UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZA DEI MATERIALI XXII CICLO BIOCONIUGATI ENZIMA-NANOPARTICELLA POLIMERICA: SINTESI, CARATTERIZZAZIONE ED APPLICAZIONI BIOTECNOLOGICHE Dottoranda Dott.ssa Laura Chronopoulou Tutor Dott.ssa Cleofe Palocci INDICE 1. GLI ENZIMI LIPOLITICI 1.1 Lipasi: considerazioni generali 1.2 Struttura molecolare di alcune lipasi 1.3 Meccanismo d’azione delle lipasi 1.4 Catalisi enzimatica in ambiente organico 1.5 Enantioselettività delle lipasi 1.6 Lipasi microbiche 1.7 Lipasi da Candida rugosa 1.8 Applicazioni industriali delle lipasi 2. L’IMMOBILIZZAZIONE ENZIMATICA 2.1 Aspetti generali 2.2 Metodi di immobilizzazione 2.3 Adsorbimento fisico di lipasi su supporti insolubili 3. BIOCONIUGATI PROTEINA-NANOMATERIALI 3.1 Considerazioni generali 3.2 Bioconiugati lipasi-nanomateriali 3.3 Principali metodologie chimico-fisiche per lo studio delle interazioni proteina-nanomateriali 3.4 Impiego della spettroscopia FTIR nello studio delle interazioni lipasi-nanomateriali 4. DESCRIZIONE E SCOPO DEL LAVORO 5. MATERIALI E METODI 5.1 Materiali 5.2 Strumentazione 5.3 Preparazione di nanoparticelle polimeriche 5.4 Immobilizzazione di lipasi da Candida rugosa su supporti biopolimerici 5.4.1 Immobilizzazione di lipasi da Candida rugosa su supporti biopolimerici commerciali 5.4.2 Immobilizzazione di lipasi da Candida rugosa su supporti biopolimerici a morfologia nanostrutturata 5.5 Determinazione del contenuto proteico in soluzione 5.6 Determinazione del carico enzimatico dei bioconiugati 5.7 Saggio standard di attività lipolitica 5.7.1 Determinazione dell’attività lipolitica in soluzione 5.7.2 Determinazione dell’attività lipolitica dei bioconiugati 5.8 Costruzione della curva di taratura della lipasi da Candida rugosa 5.9 Prove di stabilità in solvente organico delle lipasi libere e adsorbite su supporto polimerico 5.10 Reazione di transesterificazione tra sulcatolo e vinilacetato in solvente organico 5.11 Metodo analitico GC per la determinazione dei prodotti della reazione di transesterificazione in solvente organico 5.12 Elaborazione dei dati sperimentali per le reazioni condotte in solvente organico 5.13 Misure di microscopia elettronica a scansione 5.14 Misure di light scattering dinamico 5.15 Misure di microscopia elettronica a trasmissione 5.16 Misure FTIR 5.17 Analisi dei dati FTIR 6. PREPARAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI MATERIALI BIOPOLIMERICI NANOSTRUTTURATI A BASE DI ACIDO POLI-(D,L)-LATTICO 6.1 Principio del metodo impiegato per la preparazione di acido poli-(D,L)-lattico nanostrutturato 6.2 Preparazione e caratterizzazione dei supporti biopolimerici nanostrutturati a base di acido poli-(D,L)-lattico 7. PREPARAZIONE DEI BIOCONIUGATI LIPASI - NANOPARTICELLE POLIMERICHE 7.1 Descrizione dei preparati enzimatici utilizzati 7.2 Preparazione di bioconiugati lipasi-nanoparticelle polimeriche per adsorbimento fisico 7.3 Cinetiche di adsorbimento 7.4 Isoterme d’adsorbimento 7.5 Studio delle cinetiche di desorbimento delle lipasi dal supporto polimerico nanostrutturato 7.6 Misure di microscopia elettronica a trasmissione dei bioconiugati lipasi-nanoparticelle polimeriche 8. ATTIVITA’ E STABILITA’ DEI BIOCONIUGATI IN AMBIENTE ACQUOSO 8.1 Misura dell’attività lipolitica dei bioconiugati nella reazione di idrolisi della tributirrina 8.2 Stabilità delle lipasi libere e immobilizzate alla temperatura nella reazione d’idrolisi della tributirrina 8.3 Stabilità delle lipasi libere e immobilizzate al pH nella reazione d’idrolisi della tributirrina 8.4 Numero di cicli di utilizzo del bioconiugato 9. ATTIVITA’ E STABILITA’ DEI BIOCONIUGATI IN REAZIONI DI SINTESI IN SOLVENTE ORGANICO 9.1 Scelta dei solventi organici da utilizzare come mezzo di reazione in sintesi biocatalizzate 9.2 Prove di stabilità ai solventi organici dei biocatalizzatori 9.3 Studio cinetico della reazione di transesterificazione tra (±)sulcatolo e vinilacetato in ambiente organico 10. STUDIO FTIR DELLE MODIFICAZIONI CONFORMAZIONALI DI ENZIMI LIPOLITICI IN SEGUITO ALL’INTERAZIONE CON UN SUPPORTO BIOPOLIMERICO NANOSTRUTTURATO 10.1 Misure FTIR su CRL grezza 10.2 Misure FTIR in D2O di CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA 10.3 Misure FTIR allo stato solido di CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA 10.4 Confronto tra la composizione percentuale di strutture secondarie della CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA in D2O e allo stato solido 11. CONCLUSIONI 12. BIBLIOGRAFIA 1. GLI ENZIMI LIPOLITICI 1.1 Lipasi: considerazioni generali Le lipasi sono enzimi appartenenti alla classe delle triacil glicerol acil idrolasi. In natura, scindono i trigliceridi ad acidi grassi, digliceridi, monogliceridi e glicerolo, idrolizzando il legame estereo all’interfaccia tra la fase acquosa, in cui l’enzima è solubile, e la fase lipidica del substrato. La reazione di idrolisi dei trigliceridi assume, da un punto di vista fisiologico, una particolare importanza, in quanto ne consente l’assorbimento a livello intestinale. Infatti, i trigliceridi, pur facendo parte della catena alimentare di tutti gli animali, non possono superare come tali le barriere intestinali, mentre i prodotti della loro idrolisi, in presenza di sali biliari, si aggregano in micelle miste e sono in grado di venire assorbiti. Tali prodotti, una volta superata la fase di assorbimento, vengono anabolizzati a trigliceridi mediante una reazione di esterificazione. Le lipasi sono enzimi molto diffusi in natura e, a seconda della fonte da cui provengono, presentano caratteristiche strutturali e proprietà catalitiche differenti, soprattutto per quanto concerne la specificità nei riguardi della posizione dei legami esterei idrolizzati nei trigliceridi. Gli enzimi lipolitici vengono pertanto suddivisi in tre gruppi: • lipasi in grado di idrolizzare il legame estereo in posizione 1 nei trigliceridi (è il gruppo più vasto); • lipasi che non mostrano una particolare specificità posizionale nell’idrolisi; • lipasi che mostrano specificità per gli esteri degli acidi grassi insaturi, svolgendo però la propria azione lipolitica indifferentemente dalla posizione occupata dall’acido nei trigliceridi. La fonte di queste proteine può essere animale, vegetale, batterica o fungina [1]. Nell’uomo e nei mammiferi superiori sono presenti tre tipi di lipasi: lipasi pancreatica (agisce sui trigliceridi alimentari provocandone l’idrolisi), lipoproteina lipasi (agisce sui trigliceridi che circolano nel sangue legati alle proteine), lipasi ormonosensibile (agisce sui trigliceridi contenuti nel tessuto adiposo determinando la messa in circolo degli acidi grassi; è attivata dall’adrenalina). Nel mondo vegetale le lipasi si trovano nei semi di alcune piante (ad esempio orzo, avena, segale, soia, ricino) con la funzione di idrolizzare gli oli che vi sono contenuti e fornire, in seguito all’ossidazione degli acidi grassi liberati dall’idrolisi, l’energia richiesta nella fase di germinazione. Le lipasi sono inoltre largamente prodotte da batteri, lieviti e funghi. Nella maggior parte dei casi sono direttamente riversate nel mezzo di coltura (enzimi esocellulari). Le lipasi di origine microbica, negli ultimi anni, hanno suscitato un crescente interesse, sia per la facilità con cui possono essere purificate, sia per la loro prerogativa di termostabilità e di ampia specificità di substrato. D’altra parte, le lipasi di origine mammifera sono state da lungo tempo studiate in dettaglio e la conoscenza della struttra e della funzione di questi enzimi è spesso maggiore di quella relativa alle lipasi microbiche. Grazie alle tecniche dell’ingegneria genetica e dell’ingegneria proteica, molte lipasi ricombinanti o mutanti sono state espresse in microrganismi diversi da quello di origine, ottenendo enzimi in alte rese e, in alcuni casi, con le proprietà catalitiche desiderate. 1.2 Struttura molecolare di alcune lipasi La determinazione della struttura tridimensionale rappresenta un passo di fondamentale importanza per la conoscenza, la produzione e l’applicazione delle lipasi. Nel 1990 sono state determinate le prime strutture di due enzimi lipolitici: della lipasi fungina da Rhizomucor miehei [2] e della lipasi pancreatica umana [3]. Da allora una dozzina di strutture tridimensionali di lipasi sono state determinate, tra cui quella della lipasi da Candida rugosa [4,5]. Il peso molecolare delle lipasi note varia tra 20 e 90 kD e, sebbene la determinazione della struttura primaria non abbia rivelato una sostanziale conservazione della sequenza amminoacidica, questi enzimi mantengono numerose caratteristiche strutturali comuni. Tutte le lipasi, indipendentemente dalla loro origine o dimensione, presentano lo stesso elemento strutturale costituito da un foglietto β centrale formato da filamenti paralleli alternati a segmenti ad α-elica. Tale struttura tridimensionale è nota come “ripiegamento α/β” o “α/β hydrolase fold” [6] (fig.). Questo elemento strutturale è comune ad altri enzimi [7,8,9], per cui si può presupporre l’esistenza di un precursore ancestrale comune. La triade catlitica dell’enzima è fortemente conservata. Infatti, in tutte le lipasi di cui è nota la struttura, l’ordine degli amminoacidi che costituiscono la triade catalitica è lo stesso : Ser-Asp/Glu-His. Rispetto alle serina proteasi l’ordine della sequenza della triade catalitica è diverso [10,11], sebbene gli atomi della triade catalitica delle li pasi siano sovrapponbili a quelli delle serina proteasi. La serina catalitica si trova in un ripiegamento molto stretto situato all’estrmità C-terminale del filamento β5, seguito da un segmento ad αelica. Questa serina possiede una conformazione sfavorevole dal punto di vista energetico, chiamata conformazione ε, che permette però alla catena laterale della serina di puntare verso l’esterno del ripiegamento. In realtà viene conservata l’intera sequenza consenso Gly-X-Ser-X-Gly, che viene indicata come β-εSer-α. L’istidina della triade catalitica si trova situata all’estremità C-terminale dell’ultima catena del ripiegamento α/β. Il residuo di acido carbossilico della triade catalitica può subire qualche variazione di natura e posizione nelle diverse lipasi. In alcune di esse questo residuo non è un acido aspartico ma un acido glutammico, come nella lipasi da Geotrichum candidum [12] o da Candida rugosa [13]. In alcuni casi il residuo carbossilico può essere coadiuvato nella sua azione catalitica da un altro residuo acido, come nella lipasi da Pseudomonas glumae [14]. Nella lipasi pancreatica l’acido aspartico con attività catalitica non è situato all’estremità del filamento β7 del ripiegamento α/β ma all’estremità del filamento β6 [6]. Il sito calitico delle lipasi, a differenza di quanto accade per le serina proteasi, è ricoperto da un’ansa superficiale detta “flap” o “lid” per la sua somiglianza ad una palpebra. La presenza del lid rende il sito attivo delle lipasi completamente inaccessibile al solvente e, di fatto, ad ogni substrato. Questa conformazione è chiamata “chiusa” o “inattiva”. Studi cristllografici di lipasi in presenza di un inibitore, di un analogo di substrato e/o di un detergente, hanno evidenziato l’esistenza di una forma “aperta” dell’enzima. La rotazione del lid, infatti, rende il sito catalitico accessibile al substrato. Il movimento del lid è stato messo in evidenza nel caso della lipasi da Rhizomucor miehei [15]. La superficie idrofoba del lid, rivolta verso il sito attivo dell’enzima nella conformazione chiusa, si espone verso il solvente creando una superficie idrofoba che interagisce con l’interfaccia acqua/lipide, rendendo attiva la conformazione dell’enzima. Le variazioni di conformazione dell’enzima relative alla forma chiusa e aperta riguardano principalmente il lid, sebbene a volte siano coinvolte delle anse vicine a dei residui particolari. De Caro e collaboratori [16] furono i primi a determinare la struttura primaria completa di una lipasi pancreatica porcina. Essa è costituita da un’unica catena di 449 amminoacidi. Il peso molecolare della frazione proteica è stato calcolato essere pari a circa 50 kD, mentre i residui glicosidici lo fanno aumentare a 52 kD. Il sito di glicosilazione è Asp 166. Un residuo di istidina si trova in prossimità del sito attivo, mentre un residuo di serina nella posizione 152 è coinvolto nel legame con il substrato. Quest ipotesi sulla struttura del sito attivo ha trovato conferma nel 1990, quando è stata determinata la struttura tridimensionale della lipasi pancreatica umana, una proteina a catena singola costituita da 449 amminoacidi [3]. I dati emersi dall’analisi strutturale indicano, in accordo con quelli relativi alla lipasi epatica ed alle lipoproteine lipasi [17,18], che la serina è il residuo nucleofilo essenziale per la catalisi. Tale residuo è situato nella regione N-terminale (residui 1-336), al vertice di una struttura βsheet avvolta in due fili paralleli,ed è parte di una triade, Asp-His-Ser, chimicamente analoga ma strutturalmente differente da quella delle serina proteasi. Il sito catalitico è coperto da un loop superficiale ed è pertanto inaccessibile al solvente. La struttura della lipasi pancreatica umana suggerisce che rilevanti cambiamenti conformazionali debbano aver luogo prima che il substrato possa legarsi al sito attivo. La conferma di questa ipotesi ed ulteriori informazioni sul meccanismo di reazione sono state ottenute dalla struttura del complesso lipasi pancreatica-colipasi [19,20]. In fatti, il cofattore proteico, formando uno specifico complesso con la lipasi pancreatica, favorisce e stabilizza la configurazione di quest’ultima nella forma aperta, con il sito catalitico accessibile al substrato. Sempre nel 1990 è stata determinata la struttura tridimensionale della lipasi isolata da Rhizomucor miehei [15], un enzima costituito da una singola catena polipeptidica formata da 269 amminoacidi. I residui che formano la triade catalitica sono Ser 144, His 257 e Asp 203. La triade è situata vicino alla superficie ma non è esposta al solvente, trovandosi al di sotto di una regione definita “palpebra”, avvolta sopra la triade e stabilizzat da numerose interazioni idrofobiche ed elettrostatiche. Il confronto tra la struttura dell’enzima nativo e la struttura tridimensionale del complesso tra l’enzima da Rhizomucor miehei ed un analogo del substrato [2], ha messo in evidenza come la catena laterale del residuo di Ser 82 assuma una conformazione favorevole per il legame con l’analogo soltanto dopo la rimozione dal sito attivo della struttura definita palpebra. L’interazione della Ser 82 con l’inibitore provoca un cambiamento di conformazione della palpebra, che può essere descritto come un semplice movimento rigido della sua parte con struttura ad αelica. Ci sono due strutture cardine ben definite nella struttura della lipasi da Rhizomucor miehei: il tripeptide 82-84 e il tetrapeptide 92-95, ognuna ad un alto della palpebra, di cui permettono il movimento. Non appena la palpebra viene rimossa dal sito attivo, la sua parte idrofilica, che è esposta al solvente nella struttura nativa, viene parzialmente nascosta in una cavità polare precedentemente riempita da molecole di acqua ben ordinate. Contemporaneamente, la parte idrofobica della palpebra viene completamente esposta, aumentando la superficie non polare che circonda il sito attivo. L’attivazione interfacciale viene quindi spiegata ammettendo che la stabilizzazione della superficie non polare che circonda il sito attivo aumenti l’attività dell’enzima, rendendolo capace di interagire con maggiore efficienza con le molecole del trigliceride nella fase lipidica [21,22]. Nel 1991 è stata pubblicta la struttura tridimensionale di un’altra lipasi fungina, prodotta da Geotrichum candidum, molto più grande di quella da Rhizomucor miehei [12]. Questa proteina, costituita da 544 amminoacidi, ha un peso molecolare di circa 60 kD. Appartiene anch’essa alla classe delle α/β proteine ed è formata da 11 tratti a β-sheet ed un totale di 16 αeliche collegate tra loro da loop a diversa lunghezza. Confrontando la struttura ottenuta con quella delle altre lipasi già risolte, è stata individuata la Ser 217 come l’amminoacido direttamente coinvolto nella catalisi. Completno la triade catalitica l’His 463 e il Glu 354. Questo è il primo caso in cui si osserva la sostituzione dell’acido aspartico con il glutammico. Il sito catalitico è coperto anche in questo caso da un loop ed è situato ancora più all’interno della proteina rispetto ad altre lipasi studiate. Nel 1992, in base alle analogie di sequenza con la lipasi da Geotrichum candidum ed alla struttura tridimensionale ricavat con la diffrazione ai raffi X, il gruppo di Alberghina predisse la struttura della lipasi da Candida rugosa [23], proponendo un modello che dimostrava, anche per questa lipasi, la presenza di una zona, nel cuore della proteina, caratterizzata da β-sheet e da zone ad α-elica. Tale modello, oltre ad assegnar la triade catalitica (Ser 209, his 449, Glu 341), permise di evidenziare la presenza di una zona che avrebbe potuto avere la funzione di palpebra, essendo adat a ricoprire il sito catalitico. Nel 1993 è stata pubblicata la prima struttura 3D della lipasi da Candida rugosa [5]. La risoluzione ai raggi X ha evidenziato la grande analogia di struttura esistente tra questa lipasi e quella da Geotrichum candidum. La parte in cui le due lipasi differiscono maggiormente è la palpebra. Nella lipasi da Candida rugosa questa è perpendicolare alla superficie della proteina, e costituisce parte della parete che crea la grande depressione che circonda il sito attivo. La zona intorno alla serina catalitica presenta elevata idrofobicità, mentre la parte opposta della palpebra è caratterizzata dalla presenza di molti residui idrofilici, stabilizzati da interazioni con la superficie proteica. Queste interazioni sono analoghe a quelle evidenziate per la lipasi da Rhizomucor miehei nel complesso cristallino con un inibitore. E’ da evidenziare come la struttura appena descritta, in cui la palpebra è ruotata e lascia libero l’accesso al sito catalitico, sia stata ottenuta senza ricorrere alla formazione di un complesso con un analogo di substrato. Nel 1994 è stata ottenuta la struttura tridimensionale ricavata dal cristallo del complesso tra lipasi da Candida rugosa ed inibitore [4]. Confrontando la struttura del complesso con quella della proteina nativa nella forma aperta [5], è stato possibile evidenziare come non avvengano sostanziali cambiamenti conformazionali della proteina in seguito all’interazione con l’inibitore. I principali cambiamenti avvengono durante il fenomeno “dell’attivazione interfacciale”, con la rotazione della palpebra e l’apertura al substrato del sito catalitico. 1.3 Meccanismo d’azione delle lipasi Le lipasi appartengono alla classe delle idrolasi a serina. Il loro meccanismo d’azione è analogo a quello della chimotripsina, una serina proteasi. Il sito attivo delle lipasi è costituito da tre amminoacidi, che costituiscono la cosiddetta triade catalitica: Ser-His-Asp/Glu. Nel caso della fosfolipasi A2 i residui coinvolti nella catalisi sono Asp-His-Asp. L’ossigeno ossidrilico della serina, carico negativamente per cessione del protone al residuo di istidina della triade, attacca il carbonio carbossilico del substrato, formando un complesso tetraedrico. La carica negativa presente sull’atomo di ossigeno del complesso tetraedrico viene stabilizzata da legami idrogeno con gruppi NH peptidici. La formazione di questi legami idrogeno stabilizza la struttura del complesso tetraedrico, abbassando in tal modo l’energia d’attivazione della reazione. Il legame estereo si rompe ed il gruppo alcolico uscente viene protonato dallo ione imidazolico del residuo di istidina. In seguito alla perdita del gruppo alcolico, si forma il complesso acil-enzima. Questo viene a sua volta attaccato da una molecola d’acqua, con formzaione di un secondo intermedio tetraedrico. La dissociazione del complesso tetradrico porta alla liberazione del gruppo acilico e rigenera l’enzima. Gli enzimi lipolitici esplicano la loro azione catalitica all’interfaccia tra la fase acquosa in cui l’enzima è solubile e la fase lipidica del substrato. La catalisi di questi enzimi è quindi un esempio di catalisi eterogenea. Questo fenomeno rende la cinetica degli enzimi lipolitici particolarmente complessa. Verger e Rietsh [24,25] hanno proposto un meccanismo catalitico per questi enzimi formato da tre step. Nel primo step si ha l’adsorbimento dell’enzima solubile in acqua all’interfaccia. E→Ea Il secondo è lo step catalitico vero e proprio, con formazione del complesso di Michaelis-Menten enzima-substrato. Ea+S→EaS Infine, nel terzo step si ha la formazione del prodotto e la rigenerazione dell’enzima adsorbito. EaS→Ea+P Evidenze sperimentali hanno dimostrato che lo stadio cineticamente limitante è il primo step, ossia l’adsorbimento dell’enzima all’interfaccia [26]. Quindi, nel processo di lipolisi è determinante non tanto la concentrazione del substrato quanto la superficie di substrato accessibile all’enzima (area interfacciale). Secondo questo modello l’enzima, penetrando all’interfaccia, muterebbe la propria conformazione, acquisendo proprietà catalitiche molto più efficienti rispetto a quelle dell’enzima in soluzione. Tale modello, tuttavia, è applicabile solo ai casi in cui tutti i prodotti della reazione siano solubili nella fase acquosa, diffondano rapidamente e non inducano alcuna variazione nelle proprietà chimico-fisiche dell’interfaccia. In seguito questo modello è stato rielaborato, aggiungendo uno step irreversibile che converte l’enzima penetrato, Ea, in una forma inattiva , Eai, che compete con la formazione del complesso EaS [27]. Il risultato dei due passaggi consecutivi di penetrazione e di inattivazione è che gli enzimi lipolitici sono regolati da un flusso di assorbimento responsabile del periodo iniziale di latenza, che si osserva generalmente nelle reazioni di lipolisi, e da un flusso di inattivazione che tende a diminuire la velocità della reazione di idrolisi. 1.4 Catalisi enzimatica in ambiente organico Una delle caratteristiche della reazione catalizzata dagli enzimi lipolitici è la reversibilità. Le lipasi, infatti, sono in grado di catalizzare, in ambiente anidro o a ridotto contenuto di acqua, l’esterificazione di acidi grassi e glicerolo per dare mono-, di- e trigliceridi [28]. Inoltre, sono in grado di catalizzare reazioni di transesterificazione e di esterificazione interna [29]. In queste ultime reazioni, al posto di una molecola d’acqua, viene coinvolto un residuo alcolico. Per rendere la reazione di esterificazione termodinamicamente favorita rispetto all’idrolisi, occorre eliminare uno dei prodotti di reazione, cioé l’acqua. Questa esigenza è stata sopperita tramite l’impiego di solventi organici come mezzo di reazione. L’introduzione di solventi organici nell’ambiente di reazione risale agli inizi del secolo scorso [30]. Inizialmente vennero impiegati solventi miscibili con l’acqua (etanolo, acetone) e solo successivamente furono introdotti solventi immiscibili con l’acqua per dare sistemi bifasici. In seguito è stata via via diminuita la quantità di acqua presente nel sistema, fino all’impiego degli enzimi in solventi organici anidri [30,31,32]. Tuttavia, l’acqua risulta essere di vitale importanza per l’attività enzimatica, in quanto interviene in tutte le interazioni non covalenti che mantengono l’enzima nella conformazione cataliticamente attiva. Una sottrazione di acqua dal mezzo di reazione dovrebbe far pensare ad una perdita di attvità dell’enzima a causa della destabilizzazione della sua conformazione attiva. In realtà l’acqua necessaria alla stabilizzazione della struttura cataliticamente attiva dell’enzima consiste in pochi monostrati circostanti l’enzima stesso, mentre l’eccesso può venire rimpiazzato da un solvente organico [29]. Per poter studiare una reazione enzimatica in ambiente organico, devono essere sempre soddisfatti i seguenti requisiti: • disponibilità dell’enzima a basso costo • indipendenza dell’enzima da cofattori • solubilità dei substrati e dei prodotti in ambiente organico • l’acqua non deve essere un reagente Sono state studiate alcune reazioni di transesterificazione in ambiente organico catalizzate da lipasi da Candida rugosa, da lipasi da Rhizomucor miehei e da lipasi pancreatica porcina [29]. E’ stato osservato che questi enzimi mantengono l’attività catalitica al 99,8%. L’enzima sembra dunque mantenere la sua conformazione attiva anche in solvente organico. Gli unici solventi organici in cui tutte e tre le lipasi perdono completamente la loro attività sono il dimetilsolfossido e la N,Ndimetilformammide. L’inattivazione è dovuta probabilmente alla denaturazione dell’enzima in presenza di questi due solventi, in cui si osserva una completa solubilizzazione dell’enzima, mentre negli altri solventi risulta sospeso. L’acqua necessaria per l’attività catalitica della lipasi da Candida rugosa risulta essere legata in modo piuttosto debole all’enzima, poiché viene sottratta da solventi organici miscibili all’acqua. Il fattore principale nell’effetto del solvente organico non sembra essere tanto la sua interazione con l’enzima, quanto con l’acqua legata all’enzima. Alcuni studi sulla termostabilità della lipasi da pancreas porcino hanno dimostrato che in ambiente organico la termoresistenza dell’enzima è maggiore che in fase acquosa [28]. L’enzima deidratato, in ambiente organico quasi anidro, tollera trattamenti a 100°C per lunghi periodi e presenta un aumento dell’attività enzimatica rispetto a quella a 20°C. L’aggiunta di piccole quantità di acqua in queste condizioni porta alla perdita dell’attività enzimatica e alla denaturazione dell’enzima. Da questi dati si può dedurre che l’enzima deidratato acquisti una maggiore rigidità conformazionale, che implica una maggiore termostabilità. Tale rigidità può provocare anche dei cambiamenti di specificità di substrato [28]. La catalisi in ambiente organico presenta, dal punto di vista biotecnologico, notevoli vantaggi rispetto alla catalisi in soluzione acquosa: • molti composti organici non sono solubili in ambiente acquoso; • l’ambiente organico può favorire alcune reazioni cineticamente e/o termodinamicamente difficili da realizzare in ambiente acquoso; • maggiore stabilità dell’enzima in solvente organico; • i prodotti di reazione sono più facilmente recuperabili. 1.5 Enantioselettività delle lipasi Le lipasi possono catalizzare reazioni enantioselettivamente e ciò assume una grande importanza per la preparazione e la risoluzione di composti otticamente attivi. L’enantioselettività dell’enzima è generalmente conservata o anche aumentata nelle reazioni di sintesi in ambiente organico. La possibilità di impiegare enzimi lipolitici in ambienti non acquosi ha portato allo studio dell’influenza del mezzo di reazione sulla catalisi enzimatica. Studi recenti hanno dimostrato come l’enantioselettività, la regioselettività, la selettività prochirale, la chemioselettività e laspecificità di substrato possano essere controllate attraverso la scelta del mezzo di reazione [33,34,35]. Questa tecnica, definita “solvent engineering”, permette di modificare e in alcuni casi di invertire la selettività di un enzima, senza dover ricorrere alle più complesse e dispendiose tecniche di ingegneria genetica. Nel campo della sintesi organica, la possibilità di variare l’enantioselettività di una reazione in funzione del solvente ha suscitato un crescente interesse per le reazioni biocatalizzate. In letteratura sono presenti numerosi casi di una chiara dipendenza dell’enantioselettività enzimatica dal solvente [36,37,38,39,40], tuttavia, nella maggior parte dei casi, non si è ancora in grado di fornire un’interpretazione, dal punto di vista meccanicistico, delle evidenze sperimentali. L’enantioselettività di diverse lipasi ed esterasi nei confronti di alcoli secondari rappresenta un’eccezione a quanto detto. Molte lipasi ed esterasi mostrano un’analogia di comportamento per quanto riguarda l’enantioselettività e sono state formulate delle regole empiriche che consentono di prevedere la stereochimica di un certo numero di reazioni [35,36]. E’ possibile fare previsioni su quale enantiomero di un alcol secondario reagisca più rapidamente in base alle dimensioni relative dei gruppi sosttuenti del centro chirale. Se disegnamo l’alcol con il gruppo ossidrilico che punta fuori dal piano del folio, l’enantiomero preferito avrà un sostituente ingombrante sulla destra e uno di medie dimensioni sulla sinistra. Tale regola si basa sullo studio dell’enantioselettività di un gran numero di reazioni catalizzate da lipasi, sia di idrolisi che di esterificazione, quando il substrato è un alcol. Sebbene il grado di enantioselettività vari a seconda degli alcoli e degli enzimi, tutte le lipasi e le esterasi preferiscono l’enantiomero indicato, indipendentemente dal solvente usato. Probabilmente lipasi ed esterasi utilizzano lo stesso meccanismo di riconoscimento dell’enantiomero, il che potrebbe implicare delle caratteristiche strutturali comuni a tutta questa classe di enzimi. 1.6 Lipasi microbiche Le lipasi di origine microbica comprendono quelle di origine fungina e quelle di origine batterica. Le lipasi di origine fungina sono ampiamente diffuse in natura. Le più rappresentative provengono da Candida rugosa [41,42], Candida paralipolytica [43,44,45], Candida antarctica, Aspergillus niger [46,47], Geotrichum candidum [48,49], R hizomucor miehei [50]. Le lipasi batteriche più comuni provengono da Pseudomonas sp. (tra cui Pseudomonas cepacea), Streptococcus sp., Cromobacterium sp. e Bacillus sp. Il crescente interesse che le lipasi da lieviti e funghi hanno suscitato a livello industriale ha portato ad un ampliamento delle conoscenze in questo campo. Un aspetto molto importante è che numerose lipasi fungine vengono secrete nel mezzo di coltura e ciò consente una purificazione più rapida e semplice della proteina. Inoltre, i processi di purificazione hanno evidenziato la presenza di multiforme con proprietà chimiche e fisiche diverse. I pesi molecolari delle diverse lipasi non presentano analogie significative e gli enzimi lipolitici sono tutti attivi in forma monomercia, tranne alcune eccezioni [45,51,52]. Tutte le lipasi fungine presentano un picco di attività per valori di pH vicini alla neutralità. La loro termostabilità può variare nell’ambito di lipasi estratte da fonti microbiche appartenenti alla stessa specie. Le lipasi fungine mostrano comunque una buona resistenza alla temperatura e questa caratteristica è molto rilevante per le loro applicazioni industriali. Per quanto riguarda la specificità di substrato di queste lipasi, essa è fortemente influenzata dal saggio di attività utilizzato per la sua determinazione. In generale, vengono idrolizzati preferenzialmente i trigliceridi a lunga e media catena. D’altra parte, lo studio della regioselettività dell’idrolisi ha evidenziato notevoli differenze di reattività delle diverse lipasi nei confronti dei tre legami esterei presenti nei trigliceridi. Fattori ambientali, quali la temperatura di coltura, la fonte di lipidi, la composizione in azoto e carbonio, la disponibilità di ossigeno e la concentrazione di sali inorganici, influenzano la quantità di lipasi prodotta. In generale, la produzione di lipasi è stimolata dalla presenza di acici grassi e lipidi, quali il burro e l’olio d’oliva. Tuttavia, non sono stati ancora determinati i fattori generali che rendano ottimali le condizioni di produzione delle lipasi. 1.7 Lipasi da Candida rugosa La lipasi da Candida rugosa è uno degli enzimi maggiormente studiati in campo biotecnologico, e ciò è dovuto al grande numero delle sue applicazioni. Questo enzima catalizza reazioni di idrolisi, esterificazione e transesterificazione su substrati anche molto diversi dai trigliceridi, trasferendo l’acile non solo a nucleofili tipici come l’acqua o gli alcoli, ma anche ad ammine, alcol allenici ed organometallici, acqua ossigenata. Inoltre le reazioni catalizzate da lipasi da Candida rugosa sono spesso enantioselettive. La caratterizzazione di questa lipasi è culminata nel 1994 con la determinazione della sua struttura tridimensionale [4]. La lipasi da Candida rugosa è un enzima extracellulare estraibile dal fungo da cui eredita il nome. Questo enzima contiene un elevato numero di amminoacidi idrofobici, intorno al 57%. Il suo grado di glicosilazione è pari al 4,2%, dovuto alla presenza di mannosio e xilosio. Elenchiamo alcune proprietà fisiche dell’enzima: • peso molecolare 60 kD [53] • punto isoelettrico 4,2 • coefficiente di sedimentazione 4,7 x 10-13 s • volume specifico parziale 0,76 ml/g [41,42] Da osservazioni sperimentali è stato determinato il valore ottimale di temperatura, cui corrisponde l’attività massima, pari a circa 40°C a pH 7,2. La lipasi da Candida rugosa non manifesta nessuna specificità posizionale nell’idrolisi dei legami esterei dei trigliceridi. La struttura primaria dell’enzima presenta alcune differenze rispetto a quelle determinate per altri enzimi lipolitici. Le principali differenze riscontrate sono le seguenti: • nella triade catalitica, coperta da un “flap” polipeptidico che la rende inaccessibile al solvente, l’acido aspartico trovato in altre lipasi a serina-proteasi è in questo caso sostituito da acido glutammico; • nel codice genetico la tripletta di basi CTG che normalmente codifica per la serina, nella Candida rugosa codifica per la leucina. La serina è codificata dalla tripletta di basi CUG [54,55]. Questa anomalia del codice genetico assume importanza nel settore delle biotecnologie relative al clonaggio dei geni e al loro inseremento nel patrimonio genetico di altri microrganismi. Abbiamo accennato alla presenza di una catena polipeptidica di forma αelicoidale che copre il sito attivo delle lipasi, determinando l’esistenza di una conformazione enzimatica inattiva. Studi cristallografici hanno evidenziato l’esistenza di due conformazioni, una chiusa o inattiva, ed una aperta o attiva. Nella forma chiusa la faccia interna del “lid”, idrofobica e ricca di catene alifatiche, copre il sito attivo, che si presenta come una conca ricca di residui amminoacidici di natura idrofobica, sul fondo della quale si trova il residuo chiave di serina; la faccia esterna del “lid” è idrofilica ed è stabilizzata da interazioni con la superficie proteica. L’interazione con il substrato determina una variazione conformazionale, che corrisponde allo spostamento del “lid”, provocando l’attivazione dell’enzima. Infatti, in corrispondenza di un’interfaccia acqua-lipide, il “lid”, aprendosi, espone un gran numero di residui apolari, creando una vasta zona idrofobica adatta all’interazione interfacciale con il substrato. Inoltre, il lato idrofilico del “lid” risulta stabilizzato dall’interazione, a carico di un residuo di lisina, con il resto della proteina. Studi di cristallografia ai raggi X hanno rilevato che, a differenza di altre lipasi, quella da Candida rugosa mostra una spiccata mobilità conformazionale per quanto riguarda il “lid” indipendentemente dalla presenza del substrato. Per quanto riguarda la struttura secondaria, importante in quanto definisce l’attività e la funzione biologica dell’enzima, studi di dicroismo circolare hanno evidenziato una struttura del tipo β-sheet con tratti ad α- elica, determinando l’appartenenza della CRL alla famiglia delle “α,β idrolasi”. Sulla base dell’assunzione che le reazioni catalizzate da lipasi prevedano trasferimenti di protoni, la CRL è stata sottoposta ad una serie di modificazioni chimiche su residui donatori/accettori di protoni. L’attività dell’enzima modificato è stata saggiata sia in reazioni di idrolisi che di sintesi in ambienti organici [56]. E’ risultato che la modificazione di residui di arginina con il fenilgliossale determina la perdità dell’attività di idrolisi, esterificazione e transesterificazione. La modificazione dei residui di acido aspartico e/o acido glutammico con l’1-etil-3-(3-dimetilamminopropil)-carbodimmide provoca una forte diminuzione delle tre attività enzimatiche. La modificazione degli altri residui amminoacidici esaminati non provoca aluna diminuzione dell’attività enzimatica. Questi risultati suggeriscono quindi che i residui di arginina e i gruppi carbossilici siano coinvolti nella catalisi e/o nel legame col substrato. La modificazione dei residui di lisina con il piridossal-5’-fosfato e la riduzione dei ponti disolfuro con il ditiotreitolo provocano un significativo aumento della sola attività di esterificazione. Una possibile spiegazione di questo fenomeno potrebbe essere attribuita ad una modificazione conformazionale dell’enzima. 1.8 Applicazioni industriali delle lipasi La biocatalisi rappresenta oggi uno dei principali obiettivi di sviluppo di molti settori industriali. Le conoscenze finora acquisite nel campo delle biotecnologie applicate alle proteine rendono attuale l’ipotesi dell’impiego di biocatalizzatori in numerosi esempi di conversioni industriali. In generale, i vantaggi della biocatalisi rispetto ai catalizzatori chimici possono essere riassunti nei seguenti punti: • specificità di reazione, con conseguente diminuzione dei sottoprodotti; • possibilità di catalisi enantioselettiva; • catalisi in condizioni chimico-fisiche blande, con conseguente abbattimento dei costi di esercizio; • minori problemi legati alla corrosione degli impianti; • possibilità di usare processi a più stadi in continuo, utilizzando diversi enzimi; • possibilità di ingegnerizzare il biocatalizzatore, modificandone le caratteristiche in base ai propri scopi. Tuttavia, ad oggi il numero di processi industriali che impiegano biocatalizzatori è ancora piuttosto limitato. Il principale fattore limitante è in genere l’alto costo degli enzimi, legato alla loro produzione, che prevede il clonaggio del gene, l’espressione in sistemi eterologhi e infine la purificazione della proteina. Un aspetto particolarmente interessante è l’impiego di enzimi immobilizzati, che consente la realizzazione di processi in continuo, con agevole separazione dei prodotti dal catalizzatore e riutilizzo di quest’ultimo. Inoltre, l’immobilizzazione determine, in genere, una stabilizzazione dell’enzima. Le lipasi sono una classe di biocatalizzatori che per le loro caratteristiche suscitano un continuo interesse nei più svariati settori industriali. Grazie all’estrema variabilità delle condizioni in cui le lipasi lavorano efficientemente, sono considerati catalizzatori versatili per applicazioni anche molto complesse. La loro caratterisitca di accettare un ampio spettro di possibili substrati ne aumenta ulteriormente l’interesse applicativo. Tutte le applicazioni commerciali delle lipasi riguardano enzimi derivanti da funghi e da lieviti. In genere le lipasi di origine fungina sono preferite a quelle batteriche in quanto ritenute GRAS (Generally Regarded As Safe). L’impiego di lipasi nella produzione di detergenti è di notevole interesse [59,60]. Proteasi ed amilasi sono state ampiamente utilizzate per il miglioramento dei processi di lavaggio a basse temperature. Altri preparati commerciali a base di lipasi si sono dimostrati adatti a condizioni di lavaggio più drastiche, a temperature fino a 60°C e a pH alcalini. L’idrolisi degli oli e dei grassi, per la produzione di acidi grassi e glicerolo, è un altro importante processo industriale in cui sono utilizzate le lipasi. I metodi chimici tradizionali sono basati sull’idrolisi ad alte temperature (250°C) e pressioni (50 atm). Tali condizioni, oltre a rendere il processo energeticamente dispendioso, possono provocare la degradazione dei prodotti, specie nel caso di acidi grassi polinsaturi. L’impiego di enzimi lipolitici per la realizzazione del processo di idrolisi rappresenta, dal punto di vista economico, una valida alternativa al processo chimico. L’industria olearia è sicuramente uno dei settori alimentari maggiormente interessati alle applicazioni delle lipasi. Un esempio è rappresentato dalla neutralizzazione degli oli acidi, in particolare quelli tropicali. L’elevata acidità di questi oli è dovuta alla presenza di gliceridi parziali e acidi grassi liberi e può essere eliminata mediante reazione di esterificazione, catalizzata da lipasi [58]. Anche nell’industria casearia le lipasi trovano applicazione, in particolare nel processo di maturazione dei formaggi [61]. Un altro esempio delle possibilità applicative delle lipasi nell’industria alimentare riguarda la produzione di composti con caratteristiche fisiche ed organolettiche simli a quelle del burro di cacao [61], prodotto largamente usato nell’industria dolciaria. Gli esteri degli acidi grassi sono dei componenti importanti degli aromi utilizzati nell’industria alimentare. Ad esempio, l’etil butirrato e l’isoamil acetato costituiscono, rispettivamente, l’aroma della fragola e della banana. Questi composti sono sintetizzati per via chimica, per supplire alla scarsa resa e agli alti costi della via estrattiva. La lipasi da Candida rugosa è stata utilizzata per la sintesi di etil butirrato, mediante esterificazione diretta tra etanolo ed acido butirrico da parte dell’enzima immobilizzato [62]. Come è noto, molti enzimi sono enantioselettivi. Questa caratteristica li rende oggetto di grande interesse, soprattutto per l’industria farmaceutica. Infatti la produzione di composti otticamente attivi costituisce un problema di enorme importanza in questo settore, in quanto le proprietà chimico-biologiche di due enantiomeri possono essere molto diverse o addirittura opposte. La produzione di emulsionanti costituisce un altro importante settore di applicazione delle lipasi [63]. La sintesi chimica di queste sostanze presenta il problema dei possibili residui di solventi tossici, per cui molte aspettative sono iposte nella sintesi enzimatica come via alternativa. La lipasi da Candida rugosa è stata impiegata nella sintesi di un nuovo tipo di emulsionante, l’O-acil-L-omoserina. Le lipasi sono attualmente impiegate anche per il degrassaggio delle pelli nell’industria conciaria. L’impiego di lipasi comporta un minore impatto ambientale rispetto al metodo tradizionale che prevede l’uso di solfuri che passano nelle acque di scarico. 2. L’IMMOBILIZZAZIONE ENZIMATICA 2.1 Aspetti generali L’impiego di biocatalizzatori, che potrebbero sostituire i catalizzatori chimici in numerose reazioni di interesse applicativo, è tuttora limitato, su vasta scala, da due tipi di problematiche. La prima riguarda l’attività catalitica, fattore strettamente dipendente dalla struttura della biomolecola; condizioni operative troppo diverse da quelle standard per il catalizzatore (temperatura elevata, pH troppo alto o basso, ecc.) possono modificare la struttura secondaria e terziaria della biomolecola, portando ad un abbassamento o anche all’annullamento dell’attività catalitica dell’enzima. Un altro inconveniente legato all’uso di enzimi liberi è rappresentato dalla difficoltà nel recuperarli dalla miscela di reazione a fine processo. L’elevato costo dei biocatalizzatori esige, invece, che essi possano essere recuperati nella loro integrità funzionale, per poter essere riimpiegati e rendere il processo economicamente sostenibile. Tali inconvenienti sono stati in parte superati tramite l’introduzione dei cosiddetti enzimi “immobilizzati”, che rappresentano una delle tecniche di modificazione proteica applicate agli enzimi allo scopo di migliorarne l’efficienza e la stabilità. Queste tecniche possono essere suddivise in tre categorie: modificazione chimica, modificazione fisica e ingegneria genetica. L’immobilizzazione enzimatica su supporti solidi insolubili, su cui si basa questo lavoro, è la più comune tecnica di modificazione fisica. Ormai l’immobilizzazione di biocatalizzatori (enzimi, ma anche organelli cellulari o cellule intere) si è diffusa nell’applicazione pratica di bioprocessi. Il vantaggio principale dell’immobilizzazione consiste nella possibilità di un uso ripetuto dell’enzima, che consente quindi l’impiego di biocatalizzatori di costosa preparazione. Altri vantaggi sono la possibilità di sviluppare processi in continuo e una maggiore purezza dei prodotti ottenuti. Inoltre, l’immobilizzazione rende generalmente gli enzimi stabili entro un più ampio intervallo di pH e temperatura. Gli enzimi immobilizzati hanno trovato crescenti applicazioni nell’industria e nella ricerca scientifica. Le maggiori possibilità applicative per usi commerciali sono nelle industrie alimentare e farmaceutica, dove gli enzimi immobilizzati hanno generalmente sostituito processi che impiegavano microrganismi o tecnologie di tipo chimico. Ad oggi, le applicazioni di biocatalizzatori immobilizzati includono: produzione di composti mediante bioconversioni stereospecifiche o regiospecifiche, produzione di energia attraverso processi biologici, trattamento selettivo di agenti inquinanti, analisi altamente sensibili e specifiche in continuo (biosensori di uso ambientale e chimico), utilizzo in campo biomedico (preparazione di nuovi farmaci per la terapia enzimatica). Gli enzimi immobilizzati sono definiti come “enzimi fisicamente confinati o localizzati in una regione di spazio definta, che conservano la loro attività catalitica e risultano utilizzabili ripetutamente e in continuo” [64]. Gli enzimi possono essere sia legati a supporti insolubili tramite legami fisici o chimici, sia essere intrappolati, cioé confinati in spazi limitati del supporto ma con una certa libertà di movimento. 2.2 Metodi di immobilizzazione Per poter utilizzare enzimi immobilizzati è importante conoscerne attività e caratteristiche; è inoltre necessario scegliere opportunamente sia il tipo di supporto che il metodo di immobilizzazione. Non esistono, ad oggi, teorie sistematiche che possano guidare queste scelte, per cui bisogna testare i singoli sistemi di volta in volta. I carrier devono avere gruppi funzionali adeguati a immobilizzare l’enzima, sufficiente forza meccanica, stabilità chimica, fisica e biologica. La possibilità di dare al supporto la forma desiderata può essere importante per utilizzare il catalizzatore nei diversi tipi di reattore; altro aspetto fondamentale è quello dei costi, che devono essere contenuti. Gli enzimi possiedono residui amminoacidici con gruppi chimicamente reattivi, gruppi ionici e/o gruppi idrofobici, oltre ad intere zone idrofobiche. Queste parti della proteina possono partecipare all’immobilizzazione attraverso la formazione di legami ionici, covalenti, o interazioni di tipo debole. Alcuni dei residui amminoacidici non coinvolti nel sito attivo o nel legame con il substrato possono essere utilizzati nella formazione di legami covalenti con il carrier. I gruppi funzionali più adatti a questo scopo sono: il gruppo amminico ε della lisina, il gruppo fenolico della tirosina, il gruppo mercapto della cisteina, il gruppo carbossilico γ dell’acido glutammico, quello β dell’acido aspartico, gli ossidrili della serina e della treonina. In generale, i gruppi carbossilici, ossidrilici ed amminici sono ottimi bersagli, grazie alla loro relativa abbondanza nelle molecole proteiche. Gli enzimi immobilizzati tramite legami covalenti, trovandosi sulla superficie di un materiale solido, possono venire a contatto con il substrato facilmente; inoltre presentano una maggiore resistenza al calore, proprio grazie alla forte interazione con il supporto e, per lo stesso motivo, non si muovono né si staccano dal carrier durante l’uso. L’attacco covalente ha però degli svantaggi: la possibile distruzione della struttura attiva dell’enzima, dovuta ad una sua parziale modificazione; una diminuzione dell’attività del biocatalizzatore, dovuta alla diminuzione della sua libertà di movimento; la difficoltà nel trovare le condizioni ottimali di immobilizzazionee infine l’impossibilità di riutilizzo del supporto, fattore che incide negativamente sui costi. Nonostante ciò, l’uso dell’immobilizzazione tramite formazione di legami covalenti è piuttosto frequente nell’impiego analitico degli enzimi. Il metodo più usato è quello che utilizza il bromuro di cianogeno per l’attivazione preliminare di supporti contenenti gruppi ossidrilici vicinali [65]; questi ossidrili successivamente si legano a gruppi amminici dell’enzima. Altri metodi sono la daizocopulazione [66], l’uso di ammidi acide [67], il cross-linking tra il supporto e l’enzima [68], l’uso di reagenti condensanti che facilitano la formazione di legami peptidici tra enzima e carrier [69]. L’immobilizzazione di enzimi mediante la formazione di legami di tipo ionico è una tecnica ampiamente utilizzata, grazie alla sua semplicità operativa e per il fatto che non modifica l’enzima e permette di riutilizzare il supporto. I carrier impiegati sono derivati della cellulosa, Sephadex e resine a scambio ionico. Bisogna tener conto di fattori quali il pH, il tipo di tampone utilizzato, la forza ionica e la temperatura, sia nel processo di immobilizzazione che nella bioconversione. Gli enzimi possono essere legati al carrier mediante interazioni di tipo debole, come legami idrogeno, interazioni idrofobiche, forze di van der Waals. Questo tipo di immobilizzazione non modifica l’enzima, ma il legame con il supporto non è molto forte ed è condizionato da fattori ambientali, quali la temperatura e la concentrazione dei reagenti. Vengono utilizzati supporti di vario tipo, materiali naturali, resine sintetiche. I supporti possono essere riutilizzati operando in condizioni opportune. L’immobilizzazione mediante cross-linking consiste nel legare tra loro più molecole di enzima attraverso composti bi e polifunzionali; nel primo caso si formano delle catene di molecole enzimatiche, nel secondo dei veri e propri reticoli. In questo modo l’enzima si presenta sotto forma di macromolecole insolubili. I reagenti più comuni utilizzati per il crosslinking sono la glutaraldeide [70] e il diisocianato di toluene. L’intrappolamento consiste nel confinare fisicamente l’enzima all’interno del supporto, in microcavità all’interno delle quali l’enzima può muoversi. Può essere effettuato in matrici di gel, in microcapsule di polimeri sintetici, in liposomi, in fibre cave, in membrane per l’ultrafiltrazione. Con la stessa procedura possono essere intrappolati enzimi diversi e le molecole di biocatalizzatore non vengono modificate. Inoltre, vengono eliminati gli effetti dovuti all’eventuale presenza di proteasi e inibitori enzimatici di grande massa nel mezzo di reazione, che non riescono ad accedere nelle microcavità in cui si trova il biocatalizzatore. Gli inconvenienti di questo metodo sono dovuti al fatto che substrati di grandi dimensioni difficilmente riescono a raggiungere l’enzima e che i supporti non possono essere riutilizzati. L’uso di membrane per ultrafiltrazione può ovviare a molti inconvenienti dati da altri support, ma le molecole di enzima disattivato spesso precipitano sulla superficie della membrana, diminuendone permeabilità. 2.3 Adsorbimento fisico di lipasi su supporti insolubili la La semplicità operativa dell’immobilizzaione enzimatica tramite adsorbimento fisico sul carrier rende questa tecnica la più utilizzata nell’ambito dell’immobilizzazione. In genere il procedimento si basa sul semplice contatto tra una soluzione enzimatica a concentrazione nota e il supporto, tenendo sotto controllo alcuni parametri chimici e fisici (pH, temperatura, tempo di contatto). I materiali che possono essere utilizzati come carrier sono numerosi; la scelta dipende essenzialmente da proprietà che possono rivelarsi importanti per un eventuale impiego in processi industriali: forza meccanica, stabilità chimica e fisica, carattere idrofobico/idrofilico, capacità di carico nei confronti dell’enzima e costo. I primi supporti utilizzati sono stati di tipo inorganico (sferette di vetro poroso [71,72], silice [73,74], allumina [75,76], terra di diatomee [77]), ma più recentemente si è affermato l’uso di resine a scambio ionico, celite [78,79,80] e biopolimeri [81,82,83]. Il successo e l’efficienza dell’adsorbimento fisico dipendono da diversi fattori. Le prime caratteristiche di cui tener conto sono la grandezza della proteina da immobilizzare, l’area superficiale del supporto e la natura della sua superficie (porosità, grandezza dei pori). In genere l’impiego di un supporto poroso è vantaggioso, perché l’enzima viene adsorbito sia sulla superficie esterna che all’interno dei pori, quindi si ha un maggiore carico enzimatico. L’efficienza dell’immobilizzazione dipende anche dalla concentrazione dell’enzima: la quantità di lipasi adsorbita sull’unità di peso del supporto aumenta all’aumentare della concentrazione enzimatica, fino a raggiungere un plateau quando il carrier è saturo. Solitamente queste operazioni vengono eseguite a temperatura costante e le isoterme di adsorbimento che si ottenono seguono le equazioni di Langmuir o di Freundlich [84]. Un altro fattore che riveste un’importanza fondamentale ai fini dell’immobilizzazione è il pH, visto il ruolo cruciale che ricoprono le interazioni ioniche tra enzima e supporto. In generale, l’adsorbimento massimo si osserva a valori di pH prossimi al punto isoelettrico della proteina. Infine, l’adsorbimento risulta favorito dall’addizione di solventi miscibili con l’acqua durante il processo di immobilizzazione; questo effetto si spiega con la riduzione della solubilità dell’enzima nella fase acquosa. Il biocatalizzatore può spesso essere rigenerato. Quando l’enzima ha ormai perso una significativa quantità della sua attività iniziale, è possibile deadsorbirlo modificando il pH e quindi riciclare il supporto per adsorbirvi nuovo enzima [85]. D’altra parte, la relativa facilità con cui si può staccare l’enzima dalla matrice può rivelarsi controproducente. Non esistono, ad oggi, delle leggi generali che permettano di predeterminare la forza dell’adsorbimento: a volte la semplice addizione del substrato può causare un deadsorbimento significativo, altre volte il distacco dell’enzima dal supporto avviene solo in condizioni drastiche. L’immobilizzazione non dovrebbe ridurre significativamente l’attività e la stabilità dell’enzima, ma al contrario migliorarle. Anche in questo caso non esistono regole empiriche che permettano di predire l’effetto dell’immobilizzazione sull’attività e la stabilità dell’enzima: potrebbe risultare sia un’inibizione che un’attivazione del biocatalizzatore [86]. In genere, le lipasi immobilizzate presentano valori ottimali di temperatura di lavoro più alti rispetto alla forma libera dell’enzima. Si pensa che gli enzimi immobilizzati siano meno sensibili alla disattivazione termica grazie alla maggiore rigidità conformazionale che l’immobilizzazione conferisce loro. La stabilità termica della lipasi da Candida rugosa immobilizzata su polipropilene microporoso commerciale è stata confrontata con quella dell’enzima libero. Al di sopra dei 40°C entrambi i biocatalizzatori perdono attività, ma la diminuzione è maggiore per la lipasi libera. Inoltre, mentre la temperatura ottimale della lipasi libera è di 37°C, per quella immobilizzata sale a 45°C [87]. Per quanto riguarda il pH, in genere si osserva un leggero shift del range ottimale verso valori più alcalini. L’immobilizzazione può avere l’effetto di proteggere la lipasi da un’eventuale disattivazione dovuta alla presenza di prodotti secondari di reazione; un esempio ben noto è quello relativo alla disattivazione di alcune lipasi dovuta alla presenza di acetaldeide [88]. Questo coprodotto si forma quando esteri vinilici sono usati come donatori irreversibili di acili in reazioni di transesterificazione. Si è scoperto che è possibile ridurre la sensibilità della lipasi da Candida rugosa nei confronti della disattivazione da acetaldeide proprio grazie all’immobilizzazione [89]. La natura del carrier è fondamentale per l’efficienza dell’immobilizzazione. Un lavoro del 1997 ha permesso di stabilire quali siano alcune delle caratteristiche chimiche e fisiche che un supporto ideale dovrebbe possedere [90]. E’ stato evidenziato come, utilizzando materiali con pori di dimensioni maggiori di 100 nm, l’efficienza catalitica del sistema in termini di attività e carico enzimatico risulti indipendente dal diametro dei pori. Pori di dimensioni minori di 100 nm costituiscono un limite alla diffusione dei substrati, per cui l’attività del sistema dipende fortemente dalle dimensioni dei pori. E’ stata inoltre evidenziata l’influenza significativa della struttura chimica della superficie del carrier sull’attività del biocatalizzatore: superfici con lunghe catene alchiliche portano ad attività più alte rispetto a superfici contenenti un gran numero di legami insaturi. In generale, i supporti più idonei per l’immobilizzazione enzimatica sono idrofobici: l’uso di questi materiali consente di ottenere una maggiore attività del biocatalizzatore e un maggiore adsorbimento. I supporti idrofilici tendono a competere con l’enzima per l’acqua disponibile nel mezzo di reazione. Quando sia la lipasi che il supporto sono completamente idratati, i supporti idrofilici consentono di avere una maggiore concentrazione di acqua nell’intorno della lipasi, favorendo così le reazioni idrolitiche [64,91,92]. Alla ricerca di nuovi supporti, negli ultimi anni sono stati utilizzati diversi materiali per l’immobilizzazione della lipasi da Candida rugosa, tra cui il polistirene copOlimerizzato e reticolato con divinilibenzene [93] e gli scarti della lavorazione del riso [94]. Nel primo caso è stato studiato l’effetto sull’immobilizzazione divinilbenzene/stirene. Questo della rapporto variazione determina del il rapporto grado di reticolazione e, di conseguenza, la diffusione del substrato e dei prodotti, quindi un suo aumento risulta in una maggiore superficie specifica e in un numero più elevato di pori piccoli. Tale effetto sulle dimensioni medie dei pori porta ad un abbassamento della capacità di adsorbimento del supporto, essendo i pori piccoli inaccessibili alla lipasi. Gli scarti della lavorazione del riso hanno presentato alcune caratteristiche interessanti. Utilizzati come carrier, consentono di incrementare considerevolmente la stabilità termica del biocatalizzatore, nonostante la notevole perdita di attività in seguito all’adsorbimento. E’ stato recentemente studiato l’adsorbimento di diverse lipasi batteriche su supporti fortemente idrofobici, in particolare su gel di octilagarosio [95,96]. L’adsorbimento, contrariamente a quanto avviene di solito, è risultato favorito da bassi valori di forza ionica. L’immobilizzazione è rapida e selettiva nei confronti delle lipasi, indipendentemente dalla loro attività e origine. Si è inoltre verificata una forte iperattivazione delle lipasi e il miglioramento dell’enantioselettività. Secondo l’interpretazione comunemente accettata, le lipasi riconoscono i supporti fortemente idrofobici come interfacce solide, di conseguenza vi si adsorbono assumendo la conformazione attiva. L’aumento dell’enantioselettività è correlato alla stretta connessione tra lipasi e supporto, che crea un impedimento in più all’accesso di alcuni enantiomeri nel sito attivo. 3. BIOCONIUGATI PROTEINANANOMATERIALI 3.1 Considerazioni generali I nanomateriali hanno dimensioni paragonabili a quelle delle macromolecole biologiche, quali acidi nucleici e proteine. Come noto, i nanomateriali possiedono inusuali proprietà elettroniche, fotoniche e catalitiche. La convergenza tra biotecnologie e nanotecnologie ha portato allo sviluppo di materiali ibridi che coniugano le proprietà catalitiche e di riconoscimento altamente selettive proprie delle biomolecole unite alle peculiari caratteristiche delle nanoparticelle. I biomateriali sono componenti fondamentali in questo settore, per la produzione di nanostrutture da coniugare efficacemente alle diverse classi di macromolecole biologiche. Infatti, essi esibiscono particolari capacità di riconoscimento molecolare, forti ed altamente specifiche, quali ad esempio le interazioni tra un antigene e il suo anticorpo. Estremamente importante per numerose applicazioni è la biocompatibilità dei biomateriali, che previene la denaturazione delle biomolecole ad essi coniugate. La biodegradabilità, invece, può essere o meno auspicabile e può, all’occorrenza, essere modulata tramite opportuni trattamenti della superficie [97]. 3.2 Bioconiugati lipasi-nanomateriali Enzimi lipolitici di diversa origine sono stati immobilizzati su nanomateriali con una discreta varietà di tecniche. Come supporti sono state utilizzate nanoparticelle magnetiche [98, 99], di silice [100], di oro [101], di ossido di zirconio [102] e materiali polimerici [103, 104]. Molti potenziali supporti non hanno delle superfici biocompatibili, compromettendo l’attività di enzimi immobilizzati su di essi. Tale problematica può funzionalizzazione essere della superata superficie del tramite supporto. un’opportuna Ad esempio, nanoparticelle di oro possono essere facilmente funzionalizzate con molecole aventi un tiolo terminale, quale il 5-mercaptopentil-esa-etilen glicol [105] che, attivato con N-idrossisuccinimmide, può legare covalentemente la proteina enzimatica di interesse. L’immobilizzazione covalente di lipasi su nanoparticelle è stata realizzata anche tramite crosslinking con glutaraldeide su una superficie opportunamente trattata di Fe3O4 [106], con una ritenzione di attività enzimatica pari al 70% e un’elevata efficienza dell’immobilizzazione. Sono state realizzate anche immobilizzazioni di tipo non covalente, basate su interazioni idrofobiche e legami idrogeno, di enzimi lipolitici, sia su nanoparticelle [103] che su nanofibre [107], con buoni risultati in termini di attività e stabilità dei biocatalizzatori. In particolare, lipasi di diversa origine sono state adsorbite su nanoparticelle polimeriche di sintesi, con una ritenzione di attività enzimatica rispetto alle lipasi libere compresa tra il 60 e il 74% [103]. Inoltre, sono stati osservati significativi aumenti dell’enantioselettività e della stabilità termica e al pH degli enzimi impiegati in seguito all’immobilizzazione. Nanotubi peptidici sono stati impiegati per l’incorporazione di lipasi da Candida rugosa, tramite formazione di legami idrogeno tra i gruppi ammidici dei nanotubi e gruppi complementari presenti sulla superficie della proteina [107]. La lipasi si è immobilizzata esclusivamente nella cavità interna dei nanotubi, sufficientemente larga da permettere l’ingresso, oltre che degli enzimi, dei substrati. Anche in questo caso è stata osservata un’elevata stabilità termica dei bioconiugati. La spiegazione generalmente suggerita dell’aumento della stabilità e/o dell’attività di enzimi lipolitici immobilizzati è la stabilizzazione della conformazione attiva, “aperta”, dovuta al parziale unfolding della proteina generato dall’interazione col supporto. 3.3 Principali metodologie chimico-fisiche per lo studio delle interazioni proteina-nanomateriali L’adsorbimento di proteine su superfici solide può indurre modificazioni strutturali che possono interessare l’intera macromolecola [108, 109]. Questo fenomeno è stato osservato frequentemente e le variazioni della struttura e, conseguentemente, della funzione di una proteina possono avere preziose conseguenze per applicazioni in diversi settori, ad esempio in medicina, biotecnologia e settore alimentare [110, 111]. Pertanto, la comprensione del comportamento conformazionale di proteine all’interfaccia solido-liquido è importante per diversi motivi. Ad esempio, una mappatura dettagliata delle modificazioni conformazionali di una proteina è necessaria per comprenderne il meccanismo di adsorbimento e identificare le condizioni ottimali di immobilizzazione che ne preservino la funzionalità. Nonostante negli ultimi anni il comportamento di proteine su superfici solide sia stato studiato ottenendo risultati importanti [112, 113], numerose questioni riguardanti il processo di adsorbimento e le modificazioni conformazionali che esso induce non sono ancora state chiarite. Per esempio, in alcuni casi possono essere le proprietà chimico- fisiche della superficie solida a indurre delle variazioni conformazionali della struttura proteica, mentre in altri casi possono essere le proprietà intrinseche della proteina ad alterarne la struttura, essenzialmente indipendentemente dalla natura del supporto. L’adsorbimento di proteine su superfici solide e le variazioni conformazionali coinvolte in tale processo sono state studiate e monitorate utilizzando diverse tecniche chimico-fisiche: il dicroismo circolare [114], la spettroscopia infrarossa (IR) [115], la microscopia a forza atomica (AFM) [116], la spettrometria di massa (MS) [117]e la risonanza magnetica nucleare (NMR) [118]. Ad esempio, Karlsson et al. [119] hanno utilizzato il dicroismo circolare e la spettroscopia a fluorescenza nello studio dell’adsorbimento di più varianti di anidrasi carbonica umana II (HCAII) su nanoparticelle di silice per valutare il rapporto tra stabilità della proteina e estensione delle modificazioni strutturali indotte dall’adsorbimento. I risultati di questo lavoro dimostrano che l’HCAII inizialmente si lega rapidamente alla superficie delle particelle e successivamente è interessata da una serie di variazioni conformazionali a catena, a partire dal sito attivo della proteina enzimatica. Inoltre, è stato osservato come la cinetica delle variazioni strutturali dipenda dalla stabilità delle varianti di HCAII, mentre la conformazione dello stato finale non è influenzata dalla stabilità della proteina. Vertegel et al. [120] hanno studiato l’effetto della curvatura della superficie sulla struttura e l’attività enzimatica del lisozima, utilizzando nanoparticelle di silice di diverse dimensioni (4 nm, 20 nm, 100 nm). La struttura e l’attività del lisozima sono fortemente dipendenti dal diametro del supporto. La struttura secondaria della proteina viene perturbata di meno dal supporto di dimensioni minori (4 nm), la cui superficie ha una curvatura maggiore. Anche la ritenzione dell’attività è favorita da un supporto piccolo. L’influenza della curvatura della superficie non è del tutto inaspettata. In natura sono presenti numerosi esempi di superfici di dimensioni nanometriche che sono fortemente curvate, come i componenti molecolari degli orfanelli cellulari e delle membrane. Tali superfici curve possono contribuire alla stabilizzazione di proteine, acidi nucleici e altre macromolecole biologiche con strutture secondarie e terziarie essenziali alla loro attività. In quest’ottica, l’elevata curvatura dei nanotubi di carbonio, nonché le loro peculiari caratteristiche chimico-fisiche (meccaniche, elettriche,ecc.), li rende materiali molto promettenti per l’adsorbimento di proteine. Karajanagi et al. [121] hanno studiato la struttura e l’attività di due enzimi, l’α-chimotripsina e la soybean per ossidasi, adsorbite su nanotubi di carbonio a parete singola. In seguito all’adsorbimento, la perossidasi ha conservato una discreta percentuale della sua attività enzimatica (circa il 30%), mentre la chimotripsina ha subito una forte inattivazione. E’ stata quindi analizzata la struttura secondaria delle due proteine tramite spettroscopia infrarossa: entrambi gli enzimi hanno subito delle variazioni conformazionali, ma la chimotripsina lo ha fatto in maniera più consistente, con una diminuzione significativa del contenuto di α-eliche e un concomitante aumento di β-sheet. Misure di AFM hanno inoltre evidenziato la sostanziale ritenzione della struttura tridimensionale da parte della perossidasi e la sua perdita da parte della chimotripsina. Non sono chiari i motivi per cui i due enzimi hanno un comportamento così differente e questo studio è una chiara prova della complessità delle interazioni tra proteine e nanomateriali. 3.4 Impiego della spettroscopia FTIR nello studio delle interazioni lipasi-nanomateriali La spettroscopia FTIR è una delle tecniche che possono essere impiegate nello studio delle interazioni tra una proteina e un supporto solido, e in particolare nello studio delle modificazioni conformazionali a carico della struttura secondaria della proteina in seguito all’immobilizzazione. Come ampiamente riportato in letteratura [122, 123], l’analisi della banda ammide I di assorbimento di una proteina (1700-1600 cm-1) può fornire informazioni quantitative sulla sua struttura secondaria. Questa banda ha origine dalla vibrazione di stretching del legame C=O del gruppo peptidico, la cui frequenza dipende dalla presenza di legami idrogeno e dal coupling lungo la catena proteica, per cui risulta particolarmente sensibile alla conformazione proteica. La banda ammide I è composta da varie sottobande, ciascuna delle quali è attribuibile ad una particolare struttura secondaria. Mediante opportuni metodi matematici la banda amide I può essere scomposta nelle varie sottobande ottenendo così l’informazione qualitativa della composizione della struttura secondaria, mentre la quantificazione della stessa può essere ottenuta mediante il metodo del “curve-fitting” [124, 125]. Tramite spettroscopia FTIR sono state studiate la composizione della struttura secondaria, la stabilità conformazionale e la glicosilazione dell’isoforma LIP1 ricombinante della lipasi da Candida rugosa in soluzione [126]. E’ stato inoltre studiato l’adsorbimento della lipasi da Humicola lanuginosa su un supporto idrofobico, evidenziando l’assenza di cambiamenti significativi nella struttura secondaria della proteina, ma unicamente di variazioni della sua struttura terziaria, suggerendo un passaggio conformazionale verso la forma “aperta” all’interfaccia solidoliquido [123]; tuttavia, non sono disponibili informazioni sulla variazione dell’attività enzimatica in seguito all’immobilizzazione. 4. DESCRIZIONE E SCOPO DEL LAVORO Negli ultimi anni, stiamo assistendo ad un crescente interesse del mondo della ricerca verso le nanoscienze e le loro applicazioni tecnologiche. La possibilità di ottenere di materiali di dimensioni e forma controllabili su scala nanometrica ha aperto nuove prospettive in molti campi della tecnica, ma nonostante ciò è ancora piuttosto limitato il passaggio delle nanotecnologie dai laboratori scientifici alla produzione industriale, in particolare per i costi elevati, dovuti anche alle difficoltà legate al passaggio di scala di processi che prevedono il controllo della materia su scala submicrometrica. Per questo motivo è evidente l’esigenza di mettere a punto nuovi metodi per la produzione industriale di materiali di qualità elevata. In tal senso è cresciuto notevolmente l’interesse per i materiali polimerici, adatti ad essere impiegati in numerose applicazioni. In particolare, nanopolimeri di origine naturale, biocompatibili e biodegradabili, sono studiati per poterne sfruttare le interazioni con varie classi di biomolecole (proteine, acidi nucleici, ecc.), per applicazioni in numerosi settori biotecnologici (alimentare, biomedico, ecc.). Nel campo della biocatalisi, un crescente numero di studi presenti in letteratura ha evidenziato come supporti di dimensioni nanometriche di vario tipo (nanoparticelle, nanotubi, nanorods) siano in grado di influenzare le proprietà catalitiche di proteine enzimatiche, in particolare aumentandone stabilità, attività e selettività. I supporti nanostrutturati hanno un’elevata area superficiale, che favorisce una maggiore entità delle interazioni con le proteine e un elevato carico enzimatico. Inoltre, le dimensioni ridotte di tali materiali permettono di superare i limiti dovuti alla diffusione di reagenti e prodotti in una reazione biocatalizzata, aumentandone l’efficienza. Tuttavia, è ancora carente una approfondita caratterizzazione chimico-fisica di tali bioconiugati, che correli la variazione delle proprietà catalitiche dell’enzima ad una variazione nella sua struttura e alla tipologia e/o morfologia del supporto. All’interno del nostro gruppo di ricerca, presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Roma La Sapienza, sono state maturate esperienze in questo settore, in quanto sono stati studiati bioconiugati tra enzimi lipolitici e nanoparticelle di sintesi, ottenendo risultati che si sono integrati con i risultati presenti in letteratura. Il presente lavoro si è focalizzato sull’obiettivo di correlare le proprietà catalitiche di enzimi di elevato interesse applicativo immobilizzati su carrier polimerici nanostrutturati alle variazioni conformazionali subite dalla proteina enzimatica in seguito all’interazione con tale tipo di supporti. Ciò è di particolare importanza nel caso degli enzimi lipolitici, in quanto è da tempo noto che la loro attività è strettamente legata alla struttura. In particolare, la proteina utilizzata in questo studio è la lipasi da Candida rugosa (CRL), una proteina globulare di grande interesse applicativo, e di cui sono noti la struttura tridimensionale dai dati di cristallografia ai raggi X e il meccanismo di attivazione interfacciale. Per quanto riguarda il supporto da utilizzare per l’immobilizzazione, è stato scelto l’acido poliD,L-lattico (PDLLA), un polimero biocompatibile e biodegradabile, ampiamente utilizzato in numerose applicazioni biologiche, di drug delivery e tissue engineering, ma che finora non è mai stato impiegato per l’immobilizzazione di enzimi lipolitici. Il metodo utilizzato per ottenere il supporto nanostrutturato è stato recentemente sviluppato e brevettato all’interno del nostro gruppo di ricerca (PCT n° RM2004A000555). E’ una metodologia innovativa che si basa su un processo osmotico e non prevede l’uso di emulsionanti, che ha permesso di preparare dei materiali nanostrutturati a base biopolimerica, idonei per essere utilizzati come supporti per l’immobilizzazione di enzimi lipolitici. La morfologia e le dimensioni dei supporti sono state caratterizzate mediante misure di microscopia elettronica a scansione e di light scattering dinamico. I materiali nanostrutturati così preparati sono stati impiegati la preparazione di bioconiugati, tramite adsorbimento fisico di enzimi lipolitici sulla loro superficie. Il fenomeno dell’adsorbimento è stato studiato sia da un punto di vista cinetico che termodinamico, sia per la sua ottimizzazione che per ottenere informazioni di tipo qualitativo sulle interazioni tra proteina e supporto biopolimerico. Per valutare la distribuzione della proteina sulla superficie dei nanomateriali sono state eseguite misure di microscopia elettronica a trasmissione dei bioconiugati. Come detto precedentemente, l’interazione di una proteina enzimatica con un materiale nanostrutturato può modificarne l’attività catalitica. Pertanto, è stata studiata l’attività dei bioconiugati, in reazioni modello sia in ambiente acquoso che in ambiente organico, ed è stata confrontata con quella dell’enzima libero. Inoltre è stato valutato se l’immobilizzazione abbia un qualche effetto sulla stabilità della proteina ad agenti denaturanti chimici e fisici, quali il pH, la temperatura, il mezzo di reazione. Per poter correlare i dati relativi all’attività enzimatica dei bioconiugati ad una variazione conformazionale della proteina adsorbita, per effetto dell’immobilizzazione, è stato eseguito uno studio tramite spettroscopia FTIR della struttura secondaria della proteina libera e immobilizzata. 5. MATERIALI E METODI 5.1 Materiali • Na2HPO4, Carlo Erba Analyticals • KH2PO4, Carlo Erba Analyticals • Lipasi da Candida rugosa L1754, Sigma Chemical co. • Lipasi da Candida rugosa L8525, Sigma Chemical co. • Gliceril Tributirrato 99%, Sigma Chemical co. • Fenolftaleina, Carlo Erba Analyticals • Idrossido di sodio, Carlo Erba Analyticals • Bradford Reagent, Sigma Chemical co. • Albumina Serica Bovina, Sigma Chemical co. • Acido poli (D,L) lattico, Sigma Chemical co. • Acido poli (D,L) lattico, Shenzhen Brightchina • Acido Acetico Glaciale RPE, Carlo Erba Analyticals • Filtri in nitrocellulosa, diametro dei pori = 0.025 µm, Millipore • Membrane da dialisi in cellulosa, Sigma-Aldrich • Vinilacetato 99%, Merck • Cloroformio RPE, Carlo Erba Analyticals • n-esano RS, Carlo Erba Reagenti • t-butil-metiletere >98%, Fluka AG • Acetonitrile RS, Carlo Erba Reagenti • Toluene RPE, Aldrich • Dimetilformammide RPE, Aldrich • (±) 6-metil-5-epten-2-olo 99%, Aldrich • 2H2O, Aldrich 5.2 Strumentazione • Bilancia analitica Orma, modello BC (sensibilità 0,1 mg) • Bagno termostatico Inter Continental Equipment (±0,02°C) con agitatore magnetico Velp Scientifica Multistirrer 15 • Titolatore automatico Metrohm 775 Dosimat • Centrifuga ALC 4235 A • Ultracentrifuga refrigerata ALC PK 121 R • Agitatore magnetico Velp Scientifica Microstirrer • pH-metro Crison Basic 20 • Spettrofotometro UV/Vis Pharmacia Biotech Ultrospec 4000 • Agitatore a vibrazione Velp Scientifica ZX3 • Bagno a ultrasuoni Sonica modello 2200 MH • Pompa a membrana • Liofilizzatore • Apparecchiatura GC: Carlo Erba SFC 300 Pump, colonna chirale Mega, colonna achirale Mega, termostato Haake D8 (sensibilità 0,1°C) • Generatore di idrogeno HG 200 • Spettrofotometro IR • TEM • Microscopio elettronico a scansione SEM-LEO1450VP • NMR 5.3 Preparazione di nanoparticelle polimeriche Nanoparticelle di PDLLA sono state preparate impiegando una metodologia brevettata (PCT n° RM2004A000555). 5 ml di una soluzione di PDLLA in DMF 5 mg/ml sono stati posti in una membrana da dialisi, immersa a sua volta in 100 ml di H2O (rapporto volumetrico solvente/non solvente 1:20). Il sistema è stato posto in incubazione alla temperatura di 4°C per 5 giorni. Trascorso il tempo di incubazione, il contenuto della membrana da dialisi, contenente il polimero precipitato, è stato filtrato su filtri di nitrocellulosa (Ø pori = 0.025 µm). La frazione solida è stata lavata 2 volte con 2 ml di H2O e liofilizzata. 5.4 Immobilizzazione di lipasi da Candida rugosa su supporti biopolimerici 5.4.1 Immobilizzazione di lipasi da Candida rugosa su supporti biopolimerici commerciali A 2 ml di soluzione enzimatica di concentrazione 50 mg/ml in tampone fosfato 0,1 M a pH 7,6 sono stati aggiunti 100 mg di acido poli-(D,L)lattico commerciale (beads o polvere). La miscela è stata mantenuta sotto agitazione magnetica (600 rpm) a temperatura ambiente per 4.5 ore. Trascorso il tempo di contatto, la sospensione è stata filtrata e la frazione solida lavata 2 volte con 3 ml di tampone fosfato. Le acque madri e di lavaggio sono state raccolte e il loro contenuto proteico analizzato mediante il saggio di Bradford descritto nel paragrafo 5.5. La frazione solida è stata congelata e liofilizzata. 5.4.2 Immobilizzazione di lipasi da Candida rugosa su supporti biopolimerici a morfologia nanostrutturata A 2.5 ml di soluzione enzimatica di concentrazione 50 mg/ml in tampone fosfato 0,1 M a pH 7,6 sono stati aggiunti 100 mg di nanoparticelle di acido poli-(D,L)-lattico preparato secondo la metodologia descritta nel paragrafo 5.3. La sospensione è stata immersa in un bagno a ultrasuoni per 15 minuti, al fine di contrastare la spontanea aggregazione delle nanoparticelle polimeriche e rendere la sospensione più omogenea. Successivamente, la sospensione è stata incubata a temperatura ambiente per 4.5 ore, sotto agitazione magnetica (600 rpm). Trascorso il tempo di contatto, la sospensione è stata filtrata e la frazione solida lavata 2 volte con 3 ml di tampone fosfato. Le acque madri e di lavaggio sono state raccolte e il loro contenuto proteico analizzato mediante il saggio di Bradford descritto nel paragrafo 5.5. La frazione solida è stata congelata e liofilizzata. 5.5 Determinazione del contenuto proteico in soluzione La determinazione della concentrazione proteica in soluzione è stata effettuata utilizzando il saggio di Bradford. La procedura si basa sulla formazione di un complesso tra il colorante, Brilliant Blue G, e le proteine presenti nella soluzione. La formazione del complesso coloranteproteina provoca uno spostamento del massimo di adsorbimento del colorante, da 465 a 595 nm. L’intensità dell’assorbimento è proporzionale alla quantità di proteine presenti. Come standard proteico è stata usata l’albumina serica bovina (BSA). E’ stato seguito il Protocollo Micro 2 ml [127], che permette di determinare la concentrazione proteica di soluzioni di concentrazioni comprese tra 1 e 10 µg/ml. Sono state eseguite 3 diluizioni della soluzione proteica standard, in modo da ottenere 3 soluzioni di concentrazioni comprese tra 1 e 10 µg/ml. Ad 1 ml di ciascuna di queste soluzioni e di quelle incognite, è stato aggiunto 1 ml di reagente di Bradford. Il bianco è stato preparato con 1 ml di acqua distillata. Dopo agitazione, le soluzioni sono state trasferite nelle apposite cuvette e ed è stata registrata, con uno spettrofotometro UV/vis, l’assorbanza degli standard e dei campioni incogniti contro il bianco, alla lunghezza d’onda di 595 nm. Le misure vanno effettuate entro 60 minuti dall’aggiunta del reagente. Riportando in grafico i valori di assorbanza degli standard in funzione dei corrispondenti valori di concentrazione proteica, è stata ottenuta la curva di calibrazione. La concentrazione proteica dei campioni incogniti è stata determinata mediante interpolazione della curva di calibrazione. 5.6 Determinazione del carico enzimatico dei bioconiugati Dopo l’immobilizzazione della proteina enzimatica sul supporto polimerico, le acque madri e le acque di lavaggio, recuperate tramite filtrazione, sono state saggiate per valutarne il contenuto proteico, utilizzando il saggio di Bradford descritto nel paragrafo 5.5. Misurando il volume delle acque madri e di lavaggio si è potuta ricavare la quantità di enzima recuperato e quindi, per differenza, la quantità di enzima immobilizzato sul supporto solido. Il carico enzimatico è stato espresso come mg di proteina enzimatica immobilizzati su 100 mg di supporto polimerico. 5.7 Saggio standard di attività lipolitica 5.7.1 Determinazione dell’attività lipolitica in soluzione Per determinare l’attività lipolitica di una lipasi in soluzione è stato utilizzato il saggio standard di idrolisi della tributirrina. A 2,5 ml di tampone fosfato 0,1 M a pH 7,6 sono stati aggiunti 100 µl della soluzione enzimatica di cui si intendeva saggiare l’attività e 0,5 ml di tributirrina come substrato. La scelta della tributirrina è stata dettata dal fatto che può essere dispersa in acqua per semplice agitazione, senza dover ricorrere all’uso di emulsionanti. Inoltre, è uno dei trigliceridi idrolizzati più velocemente dalla lipasi da Candida rugosa. La miscela è stata agitata manualmente per 20 secondi al fine di creare un’emulsione, dopodiché è stata posta in incubazione in un bagno termostatico alla temperatura di 37°C e sotto agitazione magnetica (600 rpm), per 30 minuti. Le reazioni sono state condotte in doppio. Alla fine del tempo di incubazione, la reazione è stata bloccata tramite l’aggiunta di 3 ml di una soluzione 1:1 di acetone/etanolo. Gli acidi grassi liberati dalla reazione di idrolisi sono stati quindi titolati con NaOH 0,1 M, al viraggio della fenolftaleina. Per correggere eventuali errori dovuti a titolazioni di componenti acide presenti nella miscela di reazione, è stato titolato un campione in cui non era presente l’enzima. Dalla differenza tra i due valori di ml di NaOH utilizzati per la titolazione, è stato possibile ricavare gli equivalenti di acido butirrico liberati ad opera dell’enzima in soluzione, utilizzando la seguente espressione: U.I.= [(A-B)×0,1]×1000/30 A= ml di NaOH usati per titolare il campione B= ml di NaOH usati per titolare il bianco U.I.= unità internazionali = microequivalenti di acido liberati al minuto 5.7.2 Determinazione dell’attività lipolitica dei bioconiugati Per determinare l’attività lipolitica dei bioconiugati preparati tramite immobilizzazione degli enzimi lipolitici su supporti polimerici, si è operato nel seguente modo. E’ stata pesata una quantità di bioconiugato su cui fossero immobilizzati 5 mg di preparato enzimatico. Vi sono stati aggiungono 2,5 ml di tampone fosfato 0,1 M a pH 7,6 e 0,5 ml di tributirrina come substrato. La miscela è stata agitata manualmente per 20 secondi al fine di creare un’emulsione, dopodiché è stata posta in incubazione in un bagno termostatico alla temperatura di 37°C, sotto agitazione magnetica (600 rpm), per 30 minuti. Le reazioni sono state condotte in doppio. Alla fine del tempo di incubazione, la reazione è stata bloccata tramite l’aggiunta di 3 ml di una miscela 1:1 di acetone/etanolo. Gli acidi grassi liberati dalla reazione di idrolisi sono stati quindi titolati con NaOH 0,1 M, al viraggio della fenolftaleina. Per correggere eventuali errori dovuti a titolazioni di componenti acide presenti nella miscela di reazione, è stato titolato anche un campione in cui non era presente il bioconiugato. Dalla differenza tra i due valori di ml di NaOH utilizzati per la titolazione, è statopossibile ricavare gli equivalenti di acido butirrico liberati ad opera del bioconiugato, utilizzando la seguente espressione: U.I.= [(A-B)×0,1]×1000/30 A= ml di NaOH usati per titolare il campione B= ml di NaOH usati per titolare il bianco U.I.= unità internazionali = microequivalenti di acido liberati al minuto 5.8 Costruzione della curva di taratura della lipasi da Candida rugosa Per costruire la curva di taratura della lipasi da Candida rugosa è stata preparata una soluzione enzimatica alla concentrazione di 50 mg/ml, in tampone fosfato 0,1 M a pH 7,6. Da questa soluzione madre, tramite successive diluizioni, sono state preparate altre 9 soluzioni a diverse concentrazioni. L’attività lipolitica di ciascuna soluzione è stata saggiata secondo il metodo descritto nel paragrafo 5.7.1. I risultati ottenuti sono riportati nel grafico, in cui si osserva l’andamento dell’attività lipolitica in funzione della concentrazione della soluzione enzimatica. Si osserva, per tutti gli enzimi utilizzati, un aumento dell’attività proporzionale alla concentrazione enzimatica solo per soluzioni molto diluite. Aumentando ulteriormente la concentrazione enzimatica, l’attività lipolitica misurata raggiunge gradatamente un valore costante. 5.9 Prove di stabilità in solvente organico delle lipasi libere e adsorbite su supporto polimerico Le prove di stabilità enzimatica in solvente organico sono state effettuate per valutare l’eventuale effetto denaturante dei diversi solventi sulla CRL. Aliquote del preparato enzimatico e dell’enzima adsorbito su supporto polimerico sono state incubate in 1 ml di solvente organico a 40°C, sotto agitazione magnetica (600 rpm), per tempi prefissati. Dopo l’incubazione, il solvente organico è stato allontanato per evaporazione sotto vuoto, l’enzima recuperato è stato solubilizzato in una soluzione di tampone fosfato e ne è stata misurata l’attività tramite il saggio standard di idrolisi della tributirrina (paragrafo 5.7.2). Sono stati quindi calcolati i rapporti percentuali rispetto all’attività iniziale, per mg di biocatalizzatore, per ciascun solvente impiegato. 5.10 Reazione di transesterificazione tra sulcatolo e vinilacetato in solvente organico Per determinare l’attività esterasica delle lipasi libere e adsorbite sui vari supporti nella reazione di transesterificazione tra vinilacetato e sulcatolo, si è operato nel seguente modo: ad una quantità di enzima la cui attività lipolitica nel saggio standard di idrolisi della tributirrina sia di circa 3 U.I., sono stati aggiunti 1 ml di solvente e, come substrati, 31 µl di sulcatolo (concentrazione 0,25 M) e 116 µl di vinilacetato (concentrazione 1,25 M). Le reazioni sono state condotte in doppio, in bagno termostatico alla temperatura di 40°C, sotto agitazione magnetica di 600 rpm per 6 ore. Al termine del tempo di incubazione, le miscele sono state centrifugate. Il sovranatante è stato diluito in rapporto 1:1 con diclorometano ed analizzato secondo la procedura descritta nel paragrafo 5.11. 5.11 Metodo analitico GC per la determinazione dei prodotti della reazione di transesterificazione in solvente organico L’analisi quantitativa della miscela di reazione per la determinazione della conversione e dell’enantioselettività della reazione di transesterificazione è stata effettuata per via gascromatografica. La risoluzione degli enantiomeri del sulcatolo e del relativo acetato è stata ottenuta tramite l’uso di una colonna capillare chirale. Per aumentare la chemioselettività della colonna chirale e permettere una maggiore separazione dei picchi relativi all’estere da quelli relativi all’alcol, è stata montata in serie una colonna capillare achirale. La colonna achirale, inoltre, diminuisce la probabilità di deterioramento della fase chirale, più sensibile e costosa, dovuto ad eventuali impurezze presenti nel campione. Le caratteristiche delle colonne impiegate sono le seguenti: Colonna achirale Colonna capillare in silice fusa OV1 rivestita con metilsilicone cross-linked 25 m × 0.25 mm ID Colonna chirale Colonna capillare in silice fusa rivestita con Megadex 5 ( 2,3-O-dimetil-6pentil-(β-ciclodestrina 30% OV 1701)) 25 m x 0.25 mm ID Le condizioni impiegate sono le seguenti: pN2 = 100 kPa pH2 = 50 kPa paria = 100 kPa Toven = 80°C per 5’; poi aumento di 20°C/min fino a 180°C. TFID = 250°C I tempi di ritenzione dei diversi composti sono riportati di seguito: tR R-sulcatolo = 8.25 m tR S-sulcatolo = 8.31 m tR R-estere = 8.80 m tR S-estere = 9.00 m 5.12 Elaborazione dei dati sperimentali per le reazioni condotte in solvente organico I valori della conversione percentuale, per le reazioni condotte in solvente organico, sono stati calcolati tramite la seguente equazione: conversione % = [(E1 + E2 )/ (A + E)] x100 L’eccesso enantiomerico dei prodotti è stato calcolato mediante la seguente equazione: eep% = (E1 – E2 / E1 + E2 ) x100 dove: E1: area relativa all’enantiomero 1 dell’estere E2: area relativa all’enantiomero 2 dell’estere A: area relativa alla somma dei due enantiomeri dell’alcol E: area relativa alla somma dei due enantiomeri dell’estere. 5.13 Misure di microscopia elettronica a scansione Campioni di acido poli-(D,L)-lattico nanostrutturato, deposti su vetro e ricoperti con uno strato di oro colloidale dello spessore di 10 nm, sono stati analizzati tramite microscopia elettronica a scansione, esaminando sia gli elettroni secondari che quelli backscattered utilizzando un microscopio LEO 1450 VP. E’ stato utilizazto un voltaggio di accelerazione di 20 keV. 5.14 Misure di light scattering dinamico Le dimensioni medie e la distribuzione dei diametri delle nanoparticelle di PDLLA sono state studiate tramite misure di light scattering dinamico (DLS). Le misure sono state eseguite su una piccola quantità (circa 1 ml) di sospensione polimerica prelevata dalle membrane da dialisi al termine del processo di formazione delle nano particelle polimeriche descritto nel paragrafo 5.3. E’ stata utilizzata una sonda a fibre ottiche collegata ad un correlatore logaritmico Brookhaven 9000 AT. In questa sonda, il campione è illuminato da un raggio laser gaussiano tramite una fibra ottica monomodale; una seconda fibra, posizionata ad un’angolazione fissa di 137.5◦, raccoglie la luce scatterata. 5.15 Misure di microscopia elettronica a trasmissione Campioni di CRL commerciale e adsorbita su matrici di acido poli-(D,L)lattico nanostrutturato sono stati depositati su strati sottili di carbone amorfo (circa 20 nm) supportati su una griglia di rame (400 mesh) per microscopia elettronica a trasmissione e fatti asciugare all’aria. I campioni sono stati preincubati per 5 minuti con albumina serica bovina all’1% in tampone fosfato (0.1 M, pH 7) e successivamente incubati per 30 minuti con l’anticorpo monoclonale da ratto anti-CRL (Mo AB BF11) ad una concentrazione di 40 µg/ml e a temperatura ambiente. Dopo aver lavato le griglie con tampone fosfato contenente albumina serica bovina all’1%, i campioni sono stati marcati con il coniugato tra IgG da ratto e nanoparticelle di oro di 5 nm, diluito in rapporto 1:10 (tempo di incubazione: 30 minuti, temperatura ambiente). Trascorso il tempo di incubazione, i campioni sono stati lavati con tampone fosfato e con H2O e fatti asciugare all’aria, dopodiché sono stati analizzati con un microscopio a trasmissione elettronica Zeiss 902 a 80 kV, provvisto di un filtro per elettroni energy loss. Per aumentare il contrasto, si è operato nella modalità ESI (electron spectroscopy imaging) filtrando a ∆E= 0 eV. L’acquisizione delle immagini è stata realizzata impiegando una fotocamera digitale CCD, modello HSC2, 1k x 1k pixel (PROSCAn Gmbh, Germania), refrigerata tramite un termostato Peltier, modello WKL 230 (LAUDA Gmbh, Germania). L’analisi e la quantificazione delle immagini è stata effettuata con un analizzatore analySIS 3.0 (SIS Gmbh, Germania). Questo software permette di aumentare il contrasto e la risoluzione delle immagini acquisite e di effettuare analisi quantitative sulla morfologia. 5.16 Misure FTIR Gli spettri d’assorbimento FTIR nel medio infrarosso (4000-400 cm-1) dei preparati enzimatici liberi e immobilizzati sono stati registrati in trasmissione utilizzando un interferometro Bruker Optics, IFS 66 v/s con sorgente MIR, con le seguenti caratteristiche: Beam splitter: KBr Risoluzione: 4 cm-1 Numero di scansioni del campione: 200 Numero di scansioni del background: 100 Detector: MCT Velocità di scansione: 8 kHz Le misure allo stato solido sono state effettuate utilizzando la tecnica di riflettanza diffusa (DRIFT), riempiendo il portacampioni con una quantità di circa 6 mg di polvere fine. Per le misure in soluzione di D2O (30 µl) è stata usata una concetrazione dei campioni pari a 10 mg/ml. I campioni sono stati posti in una cella a temperatura controllata con finestre di CaF2 e spaziatori Mylar del diametro di 12 µm. 5.17 Analisi dei dati FTIR Tutti gli spettri FTIR sono stati registrati e analizzati utilizzando il software OPUS, Bruker optik Gmbh. Per le misure allo stato solido sono stati registrati gli spettri del riferimento (PDLLA) e dei campioni. Tramite la funzione di KubelkaMunk sono stati ricavati gli spettri di assorbimento. Per le misure in soluzione sono stati registrati gli spettri del solvente (D2O) e dei campioni. Gli spettri di assorbimento sono stati ricavati dalla sottrazione dello spettro del solvente da quello di ciascun campione. E’ stata effettuata la correzione della linea di base, seguita da uno smoothing degli spettri ottenuti, con un numero di punti di smoothing pari a 9. Dagli spettri ottenuti, sono stati quindi calcolati gli spettri in derivata seconda con il metodo Savitsky-Golay. E’ stata presa in esame la banda ammidica I, nella regione spettrale compresa tra 1700 e 1600 cm-1. A questo punto si è proceduto con il curve fitting, eseguito come combinazione lineare di componenti Gaussiane. Nel fitting, il numero dei componenti e i valori iniziali delle posizioni dei picchi sono stati ricavati dallo spettro in derivata seconda. Tali componenti sono stati sono stati approssimati da funzioni gaussiane la cui posizione, larghezza ed altezza sono state corrette iterativamente durante la procedura di fitting. Dal momento che la scelta dei valori iniziali è cruciale per quanto riguarda i risultati di una procedura di fitting con un numero di parametri elevato, i parametri Gaussiani iniziali (posizione, larghezza ed intensità dei picchi) sono stati determinati secondo la procedura riportata in letteratura da Arrondo et al. [124, 125]. L’area di ciascuna componente, espressa come percentuale dell’area totale della banda ammidica I, può essere assunta come una misura dell’elemento di struttura secondaria ad essa assegnato. 6. PREPARAZIONE CARATTERIZZAZIONE DI E MATERIALI BIOPOLIMERICI NANOSTRUTTURATI A BASE DI ACIDO POLI-(D,L)-LATTICO 6.1 Principio del metodo impiegato per la preparazione di acido poli-(D,L)-lattico nanostrutturato Per la preparazione di acido poli-(D,L)-lattico a morfologia nanostrutturata, da impiegare come supporto per l’immobilizzazione di enzimi lipolitici, è stata impiegata una metodologia innovativa, oggetto di recente brevetto dell’Università La Sapienza (PCT n° RM2004A000555). La metodologia è basata sull’impiego di una barriera fisica, costituita da una membrana semipermeabile, che rallenti il mescolamento tra una soluzione polimerica e un non solvente del polimero stesso. La soluzione polimerica viene posta all’interno della membrana. Sia il solvente che il non solvente possono attraversare la membrana ma, per effetto della pressione osmotica, l’entrata del non solvente all’interno della membrana è preponderante. Il graduale mescolamento tra solvente e non solvente all’interno della membrana rende la miscela via via meno in grado di solubilizzare il polimero, fino alla sua precipitazione. A questo punto il polimero può essere recuperato per centrifugazione. La morfologia del precipitato ottenuto può dipendere da una serie di parametri, sia di tipo cinetico che termodinamico. Da un punto di vista termodinamico, il fattore più importante è l’energia libera interfacciale. In condizioni tali da minimizzare l’influenza di parametri di tipo cinetico, realizzando un processo di mescolamento sufficientemente lento, la minimizzazione dell’energia libera interfacciale provoca la formazione di particelle sferiche. I parametri cinetici che influenzano maggiormente la morfologia delle particelle sono la diffusione e il riarrangiamento di fase all’interno delle particelle stesse. La mobilità delle catene polimeriche è limitata durante la loro aggregazione, per cui la loro separazione di fase e il riarrangiamento conformazionale possono risultare più lenti della velocità di aggregazione. In condizioni in cui prevalgano fattori di tipo cinetico sui parametri termodinamici si possono ottenere cosiddette morfologie di non-equilibrio. Il controllo di alcuni parametri sperimentali, quali la temperatura del processo, la natura del solvente e del non-solvente, la differenza di elettronegatività tra i due, la concentrazione della soluzione polimerica e il diametro dei pori della membrana semipermeabile, permette di ottenere un controllo sia della morfologia che delle dimensioni di materiali polimerici di diversa origine e funzionalità. I vantaggi di questa metodologia, oltre al basso costo e all’applicabilità generale della procedura, sono molteplici. Infatti, non è previsto l’uso di emulsionanti né di stabilizzanti, l’intero processo è condotto in condizioni di lavoro blande, i prodotti recuperati sono privi di sottoprodotti o impurezze e i solventi impiegati possono essere recuperati per distillazione e riutilizzati. 6.2 Preparazione e caratterizzazione dei supporti biopolimerici nanostrutturati a base di acido poli-(D,L)lattico Campioni di acido poli-(D,L)-lattico commerciale sono stati sottoposti al metodo descritto nel paragrafo precedente utilizzando i parametri sperimentali riportati nel paragrafo 5.3. Al fine di verificare che il procedimento al quale l’acido poli-(D,L)lattico è stato sottoposto non abbia prodotto variazioni nella struttura chimica del polimero, sono stati registrati e confrontati gli spettri H1 NMR di campioni di polimero commerciali e sottoposti alla metodologia descritta. Come aspettato, la struttura chimica del polimero, e di conseguenza il suo spettro H1 NMR, non subisce alcuna modificazione. Figura 6.1- Spettro H1 NMR di nanosfere di PDLLA La caratterizzazione morfologica dei campioni nanostrutturati preparati è stata effettuata tramite analisi SEM sui campioni metallizzati, di cui è riportata un’immagine in cui si può osservare come le particelle abbiano una morfologia sferica. Figura 6.2- Immagine SEM di nanosfere di PDLLA Inoltre sono state effettuate misure di light scattering dinamico (DLS) in sospensione acquosa, che hanno permesso di misurare il diametro medio delle sferette, pari a 220 nm. S iz e Dis tr ib u tio n b y In ten s ity Intensity (%) 20 15 10 5 0 0 .1 1 10 1 00 S iz e ( d .nm) Re c o r d 4: p dlla 1 1 00 0 1 00 0 0 E’ stato misurato il potenziale zeta dei campioni di acido polilattico nanostrutturato, pari a -35 mV. 7. PREPARAZIONE LIPASI - DI BIOCONIUGATI NANOPARTICELLE POLIMERICHE 7.1 Descrizione dei preparati enzimatici utilizzati In questo lavoro sono stati impiegati preparati enzimatici di tipo commerciale a base di lipasi da Candida Rugosa. Per le analisi prettamente biochimiche, quali lo studio dell’attività catalitica e della stabilità delle proteine enzimatiche immobilizzate, è stato usato un preparato di bassa purezza (L1754), che contiene, oltre all’isoforma principale LIP1, altre isoforme, proteine non enzimatiche e stabilizzanti. Il contenuto proteico e l’attività specifica del preparato nella reazione di idrolisi della tributirrina (calcolati come descritto nei paragrafi 5.5 e 5.7.1) sono riportati nella tabella 1, mentre le note presenti sull’etichetta del prodotto sono riassunte nella tabella 2. Contenuto proteico % 22% Attività specifica (UI/mg proteina) 3.90 Tabella 7.1- Contenuto proteico percentuale e attività specifica del preparato L1754 di lipasi da Candida Rugosa. Lipasi da Candida Rugosa L1754, tipo VII ≥ 700 unità/mg solido* Contiene lattosio, sostanzialmente priva di α amilasi e proteasi. Tabella 7.2- Informazioni fornite dal produttore sul preparato L1754 di lipasi da Candida Rugosa (*1 unità idrolizza 1 µeq di acidi grassi in 1 ora a pH 7.2 e temperatura di 37°C). E’ stata costruita la curva di taratura del preparato enzimatico utilizzato, secondo il procedimento descritto nel paragrafo 5.8. Nel grafico 1 è riportata la curva di taratura ottenuta: si può osservare un aumento dell’attività proporzionale alla concentrazione enzimatica (tratto lineare) per i valori di concentrazione più bassi. Aumentando la concentrazione enzimatica, l’attività lipolitica misurata tende gradatamente a portarsi ad un valore costante (plateau). 250 200 UI 150 100 50 0 0 50 100 150 200 250 concentrazione (mg/ml) Figura 7.1- Curva di taratura della CRL libera nella reazione di idrolisi della tributirrina. Condizioni di reazione: 100 µl enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti Per quanto riguarda lo studio delle interazioni proteina-nanostruttura e delle variazioni conformazionali subite dalla proteina in seguito all’immobilizzazione, è evidente come sia stato necessario impiegare un preparato con un maggiore grado di purezza e omogeneità. Le caratteristiche del prodotto commerciale impiegato sono riportate nella tabella 3. Lipasi da Candida Rugosa L8525 ≥ 20.000 unità/mg proteina* α amilasi ≤ 0.01 unità/mg solido* Proteasi ≤ 0.01 unità/mg solido* Tabella 7.3- Informazioni fornite dal produttore sul preparato L8525 di lipasi da Candida Rugosa (*1 unità idrolizza 1 µeq di acidi grassi in 1 ora a pH 7.2 e temperatura di 37°C). 7.2 Preparazione di bioconiugati lipasi-nanoparticelle polimeriche per adsorbimento fisico Sono stati preparati dei bioconiugati tra la lipasi da Candida rugosa e supporti biopolimerici di acido poli-(D,L)-lattico, sia a morfologia amorfa che nanostrutturata. In particolare, sono state utilizzate beads commerciali (diametro di circa 1cm) e nanosfere (diametro medio di 220 nm) di acido poli-(D,L)-lattico. Partendo da dati di letteratura, sono stati messi a punto i protocolli di immobilizzazione descritti nei paragrafi 5.4.1 e 5.4.2, che prevedono il contatto, in condizioni di pH, temperatura e agitazione controllati, tra una soluzione acquosa del preparato enzimatico e una quantità prefissata di polimero. Le acque madri e le acque di lavaggio della procedura di immobilizzazione sono state recuperate e testate per misurarne la concentrazione proteica tramite il saggio di Bradford descritto nel paragrafo 5.5. Nei seguenti grafici e tabelle sono riportati i risultati ottenuti, relativamente al supporto polimerico sia nanostrutturato che sotto forma di beads. Tabella7.4- Concentrazione proteica nel recupero delle acque madri e di lavaggio relative alla procedura di immobilizzazione della CRL su beads e su nanosfere di PDLLA. CAMPIONI CRL su beads CRL su PDLLA di PDLLA nanostrutturato Acque madri 108,7±1,1 27,9±0,5 I lavaggio 43,5±0,8 8,1±0,6 II lavaggio 3,6±0,7 3,1±0,6 III lavaggio 2,0±0,9 2,6±0,7 Condizioni di reazione: 100 µl enzima 50 mg/ml, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 7.2- Concentrazione proteica nel recupero delle acque madri e di lavaggio relative alla procedura di immobilizzazione della CRL su beads e su nanosfere di PDLLA. contenuto proteico (mg/ml) 2 1,8 CRL su beads di PDLLA 1,6 1,4 CRL su PDLLA nanostrutturato 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 acque madri I lavaggio II lavaggio III lavaggio Condizioni di reazione: 100 µl enzima 50 mg/ml, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Il brusco calo del contenuto proteico delle acque di lavaggio è indice dell’irreversibilità dell’adsorbimento. Dai dati relativi alla concentrazione proteica della soluzione enzimatica utilizzata durante la procedura di immobilizzazione e delle acque madri e di lavaggio, è stata calcolata, per differenza, la percentuale di proteina immobilizzata e il carico enzimatico dei bioconiugati. I risultati sono riportati nelle seguenti tabelle. Tabella 7.5- Carico enzimatico dei bioconiugati CRL-PDLLA (mg proteina/100 mg polimero) CRL su beads di PDLLA CRL su PDLLA nanostrutturato 27±0,8 59±0,7 Rispetto alle beads polimeriche, le nanosfere di acido poli-(D,L)-lattico preparate adsorbono una quantità doppia di proteine enzimatiche, a parità di peso del polimero. Ciò è chiaramente dovuto all’elevata area superficiale delle nanosfere. 7.3 Cinetiche di adsorbimento Sono state studiate le cinetiche relative al processo di adsorbimento della CRL sui supporti polimerici nanostrutturati preparati effettuando la procedura di immobilizzazione con tempi di contatto pari a 30’, 1h, 2h, 3h, 4h, 6h e 12h. Le acque madri e di lavaggio sono state analizzate secondo la procedura descritta nel paragrafo 5.5. Per differenza, rispetto alla concentrazione della soluzione madre, sono stati calcolati i valori di carico enzimatico per ciascun tempo di contatto. I risultati sono riportati nel seguente grafico e tabella. Tabella 7.6- Dati relativi allo studio della cinetica d’adsorbimento della CRL su PDLLA nanostrutturato TEMPO (ORE) CARICO ENZIMATICO (mg ENZIMA/100 mg SUPPORTO) 0 0 0.5 15 1 24 2 42 4 54 6 59 12 57 Condizioni di reazione: 2 ml enzima 50 mg/ml, 100 mg polimero, tampone fosfato 0.1 M, pH 7.6, T=25°C, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 7.3 - Cinetica di adsorbimento della CRL su PDLLA carico enzimatico (mg proteina/100 mg supporto) nanostrutturato a 25°C. 70 60 50 40 30 20 10 0 0 2 4 6 8 10 12 14 tempo (ore) Condizioni di reazione: 2 ml enzima 50 mg/ml, 100 mg polimero, tampone fosfato 0.1 M, pH 7.6, T=25°C, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Come si può osservare dal grafico della cinetica d’adsorbimento, all’aumentare del tempo di contatto il carico enzimatico del bioconiugato aumenta, fino ad un tempo di contatto pari a 4.5 ore. Per tempi più lunghi ili carico enzimatico non aumenta ulteriormente, ma si mantiene al valore massimo di circa 59 mg proteina/100 mg polimero. Dall’analisi della curva cinetica è stato pertanto stabilito il tempo di contatto ottimale, pari a 4.5 ore, che è stato utilizzato in tutte le prove successive. 7.4 Isoterme d’adsorbimento Sono stati effettuati esperimenti di adsorbimento su nanosfere di PDLLA variando la concentrazione enzimatica della soluzione utilizzata durante la procedura di immobilizzazione descritta nel paragrafo 5.4.2, senza però variare la quantità totale di enzima e mantenendo la temperatura termostatata. Si è poi valutato il carico enzimatico del bioconiugato dopo 4.5 ore di contatto, a 25°C e a 50°C. Con i dati ricavati è stato possibile tracciare le isoterme di adsorbimento a diverse temperature. Riportiamo nelle tabelle e nei grafici a seguire i relativi dati. Tabella 7.7- Dati relativi allo studio delle isoterme di adsorbimento della CRL su PDLLA nanostrutturato a 25°C e a 50°C CONCENTRAZIONE CARICO ENZIMATICO ENZIMATICA (mg enzima/100 mg supporto) (mg/ml) T=25°C 0 0 0 0,5 24±1.7 35±1.3 1 39±0.9 48±1.5 2 55±1.2 68.4±0.7 4 69±1.5 68.3±1.2 6 72±1.8 69.8±1.6 T=50°C Condizioni di reazione: 100 mg polimero, tampone fosfato 0.1 M, pH 7.6, tempo di contatto 1.5 ore, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 7.4 - Isoterme di adsorbimento della CRL su PDLLA nanostrutturato a 25°C e a 50°C carico enzimatico (mg proteina/100 mg supporto) 80 70 60 50 T=25°C 40 T=50°C 30 20 10 0 0 2 4 6 8 E (mg/ml) Condizioni di reazione: 100 mg polimero, tampone fosfato 0.1 M, pH 7.6, tempo di contatto 1.5 ore, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Le curve sperimentali possono essere interpretate sulla base di formulazioni teoriche di letteratura [97]. Tutte le curve da noi studiate risultano appartenere alla classe L sottogruppo 2. presentano un andamento del tipo “di Langmuir”, che è indice di un adsorbimento altamente favorito e irreversibile, con probabile formazione di monolayer; la superficie del supporto può essere quindi considerata energeticamente omogenea e i siti di adsorbimento identici tra loro. Inoltre, in sistemi di questo tipo, l’interazione proteina-polimero risulta essere nettamente favorita rispetto all’interazione proteina-proteina. Va sottolineato come l’andamento delle curve possa essere influenzato da pH, temperatura e tempo di contatto, per cui le considerazioni fatte si riferiscono alle condizioni sperimentali utilizzate. 7.5 Studio delle cinetiche di desorbimento della lipasi dal supporto polimerico nanostrutturato Per poter valutare l’irreversibilità dell’adsorbimento, sono state effettuate prove in cui i bioconiugati precedentemente preparati sono stati sottoposti ad agitazione magnetica a 600 rpm per 2, 4, 6 e 8 ore in soluzione tampone a temperatura controllata. Trascorso il tempo prefissato, sono state prelevate aliquote della soluzione e saggiate per valutarne il contenuto proteico. E’ stata calcolata la percentuale di proteina desorbita rispetto alla quantità di lipasi immobilizzata sui campioni impiegati nelle prove di desorbimento. Riportiamo nelle tabelle e nei grafici a seguire i risultati ottenuti. Tabella 7.8- Quantità in percentuale di proteina rilasciata nel mezzo dal bioconiugato CRL - PDLLA nanostrutturato a 20°C TEMPO (ORE) % DI PROTEINA RILASCIATA 0 0 2 0.81±0.13 5 4.86±0.20 7 11.08±0.21 12 11.48±0.14 24 14.32±0.22 Condizioni di reazione: 100 µl enzima 50 mg/ml, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 7.5- Cinetica di desorbimento della CRL dalla matrice di % proteina immobilizzata PDLLAn a 20°C 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 0 5 10 15 20 25 30 tempo (ore) Condizioni di reazione: 100 µl enzima 50 mg/ml, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Lo studio delle cinetiche di desorbimento della CRL dalla matrice polimerica nanostrutturata è stato fondamentale per valutare l’irreversibilità dell’adsorbimento. La CRL immobilizzata su PDLLAn sostanzialmente non si desorbe dalla matrice dimostrando come l’adsorbimento sia particolarmente stabile perché tali bioconiugati possano essere impiegati in reazioni di interesse. 7.6 Misure di microscopia elettronica a trasmissione dei bioconiugati lipasi-nanoparticelle polimeriche Sfruttando l’interazione specifica della LIP1, l’isoforma prevalente nella formulazione grezza della CRL, con il suo anticorpo monoclonale e utilizzando un anticorpo secondario marcato con oro, secondo quanto descritto nel paragrafo 5.15, è stato possibile marcare in modo selettivo la lipasi per effettuare delle misure di microscopia elettronica a trasmissione dei bioconiugati lipasi-nanoparticella polimerica. Tali misure, pur non potendo essere usate per ottenere dati quantitativi, hanno fornito informazioni qualitative sulla distribuzione della proteina enzimatica sulla superficie delle nanoparticelle. riportata nella figura seguente. Un’immagine rappresentativa è Figura 7.6- Immagine EF-TEM del bioconiugato immunomarcato CRLPDLLA nanostrutturato. 8. ATTIVITA’ E STABILITA’ DEI BIOCONIUGATI IN AMBIENTE ACQUOSO 8.1 Misura dell’attività lipolitica dei bioconiugati nella reazione di idrolisi della tributirrina L’attività lipolitica dei bioconiugati CRL-PDLLA (sotto forma di beads commerciali e nanosfere) è stata misurata utilizzando il saggio standard di idrolisi della tributirrina, come descritto nel paragrafo 5.7.2 e confrontata con quella dell’enzima libero. I dati ottenuti sono riportati nella seguente tabella: Tabella 8.1-Attività lipolitica della CRL libera e immobilizzata (UI/mg proteina) CRL libera CRL su beads di CRL su nanosfere di PDLLA 3,90±0,2 3,85±0,3 PDLLA 9,45±0,3 Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm E’ interessante il fatto che la CRL immobilizzata su beads di PDLLA mantiene un’attività lipolitica pressoché pari a quella della lipasi libera. Particolarmente promettente è la forte attivazione della CRL in seguito all’immobilizzazione su nanosfere di PDLLA, un fenomeno che non viene osservato frequentemente e può essere utile ai fini applicativi. 8.2 Stabilità delle lipasi libere e immobilizzate alla temperatura nella reazione d’idrolisi della tributirrina Per poter valutare l’effetto dell’immobilizzazione della CRL su supporti biopolimerici con differente morfologia (beads e nanosfere), è stato studiato l’effetto di alcuni agenti denaturanti sull’attività della CRL libera e immobilizzata. Il primo dei parametri studiati è stato la temperatura. L’attività lipolitica dei vari biocatalizzatori nel saggio standard di idrolisi della tributirrina (paragrafo 5.7) è stata valutata in funzione della temperatura, in un intervallo compreso tra 25°C e 60°C. I risultati sperimentali sono riportati nelle tabelle e nei grafici che seguono. Tabella 8.2- Dati relativi all’attività della CRL libera e immobilizzata a diverse temperature TEMPERATURA ATTIVITA’ (UI/mg) (°C) CRL CRL su CRL su libera beads di nanosfere PDLLA di PDLLA 25 3,10±0,09 0,06±0,05 7,33±0,06 30 3,30±0,05 2,00±0,07 8,75±0,09 35 3,49±0,07 3,80±0,08 9,30±0,10 40 3,85±0,10 3,85±0,05 9,45±0,07 45 3,86±0,08 2,00±0,09 5,20±0,08 50 3,8±0,07 0,03±0,06 0,25±0,05 55 3,05±0,08 0,02±0,02 0,10±0,05 60 2,20±0,07 0,02±0,01 0,04±0,02 Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 8.1- Attività della CRL libera e immobilizzata a diverse attività lipolitica (UI/mg proteina) temperature 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 CRL libera CRL su beads di PDLLA CRL su PDLLA nanostrutturato 0 20 40 60 80 T(°C) Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm. La lipasi libera esibisce un valore massimo di attività lipolitica per valori di temperatura compresi tra 35 e 45°C circa. Al di fuori di questo intervallo, l’attività è minore e diminuisce spiccatamente al di sopra dei 50°C, probabilmente in seguito a denaturazione termica della proteina enzimatica. La CRL immobilizzata su beads di PDLLA ha un intervallo di stabilità piuttosto limitato, compreso tra 35 e 40°C circa. Al di fuori di questo intervallo, infatti, l’attività diminuisce drasticamente. La CRL immobilizzata su nanosfere di PDLLA mantiene un’attività lipolitica nettamente superiore a quella della lipasi libera nell’intervallo di temperature compreso tra 25 e 45°C, presentando un massimo di attività tra 35 e 40°C. Al di sopra di 45°C si ha un brusco calo dell’attività enzimatica, analogamente al comportamento della CRL immobilizzata su beads. Tale valore di temperatura corrisponde alla temperatura di transizione vetrosa dell’acido polilattico, per cui la forte in attivazione di entrambi i bioconiugati può essere in buona parte dovuta al comportamento del supporto. 8.3 Stabilità delle lipasi libere e immobilizzate al pH nella reazione d’idrolisi della tributirrina Al fine di valutare l’influenza del pH sull’attività lipolitica della CRL libera e immobilizzata su beads e nanosfere di PDLLA, sono state condotte delle reazioni di idrolisi della tributirrina, come descritto nei paragrafi 5.7.1 e 5.7.2, in tampone fosfato 0,1 M, a valori di pH compresi tra 5,5 e 7,9. Riportiamo nelle tabelle e nei grafici seguenti i risultati sperimentali. Tabella 8.3- Dati relativi all’attività della CRL libera e immobilizzata a diversi valori di pH ATTIVITA’ (UI/mg) pH CRL CRL su CRL su libera beads di nanosfere PDLLA di PDLLA 5,5 2,89±0,08 0,31±0,05 12,88±0,10 5,9 3,07±0,07 0,29±0,07 12,00±0,11 6,4 3,37±0,09 0,12±0,10 11,09±0,08 6,9 3,53±0,09 2,74±0,09 10,21±0,08 7,4 3,90±0,06 3,85±0,07 9,45±0,06 7,9 2,56±0,05 3,24±0,08 9,45±0,07 Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 8.2- Attività della CRL libera e immobilizzata a diversi valori di attività lipolitica (UI/mg proteina) pH 14 12 CRL libera 10 8 6 CRL su beads di PDLLA 4 CRL su PDLLA nanostrutturato 2 0 4 5 6 7 pH 8 9 Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm La CRL libera ha un’elevata stabilità nell’intervallo di pH compreso tra 5.5 e 8, presentando un valore massimo di attività lipolitica a pH 7.5. La CRL immobilizzata su beads di PDLLA ha massima attività lipolitica per valori di pH compresi tra 7 e 8. A valori inferiori, l’attività diminuisce drasticamente. La CRL immobilizzata su nanosfere di PDLLA mantiene, nell’intervallo di pH investigato, un’attività lipolitica significativamente superiore sia alla lipasi libera che immobilizzata su beads di PDLLA, presentando un valore massimo di attività a pH 6. 8.4 Numero di cicli di utilizzo del bioconiugato La possibilità di riutilizzo dei biocatalizzatori è un fattore molto importante, in quanto consente di abbattere fortemente i costi di un processo, rispetto all’uso di enzimi liberi, che devono essere rinnovati ad ogni ciclo. Il bioconiugato CRL immobilizzata su nanosfere di PDLLA è stato utilizzato in più cicli consecutivi in una reazione di idrolisi della tributirrina (paragrafo 5.7.2). Al termine di ciascun ciclo di idrolisi il bioconiugato è stato recuperato per filtrazione e lavato con tampone fosfato, per poter essere riimpiegato nel ciclo successivo. Riportiamo i dati sperimentali nella tabella 8.4. Tabella 8.4- Dati relativi all’attività lipolitica del bioconiugato CRLPDLLAn in più cicli di utilizzo NUMERO CICLO DI ATTIVITA’ UTILIZZO SPECIFICA(UI/mg proteina) 1 9,45±0,09 2 9,40±0,06 3 9,42±0,08 4 9,39±0,07 5 9,05±0,08 Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Dalle prove condotte è risultato che il bioconiugato CRL-PDLLAn può essere utilizzato fino a 5 volte senza sostanziale perdita di attività. 9. ATTIVITA’ E STABILITA’ DEI BIOCONIUGATI IN REAZIONI DI SINTESI IN SOLVENTE ORGANICO 9.1 Scelta dei solventi organici da utilizzare come mezzo di reazione in sintesi biocatalizzate Come è noto, il mezzo di reazione assume una notevole importanza in una reazione biocatalizzata. Infatti, è noto che, variando le proprietà chimico-fisiche del mezzo di reazione, si possono osservare notevoli variazioni dell’attività dell’enzima sia in termini di reattività che di selettività. Ciò evidenzia la possibilità di variare l’andamento di una reazione semplicemente cambiando il mezzo di reazione. Sono note diverse regole generali che mettono in relazione l’attività enzimatica e alcune proprietà chimico-fisiche del mezzo di reazione. Ad esempio, è noto dalla letteratura come generalmente si riscontri una buona correlazione tra l’attività di un enzima e il valore del logP del solvente usato come mezzo di reazione. Pertanto, per valutare il comportamento dei biocatalizzatori in mezzi di reazione diversi, sono stati scelti dei solventi organici in base alle diverse caratteristiche strutturali e ai diversi valori del logP di ciascun solvente. Inoltre, la scelta dei solventi è stata fortemente limitata dalla solubilità dei supporti polimerici in numerosi solventi organici. Tenendo conto di tali considerazioni, sono stati scelti i seguenti solventi, le cui caratteristiche chimico-fisiche sono riportate in tabella: n-esano, t-butil-metil-etere e acetonitrile, Tabella 9.1- Caratteristiche chimico-fisiche di alcuni solventi utilizzabili come mezzo di reazione in sintesi biocatalizzate Solvente Densità (g/cm3) Costante Log POW dielettrica n-esano 0,662 1,89 3,5 t-butil-metiletere 0,741 - 0,94 Etilacetato 0,90 6,0 0,68 Acetonitrile 0,839 37,5 0,03 9.2 Prove di stabilità ai solventi organici dei biocatalizzatori Allo scopo di migliorare la caratterizzazione dei bioconiugati sintetizzati per un loro utilizzo in reazioni di sintesi in solventi non acquosi, ne è stata studiata la stabilità nel tempo nei solventi organici nei quali in seguito si condurrà la reazione stessa. Le stesse prove sono state condotte anche sugli enzimi liberi, per poter valutare l’effetto dell’immobilizzazione sulla stabilità della proteina enzimatica, e sui bioconiugati preparati con beads commerciali di PDLLA. Le prove sono state effettuate in 1 ml di solvente organico a 40°C, con un tempo di incubazione pari a 6 ore, secondo la procedura descritta nel paragrafo 5.9. Nella tabella 9.2 sono riportati i dati relativi all’attività lipolitica residua dei preparati enzimatici liberi e immobilizzati in seguito all’incubazione nei solventi organici prescelti. Tabella 9.2- Attività enzimatica residua della CRL libera e immobilizzata dopo incubazione in solvente organico a 40°C (UI/mg proteina) e percentuale di attività enzimatica residua solvente CRL libera CRL su beads di CRL su PDLLA nanosfere di PDLLAA n-esano 0,47 12% <1% 6,07 64% t-butil- 0,27 7% <1% 5,58 59% Etilacetato 0,24 6% <1% <1% Acetonitrile 0,23 6% <1% <1% metiletere Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Si può osservare dai dati riportati come i solventi utilizzati siano fortemente denaturanti: infatti, la CRL libera, dopo 6 ore di incubazione, mantiene un’attività lipolitica residua inferiore o all’incirca pari al 10%. L’immobilizzazione su beads di PDLLA non sembra conferire una maggiore stabilità alla proteina in nessuno dei solventi impiegati. Il bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA, di contro, ha dimostrato una maggiore stabilità in alcuni dei solventi selezionati, in particolare in esano e in t-butil-metiletere, cioé nei due solventi maggiormente idrofobici tra quelli impiegati. Si è voluto quindi indagare maggiormente il comportamento dei vari biocatalizzatori in tali solventi, valutandone l’andamento nel tempo dell’attività lipolitica residua in seguito all’incubazione. I risultati sperimentali sono riportati nelle tabelle a seguire, sia in termini assoluti di unità enzimatiche che come percentuali di attività enzimatica residua. Nei grafici sono riportati gli andamenti nel tempo delle percentuali di attività lipolitica residua dei biocatalizzatori in ciascun solvente. Tabella 9.3- Dati relativi alla stabilità della CRL libera e immobilizzata dopo incubazione in n-esano a 40°C TEMPO DI % DI ATTIVITA’ ENZIMATICA INCUBAZIONE RESIDUA (ORE) CRL libera CRL su beads CRL su di PDLLA nanosfere di PDLLA 0 100 100 100 1,5 68 30 99,5 3 45 18 83 4,5 42 6 70 6 12 0,44 64 Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 9.1- Stabilità della CRL libera e immobilizzata in n-esano a 40°C Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Tabella 9.4- Dati relativi alla stabilità della CRL libera e immobilizzata dopo incubazione in t-butil-metiletere a 40°C TEMPO DI % DI ATTIVITA’ ENZIMATICA INCUBAZIONE RESIDUA (ORE) CRL libera CRL su beads CRL su di PDLLA nanosfere di PDLLA 0 100 100 100 1,5 52 25 80 3 32 14 68 4,5 30 3 64 6 7 1 59 Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 9.2- Stabilità della CRL libera e immobilizzata in t-butilmetiletere a 40°C Condizioni di reazione: 5 mg enzima, 500 µl TGC4, tampone fosfato 0.1 M pH 7.6, T=37°C, tempo di reazione 30 minuti, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm I dati sperimentali evidenziano come l’immobilizzazione della CRL sui supporti polimerici nanostrutturati preparati abbia un effetto stabilizzante sulla proteina enzimatica. L’attività residua diminuisce all’aumentare della temperatura, sia per le lipasi libere che immobilizzate, ma il bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA ha ritenuto una maggiore attività residua, sia in termini assoluti che in percentuale, in entrambi i solventi. In particolare, dopo 3 ore di incubazione in esano, la CRL immobilizzata sulle nanosfere di PDLLA ritiene circa l’80% dell’attività iniziale, mentre l’attività dellla CRL libera e immobilizzata su beads di PDLLA diminuisce sensibilmente, rispettivamente del 50 e dell’80%. Anche in tbutil-metiletere, dopo 3 ore di incubazione, la CRL immobilizzata sulle nanosfere di PDLLA ritiene più del 60% dell’attività iniziale. Di contro, l’attività enzimatica residua della CRL libera e immobilizzata su beads di PDLLA cala a valori compresi tra il 30 e il 15%. 9.3 Studio cinetico della reazione di transesterificazione tra (±)-sulcatolo e vinilacetato in ambiente organico Come noto, gli enzimi lipolitici possono essere utilizzati in ambiente non acquoso per catalizzare reazioni di esterificazione o transesterificazione. In questo tipo di reazioni, gli alcoli chirali sono substrati interessanti per le loro potenzialità applicative come intermedi di sintesi. Inoltre, essendo noto come le proprietà chimico-fisiche e biochimiche di due enantiomeri possano essere estremamente diverse, l’enantioselettività dei catalizzatori enzimatici può essere utilizzata per realizzare reazioni di sintesi asimmetriche. Per studiare l’attività esterasica e l’enantioselettività della CRL libera e immobilizzata, è stata scelta come reazione modello la transesterificazione di un alcool secondario racemo quale il (±)-sulcatolo, la cui formula di struttura è riportata in figura. Figura 9.3- Formula di struttura del sulcatolo Il sulcatolo è il feromone maschile di aggregazione delle blatte Gnathotrichus sulcatus e Gnathotrichus retusus. Nessuno dei due enantiomeri, da solo, è bioattivo: è la miscela racemica ad essere attiva. Per quanto riguarda il donatore acilico, la scelta è caduta sul vinilacetato, in quanto è una molecola dotata di buona reattività; inoltre, l’enolo instabile, nel corso della reazione, rilascia tautomeri per formare le aldeidi corrispondenti (nel nostro caso l’aldeide acetica), le quali spostano l’equilibrio della reazione verso la formazione dei prodotti. Le reazioni sono state condotte secondo la metodologia descritta nel paragrafo 5.10 e i prodotti analizzati per via gascromatografica secondo la procedura analitica illustrata nel paragrafo 5.11. L’elaborazione dei dati sperimentali (calcolo delle rese percentuali e dell’eccesso enantiomerico) è stata condotta utilizzando il metodo riportato nel paragrafo 5.12. E’ stato studiato l’andamento cinetico della reazione di transesterificazione del sulcatolo con vinilacetato, utilizzando come biocatalizzatori la CRL libera e il bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA. I dati sperimentali sono riportati nella seguente tabella e nel grafico. Tabella 9.5- Attività ed enantioselettività della CRL libera e immobilizzata nella reazione di transesterificazione tra (±)-sulcatolo e vinilacetato in in esano in funzione del tempo di reazione Tempo (ore) CRL libera CRL su nanosfere di PDLLA resa eep% resa eep% 1 4.34% 64.87% 3.01% 41.89% 2 7.33% 63.33% 6.42% 40.9% 3 8.07% 63.07% 8.71% 36.51% 4 8.68% 60.98% 9.43% 65.81% 5 9.55% 62.86% 11.21% 38.16% 6 10.10% 60.05% 12.94% 40.32% 22 16.79% 53.85% 21.21% 42.13% 24 17.64% 53.31% 21.40% 41.63% Condizioni di reazione: 3 mg enzima, volume di reazione 1 ml, T=40°C, diametro medio delle nanoparticelle 220 nm Figura 9.4- Andamento cinetico della resa percentuale nella reazione di transesterificazione tra (±)-sulcatolo e vinilacetato in esano Sono state calcolate le velocità iniziali delle due reazioni, considerando l’iniziale tratto lineare della curva cinetica. Nella tabella sono messi a confronto la velocità iniziale, e la resa e l’eccesso enantiomerico dopo 24 ore. Tabella 9.6- Velocità iniziale, resa ed eccesso enantiomerico della reazione di transesterificazione tra (±)-sulcatolo e vinilacetato in esano biocatalizzata da CRL libera e immobilizzata Vo CRL libera Resa eep% 3.67 17.64% 53.31% CRL su nanosfere 3.21 21.40% 41.63% di PDLLA La velocità iniziale della reazione catalizzata dalla CRL libera è maggiore rispetto a quella catalizzata dal bioconiugato di circa il 15%. Nonostante ciò, la reazione catalizzata dal bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA ha raggiunto, nelle 24 ore, una resa più elevata rispetto a quella condotta con la CRL libera, passando da un valore di circa il 17% al 21%. D’altra parte, l’eccesso enantiomerico percentuale è diminuito, dal 53% al 42%, passando dalla CRL libera a quella immobilizzata. 10. STUDIO FTIR DELLE MODIFICAZIONI CONFORMAZIONALI LIPOLITICI DI IN ENZIMI SEGUITO ALL’INTERAZIONE CON UN SUPPORTO BIOPOLIMERICO NANOSTRUTTURATO 10.1 Misure FTIR su CRL a basso grado di purezza Lo studio FTIR in riflettanza diffusa è stato condotto come descritto nel paragrafo 5.13. Preliminarmente, si è voluta determinare la quantità minima di proteina adsorbita rilevabile dal sistema e la sua quantità ottimale per l’ottenimento di un buon segnale, da utilizzare nelle prove successive. A tale scopo sono stati preparati dei campioni mescolando CRL grezza L1754 con PDLLA nanostrutturato secondo rapporti in peso diversi, dal 5 al 20 % di lipasi, e ne sono stati registrati gli spettri FTIR, riportati di seguito: Figura 10.1- Spettri FTIR di miscele di PDLLA nanostrutturato e CRL a diverse composizioni (w/w) Sono state individuate le bande di assorbimento della proteina ammide I e II (1700-1600 e 1600-1500 cm-1 rispettivamente) e ne è stata verificata la non sovrapposizione con le bande di assorbimento del polimero. Come aspettato, all’aumentare della quantità di proteina, si ha un corrispondente aumento dell’intensità delle bande ammidiche. Queste prove preliminari sono servite per la messa a punto del metodo e per verificarne la riproducibilità. Si è proceduto con la preparazione di bioconiugati CRL-PDLLA nanostrutturato contenenti diverse quantità di lipasi immobilizzata, il 6 e il 20% in peso, e ne sono stati registrati gli spettri IR. Sono stati inoltre registrati gli spettri di miscele di PDLLA e CRL aventi la stessa composizione percentuale dei campioni immobilizzati, per confrontare il campione in cui l’enzima è immobilizzato sul PDLLA nanostrutturato con quello in cui è mescolato ad esso. Tali spettri sono riportati di seguito: Figura 10.2- Spettri FTIR del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA contenenti il 6% di CRL e di una miscela CRL/nanosfere di PDLLA della stessa composizione Figura 10.3- Spettri FTIR del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA contenenti il 20% di CRL e di una miscela CRL/nanosfere di PDLLA della stessa composizione Dal confronto tra gli spettri dei campioni di CRL immobilizzata e mescolata con PDLLA nanostrutturato aventi lo stesso rapporto in peso enzima/polimero è stata evidenziata una significativa variazione sia dell’intensità che del profilo e della posizione delle bande ammidiche d’assorbimento della proteina. Tale risultato è interpretabile come una variazione strutturale della proteina in seguito all’interazione con il supporto polimerico, che risulta quindi in una modificazione del suo spettro di assorbimento. 10.2 Misure FTIR in D2O di CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA Per poter ottenere informazioni di tipo quantitativo sulle componenti di struttura secondaria della CRL e sulle loro variazioni in seguito all’immobilizzazione, si è deciso di impiegare un preparato enzimatico commerciale a maggiore grado di purezza, descritto nel paragrafo 7.1. Sono stati preparati dei bioconiugati CRL-nanosfere di PDLLA contenenti il 10% in peso di proteina seguendo la procedura descritta nel paragrafo 5.16. E’ stato scelto questo rapporto proteina/polimero in quanto, nelle prove preliminari descritte nel paragrafo precedente, aveva dato risultati migliori sia in termini di riproducibilità che di intensità del segnale. Utilizzando la procedura sperimentale illustrata nel paragrafo 5.16, sono stati registrati gli spettri FTIR in D2O della CRL libera e dei bioconiugati CRL-nanosfere di PDLLA, riportati nelle figure a seguire. Figura 10.4- Spettro FTIR in D2O della CRL. Figura 10.5- Spettro FTIR in D2O del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA contenenti il 10% di CRL. Seguendo la procedura descritta nel paragrafo 5.17, è stato eseguito il fitting delle bande ammidiche I degli spettri in D2O della CRL libera e del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA. Nelle figure a seguire sono riportati, per ciascun sistema, la banda ammidica I di assorbimento registrata, il fitting di tale banda e le sue componenti Gaussiane. Figura 10.6 –Spettro FTIR in D2O della CRL ( ---- ) e fitting della banda ammidica I (-●-●-●) in componenti Gaussiane (errore residuo=0.0038). Figura 10.7–Spettro FTIR in D2O del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA contenenti il 10% di CRL ( ---- ) e fitting della banda ammidica I (-●-●-●) in componenti Gaussiane (errore residuo=0.0020). L’assegnazione di ciascuna componente Gaussiana al corrispondente elemento di struttura secondaria è stata eseguita secondo quanto riportato in letteratura [124, 128, 129]. L’intensità di ciascuna banda, espressa come percentuale dell’intensità totale della banda ammidica I, può essere considerata come una misura della struttura secondaria ad essa corrispondente, secondo l’assegnazione fatta. Nelle seguenti tabelle sono riportati i risultati del fitting eseguito sui due spettri e la composizione percentuale di struttura secondaria per la CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA. Tabella 10.1- Posizione, intensità e assegnazione delle componenti gaussiane del fitting della banda ammidica I dello spettro FTIR in D2O della CRL Posizione Intensità Assegnazione 1619.2 0.06 side chains 1629.2 0.104 beta sheets 1637.9 0.172 beta sheets 1647.6 0.223 1658.5 0.250 1671.3 0.184 turns 1682.6 0.065 turns 1690.9 0.043 alpha-helix/unordered alpha-helix beta sheets/turns Tabella 10.2- Posizione, intensità e assegnazione delle componenti gaussiane del fitting della banda ammidica I dello spettro FTIR in D2O del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA. Posizione Intensità Assegnazione 1617.2 0.065 side chains 1626.9 0.045 beta sheets 1636.03 0.091 beta sheets 1646.2 0.102 1657.3 0.111 alpha-helix 1670.9 0.123 turns 1682.9 0.065 turns 1691.1 0.046 alpha-helix/unordered beta sheets/turns Elementi di struttura CRL libera in D2O CRL su nanosfere di secondaria PDLLA β-sheet 29% 28.1% α-elica 43% 32.6% turn 22.6% 29% aggregati 5.4% 10.3% Tabella 10.3- Composizione percentuale della struttura secondaria in D2O di CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA. Si può osservare come l’interazione con il supporto nanostrutturato provochi dei mutamenti nella struttura della proteina,a carico di tutti i principali elementi di struttura secondaria. In particolare, l’immobilizzazione non provoca una sostanziale variazione delle β-sheet ma una significativa diminuzione delle α-eliche (circa il 10% in meno), accompagnata da un aumento dei turn, che passano dal 22 al 29%, e degli aggregati, la cui quantità raddoppia. Confrontando questi dati strutturali con i dati di attività e stabilità della CRL libera e immobilizzata, riportati nei capitoli 8 e 9, si osserva come, in ambiente acquoso, la diminuzione di α-eliche e β-sheet causata dall’interazione col supporto provochi un aumento sia dell’attività che della stabilità della CRL. 10.3 Misure FTIR allo stato solido di CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA Come noto, gli enzimi lipolitici possono essere impiegati in mezzi diversi da quello acquoso, in reazioni di sintesi di elevato interesse applicativo. Per poter valutare la struttura secondaria della CRL in un mezzo non acquoso e sue eventuali modificazioni dovute all’interazione con un supporto di tipo nano strutturato, sono state eseguite delle misure FTIR allo stato solido, quindi in assenza di acqua, utilizzando la tecnica in riflettenza diffusa secondo quanto illustrato nel paragrafo 5.16. Sono stati registrati gli spettri FTIR della CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA secondo un rapporto 1:10 in peso, che sono riportati di seguito. Figura 10.8- Spettro FTIR della CRL. Figura 10.9- Spettro FTIR del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA contenenti il 10% di CRL. Il fitting delle bande ammidiche I degli spettri è stato eseguito seguendo la procedura descritta nel paragrafo 5.17. Nelle figure a seguire sono riportati, per ciascun sistema, la banda ammidica I di assorbimento registrata, il fitting di tale banda e le sue componenti Gaussiane. Figura 10.10–Spettro FTIR della CRL ( ---- ) e fitting della banda ammidica I (-●-●-●) in componenti Gaussiane (errore residuo=0.0028). Figura 10.11–Spettro FTIR del bioconiugato CRL-nanosfere di PDLLA contenenti il 10% di CRL ( ---- ) e fitting della banda ammidica I (-●-●●) in componenti Gaussiane (errore residuo =0.00168). Nelle tabelle sono riportati i risultati del fitting eseguito sui due spettri e la composizione percentuale di struttura secondaria per la CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA. Tabella 10.4- Posizione, intensità e assegnazione delle componenti gaussiane del fitting della banda ammidica I dello spettro FTIR della CRL Posizione Intensità Assegnazione 1618.2 0.098 side chains 1629.5 0.212 beta sheets 1640.0 0.324 1651.7 0.467 1663.7 0.514 1677.1 0.595 beta sheets 1688.7 0.345 beta sheets/turns 1696.2 0.212 beta sheets/turns beta sheets/multiple components alpha-helix left-handed alpha-helix Tabella 10.5- Posizione, intensità e assegnazione delle componenti gaussiane del fitting della banda ammidica I dello spettro FTIR del bioconigato CRL-nanosfere di PDLLA. Posizione Intensità Assegnazione 1617.3 0.015 side chains 1623.9 0.024 beta sheets 1631.4 0.072 beta sheets 1640.1 0.106 beta sheets/multiple components 1650.3 0.146 1662.2 0.194 1674.8 0.093 beta sheets 1685.6 0.056 beta sheets/turns alpha-helix left-handed alpha-helix Elementi di struttura CRL libera CRL su nanosfere di secondaria PDLLA β-sheet 31.9% 26.7% α-elica 41.9% 35.5% Tabella 10.6- Composizione percentuale della struttura secondaria allo stato solido di CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA. L’assegnazione degli elementi strutturali a ciascuna componente è stata eseguita secondo quanto riportato in letteratura [130]. Tuttavia, non è stato possibile separare il contributo di componenti multiple per quanto riguarda i picchi compresi tra 1640 e 1650 cm-1 e tra 1680 e 1700 cm-1 . Pertanto, l’analisi della composizione percentuale della struttura secondaria si è limitata alle sole alfa eliche e beta sheet. Si può osservare come l’interazione con il supporto nanostrutturato provochi una diminuzione di circa il 5% delle quantità sia di alfa elica che di beta sheet. 10.4 Confronto tra la composizione percentuale di strutture secondarie della CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA in D2O e allo stato solido Nella tabella sono messi a confronto i risultati del fitting in termini di percentuali di α-eliche e β-sheet per la CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA, in D2O e allo stato solido. CRL su CRL stato CRL su struttura nanosfere di solido nanosfere di secondaria PDLLA in PDLLA D2O stato solido Elemento di CRL in D2O β-sheet 29% 28.1% 31.9% 26.7% α-elica 43% 32.6% 41.9% 35.5% Tabella 10.7- Composizione percentuale della struttura secondaria in D2O e allo stato solido di CRL libera e immobilizzata su nanosfere di PDLLA. Sia in D2O che allo stato solido l’interazione con il supporto nanostrutturato provoca una variazione strutturale, con una diminuzione della quantità di α-eliche e β-sheet. Per quanto riguarda le β-sheet la loro diminuzione sembrerebbe essere più marcata allo stato solido (circa il 5%), anche se bisogna ricordare come questo dato sia parziale, in quanto ulteriori strutture a foglietto β potrebbero far parte delle componenti multiple (vedi paragrafo 10.3). Per quanto riguarda le α-eliche, invece, si ha una maggiore diminuzione in D2O, pari a circa il 10% contro il 5% allo stato solido. Ciò è spiegabile in base al fatto comunemente accettato che l’ambiente acquoso interferisce con tale tipo di struttura. Tuttavia, confrontando i dati relativi alla CRL libera in ambiente acquoso e allo stato solido, è evidente come non ci siano variazioni significative della sua struttura nei due tipi di sistemi. Pertanto, risulta evidente come le variazioni strutturali della CRL immobilizzata su nanosfere di PDLLA siano da ascrivere in misura preponderante all’interazione con il supporto, anche se la presenza o meno di acqua è legata alla formazione di un diverso tipo di strutture. 11. CONCLUSIONI Il presente lavoro si è focalizzato sullo studio di sistemi bioconiugati tra lipasi di origine fungina (lipasi da Candida rugosa) e sistemi biopolimerici nanostrutturati, quale l’acido poli-(D,L)-lattico. Recentemente, infatti, è emerso, dai dati di letteratura nonché da esperienze precedenti maturate in questo settore, come supporti di tipo nanostrutturato possano influenzare significativamente le proprietà di una proteina enzimatica. In questo lavoro si sono voluti studiare la performance nonché la struttura del biocatalizzatore in seguito all’interazione con supporti nanostrutturati. E’ noto infatti dalla letteratura come ci sia uno stretto rapporto tra struttura e attività di una proteina enzimatica, in modo particolare per quanto riguarda gli enzimi lipolitici. L’obiettivo di questo lavoro è stato, quindi, quello di correlare l’attività di un biocatalizzatore immobilizzato su un supporto di tipo nanometrico alla sua struttura in seguito a tale interazione. Per la preparazione di supporti adatti per l’immobilizzazione di enzimi lipolitici è stato utilizzato un metodo innovativo di recente brevettazione, che non prevede l’uso di emulsionanti o stabilizzanti. Con tale metodologia sono state preparate, in maniera altamente riproducibile, nanoparticelle di acido poli-(D,L)-lattico di forma sferica del diametro di 220 nm. Tale materiale è stato utilizzato per l’immobilizzazione per adsorbimento fisico della CRL. Si sono volute approfondire le modalità dell’adsorbimento, sia da un punto di vista cinetico, con lo studio delle cinetiche di adsorbimento, che termodinamico, studiando le isoterme di adsorbimento sulle matrici polimeriche nanostrutturate. Queste sono state interpretate secondo formulazioni teoriche presenti in letteratura, che hanno fornito delle informazioni riguardo all’affinità tra il carrier e l’enzima e l’irreversibilità dell’adsorbimento. Ci si è rivolti, quindi, allo studio delle proprietà catalitiche dei bioconiugati. E’ stato messo in evidenza come i supporti nanostrutturati impiegati migliorino la performance della CRL, sia in termini di attività che di stabilità ad agenti chimico-fisici quali il pH, la temperatura, i solventi organici. In particolare, è stata ottenuta una forte attivazione della CRL in ambiente acquoso, con un aumento dell’attività pari a circa il 140%. Variazioni della performance del biocatalizzatore di tale entità sembrerebbero suggerire delle modificazioni della struttura proteica, in virtù dell’esistenza, nota ma non sufficientemente elucidata, di relazioni struttura-attività. Per poter confermare quest’ipotesi e studiare eventuali modificazioni confromazionali della proteina enzimatica in seguito all’immobilizzazione, è stato intrapreso uno studio FTIR dei bioconiugati. Come noto, infatti, tale tecnica può essere utilizzata per ottenere informazioni sia qualitative che quantitative sulla struttura secondaria di proteine. Qualitativamente, è stata riscontrata una variazione significativa degli spettri di assorbimento della CRL in seguito alla sua immobilizzazione sui supporti nanostrutturati, sia riguardo all’intensità che alla posizione e alla forma delle bande. Tramite l’analisi quantitativa della struttura secondaria è stato dimostrato che l’interazione con il supporto nanostrutturato genera delle modificazioni strutturali della CRL, con la diminuzione della quantità di strutture ordinate, sia in assenza che in presenza di acqua. In ambiente acquoso la perdita della struttura secondaria riguarda essenzialmente le αeliche, la cui quantità diminuisce di circa il 10%. Tale variazione strutturale, tuttavia, risulta positiva per la performance del biocatalizzatore, in termini di attività lipolitica e stabilità. Allo stato solido, assimilabile alla situazione della proteina in ambiente organico, la perdita di struttura secondaria ordinata riguarda sia la componente ad αeliche che i foglietti β, generando un tipo di struttura diversa da quella riscontrata in soluzione acquosa. Evidentemente, oltre all’interazione con il supporto, che riveste un’importanza fondamentale nel determinare la struttura della proteina, ha un cetro ruolo anche l’ambiente in cui essa si trova, in particolare per quanto riguarda la quantità di acqua. L’assenza di acqua nel bulk fa sì che la struttura proteica si riorganizzi privilegiando strutture non ordinate. Tale riorganizzazione strutturale ha una ripercussione sull’attività, che in ambiente organico non risulta migliorata rispetto a quella della CRL libera, né in termini di resa né in enantioselettività. Tuttavia, la stabilità è elevata anche in ambiente organico, suggerendo come la perdita di struttura secondaria, che potrebbe conferire una maggiore stabilità alla proteina, possa piuttosto favorire l’interazione con il supporto, irrigidendo quindi, piuttosto che rendendo più flessibile, la proteina stessa. 12. BIBLIOGRAFIA [1] E. Antonian, Lipids, 1988, 23, 1101 [2] L. Brady, A.M. Brzozowski, Z.S. 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