1 9 – L’INTENSIONALITÀ 1. Il problema della sostituibilità Fino ad ora abbiamo costruito un sistema estensionale, cioè un sistema in cui l’interpretazione è relativa ad un singolo mondo o circostanza possibile. Ma un approccio puramente estensionale non è in grado di catturare la capacità espressiva delle lingue naturali. Vediamo perché. Sul piano estensionale, una conseguenza diretta del principio di composizionalità è il principio di sostituibilità: Principio di sostituibilità Siano [B ... A ... ] e [B´ ... A´ ...] due espressioni tali che B´ è formata sostituendo in B una o più occorrenze di A con altrettante occorrenze di A´, e lasciando invariato il resto. Allora: se A e A´ hanno la stessa denotazione, B e B´ hanno la stessa denotazione. Infatti, se l’interpretazione è composizionale, la denotazione di B e B´ è determinata dalla denotazione dei rispettivi costituenti immediati (cap. 2, § 1), che a loro volta sono determinati dai propri costituenti immediati, e così via. L’unica differenza fra B e B´ è la sostituzione di A con A´; ma poiché per ipotesi A e A´ hanno la stessa denotazione, essi danno esattamente lo stesso contributo al processo composizionale, e dunque, le condizioni di verità risultanti saranno equivalenti. Ecco una applicazione del principio di sostituibilità: (1) Edvige dorme. (2) [La civetta di Harry] dorme. dove, nella circostanza di valutazione, [[ Edvige]] = [[la civetta di Harry]] = edvige (la civetta delle nevi che Harry ha ricevuto in regalo per il suo undicesimo compleanno). In (3) e (4), però, osserviamo una violazione del principio di sostituibilità: (3) Dudley pensa [che [Edvige] è aggressiva]. (4) Dudley pensa [che [la civetta di Harry] è aggressiva]. 2 Il verbo pensa introduce due frasi subordinate, che sono identiche eccetto che per il soggetto: [Edvige] in (3), [la civetta di Harry] in (4). Anche se nella circostanza di valutazione questi due sintagmi denotano lo stesso individuo (edvige), gli enunciati (3) e (4) possono avere valori di verità distinti. Per esempio, nella circostanza di valutazione Dudley crede erroneamente che suo cugino Harry possieda una certa civetta marrone, e considera aggressiva quella civetta, mentre non ha alcun pregiudizio negativo verso la civetta delle nevi di nome Edvige: in tale circostanza, l’enunciato (4) è vero e l’enunciato (3) è falso. Se i due enunciati hanno valori di verità diversi nella stessa circostanza di valutazione, allora non esprimono le stesse condizioni di verità; dunque, nei contesti introdotti dal verbo pensare, il principio di sostituibilità non è valido. I contesti in cui viene meno la sostituibilità vengono detti opachi o intensionali. 2. I mondi possibili Per affrontare i contesti intensionali, dovremo utilizzare un ingrediente del modello che finora abbiamo lasciato da parte, cioé i mondi possibili; ricapitoliamo perciò alcune nozioni che abbiamo introdotto nel cap. 1. Il riferimento a stati di cose ipotetici e oggetti fittizi è parte integrante della nostra capacità cognitiva: noi formuliamo ipotesi sulle possibili conseguenze delle nostre azioni, ci aspettiamo certi risultati, e a volte rimpiangiamo ciò che avremmo potuto fare ma non abbiamo fatto. Per esprimere formalmente questa capacità, abbiamo introdotto nel modello di interpretazione un insieme infinito W di mondi possibili, assumendo i mondi come primitivi (cioé entità non definite). Abbiamo inoltre assunto la condizione di consistenza: per ogni mondo possibile w ∈ W, un enunciato φ sarà vero in w o falso in w. Scriveremo: [[φ]]w = 1 per indicare che l’enunciato φ, interpretato rispetto al mondo di valutazione w, ha valore vero (brevemente: φ è vero in w). 3 Più precisamente, abbiamo parlato di una circostanza di valutazione. Ma che cosa sono le circostanze possibili? Nell’impostazione di Montague, le circostanze sono definite come coppie <w,t>, dove w è un mondo possibile e t è un istante o intervallo temporale: un certo mondo ad un certo intervallo di tempo. (A livello intuitivo, possiamo concepire le circostanze come segmenti temporalmente delimitati di una possibile storia del mondo.) Ciò richiede di introdurre nel modello non solo un insieme di mondi possibili, ma anche un insieme di istanti (T) parzialmente ordinato da una relazione di precedenza temporale: M = <D, W, T, [[ ]]> In questo capitolo, tuttavia, considereremo soltanto i mondi possibili, rimandando la dimensione temporale al prossimo capitolo. Una proposizione è un modo di dividere l'insieme W in due sottoinsiemi: quello dei mondi in cui l'enunciato è vero, e quello dei mondi in cui l'enunciato è falso. La proposizione espressa da un enunciato α è dunque l’ insieme dei mondi possibili w tali che: {w: [[α]]w = 1} Immaginiamo ora di avere un insieme W molto ristretto: nei mondi w1 e w2, Edvige è effettivamente aggressiva (perché passa troppo tempo chiusa in gabbia), mentre nei mondi w3 e w4, Edvige è ben curata e non è affatto aggressiva. Dunque, l’enunciato (5): (5) Edvige è aggressiva. esprime la proposizione: {w: [[ [S Edvige è aggressiva] ]]w = 1} = {w1, w2}. Supponiamo ora di avere come mondo di valutazione w4; in questo mondo, come sappiamo, (5) è falso. Ma come valuteremmo in w4 l’enunciato (6)? (6) Edvige potrebbe essere aggressiva. Intuitivamente, questo enunciato non descrive come stanno le cose nel mondo di valutazione, ma piuttosto come stanno le cose in altri mondi ipotetici, alternativi al mondo di valutazione. Se consideriamo gli altri mondi di W oltre a w4, troviamo che ci sono dei mondi in cui Edvige è aggressiva (w1 e w2), e la verità di (5) in questi mondi alternativi è 4 sufficiente a rendere vero (6) in w4. Come chiarisce efficacemente Portner (2007), per gli enunciati estensionali come (5), possiamo determinare la verità o falsità in un dato mondo guardando solo allo stato di cose che vige in quello stesso mondo; invece, per interpretare un enunciato modale come (6) in un dato mondo (ad esempio w4), dobbiamo guardare allo stato di cose che vige in altri mondi: in questo senso, l’interpretazione della modalità è «non locale». Anche in questo caso, dobbiamo uscire dalla dimensione puramente estensionale. Analogamente, per valutare la verità o falsità delle attribuzioni di credenza1 (3)-(4) in un dato mondo di valutazione, dobbiamo far riferimento a come stanno le cose non in quel mondo (dove [[ Edvige]] = [[la civetta di Harry]] = edvige), ma piuttosto nei mondi possibili che sono compatibili con le credenze di Dudley. I mondi possibili ci permettono così di esprimere un’altra capacità cognitiva fondamentale, cioè la capacità di rappresentarci gli stati di credenza di altre persone. 3. Estensioni e intensioni Così come il valore di verità di un enunciato, anche l'estensione di un predicato (un insieme di individui, di coppie ecc.), e in genere la denotazione dei termini descrittivi, dipendono dalle circostanze/mondi. (Ad es., io insegno semantica, ma avrei potuto fare tutt’altro.) Scriveremo perciò: [[ama]]w= l'estensione di ama in w = [λx.[λy. y ama x in w]] I nomi propri e le costanti logiche, come i connettivi e i determinanti quantificazionali, hanno invece la stessa estensione in tutti i mondi. Generalizzando a partire dalla nozione di proposizione, possiamo definire l’intensione di una qualsiasi espressione linguistica come una funzione che prende in input un mondo possibile e produce come output un’estensione del tipo appropriato (si parla di intensione carnapiana).2 In linea di principio, qualunque espressione linguistica ha un’intensione. Ad esempio, l’intensione della descrizione definita [DP la civetta di Harry] è una funzione che, per ciascun mondo possibile, restituisce un individuo: l’unico individuo che, in quel mondo, ha la 1 In inglese belief reports. Non ci addentreremo qui nel problema del rapporti tra le intensioni carnapiane e la nozione di Sinn di Frege; si veda Casalegno (1997, cap. 5). 2 5 proprietà di essere una civetta e la proprietà di essere posseduta da Harry. Lo schema seguenti indica le estensioni e le intensioni delle categorie sintattiche che abbiamo fin qui considerato: CATEGORIA ESTENSIONE INTENSIONE Nomi propri individuo Funzione costante che, per ogni mondo possibile, restituisce lo stesso individuo. 3 funzione da mondi possibili a insiemi di individui (proprietà) : per ogni mondo w, restituisce l'insieme degli individui che ricadono nell'estensione del N/V/A in w funzione da mondi possibili a insiemi di coppie ordinate di individui Nomi comuni; V e (funzione caratteristica di un) A non relazionali insieme di individui V transitivi, P Descrizioni definite enunciato (funzione con annidamento che caratterizza un) insieme di coppie ordinate di individui individuo funzione non costante da mondi possibili a individui (concetto individuale) valore di verità Funzione da mondi possibili a valori di verità (proposizione) 4. Definizione ricorsiva dei tipi intensionali Nel cap. 3, § 6 abbiamo dato una definizione ricorsiva dei tipi semantici estensionali. Possiamo ora arricchire l’inventario dei tipi semantici aggiungendo una sola clausola (d) che, per qualsiasi tipo estensionale, genera il tipo intensionale corrispondente: Definizione dei tipi semantici a) e è un tipo semantico; b) t è un tipo semantico; c) Dati due qualsiasi due tipi semantici σ e τ, <σ,τ> è un tipo semantico; d) se τ è un tipo, <s, τ> è un tipo semantico; e) nient'altro è un tipo semantico. 3 Ricordiamo che secondo la proposta di Kripke, i nomi propri sono designatori rigidi: denotano lo stesso individuo in tutti i mondi possibili. Per una discussione accessibile si veda Casalegno (1997, cap. 8). Ricordiamo che il dominio D del modello contiene entità possibili, alcune delle quali sono reali nel mondo attuale (es. Valentina Bianchi), altre no (es. Harry Potter); ciascun mondo ha le proprie entità reali. 6 In questa definizione s è il tipo dei mondi possibili, che tuttavia non viene definito come tipo-base autonomo, ma solo come tipo del dominio (insieme degli input) di tutte le funzioni intensionali. Ecco la definizione dei domini semantici corrispondenti. Sia W l'insieme di tutti i mondi possibili. Ad ogni w ∈ W è associato il dominio degli individui che esistono in w. Sia D l'unione di tutti i domini di tutti i mondi possibili (cioé l'insieme di tutti gli individui possibili): Definizione dei domini semantici a) De = D, l'insieme degli individui possibili b) Dt = {0,1} c) Se σ e τ sono tipi semantici, D<σ, τ> è l'insieme delle funzioni da Dσ a Dτ d) Se τ è un tipo semantico, D<s, τ> è l'insieme delle funzioni da W a Dτ In generale, l’intensione di una espressione α di tipo τ è una funzione di tipo <s, τ> (da mondi possibili a estensioni del tipo appropriato τ), cioè, in termini funzionali: λw. [[α]]w (l’intensione di α) La tabella seguente elenca i tipi estensionali e intensionali corrispondenti alle categorie sintattiche fin qui esaminate: CATEGORIA TIPO ESTENSIONALE TIPO INTENSIONALE Nomi propri Nomi comuni; V e A non relazionali V transitivi, P Descrizioni definite enunciato e <e,t> <s,e> <s, <e,t>> <e,<e,t>> e t <s, <e,<e,t>>> <s, e> <s,t> Vediamo ora una applicazione concreta dell’apparato intensionale che abbiamo delineato. 5. Gli atteggiamenti proposizionali Come abbiamo visto negli esempi (3)-(4), i verbi che prendono complementi frasali (credere, pensare, volere, desiderare...) creano contesti intensionali. A partire dal lavoro fondamentale di 7 Hintikka (1962), questi predicati vengono analizzati nei termini di una relazione tra un individuo e una proposizione; si parla perciò di predicati di atteggiamento proposizionale. Questi predicati servono per descrivere lo ‘stato attitudinale’ di un individuo, ad esempio uno stato di credenza. Intuitivamente, possiamo rappresentare lo stato di credenza di un individuo x come l’ insieme di proposizioni che sono credute vere da x (nella circostanza di valutazione). Poiché ciascuna proposizione caratterizza un insieme di mondi possibili, la congiunzione di queste proposizioni è, insiemisticamente, l’intersezione degli insiemi di mondi possibili caratterizzati dalle varie proposizioni: questo corrisponde all’insieme dei mondi che sono compatibili con le credenze di x. – Gli atteggiamenti proposizionali (sapere, credere, desiderare…) vengono rappresentate come relazioni tra un individuo e una proposizione; – Uno stato attitudinale di un individuo viene rappresentato come un insieme di mondi possibili, determinato dall’intersezione (congiunzione) di un insieme di proposizioni. Ma perché ragioniamo in termini di insiemi di mondi? La risposta è che un mondo possibile è a very inclusive thing (D. Lewis; ‘qualcosa di onnicomprensivo’): è difficile immaginare che un qualunque insieme di proposizioni, per quanto ricco, possa arrivare a caratterizzare (tramite intersezione) un insieme singleton, identificando così un unico mondo possibile; in effetti, per caratterizzare un singolo mondo è necessario un insieme infinito di proposizioni. Per questo motivo, gli stati attitudinali vengono rappresentati come insiemi di mondi, anziché come singoli mondi.4 Dato che la congiunzione di più proposizioni dà l’intersezione fra gli insiemi di mondi corrispondenti, si ha la seguente relazione inversa: quanto più è ampio un insieme di proposizioni, tanto più è ristretto l’insieme di mondi che la loro intersezione caratterizza. Consideriamo, ad esempio, la proposizione p espressa dall’enunciato Harry possiede una civetta; questa proposizione caratterizza l’insieme di mondi in cui le condizioni di verità sono soddisfatte, indipendentemente da come stanno le cose sotto tutti gli altri aspetti: ad esempio, la proposizione comprenderà sia mondi in cui Harry è orfano, sia mondi in cui 4 E’ bene fugare un possibile fraintendimento: anche quando, nei contesti estensionali, utilizziamo un singolo mondo di valutazione, noi lo assumiamo come dato, ma non lo caratterizziamo univocamente. In effetti, solo un essere onnisciente sarebbe in grado di farlo. Questo esprime nel modello di interpretazione una limitazione epistemica che sembra 8 Harry non è orfano. Se congiungiamo (intersechiamo) la proposizione p con la proposizione q espressa dall’enunciato Harry è orfano, otterremo un insieme più ristretto di mondi che soddisfano le condizioni di verità di entrambi gli enunciati. Si noti anche che, se le credenze di un individuo comprendessero due o più proposizioni in contraddizione tra loro, la loro intersezione darebbe l’insieme vuoto.5 Per evitare questo, si assume generalmente che gli stati attitudinali sono logicamente consistenti. Naturalmente, le credenze che un individuo ha variano da un mondo (circostanza) possibile all’altro; dunque, per ogni mondo possibile w, un individuo x ha un certo insieme di credenze in w. Per rendere conto di questa variabilità, Hintikka analizza le attitudini in termini di relazioni di accessibilità tra mondi possibili: lo stato di credenza di un individuo x in w è l’insieme dei mondi doxasticamente accessibili ad x in w, cioè l’insieme dei mondi che sono compatibili con ciò che x crede in w. Le relazioni di accessibilità sono relazioni binarie tra mondi possibili;6 per i nostri scopi, possono essere riformulate come funzioni da mondi possibili a insiemi di mondi.7 Ad esempio, possiamo definire una funzione Doxx, dove x è un individuo: Per ogni mondo w, Doxx(w) = {w′∈W: w′ è compatibile con ciò che x crede in w}. Questo insieme di mondi costituisce una base modale8 doxastica (dal greco antico doxa ‘opinione’). Torniamo ora alle singole proposizioni. Se affermiamo che un individuo x crede p in w (dove p è una proposizione), vogliamo dire che p contribuisce a determinare lo stato di credenza che x ha nel mondo di valutazione w; dunque, la proposizione p è un sovrainsieme dell’insieme dei mondi che rappresentano questo stato di credenza. plausibile: noi ci troviamo in un mondo possibile – il mondo attuale – ma non siamo in grado di descriverlo esaustivamente. 5 Ricordiamo dal cap. 1, § (12) che due enunciati sono contraddittori se non possono essere entrambi veri nella stessa circostanza di valutazione; questo significa che le proposizioni corrispondenti sono due insiemi disgiunti di mondi possibili, e la loro intersezione è l’insieme vuoto. 6 Questa è la formulazione utilizzata correntemente nella filosofia del linguaggio. 7 Cf. Heim (1992, 187); Kaufmann et al. (2006, § 2). 8 Nozione introdotta da Angelika Kratzer (Kratzer 1981). 9 (Ricordiamo ancora una volta che una singola proposizione come p corrisponde ad un insieme vastissimo di mondi.) In termini funzionali, la proposizione p (una funzione di tipo <s,t>: § 4) produce il valore vero per tutti i mondi possibili che appartengono a Doxx(w): [[x crede p]]w = 1 sse per ogni mondo w′ ∈ Doxx(w), p(w′) = 1 (dove p è la proposizione espressa dalla frase subordinata p) Questo, naturalmente, ci dà uno schema del tutto astratto (come è tipico della semantica modellistica); la domanda più fondamentale è, come facciamo a determinare quali mondi sono doxasticamente accessibili a un soggetto in una certa circostanza (stato di credenza), e quali mondi, invece, sono epistemicamente9 accessibili (stato di conoscenza)? Che cosa sono, esattamente, le relazioni di accessibilità (doxastica vs. epistemica)? In che modo differiscono la credenza e la conoscenza? Queste domande costituiscono temi d’indagine centrali per la logica modale e per la filosofia del linguaggio: queste discipline si preoccupano, da un lato, di chiarire le proprietà formali delle relazioni di accessibilità, e dall’altro, di sviluppare una riflessione generale sulla natura degli atteggiamenti proposizionali. Poiché il nostro interesse è specificamente linguistico, ci limiteremo a pochi cenni al riguardo (con la speranza che stimoleranno l’appetito del lettore verso letture più esaurienti). Gli atteggiamenti proposizionali si differenziano in base alle proprietà relazioni di accessibilità (ovvero, dal nostro punto di vista, delle basi modali corrispondenti). Facciamo un esempio: una differenza fondamentale fra uno stato attitudinale doxastico e uno stato epistemico è la proprietà del realismo: Una base modale Bx(w) è realistica sse tutte le proposizioni che essa supporta (cioè le proposizioni che sono vere in tutti i mondi w' ∈ Bx(w)) sono vere anche nel mondo di valutazione w. In altri termini, il mondo di valutazione w appartiene alla base modale stessa (w ∈ Bx(w)). Una base modale epistemica è realistica, una base doxastica non lo è necessariamente: infatti, le conoscenze di un individuo in un mondo (circostanza) di valutazione w sono vere in w; al contrario, le credenze di un individuo in w possono anche risultare false in w. (Ad esempio, io credo che il mio corso di semantica piaccia moltissimo a tutti i miei studenti. 10 Questa credenza, probabilmente non realistica, mi aiuta ad vivere con più ottimismo il mio compito di insegnamento.) Un’altra proprietà rilevante è l’introspettività (positiva): se un soggetto x crede p, allora crede anche di credere p.10 Intuitivamente, questo corrisponde al fatto che noi abbiamo accesso alle nostre credenze: se ho una certa opinione, sono in grado di dire agli altri la mia opinione (questo è un uso molto frequente del linguaggio ordinario!). Nella nostra formalizzazione, l’introspettività positiva corrisponde al fatto che l’accessibilità doxastica è una relazione transitiva che, applicata a qualsiasi mondo della base modale doxastica di partenza, ci mantiene all’interno di questa stessa base modale: Introspettività positiva in tutti i mondi w′ ∈ Doxx(w), Doxx(w′) è un sottoinsieme di Doxx(w). Un atteggiamento proposizionale decisamente più complesso è il desiderio.11 Per rendercene conto, puntualizziamo un’ altra proprietà delle basi modali. Nel cap. 1, § 5.1. abbiamo analizzato l’implicazione nei termini della relazione insiemistica di inclusione: una proposizione p implica una proposizione q se e soltanto se l’insieme dei mondi caratterizzato da p è incluso nell’insieme dei mondi caratterizzato da q (p ⊆ q). Supponiamo ora che p faccia parte delle credenze di un individuo x in w: dunque, p fa parte dell’insieme di proposizioni che, intersecate fra loro, determinano la base modale Doxx(w); di conseguenza, Doxx(w) è un sottoinsieme di p. Ma poiché p è un sottoinsieme di q, ne segue per transitività che Doxx(w) è anche un sottoinsieme di q (Doxx(w) ⊆ p ⊆ q); dunque, anche la proposizione implicata q rientra fra le credenze di x in w. Questo significa che una base modale doxastica è chiusa rispetto all’implicazione (ovvero, supporta un insieme di proposizioni con tutte le loro conseguenze logiche). Proviamo ora a rappresentare anche l’atteggiamento proposizionale espresso dai verbi vuole o desidera attraverso una base modale buletica chiusa rispetto all’implicazione: avremo che, 9 Dal greco antico episteme (‘conoscenza’). Questa proprietà vale anche per le basi modali epistemiche: se so qualcosa, allora so anche di saperla. Una proprietà distinta, sia concettualmente che formalmente, è l’introspettività negativa: io non credo di credere qualcosa che in effetti non credo; ossia, non ho credenze false rispetto alle mie credenze. 11 Questa discussione è basata su Heim (1992). 10 11 se p implica q, allora x vuole p implica x vuole q. E’ davvero valida una implicazione del genere? Supponiamo che io sia malato. Io desidero guarire. Ma guarire implica essere stati malati, e io non desidero essere stato malato. Supponiamo che ci sia stato un crimine. Io voglio sapere chi ha commesso il crimine. Ma il mio sapere chi ha commesso il crimine implica che il crimine è stato commesso, e io non ho mai voluto che il crimine venisse commesso. (Stalnaker 1984, citato in Heim 1992, § 4.1; trad. dell’Autrice). Questi esempi suggeriscono che l’atteggiamento proposizionale di desiderio non può essere analizzato esclusivamente nei termini di una base modale chiusa rispetto all’implicazione. La soluzione proposta da Heim (1992) è in termini di preferenza: certi mondi possibili sono preferibili rispetto ad altri. [Consideriamo l’enunciato] Il prossimo semestre voglio insegnare il martedì e il giovedì. Supponiamo che questo enunciato sia intuitivamente vero in quanto enunciato da me oggi. Si dà perciò il caso [...] che io insegno di martedì e giovedì in tutti i mondi che sono compatibili con tutto ciò che io desidero? No. Nei mondi compatibili con tutto ciò che desidero, io non insegno affatto. [...] Tuttavia io credo che insegnerò (un compito didattico regolare) il prossimo semestre. Questo significa che non ci sono mondi doxasticamente accessibili in cui io non insegno affatto. Nei mondi doxasticamente accessibili, io insegno o il martedì o il giovedì, oppure insegno in giorni diversi della settimana. Tra questi, i mondi del primo tipo sono più desiderabili di quelli del secondo tipo, e questo rende l’enunciato [...] vero [...]. (Heim 1992, (33)). Secondo Heim, l’atteggiamento di desiderio parte da una base modale doxastica, ma stabilisce all’interno di questa un ordinamento in base alla preferibilità: Relazione di desiderabilità <x, w tra insiemi di mondi: Per tutti i mondi w e gli insiemi di mondi X, Y: X <x, w Y sse per tutti i w′∈ X e i w′′ ∈ Y, w′ è più desiderabile di w′′ per x in w (w è il mondo di valutazione). In prosa: tutti i mondi di X sono più desiderabili di tutti i mondi di Y (per x in w). 12 Tuttavia, vogliamo valutare la preferibilità relativa dei mondi rispetto al contenuto di una specifica proposizione p: ossia, vogliamo che la preferibilità tenga conto soltanto della verità o falsità di p, con tutto il resto invariato. A questo scopo, definiamo una funzione di similitudine da insiemi di mondi a insiemi di mondi: questa funzione seleziona, fra i mondi in cui p è vera, il sottoinsieme dei mondi che sono massimamente simili ad un mondo di riferimento w:12 Funzione di similitudine Simw(p) = {w′: p(w′) = 1 e w′ assomiglia a w non meno di qualsiasi altro mondo w′′ tale che p(w′′) = 1} L’atteggiamento proposizionale di desiderio può quindi essere analizzato come segue: [[x vuole p]]w = 1 sse per ogni mondo w′ ∈ Doxx(w), Simw′ (p) <x, w Simw′(W – p)13 (dove p è la proposizione espressa dalla frase subordinata p) In prosa: in tutti i mondi w′ doxasticamente accessibili ad x nel mondo di valutazione w, i mondi massimamente simili a w′ in cui p è vero sono più desiderabili (per x in w) dei mondi massimamente simili a w′ in cui p è falso. Ricordiamo che la base modale su cui quantifichiamo è una base doxastica: questo definisce perciò l’atteggiamento proposizionale che potremmo chiamare del ‘desiderio ragionevole’, ossia il desiderio compatibile con il modo in cui io credo stiano le cose. Come segnala la stessa Heim, questa analisi non si estende ai desideri controfattuali, cioé gli atteggiamenti in cui un individuo desidera qualcosa che sa essere irrealizzable (ad. es: Vorrei che questa giornata non finisse mai). Purtoppo il desiderio controfattuale esiste, ed è uno dei molti modi in cui un essere umano si rende infelice da sé. Per cui, non cercheremo di analizzarlo. 12 E’ necessario stipulare che questo insieme non sia mai vuoto. W– p è l’insieme complemento dei mondi in cui p è falso (cf. cap. 1, § 5.1). Una notazione alternativa che si trova nella letteratura è: W \ p. 13 13 5.1. Analisi composizionale Veniamo ora all’analisi composizionale dei verbi di atteggiamento proposizionale, riprendendo il nostro esempio (3): 14 (3) [S Dudley [VP pensa [CP che [TP Edvige è aggressiva]].15 Il soggetto del verbo denota un individuo; il complemento del verbo è una frase subordinata. Che interpretazione le diamo? Sappiamo, dal contrasto fra (3) e (4), che deve essere un’interpretazione di tipo intensionale: dunque, una proposizione (tipo <s,t>). Il verbo pensa esprime così una relazione fra un individuo e una proposizione: la proposizione espressa dalla frase [Edvige è aggressiva] è vera in tutti i mondi doxasticamente accessibili a Dudley in w. Come sempre, faremo prima la composizione fra il verbo e il suo complemento (cioé la frase subordinata), ed otterremo a livello VP una funzione di tpo <e,t>. In notazione funzionale avremo dunque: per qualsiasi mondo w, [[credere]]w = [λp<s,t>.[λxe. p(w′)=1 per ogni w′∈ Doxx(w)]] Ma come si ottiene composizionalmente l’intensione della frase subordinata? Nei capitoli precedenti, abbiamo sviluppato la composizione semantica di denotazioni dei tipi estensionali. Ma in realtà, una estensione è sempre l’output restituito da una intensione per un dato mondo di valutazione. Quindi, il punto di partenza sono le intensioni, come ad esempio: [[ aggressivo]] = [λw.[λx. x aggressivo in w]]; [[credere]]w = [λw.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈ Doxx(w)]]. Dobbiamo dunque ripensare alle nostre denotazioni estensionali come il risultato dell’applicazione delle corrispondenti intensioni ad un mondo w: [λw.[λx. x aggressivo in w]] (w). Ma vogliamo anche che il mondo w rispetto al quale calcoliamo le estensioni – il 14 In italiano, la frase subordinata è introdotta dalla particella che. Dal punto di vista sintattico, questa è analizzata come un complementatore (C), che proietta una categoria autonoma (S′ o CP) e prende S come complemento. Nella nostra analisi, considereremo che semanticamente irrilevante. 15 Trascureremo qui il problema dell’alternanza tra congiuntivo e indicativo nelle frasi subordinate a verbi di atteggiamento proposizionale. La distribuzione del congiuntivo varia da una lingua all’altra, ma il pattern complessivo sembra essere sensibile a proprietà semantiche come, ad esempio, il realismo. Per una analisi che fa riferimento alle basi modali, si veda Giorgi & Pianesi (1997, cap. 5). 14 mondo di valutazione – rimanga costante per parti diverse di uno stesso enunciato. A questo scopo, riformuliamo la regola di composizione per applicazione funzionale (cap. 3, § 7) 16 in modo che tenga conto del mondo di valutazione:17 Regola di composizione per applicazione funzionale Se una categoria sintattica ha due costituenti immediati α e β, dove l’intensione di α restituisce in output una funzione, e l’intensione di β restituisce un output che cade nel dominio di quella funzione, allora l’intensione dell’intera categoria è la funzione che, per ogni mondo possibile w, calcola l’estensione di α e di β in w e restituisce il risultato della applicazione funzionale della prima alla seconda. In modo molto più compatto: [[α]] ([[β]]) = [λw. [[α]](w) ([[β]] (w))] Ad esempio: [[ [TP Edvige è aggressiva] ]] = [[ [T′ è aggressiva] ]] ([[ [NP Edvige] ]]) = [λw. [λw′.[λx. x aggressivo in w′] (w) ( [λw′′. edvige]18 (w)) = [λw. [λx. x aggressivo in w] (edvige)] = [λw. edvige aggressivo in w]. Abbiamo così ottenuto la proposizione che funge da argomento del verbo intensionale pensa in (3). Tuttavia, nel fare la composizione fra il verbo intensionale e il suo complemento frasale, non vogliamo che la proposizione [λw. edvige aggressivo in w] venga ‘ridotta’, in ogni mondo w, ad una estensione appropriata; è essenziale che il verbo prenda come argomento la proposizione stessa. A questo scopo, dobbiamo definire una ulteriore clausola della regola di applicazione funzionale che si applica quando una funzione richiede un input di tipo intensionale, e non riduce ad estensione l’intensione del suo argomento: 16 Se adottiamo la regola di modificazione tramite congiunzione (cap. 5, § 4.2), dovremo riformulare anche questa in modo parallelo. 17 Riprendo, semplificandola, la formulazione estremamente chiara e concisa di Krifka (2011, § 2.4). 15 Regola di composizione per applicazione funzionale: clausola per i verbi intensionali19 (‘seconda clausola’) [α]] ([[β]]) = [λw. [[α]](w) ([[β]])] E’ importante sottolineare che la scelta di quale clausola applicare è, ancora una volta, guidata dai tipi semantici. Se l’estensione di un verbo è una funzione che richiede un input di tipo estensionale, applicheremo la prima clausola; se invece l’estensione del verbo è una funzione che richiede un input di tipo intensionale, applicheremo la seconda clausola. Proseguendo la nostra composizione per l’esempio (3): [[ VP]] = [[ V]] ([[ CP ]]) = [[ crede]] (([[ [CP che Edvige è aggressiva] ]]) [λw′′.[λw.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w)]]](w′′) ([λw′′′. edvige aggressivo in w′′′]) (per la clausola della regola di applicazione funzionale per V intensionali) = [λw′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′)]] ([λw′′′. edvige aggressivo in w′′′]) = [λw′′.[λx. [λw′′′. edvige aggressivo in w′′′] (w′) = 1 per ogni w′∈Doxx(w′′)]] = [λw′′.[λx. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxx(w′′)]] Abbiamo così ottenuto l’intensione del VP: una funzione che, per qualsiasi mondo w′′, restituisce la funzione caratteristica degli individui x che in w′′ credono che Edvige sia aggressiva. L’ultimo passaggio di composizione fra il VP e il soggetto utilizza la prima clausola della regola di applicazione funzionale: [[ [NP Dudley] ]] = [λw′. dudley] [[ S]] = [[ VP]] ([[ NP ]]) = [λw. [[ VP]] (w) ([[ NP ]] (w))] = [λw. [λw′′.[λx. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxx(w′′)]] (w) ([λw′. dudley] (w))= [λw. [λx. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxx(w)] (dudley) = [λw. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxdudley(w)] 18 [λw′′. edvige] è la funzione costante che, per qualsiasi mondo possibile, restituisce l’individuo edvige (poiché i nomi propri sono designatori rigidi: cfr. cap. 2, § 2; questo capitolo, § 3.) 19 Come chiarisce Forbes (2004), un operatore è detto intensionale perché la sua estensione in ogni mondo è una funzione che prende in input intensioni. 16 Ciò che abbiamo ottenuto al livello del nodo S non è più un semplice valore di verità, ma una proposizione; se applichiamo questa proposizione ad un mondo di valutazione, otterremo il valore di verità che l’enunciato (3) ha in quel mondo. (Vedremo tuttavia nel cap. 12 che si può fare un uso molto più interessante di questa proposizione.) E’ importante sottolineare che, nell’interpretazione composizionale di (3), il predicato della frase subordinata (aggressiva) viene interpretato relativamente ai mondi w′ che sono doxasticamente accessibili a Dudley in un mondo di valutazione w (Doxdudley(w)), e non viene interpretato relativamente al mondo di valutazione stesso. (Ricordiamo anche che il mondo di valutazione w non fa necessariamente parte di Doxdudley(w), poiché le basi modali doxastiche non sono realistiche: la povera Edvige, in w, è innocua.) Questa dissociazione fra i mondi rispetto a cui valutiamo la frase subordinata e i mondi rispetto a cui valutiamo l’intero enunciato ci permette di rendere conto del fallimento della sostitutività nel passaggio da (3) a (4): (4) Dudley pensa [CP che [DP la civetta di Harry] sia aggressiva]. Ricordiamo che la descrizione definita [DP la civetta di Harry], al contrario dei nomi propri, non è un designatore rigido, ma denota individui diversi in mondi/circostanze diverse. Questa descrizione definita è un costituente della frase subordinata, che ci dà la proposizione: [λw′. l’unico x tale che x è una civetta di proprietà di Harry in w′ è aggressivo in w′]. L’applicazione del verbo intensionale a questa proposizione ci dice che questa proposizione è vera in tutti i mondi possibili w′′ che sono compatibili con le credenze di Dudley in w. La descrizione definita viene così interpretata relativamente ai mondi possibili compatibili con le credenze di Dudley; in questi mondi, l’estensione della descrizione definita potrebbe essere un individuo diverso dalla civetta bianca di nome Edvige (che è l’estensione della descrizione definita nella circostanza di valutazione w), e per questo motivo, la sostituzione con un nome proprio che ha la stessa denotazione del DP in w non preserva le stesse condizioni di verità. L’interpretazione di una descrizione definita entro un contesto opaco (intensionale) è detta interpretazione de dicto. Un altro tipo molto interessante di interpretazione de dicto emerge con i quantificatori intersettivi: (5) Petunia pensa [CP che [QP un mago] [VP perseguiti Dudley]]. 17 Senza addentrarci nell’analisi composizionale, possiamo vedere che la frase subordinata esprime la proposizione che caratterizza l’insieme dei mondi w′ nei quali esiste almeno un mago che perseguita Dudley.20 La composizione con il verbo intensionale, e poi col soggetto, ci dice che questa proposizione dà il valore vero in tutti i mondi w′′ compatibili con ciò che Petunia crede (nel mondo di valutazione w). La forza quantificazionale del quantificatore intersettivo è ‘intrappolata’ nella proposizione subordinata: perciò (5) non implica che nel mondo di valutazione w esiste effettivamente un mago, ma implica solo che esiste un mago nei mondi compatibili con le credenze di Petunia. 6. Alcuni problemi Questo approccio generale agli atteggiamenti proposizionali solleva un gran numero di problemi, che sono più propriamente oggetto di studio della filosofia del linguaggio; qui ne accenneremo soltanto due, senza addentrarci nelle possibili soluzioni, che sono tecnicamente (oltre che concettualmente) piuttosto complesse. Un primo problema molto dibattuto è quello dell'onniscienza logica:21 alcuni enunciati, come gli enunciati matematici, sono veri in tutti i mondi possibili di W; dunque, sono anche veri in tutti i mondi epistemicamente o doxasticamente accessibili a qualsiasi individuo. Ne consegue che ogni individuo dovrebbe essere matematicamente e logicamente onnisciente. Ma questa conseguenza è chiaramente problematica. Il problema può essere riformulato anche in termini un po’ diversi: nella semantica a mondi possibili, esiste un’unica proposizione necessariamente vera, cioè quella che denota (la funzione caratteristica dell’) intero insieme W: dunque, tutti gli enunciati matematici denotano la stessa proposizione (W). Di fronte a questo problema, la reazione più intuitiva è che la rappresentazione delle proposizioni come insiemi di mondi possibili non è sufficientemente dettagliata (finegrained): gli insiemi di mondi possibili sono oggetti troppo poco strutturati per rendere 20 Più precisamente: i mondi w nei quali l’insieme dei maghi ha un’intersezione non vuota con l’insieme delle entità che perseguitano Dudley (cf. cap. 7). Ricordiamo che la restrizione e la portata di un quantificatore sono ora intensioni di tipo <s, <e,t>>, che danno funzioni caratteristiche diverse in mondi diversi. 21 Chierchia (1992, 306-308); Casalegno (1997, 153-157). 18 conto in modo adeguato delle condizioni di verità dei nostri atteggiamenti proposizionali. Una via di soluzione è assumere oggetti più complessi, come le proposizioni strutturate.22 Un altro problema molto noto riguarda il trattamento degli atteggiamenti de dicto e de re. Come abbiamo visto, nella lettura de dicto di (4), la descrizione definita [DP la civetta di Harry] viene interpretata nella portata del verbo di atteggiamento proposizionale, quindi relativamente ai mondi possibili compatibili con le credenze di Dudley (in w). Ma è possibile per un parlante utilizzare la stessa descrizione definita per riferirsi a quella che secondo lui, e non secondo Dudley, è la civetta di Harry, cioé Edvige: questa è la cosiddetta interpretazione de re. A prima vista, la descrizione definita sembra essere interpretata al di fuori della portata del verbo intensionale; ripensando al movimento invisibile (QR: cap. 7, § 2.2) potremmo supporre che la descrizione definita si sposti ‘invisibilmente’ al di fuori della frase subordinata, lasciando una variabile nella posizione argomentale. Ma Quine (1956) ha proposto un celebre argomento contro questo tipo di soluzione:23 (6) a. Ralph crede [che [l’uomo col cappello marrone] sia una spia]. b. Ralph non crede [che [l’uomo che ha visto in spiaggia] sia una spia]. Supponiamo di interpretare de re gli enunciati in (6): nella circostanza di valutazione, le descrizioni definite [l’uomo col cappello marrone] e [l’uomo che (Ralph) ha visto in spiaggia] denotano lo stesso individuo, dal nome di Bernard J. Ortcutt. Dunque, Ralph sembra avere credenze contraddittorie rispetto allo stesso individuo. Ma in effetti Ralph ha avuto accesso allo stesso individuo in situazioni diverse (prima come l’uomo col cappello marrone, poi come l’uomo visto sulla spiaggia), senza rendersi conto che si trattava dello stesso individuo: in un caso del genere, non sembra corretto imputare a Ralph una contraddizione, come l’interpretazione de re ci costringe a fare. Questo problema porta Quine a rifiutare la possibilità di quantificare entro i contesti intensionali: questi ultimi sono radicalmente ‘opachi’. 22 Si veda King (2001), voce Philosophy. «Structured propositions» nella Stanford Encyclopaedia of 19 Esercizi 1. Si considerino i seguenti enunciati: (7) Viktor pensa che la fidanzata di Harry sia bella. (8) Viktor non pensa che Ginny sia bella. In una circostanza di valutazione in cui Harry è fidanzato con Ginny, ma Viktor crede che sia fidanzato con Hermione, (7) e (8) sono contraddittori o no? Perché? 2. Struttura sintattica e composizione semantica per il seguente enunciato: (9) Ron pensa che Harry dorme. Soluzioni 1. (7) e (8) non sono contraddittori se la descrizione definita [la fidanzata di Harry] è interpretata de dicto: in tutti i mondi w doxasticamente accessibili a Viktor nella circostanza di valutazione, [[ [DP la fidanzata di Harry] ]]w = hermione, la frase subordinata in (7) esprime la proposizione [λw. hermione bella in w], mentre la subordinata di (8) esprime la proposizione [λw. ginny bella in w]; quindi, gli atteggiamenti proposizionali espressi nella frase matrice di (7) e di (8) non hanno per oggetto la stessa proposizione. Se invece la descrizione definita [la fidanzata di Harry] è interpretata de re, relativamente alla circostanza di valutazione w0, allora [[ [DP la fidanzata di Harry] ]]w0 = ginny, e le frasi subordinate di (7) e (8) esprimono la stessa proposizione: [λw. ginny bella in w]; quindi, (7) e (8) sono contraddittorie, in quanto predicano atteggiamenti proposizionali contrari di Viktor verso la stessa proposizione. 2. (9) [S [NP Ron] [VP pensa [S′ che [S [NP Harry] [VP dorme]]]]]. [[ VP]] = [[ V ]] =[[ dorme]] = [λw′. [λx. x dorme in w′]] [[ NP]] = [[ N ]] =[[ Harry]] = [λw. harry] [[ S]] = [λw. [[VP]] (w) ([[ NP]] (w)) = (per la prima clausola) = [λw. x dorme in w] (harry) = [λw. harry dorme in w] [[CP]] = [[S]] (C semanticamente irrilevante) [[ V]] = [[ pensa ]] = [λw′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′)]]] [[ VP]] = [λw′′′. [[ V]] (w′′′) ([[CP]]) = (per la seconda clausola) = [λw′′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′′)]] ([[CP]])] = = [λw′′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′′)]] ([λw. harry dorme in w] )] = 23 Cfr. Casalegno (1997, 147 sgg.). 20 = [λw′′′.[λx. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxx(w′′′)]] [[ NP]] = [[ N ]] =[[ Ron]] = [λw′′. ron] [[ S]] = [λw. [[VP]] (w) ([[ NP]] (w))] = (per la prima clausola) = [λw. [λw′′′.[λx. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxx(w′′′)]] (w) ([λw′′. ron] (w))] = [λw. [λx. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxx(w)] (ron)] = = [λw. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxron(w)]. Domande 1. Che cosa predice il principio di sostituibilità? 2. In quali contesti fallisce il principio di sostituibilità? 3. Che cosa sono l’estensione e l’intensione di un enunciato? 4. In che senso l’interpretazione degli enunciati modali è «non locale»? 5. Come si possono definire, in generale, i tipi semantici e i corrispondenti domini denotazionali? 6. Come si può rappresentare lo stato di credenza di un soggetto? 7. Che cos’è una base modale doxastica? 9. Che cos’è il realismo? Quali basi modali sono realistiche? 10. Che cos’è l’introspettività positiva? 11. Perché l’atteggiamento di desiderare non è chiuso rispetto all’implicazione? In quale modo lo possiamo analizzare? 12. Tenendo conto del livello intensionale, come dobbiamo riformulare la regola di composizione per applicazione funzionale? 13. Che cosa si intende per interpretazione de dicto? Discutere con un esempio. 14. Che cos’è il problema dell’onniscienza logica? 15. Discutere, con esempi, l’argomento di Quine riguardo all’analisi della lettura de re.