Genghis Khan
Selim II
Mongoli e Ottomani
di Maria Garbini Fustinoni
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LE INVASIONI MONGOLE
Nella seconda metà del XII e nella prima del XIII Asia ed Europa sono sconvolte da orde di
popolazioni nomadi che partono dalle steppe dell’Asia. Sono i Mongoli, guidati da Temujin,
nominato dai capi tribù Cinghis Khan (re oceanico, universale) (1167/1227).
Dopo avere occupato il regno di Karakhitai, per controllare i traffici commerciali, all’inizio del 1219,
Cinghis Khan muove alla volta dell’occidente alla testa di duecentomila arcieri a cavallo, ai quali si
aggregano gruppi di guerrieri (in particolare turchi).
Conquistano Bukara, Samarcanda, i cui abitanti vengono sterminati, e numerose altre città fino ad
arrivare a Bamyan, dove Cinghis Khan rinuncia persino al bottino, per bruciare la città assieme ai
suoi abitanti. Infinite sono le crudeltà che Cinghis Khan compie: trucida o riduce in schiavitù intere
popolazioni, distrugge pozzi d’acqua, trasforma le oasi in pascoli…
Si legge nella “Storia segreta dei Mongoli”, scritta da un anonimo nel 1240: “La più grande gioia
dell’uomo consiste nel vincere i suoi nemici, nell’inseguirli dopo avere strappato i loro averi, nel
veder piangere i loro cari, nel montare i loro cavalli, nel possederne figlie e mogli.”
Figli e nipoti che gli succedono continuano le sue conquiste, arrivano ad occupare i regni
Selgiuchidi (Rum) in Anatolia, occupano Damasco e poi Bagdad, che saccheggiano per una
settimana.
Il 1258 è l’anno delle fine del califfato universale; Iran e Iraq diventano province del più grande
impero che si sia mai visto e che ha come capitale Khanbaliq (l’attuale Pechino).
L’era della Pax Mongolorum è, malgrado le tragiche premesse, un periodo di civiltà e progresso: la
sicurezza della Via della Seta è garantita, i primi Europei si spingono in Oriente per commerciare,
evangelizzare, stringere alleanze. Sono gli anni che conosciamo attraverso le avventure dei fratelli
Polo.
Gli Ilkhanidi in Persia.
Le stragi perpetrate dai Mongoli ridussero drasticamente la popolazione persiana, portando come
logica conseguenza una contrazione dell’attività architettonica e della produzione di oggetti di
lusso.
Dopo che si fu affermato il regime degli Ilkhan (khan = signore, capo), durante il governo di
Ghazan Khan, dopo la conversione dei conquistatori mongoli all’Islam, il mondo culturale turcopersiano risorse. La storiografia si occupò di giustificare le imprese dei Mongoli (Storia dei
conquistatori del Mondo (al Juvaini 1226/1283), Compendio delle storie (vizir di Tabriz: Rashid al –
Din). Il potere dei conquistatori è fondato sulla forza militare. L’aristocrazia, che considera illimitato
il suo potere è legata alla dinastia del clan. Le terre sono distribuite ai capi militari che le
suddividono tra i loro seguaci. I conquistatori sono affiancati nella gestione della cosa pubblica dai
notabili locali, dai mercanti, dagli ulema.
I mongoli, pochi ed incolti, “selvaggi”, vengono alla fine assorbiti dall’Islam e dalla cultura persiana.
Verso la metà del XIII secolo, il nipote di Cinghis Khan, Hulugu Khan dà inizio alla ricostruzione. Il
suo popolo, nomade e selvaggio, non ha alcuna tradizione architettonica; tipologie ed elementi
strutturali degli edifici sono dunque persiano-selgiuchidi. Grazie alle enormi ricchezze accumulate i
conquistatori realizzano opere di insuperata magnificenza: le cupole diventano immense, i minareti
altissimi, le facciate molto lavorate, i portali alti e stretti.
Hulugu ordina la ricostruzione di intere città e fa costruire un lussuoso palazzo e un tempio
buddista a Khoy.
I primi sovrani sono buddisti, cristiani, sunniti, sciiti: nascono così chiese e moschee.
Sotto Ghazan Kahn, convertito all’Islam e “persianizzato”, l’architettura persiana gode di un
periodo felice: accanto a Tabriz (Iran) il sultano fa costruire una nuova città, Sham (Sole), di cui
nulla resta, ma che era celebrata al suo tempo come novella Persepoli, ricca di monasteri,
madrasa, ospedale, accademia filosofica, osservatorio astronomico.
Il visir Rashid ad-Din crea a Tabriz una città universitaria.
Nel 1305 viene iniziata la costruzione di una nuova, meravigliosa moschea: Soltaniye,dominata
dalla meravigliosa cupola azzurra del Mausoleo, il capolavoro del periodo Ilkhanide:
Edificio di pianta ottagonale, si sviluppa in cupola dal profilo leggermente acuto; Altezza m.50ca,
diametro m.25 ca. I colori trascolorano dal turchese all’acquamarina.
Scala maestosa, proporzioni armoniose. E’ strutturalmente un capolavoro: pesi e spinte sono
concentrati su un numero di punti ridotto.
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La colossale cupola si sostiene senza contrafforti di sostegno, senza pinnacoli o spalle: il suo
spessore degrada mediante una serie di gradini dalla base alla cima. Perché non si vedano i
gradini, l’architetto la copre con un una seconda cupola e ne copre il profilo con mattoni invetriati.
Copre l’elemento di passaggio dall’ottagono di base alla circonferenza della cupola con bellissime
muqarnas e fa salire dagli otto angoli otto minareti slanciati, coperti di mattonelle di ceramica
turchese.
Nel 1310 viene aggiunta alla moschea una seconda sala di preghiera con un mirhab di modello
Selgiuchide, coperto di spumeggiate decorazione.
E’ proprio nella decorazione, nella ricerca di più raffinati effetti chiaroscurali, che l’Architettura
ilkhanide si differenzia dalla precedente selgiuchide.
Complesso dello Sheykh Bayazid (XII/XIII secolo). Bastam. Iran.
Il complesso è stato ristrutturato all’inizio del XIV secolo. Il modello di partenza è il Gunbad- i
Qabus, ma la struttura è più mossa, per creare nuovi giochi di luce, per rendere la luce
protagonista. La forma del mausoleo è indicata come siderale e, al proposito, si può riferire la
contemporanea cronaca di Rashid al –Din: “Nel 663 (1265 d.C.) Hulugu Khan cadde ammalato. In
quel periodo apparve ogni notte una cometa di forma cilindrica e la punta a cono e quando
scomparve Hulugu morì.”
Le parti più antiche della costruzione, risalgono al X secolo; il minareto selgiuchide è del 1120 e il
mirhab in stucco del 1267.
Sulla bellissima facciata ceramiche azzurre si alternano al mattone e allo stucco.
All’interno del portale il nome di Alì è ripetuto infinite volte nella ceramica azzurra della quale i
ceramisti ilkhanidi furono insuperati maestri.
Nell’insieme gli elementi che differenziano le opere della nuova architettura da quella selgiuchide
sono la grandiosità e il fasto. Nell’Arte selgiuchide la sala della preghiera era prima di tutto luogo di
incontro con il sacro: “vuoto” che doveva essere riempito dalla spiritualità del fedele.
Vicino alla città di Qom ci sono ancora una quindicina di tombe torri del XV secolo, poligonali per
la maggior parte, con i muri che si inclinano verso l’alto, coperte da cupole, decorate da piastrelle
di ceramica. Sono sobrie, come abbiamo imparato che sono le opere dell’arte selgiuchide, ma
sono decorate da mattonelle invetriate che le vivacizzano ed anzi conferiscono loro una nota di
giocosità. Quando tramonta il sole la temperatura del rivestimento si scalda ed i raggi trasformano
il turchese delle cupole in una luce verde-dorata che è la “luce dl Paradiso”, un’esperienza unica, il
momento in cui amore terreno e amore divino diventano un’unica cosa, esperienza cantata nei
versi del poeta Hafez:
“ E’ l’amore di Te il germoglio del mio Stupore
L’ Unione con te è la perfezione del mio Stupore”
Khanekah. 1316. Natanz. Iran.
In uno scenario di alte montagne, senza verde né vita, è stato costruito questo Khanekah,
monastero e ospizio per i pellegrini. E’ quasi del tutto distrutto: resta solo la facciata,
decorata con motivo a intreccio, una delle più belle della Persia, opera forse delle stesse
maestranze che hanno lavorato a Tabriz e alla Soltanjie. L’intensità e lo splendore del
profondo blu turchese della ceramica smaltata ne fanno una delle migliori opere
dell’epoca.
Sebbene di dimensioni modeste, la torre, mausoleo dello Sheikh Abd al–Samad,
comunica un forte senso di spiritualità.
Larghi dischi ornano l’arco che inquadra il portale; la nicchia è ornata da muqarnas
azzurre. La torre culmina con una piramide ottagonale a forma di tenda, piastrellata di
tegole blu, che crea un suggestivo contrasto con la tonalità dorata del minareto.
Masjid- e Jome. 1325/1365ca. Yazid. Iran.
La Moschea risulta, nella sua forma finale, costituita da un complesso di edifici costruiti in
epoche diverse, che presentano vario stato di conservazione.
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E’ preceduta da un imponente ivan, rivestito di splendidi mosaici, fiancheggiato da due
minareti, i più alti del paese (il raddoppio dei minareti, frequente nell’architettura dei
Selgiudi di Rum, è ormai diventato classico).
La cupola del mirhab presenta profilo ribassato e decorazione a losanghe campite su
fondo ocra. La tecnica della decorazione è a mosaico: mattonelle monocolori di vario
disegno vengono assemblate in pannelli di forme e colori molteplici; la tecnica permette di
creare disegni vari: arabeschi, fiori… Ai colori tradizionali (turchese, blu, bianco, nero)
vengono ora aggiunti verde, viola melanzana, nero rossastro, giallo oro. Il risultato è più
vicino alla realtà, al giardino con le sue piante ed i suoi fiori.
Si accede alla sala della preghiera attraverso un maestoso ivan con volta ad arco acuto
impreziosito da ceramiche turchesi a motivi geometrici e floreali.
All’interno, dalla cupola, decorata con motivi a stelle suddivisi in otto centri concentrici, si
diffonde una pace cosmica.
La sala della preghiera è il Paradiso: questa casa nel deserto è l’arrivo: vi si prega, si
legge, si parla, si dorme. Chi vi entra ne gusta la pace.
Sintesi storica del periodo:
Il Khanato di Transoxiana
Nel 1334 il Khanato di Caghatai viene diviso in due: a Nord il Mongholistan, a Sud la
Transoxiana.
In Transoxania, terra di millenaria civiltà, economicamente ricca, durante tutto il XIV
secolo, khan locali tendono ad affrancarsi dall’autorità centrale, mentre nelle steppe la
popolazione rimane nomade e primitiva.
Quando sale al trono del Mogholistan, Kutlug Timur (m. nel 1367) riesce ad avere il
controllo dell’intero regno, si converte all’Islam, affida la Transoxiana al figlio , al quale
affianca come consigliere Timur Lenk, uomo ambizioso (che sarà conosciuto in occidente
come Tamerlano) che inizia subito la scalata contro il potere mongolo, del quale si
presenta all’inizio come difensore.
Tamerlano, il “conquistatore della Terra”, “l’ombra di Dio”, nasce nel 1336, in un’epoca
di continui scontri tra Khan mongoli ed Emiri turchi; si mette alla guida di un movimento
che contrappone l’etnia turca a quella mongola, il mondo stanziale a quello nomade,
l’Islam al mondo degli sciamani e, tra il 1364 ed il 1370 riesce a conquistare tutta la
Transoxania, si fa proclamare Khan.
La sua politica gli garantisce l’appoggio delle élites musulmane locali e dei sufi (suoi
consiglieri spirituali). Grazie all’appoggio dei vari capi religiosi musulmani, riesce ad
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ottenere l’aiuto sia delle popolazioni nomadi sia di quelle urbane ed a fare legittimare il
suo regime. Vuole restaurare l’impero di Cinghis Khan e ci riesce in una trentina di
anni, compiendo crudeltà e massacri, saccheggiando e distruggendo città (nel 1387,
per punire i cittadini di Isfahan, che si erano ribellati, ne massacra 70.000 e costruisce
con le loro teste 28 piramidi alle porte della città). Nel 1398 massacra gli abitanti di
Delhi; nel 1401 mette a sacco Damasco e stermina la popolazione di Bagdad. Riesce
nell’intento di creare un immenso impero che va da Ankara alla Russia, a Delhi, ma il
prezzo che pagano le popolazioni vinte e sottomesse è pesante; le atrocità che
commette sono peggiori e meno giustificabili di quelle commesse da Cinghis, ignorante
capo di un popolo nomade.
Tamerlano era uomo di cultura: amava le lettere, le arti le leggi; era uomo di fede:
credeva in Dio ed era amico e protettore dei dervisci. Era stato guidato solo dalla
smania del potere.
Era anche ambizioso e desideroso di lasciare testimonianze della sua grandezza, così
che si circondò di poeti e letterati, di artigiani e architetti e pittori e fece costruire opere
favolose a Samarcanda e a Bukhara.
Il suo immenso impero non gli sopravvisse: muore nel gennaio 1405, durante la
campagna contro la Cina, che egli, benché malato guida personalmente. Le sue ultime
parole sono dedicate alla famiglia: “Non piangete. Non lamentatevi. Pregate Dio per
me.” Sono parole riferite da un testimone oculare, Ibn Arabshah, attendibile, perché
suo acerrimo nemico.
Il monumento nel quale si rivelano al massimo le qualità poetiche dell’Architettura
timuride è la necropoli Shah i Zinda (del “re vivente”).
Il nucleo originario del complesso risale al IX, X secolo, intorno alla sepoltura di
Qutham ibn al- Abbas, morto, secondo la tradizione, nel 676, durante la conquista
dell’antica Samarcanda. Durante l’epoca timuride il complesso si arricchisce di
mausolei di una nobile semplicità, sublimata dal rivestimento in ceramica più puro ed
elegante che si sia mai visto, ricco di tutte le sfumature del blu, celeste turchese, con
piccoli inserti di verde cangiante sotto la luce del sole fino a diventare perlaceo.
Il complesso viene così descritto da J.P. Roux: “Bellezza perfetta, allo stato puro. E
questa bellezza è tanto maggiore in quanto i mausolei che compongono questa
necropoli sono dei monumenti di piccole dimensioni, intimi, raccolti, fatti di delicata
grazia, di estrema finezza, di squisita femminilità”.
Attualmente la necropoli, cui si accede attraverso una stretta strada in salita, è
composta da una quindicina di edifici (il più recente risale ai primi del XV secolo). E’
luogo sacro, di pellegrinaggio, come lo era ai tempi di Ibn Battuta, che passando nel
1333 per Samarcanda, trovò la città distrutta dai Mongoli, che avevano però
risparmiato la necropoli: “Gli abitanti di Samarcanda si recano a questo luogo due notti
ogni settimana, alla domenica e al giovedì. Anche i Tartari (i Mongoli) vi si recano in
pellegrinaggio e portano molte offerte, come buoi, montoni… Le offerte servono per
mantenere la tomba ospitale e benedetta (baraka)… Accanto si trovano gli alloggi per i
viaggiatori. I tartari, anche quando erano idolatri, non hanno toccato niente di questo
luogo benedetto, ma anzi riguardano al suo possesso come un buon augurio, anche a
causa dei miracoli di cui sono stati testimoni.”
Alcuni dei più antichi mausolei si trovano in cima alla salita: li si può annoverare tra le
più insigni testimonianze del livello tecnico ed estetico raggiunto nella ceramica.
Mausoleo di Shadi Mulk Ata. 1372: sepoltura della giovane e bellissima nipote di
Tamerlano.
E’ la prima costruzione timuride di Samarcanda; porta questa iscrizione: “In questa
tomba è stata persa una perla preziosa.”
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Non si trova nella sepoltura alcuna traccia della retorica e della monumentalità che
avrebbero caratterizzato i mausolei successivi. Sembra che da ogni particolare
all’interno si muova un senso di accorata meditazione sulla morte e di nostalgia di chi
resta, anche se su tutto domina l’accettazione cosmica del destino umano.
L’interno, in leggera e fresca penombra, è arricchito da una decorazione ricca e
complessa ed è dominato da una cupola straordinaria: i raggi di una stella a otto punte
la dividono in otto settori, otto medaglioni a forma di lacrima, otto gioielli.
All’interno di ognuno dei medaglioni c’è un sole circondato da sei pianeti.
Indefinibili sono la delicatezza, la sensibilità cromatica, la dolente armonia che
si sprigionano dalle sfumature e forme del turchese nella facciata e all’interno del
mausoleo.
Di fronte al mausoleo di Shadi Mulk Ata, nel 1385, si trova quello di Shirin Bika Ata,
altra sorella di Tamerlano. Qui compare per la prima volta a Samarcanda il mo’arraq,
innovazione tecnica introdotta da artigiani provenienti dall’Iran dei Mozaffaridi e
dall’Azerbagian: grazie all’uso di frammenti di colore puro, cioè cotto tenendo conto
delle particolari caratteristiche dei soli pigmenti utilizzati, la nuova tecnica permette una
vivacità insolita, una felice esplosione di colori e forme di carattere floreale e di forme
geometriche. Viene introdotto il “verde dell’Asia centrale”, sconosciuto in Iran, che
aggiunge una luminosità nuova, secondo l’incidenza dei raggi solari e la temperatura
cromatica della luce.
A Samarcanda Timur fece costruire la Moschea del Venerdì (dedicata, secondo la
tradizione, alla moglie preferita, la principessa Saray Mulk “Bibi” Khanum), un’opera
destinata a ricordare, con il suo sfarzo e la sua perfezione artistica, la grandezza delle sue
imprese in guerra. Perché tutto fosse realizzato al meglio, consultò un astronomo per
determinare la data della posa della prima pietra e si impegnò personalmente perché tutto
fosse eseguito alla perfezione.
Si racconta che durante la costruzione della Moschea l’architetto strappò un bacio alla
bella sposa di Timur, che, per punizione, fu precipitata dall’alto del minareto. L’architetto si
salvò perché volò alla Mecca sorretto da un provvidenziale paio di ali. Da quel giorno
Timur obbligò le donne a coprirsi il volto con un velo, per non tentare gli uomini.
La moschea, realizzata grazie al bottino ricavato dal saccheggio di Delhi, nel 1398, è stata
costruita nel luogo dove ne era già stata in precedenza costruita una. Presenta la classica
pianta persiana a quattro iwan; la direzione della preghiera venne indicata enfatizzando i
due iwan lungo l’asse principale.
La gigantesca entrata è fiancheggiata da due minareti ed è preceduta da un profondo
iwan, che ricorda l’Ak Saray, il maestoso palazzo di Timur. Dopo il cortile si trova l’altro
iwan, anch’esso affiancato da due minareti. Dietro l’altissimo pishtaq si trova la cupola a
doppio guscio, secondo la tecnica timuride.
Il guscio esterno grazie a un sistema di centine, scarica il peso direttamente sul tamburo.
La superficie esterna è decorata con citazioni del Corano: “La costanza appartiene solo a
Dio”. Il soffitto era decorato con arabeschi e motivi floreali.
Attraverso iwan che si aprono lungo i lati del cortile si passa in una sala coperta a cupola.
La decorazione dei pannelli delle nicchie dei minareti è realizzata con ceramiche a più
colori, a imitazione del mo’arraq. Per evitare le sbavature generate dai diversi tempi di
vetrificazione dei colori, è stata adottata la tecnica della cuerda seca: i vari pigmenti
vengono separati tramite una sostanza oleosa mescolata a manganese che, con la
cottura, assume la tipica colorazione nero-bruna.
La moschea venne realizzata in tempi brevissimi, con il risultato che fu soggetta a
numerosi crolli.
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Tamerlano volle per sé un favoloso palazzo, Ak Saray (palazzo bianco), del quale resta
ormai solo l’ingresso, un passaggio degno “del glorioso, clemente signore, magnifico
sultano, potentissimo combattente, Tamerlano, conquistatore della Terra” ma la cui
magnificenza possiamo conoscere dalle parole dell’ambasciatore Clavijo.
Tamerlano fu sepolto nel “Gur-i Mir (“la tomba dell’emiro”), non dove egli avrebbe voluto, il
colossale mausoleo di famiglia a Shahr – Sabz, non ancora finito.
La cupola che esalta il mausoleo, blu, rinforzata da superbi costoloni, afferma se stessa ed
esalta il potere umano. Non sembra più “rappresentazione dell’infinito”; nelle cascate di
blu che brillano al sole è orgogliosa affermazione di autorità e celebrazione di
splendore: è un capolavoro assoluto.
E’ alta 37 metri, è esaltata da 64 costoloni, trasfigurata dai colori della ceramica; lo slancio
è contenuto dai due minareti, alti circa 28 metri. Nasce da un alto tamburo cilindrico, da cui
è separata da due file di muqarnas. Il tamburo (sul quale si trova una scrittura in semplici
mattoni cui il tempo ha aggiunto una patina d’oro) poggia su una camera ottagonale.
La struttura della cupola esterna (doppia cupola secondo lo stile timuride) scarica il suo
peso direttamente sul tamburo.
L’interno è stato restaurato. Sotto il pavimento si trova una cripta cruciforme.
Festa alla corte di Tamerlano
“Quando noi arrivammo, si stava offrendo da bere secondo un cerimoniale particolare: un
anziano signore e due adolescenti della famiglia di Timur Beg sorvegliavano la
distribuzione delle coppe davanti alla padrona e alle altre dame; alcuni servitori con le
mani coperte da un panno bianco come un sudario, versavano il vino in alcune tazzine
d'oro che venivano poi posate su piccoli piatti anch' essi d'oro. Quelli che servivano il vino
camminavano davanti e dietro di loro venivano i coppieri con le tazzine poste sui piattini.
Quando arrivavano a metà strada, piegavano il ginocchio destro a terra tre volte, alzandosi
e abbassandosi, ma senza spostarsi. Poi portavano le tazzine vicino a Khanzadeh,
tenendole con le mani coperte dal sudario per non toccarle direttamente.
Di nuovo s'inginocchiavano davanti a lei e alle altre dame che le stavano accanto e che
dovevano bere. Appena esse avevano preso le tazzine, quelli che avevano portato il vino
restavano immobili coi piattini in mano, poi si alzavano e arretravano un poco senza mai
volger loro le spalle. Quando si erano un poco allontanati, piegavano a terra il ginocchio
destro e restavano fermi cosi.
Quando le signore avevano finito di:bere, si alzavano di nuovo per avvicinarsi a loro ed
esse posavano le tazzine sui piattini che i servitori tenevano in mano.
Poi questi tornavano indietro, ma sempre senza voltare le spalle.
A questa festa partecipò anche Khanum, la prima moglie di Timur Beg, la quale bevve sia
il vino che il latte. Dopo che queste bevute si furono protratte per un lungo tempo, essa
volle che ci avvicinassimo a lei è ci offri del vino con le sue stesse mani. Con me, Ruy
Gonzalez, insistette molto perché anch'io bevessi, non volendo credere che io non bevo
mai. Le bevute furono tante che alla fine gli uomini cadevano a terra, completamente
ubriachi. Ma questa gente ritiene che ciò sia indice di grande educazione, perché pensano
che non possa esservi né piacere né allegria se durante una festa non ci si ubriaca.
Poi furono portate molte vivande, cavalli e montoni arrosto e altre carni in umido e tutto fu
consumato in una grande confusione, mentre i convitati si strappavano l'un l'altro i pezzi di
carne dalle mani facendosi scherzi con questi cibi. Le carni furono servite molto in fretta;
poi fu portato il riso cucinato in varie maniere e torte di pane con lo zucchero e con le erbe.
E dopo le pietanze, che ci erano state offerte sui vassoi, ne furono portate altre su piatti di
cuoio, da prendere con le mani”.
Ruy Gonzalez de Clavijo
(da Viaggio a Samarcanda. Viella Ed. Roma, 1999)
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Il figlio e successore di Timur, Shah Rukh trasferisce la capitale a Herat, che diventa così
bella da gareggiare con Samarcanda.
I Timuridi amano le feste, la letteratura, la musica; ascoltano i trovatori, ma amano
soprattutto bere ed assumere hashish; la loro sessualità è sfrenata; Molti tra i principi
muoiono alcolizzati o in incidenti causati dall’ebbrezza. Le loro donne, che godono di una
grande libertà, nonostante le severe leggi in campo morale promulgate da Timur non sono
da meno dei mariti. Il loro mecenatismo in ogni capo, la loro apertura in campo letterario,
artistico, scientifico, rendono la loro epoca uno dei periodi più fulgidi nella storia dell’Islam.
Al centro della città di Samarcanda si trova la grande Piazza del Registan. E’ uno spazio
quadrato, affiancato da tre edifici simili nelle proporzioni e nel progetto, di 70 metri X 85,
che circondano la piazza da tre lati.
E’ la città fondata da Timur, il luogo in cui si svolgevano le cerimonie che dovevano far
conoscere a tutti il fasto grandioso del mondo dei signori della steppa. Nella piazzo
sfilavano i soldati venuti dalle tribù della Transossiana.
La piazza, non cresciuta in un unico periodo, presenta tuttavia una struttura compatta.
L’edificio che ha determinato gli sviluppi successivi è la grande madrasa di Ulug Beg
(1417). Di fronte a questa abbiamo la grande madrasa di Shir Dor, costruita due secoli
dopo. Misura 81 metri X 56 e comprende un cortile quadrato di 33 metri di lato, intorno al
quale sono stati costruiti quattro iwan dai quali si passa ai due piani di celle per i docenti e
gli studenti.
Il disegno dell’edificio che presenta quattro sale d’angolo, delimitate da quattro minareti, si
ritrova nella Shir Dor.
La generazione successiva a Tamerlano mitiga l’eccessiva grandiosità nelle strutture
architettoniche, si torna a confrontarsi con le proporzioni.
Il più grande dei suoi successori fu Ulugh Beg, che, per promuovere gli studi, fece
costruire tre madrasa. Il cortile di quella di Samarcanda costituisce il miglior esempio di
una rinnovata grandiosità.
Ulug Beg fu anche serio astronomo e fece costruire, sempre a Samarcanda, un grande
osservatorio. Resta il suo sestante in pietra, che ha un raggio di 40 metri.
La commistione di stile che si riscontra nell’arte timuride non può essere considerata in
modo negativo, si deve piuttosto parlare della nascita di uno “Stile Timuride”, concepito
come “materializzazione di un sogno”, riconosciuto anche dai cronisti contemporanei, che
ne parlarono come di “nuovo stile”. Uno stile che “coinvolgeva ogni aspetto dell’edificio,
dalle incredibili dimensioni agli smaglianti rivestimenti in ceramica”.
Le invenzioni timuridi sostanziarono di sé tutta l’Architettura dell’Asia Centrale (Iran,
Afganistan, India Moghul) dei secoli successivi.
L’amore dei Timuridi per la letteratura è testimoniata dalla loro passione per i libri miniati:
si circondarono di magnifici manoscritti, illustrati da grandi pittori. Furono realizzati
capolavori, nei quali le dimensioni della pittura arrivarono piano piano a superare quelle
della scrittura.
La pagina che vediamo appartiene ad un esemplare del Gialal al-Din, del mistico Rumi,
prodotta nel laboratorio di corte, a Herat nel 1450ca; il fascino che l’opera esercita deriva
dalla sua meravigliosa eleganza, dal gusto raffinato di colui che la copiò.
La dinastia timuride asiatica finisce con Babur (1483/1530) di cui parleremo più avanti,
quando parleremo dell’India, dove governò anche dopo la fine della dinastia asiatica, ma
che egli non amò mai a causa del clima infame e della mancanza dei “meloni di buona
qualità”, come egli stesso disse.
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Gli Ottomani
Nella prima metà del Secolo XIII arrivano in Anatolia i Mongoli, che portano nel paese disordini e
provocano il disgregamento del Sultanato di Rum. Nel disordine e nell’anarchia alcuni capitribù
tentano di imporre la loro autorità
La prosperità, l’afflusso di prodotti, l’intensità di scambi, la vitalità religiosa che avevano favorito
l’eccezionale fioritura edilizia, civile e religiosa, durante il Regno Selgiuchide di Rum,
continueranno però durante l’Impero Ottomano che, all’epoca in cui in Europa fiorisce il
Rinascimento, è uno dei più grandi Imperi della storia.
All’inizio del XIII secolo, Osman I (1299/1326), proveniente dal Khorasan, si stabilisce con la sua
tribù nell’Anatolia Centrale, a sud di Nicea. Il suo proposito è quello di occupare una posizione
favorevole dalla quale partire alla conquista di Costantinopoli.
Nel 1326 gli Osmanly conquistano Bursa (Brussa), sulla riva asiatica del Mar di Marmara, di fronte
a Costantinopoli, e ne fanno la loro capitale.
Nel 1361 occupano Edirne che diventa la nuova capitale.
Durante tutto il secolo XIV si assiste ad una rapida espansione ottomana a spese del dominio
bizantino in Europa. Minacciato da tutte le parti dalle forze turche, il territorio di Bisanzio continua a
ridursi. Viene, temporaneamente, salvato dalla rovina dall’arrivo di Tamerlano (Timur Leng) che,
con le sue truppe mongole, porta quasi alla rovina il giovane stato degli Ottomani.
La morte impedisce a Tamerlano di sfruttare le sue vittorie e l’impero da lui creato comincia subito
a disgregarsi. Tra gli Ottomani scoppia una feroce lotta per la conquista del potere, lotta che finirà
una decina di anni dopo, con il sultano Mehmet I (1413/1421), che restaura la potenza turca in
Asia Minore.
Nel 1453, guidati da Mehmet II, dopo un breve assedio, gli Ottomani conquistano Costantinopoli e
ne fanno la loro capitale: Istanbul. Mehmet II, che per conquistare Costantinopoli nel 1452 aveva
fatto costruire sul punto più stretto del Bosforo la fortificazione di Rumei Isar, sarà chiamato Fatih,
il Conquistatore.
Trovarsi a Costantinopoli significa per gli Ottomani essere a continuo contatto con i capolavori
dell’Arte Bizantina ed essere stimolati a creare monumenti adeguati all’impero che avevano
costruito.
Mehmet II, che ha solo 24 anni quando conquista Costantinopoli, è il primo sultano “moderno”:
Non resta in lui traccia del fanatismo musulmano: rispetta la religione cristiana, che è la religione
della madre; legge le opere degli autori greci e latini; rispetta le arti occidentale e, verso la fine
della sua vita, invita alla sua corte il pittore veneziano Gentile Bellini (che gli fa il ritratto).
Vuole per la sua città una moschea sultaniale degna del ruolo che il suo sultanato ricopre.
Viene scelto come luogo per la costruzione quello in cui si trovava la Chiesa dei Santi Apostoli,
costruita da Giustiniano, su una collina di Costantinopoli, chiesa ormai in rovina, dopo i disastrosi
saccheggi compiuti dai Franchi, durante la Quarta Crociata.
Durante gli importanti eventi di questo lungo e difficile periodo, l’architettura ottomana è
all’inizio improntata a criteri di solidità ed economia. Si stabilizza un tipo di moschea (già
comparso nel XII secolo) che presenta un cortile cinto da portici che conduce alla sala di
preghiera, quadrata o rettangolare, coperta da una grande cupola. La tipologia, seguita da
tutti gli architetti, viene però personalizzata nei particolari.
I progressi raggiunti sono già evidenti nella Moschea di Ilyas Bey a Balat (1404),
nell’emirato di Manteche, edificio dalle forma armoniose che dà inizio al “periodo classico”.
La costruzione è rigorosa e unitaria: la sobria cupola semisferica poggia su un ottagono;
un grande arco sormonta il portale a tre aperture. Sono le forme tradizionali che si ispirano
alla moschea araba rettangolare alla quale è stata solo aggiunta la cupola.
Uno dei primi edifici nei quali si nota uno stile proprio degli Ottomani è la Moschea Verde
di Iznik (l’antica Nicea dei Bizantini) (1378/1391), che deve il suo nome al colore verdeazzurro del fusto e della galleria alta del minareto in mattoni.
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L’edificio, semplice, realizzato con marmo di probabile recupero, preceduto da un portico
d’ingresso, consta di una piccola sala quadrata, sormontata da una cupola che è collegata
alla pianta quadrata tramite pieghe turche. Le finestre a livello del pavimento documentano
l’importanza attribuita alla luminosità dell’interno.
Particolarmente interessante è il portico a tre aperture con archi a sesto acuto. Le
balaustre a claustra, in marmo, sono decorate con un prezioso disegno geometrico. Poco
convincente è la cornice dell’ingresso, di recupero, è tuttavia interessante la facciata,
malgrado una certa immaturità progettuale nel saldarsi della cornice centrale ai capitelli.
Le ceramiche smaltate provengono dalle botteghe di Iznik, grande centro di produzione di
piastrelle per moschee e palazzi ottomani.
L’esame della Moschea Verde di Iznik ci ha permesso di vedere ancora nella forma e nella
decorazione del minareto (di restauro) l’eredità selgiuchide, notiamo però una ricerca di
unità spaziale all’interno della moschea, dominata dalla grande cupola, una spazialità che
è il primo elemento di novità dell’arte ottomana, ispirato sicuramente dalla presenza di
documenti armeni e bizantini e realizzato con il contributo di maestranze bizantine.
Lo scopo che l’architetto si propone (e che sarà lo stesso dei suoi successori) è quello di
unificare l’interno senza spezzare lo spazio con elementi di sostegno, tenendo però
sempre conto della necessità di creare elementi atti a sostenere un’unica, grande cupola
(il realizzatore del grande sogno sarà l’architetto Sinan il Grande).
Questo tipo di pianta interna si traduce all’esterno in una serie di volumi diversi per altezza
e disposizione.
Il portico della facciata diventa monumentale: si vuole conferire magnificenza all’edificio.
Ulu Camii, la Grande Moschea di Bursa (iniziata nel 1396). Il portale che dà accesso
alla sala della preghiera è ornato da una importante volta a muqarnas, che copre una
semicupola.
La sala della moschea presenta pilastri quadrati, sormontati da grandi archi a sesto acuto
che sostengono cupole.
Bayezid Yildirim Camii di Bursa: costruta tra il 1391 e il 1400 dal sultano Bayezid I. Fa
parte di una kullyyie che comprende, oltre la moschea, una madrasa, il turbe (mausoleo)
del fondatore, un hamman e diversi chioschi.
Il portico d’entrata è imponente, coperto da cinque piccole cupole, con un decoro di
stalattiti.
Lo spazio interno, rettangolare, comprende navate laterali coperte da piccole cupole.
Yesil Camii di Bursa (1419, costruita per Mehmet I, opera dell’architetto Hadji Ivaz,
coadiuvato dal decoratore di ceramiche Ali, originario di Tabriz).
La moschea presenta due cupole allineate, che poggiano su un tamburo con pieghe
turche.
Le tre aperture dell’entrata sono dotate di archi a sesto acuto. Le balaustre a clausura in
marmo sono ornate da un bel disegno geometrico.
Sull’entrata assiale, una loggia sultaniale, completamente rivestita di ceramica verde dai
riflessi dorati, forma una specie di scrigno nel quale accogliere il sovrano.
Nella sezione longitudinale e nella pianta della Moschea Verde si può notare la
disposizione a T delle due cupole allineate, affiancate da “navate laterali”, anch’esse
coperte da cupole, che ci mostrano la ricerca della primitiva arte ottomana di crearsi
un’identità propria.
Yesil (Verde) Turbe di Bursa, costruito da Mehmet I nel 1421, è una torre mausoleo, (già
caratteristica dell’architettura selgiuchide). Si basa su pianta rettangolare, preceduta da un
portale leggermente aggettante.
Le nicchie a muqarnas che affiancano l’ingresso sono rivestite di mattoni smaltati: motivi
floreali si alternano a iscrizioni. Negli angoli del portale d’ingresso sono state adottate le
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pieghe turche al posto dei pennacchi o degli angoli ciechi. Lo spazio occupato dal sovrano
quando segue la preghiera è rivestito di ceramica e di mosaici d’oro.
Muradiye Cami, la Moschea di Murad II. 1424/1426. Bursa.
La pianta a due cupole allineate si trova nella Muradiye, la moschea della Kulliye di Murad
II, costruita tra il 1426 e il 1437.
La formula, che si ispira a edifici bizantini (Santa Irene a Costantinopoli), segna
un’evoluzione nelle tendenze islamiche, presenta infatti un dislivello, il pavimento, più
elevato nella sala che si trova sotto la seconda cupola, attenua l’impressione longitudinale.
E’ notevole la ricerca di formule plastiche regolate da rigida simmetria: La sala cubica è
coperta da una cupola emisferica che poggia su tamburo ottagonale. Il tutto è inquadrato
da due minareti.
La veduta trasversale da una navata all’altra evidenzia la spazialità di questo edificio.
Decorazione: a pieghe alla base delle cupole; pennacchi coperti di stalattiti negli angoli;
mosaico in ceramica policroma nei quali predominano i blu, i bianchi, i neri.
Nella sua kulliye Murat II fa costruire anche una serie di turbe (mausolei), tra i quali
anche il suo. Sono edifici quadrati o ottagonali, con copertura semisferica su tamburo,
costruiti in modo da permettere la circumambulazione.
Nell’immagine vediamo a sinistra il complesso di Murad, a destra il mausoleo del principe
Ahmed. Sotto la cupola di Murad, sostenuta da arcate, dove si alternano pilastri angolari e
colonne, c’è il cenotafio.
Undici anni dopo la Moschea di Bursa, tra il 1437 e il 1447, Murat II ne fa costruire una a
Edirne, la nuova capitale, la Utch Serefeli Camii, un vasto edificio di m.65X67
(mq.4300ca.)
L’Haram (la sala di preghiera) è rettangolare, sormontato da una cupola grande, di metri
24 di diametro, a base esagonale.
La cupola, appoggiata su due enormi pilastri, è rinforzata ai lati da due piccole cupole di
metri 11 di diametro.
Pianta generale: Il cortile porticato, rettangolare, è limitato da otto colonne per lato e da sei
lungo la sala di preghiera. Le volte sono eterogenee; vediamo cupole di diversi diametri,
crociere, cupole ovali.
L’impresa è molto ardita; le dimensioni fanno pensare che il capo mastro si sia impegnato
nel tentativo di realizzare qualcosa di nuovo e di diverso: nella cupola ci sono numerose
aperture, lo spazio però rimane buio.
L’elemento più riuscito di questa moschea sperimentale è il cortile, dominato da un
minareto elicoidale. In quest’opera, continuiamo a dire sperimentale, già però si vedono gli
elementi caratterizzanti l’Architettura Ottomana: leggerezza, finezza, eleganza.
Il portico del cortile poggia su colonne monolitiche molto sottili.
La copertura è caratterizzata da piccole volte su tamburo.
Nella nuova capitale, Edirne, viene costruita la Selimiye Camii. 1568/1575.
Nel1568 Sinan, che ha quasi 80 anni, dà inizio alla costruzione a Edirne della Moschea di
Selim, il suo “capolavoro”, come egli stesso dichiara.
Sorge su un temenos rettangolare di 200 metri di lunghezza per 11 metri di larghezza. Il
centro è occupato dalla moschea con il suo cortile. Agli angoli orientali si trovano due
madarris (madrase). Sul lato lungo del complesso, verso sud, nel 1580 un allievo di Sinan
ha completato la Kulliye con un bazar.
Elemento positivo del complesso è la chiarezza strutturale, la concezione unitaria.
La cupola della Moschea sembra emergere, serena e maestosa, dal poderoso ottagono.
“La tensione tra peso e dinamica ascensionale, tra linee rette e curve, è equilibrata”.
Osserviamo il profilo della cupola, ancorata al suolo dalla forte struttura su cui poggia, ed i
minareti che si alzano fino a 36 metri.
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Nella realizzazione di questo progetto la “Storia” di Sinan architetto arriva al momento più
glorioso. L’immagine che si offre agli occhi dell’incantato osservatore evidenzia la
compattezza dello spazio e la simmetria degli elementi. Lo slancio verticale della massa
dell’edificio è accompagnato da quello di quattro alti e sottili minareti, disposti a ciascun
lato della cupola centrale.
Duplice è il risultato che Sinan ottiene con questi minareti: conferisce alla sua Moschea lo
slancio verso l’alto e li usa contemporaneamente come pilastri di sostegno.
L’intero edificio misura 100 metri in lunghezza e 68 in larghezza. Sinan aveva all’inizio
della sua gloriosa carriera guardato a Santa Sofia, ora la sua realizzazione non deve più
nulla al capolavoro dell’Arte Bizantina: La cupola che si alza a 44 metri dal pavimento ha
un diametro di m. 31,5 e supera, anche se di poco, quello del modello bizantino. Si regge
su un tracciato ottagonale comprensivo di quattro pilastri: Nelle diagonali vediamo archi
ciechi con semicupole di una decina di metri di diametro.
Sinan elimina dunque la soluzione dei grandi pennacchi angolari. Restano piccoli
pennacchi angolari che collegano l’ottagono alla base circolare della cupola e quelli al
fondo di quattro grandi archi ciechi angolari che sono però camuffati da leggere muqarnas.
Riesce nel suo obiettivo, quello cioè di elaborare una nuova forma di copertura senza più
ricorrere alle semicupole di rinforzo e alle navate laterali. Ne guadagna lo spazio aperto,
per di più luminosissimo, perché inondato dalla luce di ben 32 finestre aperte alla base
della cupola, oltre a quelle dei timpani sulle quattro facce assiali dell’ottagono.
Traforata da un totale di 270 aperture, la sala diventa leggera, quasi senza peso, quasi
immateriale.
Come è riuscito Sinan a risolvere il problema delle spinte esercitate dal peso della cupola?
L’analisi della costruzione ha dato la risposta: l’architetto ha utilizzato muri di
contenimento interni, un doppio involucro, dunque (che si manifesta dietro i pilastri di
sostegno a livello delle gallerie che circondano la sala).
Il sostegno c’è, ma non si vede; è perfettamente integrato nella “sagoma” dell’edificio, si
fonde in una struttura omogenea.
In conclusione, quel che colpisce e affascina in questa sala è la sua unità spaziale:
“nessuna divisione disturba l’immagine di questo vuoto trasparente e sereno, quasi
monolitico.”
La facciata che dà sul cortile presenta, come la posteriore, alternanza di archi stretti e di
archi ampi. In questa però è da notare il profilo a quattro centri degli archi piccoli e la
presenza di dischi di marmo bianco. La coppia di colonne che inquadrano l’entrata evoca il
simbolismo tradizionale del tempio di Salomone.
Gli ampi archi dei portici sul cortile danno alla Selimiye di Edirne un senso di tranquillità
classica, sottolineata dalle snelle colonne. I capitelli presentano molte varianti del tema
delle muqarnas.
La Venerabile Moschea di Diyarbakir. VIII secolo. Anatolia Orientale.
Malgrado le trasformazioni apportate dopo il 1091, resta una delle testimonianze più
antiche dell’Islam in Anatolia: Ha pianta rettangolare, vasto cortile, portici a tre campate
che affiancano una corta navata centrale.
Le moschee arabe con sala ipostila divisa in navate e campate determinano i caratteri
delle prime costruzioni selgiuchidi in Anatolia:
Ala ed –Din Camii di Nidge (1223): Tre navate, mihrab preceduto da una cupola su archi
di supporto, affiancata da altre due cupole di dimensioni minori.
La cinque campate sono coperte da volte con nervature a sesto leggermente acuto.
L’illuminazione proviene da un pozzo di luce centrale.
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Costantinopoli: Istanbul.
Per la conquista di Costantinopoli gli Ottomani costruiscono sugli stretti fortezze destinate
all’assedio. Quella di Rumeli Hisar (1452, un anno prima della caduta di Bisanzio) fu
costruita nel punto più stretto del Bosforo.
La grande Arte di Costantinopoli, assieme al desiderio di immortalare la gloria delle loro
conquiste, stimola la creatività degli Ottomani. Quando conquista Costantinopoli, Mehmet
Fatih ha solo 24 anni, ma ha già idee moderne; non è fanatico e rispetta il Cristianesimo,
la religione della madre. Protegge la minoranza ebrea e studia la corrente sciita dei
Persiani. Legge i testi greci e latini e apprezza l’Arte occidentale al punto che invita alla
sua corte il pittore Gentile Bellini, fratello di Giovanni. Conquista la città che da allora si
chiama Istanbul; fa costruire tra il 1463 e il 1470, sul luogo dove sorgeva l’antica chiesa
cristiana dei Santi Apostoli, e che era all’epoca in rovina, una moschea circondata da
edifici pubblici (madrasa, biblioteca, refettorio popolare, caravanserraglio e mausoleo): un
complesso enorme, che i Turchi indicano come “kulliye” (fondazione religiosa). Progettista
è l’architetto Atik Sinan (Sinan il Vecchio, per distinguerlo dal celebre Sinan, che
lavorerà durante i regni di Solimano e di Selim II).
Costruita tra il 1463 e il 1470, la moschea è stata distrutta da un terremoto e ricostruita
l’anno seguente. Sulla base di incisioni dell’epoca e scavi eseguiti nella zona, si deduce
che il motivo ispiratore è stata la Basilica di Santa Sofia, con un cortile rettangolare e
portici intorno alla fontana per le abluzioni. La sala di preghiera presentava una cupola di
26 metri di diametro. Una semicupola copriva il mihrab. Altre tre piccole cupole erano
allineate su ciascun lato. E’ evidente l’ispirazione da Santa Sofia, della quale era stata solo
eliminata la parte anteriore.
La kulliye del sultano Bayezid II (1481/1612) è il primo vero capolavoro dell’Arte
Ottomana.
Con il termine Kulliye viene indicato l’insieme degli edifici di una fondazione religiosa
intorno a una moschea. Si compone di una o più madrase, di un ospedale o dispensario,
di un monastero, di un manicomio, di una fontana, di uno o più mausolei (turbe). Questa
di Edirne comprende anche una cucina e una panetteria. Rigore e pittoricità combinati ne
fanno un capolavoro.
Solimano e l’apogeo ottomano.
Selim I, il Crudele, s’impegna nelle guerre di conquista. Durante il suo regno raddoppia i
territori dell’Impero ottomano. Limitato è però il suo impegno come costruttore. La
moschea che a Istanbul porta il suo nome è opera del figlio, desideroso di tramandare il
nome del padre, glorioso conquistatore. Selimiye: La Moschea di Selim I a Istanbul
(1522) realizzata da Solimano dopo la morte del padre, è quasi certamente opera
dell’architetto Hayreddin.
E’ un edificio a cupola unica, del diametro di m.24. Ai lati della cupola si trovano due sale
quadrate, cruciformi, a nove cupole, che formano una madrasa, preceduta da un cortile
porticato con cupole e due minareti. Anche le madrasa a sala unica sono cruciformi.
E’ un’opera ben fatta ma non innovativa: Le novità si avranno venti anni dopo, frutto
dell’incontro di Solimano e dell’architetto Sinan (occupato al momento nella costruzione di
ponti e fortezze, piuttosto che di edifici religiosi).
Solimano è il più glorioso sovrano ottomano. Figlio di Selim I, vincitore sullo scià di Persia
e sui Mammalucchi del Cairo, conquistatore dell’Egitto e dei Luoghi Santi di Medina e della
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Mecca, eletto califfo dai capi delle comunità ottomane, Solimano può essere considerato
un sovrano rinascimentale nel vero significato del termine.
Sovrano illuminato, lascia un’opera immensa anche in campo giuridico; unifica la
legislazione del suo impero e per questo motivo, mentre in Occidente viene indicato come
Solimano il Magnifico, nell’Islam viene chiamato Solimano il legislatore (Kanuni).
Regna dal 1520 al 1566 (il regno più duraturo della dinastia ottomana) e riporta vittorie
strepitose:
1521: presa di Belgrado;
1522: vittoria sui Cavalieri di Rodi;
1526: Conquista di Tabriz e Bagdad;
1541: annessione dell’Ungheria;
1548: toglie ai Persiani la città di Van in Armenia.
Subisce anche due cocenti sconfitte:
1529: assedia Vienna, ma non riesce a conquistarla
1565: la flotta turca tenta per tre mesi, senza risultato, di impadronirsi dell’isola di Malta.
Soffre per tragedie personali:
1536: viene giustiziato a palazzo il suo vizir e favorito Ibrahim, schiavo greco, di origine
cristiana;
1543: muore il principe Mehmed, erede legittimo;
1553: viene condannato a morte Mustafà, erede al trono, accusato di tradimento durante
la guerra contro lo scià di Persia.
Il XVI è un secolo d’oro per l’Europa, un periodo ricco di eventi storici:
1521: rottura tra il Papa e Lutero
1522: Magellano torna dalla prima circumnavigazione del globo terrestre
1521: I Conquistadores spagnoli di Carlo V abbattono l’impero degli Aztechi
1532: L’impero degli Incas cade sotto il dominio degli Spagnoli. L’imperatore regna su un
territorio così vasto che “su di esso il sole non tramonta mai”.
1532: Francesco I conclude un’alleanza con il sultano, per abbattere Carlo V
1537: La battaglia tra la flotta di Andrea Doria, al servizio della Repubblica di Venezia, ed i
corsari ottomani porterà alla pace del 1540
Ed è in questo secolo che l’influenza dell’Arte italiana si fa sentire alla corte ottomana:
ritroviamo l’impronta dei nostri grandi artisti in qualche portico e galleria, in qualche arcata,
in qualche ornamento.
Il genio dell’Architettura ottomana è Sinan (1489/1588). Vive 99 anni; costruisce non
meno di 335 edifici e complessi; 81 grandi moschee. E tra queste le moschee sultanali di
Solimano a Istanbul e di Selim II, suo successore, a Edirne.
Shezade Camii. 1543. Istanbul.
E’ la prima moschea sultanale di Solimano, costruita dall’architetto Sinan (all’età di 55
anni). Il nome “Shezade”, che deriva dal persiano Shah Zadek ed indica il “principe
ereditario”, sembra sia stato dato alla moschea dallo stesso Solimano, in
commemorazione del figlio prediletto Mehmed.
Secondo alcuni storici, però, l’opera era già stata iniziata alcuni mesi prima della morte del
giovane e non si può quindi parlare di commemorazione.
Date le sue dimensioni (l’edificio viene costruito su una spianata di metri 185 di lunghezza
per 120 di larghezza, una superficie quindi di circa mq.4500) deve essere piuttosto
considerata prima moschea sultanale di Solimano.
L’opera garantì a Sinan il titolo di “Maestro in Architettura” (mimar).
Sinan adotta per Shezade una pianta centrale e viene così a creare un edificio che
presenta su tutti i suoi lati un sistema di copertura essenzialmente identico: crea una
specie di piramide che culmina nella cupola principale.
Visto dall’esterno l’edificio si presenta come una “cascata di cupole” che si snodano da
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quella centrale. Il disegno continua nei portici del cortile quadrato, ricchi su ogni lato di
cinque piccole cupole di rara eleganza. Le grandi arcate dei portici valorizzano la
sottigliezza delle colonne monolitiche.
La sala di preghiera è quadrata, unitaria e omogenea. Perché venga almeno
apparentemente osservata la più antica tradizione musulmana, che la vuole rettangolare,
l’architetto dispone alle estremità due eleganti gallerie. La cupola centrale, di 19 metri di
diametro, traforata da 24 finestre, è affiancata sui quattro lati da semicupole dotate di nove
aperture ciascuna.
Il quadrato centrale, sostenuto da grandi archi collegati al cerchio della cupola con
pennacchi lisci, poggia su quattro robusti pilastri.
Le semicupole che formano le “absidi” sono fiancheggiate da un paio di archi ciechi
disposti a 45 gradi.
La prospettiva sulla cupola mostra la formula a quattro semicupole che sostengono la
cupola centrale.
124 basso: La cupola centrale non supera i 19 m. di diametro: la chiave di volta è a 38
metri dal pavimento: l’edificio è tuttavia dotato di eleganza e leggerezza notevoli,
specialmente se lo si confronta con la Moschea Blu, creata 60 anni dopo e che presenta
la stessa pianta, ma i cui massicci pilastri non presentano la stessa eleganza che deriva a
quelli di Sinan dai supporti sfaccettati.
Formula sinaniana: Una sala che sembra più larga che profonda, secondo la tradizione
islamica; equivalenza tra cortile e sala di preghiera; due minareti si alzano dove cortile e
sala di preghiera si incontrano; grande luminosità creata da decine di aperture che
permettono alla luce di entrare liberamente.
Risultato: Moschea sultanale, la cui perfezione traspare dai più piccoli dettagli.
La Suleimaniye: la Moschea sultaniale di Solimano. 1550/1557. Istanbul. Architetto
Sinan.
Sembra che la data di inizio della costruzione debba essere anticipata di qualche anno.
Sembra che verso il 1547/48, prima che fosse portata a termine la costruzione della
Shezade Camii, il sultano abbia deciso (probabilmente per motivi di prestigio) di costruire
una nuova moschea sultaniale.
I lavori per la Suleymaniye hano inizio il 15 Giugno 1550 sull’area precedentemente
occupata dal Palazzo del Governo bizantino, una zona che domina il Corno d’Oro.
(Area m.350X280).
La superficie sulla quale sorge è irregolare e l’architetto deve tenerne conto nella
distribuzione degli edifici annessi.
La pianta è basilicale, con cupola centrale rinforzata in senso longitudinale da due
semicupole e lateralmente da navate laterali, dietro le arcate di sostegno dei timpani.
Sia il modello ispiratore, sia l’opera di Sinan avevano inizialmente un cortile: nel primo
caso l’atrio bizantino (ora scomparso), nella moschea un portico su quattro lati, con sette
cupole sul lato corto e nove su quello lungo: uno spazio aperto a pianta rettangolare.
Le dimensioni dei due edifici sono analoghe:
Il progetto di Sinan è però diverso dal modello:
- In Sant Sofia vediamo due livelli di navate laterali sovrapposte (m.12 altezza quelle dl
piano terra; 10 m. quelle del primo piano.) La foresta delle colonne accentua la prospettiva
longitudinale delle navate.
- Sinan, che privilegia lo spazio in larghezza, favorisce l’estensione laterale, interrotta solo
da due coppie di colonne, con navate laterali a spazio unico che culminano a metri 30 di
altezza.
- In Santa Sofia tutte le superfici degli intradossi di cupole e di volte formano una superficie
continua che unifica lo spazio.
- Sinan sottolinea con spigoli vivi i diversi elementi architettonici.
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- A Santa Sofia gli archi ciechi che prolungano a 45 gradi le absidi sono sostenuti da archi
e da colonne.
- Nell’opera di Sinan l’assenza di supporti intermedi crea una maggiore fusione tra la
navata centrale e quelle laterali.
- In Santa Sofia l’atmosfera è buia e misteriosa; nella Suleymaniye l’atmosfera è luminosa,
cristallina.
Risultato: La pianta di Artemisio di Talle e di Isidoro di Mileto è stata profondamente
trasformata dall’intervento di Sinan.
Per Solimano, morto nel 1566, Sinan costruì anche l’imponente mausoleo nel giardino
della Suleymaniye, vicino a quello di Roxane, la sua sposa, morta nel 1558.
La tomba è una costruzione ottagonale, di 21 metri di diametro ed altrettanti di altezza.
Presenta una galleria per la circumambulazione. E’ coperta da una cupola emisferica che
poggia su un’arcata ottagonale, sostenuta da otto colonne.
La cupola è formata da due involucri contenuti l’uno nell’altro (come nella Cupola della
Roccia a Gerusalemme).
L’attività di Sinan durante il sultanato di Solimano non si esaurisce nella moschea
sultaniale. Sinan, “architetto dell’acqua”, si impegna anche in opere di pubblica utilità: è
necessario fornire di grandi quantità d’acqua Istanbul, dove la popolazione si è
moltiplicata. Nel 1563 Sinan costruisce il “Lungo acquedotto” (Uzun Kemer):un ponte a
due arcate sovrapposte (m. 26 di altezza per m. 716 di lunghezza) che porta l’acqua dalla
Foresta di Belgrado (una regione a una ventina di chilometri a Nordest di Istanbul) e
l’Egrikemer (l’acquedotto a gomito) lungo m.342 e alto m.35.
Grazie all’abbondanza di acqua è possibile costruire numerosi Hammam a Istanbul.
Quello costruito da Sinan, (Haseki Hurrem. 1556) su richiesta della sultana Roxelane, si
trova di fronte a Santa Sofia ed è interamente dotato di volte e di cupole dalla copertura di
piombo.
Nel medesimo periodo durante il quale costruiva la Suleymaniye (1553), Sinan costruisce
la Tekke (o Tekkiye) di Solimano a Damasco, un convento di dervisci che era anche
stazione di sosta durante i viaggi dei pellegrini verso la Mecca.
La Tekke comprende una moschea (il cui spazio quadrato per la preghiera è coperto da
una cupola su pennacchi), edificio cubico, sormontato da una cupola semisferica con archi
rampanti, e dotato di due minareti.
La decorazione, a strati chiari e scuri alternati, trae ispirazione dalla tradizione araba.
Tra il 1550 e il 1556 Sinan costruisce la Moschea di Kara Ahmed Pascià, gran Vizir di
Solimano. La pianta della Moschea è esagonale; la cupola, rinforzata lateralmente da due
coppie di archi ciechi, poggia su due belle colonne antiche di granito rosa (recupero). I
pannelli del minbar sono di marmo traforato.
Mihrimah Camii. 1558/1565. Istanbul. (struttura a cupola unica poggiante su un quadrato
con quattro pilastri angolari collegati alla base della cupola mediante lisci pennacchi
triangolari dalla sezione sferica.)
Commissionata alla memoria della figlia di Solimano, morta nel 1558, finita tra il 1562 e il
1565, rappresenta una vera sfida di Solimano: le dimensioni della sala della preghiera,
rettangolare, raggiungono i 22 metri di profondità, per 33 metri di larghezza. La cupola si
alza a 30 metri dal pavimento.
Al centro del vasto cortile rettangolare un’edicola copre la vasca per le abluzioni.
La moschea presenta lateralmente portici doppi sormontati da doppia fila di piccole
cupole.
La facciata è imponente, con un grande arco tra i pilastri ottagonali d’angolo, che
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sostengono le spinte della cupola: grande virtuosismo delle soluzioni tecniche di Sinan.
Le pareti che sostengono la cupola sono traforate da finestre. Grazie alle sue duecento
aperture attraverso le quali la luce penetra a fiotti, la sala di preghiera è uno spazio
leggero, diafano, una ragnatela che sfida le leggi di gravità.
La sala della preghiera è a pianta rettangolare con cupola centrale che poggia su otto
supporti: quattro colonne antiche di recupero,disposte lateralmente a due a due, e quattro
pilastri inseriti nel muro anteriore e in quello posteriore.
Sui quattro lati della moschea corre il timpano.
La cupola, di metri 20 di diametro e 37 di altezza, che non presenta elementi visibili di
sostegno esterno, è aperta alla base da 24 finestre.
Solimano il Magnifico muore nel 1566, durante l’assedio di Szeged (nell’odierna
Ungheria). E’ all’epoca Gran Vizir Sokullu Mehmed Pascià, bosniano di origine cristiana.
A lui si deve se la dinastia riuscì a superare senza scosse il momento della morte del
sovrano. La tiene nascosta, finge di obbedire ancora ai comandi del suo signore fino a
quando il giovane erede Selim lo raggiunge (43 giorni dopo la morte del padre) e riesce
ad ottenere il trono.
Selim non è degno del padre né dei due fratelli che avrebbero avuto diritto al sultanato ma
che erano morti giovani. E’ un ubriacone che si circonda di cortigiani ed abbandona il
potere nelle mani del Vizir.
Sokullu mantiene Sinan come architetto di corte e gli commissiona due opere, non di
proporzioni monumentali, ma notevoli per le innovazioni tecniche e creative.
Sokullu Camii (m.85X65) è costruita su un pendio a valle dell’Ippodromo, non lontano dal
Bosforo.
Si accede alla Kulliye e relativa moschea circondata da un cortile porticato tramite una
scala, che sale lungo una specie di tunnel, che collega l’entrata, situata nel punto più
basso del cortile al punto più elevato (a 8 metri di altezza) e che corre sotto gli edifici della
tekkiye.
Si esce sotto la fontana delle abluzioni e ci si trova di fronte alla facciata della moschea.
La costruzione comprende : un vestibolo con sette cupole e un portale decorato a
muqarnas e sormontato da una cupola con un intradosso rivestito di piastrelle di Iznik.
La sala della preghiera è rettangolare (m.14X18, m.25 dal pavimento alla chiave di volta).
La kibla è rivestita di piastrelle a fiori azzurri su fondo bianco; il timpano è illuminato da
due ordini di finestre policrome.
Su ogni lato si aprono gallerie interne sormontate da semicupole che affiancano gli archi
dell’esagono. Pennacchi coperti da stalattiti. Un grande pilastro lungo l’asse trasversale
della sala sostiene le imposte degli archi. I sei pennacchi della cupola centrale sono
rivestiti da piastrelle di ceramica di Iznik. Nella base della cupola si aprono venti finestre
che inondano di luce tutto l’edificio.
Questa moschea, nella quale Sinan privilegia la forma rettangolare della sala di preghiera
e sottolinea la verticalità, segna una rottura con la tradizione e anticipa la Selimiye di
Edirne, che sarà però a pianta ottagonale.
La Selimiye Camii di Edirne, commissionatagli da Selim II, costruita tra il 1568 ed il 1574,
è uno dei più grandi capolavori dell’Arte islamica. Sorge al centro di una Kulliye che
comprende una madrasa (dove veniva insegnata la lingua islamica e venivano impartite
lezioni su argomenti scientifici), una sala in cui si trovava un cronometro, una serie di
negozi. E’ dotata di quattro minareti.
All’interno della moschea Sinan adottò un sistema di sostegno ottagonale ottenuto tramite
otto colonne inserite in un vano quadrato aperto nelle pareti. Le quattro semicupole che
tagliano i lati del quadrato (disegnando un ottagono) poggiano sulle colonne e fanno da
tramite tra la grande cupola centrale e le pareti laterali di sostegno.
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La grande novità introdotta da Sinan consisteva nell’organizzazione dell’interno.
L’architetto voleva che il mirhab fosse visibile da ogni parte della moschea. Lo costruì in
una specie di abside, profondo abbastanza da permettere che fosse illuminato da finestre
aperte su tre lati. L’effetto che raggiunse fu quello di ottenere che le piastrelle alle pareti
brillassero di luce naturale.
L’aula centrale è del tutto coperta dalla cupola ottagonale.
La sintesi delle forme geometriche si realizza con la cupola rotonda che poggia su una
base ottagonale che scarica il suo peso sulle pareti di un’aula quadrata.
La bellezza offerta dalle forme geometriche che si inseriscono l’una nell’altra è stata la
ricompensa della ricerca di Sinan, ricerca durata un’intera vita, che si proponeva di
rendere unitario lo spazio interno della Moschea, grazie alla luce che si muoveva libera,
non frenata da alcuna struttura architettonica.
MOSCHEA BLU. (1609/1617). Architetto Mehmet Agha, che era stato prima allievo, poi
assistente di Sinan.
Sultan Achmed Camii (1609/1617), sconfitto in battaglia, decide di costruire una moschea
per ingraziarsi Allah; non possiede mezzi perché non ha mai riportato vittorie, le spese
saranno quindi sostenute dai fedeli (fatto che provoca lo sdegno degli Ulema).
Deve il suo nome al colore turchese che domina all’interno: Pareti, colonne ed archi sono
ricoperti dalle maioliche di Iznik, in toni che vanno dal blu al verde. Colpite dalla luce che
entra da 260 finestre, creano un’atmosfera estremamente suggestiva
La Moschea, che fu edificata nell’area del gran Palazzo di Costantinopoli, di fronte a Hagia
Sophia consta di:
- Sei minareti (solo la Moschea della Ka’ba, alla Mecca, ne ha sette).
- Sala della preghiera rettangolare (preceduta dal cortile) (m.52).
- Otto cupole di nove metri in larghezza.
- La cupola centrale, del diametro di m.23, è rinforzata da quattro semicupole e poggia su
quattro enormi pilastri cilindrici scanalati.
- Piccole cupole ai quattro angoli.
Rispetto al “modello sinaniano”, la Moschea Blu è più grandiosa, solenne e imponente, ma
manca della eleganza e leggerezza che la luce conferisce alle opere di Sinan.
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