L` 1. Il problema della sostituibilità Fino ad ora abbiamo costruito un

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1
9 – L’INTENSIONALITÀ
1. Il problema della sostituibilità
Fino ad ora abbiamo costruito un sistema estensionale, cioè un sistema in cui
l’interpretazione è relativa ad un singolo mondo o circostanza possibile. Ma un approccio
puramente estensionale non è in grado di catturare la capacità espressiva delle lingue
naturali. Vediamo perché.
Sul piano estensionale, una conseguenza diretta del principio di composizionalità è il
principio di sostituibilità:
Principio di sostituibilità
Siano [B ... A ... ] e [B´ ... A´ ...] due espressioni tali che B´ è formata sostituendo in B
una o più occorrenze di A con altrettante occorrenze di A´, e lasciando invariato il
resto. Allora:
se A e A´ hanno la stessa denotazione, B e B´ hanno la stessa denotazione.
Infatti, se l’interpretazione è composizionale, la denotazione di B e B´ è determinata dalla
denotazione dei rispettivi costituenti immediati (cap. 2, § 1), che a loro volta sono
determinati dai propri costituenti immediati, e così via. L’unica differenza fra B e B´ è la
sostituzione di A con A´; ma poiché per ipotesi A e A´ hanno la stessa denotazione, essi
danno esattamente lo stesso contributo al processo composizionale, e dunque, le
condizioni di verità risultanti saranno equivalenti.
Ecco una applicazione del principio di sostituibilità:
(1) Edvige dorme.
(2)
[La civetta di Harry] dorme.
dove, nella circostanza di valutazione, [[ Edvige]] = [[la civetta di Harry]] = edvige (la civetta
delle nevi che Harry ha ricevuto in regalo per il suo undicesimo compleanno).
In (3) e (4), però, osserviamo una violazione del principio di sostituibilità:
(3) Dudley pensa [che [Edvige] è aggressiva].
(4) Dudley pensa [che [la civetta di Harry] è aggressiva].
2
Il verbo pensa introduce due frasi subordinate, che sono identiche eccetto che per il
soggetto: [Edvige] in (3), [la civetta di Harry] in (4). Anche se nella circostanza di
valutazione questi due sintagmi denotano lo stesso individuo (edvige), gli enunciati (3) e
(4) possono avere valori di verità distinti. Per esempio, nella circostanza di valutazione
Dudley crede erroneamente che suo cugino Harry possieda una certa civetta marrone, e
considera aggressiva quella civetta, mentre non ha alcun pregiudizio negativo verso la
civetta delle nevi di nome Edvige: in tale circostanza, l’enunciato (4) è vero e l’enunciato (3)
è falso. Se i due enunciati hanno valori di verità diversi nella stessa circostanza di
valutazione, allora non esprimono le stesse condizioni di verità; dunque, nei contesti
introdotti dal verbo pensare, il principio di sostituibilità non è valido.
I contesti in cui viene meno la sostituibilità vengono detti opachi o intensionali.
2. I mondi possibili
Per affrontare i contesti intensionali, dovremo utilizzare un ingrediente del modello che
finora abbiamo lasciato da parte, cioé i mondi possibili; ricapitoliamo perciò alcune nozioni
che abbiamo introdotto nel cap. 1.
Il riferimento a stati di cose ipotetici e oggetti fittizi è parte integrante della nostra capacità
cognitiva: noi formuliamo ipotesi sulle possibili conseguenze delle nostre azioni, ci
aspettiamo certi risultati, e a volte rimpiangiamo ciò che avremmo potuto fare ma non
abbiamo fatto. Per esprimere formalmente questa capacità, abbiamo introdotto nel modello
di interpretazione un insieme infinito W di mondi possibili, assumendo i mondi come
primitivi (cioé entità non definite).
Abbiamo inoltre assunto la condizione di consistenza: per ogni mondo possibile w ∈ W,
un enunciato φ sarà vero in w o falso in w. Scriveremo:
[[φ]]w = 1
per indicare che l’enunciato φ, interpretato rispetto al mondo di valutazione w, ha valore
vero (brevemente: φ è vero in w).
3
Più precisamente, abbiamo parlato di una circostanza di valutazione. Ma che cosa sono le
circostanze possibili? Nell’impostazione di Montague, le circostanze sono definite come
coppie <w,t>, dove w è un mondo possibile e t è un istante o intervallo temporale: un
certo mondo ad un certo intervallo di tempo. (A livello intuitivo, possiamo concepire le
circostanze come segmenti temporalmente delimitati di una possibile storia del mondo.)
Ciò richiede di introdurre nel modello non solo un insieme di mondi possibili, ma anche un
insieme di istanti (T) parzialmente ordinato da una relazione di precedenza temporale:
M = <D, W, T, [[ ]]>
In questo capitolo, tuttavia, considereremo soltanto i mondi possibili, rimandando la
dimensione temporale al prossimo capitolo.
Una proposizione è un modo di dividere l'insieme W in due sottoinsiemi: quello dei mondi
in cui l'enunciato è vero, e quello dei mondi in cui l'enunciato è falso. La proposizione
espressa da un enunciato α è dunque l’ insieme dei mondi possibili w tali che:
{w: [[α]]w = 1}
Immaginiamo ora di avere un insieme W molto ristretto: nei mondi w1 e w2, Edvige è
effettivamente aggressiva (perché passa troppo tempo chiusa in gabbia), mentre nei mondi
w3 e w4, Edvige è ben curata e non è affatto aggressiva. Dunque, l’enunciato (5):
(5) Edvige è aggressiva.
esprime la proposizione: {w: [[ [S Edvige è aggressiva] ]]w = 1} = {w1, w2}.
Supponiamo ora di avere come mondo di valutazione w4; in questo mondo, come
sappiamo, (5) è falso. Ma come valuteremmo in w4 l’enunciato (6)?
(6) Edvige potrebbe essere aggressiva.
Intuitivamente, questo enunciato non descrive come stanno le cose nel mondo di
valutazione, ma piuttosto come stanno le cose in altri mondi ipotetici, alternativi al mondo
di valutazione. Se consideriamo gli altri mondi di W oltre a w4, troviamo che ci sono dei
mondi in cui Edvige è aggressiva (w1 e w2), e la verità di (5) in questi mondi alternativi è
4
sufficiente a rendere vero (6) in w4. Come chiarisce efficacemente Portner (2007), per gli
enunciati estensionali come (5), possiamo determinare la verità o falsità in un dato mondo
guardando solo allo stato di cose che vige in quello stesso mondo; invece, per interpretare
un enunciato modale come (6) in un dato mondo (ad esempio w4), dobbiamo guardare allo
stato di cose che vige in altri mondi: in questo senso, l’interpretazione della modalità è «non
locale». Anche in questo caso, dobbiamo uscire dalla dimensione puramente estensionale.
Analogamente, per valutare la verità o falsità delle attribuzioni di credenza1 (3)-(4) in un
dato mondo di valutazione, dobbiamo far riferimento a come stanno le cose non in quel
mondo (dove [[ Edvige]] = [[la civetta di Harry]] = edvige), ma piuttosto nei mondi possibili
che sono compatibili con le credenze di Dudley. I mondi possibili ci permettono così di
esprimere un’altra capacità cognitiva fondamentale, cioè la capacità di rappresentarci gli
stati di credenza di altre persone.
3. Estensioni e intensioni
Così come il valore di verità di un enunciato, anche l'estensione di un predicato (un insieme
di individui, di coppie ecc.), e in genere la denotazione dei termini descrittivi, dipendono
dalle circostanze/mondi. (Ad es., io insegno semantica, ma avrei potuto fare tutt’altro.)
Scriveremo perciò:
[[ama]]w= l'estensione di ama in w = [λx.[λy. y ama x in w]]
I nomi propri e le costanti logiche, come i connettivi e i determinanti quantificazionali,
hanno invece la stessa estensione in tutti i mondi.
Generalizzando a partire dalla nozione di proposizione, possiamo definire l’intensione di
una qualsiasi espressione linguistica come una funzione che prende in input un mondo
possibile e produce come output un’estensione del tipo appropriato (si parla di intensione
carnapiana).2
In linea di principio, qualunque espressione linguistica ha un’intensione. Ad esempio,
l’intensione della descrizione definita [DP la civetta di Harry] è una funzione che, per ciascun
mondo possibile, restituisce un individuo: l’unico individuo che, in quel mondo, ha la
1
In inglese belief reports.
Non ci addentreremo qui nel problema del rapporti tra le intensioni carnapiane e la
nozione di Sinn di Frege; si veda Casalegno (1997, cap. 5).
2
5
proprietà di essere una civetta e la proprietà di essere posseduta da Harry. Lo schema
seguenti indica le estensioni e le intensioni delle categorie sintattiche che abbiamo fin qui
considerato:
CATEGORIA
ESTENSIONE
INTENSIONE
Nomi propri
individuo
Funzione costante che, per ogni
mondo possibile, restituisce lo
stesso individuo. 3
funzione da mondi possibili a
insiemi di individui (proprietà) : per
ogni mondo w, restituisce l'insieme
degli individui che ricadono
nell'estensione del N/V/A in w
funzione da mondi possibili a
insiemi di coppie ordinate di
individui
Nomi comuni; V e (funzione caratteristica di un)
A non relazionali
insieme di individui
V transitivi, P
Descrizioni definite
enunciato
(funzione con annidamento
che caratterizza un) insieme
di coppie ordinate di
individui
individuo
funzione non costante da mondi
possibili a individui (concetto
individuale)
valore di verità
Funzione da mondi possibili a
valori di verità (proposizione)
4. Definizione ricorsiva dei tipi intensionali
Nel cap. 3, § 6 abbiamo dato una definizione ricorsiva dei tipi semantici estensionali.
Possiamo ora arricchire l’inventario dei tipi semantici aggiungendo una sola clausola (d)
che, per qualsiasi tipo estensionale, genera il tipo intensionale corrispondente:
Definizione dei tipi semantici
a) e è un tipo semantico;
b) t è un tipo semantico;
c) Dati due qualsiasi due tipi semantici σ e τ, <σ,τ> è un tipo semantico;
d) se τ è un tipo, <s, τ> è un tipo semantico;
e) nient'altro è un tipo semantico.
3
Ricordiamo che secondo la proposta di Kripke, i nomi propri sono designatori rigidi:
denotano lo stesso individuo in tutti i mondi possibili. Per una discussione accessibile si
veda Casalegno (1997, cap. 8). Ricordiamo che il dominio D del modello contiene entità
possibili, alcune delle quali sono reali nel mondo attuale (es. Valentina Bianchi), altre no (es.
Harry Potter); ciascun mondo ha le proprie entità reali.
6
In questa definizione s è il tipo dei mondi possibili, che tuttavia non viene definito come
tipo-base autonomo, ma solo come tipo del dominio (insieme degli input) di tutte le
funzioni intensionali.
Ecco la definizione dei domini semantici corrispondenti. Sia W l'insieme di tutti i mondi
possibili. Ad ogni w ∈ W è associato il dominio degli individui che esistono in w. Sia D
l'unione di tutti i domini di tutti i mondi possibili (cioé l'insieme di tutti gli individui
possibili):
Definizione dei domini semantici
a) De = D, l'insieme degli individui possibili
b) Dt = {0,1}
c) Se σ e τ sono tipi semantici, D<σ, τ> è l'insieme delle funzioni da Dσ a Dτ
d) Se τ è un tipo semantico, D<s, τ> è l'insieme delle funzioni da W a Dτ
In generale, l’intensione di una espressione α di tipo τ è una funzione di tipo <s, τ> (da
mondi possibili a estensioni del tipo appropriato τ), cioè, in termini funzionali:
λw. [[α]]w (l’intensione di α)
La tabella seguente elenca i tipi estensionali e intensionali corrispondenti alle categorie
sintattiche fin qui esaminate:
CATEGORIA
TIPO ESTENSIONALE
TIPO INTENSIONALE
Nomi propri
Nomi comuni; V e
A non relazionali
V transitivi, P
Descrizioni definite
enunciato
e
<e,t>
<s,e>
<s, <e,t>>
<e,<e,t>>
e
t
<s, <e,<e,t>>>
<s, e>
<s,t>
Vediamo ora una applicazione concreta dell’apparato intensionale che abbiamo delineato.
5. Gli atteggiamenti proposizionali
Come abbiamo visto negli esempi (3)-(4), i verbi che prendono complementi frasali (credere,
pensare, volere, desiderare...) creano contesti intensionali. A partire dal lavoro fondamentale di
7
Hintikka (1962), questi predicati vengono analizzati nei termini di una relazione tra un
individuo e una proposizione; si parla perciò di predicati di atteggiamento proposizionale.
Questi predicati servono per descrivere lo ‘stato attitudinale’ di un individuo, ad esempio
uno stato di credenza. Intuitivamente, possiamo rappresentare lo stato di credenza di un
individuo x come l’ insieme di proposizioni che sono credute vere da x (nella circostanza di
valutazione). Poiché ciascuna proposizione caratterizza un insieme di mondi possibili, la
congiunzione di queste proposizioni è, insiemisticamente, l’intersezione degli insiemi di
mondi possibili caratterizzati dalle varie proposizioni: questo corrisponde all’insieme dei
mondi che sono compatibili con le credenze di x.
– Gli atteggiamenti proposizionali (sapere, credere, desiderare…) vengono
rappresentate come relazioni tra un individuo e una proposizione;
– Uno stato attitudinale di un individuo viene rappresentato come un insieme di
mondi possibili, determinato dall’intersezione (congiunzione) di un insieme di
proposizioni.
Ma perché ragioniamo in termini di insiemi di mondi? La risposta è che un mondo
possibile è a very inclusive thing (D. Lewis; ‘qualcosa di onnicomprensivo’): è difficile
immaginare che un qualunque insieme di proposizioni, per quanto ricco, possa arrivare a
caratterizzare (tramite intersezione) un insieme singleton, identificando così un unico mondo
possibile; in effetti, per caratterizzare un singolo mondo è necessario un insieme infinito di
proposizioni. Per questo motivo, gli stati attitudinali vengono rappresentati come insiemi di
mondi, anziché come singoli mondi.4
Dato che la congiunzione di più proposizioni dà l’intersezione fra gli insiemi di mondi
corrispondenti, si ha la seguente relazione inversa: quanto più è ampio un insieme di
proposizioni, tanto più è ristretto l’insieme di mondi che la loro intersezione caratterizza.
Consideriamo, ad esempio, la proposizione p espressa dall’enunciato Harry possiede una
civetta; questa proposizione caratterizza l’insieme di mondi in cui le condizioni di verità sono
soddisfatte, indipendentemente da come stanno le cose sotto tutti gli altri aspetti: ad
esempio, la proposizione comprenderà sia mondi in cui Harry è orfano, sia mondi in cui
4
E’ bene fugare un possibile fraintendimento: anche quando, nei contesti estensionali,
utilizziamo un singolo mondo di valutazione, noi lo assumiamo come dato, ma non lo
caratterizziamo univocamente. In effetti, solo un essere onnisciente sarebbe in grado di
farlo. Questo esprime nel modello di interpretazione una limitazione epistemica che sembra
8
Harry non è orfano. Se congiungiamo (intersechiamo) la proposizione p con la
proposizione q espressa dall’enunciato Harry è orfano, otterremo un insieme più ristretto di
mondi che soddisfano le condizioni di verità di entrambi gli enunciati.
Si noti anche che, se le credenze di un individuo comprendessero due o più proposizioni in
contraddizione tra loro, la loro intersezione darebbe l’insieme vuoto.5 Per evitare questo, si
assume generalmente che
gli stati attitudinali sono logicamente consistenti.
Naturalmente, le credenze che un individuo ha variano da un mondo (circostanza) possibile
all’altro; dunque, per ogni mondo possibile w, un individuo x ha un certo insieme di
credenze in w. Per rendere conto di questa variabilità, Hintikka analizza le attitudini in
termini di relazioni di accessibilità tra mondi possibili: lo stato di credenza di un individuo x
in w è l’insieme dei mondi doxasticamente accessibili ad x in w, cioè l’insieme dei mondi
che sono compatibili con ciò che x crede in w.
Le relazioni di accessibilità sono relazioni binarie tra mondi possibili;6 per i nostri scopi,
possono essere riformulate come funzioni da mondi possibili a insiemi di mondi.7 Ad
esempio, possiamo definire una funzione Doxx, dove x è un individuo:
Per ogni mondo w, Doxx(w) = {w′∈W: w′ è compatibile con ciò che x crede in w}.
Questo insieme di mondi costituisce una base modale8 doxastica (dal greco antico doxa
‘opinione’).
Torniamo ora alle singole proposizioni. Se affermiamo che un individuo x crede p in w
(dove p è una proposizione), vogliamo dire che p contribuisce a determinare lo stato di
credenza che x ha nel mondo di valutazione w; dunque, la proposizione p è un
sovrainsieme dell’insieme dei mondi che rappresentano questo stato di credenza.
plausibile: noi ci troviamo in un mondo possibile – il mondo attuale – ma non siamo in
grado di descriverlo esaustivamente.
5
Ricordiamo dal cap. 1, § (12) che due enunciati sono contraddittori se non possono essere
entrambi veri nella stessa circostanza di valutazione; questo significa che le proposizioni
corrispondenti sono due insiemi disgiunti di mondi possibili, e la loro intersezione è
l’insieme vuoto.
6
Questa è la formulazione utilizzata correntemente nella filosofia del linguaggio.
7
Cf. Heim (1992, 187); Kaufmann et al. (2006, § 2).
8
Nozione introdotta da Angelika Kratzer (Kratzer 1981).
9
(Ricordiamo ancora una volta che una singola proposizione come p corrisponde ad un
insieme vastissimo di mondi.) In termini funzionali, la proposizione p (una funzione di tipo
<s,t>: § 4) produce il valore vero per tutti i mondi possibili che appartengono a Doxx(w):
[[x crede p]]w = 1 sse per ogni mondo w′ ∈ Doxx(w), p(w′) = 1
(dove p è la proposizione espressa dalla frase subordinata p)
Questo, naturalmente, ci dà uno schema del tutto astratto (come è tipico della semantica
modellistica); la domanda più fondamentale è, come facciamo a determinare quali mondi
sono doxasticamente accessibili a un soggetto in una certa circostanza (stato di credenza), e
quali mondi, invece, sono epistemicamente9 accessibili (stato di conoscenza)? Che cosa
sono, esattamente, le relazioni di accessibilità (doxastica vs. epistemica)? In che modo
differiscono la credenza e la conoscenza?
Queste domande costituiscono temi d’indagine centrali per la logica modale e per la
filosofia del linguaggio: queste discipline si preoccupano, da un lato, di chiarire le proprietà
formali delle relazioni di accessibilità, e dall’altro, di sviluppare una riflessione generale sulla
natura degli atteggiamenti proposizionali. Poiché il nostro interesse è specificamente
linguistico, ci limiteremo a pochi cenni al riguardo (con la speranza che stimoleranno
l’appetito del lettore verso letture più esaurienti).
Gli atteggiamenti proposizionali si differenziano in base alle proprietà relazioni di
accessibilità (ovvero, dal nostro punto di vista, delle basi modali corrispondenti). Facciamo
un esempio: una differenza fondamentale fra uno stato attitudinale doxastico e uno stato
epistemico è la proprietà del realismo:
Una base modale Bx(w) è realistica sse tutte le proposizioni che essa supporta (cioè le
proposizioni che sono vere in tutti i mondi w' ∈ Bx(w)) sono vere anche nel mondo
di valutazione w. In altri termini, il mondo di valutazione w appartiene alla base
modale stessa (w ∈ Bx(w)).
Una base modale epistemica è realistica, una base doxastica non lo è necessariamente:
infatti, le conoscenze di un individuo in un mondo (circostanza) di valutazione w sono vere
in w; al contrario, le credenze di un individuo in w possono anche risultare false in w. (Ad
esempio, io credo che il mio corso di semantica piaccia moltissimo a tutti i miei studenti.
10
Questa credenza, probabilmente non realistica, mi aiuta ad vivere con più ottimismo il mio
compito di insegnamento.)
Un’altra proprietà rilevante è l’introspettività (positiva): se un soggetto x crede p, allora
crede anche di credere p.10 Intuitivamente, questo corrisponde al fatto che noi abbiamo
accesso alle nostre credenze: se ho una certa opinione, sono in grado di dire agli altri la mia
opinione (questo è un uso molto frequente del linguaggio ordinario!). Nella nostra
formalizzazione, l’introspettività positiva corrisponde al fatto che l’accessibilità doxastica è
una relazione transitiva che, applicata a qualsiasi mondo della base modale doxastica di
partenza, ci mantiene all’interno di questa stessa base modale:
Introspettività positiva
in tutti i mondi w′ ∈ Doxx(w), Doxx(w′) è un sottoinsieme di Doxx(w).
Un atteggiamento proposizionale decisamente più complesso è il desiderio.11 Per
rendercene conto, puntualizziamo un’ altra proprietà delle basi modali. Nel cap. 1, § 5.1.
abbiamo analizzato l’implicazione nei termini della relazione insiemistica di inclusione: una
proposizione p implica una proposizione q se e soltanto se l’insieme dei mondi
caratterizzato da p è incluso nell’insieme dei mondi caratterizzato da q (p ⊆ q). Supponiamo
ora che p faccia parte delle credenze di un individuo x in w: dunque, p fa parte dell’insieme
di proposizioni che, intersecate fra loro, determinano la base modale Doxx(w); di
conseguenza, Doxx(w) è un sottoinsieme di p. Ma poiché p è un sottoinsieme di q, ne segue
per transitività che Doxx(w) è anche un sottoinsieme di q (Doxx(w) ⊆ p ⊆ q); dunque, anche
la proposizione implicata q rientra fra le credenze di x in w. Questo significa che
una base modale doxastica è chiusa rispetto all’implicazione (ovvero, supporta un
insieme di proposizioni con tutte le loro conseguenze logiche).
Proviamo ora a rappresentare anche l’atteggiamento proposizionale espresso dai verbi vuole
o desidera attraverso una base modale buletica chiusa rispetto all’implicazione: avremo che,
9
Dal greco antico episteme (‘conoscenza’).
Questa proprietà vale anche per le basi modali epistemiche: se so qualcosa, allora so
anche di saperla. Una proprietà distinta, sia concettualmente che formalmente, è
l’introspettività negativa: io non credo di credere qualcosa che in effetti non credo; ossia,
non ho credenze false rispetto alle mie credenze.
11
Questa discussione è basata su Heim (1992).
10
11
se p implica q, allora x vuole p implica x vuole q. E’ davvero valida una implicazione del
genere?
Supponiamo che io sia malato. Io desidero guarire. Ma guarire implica essere stati malati,
e io non desidero essere stato malato. Supponiamo che ci sia stato un crimine. Io voglio
sapere chi ha commesso il crimine. Ma il mio sapere chi ha commesso il crimine implica
che il crimine è stato commesso, e io non ho mai voluto che il crimine venisse
commesso. (Stalnaker 1984, citato in Heim 1992, § 4.1; trad. dell’Autrice).
Questi esempi suggeriscono che l’atteggiamento proposizionale di desiderio non può essere
analizzato esclusivamente nei termini di una base modale chiusa rispetto all’implicazione.
La soluzione proposta da Heim (1992) è in termini di preferenza: certi mondi possibili sono
preferibili rispetto ad altri.
[Consideriamo l’enunciato] Il prossimo semestre voglio insegnare il martedì e il giovedì.
Supponiamo che questo enunciato sia intuitivamente vero in quanto enunciato da me
oggi. Si dà perciò il caso [...] che io insegno di martedì e giovedì in tutti i mondi che
sono compatibili con tutto ciò che io desidero? No. Nei mondi compatibili con tutto ciò
che desidero, io non insegno affatto. [...] Tuttavia io credo che insegnerò (un compito
didattico regolare) il prossimo semestre. Questo significa che non ci sono mondi
doxasticamente accessibili in cui io non insegno affatto. Nei mondi doxasticamente
accessibili, io insegno o il martedì o il giovedì, oppure insegno in giorni diversi della
settimana. Tra questi, i mondi del primo tipo sono più desiderabili di quelli del secondo
tipo, e questo rende l’enunciato [...] vero [...]. (Heim 1992, (33)).
Secondo Heim, l’atteggiamento di desiderio parte da una base modale doxastica, ma
stabilisce all’interno di questa un ordinamento in base alla preferibilità:
Relazione di desiderabilità <x, w tra insiemi di mondi:
Per tutti i mondi w e gli insiemi di mondi X, Y:
X <x, w Y sse per tutti i w′∈ X e i w′′ ∈ Y,
w′ è più desiderabile di w′′ per x in w (w è il mondo di valutazione).
In prosa: tutti i mondi di X sono più desiderabili di tutti i mondi di Y (per x in w).
12
Tuttavia, vogliamo valutare la preferibilità relativa dei mondi rispetto al contenuto di una
specifica proposizione p: ossia, vogliamo che la preferibilità tenga conto soltanto della
verità o falsità di p, con tutto il resto invariato. A questo scopo, definiamo una funzione di
similitudine da insiemi di mondi a insiemi di mondi: questa funzione seleziona, fra i mondi
in cui p è vera, il sottoinsieme dei mondi che sono massimamente simili ad un mondo di
riferimento w:12
Funzione di similitudine
Simw(p) = {w′: p(w′) = 1 e w′ assomiglia a w non meno di qualsiasi altro mondo w′′
tale che p(w′′) = 1}
L’atteggiamento proposizionale di desiderio può quindi essere analizzato come segue:
[[x vuole p]]w = 1 sse per ogni mondo w′ ∈ Doxx(w),
Simw′ (p) <x, w Simw′(W – p)13
(dove p è la proposizione espressa dalla frase subordinata p)
In prosa: in tutti i mondi w′ doxasticamente accessibili ad x nel mondo di valutazione w, i
mondi massimamente simili a w′ in cui p è vero sono più desiderabili (per x in w) dei
mondi massimamente simili a w′ in cui p è falso.
Ricordiamo che la base modale su cui quantifichiamo è una base doxastica: questo definisce
perciò l’atteggiamento proposizionale che potremmo chiamare del ‘desiderio ragionevole’,
ossia il desiderio compatibile con il modo in cui io credo stiano le cose. Come segnala la
stessa Heim, questa analisi non si estende ai desideri controfattuali, cioé gli atteggiamenti in
cui un individuo desidera qualcosa che sa essere irrealizzable (ad. es: Vorrei che questa giornata
non finisse mai). Purtoppo il desiderio controfattuale esiste, ed è uno dei molti modi in cui un
essere umano si rende infelice da sé. Per cui, non cercheremo di analizzarlo.
12
E’ necessario stipulare che questo insieme non sia mai vuoto.
W– p è l’insieme complemento dei mondi in cui p è falso (cf. cap. 1, § 5.1). Una
notazione alternativa che si trova nella letteratura è: W \ p.
13
13
5.1. Analisi composizionale
Veniamo ora all’analisi composizionale dei verbi di atteggiamento proposizionale,
riprendendo il nostro esempio (3): 14
(3) [S Dudley [VP pensa [CP che [TP Edvige è aggressiva]].15
Il soggetto del verbo denota un individuo; il complemento del verbo è una frase
subordinata. Che interpretazione le diamo? Sappiamo, dal contrasto fra (3) e (4), che deve
essere un’interpretazione di tipo intensionale: dunque, una proposizione (tipo <s,t>).
Il verbo pensa esprime così una relazione fra un individuo e una proposizione: la
proposizione espressa dalla frase [Edvige è aggressiva] è vera in tutti i mondi doxasticamente
accessibili a Dudley in w. Come sempre, faremo prima la composizione fra il verbo e il suo
complemento (cioé la frase subordinata), ed otterremo a livello VP una funzione di tpo
<e,t>. In notazione funzionale avremo dunque:
per qualsiasi mondo w, [[credere]]w = [λp<s,t>.[λxe. p(w′)=1 per ogni w′∈ Doxx(w)]]
Ma come si ottiene composizionalmente l’intensione della frase subordinata?
Nei capitoli precedenti, abbiamo sviluppato la composizione semantica di denotazioni dei
tipi estensionali. Ma in realtà, una estensione è sempre l’output restituito da una intensione
per un dato mondo di valutazione. Quindi, il punto di partenza sono le intensioni, come
ad esempio: [[ aggressivo]] = [λw.[λx. x aggressivo in w]]; [[credere]]w = [λw.[λp.[λx.
p(w′)=1 per ogni w′∈ Doxx(w)]].
Dobbiamo dunque ripensare alle nostre denotazioni estensionali come il risultato
dell’applicazione delle corrispondenti intensioni ad un mondo w: [λw.[λx. x aggressivo in
w]] (w). Ma vogliamo anche che il mondo w rispetto al quale calcoliamo le estensioni – il
14
In italiano, la frase subordinata è introdotta dalla particella che. Dal punto di vista
sintattico, questa è analizzata come un complementatore (C), che proietta una categoria
autonoma (S′ o CP) e prende S come complemento. Nella nostra analisi, considereremo che
semanticamente irrilevante.
15
Trascureremo qui il problema dell’alternanza tra congiuntivo e indicativo nelle frasi
subordinate a verbi di atteggiamento proposizionale. La distribuzione del congiuntivo varia
da una lingua all’altra, ma il pattern complessivo sembra essere sensibile a proprietà
semantiche come, ad esempio, il realismo. Per una analisi che fa riferimento alle basi
modali, si veda Giorgi & Pianesi (1997, cap. 5).
14
mondo di valutazione – rimanga costante per parti diverse di uno stesso enunciato. A
questo scopo, riformuliamo la regola di composizione per applicazione funzionale (cap. 3, §
7) 16 in modo che tenga conto del mondo di valutazione:17
Regola di composizione per applicazione funzionale
Se una categoria sintattica ha due costituenti immediati α e β, dove l’intensione di α
restituisce in output una funzione, e l’intensione di β restituisce un output che cade
nel dominio di quella funzione, allora l’intensione dell’intera categoria è la funzione
che, per ogni mondo possibile w, calcola l’estensione di α e di β in w e restituisce il
risultato della applicazione funzionale della prima alla seconda.
In modo molto più compatto:
[[α]] ([[β]]) = [λw. [[α]](w) ([[β]] (w))]
Ad esempio:
[[ [TP Edvige è aggressiva] ]] = [[ [T′ è aggressiva] ]] ([[ [NP Edvige] ]]) =
[λw. [λw′.[λx. x aggressivo in w′] (w) ( [λw′′. edvige]18 (w)) =
[λw. [λx. x aggressivo in w] (edvige)] =
[λw. edvige aggressivo in w].
Abbiamo così ottenuto la proposizione che funge da argomento del verbo intensionale
pensa in (3).
Tuttavia, nel fare la composizione fra il verbo intensionale e il suo complemento frasale,
non vogliamo che la proposizione [λw. edvige aggressivo in w] venga ‘ridotta’, in ogni
mondo w, ad una estensione appropriata; è essenziale che il verbo prenda come argomento
la proposizione stessa. A questo scopo, dobbiamo definire una ulteriore clausola della
regola di applicazione funzionale che si applica quando una funzione richiede un input di
tipo intensionale, e non riduce ad estensione l’intensione del suo argomento:
16
Se adottiamo la regola di modificazione tramite congiunzione (cap. 5, § 4.2), dovremo
riformulare anche questa in modo parallelo.
17
Riprendo, semplificandola, la formulazione estremamente chiara e concisa di Krifka
(2011, § 2.4).
15
Regola di composizione per applicazione funzionale: clausola per i verbi
intensionali19 (‘seconda clausola’)
[α]] ([[β]]) = [λw. [[α]](w) ([[β]])]
E’ importante sottolineare che la scelta di quale clausola applicare è, ancora una volta,
guidata dai tipi semantici. Se l’estensione di un verbo è una funzione che richiede un input
di tipo estensionale, applicheremo la prima clausola; se invece l’estensione del verbo è una
funzione che richiede un input di tipo intensionale, applicheremo la seconda clausola.
Proseguendo la nostra composizione per l’esempio (3):
[[ VP]] = [[ V]] ([[ CP ]]) = [[ crede]] (([[ [CP che Edvige è aggressiva] ]])
[λw′′.[λw.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w)]]](w′′) ([λw′′′. edvige aggressivo in w′′′])
(per la clausola della regola di applicazione funzionale per V intensionali) =
[λw′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′)]] ([λw′′′. edvige aggressivo in w′′′]) =
[λw′′.[λx. [λw′′′. edvige aggressivo in w′′′] (w′) = 1 per ogni w′∈Doxx(w′′)]] =
[λw′′.[λx. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxx(w′′)]]
Abbiamo così ottenuto l’intensione del VP: una funzione che, per qualsiasi mondo w′′,
restituisce la funzione caratteristica degli individui x che in w′′ credono che Edvige sia
aggressiva.
L’ultimo passaggio di composizione fra il VP e il soggetto utilizza la prima clausola della
regola di applicazione funzionale:
[[ [NP Dudley] ]] = [λw′. dudley]
[[ S]] = [[ VP]] ([[ NP ]]) = [λw. [[ VP]] (w) ([[ NP ]] (w))] =
[λw. [λw′′.[λx. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxx(w′′)]] (w) ([λw′. dudley] (w))=
[λw. [λx. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxx(w)] (dudley) =
[λw. edvige aggressivo in w′ per ogni w′∈Doxdudley(w)]
18
[λw′′. edvige] è la funzione costante che, per qualsiasi mondo possibile, restituisce
l’individuo edvige (poiché i nomi propri sono designatori rigidi: cfr. cap. 2, § 2; questo
capitolo, § 3.)
19
Come chiarisce Forbes (2004), un operatore è detto intensionale perché la sua estensione
in ogni mondo è una funzione che prende in input intensioni.
16
Ciò che abbiamo ottenuto al livello del nodo S non è più un semplice valore di verità, ma
una proposizione; se applichiamo questa proposizione ad un mondo di valutazione,
otterremo il valore di verità che l’enunciato (3) ha in quel mondo. (Vedremo tuttavia nel
cap. 12 che si può fare un uso molto più interessante di questa proposizione.)
E’ importante sottolineare che, nell’interpretazione composizionale di (3), il predicato della
frase subordinata (aggressiva) viene interpretato relativamente ai mondi w′ che sono
doxasticamente accessibili a Dudley in un mondo di valutazione w (Doxdudley(w)), e non
viene interpretato relativamente al mondo di valutazione stesso. (Ricordiamo anche che il
mondo di valutazione w non fa necessariamente parte di Doxdudley(w), poiché le basi modali
doxastiche non sono realistiche: la povera Edvige, in w, è innocua.)
Questa dissociazione fra i mondi rispetto a cui valutiamo la frase subordinata e i mondi
rispetto a cui valutiamo l’intero enunciato ci permette di rendere conto del fallimento della
sostitutività nel passaggio da (3) a (4):
(4) Dudley pensa [CP che [DP la civetta di Harry] sia aggressiva].
Ricordiamo che la descrizione definita [DP la civetta di Harry], al contrario dei nomi propri,
non è un designatore rigido, ma denota individui diversi in mondi/circostanze diverse.
Questa descrizione definita è un costituente della frase subordinata, che ci dà la
proposizione: [λw′. l’unico x tale che x è una civetta di proprietà di Harry in w′ è aggressivo
in w′]. L’applicazione del verbo intensionale a questa proposizione ci dice che questa
proposizione è vera in tutti i mondi possibili w′′ che sono compatibili con le credenze di
Dudley in w. La descrizione definita viene così interpretata relativamente ai mondi possibili
compatibili con le credenze di Dudley; in questi mondi, l’estensione della descrizione
definita potrebbe essere un individuo diverso dalla civetta bianca di nome Edvige (che è
l’estensione della descrizione definita nella circostanza di valutazione w), e per questo
motivo, la sostituzione con un nome proprio che ha la stessa denotazione del DP in w non
preserva le stesse condizioni di verità. L’interpretazione di una descrizione definita entro un
contesto opaco (intensionale) è detta interpretazione de dicto.
Un altro tipo molto interessante di interpretazione de dicto emerge con i quantificatori
intersettivi:
(5) Petunia pensa [CP che [QP un mago] [VP perseguiti Dudley]].
17
Senza addentrarci nell’analisi composizionale, possiamo vedere che la frase subordinata
esprime la proposizione che caratterizza l’insieme dei mondi w′ nei quali esiste almeno un
mago che perseguita Dudley.20 La composizione con il verbo intensionale, e poi col
soggetto, ci dice che questa proposizione dà il valore vero in tutti i mondi w′′ compatibili
con ciò che Petunia crede (nel mondo di valutazione w). La forza quantificazionale del
quantificatore intersettivo è ‘intrappolata’ nella proposizione subordinata: perciò (5) non
implica che nel mondo di valutazione w esiste effettivamente un mago, ma implica solo che
esiste un mago nei mondi compatibili con le credenze di Petunia.
6. Alcuni problemi
Questo approccio generale agli atteggiamenti proposizionali solleva un gran numero di
problemi, che sono più propriamente oggetto di studio della filosofia del linguaggio; qui ne
accenneremo soltanto due, senza addentrarci nelle possibili soluzioni, che sono
tecnicamente (oltre che concettualmente) piuttosto complesse.
Un primo problema molto dibattuto è quello dell'onniscienza logica:21 alcuni enunciati,
come gli enunciati matematici, sono veri in tutti i mondi possibili di W; dunque, sono anche
veri in tutti i mondi epistemicamente o doxasticamente accessibili a qualsiasi individuo. Ne
consegue che ogni individuo dovrebbe essere matematicamente e logicamente onnisciente.
Ma questa conseguenza è chiaramente problematica.
Il problema può essere riformulato anche in termini un po’ diversi: nella semantica a mondi
possibili, esiste un’unica proposizione necessariamente vera, cioè quella che denota (la
funzione caratteristica dell’) intero insieme W: dunque, tutti gli enunciati matematici
denotano la stessa proposizione (W).
Di fronte a questo problema, la reazione più intuitiva è che la rappresentazione delle
proposizioni come insiemi di mondi possibili non è sufficientemente dettagliata (finegrained): gli insiemi di mondi possibili sono oggetti troppo poco strutturati per rendere
20
Più precisamente: i mondi w nei quali l’insieme dei maghi ha un’intersezione non vuota
con l’insieme delle entità che perseguitano Dudley (cf. cap. 7). Ricordiamo che la
restrizione e la portata di un quantificatore sono ora intensioni di tipo <s, <e,t>>, che
danno funzioni caratteristiche diverse in mondi diversi.
21
Chierchia (1992, 306-308); Casalegno (1997, 153-157).
18
conto in modo adeguato delle condizioni di verità dei nostri atteggiamenti proposizionali.
Una via di soluzione è assumere oggetti più complessi, come le proposizioni strutturate.22
Un altro problema molto noto riguarda il trattamento degli atteggiamenti de dicto e de re.
Come abbiamo visto, nella lettura de dicto di (4), la descrizione definita [DP la civetta di
Harry] viene interpretata nella portata del verbo di atteggiamento proposizionale, quindi
relativamente ai mondi possibili compatibili con le credenze di Dudley (in w). Ma è
possibile per un parlante utilizzare la stessa descrizione definita per riferirsi a quella che
secondo lui, e non secondo Dudley, è la civetta di Harry, cioé Edvige: questa è la cosiddetta
interpretazione de re.
A prima vista, la descrizione definita sembra essere interpretata al di fuori della portata del
verbo intensionale; ripensando al movimento invisibile (QR: cap. 7, § 2.2) potremmo
supporre che la descrizione definita si sposti ‘invisibilmente’ al di fuori della frase
subordinata, lasciando una variabile nella posizione argomentale. Ma Quine (1956) ha
proposto un celebre argomento contro questo tipo di soluzione:23
(6) a. Ralph crede [che [l’uomo col cappello marrone] sia una spia].
b. Ralph non crede [che [l’uomo che ha visto in spiaggia] sia una spia].
Supponiamo di interpretare de re gli enunciati in (6): nella circostanza di valutazione, le
descrizioni definite [l’uomo col cappello marrone] e [l’uomo che (Ralph) ha visto in
spiaggia] denotano lo stesso individuo, dal nome di Bernard J. Ortcutt. Dunque, Ralph
sembra avere credenze contraddittorie rispetto allo stesso individuo. Ma in effetti Ralph ha
avuto accesso allo stesso individuo in situazioni diverse (prima come l’uomo col cappello
marrone, poi come l’uomo visto sulla spiaggia), senza rendersi conto che si trattava dello
stesso individuo: in un caso del genere, non sembra corretto imputare a Ralph una
contraddizione, come l’interpretazione de re ci costringe a fare. Questo problema porta
Quine a rifiutare la possibilità di quantificare entro i contesti intensionali: questi ultimi sono
radicalmente ‘opachi’.
22
Si veda King (2001), voce
Philosophy.
«Structured propositions» nella Stanford Encyclopaedia of
19
Esercizi
1. Si considerino i seguenti enunciati:
(7) Viktor pensa che la fidanzata di Harry sia bella.
(8) Viktor non pensa che Ginny sia bella.
In una circostanza di valutazione in cui Harry è fidanzato con Ginny, ma Viktor crede che
sia fidanzato con Hermione, (7) e (8) sono contraddittori o no? Perché?
2. Struttura sintattica e composizione semantica per il seguente enunciato:
(9) Ron pensa che Harry dorme.
Soluzioni
1. (7) e (8) non sono contraddittori se la descrizione definita [la fidanzata di Harry] è
interpretata de dicto: in tutti i mondi w doxasticamente accessibili a Viktor nella circostanza
di valutazione, [[ [DP la fidanzata di Harry] ]]w = hermione, la frase subordinata in (7)
esprime la proposizione [λw. hermione bella in w], mentre la subordinata di (8) esprime la
proposizione [λw. ginny bella in w]; quindi, gli atteggiamenti proposizionali espressi nella
frase matrice di (7) e di (8) non hanno per oggetto la stessa proposizione.
Se invece la descrizione definita [la fidanzata di Harry] è interpretata de re, relativamente alla
circostanza di valutazione w0, allora [[ [DP la fidanzata di Harry] ]]w0 = ginny, e le frasi
subordinate di (7) e (8) esprimono la stessa proposizione: [λw. ginny bella in w]; quindi,
(7) e (8) sono contraddittorie, in quanto predicano atteggiamenti proposizionali contrari di
Viktor verso la stessa proposizione.
2. (9) [S [NP Ron] [VP pensa [S′ che [S [NP Harry] [VP dorme]]]]].
[[ VP]] = [[ V ]] =[[ dorme]] = [λw′. [λx. x dorme in w′]]
[[ NP]] = [[ N ]] =[[ Harry]] = [λw. harry]
[[ S]] = [λw. [[VP]] (w) ([[ NP]] (w)) = (per la prima clausola)
= [λw. x dorme in w] (harry) = [λw. harry dorme in w]
[[CP]] = [[S]] (C semanticamente irrilevante)
[[ V]] = [[ pensa ]] = [λw′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′)]]]
[[ VP]] = [λw′′′. [[ V]] (w′′′) ([[CP]]) = (per la seconda clausola)
= [λw′′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′′)]] ([[CP]])] =
= [λw′′′.[λp.[λx. p(w′)=1 per ogni w′∈Doxx(w′′′)]] ([λw. harry dorme in w] )] =
23
Cfr. Casalegno (1997, 147 sgg.).
20
= [λw′′′.[λx. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxx(w′′′)]]
[[ NP]] = [[ N ]] =[[ Ron]] = [λw′′. ron]
[[ S]] = [λw. [[VP]] (w) ([[ NP]] (w))] = (per la prima clausola)
= [λw. [λw′′′.[λx. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxx(w′′′)]] (w) ([λw′′. ron] (w))]
= [λw. [λx. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxx(w)] (ron)] =
= [λw. harry dorme in w′, per ogni w′∈Doxron(w)].
Domande
1. Che cosa predice il principio di sostituibilità?
2. In quali contesti fallisce il principio di sostituibilità?
3. Che cosa sono l’estensione e l’intensione di un enunciato?
4. In che senso l’interpretazione degli enunciati modali è «non locale»?
5. Come si possono definire, in generale, i tipi semantici e i corrispondenti domini
denotazionali?
6. Come si può rappresentare lo stato di credenza di un soggetto?
7. Che cos’è una base modale doxastica?
9. Che cos’è il realismo? Quali basi modali sono realistiche?
10. Che cos’è l’introspettività positiva?
11. Perché l’atteggiamento di desiderare non è chiuso rispetto all’implicazione? In quale
modo lo possiamo analizzare?
12. Tenendo conto del livello intensionale, come dobbiamo riformulare la regola di
composizione per applicazione funzionale?
13. Che cosa si intende per interpretazione de dicto? Discutere con un esempio.
14. Che cos’è il problema dell’onniscienza logica?
15. Discutere, con esempi, l’argomento di Quine riguardo all’analisi della lettura de re.
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