scardovari nel 2001 è stato di
oltre 72 mila quintali per un numero di individui raccolti superiore ai 700 milioni. Si ritiene, che per
dare significatività all’immissione di semina da schiuditoio, questa debba superare i 100 milioni di
individui annui. Due schiuditoi stranieri (Kuiper maricolture e Seasalter Shellfish) si sono dichiarati
disponibili alla fornitura ma solo di animali della pezzatura tra 1 e 2 mm.
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1.4 Tecniche generali di allevamento di Tapes philippinarum
Le principali zone di allevamento molluschicolo in Europa sono: la Galizia, in Spagna
(mitili), la Costa occidentale francese (ostriche) e le zone lagunari del Nord Adriatico (vongole
veraci).
L’importanza economico sociale della molluschicoltura, comune tra l’altro a tutte le pratiche
di acquacoltura, risiede nel nuovo approccio dell’uomo verso l’ambiente acquatico dal quale trae
fonte di reddito. Invece del puro e semplice sfruttamento della risorsa naturale, come avviene per la
pesca, si mette in atto una gestione mirata all’incremento razionale delle potenzialità produttive
degli ecosistemi acquatici. (Rossi, 1996)
Si può affermare che la molluschicoltura è, in Spagna, sinonimo di mitilicoltura: infatti gli
allevamenti di Mitilus galloprovincialis, Lamarck 1819, sono i più importanti a livello comunitario.
Anche il mercato spagnolo, così come il mercato europeo, richiede però specie di molluschi di più
alto pregio e soprattutto di più elevato valore economico, ed è per questo che si ricorre attualmente
a ingenti importazioni di tali prodotti.
In Italia negli ultimi anni, con la coltivazione su larga scala di Vongola verace filippina,
Tapes philippinarum, si sono raggiunti ottimi risultati sia in termini produttivi che di valore.
L’inquadramento sistematico della specie è il seguente: Phylum Mollusca, Classe Bivalvia,
Ordine Veneroida, Famiglia Veneridae, Genere Tapes, Sottogenere Ruditapes, Specie
philippinarum (Adams & Reeve, 1850). I principali sinonimi sono: Ruditapes philippinarum, Tapes
japonica, Venerupis semidecussata, Venerupis philippinarum.
Morfologicamente Tapes philippinarum presenta la conchiglia con forma ovata e piuttosto
solida, equivalve ed inequilaterale con lato posteriore più lungo dell’anteriore, la superficie è ornata
da strie di accrescimento concentriche ed elementi radiali i quali soprattutto nella parte posteriore
sono più marcati rispetto alle strie. Il legamento è esterno e posteriore agli umboni curvi e inclinati
verso la parte anteriore. Cerniera tipicamente eterodonte con tre denti cardinali divergenti per ogni
valva. Internamente il margine è liscio come tutto il resto della superficie che all’esterno della linea
palliale e sulle impronte dei muscoli adduttori presenta porzioni violacee. Le impronte dei due
muscoli sono identiche nella forma e nelle dimensioni. La vongola filippina possiede un elevato
polimorfismo cromatico con linee, reticoli, fasce radiali e figure di altro tipo, in genere nere o
marrone scuro su fondo bianco, bianco sporco, giallino o marroncino. Sono rare le sfumature
celesti, rosa, gialle e verdi, mentre sono più frequenti individui completamente bianchi. La
lunghezza massima delle valve è di 40-50 mm ma alcuni individui possono anche raggiungere 7080 mm. I sifoni, in Tapes philippinarum, sono staccati solo nella parte terminale.
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Mentre la vongola verace Tapes decussatus è specie endemica mediterranea, rinvenibile
anche lungo le coste atlantiche dalle isole britanniche al Senegal, Tapes philippinarum ha un areale
di origine esteso a tutta la regione nipponica e in parte alla sottostante regione indopacifica.
A partire dal 1920 è stata introdotta nelle Hawaii, mentre agli inizi del secolo fu registrata la
prima introduzione accidentale lungo la costa occidentale del Nord America. Più recentemente
(anni ’70) questa specie è stata introdotta in Europa (Spagna, Francia ed Inghilterra) e nei primi
anni ’80 fu immessa in Israele e circa nello stesso periodo è stata introdotta negli ambienti lagunari
del Nord Italia. Attualmente in Italia ha un’area di distribuzione che comprende la costa Adriatica
da Marano lagunare a Rimini, la Laguna di Orbetello sul Tirreno, gli stagni di Olbia e Cagliari in
Sardegna. (Trisolini, 1995)
T. decussatus e T. philippinarum, a un occhio inesperto, possono essere facilmente confuse,
e queste a loro volta assomigliano a una terza specie abbondante nelle acque costiere europee che è
il Longone (Paphia aurea) il cui valore commerciale è inferiore. Sono tre tipi di frutti di mare che
arrivano in notevoli quantità sui mercati europei e che a loro volta possono essere confusi con altre
due specie: Paphia rhomboides e Venerupis senegalensis, le quali però sono meno presenti delle
precedenti.
Un criterio pratico per distinguerle è che T. decussatus, T. philippinarum e Venerupis
senegaliensis presentano conchiglia ruvida, che se asciugata diventa opaca, e sono presenti fitti
rilievi concentrici che si incrociano con altrettanti rilievi radiali. P. romboides e P. aurea
posseggono invece solo rilievi concentrici per cui la loro conchiglia al tatto è scivolosa e lucida
anche quando è asciutta. T. philippinarum si riconosce perché i rilievi radiali specialmente nella
zona posteriore sono chiaramente più pronunciati di quelli concentrici (da cui l’attirbuto
“semidecussatus”). Un’altra sua caratteristica è che a parità di altezza risulta essere più corta delle
altre due specie. T. decussatus e V. senegalensis sono molto simili e difficili da distinguere, a tal
fine occorre aprire il guscio e osservare il segno del seno palliale all’interno della conchiglia il quale
nella prima specie non oltrepassa la metà della valva, mentre nella seconda si prolunga molto di più
in senso anteriore.
In Tapes philippinarum il corpo è compresso lateralmente e circondato dalla cavità palleale
delimitata dal mantello il quale è uno strato epiteliale sottile aderente all’interno della conchiglia
che ne segue le forme. È il mantello che genera la conchiglia con la continua deposizione di Sali di
calcio sulla faccia interna e sull’orlo delle valve. Il mantello presenta tre aperture verso l’esterno:
una per il passaggio del piede, e due più vicine per consentire l’entrata dell’acqua, in
corrispondenza delle branchie e l’uscita della stessa in corrispondenza dell’ano. Queste due aperture
sono poste all’estremità di prolungamenti a tubo del mantello, i cosiddetti sifoni che, quando
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pienamente distesi, possono essere pari alla lunghezza del corpo. L’apertura boccale è situata nella
parte anteriore dell’animale; lo stomaco è circondato da una grossa ghiandola digestiva, che è
l’organo principale di digestione. L’intestino decorre nel piede e termina con l’apertura anale nella
parte posteriore della cavità del mantello. Il piede è un organo muscolare grande a forma di scure e
serve all’animale soprattutto per infossarsi nel sedimento e talvolta per spostarsi per brevi tratti. Nel
piede esiste una ghiandola che secerne il bisso ovvero filamenti resistenti con i quali l’animale
aderisce ai substrati duri. Nelle vongole veraci la produzione del bisso è maggiormente intensa dalla
fine della fase larvale sino al raggiungimento della taglia di 5-6 mm. Le vongole sono organismi a
sessi separati e a fecondazione esterna. Dall’uovo fecondato si sviluppa una larva planctonica
(trocofora). Entro 48 ore, una nuova forma larvale, veliger, ha già formato la conchiglia ed è
caratterizzata dalla presenza di una struttura ciliata, il velum, che estroflettendosi tra le due valve
consente il nuoto e la raccolta delle particelle-cibo. Dopo circa 12 giorni al veliger segue lo stadio di
pediveliger e quando questo ha raggiunto le dimensioni di 0,2-0,4 mm è pronto all’insediamento. Le
vongole sono organismi filtratori che si nutrono essenzialmente di fitoplancton; tuttavia anche
frammenti di alghe bentoniche e materiale organico particellato possono entrare nella dieta di questi
bivalvi (Maitre-Allan, 1983). Per azione delle ciglia vibratili delle branchie notevoli quantità
d’acqua (anche 2,5 litri all’ora) vengono introdotte, attraverso il sifone inalante, nella cavità
pallelale. Qui le secrezioni mucose trattengono le particelle alimentari che vengono convogliate in
prossimità della bocca dai movimenti di ciglia che tappezzano le sviluppate lamelle branchiali e
l’epitelio del mantello. Data la natura finemente particellata del cibo dei bivalvi già al momento
dell’ingestione, non vi è la necessità di triturazione o disgregazione e la digestione può iniziare
direttamente dalla fase intracellulare. Il cibo passa dallo stomaco alla ghiandola digestiva le cui
cellule prontamente ingeriscono le microalge. La digestione di lipidi e proteine è intracellulare.
L’unico enzima extracellulare è l’amilasi che viene rilasciato nello stomaco dallo stilo cristallino e
serve per digerire i carboidrati.
La vongola verace è una specie fossoria ovvero vive infossata nei sedimenti sabbiosi, oppure
misti, a bassa percentuale di limo e argilla. Predilige ambienti poco profondi e riparati, quali le baie
e le lagune costiere vivificate dalle correnti marine. La si rinviene in zone ad ampia escursione di
marea, tollera brevi periodi di emersione, ma vive in zone costantemente sommerse. I siti che hanno
dato i risultati migliori e dove la vongola filippina si accresce velocemente sono aree dove
predominano i processi allogenici. Cioè si tratta di zone di transizione tra fiume mare e terraferma
in cui interagiscono influenze provenienti da questi ecosistemi adiacenti: le lagune ricevono molta
energia dall’esterno, tramite le bocche marine, i cicli di marea generano correnti ed un ricambio
attivo col vicino mare. Questo giova molto a soddisfare le esigenze mesologiche dei bivalvi. Da
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parte loro i fiumi vi portano continuamente i nutrienti necessari allo sviluppo delle microalghe, cibo
fondamentale per le veraci. La produzione primaria è inoltre favorita dalla scarsa profondità
dell’acqua che consente alla luce di diffondersi in ogni punto fino sul fondo. Non sempre però le
condizioni della laguna si presentano costantemente così favorevoli. In estate, per esempio, può
verificarsi per vari fattori, deficit di ossigeno o innalzamenti di temperatura che possono portare a
pericolose crisi distrofiche. Gli ambienti riparati, quali appunto lagune, baie, insenature, riducono
l’altezza delle onde che, se superiori al metro possono provocare accumuli di molluschi o il
trasporto e la perdita del seme, inoltre il movimento ondoso disturba l’animale che tende a chiudere
le valve e a non alimentarsi. Quindi sono preferite zone calme ma che presentino comunque un
buon flusso di correnti, come quelle generate dalle maree, che garantiscano un buon idrodinamismo
(0,3-1 m/sec.)
La torbidità è un altro fattore fisico importante; nelle lagune in prossimità delle foci dei
fiumi, questo parametro può variare notevolmente a seconda degli apporti solidi e le vongole
mostrano una buona tolleranza sino a un carico di 50 grammi/litro al di sopra del quale mostrano
segni di disagio.
Nelle aree dove si intende condurre un allevamento, non devono essere presenti fonti
inquinanti quali scarichi industriali, zootecnici, fognari urbani, agricoli, così come è fondamentale
accertarsi della assenza di fioriture microalgali tossiche. Grande attenzione deve essere anche posta
all’eventuale sviluppo sul fondo di macroalghe di tipo Ulva, Gracilaria, Eteromorfa, che possano
invadere completamente il sito, soprattutto nel periodo primaverile – estivo; in questi casi è
doveroso eliminare tali fioriture.
La tipologia di substrato è di fondamentale importanza durante tutto il ciclo biologico dei
molluschi bivalvi. Già all’atto della metamorfosi, se la postlarva non incontra una idonea superficie
di insediamento, difficilmente riuscirà a sopravvivere e comunque se ciò si dovesse verificare, la
crescita ne verrebbe penalizzata. Mann (1979) ha dimostrato per T. philippinarum, che in substrati
che vanno dalla sabbia fine alla ghiaia grossa buoni tassi di crescita sono ottenibili purché il
supporto alimentare sia adeguato. Secondo Pellizzato le vongole si adattano a una certa varietà di
substrati, ma per poter proporre un allevamento su scala economicamente redditizia, quello più
propizio risulta essere un misto di sabbia, limo e granuli che permetta una buona ossigenazione del
fondale. Il sedimento deve essere sufficientemente soffice per permettere l’affossamento degli
animali ma abbastanza compatto per sostenere il peso di un uomo per le operazioni quali la semina,
la posa di reti di protezione, la pulizia, ecc…; zone con substrato troppo compatto o troppo fangoso
si ritengono quindi inadatte all’allevamento e andrebbero eventualmente bonificate attuando
operazioni di dissodamento, nel primo caso, o aggiungendo sabbia grossolana o ghiaia fine, nel
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secondo. Secondo Breber (1996) T. philippinarum non ha esigenze rigide per la granulometria del
substrato, però reputa ideale il terreno sabbioso, piano, privo di vegetazione, di detriti grossi,
esclusivamente in quanto diviene più agevole compiere tutte le operazioni di allevamento.
In laguna di Venezia però buoni risultati di accrescimento si sono avuti con percentuali di
sabbia maggiori del 20 %, mentre sono risultati inadatti per la vongola sedimenti costituiti da limo
ed argilla (Bacillari, 1990). L’elevato contenuto in materia organica nei sedimenti fangosi rispetto a
quelli sabbiosi, è responsabile dei processi di degradazione e produzione di idrogeno solforato,
causa anche questa per Breber di possibili morie di molluschi.
La pendenza del fondale non deve essere troppo accentuata, e il più uniforme possibile in
modo da permettere una semina a densità omogenea. La profondità dell’acqua sopra il vivaio
dovrebbe consentire, anche in bassa marea, la non esposizione del fondo all’aria, se non per
brevissimi periodi; mediamente, alle nostre latitudini, le condizioni ottimali risultano essere
comprese tra i 90 e i 110 cm d’acqua; le vongole tuttavia possono essere allevate con risultati
positivi anche in acque più profonde, anche se questo comporta difficoltà maggiori e complicazioni
per la gestione del vivaio nel ciclo di allevamento.
Secondo Breber comunque la disponibilità di cibo ovvero l’abbondanza di fitoplancton è il
fattore chiave dal quale dipende il successo dell’attività e questo deve essere costituito in prevalenza
da Diatomee epipeliche. In generale, dovrà essere valutata la disponibilità e la qualità dell’ alimento
nell’arco dell’anno utilizzando il reticolo di Burker o con misurazioni della clorofilla dell’acqua,
anche se questo è un indicatore generico.
Le vongole veraci sopportano piuttosto bene variazioni ampie dei principali parametri fisicochimici dell’acqua, in particolare la temperatura ha una influenza diretta sulla crescita e sulla
sopravvivenza dei molluschi. Già a temperature superiori ai 6° C gli animali iniziano la crescita, ma
l’optimum è raggiunto a temperature comprese tra i 16° e i 21°C; il limite di sopravvivenza è
stimato intorno ai 32°C.
Per quanto riguarda la tolleranza alle variazioni di salinità, il mollusco è da considerarsi
specie eurialina. Essa tollera infatti condizioni di ipersalinità nelle lagune di Mistras e S. Antioco in
Sardegna, e Riva (1976) ha messo in evidenza la tolleranza della vongola per salinità comprese tra
15 e 50 ‰. Sono da ritenersi comunque ottimali range compresi tra 25 e 35 ‰.
Altro parametro fondamentale è l’ossigeno disciolto che nell’ambiente lagunare subisce
notevoli variazioni. In generale i valori tra il 70 e il 100 % di saturazione sono ottimali, ma T.
philippinarum può anche sopravvivere in condizioni anaerobiche per alcuni giorni.
Causa di gravi perdite negli allevamenti, soprattutto nelle prime fasi di ingrasso, quando le
dimensioni dei molluschi sono inferiori al centimetro, è la presenza di predatori quali il Granchio
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comune, Passere, Sogliole, Orate, alcune specie di uccelli (Gabbiani e Aironi). Anche alcuni tipi di
Gasteropodi, quali la Rapana venosa o Muricidi, possono predare consistenti quantità di molluschi
di taglia ridotta. Breber segnala come pericoloso predatore di seme di vongola anche il verme piatto
Stylochus (Turbellari Policladi) anche se non vi sono segnalazioni bibliografiche o dati recenti che
indichino perdite ingenti dovute a tale organismo.
Prima di effettuare la semina è indispensabile accertarsi della assenza di eventuali
competitori costituiti soprattutto da altri molluschi bivalvi, i quali se presenti, devono essere
scrupolosamente rimossi.
Solitamente nel Nord Adriatico l’attività di semina parte con l’acquisto di novellame delle
dimensioni di 8-10 mm acquistato da fornitori specializzati alla vendita di seme selvatico raccolto in
natura; animali di queste dimensioni possono essere anche acquistati da schiuditoi e nursery che
garantiscono una maggiore omogeneità di taglia ma che, solitamente, presentano costi più elevati.
In questa prima fase di allevamento il seme è ancora vulnerabile ai predatori ed è quindi
necessario proteggerlo. A tale scopo occorre stendere sul fondo dei teli di rete. La più indicata per
questo scopo è quella in uso per la raccolta delle olive con maglie di 6 x 7 mm. Rutinariamente
vengono applicati teli lunghi circa 50 metri e larghi 3. I bordi vengono fissati al suolo con tondini
orizzontali da 6 mm stesi sui bordi in sezioni da 3 metri e fissati con picchetti. In questa fase
occorre fare attenzione a non imprigionare al di sotto della rete predatori, soprattutto granchi. Una
volta stesa la rete viene seminato il novellame; il seme cadendo sulla rete a maglie 6x7 mm riesce a
passare agevolmente e raggiunge il sedimento dove in pochi secondi si infossa. In alcune aree,
soprattutto per la profondità dell’acqua, non viene praticata la preventiva difesa tramite rete ed è
quindi necessario immettere novellame superiore a 15 mm per evitare la predazione.
Negli allevamenti del Nord Adriatico la semina viene effettuata manualmente a spaglio e si
cerca di seminare con densità di 800 - 1000 animali per metro quadrato. In altre aree invece dove la
produzione fitoplanctonica non è molto elevata così come il ricambio idrico, le densità possono
essere molto inferiori. Il periodo più indicato è quello primaverile, anche se la disponibilità del
seme può portare ad immissioni di novellame anche in altri periodi dell’anno. Nelle migliori
condizioni, dopo 3 – 4 mesi dalla semina, le vongole hanno raggiunto i 20 – 25 mm, a questo stadio
i teli di rete possono essere tolti in quanto non persiste più il pericolo di predazione. Talvolta, se i
teli non presentano epibionti o sedimento che impediscano la regolare filtrazione degli animali,
questi possono essere lasciati in loco.
Il periodo dell’anno più indicato per effettuare la semina su fondo è sicuramente inizio
primavera quando la temperatura dell’acqua supera i 10°C e la concentrazione di fitoplancton inizia
a crescere per il manifestarsi delle prime fioriture. È anche possibile eseguire la semina a fine
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Agosto o comunque non appena la temperatura massima dell’acqua scenda al di sotto dei 28°C.
Nelle zone maggiormente vocate alla venericoltura partendo in primavera con seme di 3-4 mm. solo
nell’estate successiva ovvero dopo almeno 17 mesi gli animali hanno raggiunto i 40 mm.
Secondo Anderson ,1982, nello Stato di Washington i maggiori tassi di crescita si sono
ottenuti in Puget Sound con il raggiungimento della minima taglia commerciabile in quel paese (38
mm) in 18 mesi. Come anche sottolineato da Wiliams, 1980, c’è un’ampia evidenza che i due
parametri che maggiormente influenzano la crescita della vongola filippina sono la disponibilità di
cibo e la temperatura. Breber concorda con Maitre-Allain circa il limite di 5°C come temperatura
minima che consente l’accrescimento, ma ha osservato che si ottengono buoni tassi di crescita fino
a 30°C. E’ probabile invece che temperature superiori a 23°C non agiscano direttamente sul
metabolismo del mollusco ma abbiano un effetto negativo sulla fonte di nutrimento. Ed in effetti
Colijn e Van Burt (1975) sostengono che valori superiori a 20°C riducono la fotosintesi delle
Diatomee. Anche quantità troppo elevate di fitoplancton tendono a limitare la filtrazione dei bivalvi
in quanto si può verificare un’occlusione delle branchie (Walne, 1976).
Se il sito è propizio la vongola, passando da seme alla taglia da consumo, aumenta almeno
di 4 volte in meno di due anni. Le perdite dovute invece, come sopra riportato, da diverse cause
quali malattie, predazione, parametri ambientali, dispersione, non devono essere superiori al 20%. Il
raccolto, a differenza di quanto avviene in agricoltura dove si pratica il “tutto pieno-tutto vuoto”
viene svolto prelevando gli esemplari che hanno raggiunto e superato la taglia commerciale e
ricollocando nel sito il prodotto sottotaglia. Tali animali saranno raccolti in tempi successivi man
mano che la taglia voluta viene raggiunta.
Il metodo tradizionale di raccolta consiste nell’uso di un rastrello a mano che termina con un
sacco di rete. L’operatore fa convogliare sia il sedimento che le vongole all’interno della rete che
vengono successivamente lavate e cernite per taglia. In Francia e nella laguna di Marano si sono
ideati attrezzi meccanici, tipo piccoli cingolati, che però devono lavorare a bassissima profondità.
Durante il ciclo di allevamento è importante controllare che gli animali abbiano un buon
sviluppo verificando gli anelli di crescita sul guscio e confrontando gli incrementi di peso e
lunghezza di alcuni campioni di animali con le curve di crescita standard. Contemporaneamente
sugli stessi campionamenti è bene verificare la mortalità presente. E’ importante anche controllare
lo stato di sviluppo gonadico degli animali in quanto nel periodo in cui sono prossimi alle emissioni
questi bivalvi sono particolarmente deboli e potrebbero non sopportare gli stress da viaggio o le
pratiche di depurazione e confezionamento. Infine può essere anche utile verificare l’indice di
condizione ovvero se le vongole sono ben piene o meno. Occorre semplicemente calcolare il
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contenuto della carne in rapporto al peso totale della vongola e ciò viene compiuto con una cottura
di 5 minuti dei molluschi e la successiva separazione della parte edibile con il resto dell’animale.
Come già descritto sopra possono essere diverse le cause di moria in un vivaio di molluschi.
La morte degli animali può dipendere da fattori prettamente ambientali quali l’eccessivo
innalzamento della temperatura, o l’eccessivo e prolungato abbassamento della salinità, o ancora
deficit perduranti del tenore di ossigeno disciolto nell’acqua. Quest’ ultima causa si può verificare
prevalentemente in estate nei produttivi ambienti di laguna dove la abbondante presenza di vita
consuma molto ossigeno. E’ allora facile che l’ossigeno manchi anche completamente durante la
notte, ma il fenomeno di per sé non è un grosso problema per le vongole in quanto queste possono
resistere anche alcuni giorni in ambiente anaerobio. Il problema ambientale si manifesta nel
momento in cui, in condizioni di assenza di ossigeno, si sviluppano i batteri Desulfovibrio che
usano l’O2 legato chimicamente nei solfati della sostanza organica morta, e producono così H2S, un
gas altamente tossico che in poche ore può uccidere tutti gli organismi che non hanno possibilità di
fuga. Questo processo può manifestarsi con conseguenze molto gravi all’interno dei sedimenti
lagunari anossici ricchi di materia organica in decomposizione. Sempre sopra si è focalizzato il
pericolo derivante dalla predazione soprattutto quando le veraci sono ancora di taglia piccola o
comunque inferiore ai 2 centimetri. Grave può anche essere il rischio dell’insorgenza di patologie o
di parassitosi. Al fine di evitare la trasmissione o la diffusione di patologie è in vigore, a livello
comunitario, la direttiva 91/67/CEE che stabilisce le norme di polizia sanitaria per la
commercializzazione di animali e prodotti d’acquacoltura nei quali rientrano anche i molluschi
bivalvi. A prescindere dalla legislazione per la quale si ha la situazione zoosanitaria delle zone di
produzione, per il peculiare sistema di allevamento previsto per le vongole veraci, è indispensabile
che gli operatori conoscano i problemi che possono sorgere con l’arrivo e lo sviluppo di patologie.
La venericoltura è infatti praticata in ambiente aperto, lagune, baie, stagni e le possibilità di
prevedere e di praticare trattamenti o variare i parametri ambientali sono praticamente nulli e la
possibilità di propagazione è elevatissima se non certa. Il caso dell’ostrica piatta in Francia negli
anni ’70 con la bonamiosi e matreliosi deve essere da esempio della facilità di trasferimento della
malattia e della impossibilità di contrastarla proprio poiché si opera in ambiente aperto. Sono allora
necessari interventi di prevenzione atti a scongiurare l’avvio della patologia. Sono fondamentali
quindi controlli zoosanitari di rutine e massima attenzione su fenomeni di morie anomale. Un primo
agente eziologico da ricercare è il Vibrio P1 che provoca la cosiddetta “sindrome dell’anello bruno”
che fu scoperto per la prima volta in Francia nel 1986 e più tardi in Spagna. Questa patologia è
causata da un vibrio e si manifesta come un deposito marrone sulla superficie interna delle valve tra
la linea palleale e il margine. La malattia provoca incrementi di mortalità soprattutto nei vivai con
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elevata densità. Le misure profilattiche raccomandate sono: il controllo di ogni lotto di ogni
fornitura, bassa densità di allevamento, tempo minimo di deposito. In tal modo, nelle zone dove si
era manifestata la malattia, si è ridotto l’impatto della sindrome e la sua prevalenza è del 6% in
media con bassi tassi di mortalità. Pare comunque che il vibrio sia sensibile a temperature superiore
ai 30 °C e nel Nord Adriatico non vi sono, ad oggi, segnalazioni di morie per questa malattia.
Anche Perkinsus può essere causa di morie. Noto in letteratura per perdite nella costa occidentale
degli USA di Crassostrea virginica, è la specie Perkinsus atlanticus che colpisce le T.
philippinarum e T. decussatus. E’ stato isolato nelle vongole in Portogallo dove ha causato alti tassi
di mortalità, ma è stato anche trovato sporadicamente in Spagna, Italia, Francia. In queste ultime
due nazioni non ha però provocato mortalità anomale anche se è da sottolineare il fatto che le
informazioni sulla epidemiologia e patogenicità dell’agente eziologico sono ancora scarse. Nei
tessuti dei bivalvi si presenta come cellule singole vacuolate. Può essere riconosciuto in sezioni di
tessuto colorate con ematossilina su tessuto fresco aperto e colorato con Lugol. In certe aree la
cavità del mantello della vongola verace può essere occupato da una specie di granchio commensale
(Pinnixa sp.). Tali parassiti non danneggiano significativamente l’ospite ne hanno effetti sulla
commestibilità delle vongole anche se il valore commerciale del prodotto scade proprio per la
presenza di tali organismi all’interno del guscio. Talvolta possono apparire irritazioni del mantello
ma non così gravi da provocare la morte dell’ospite. Alcuni tipi di crostacei, tipo Upogebia sp.,
attivi scavatori del fondale, possono competere con le vongole poiché occupano lo stesso spazio e
poiché provocano instabilità del sedimento che diviene poco adatto alla sopravivwnza della semina
di vongola. Tali crostacei sono dannosi in quanto con il loro continuo rimescolamento del terreno
portano in superficie il sedimento fine, mentre quello più grossolano rimane in profondità; tale
fenomeno risulta quindi dannoso in quanto viene a mancare la frazione più grossolana del fondale.
Un altro parassita da segnalare è il Bacciger bacciger, con stadi di sviluppo per questo trematode,
che avvengono nelle gonadi delle vongole provocandone la castrazione e successivamente la morte.
Vengono riportati in letteratura altri casi di parassiti in Tapes philippinarum per altro mai
segnalati in Italia: Ancistrum japonica (protozoo), Himasthla quissetensis (trematodi),
Tylocephalum sp. (cestodi), Philoconcha amygdalae (Crostacei).
1.5 Sistemi di svezzamento
Come riportato da Breber, uno dei primi sistemi per lo svezzamento della semina consiste
essenzialmente nel formare tasconi (detti “letti”) di rete appoggiati sul fondo (Breber 1996). La
taglia minima usata per questa metodologia è quella di 3-4 mm ed è fornita solitamente da ditte che
praticano la riproduzione artificiale in vasche, pertanto il seme si presenta di taglia molto
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omogenea. La rete viene utilizzata per controllare la predazione e per evitare la dispersione del
seme per effetto delle correnti o per la notevole capacità di spostamento che a questa piccola taglia
ancora possiedono. I nemici comuni nelle nostre acque sono il granchio comune (Carcinus
mediterraneus) ed i murici (Murex spp.).
Il seme viene distribuito in un solo strato alla densità di circa 2 unità per cmq, quindi in ogni
mq vi sono circa 20.000 bivalvi da 3-4 mm. Per la costruzione dei letti occorrono dei tondini di
ferro da edilizia (diametro di 6 mm); rete ombreggiante nera o bianca; fermagli per serre in PVC.
Il letto si monta stendendo il telo e fissando i tondini ai lati del telo e un tondino a metà del
telo parallelo agli altri. Al momento della semina si apre il letto come un libro e si pone sul fondo.
Successivamente si seminano i piccoli bivalvi su di una metà del letto cercando di distribuirli
omogeneamente, secondo la densità indicata precedentemente. Il telo può ora essere chiuso
ripiegando la metà libera su quella occupata dal seme e con i tondini appoggiati ai bordi del letto e
ancorati con i picchetti viene assicurata la stabilità del sistema. Questo sistema è comodo in zone in
cui la bassa marea fa scendere l’acqua a 10 cm e rende quindi più pratico il lavoro dell’operatore.
Una volta effettuata la semina occorre periodicamente controllare il sito per ridistribuire il seme che
inevitabilmente, data la taglia, si accumula in certe zone e per sciogliere i grumi che i bivalvi
formano tra loro a causa del bisso la cui produzione a questa dimensione è notevole. Inoltre occorre
liberare la rete da macroalghe e sedimento che ostacolerebbero il normale flusso dell’acqua
all’interno del letto.
Bisogna inoltre controllare, aprendo la rete, la presenza di eventuali predatori che talvolta
riescono ad entrare, come,ad esempio, stadi larvali di Carcinus che, essendo di piccole dimensioni
possono passare attraverso la rete, svilupparsi all’interno del letto e diventare granchi adulti che si
ciberanno poi della semina.
Questo è uno dei metodi più vecchi e che riscontra comunque problematiche per quanto
riguarda la gestione e richiede dunque notevoli sforzi di manodopera per l’ottenimento di risultati
soddisfacenti. Risulta inoltre complesso controllare la reale mortalità dei bivalvi durante la fase di
preingrasso.
Un altro metodo utilizzato esclusivamente per il preingrasso di semina di piccola taglia (3
mm circa) è quello di utilizzare ceste in sospensione su strutture fisse, come per esempio pali di
legno, sul modello degli impianti usati per l’allevamento di mitili (che non utilizzano però le ceste).
Questa metodologia trova riscontro soprattutto per il preingrasso dell’ostrica (sia concava che
piatta) ma è stata estesa anche per il preingrasso di semina di vongola verace.
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Questa pratica può essere effettuata in mare aperto oppure in ambiente lagunare, anche se
quest’ultimo è decisamente da preferire in quanto sono ambienti più protetti dalle mareggiate che
potrebbero danneggiare l’impianto.
Le ceste appese a queste strutture di legno sono solitamente di legno oppure di plastica PVC
ed hanno dimensioni variabili; si possono utilizzare sia ceste con superfici piccole (circa 0.2 m2) più
facilmente manovrabili, che ceste più grandi (0.8-0.9 m2) ma più ingombranti da manovrare. In fase
di preparazione le ceste vengono chiuse sul fondo da una rete con forature proporzionali alla taglia
del seme con cui si lavora (Tapes philippinarum E.S.A.V 1990). La scelta del punto in cui
posizionare le ceste è molto importante, è infatti preferibile collocare l’impianto in una zona di
laguna dove ci sia un adeguato ricambio idrico per evitare il pericolo di livelli troppo bassi di
ossigeno.
Periodicamente il seme, così come le ceste devono essere lavati dal fouling provocato dalle
pseudofeci della semina e dal sedimento in sospensione che si deposita, nonché da macroalghe che
ostacolerebbero il normale flusso dell’acqua attraverso la rete delle ceste. Infine occorre selezionare
i piccoli bivalvi all’aumentare delle dimensioni. Questo intervento è di notevole importanza poiché
contribuisce a mantenere una crescita omogenea della semina all’interno delle ceste e ad evitare che
la densità di prodotto all’interno di esse sia troppo elevata.
Chiaramente con questo metodo risultano più facilitati i processi di manutenzione e di
controllo della mortalità; viene inoltre assicurata una maggiore protezione dai predatori.
Effettivamente occorre dire che la resa non è sempre ottimale, poiché occorre fare molta attenzione
alla densità delle ceste. Un altro metodo simile usato principalmente per il preingrasso di semina di
ostriche ma ultimamente anche per vongole veraci, è quello delle “poches” o ceste sopraelevate. La
coltura sopraelevata consiste nel tenere le ostriche all’interno di apposite buste o sacche di
allevamento, dette “poches” appunto, che vengono mantenute a 30-50 cm dal fondo per mezzo di
cavalletti in legno o più spesso in ferro. Man mano che le ostriche crescono di dimensioni vengono
diradate e poste in buste a maglia più larga fino al raggiungimento della taglia commerciale. Il
sistema presenta le stesse problematiche e prevede gli stessi interventi visti per l’allevamento in
sospensione. Viene frequentemente utilizzato nelle zone del Regno Unito, soprattutto in Irlanda.
Altri esperimenti di preingrasso di vongola verace sono stati svolti dal Consorzio delle
Cooperative di Pescatori del Polesine, utilizzando contenitori di 1 m2 di superficie e altezza di 70
cm con intelaiatura in acciaio inox rivestita da rete con maglia di 1 mm. Queste ceste venivano
poste in sospensione su una struttura galleggiante di 2x4 metri formata da tubi di polietilene
(diametro 20 cm) termosaldati (rivista Laguna 1997). Il principio era sempre simile a quello delle
ceste in sospensione, ma essendo la struttura mobile poteva essere spostata nei siti più idonei al
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preingrasso. Da notare comunque che la struttura non veniva alimentata da nessun flusso forzato,
ma veniva semplicemente posta in acqua a condizioni naturali.
In alcune zone viene sfruttato molto il fatto di avere grosse escursioni di marea. Vengono
utilizzati infatti contenitori chiamati in inglese “Mexican trays” che vengono posti nella spiaggia.
Sono contenitori con superficie inferiore ad 1x1 metri e sono tenuti assieme,formando 6 o 7 piani.
Poiché i contenitori possiedono larghi buchi per far circolare l’acqua al loro interno, vengono poste
sul fondo di essi delle reti inizialmente a maglia fine (con semina di piccola taglia) per poi
cambiarla con una rete a luce più larga mano a mano che la taglia delle vongole aumenta. I
contenitori una volta posti sulla spiaggia durante la “secca”, vengono raggiunti dall’acqua non
appena sale la marea. Essi vanno controllati periodicamente per eliminare eventuali predatori
infiltratisi al loro interno e per distribuire meglio la densità della semina mentre cresce. Usando
questo metodo non è possibile però mantenere la semina durante l’inverno, perché durante le secche
sarebbe esposta a temperature troppo basse e quindi al gelo. Quindi o si portano i contenitori in
zone dove rimangono comunque sommersi nonostante la marea, oppure in impianti galleggianti.
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2. MATERIALE E METODI
2.1 Descrizione della Val Bonello
Il Biotopo Valle Bonello, sito nel comune di Porto Tolle (Rovigo) località Cassella, si
estende su 50 ettari, di cui 43 adibiti a lago e peschiere idonee per la vallicoltura. Comprende anche
alcuni fabbricati e cioè il Casone di valle, tipico della zona, i magazzini di servizio, il laboratorio e
l’abitazione per il custode.
Il Biotopo, costruito come tale dopo la decisione di prosciugare le valli retrostanti la Sacca
di Scardovari per assegnarle a famiglie diretto-coltivatrici, rappresenta una preziosa testimonianza
dell’originario assetto ambientale di un area ben più vasta.
Prima della bonifica, l’attuale superficie del Biotopo era completamente utilizzata come
zona di “peschiere” per una valle di circa 400 ettari. Si è dovuto pertanto intervenire eliminando
gran parte di esse e trasformando l’area in una piccola ma completa valle con zona di pascolo per il
pesce, bacini di raccolta, bacini di svernamento e la presa d’acqua marina.
Attualmente la gestione è quella tradizionale di tipo estensivo nel lago di valle,
provvedendosi a seminare ed allevare specie tipiche quali branzino, orata, cefali e anguille; essa è
inoltre associata ad un’attività di allevamento di tipo intensivo dove vengono allevate le specie più
richieste sul mercato come il branzino, l’orata e l’ombrina.
A questo tipo di allevamento va aggiunto quello dei gamberi (specie Penaeus japonicus) che
viene effettuata su cinque bacini di superficie che varia dai 5.000 ai 9.000 metri quadrati, e un
bacino più grande utilizzato per l’allevamento estensivo di 30.000 metri quadrati.
Nel corso degli anni, dunque, la Regione Veneto che gestisce il biotopo (inizialmente era
gestita dall’ESAV), ha realizzato programmi di ricerca e di sperimentazione applicata, finalizzati
alla messa a punto di nuove metodiche e di avanzate tecnologie per l’allevamento, in ambiente
vallivo, di nuove specie, come appunto la “Mazzancolla” (Penaeus japonicus).
2.2 Descrizione del modulo di svezzamento in “upwelling”
L’innovazione nel campo del preingrasso di semina di veneridi, ma non solo (viene infatti
estesa ad altre specie es. ostriche), è senz’altro quella riscontrata con impianti che sfruttano il flusso
d’acqua in upwelling; cioè dal basso verso l’alto.
Tale sistema utilizza recipienti cilindrici in pvc o vetro resina, con fondo in rete a foratura
variabile in funzione della taglia degli animali. I contenitori sono tubi da 60 cm o più,
appositamente assemblati (tali strutture non si trovano in commercio). Nella parte alta del cilindro
viene praticato un foro che servirà per il passaggio dell’acqua. L’impianto è costituito da una vasca
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in cemento di circa 18 per 12 metri per una profondità di 0.6 metri. Questa è costituita al suo interno
da dieci sub-vasche rettangolari di 11 metri di lunghezza e 0.9 di larghezza (Fig 1).
Fig. 1: Impianto di svezzamento in upwelling.
Su questi bacini vengono poggiati i su descritti cilindri in pvc con fondo in rete. Un canale
collettore in testa alle dieci vasche le alimenta con l’acqua di laguna o di valle. Questa si immette
quindi nelle dieci sub-vasche, entra nei cilindri dal fondo in rete, esce dal foro alto dei cilindri che
coincide con un analogo foro nelle sub-vasche e passa nelle cinque canalette di scarico parallele alle
dieci vasche di ingrasso della semina. Dalle cinque canalette l’acqua viene convogliata in un unico
tubo di scarico che sfocia nella vasca di decantazione delle acque reflue. L’acqua viene convogliata
nel canale collettore in testa alle dieci sub-vasche tramite due pompe di portata da 200-250 metri
cubi/ora ciascuna, che possono lavorare alternativamente o insieme a seconda della quantità di
semina presente nell’impianto.
Nei contenitori dunque l’acqua scorre, seguendo un percorso obbligato, dal basso verso
l’alto poiché l’unica uscita è rappresentata dal foro in alto e l’unico ingresso è la base in rete dei
cilindri in pvc. In questo modo l’acqua si distribuisce omogeneamente attraverso gli animali
ammassati, garantendo ad ognuno il ricambio necessario. Ogni singolo individuo viene raggiunto da
una corrente d’acqua con l’apporto di alimento (che ricordo si tratta di microalghe e quindi
fitoplancton principalmente) ed il sufficiente ossigeno. La semina può così essere disposta sul fondo
dei cilindri non in unico strato, come accadeva per i precedenti sistemi, ma in più strati anche per
uno spessore di 10 cm in dipendenza dal flusso in upwelling che si riesce a creare. Questo flusso,
dal basso verso l’alto, impedisce infatti che il peso delle vongole superiori comprima il guscio di
23
quelle sottostanti, permettendo così la normale apertura delle valve ed il funzionamento dei sifoni a
tutti i bivalvi presenti nel contenitore. L’esigenza d’acqua varia a seconda di diversi parametri,
come la temperatura e il contenuto di alimento dell’acqua stessa così come la taglia dell’animale.
Questo metodo risulta dunque vantaggioso poiché consente di mantenere densità piuttosto elevate
riducendo lo spazio utilizzato e favorisce un più efficiente sfruttamento dell’acqua pompata che
viene modulata a seconda delle esigenze.
Inoltre il sistema risulta particolarmente comodo per ciò che riguarda il controllo della
mortalità e dei predatori come i granchi, poiché i contenitori sono facilmente accessibili agli
operatori. Conseguentemente anche la manutenzione risulta comoda ed efficace e riguarda oltre alla
periodica pulizia della semina, dei contenitori e la rete di fondo e le vasche, anche lo scioglimento
dei grumi che le vongole formano attraverso il bisso che come già riportato a piccole taglie è
notevole. Questi grumi disturberebbero infatti la corretta distribuzione dell’acqua. Con l’aumentare
delle dimensioni degli animali è comunque sempre opportuno selezionarli per taglia, attraverso
vagli a diversa maglia (2-3-4-5 mm). Questo permette di avere una dimensione omogenea della
semina che ne migliora la crescita poiché altrimenti mangerebbero di più le vongole che per
caratteristiche individuali tendono ad essere più grandi. Infine, raggiunta una densità esagerata per
via dell’aumento di dimensioni dei bivalvi in crescita è consigliabile effettuare la ridistribuzione e il
diradamento affinché l’eccessiva massa non impedisca la crescita.
2.3 Gestione delle acque
La scelta del sito di Val Bonello non è casuale. Infatti la valle è in comunicazione con la
Sacca di Scardovari tramite due sifoni che possono essere attivati per far entrare acqua di laguna.
Questo fatto risulta di estrema utilità nel caso in cui in valle ci siano condizioni di salinità, ossigeno
o temperatura sfavorevoli, mentre in laguna i parametri risultano più accettabili; o viceversa si
utilizza il circuito chiuso della valle se in laguna ci sono problemi di acqua dolce portata nei periodi
di piena del Po. L’attingimento di acqua derivata direttamente dalla Sacca di Scardovari o derivata
dalla valle stessa (schema circolo acqua) dipende anche dalla valutazione dell’abbondanza
fitoplanctonica.. Per valutare ciò, sistematicamente viene fatto un controllo quali-quantitativo del
fitoplancton presente nei due ambienti. Inoltre i parametri relativi alla temperatura, alla salinità e
all’ossigeno disciolto, vengono giornalmente controllati per poter tempestivamente rimediare ad
eventuali problemi.
L’acqua, una volta concluso il circolo obbligato attraverso la massa di molluschi, viene
scaricata tramite un apposito canale sopraelevato nelle peschiere di valle che a loro volta sono in
comunicazione con il lago estensivo del sito in questione.
24
2.4 La semina
Per quanto riguarda l’inizio della sperimentazione, questo è avvenuto il 30 ottobre 2002 con
l’arrivo di 4.000.000 di individui acquistati da uno schiuditoio inglese ovvero “Seasalter shellfish
(whitstable) limited” Old Roman Oyster Beds, RECULVER, HERNE BAY, KENT CT6 6SX
ENGLAND. Le dimensioni degli animali erano di screen 1,6 mm, divisi in nove contenitori, del
diametro di 50 cm, ognuno dei quali è stato riempito con 2,5 kg di seme pari a circa 177.000
individui per cestone.
Fig. 2: particolare di un cestone contenente semina di vongola verace.
In considerazione della posticipazione dell’inizio della sperimentazione si è deciso di
utilizzare una densità di individui uguale per tutti i contenitori, considerata ottimale per il
raggiungimento di una taglia idonea alla semina diretta in laguna, seguendo il suggerimento dei
tecnici della Seasalter Shellfish presso i quali due incaricati del Consorzio avevano svolto, nel mese
di agosto, un periodo di affiancamento. L’inizio della sperimentazione in questo periodo era dipeso
dalla necessità di acquisire specifiche autorizzazioni in quanto il modulo viene a ricadere all’interno
di un’area ad alta valenza ambientale. Contestualmente a questo novellame, solo a titolo di
paragone e per una comparazione del tasso di mortalità, sono stati immessi in data 30 ottobre 2002,
6,2 kg di novellame acquistato dalla ditta Kuiper Mariculture, Inc. 3025 Plunkett Road Bayside,
California 95524 USA. La taglia di detti individui era di screen 3,4 mm che sono stati collocati in
un contenitore più grande del diametro di 80 cm con montata sul fondo una rete di 2mm.
25
Per una valutazione dell’incremento ponderale degli animali si effettuava a cadenza
prestabilita una pesatura, utilizzando una bilancia certificata, dei singoli cestoni contenenti
novellame, dopo l’esecuzione di un lavaggio teso ad eliminare pseudofeci e residui accumulati
durante la filtrazione. Per una valutazione della mortalità si prelevavano campioni di 50 individui e
si osservavano allo stereomicroscopio su petri con acqua di mare.
In data 16 dicembre 2002 si è provveduto alla semina diretta in laguna di tutti gli individui
preingrassati in nursery, che sono stati collocati in sacchi e seminati a spaglio in zone
preventivamente selezionate.
26
3. RISULTATI E DISCUSSIONI
3.1 Andamento dei principali parametri fisico-chimici
Con cadenza giornaliera venivano rilevati i principali parametri chimico-fisici dell’acqua
utilizzata per il preingrasso. In particolare venivano rilevati: T°C, salinità e ossigeno disciolto.
La temperatura e l’ossigeno disciolto sono state monitorate utilizzando “YSI MODEL 50
DISSOLVED OXYGEN METER”, mentre la salinità veniva misurata con un rifrattometro.
Una volta recuperati i dati si è provveduto alla loro elaborazione, e si sono ottenuti tre
diversi grafici che rappresentano l’andamento di temperatura, salinità e ossigeno disciolto, avuto
durante il periodo di sperimentazione
Nel primo grafico (grafico n°1) è rappresentato l’andamento della temperatura nel periodo
che va dal 30 ottobre 2002 fino al 13 dicembre 2002. Fino ai primi giorni di dicembre la
temperatura è stata superiore ai 10°C, ovvero prossima al range ottimale di crescita.
Successivamente con l’avvicinarsi del periodo invernale, tali valori hanno subito una riduzione
accentuata che ci obbligava allo spostamento in ambiente aperto del prodotto per evitare un
eccessivo indebolimento fisiologico degli animali. Ciò era avvalorato dal fatto che negli ultimi
giorni della sperimentazione gli animali si presentavano slegati fra loro con perdita graduale della
produzione del bisso, indice quest’ultimo di stress come indicato da diversi autori in bibliografia.
Per quanto riguarda il grafico relativo ai valori di salinità (grafico n°2) rilevati nello stesso
periodo, questo evidenzia un andamento buono dall’inizio della sperimentazione fino alla fine di
novembre. Successivamente si è registrato un leggero ma costante calo dovuto al periodo invernale,
che ha portato a valori non ottimali per l’ingrasso, ma comunque accettabili per la vitalità dei
molluschi; situazione confermata anche dai bassi valori di mortalità.
Nel grafico relativo ai valori rilevati di ossigeno disciolto (grafico n°3), nel medesimo
periodo, l’andamento è risultato costante, con valori sempre molto alti dovuti anche alle
temperature del periodo in esame.
3.2 Crescita e mortalità
Per valutare la crescita ponderale sono stati periodicamente pesati tutti i contenitori e dai
dati così ottenuti si è provveduto a una rielaborazione che ha permesso di ottenere un grafico
(grafico n°4) che evidenzia un andamento di crescita.
Sono state effettuate, nel corso della sperimentazione, quattro pesate. Una il giorno seguente
all’arrivo della semina, in data 31 ottobre 2002, che ha permesso di valutare il peso effettivo di
animali acclimatati e quindi paragonabile alle pesate successive. Il valore iniziale così ottenuto è
27
risultato di 28,4 kg. Una seconda pesata è stata effettuata in data 8 novembre 2002 con un peso
raggiunto di 44,2 kg. In data 28 novembre 2002 è stata eseguita la terza pesata che ha fornito il dato
di 60,3 kg. L’ultima pesata è stata effettuata in data 16 dicembre 2002, giorno in cui si è provveduto
allo spostamento di tutta la semina in laguna. A tale data il peso raggiunto era di 70,4 kg.
Per il calcolo dell’incremento del peso giornaliero della semina, durante la sperimentazione,
è stata utilizzata la seguente formula:
[ln (peso finale / peso iniziale) / n°gg (ex)]-1%
l’accrescimento giornaliero è risultato del 2,02%.
In base al peso totale finale della semina ottenuto, si è determinata la lunghezza media in
mm di ogni singolo individuo utilizzando l’equazione:
Y = 0,00013 * X 3,16
dove Y è il peso degli animali in grammi e X la misura in mm degli individui (che nel nostro caso
era l’incognita).
Sui campioni delle vongole veniva anche registrato il rapporto fra individui vivi e morti
(Yap, 1997) ricavandone così il tasso di mortalità. Durante il periodo di sperimentazione si è così
ottenuto un tasso del 2,3% di mortalità media nei nove cesti contenenti semina di screen 1,6 mm,
mentre nel cesto contenente la semina di screen 3,4 mm si è ottenuto un tasso di mortalità di 2,5%.
dato da considerarsi apprezzabile ai fini di una resa ottimale.
3.3 Indagini su parassitosi e patologie
Al fine di evitare l’introduzione, trasmissione e diffusione di patologie o parassitosi che
potrebbero pregiudicare lo sviluppo razionale del settore e l’aumento della produttività, la Comunità
Europea ha emanato una Direttiva, la 91/67/CEE, con la quale sono stabilite norme di polizia
sanitaria per la commercializzazione di animali e prodotti d’acquacoltura. Detta Direttiva è stata
recepita dallo Stato Italiano con D.Lgs. 555 del 30.12.92 e successivamente è stato emanato un
regolamento di attuazione, D.Lgs. 395 del 20.10.98, in materia di misure minime di lotta contro
talune malattie dei molluschi bivalvi. A prescindere dalla legislazione, per il peculiare sistema di
allevamento da seguire per la vongola verace, è indispensabile che gli operatori conoscano i
problemi potenziali che possono sorgere con l’arrivo e/o sviluppo di patologie. La venericoltura è
infatti praticata in ambiente aperto e le possibilità di prevedere e di praticare trattamenti o variare
parametri ambientali sono praticamente nulli e la possibilità di propagazione è elevata. Sono così
fondamentali interventi di prevenzione atti a scongiurare l’avvio della patologia. Nel caso della
sperimentazione condotta in Val Bonello, si è effettuata una attenta valutazione della certificazione
sanitaria prevista e che scortava il lotto di semina utilizzata per la sperimentazione. Una prima
28
malattia da evitare è infatti il Vibrio P1 la cosiddetta “sindrome dell’anello bruno” che fu scoperto
per la prima volta in Francia nel 1986 e che si è anche manifestato in Spagna in anni a seguire.
Provoca incrementi di mortalità soprattutto in vivai ad alta densità. La specie più sensibile appare la
Tapes philippinarum anche se pare che il vibrio sia sensibile a temperature ambientali elevate (30
°C). In letteratura, perdite più consistenti sono provocate dal protozoo Perkinsus atlanticus tanto che
nel Manuale dell’Organismo internazionale O.I.E. la specie Tapes decussatus è ritenuta specie
sensibile per il patogeno. Il Perkinsus è stato isolato nelle vongole in Portogallo dove ha provocato
alti tassi di mortalità, ma è stato trovato anche sporadicamente in Spagna, Italia e Francia. In queste
due ultime nazioni non sono state accertate mortalità da attribuire a Perkinsus anche se è da
sottolineare il fatto che le informazioni sulla epidemiologia e patogenicità dell’agente eziologico
sono ancora scarse.
29
4. CONCLUSIONI
Dai risultati ottenuti dalle diverse pesate si può notare come ci sia un buon incremento di
crescita nel primo periodo della sperimentazione, in relazione alle buone condizioni ambientali
riscontrate. Con il successivo abbassamento della temperatura il tasso di crescita ha rallentato
progressivamente sino al raggiungimento di valori che hanno imposto l’immissione degli animali in
ambiente lagunare.
Dal grafico si nota come la linea cresca inizialmente con una pendenza notevole, e questo
significa che gli animali si sono acclimatati velocemente alle condizioni naturali presenti nel sito di
preingrasso.
A conferma di ciò, è interessante notare come già dopo poche ore dall’immersione della
semina nell’impianto di preingrasso gli animali iniziassero la formazione del bisso e risultavano
così parzialmente legati fra loro.
Quasi tutti gli animali dopo i 45 giorni di prova avevano superato i 4 mm di lunghezza ed il
peso medio di 0,018 gr valori questi da considerarsi discreti in considerazione del limitato periodo
di sperimentazione e delle condizioni ambientali non sempre ottimali.
La sperimentazione verrà ripresa nella prossima primavera, quando le condizioni lagunari e
vallive saranno propizie e più adatte ad un adeguato svezzamento degli animali.
Per una verifica oggettiva degli aumenti ponderali giornaliera nell’arco del periodo di
attività si è adottata una funzione suggerita dai tecnici della Seasalter Shellfish. Si è ottenuto come
suddetto un aumento medio giornaliero del peso degli animali del 2,02%. Tale valore è considerato
sufficiente in quanto valori tra 0 e 1% sono da considerarsi scarsi;da 1 a 2% appena sufficienti; tra 2
e 3% sufficienti; oltre il 3% buoni.
La verifica dei tassi di mortalità ha dato risultati ottimali con sopravvivenze prossime al
98% sia per la taglia screen 1,6 mm sia per la taglia screen 3,4 mm.
Concludendo, limitatamente a questa prima esperienza la discreta produzione fitoplanctonica
riscontrata, il continuo controllo dei parametri fisico – chimici relativi alla temperatura, salinità e
ossigeno disciolto, modulando correttamente i flussi sia nei diversi contenitori che nella scelta
dell’acqua di entrata, da valle o da laguna, il preingrasso ha raggiunto discreti risultati, ed ha
permesso l’utilizzo di densità piuttosto elevate di animali in spazi ridotti.
Vista la predisposizione di questo sistema attraverso sperimentazioni successive, si cercherà
di individuare anche la densità ideale per avere vantaggi sia in termini di spazio utilizzato, che di
crescita dei molluschi, sino alla taglia desiderata.
Dott. Milani Roberto
Dott. Rossetti Emanuele
30
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34
30
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°C
Temperatura
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T°C
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Grafico 1: andamento della Temperatura.
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30
25
20
salinità‰
15
10
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0
Grafico 2: andamento della salinità.
35
Grafico 4: andamento della crescita in peso della semina.
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2
valori in mg/l
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10
9
8
7
6
5
4
ossigeno
disciolto
mg/l
3
2
1
0
Grafico 3: andamento dell’ossigeno disciolto.
Peso totale della semina in kg
80
70
60
50
40
Peso totale della semina in kg
30
20
10
0
Entrata acqua valle ?
Canale di raccordo alle peschiere
?Pozzetto di ingresso
?
Canale di scarico sopraelevato
? Entrata acqua dalla Sacca di Scardovari
Nursery
? sifoni presa a mare
Schema: circolazione acqua nell’impianto di svezzamento sito in Val Bonello.
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