Battaglia – Pietrogrado 1917

associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Giuseppe Battaglia
A Pietrogrado nei primi
giorni della Rivoluzione
Note di viaggio
Pietrogrado, febbraio 1917
19171
1 La trascrizione è fedele al testo, anche negli errori e nei corsivi. La paginazione originale è
stata riportata tra parentesi quadre e in grassetto, collocandola a fine parola quando questa
risulta sillabata. Trascrizione e note: © associazione culturale Larici, 2008.
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[3]
AL LETTORE,
Sollecitato insistentemente, nelle private conversazioni e in pubblico, sui
giornali, a voler dire le impressioni del mio viaggio in Russia, in una
conferenza che avrebbe fruttato largamente, si diceva, al Comitato di
Assistenza Civile, ho pensato invece di raccogliere e ordinare le molte note
del mio diario per una modesta pubblicazione, da vendersi a beneficio del
Comitato di Assistenza Civile di Luino.
E poichè ho avuto il piacere di avere a collaboratore nel mio lavoro
l’amico G. B. Reggiori, io mi lusingo di aver fatto un’opera per molti aspetti
interessante, e che in ogni modo meglio che una conferenza potrà tornare
vantaggiosa al Comitato.
Con questa fiducia licenzio al pubblico le mie note di viaggio.
Luino, Settembre 1917.
GIUSEPPE BATTAGLIA.
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15 Gennaio-27 Gennaio 19172.
Aveva visitato parecchie volte la Russia, ma confesso che non era mai
stato così eccitato dalla curiosità e così tormentato dall’ansia di arrivare alla
meta, come quando il 15 Gennaio 1917 lasciavo Torino per Pietrogrado3
assieme agli amici della Missione Commerciale Italiana. — Per quanto il
nostro Itinerario non comprendesse che brevissime soste nelle capitali, a
Parigi e a Londra — e per quanto dovesse parere interessantissimo un
viaggio traverso la Francia e l’Inghilterra, tese nella preparazione dello
sforzo bellico decisivo, tuttavia il mio pensiero non poteva staccarsi da
Pietrogrado.
Rivedevo la capitale russa nel suo aspetto di pochi anni prima: la
cattedrale di S. Isacco4, il superbo monumento di Pietro il grande 5, le rive
della Neva popolata di piroscafi, il ponte Nicolò6, i sobborghi operai, e
intorno l’agitarsi della folla; funzionari, preti dall’aspetto di Nazzareni,
gorodovoi7 (guardie di città), dvornik8 seduti all’ingresso delle case, isvoscik9
spingenti al trotto i cavalli colla testa incorniciata nell’arco di legno, qualche
2 Le date seguono il calendario gregoriano in uso in Occidente, avanti di tredici giorni
rispetto a quello giuliano abbandonato in Russia dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1918.
3 San Pietroburgo fu la capitale dell’impero russo dalla sua fondazione (1703) fino al 1918.
Cambiò il nome in Pietrogrado allo scoppio della guerra contro la Germania (1914) e in
Leningrado alla morte di Lenin (1924). Riprese il nome di San Pietroburgo nel 1991.
4 La cattedrale di Sant’Isacco (111,2 m di lunghezza, 97,6 di larghezza e 101,5 di altezza)
è la quarta cattedrale a cupola più grande del mondo, dopo San Pietro a Roma, San Paolo
a Londra e Santa Maria del Fiore a Firenze. Fu progettata dall’architetto francese August
Montferrand (1786-1858) e costruita dal 1818 al 1858. Si tramanda che Pietro il Grande
volesse che una chiesa ricordasse il santo venerato nel suo giorno natale (30 maggio),
ossia il santo monaco Isacco (IV secolo). Furono innalzate almeno quattro chiese – che
non ressero al tempo e agli incendi – prima dell’attuale. A causa del terreno paludoso, le
fondamenta dovettero essere poggiate su 24.000 pali di pino incatramati, richiedendo
l’opera di 125.000 operai per dieci anni. All’esterno, 112 colonne monolitiche (di 114
tonnellate ciascuna) di granito rosso locale reggono i quattro portici, altrettante colonne
sono all’interno. Le calotte, interna ed esterna, della cupola sono in metallo, riempite da
centomila vasi di terracotta con la funzione di alleggerire il peso della cupola e di
migliorare l’acustica interna alla chiesa.
5 Il monumento si trova in Ploščad’ Dekabristov (Senatskaja nel 1917), verso il fiume Neva;
opera del bronzista Horseman fu inaugurato nel 1782. Pëtr I Alekseevič detto il Grande
(1672-1725) fu zar e imperatore di Russia dal 27 aprile 1682.
6 Vi sono due ponti Nikolskij a San Pietroburgo, vicini uno all’altro. Il ponte Novo-Nikolskij è
situato sul canale Griboedov, presso la cattedrale di San Nicola, e fu il primo a essere
costruito in ferro e pietra (1835-37), poi sostituito nel 1841, nel 1880 e nel 1933-1934. Il
ponte Staro-Nikolskij è sul canale Krjukov, in Sadovaja ulica, ed è stato costruito intorno
al 1784-86 in legno e pietra, poi sostituito in ferro nel 1906 e, parzialmente, nel 1988.
7 Le guardie comunali (gorodovoj) furono abolite dopo la Rivoluzione d’Ottobre.
8 Lo dvornik (al plurale dvornika) è colui che tiene pulito l’ingresso di una corte o un cortile
(dvor), quindi, in senso generale, è un portiere.
9 Lo izvozčnik è il cocchiere. La carrozza, o la slitta, era tirata da due o tre cavalli (trojka),
uno dei quali – quello guida, quindi quello in mezzo nel tiro a tre – aveva un alto archetto
di legno sopra la testa, che aveva funzione soprattutto ornamentale.
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bellissimo cosacco dell’ochrana imperiale10, armato fino ai denti, di
moschetto, di [6] revolver, di sciabola e di pugnale. — E mi tornavano alla
mente assieme a questi aspetti pittoreschi della capitale, gli spettacoli meno
piacevoli offerti dai bevitori di vodka, succhianti la loro bottiglia sul
marciapiede della strada, dove poi stramazzavano come morti.
Come tutto doveva essere mutato! La vodka era proibita, la Russia era
impegnata in una guerra formidabile! Che cosa avrei trovato di nuovo? E a
questa domanda che turbinava incessantemente nel cervello io mi sforzavo
invano di dare risposta, ma sentivo che qualche cosa di straordinariamente
insolito doveva trovare.
Un simile presentimento potrà sembrare strano, ma esso è
spiegabilissimo nel mio caso, poiché aveva una certa conoscenza del paese
e mi interessava vivamente alle sue sorti, con una passione e con un
affetto, che io credo comuni a molti italiani.
La conoscenza del paese mi diceva attraverso le sparute notizie dei
giornali che un conflitto supremo doveva esservi impegnato fra il popolo e la
burocrazia.
Pochi giorni prima della partenza aveva letto sui giornali l’attacco del
conte Bobrinski11, vicepresidente della Duma12, contro il ministro
Protopopoff13. L’oratore aveva dichiarato che la Duma non poteva
collaborare col ministero Trepov14-Protopopoff, il quale era riuscito soltanto a
10 La ochrana era il corpo di polizia dipendente dal Ministero degli Interni zarista dotato di
poteri discrezionali: poteva incarcerare o esiliare i sospetti (soprattutto politici) senza la
sanzione di alcun tribunale. Istituita nel 1881 da Alessandro III, fu sciolta nel 1917 dopo
la Rivoluzione di febbraio. I Cosacchi ottennero dagli zar, nel XVII secolo, vasti territori in
cambio di prestazioni militari e da allora diventarono strenui difensori dell’impero zarista
e, di conseguenza, della religione ortodossa. Nel 1917 non ostacolarono la rivoluzione, ma
rimasero ostili al bolscevismo, ingrossando le schiere controrivoluzionarie dei Bianchi
durante la guerra civile. Con la definitiva sconfitta delle forze filozariste, molti si
rifugiarono all’estero.
11 Il conte Vladimir Alekseevič Bobrinskij (1868-1927) rappresentò i nazionalisti di estrema
destra nella seconda, terza e quarta Duma sostenendo una rapida russificazione delle
regioni di confine. In seguito alla Rivoluzione d’ottobre, che nazionalizzò le proprietà di
famiglia, emigrò in Francia.
12 La Duma di Stato era l’assemblea elettiva e rappresentativa, corrispondente alla “camera
bassa” del Parlamento russo, con poteri legislativi (rimasti solo teorici) che lo zar Nicola I
istituì sotto la pressione della Rivoluzione del 1905. Tuttavia, nel 1906-1907 Nicola II
promulgò la Costituzione che annullò il ruolo della Duma, negandole responsabilità di
governo, e riscrisse la legge elettorale per ottenere una Duma a lui obbediente. Nella
quarta Duma (eletta nel 1912) ebbero la maggioranza gli oppositori del regime zarista,
creando così i presupposti che portarono Nicola II all’abdicazione. La Duma fu sciolta
nell’agosto 1917 quando nacque la grande assemblea nazionale formata dal soviet dei
soldati e degli operai.
13 Aleksandr Dmitreevič Protopopov (1866-1918) fu membro del partito degli Ottobristi
(favorevole alla monarchia costituzionale), vicepresidente della Duma dal 1914 e, grazie
all’amicizia con Rasputin, ministro degli Interni dal settembre 1916. Sebbene riconosciuto
folle, lo zar lo mantenne al potere, fin quando la Rivoluzione del febbraio 1917 rovesciò il
governo e il Governo provvisorio ne ordinò l’arresto e la fucilazione, avvenuta il 19
dicembre 1917 (1 gennaio 1918 nel calendario gregoriano).
14 Aleksandr Fёdorovič Trepov (1862-1928), dopo essere stato ministro dei Trasporti, fu
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provocare l’odio e la diffidenza dell’intera Russia. — Da tutte le parti,
persino dal Consiglio dell’Impero di protestava contro il potere di forze
occulte e irresponsabili, contro l’impunità dei traditori. Miliukoff15 constatava
che il partito [7] nero16 aveva ristabilito la sua fronte ed era passato dalla
offensiva all’attacco. Viviamo ore terribili, gridava il leader dei liberali fin dal
26 Dicembre ed occorre una ripulitura nell’intero paese.
Ma a Trepov succedeva Galitzin17, uomo di destra, e il primo suo atto fu di
reazione. La Duma fu aggiornata dopo lunghi colloqui fra Galitzin,
Protopopoff e Pitirim18, uno dei capi religiosi di Pietrogrado e notissimo
sostenitore di Rasputin19. Gli organi della burocrazia gongolavano. La
Ziemcina20 cantava vittoria: «La Duma è prorogata. Così per qualche tempo
questo letamaio cesserà di propagare la peste. Peccato che la chiusura non
sia definitiva. E la Znamia21 inveiva contro gli zemstva22, banda di ladri, e
nominato Primo ministro della Russia nel novembre 1916. Cercò di convincere lo zar
Nicola II di togliersi dall’influenza di Rasputin e di concedere più poteri alla Duma, ma,
sconfitto, rassegnò le dimissioni nel gennaio 1917. Morì esule a Nizza.
15 Pavel Nikolaevič Miljukov (1859-1943) fu, dal 1886, professore di Scienze politiche a
Mosca, ma, costretto all'esilio per le sue idee liberali e riformatrici, emigrò a Sofia dove
insegnò Storia all’università. Rientrato in Russia nel 1905, fu fondatore e leader del Partito
democratico costituzionale (o dei Cadetti) della destra moderata rappresentato nella
Duma. Dopo la Rivoluzione del febbraio 1917, fu nominato ministro agli Affari esteri nel
primo Governo provvisorio, guidato dal principe L’vov, ma fu rimosso dall’incarico nel
maggio in seguito alle dimostrazioni di massa contro la continuazione della guerra.
Avversò la Rivoluzione bolscevica appoggiandosi al Movimento Bianco e, in seguito,
emigrò in Francia, dove continuò l’attività politica e riprese gli studi storici.
16 Era il partito dei rurali, contrapposto al partito bianco degli aristocratici e a quello rosso
degli operai urbani. Dello storico “partito nero” – l’organizzazione dei Cento Neri – l’Autore
parlerà più avanti (cfr. nota 164).
17 Nicolaj Dmitreevič Galicin (1856-1925) fu l’ultimo Primo ministro nominato dallo zar nel
1916.
18 Pitirim fu metropolita di San Pietroburgo nel 1915-16, già esarca di Georgia. Fu
osteggiato dai progressisti in quanto nominato su richiesta della zarina e quindi per
influenza di Rasputin.
19 Grigorij Efimovič Rasputin (1869-1916), contadino siberiano, analfabeta ma di grande
carisma e con presunte doti taumaturgiche, riuscì a entrare a corte nel 1905 per curare il
figlio dello zar, affetto da emofilia, nonostante la presunta appartenenza alla setta
orgiastica e illegale dei Chlisty. Il grande ascendente che ben presto acquistò su Nicola II
e, soprattutto, sulla zarina Alessandra, gli permise di intervenire più volte negli affari di
Stato. Nel 1916, in piena crisi di governo – che Rasputin stesso aveva contribuito a creare
– e tra le alterne fortune degli eserciti russi sul fronte orientale, fu assassinato in una
congiura ordita dal granduca Dmitrij Pavlovič, dal principe Feliks Jusupov e dal deputato
conservatore Vladimir Puriškevič. Nessuno di loro fu punito severamente, sia perché erano
nobili imparentati con la corona, sia perché Nicola II trovava ormai troppo ingombrante il
ruolo di Rasputin a corte.
20 “Zemšcina” è il titolo di un periodico patriottico. Prendeva il nome dalla istituzione creata
da Ivan IV il Terribile, retta da un Consiglio di bojari.
21 “Znamja”, ossia “Lo stendardo”, titolo di un periodico letterario.
22 Lo zemstvo (plurale zemstva) fu una forma di governatorato locale introdotto nel 1864
dallo zar Alessandro II su idea di Nikolaj Miljutin come organo di consultazione e
amministrazione locale, gestito da rappresentanti di tutti i ceti. Fu abolito dalla
Rivoluzione dell’ottobre 1917, ma continuò a resistere in forma illegale e segreta tra gli
agrari poiché portava vantaggi in ambito scolastico e sanitario.
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tesseva un elogio sperticato di Sturmer23. Protopopoff dichiarava nel
Russkoye Slovo24 che la Duma doveva essere sciolta, la stampa
imbavagliata, i corpi pubblici posti sotto il controllo governativo, le riunioni
vietate.
C’era un abisso fra la burocrazia e la Duma, fra il governo e il popolo. E
questa situazione doveva apparire particolarmente grave a coloro che
sapevano come dietro la Duma vigilasse realmente tutto il popolo russo.
Quando Miliukoff dichiarava che occorreva una ripulitura generale all’interno
del paese, egli esprimeva la volontà della Duma, cioè la volontà del popolo.
Qualcuno potè ingannarsi sulla gravità di quelle minaccie ritenendo che la
massa del popolo russo fosse rimasta estranea al grande movimento
liberale che, traverso le lotte più aspre durante tutto il secolo XIX aveva
avuto come epilogo l’istituzione della Duma il 17-30 Ottobre 1905. — [8]
Ma era questa un’ipotesi inammissibile per chi ricordava la propaganda
svolta dagli intellettuali russi fra il popolo e per chi ricordava la
partecipazione di tutto il popolo alla vita e all’attività politica della Duma.
Ogni deputato riceveva dagli elettori delle istruzioni precise, e quelle
istruzioni, nakazy25, che furono pubblicate in varie occasioni, dimostravano
nei contadini e negli operai russi una mentalità politica per nulla inferiore
alla mentalità politica occidentale.
Queste constatazioni mi turbavano. Il conflitto tra la rappresentanza del
popolo e il governo era giunto a tal punto che mi pareva irresolubile.
Tuttavia non osava fare alcuna previsione: lasciava che questo grande punto
interrogativo oscillasse nella mia mente senza tentare una risposta che
quanto prima avrei avuto giungendo sul campo della contesa.
Infatti non si perdeva tempo. Il 15 eravamo partiti da Torino, il 17 da
Parigi, il 20 da Londra, il 22 eravamo in vista di Bergen.
Passando traverso l’Inghilterra nera, affumicata, non aveva riportato che
un’impressione di buio. Poi imbarcato sullo Iupiter — guardando quel mare
color di fango ripensai nostalgicamente ai riflessi verdi e azzurri e al sole del
nostro Mediterraneo. —
L’apparizione della costa norvegese, colle sue fantastiche rocce — lo
23 Boris Vladimirovič Štjurmer o Stürmer; 1848-1917), esponente di spicco dei conservatori,
fece una lunga carriera politica alla corte degli zar Alessandro II, Alessandro III e Nicola
II, che lo nominò Primo ministro (gennaio 1916), ministro degli Interni (marzo 1916) e
ministro degli Affari Esteri (luglio 1916). Reazionario e germanofilo, Štjurmer era talmente
impopolare che lo zar fu costretto a licenziarlo il 19 novembre 1916. Dopo la Rivoluzione
del febbraio 1917, fu arrestato dal Governo provvisorio e morì nella fortezza di San Pietro
e San Paolo.
24 “Russkoe Slovo” (Parola russa, ma talvolta tradotto con Mondo russo) era un quotidiano
pubblicato a Mosca dal 1895. Apparentemente indipendente, aveva però un
atteggiamento liberale e condiscendente verso gli interessi della borghesia russa. Nel
1917 attaccò il Governo provvisorio e il Partito dei bolscevichi e nel novembre fu chiuso
dalle autorità. Nel gennaio 1918 riapparve col titolo di “Novoe Slovo” (Nuova parola) e
“Naše Slovo” (La nostra parola) ma chiuse definitivamente nel luglio 1918.
25 I nakazy (singolare: nakaz) erano i documenti o istruzioni che lo zar scriveva ai
funzionari, su temi amministrativi, fiscali, militari e giudiziari.
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sfilare delle foreste di pini, delle piccole casette multicolori, così gaie nella
grigia severità del paesaggio, — Bergen circondata dai monti, che guarda
nello stretto porto col quartiere medioevale della lega Anseatica26 e che sale
ad anfiteatro sulla collina, colle sue case policrome, coi tetti rossi a punta,
colle [9] vetrate dipinte a fiori — costituirono la prima deliziosa distrazione
del viaggio.
Si sbarca la mattina, ma non si riparte che la sera traversando a tutto
vapore la nordica penisola. Quanta grandiosità e quanta bellezza di
montagne, di laghi, di cascate, di fiordi, di foreste, di ghiacciai! E come
pittoresco il costume e le case e i negozi e i mobili!
Ma ben altri richiami ci sospingono…
In treno per Cristiania e per Haparanda, ultima stazione della Svezia27,
abbiamo notizie del rescritto28 dello czar29 al ministro Galitzin, per la
collaborazione tra Governo e Parlamento.
«Io stabilisco come implicito dovere di tutte le persone che chiamo al
servizio dello Stato di comportarsi con benevolenza, dirittura, dignità
riguardo alle istituzioni legislative. Nella prossima attività per
l’organizzazione della vita economica del paese, il Governo troverà un
26 La Lega Anseatica (o Hansa) fu un’alleanza di città che dal tardo Medioevo ebbe il
monopolio dei commerci su gran parte dell’Europa settentrionale e del Mar Baltico, con
capitale prima a Lubecca e poi a Danzica. Bergen, che era il principale centro religioso
norvegese, entrò nella Lega nel 1360 e la sua importanza fu soppiantata soltanto nel
1850 da Cristiania (o Christiania, odierna Oslo, capitale della Norvegia).
27 Il treno collegava Cristiania (Oslo) con Haparanda, cittadina svedese situata al confine con
il Granducato di Finlandia, il quale appartenne alla Russia fino al 1917.
28 Si chiamava “rescritto” (Rescriptum principis, nell’antico diritto romano) la risposta scritta
di un imperatore a un quesito di natura giuridica oppure una sua ordinanza.
29 Primogenito dello zar Alessandro III e di Maria Fëdorovna, Nikolaj Aleksandrovič Romanov
(1868-1918) fu incoronato nel 1894 come zar Nikolaj II. Per le mutate condizioni storiche
e perché troppo mite e influenzabile, egli non riuscì a continuare la politica assolutista
paterna. Pur promotore delle due conferenze dell’Aia (1899 e 1907) che istituirono la
Corte permanente d’arbitrato per la soluzione pacifica dei conflitti internazionali, tentò di
conquistare con le armi la Manciuria e la Corea, ma fu sconfitto nella guerra russogiapponese (1904-1905). Questa disfatta e la condanna degli zemstva, le assemblee
provinciali, portarono a una pacifica manifestazione di operai e contadini per le vie della
capitale, San Pietroburgo, che fu fermata col fuoco dell’esercito. Ciò causò la prima
Rivoluzione russa (1905) che costrinse Nicola II a promulgare la riforma costituzionale
dello Stato e ad accettare l’elezione della prima assemblea legislativa, la Duma (1906),
che, tuttavia, poco tempo dopo fu molto ridimensionata per riaffermare i poteri assoluti
della monarchia. Nel 1911, dopo l’assassinio del Primo ministro Pëtr Stolypin e sotto
l’influenza del monaco Rasputin, Nicola II impresse un’ulteriore svolta conservatrice al
governo. Nel 1914 entrò nella Prima guerra mondiale, a fianco di Inghilterra e Francia
(Triplice Intesa), e in seguito alle prime sconfitte assunse il comando dell’esercito. La
perdita di vasti territori a Occidente e il crollo dell’economia nazionale determinarono
l’acuirsi dei conflitti sociali che sfociarono nella Rivoluzione del febbraio 1917. Su richiesta
della Duma e abbandonato dalla polizia zarista, Nicola II abdicò (2 marzo 1917) a favore
del fratello, il granduca Michajl, che rinunciò al trono. La famiglia imperiale fu imprigionata
nel proprio palazzo di Carskoe Selo, fu poi trasferita a a Tobol’sk in Siberia e quindi a
Ekaterinburg, sugli Urali, dove venne giustiziata nel timore che l’Armata Bianca, rimasta
fedele allo zar, ne tentasse la liberazione.
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appoggio senza uguali negli Zemstwa che col loro lavoro in tempo di pace e
di guerra hanno provato di conservare pienamente le tradizioni più luminose
del mio grande avo di imperitura memoria, l’imperatore Alessandro II.»30
Queste parole mi fecero una grande impressione. L’imperatore adunque
con un nobile gesto si intrometteva come pacificatore fra la Duma e il
Governo. La burocrazia doveva cedere innanzi alla volontà del sovrano. Noi
saremmo giunti in Russia nell’ora della pacificazione. Espressi il mio più
caloroso consenso per una prospettiva così confortante ai miei compagni di
viaggio.
Ma un viaggiatore, salito a Cristiania e diretto a Lulea31, non aveva
cessato di sorridere alla [10] lettura del rescritto e ai commenti che io
faceva. Compresi subito di aver di fronte un contradditore: egli infatti si
spiegò.
«Voi date un soverchio valore all’azione dello czar poichè vi figurate il suo
prestigio ancora intatto. Nulla di più falso. La devozione illimitata del popolo
russo allo czar è diventata una leggenda, dopo la settimana rossa32 e dopo
che i Pobiedonostsev33 e i Rasputin hanno svalutato la religione ponendola
apertamente al servizio della reazione, dell’arbitrio selvaggio, della
corruzione.
Una giornata indimenticabile per la Russia fu il 22 gennaio 1905.
In quel giorno il prete Giorgio Gapon34, che era al servizio della polizia e
che organizzava gli operai per sottrarli all’influenza dei socialisti, sopraffatto
dalla volontà della massa, che egli non poteva più dominare, volle condurre
30 Aleksandr II Nikolaevič Romanov (1818-1881), figlio dello zar Nicola I, fu imperatore di
Russia e duca di Finlandia dal 1855 fino alla morte. Dopo la sconfitta nella guerra di
Crimea (1856), Alessandro II attuò alcune importanti riforme – come l’abolizione della
servitù della gleba (1861), i nuovi codici civile e penale (1864), nuove leggi su industria e
commercio – e iniziò la realizzazione di una vasta rete ferroviaria e il miglioramento dello
sfruttamento delle risorse naturali. La dura repressione dell’insurrezione polacca (1863),
le mire espansionistiche nei Balcani e l’intensificarsi delle tensioni all’interno del Paese e
con gli alleati portarono all’attentato del marzo 1881, organizzato dalla società
rivoluzionaria “Narodnaja volja” (Volontà del popolo, mirante al rovesciamento
dell’autocrazia), in cui lo zar rimase ucciso.
31 La città di Luleå, capitale della Lapponia svedese, è poco più a sud di Haparanda.
32 Con “settimana rossa” si fa riferimento all’insurrezione degli operai a Mosca, che durò dal
9 al 17 dicembre 1905. L’Autore ne parlerà in seguito.
33 Konstantin Petrovič Pobedonostsev (1827-1907), giurista e politico, è considerato il
principale rappresentante del conservatorismo russo negli ultimi anni del regime zarista,
avendo controllato la politica di Alessandro III, suo allievo, e del figlio Nicola II.
34 Georgij Apollonovič Gapon (1870–1906), pope della Chiesa ortodossa russa, fu il popolare
leader del movimento operaio d’inizio secolo prima della Rivoluzione del 1905. Fondò
infatti l’Assemblea dell’Industria e degli Operai Russi di San Pietroburgo, organizzazione
sovvenzionata e controllata dall’ochrana, la polizia politica russa, per difendere i diritti dei
lavoratori e l’innalzamento dei valori morali e religiosi all’interno delle fabbriche. In
seguito alla giornata del 22 gennaio 1905 narrata dall’Autore e ricordata come “Domenica
di sangue” per il numero considerevole di morti, Gapon fuggì all’estero dove allacciò
stretti legami con il Partito socialista rivoluzionario russo. Ritornato in Russia in ottobre
cercò di riallacciare i contatti con l’ochrana, perciò fu sospettato dai rivoluzionari di essere
un agente provocatore. Fu trovato impiccato in un cottage finlandese.
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centomila operai davanti allo Zar. Il popolo si mosse dal quartiere di Narva,
da Vasilievski Ostrov, dalla Peterburgskaia Storona, col ritratto dello czar in
testa, e colle sacre icone tolte a forza dalle cappelle35.
Camminavano tutti a capo scoperto, nonostante il freddo pungente, e
cantavano. Gapon marciava cogli operai delle officine Putiloff36 e portava la
petizione per l’imperatore.
«Sire, noi lavoratori di Pietroburgo37, le nostre mogli, i nostri figli e i
nostri vecchi genitori siamo venuti a te in cerca di giustizia e di
protezione»38.
Era un atto di fede e di speranza…. e voi sapete come si è risposto a
questo atto. Gli operai si videro dovunque chiuso il passo da [11]
minacciose file di baionette: avanzarono e furono prima caricati dai
cosacchi, che traversarono due volte, innanzi e indietro, i cortei, poi furono
dispersi a fucilate39. Gapon si nascose e prima di fuggire all’estero lanciò un
proclama, prendendo le arie di un papa.
«Contro gli ufficiali e i soldati che fanno strage dei loro innocenti fratelli,
di deboli donne e bambini e contro tutti gli oppressori del popolo, io mando
la mia pastorale maledizione. Sopra i soldati che aiutano la nazione ad
acquistarsi la libertà invoco la benedizione e col presente atto li sciolgo dal
giuramento militare di fedeltà prestato allo Zar traditore per comando del
35 Nel quartiere di Narva (dal nome della città estone), a sudovest della città vicino alla
Stazione Baltijskaja, vi si svolse un importante sciopero dei lavoratori delle Filature Russe
nel maggio 1896. I distretti Vasilevskij ostrov e Peterburgskaja storona (poi
Petrogradskaja storona) corrispondono alle due isole maggiori nel delta del fiume Neva.
Nel 1905, tutti i partecipanti – circa 200.000 persone – erano stati perquisiti e disarmati
prima della manifestazione dal servizio d’ordine organizzato da Gapon. Giunsero al
Palazzo d’Inverno da sei punti di raccolta, innalzando icone e cantando inni e canzoni
patriottiche, tra cui l’inno nazionale “Dio, proteggi lo zar”.
36 Le officine Putilov di San Pietroburgo occupavano oltre 30.000 operai, suddivisi in settori
di produzione: cantiere navale, artiglieria pesante, autoblindo, materiale ferroviario… Fu
dal cantiere navale che partirono le lotte socialiste rivoluzionarie, sia nel 1905 che nella
primavera del 1917.
37 Alla città di San Pietroburgo fu cambiato il nome in Pietrogrado nove anni più tardi, nel
1914.
38 Le richieste comprendevano la cessazione della guerra russo-giapponese, un suffragio più
ampio, la riduzione delle ore lavorative a otto al giorno, eque retribuzioni e la condanna
delle ore di lavoro straordinario che i proprietari imponevano ai sottoposti. Per ottenerle,
gli operai delle fabbriche Putilov erano in sciopero dal dicembre 1904, cui si erano unite
altre attività di San Pietroburgo, facendo salire il numero degli scioperanti a oltre 80.000
unità. Il 21 gennaio la capitale non disponeva più di elettricità, né di giornali e tutti gli
uffici pubblici erano chiusi.
39 Le fonti ufficiali zariste parlarono di 96 morti e 333 feriti, ma quelle non governative
indicarono oltre 4.000 morti. Le vittime furono provocate tanto dai proiettili quanto dal
panico che portò alla morte quanti furono travolti dalla folla. Tale violenta e cruenta
repressione provocò una vasta ondata di scioperi e agitazioni in tutta la Russia che sfociò
nella Rivoluzione del 1905. Va detto che i manifestanti non sapevano che lo zar non si
trovasse nel Palazzo, dove si recava soltanto per le occasioni ufficiali o di rappresentanza,
ma a Carskoe Selo. Qui lo zar fu avvertito della manifestazione ma non della sua
consistenza e tanto meno della petizione del popolo. Lo zar, pur non coinvolto
direttamente, fu comunque ritenuto responsabile moralmente e politicamente dell’eccidio.
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quale è stato versato il sangue del popolo innocente».
Nonostante l’enfasi di questo proclama, la massa operaia e contadina si
ricordò dell’appellativo di traditore lanciato contro lo Zar.
Certamente il giudizio delle classi intellettuali non poteva essere così
semplicista, così sommario. Ma queste classi alla loro volta conoscono
l’impotenza dell’autocrate e sanno come egli sia lo zimbello delle camarille40
di corte. Guardate quello che è avvenuto dopo il manifesto sulle libertà. Il
periodo delle più violente agitazioni doveva esser chiuso, finito
l’assolutismo, aperta la grande strada maestra delle libertà popolari. Invece
la reazione riprese il suo lavorìo e lo czar subito l’assecondò. La costituzione
doveva esser opera della Duma, ed invece il governo pubblicò le leggi
fondamentali dell’impero come un’ordinanza imperiale. Non ci fu la
Costituente, ma la magnanima elargizione sovrana. Ciò che permise alla
[12] Destra di proclamare che lo czar poteva, quando volesse, ritogliere
quello che aveva dato. Infatti nel 1907 Stolipin41, coll’ordinanza del 16
Giugno emanava nuove disposizioni elettorali per cui fu ridotto il numero dei
deputati a tutto detrimento delle classi popolari. Confrontate queste cifre: i
contadini nominavano prima 2529 elettori delegati, poscia ne ebbero
soltanto 1168; i possidenti invece da 1963 passarono a 2644. Eppure il
popolo non aveva riconosciuto nemmeno nella prima e nella seconda Duma
una vera rappresentanza popolare! Immaginatevi la sua delusione quando il
diritto elettorale subì una modificazione in senso reazionario!
L’imperatore non riusciva a far dimenticare il tradimento del 22 Gennaio
1905, nè il governo a nascondere la debolezza insita ne’ suoi metodi. Che
altro rappresentava se non l’impotenza e lo smarrimento della burocrazia
questa complicazione del diritto elettorale, per cui si concedeva l’elezione
diretta alle grandi città di Pietrogrado, Mosca, Kiew, Odessa, Riga, Lodz42 e
per tutte le altre circoscrizioni elettorali si volevano elettori di primo grado
ed elettori di secondo grado, nominati dalle quattro curie — dei possidenti,
dei contadini, dei cittadini, degli operai!
Ma queste sono storie vecchie. Credo che nessuno in Europa ignori la
debolezza dello Zar. Uomo realmente buono, cortese, onesto, ma privo di
ogni forza di carattere. Questi uomini sono creati apposta per affrettare le
crisi risolutive, non dominando i partiti, ma lasciandosi dominare, non
40 Una camarilla è un gruppo politico di persone che esercita influenza sugli esponenti di
governo a vantaggio personale. In senso lato è equiparabile a “lobby”.
41 Pëtr Arkad’evič Stolypin (1862-1911) fu ministro degli Interni e Primo ministro dal 1906 al
1911. Oltre alla riforma citata dall’Autore, propose, nel 1911, una riforma agraria mirata
allo smembramento delle comunità rurali, nel tentativo di creare una piccola classe di
proprietari-contadini benestanti e indipendenti, e il risultato fu la rovina per milioni di
contadini e la deportazione o l’impiccagione di chi gli era contro, tanto che le forche
furono chiamate “le cravatte di Stolypin”. Feroce antirivoluzionario, morì a Kiev vittima di
un attentato operato da Dmitrij Grigor’evič Bogrov.
42 Queste grandi città erano anche luoghi strategici: Pietrogrado, Mosca e Kiev (o, in
ucraino, Kyiv) erano o erano state le capitali, Odessa controllava il Mar Nero e Riga (ora
capitale della Lettonia) il Mar Baltico, Łódź (ora in Polonia) rappresentava il confine
occidentale.
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conciliandoli col freno della propria [13] autorità, ma avventandoli l’uno
contro l’altro, col divenire strumento delle loro contese.
La religione non è più una difesa dello czarismo, perchè ha voluto esserlo
troppo. Voi sapete dell’uccisione di Rasputin. Rasputin era la degenerazione,
la putrefazione clericale. Quando si pensi che alcuni anni or sono Lenin
voleva sfruttare le convinzioni religiose dei contadini per la propaganda del
socialismo!43 Ma il Santo Sinodo44 fu sconfitto da Tolstoi45. L’influenza del
grande scrittore fu enorme. Pensate che l’attività letteraria e filosofica di
questo genio è incominciata verso la metà del secolo scorso! Egli faceva
parte allora assieme a Turghenieff46 e al poeta Nekrassof47 della Rivista
43 Lenin (pseudonimo di Vladimir Il’ic Ul’janov; 1870-1924) ben sapeva che il popolo russo
non sopportava che l’ortodossia si fosse progressivamente degenerata verso forme di
cultura, di arte e di sensibilità tipicamente occidentali e che venisse usata dall’autocrazia
per sottometterlo sempre più. Per esempio, in L’agitazione politica e il “Punto di vista di
classe” (“Iskra”, n. 16, 1 febbraio 1902), Lenin scrisse: «E quanto più l’istruzione si
diffonderà nel popolo, quanto più i pregiudizi religiosi saranno soppiantati dalla coscienza
e dallo spirito di disciplina socialista, tanto più sarà vicino il giorno della vittoria del
proletariato, che libererà tutte le classi oppresse dall’asservimento, cui soggiacciono nella
società moderna».
44 Il Santo Sinodo era ed è la riunione dei vescovi di una Chiesa ortodossa sotto la
presidenza del loro capo (patriarca, metropolita o arcivescovo), istanza suprema
dell’autorità ecclesiastica che tratta materie riguardanti la dottrina e la prassi. In Russia,
fu fondato nel 1721 dallo zar Pietro I il Grande al posto dell’unica autorità del patriarca.
45 Lev Nikolaevič Tolstoj (1828-1910) fu scrittore e filosofo. Nato da una famiglia dell’antica
nobiltà russa, visse tra Mosca, Kazan’ e Jasnaja Poljana, dov’era la tenuta familiare. Già
noto come scrittore, nel 1851-53 partecipò alla guerra nel Caucaso, nel 1853 alla guerra
russo-turca e, su sua richiesta, alla difesa di Sevastopol’ in Crimea. Seguirono anni di
ricerche, di viaggi, di interesse per l’istruzione popolare, di attività di giudice di pace nelle
contese tra proprietari e contadini durante il periodo delle riforme. Si sposò nel 1862 con
la figlia di un medico, Sof’ia Bers, da cui ebbe tredici figli, cinque dei quali morti in tenera
età. Nel 1869 pubblicò il suo capolavoro, Guerra e pace, e nel 1877 Anna Karenina.
L’intreccio dei conflitti e dei problemi posti da quest’ultima opera fu alla base della crisi
etico-religiosa che indusse lo scrittore a rifiutare l’arte e ingenerò una profonda riflessione
sui Vangeli, da cui nacque il conflitto con la Chiesa ufficiale sfociato in una scomunica
(1901, due anni dopo la pubblicazione del romanzo Resurrezione), che portò Tolstoj alla
creazione di una setta religiosa. Visse gli ultimi anni in aperto contrasto con il potere,
affermando principi utopici di un comunismo cristiano di tipo patriarcale, predicando la
non violenza e condannando il progresso e la modernità della civiltà contadina.
46 Ivan Sergeevič Turgenev (1818-1883), originario della provincia di Orël, studiò
letteratura, storia e filosofia nelle Università di Mosca, San Pietroburgo e Berlino. Tornato
in Russia, si distinse per le idee occidentaliste, convinto che la Russia sarebbe progredita
se avesse imitato l’Occidente e abolito tutte le istituzioni superate, come la servitù della
gleba. Nel 1862 pubblicò il suo capolavoro, Padri e figli, in cui descrisse il primo
diffondersi delle idee rivoluzionarie in Russia. Visse molto all’estero e morì a Bougival,
presso Parigi.
47 Nikolaj Alekseevič Nekrasov (1821-1878) fu uno dei massimi rappresentanti del realismo
in poesia e promotore di iniziative editoriali – tra cui la rivista “Sovremennik” (Il
contemporaneo, 1847-1866) pubblicata assieme a Ivan Panaev – che gli fecero conoscere
le opere dell’intelligencija radicale. Nel 1861 pubblicò il poema Gli ambulanti
comprendente la famosa Canzone del vagabondo nella quale Nekrasov mostrava come il
popolo non fosse per lui soltanto una «letteraria dimensione sentimentale». Del 18661877 è il suo capolavoro Chi è felice in Russia?, pubblicato postumo, in cui si narra il
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Contemporanea del Panaief48, una rivista fondata da Puschkin49 nel 1836 e
che al tempo della guerra di Crimea divenne il centro del movimento
letterario e liberale russo. E’ vero che il suo atteggiamento ribelle è assai più
recente, ma l’evangelio tolstoiano trovava un terreno fecondo nel misticismo
russo, e sono moltissime le sette religiose professanti il tolstoismo. Così la
setta dei Duchoborzi, o milizia spirituale50, e quella dei nemoliazi51, e quella
di Sutaieff52, combattenti tutte la esteriorità del culto ufficiale, la vanità dei
riti, il farisaismo53 delle funzioni religiose.
Tolstoi rappresenterà per lo storico futuro il vero eroe nazionale russo,
perchè tutta un’epoca della storia russa, che si avvicina al suo fatale
epilogo, può essere rappresentata in sintesi dal drammatico conflitto fra lui
e Pobiedonostsev. Questi fu il teorizzatore e il più aspro difensore del
nazionalismo feroce, reazionario, della autocrazia [14] e dell’ortodossia.
Tolstoi fu il negatore più ardente e più sicuro di queste basi del canone
ufficiale russo. Nonostante i suoi errori, quale sterminata grandezza in
questo genio nel quale vibrava possente l’aspirazione alla libertà!
L’ortodossia e l’autocrazia furono schiacciate da Tolstoi. Da allora incominciò
la loro decomposizione. Rasputin è l’ultima esalazione pestilenziale d’un
regime spento. Veniva dal governatorato di Tobolsk nella Siberia. Si
viaggio di sette contadini alla ricerca delle ragioni della propria infelicità.
48 Il romanziere Ivan Ivanovič Panaev (1812-1862) fu collaboratore di alcuni periodici, come
“Annali Patri” in cui pubblicò, con lo pseudonimo di “Nuovo Poeta”, parodie letterarie
dirette contro gli slavofili e i dilettanti. Nel 1847 fondò con Nikolaj Nekrasov la rivista
“Sovremennik” (Il contemporaneo).
49 Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837) fu uno dei più importanti poeti russi della prima
metà dell’Ottocento. Dopo gli studi, diventò funzionario del Ministero degli Esteri a San
Pietroburgo e condivise le frivolezze dell’alta società. Per la sua partecipazione alle società
letterarie politiche progressiste fu mandato per due anni al confino nella Russia
meridionale, al seguito del generale N.N. Raevskij, e poi a Odessa alle dipendenze di S.M.
Voroncov, che per vendetta personale lo denunciò per attività sovversiva, per cui la polizia
inviò Puškin in esilio presso Pskov nella tenuta materna di Michajlovskoe. Dopo tre anni,
nel 1826, lo zar Nicola I annullò il provvedimento e il poeta tornò a San Pietroburgo, dove
sposò Natalja Gončarova. Nel 1836 fondò un suo giornale, al cui interno pubblicò alcuni
racconti dell’amico Gogol’. Nel 1837 sfidò a duello il barone francese George d'Anthès,
presunto amante della moglie, e morì due giorni dopo la sfida. Tra le sue opere maggiori
sono Ruslan e Ljudmila, Evgenij Onegin, La figlia del capitano.
50 I Duchoborcy (guerrieri o lottatori dello spirito) costituivano una setta sorta intorno alla
metà del Settecento. Erano intolleranti verso il clero e tutti i riti e le funzioni della Chiesa
ufficiale. Nel 1895, sotto l’influsso di Lev Tolstoj, rifiutarono di servire nell’esercito,
distrussero le loro armi e, ridotti alla fame, emigrarono a Cipro o in Canada.
51 Nemoljaki, da ne molit’sja che significa “senza pregare”. Alcuni nomi di sette
cominciavano con ne, senza, per indicare che negavano qualcosa della dottrina ufficiale
(sacerdoti, sacramenti, icone…).
52 Vasilij Sutaev era un contadino che aveva formato una specie di comunità agricola e si
rifiutava di pagare le tasse per non finanziare l’esercito. Conobbe e fu ospitato da Tolstoj
che così lo descrisse: «un contadino analfabeta, ma la sua influenza sulle persone, sui
nostri intellettuali è più grande, più significativa di quella di tutti gli studiosi e scrittori
russi, di tutti i Puškin e Belinskij, presi insieme, cominciando da Tretjakovskij fino ai giorni
nostri».
53 O fariseismo: ipocrisia.
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improvvisò profeta. La sua dottrina era sensuale. Le sue pratiche religiose
avvenivano in aperta campagna, di notte, e finivano in orgie sessuali. Fece
furore: conquistò la Siberia, poi passato nella Russia europea, questo
contadino fu disputato dalle dame dell’alta Società.
Giunse a Pietrogrado nel 1905. In giro per la città, di salotto in salotto,
col suo camiciotto abbottonato sulla spalla, serrato alla cintola, coi suoi
stivaloni — questo mugik54 barbuto, dalle straordinarie qualità virili, dallo
sguardo ipnotizzatore, divenne lo strumento delle forze più bieche. La
Chiesa ortodossa lo proteggeva: la Polizia lo proteggeva. Era una complicità
necessaria, e il ciarlatano potè giungere fino ai gradini del Trono.
L’ortodossia e l’autocrazia erano ai piedi di questo stallone di Venere. Fu
ucciso il 30 Dicembre scorso alle sei di mattina, in una delle case più
aristocratiche, dal principe Iussupof55. Era presente anche il granduca
Demetrio Paulovic56. La politica non ha nulla a che vedere in questo fatto di
cronaca: è la rivolta morale che ha giustiziato il monaco Gregorio, detto
Rasputin, il dissoluto.
Nell’intenzione dei giustizieri l’atto non fu rivoluzionario; [15] fu un’opera
chirurgica per salvare la dinastia, ma credo sia stato troppo tardi. E lo czar,
che non li ha compresi, ha esiliato i suoi salvatori.»
La lunga chiacchierata col signore svedese fece svanire le previsioni
ottimistiche provocate dal rescritto dello czar, ma acuì ancora più la mia
curiosità.
54 Mugik: contadino. La grafia esatta è mužik.
55 Il principe Feliks Feliksovič Jusupov (1887-1967), conte di Sumarokov-Elston,
apparteneva a una famiglia di origine tatara che nel tempo aveva tratto enormi profitti
dall’industria mineraria e nella tratta delle pelli. Studiò all’Università di Oxford in
Inghilterra e, nel 1914, sposò la principessa Irina di Russia, nipote di Nicola II. Nella notte
tra il 16 e il 17 dicembre 1916 nel palazzo sulla Moika appartenente alla famiglia Jusupov,
partecipò all’assassinio di Rasputin con il granduca Dmitrij Pavlovič (col quale pare avesse
una relazione omosessuale) e il deputato conservatore Vladimir Puriškevič. Jusupov e
Rasputin si vedevano regolarmente in serate dedicate alla musica (Jusupov suonava e
cantava) e alla danza, amata da Rasputin, ma quella sera Rasputin fu attratto dalla
promessa di fargli incontrare la bella moglie di Jusupov. Formalmente arrestato, Jusupov e
famiglia riuscirono ad arrivare in Crimea e, aiutati dai Britannici, a Malta, attraversarono
l’Italia e raggiunsero Parigi e Londra. Dal 1920 si stabilirono vicino a Parigi, in rue
Gutenberg a Boulogne-sur-Seine.
56 Il principe Dmitrij Pavlovič Romanov (1891-1942), figlio del granduca Pavel Aleksandrovič
di Russia e della principessa di Grecia Aleksandra Georgevna, fu uno dei cinque Romanov
che scamparono alla morte dopo la Rivoluzione russa. Viveva con la famiglia dello zar e
quando Dmitrij si fidanzò con la figlia di Nicola II, la granduchessa Ol’ga, si pensò a lui
come erede monarchico vista la cagionevole salute dello zarevič Aleksej. Dopo l’assassinio
di Rasputin al quale partecipò con Feliks Jusupov (suo presunto amante), fu mandato sul
fronte persiano e ciò lo salvò dallo sterminio dei Romanov. Con l’aiuto dei Britannici
scappò, via Teheran e Bombay, prima a Londra e poi a Parigi dove la sorella Marie, aveva
creato la società “Kitmir” specializzata in ricami. Negli anni Trenta, Dmitrij si avvicinò al
movimento controrivoluzionario dei monarchici emigrati, “Giovani Russi” o “Mladorossi”,
che ruotavano attorno alla figura di Aleksandr Kasembek che risultò poi essere un agente
infiltrato sovietico. Malato di tubercolosi, Dmitrij morì nel sanatorio di Davos, Svizzera, per
un’acuta uremia. Il figlio Paul, nato dal matrimonio con Audrey Emery, diventò sindaco di
Palm Beach (Florida) negli anni Settanta-Ottanta del XX secolo.
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Il 25 Gennaio eravamo ad Haparanda, in Lapponia. Dovevamo traversare
il confine tra la Russia e la Svezia, segnato in quel punto dal Torneelf e la
traversata avvenne colle slitte, dalla stazione svedese di Haparanda alla
stazione finlandese di Tornea57.
Queste due piccole città ignorate vedono ora passare a causa della guerra
tutta una folla cosmopolita. Sbrigate le interminabili pratiche di confine, si
riprende solo alla sera il treno e via in corsa precipitosa, affrettata dal
desidero, traverso la Finlandia.
Salve, o gelida terra, o regno delle acque, o santuario di purezza e di
onestà! Tu sembravi dormire sotto il grande mantello di ghiaccio e di neve.
Le acque de’ tuoi fiumi, de’ tuoi laghi immensi, tacevano. Ma io tendeva
l’orecchio al rumore del tuo popolo laborioso, del tuo popolo di piccoli
proprietari, inteso alla pesca e al taglio dei boschi, franco e sereno,
orgoglioso del suo primato morale nel mondo! Non analfabeti58, non ladri,
non delitti passionali, in Finlandia! Le case non si chiudono a chiave, i
giardini e gli orti non sono sbarrati e difesi da punte ferrate, Paese
benedetto, dove l’inverno, signore assoluto per sei mesi dell’anno, sembra
che agghiacci le torbide cupidigie umane e tiene il posto, con [16] tanto
maggior frutto, del carabiniere e del prete! Sta dunque per sorgere l’aurora
della libertà per questo paese che ha resistito indomabile ad ogni tentativo
di russificazione? Se vi sarà una Russia libera, essa non potrà essere che
una federazione delle nazionalità liberate dallo czarismo.
Traversammo la Finlandia ghiacciata: alla una di mattino del 27 Gennaio
si giungeva a Pietrogrado. La capitale non poteva annunziarsi a noi nello
splendore de’ suoi monumenti, ma io indovinava nelle ombre scure
campeggianti al disopra del chiarore diffuso dalla illuminazione notturna, i
profili di edifizi noti.
Nel tragitto dalla stazione all’albergo, ad uno svolto, scorgemmo al di là
della Neva una grande ombra oscura. La indicai ad un compagno,
sussurrando: La fortezza di Petropaulosk59. Ma il mio compagno scrollò le
57 Tornio (o, in svedese, Torneå) è una cittadina della Lapponia (Finlandia) separata dalla
città svedese Haparanda dal delta del fiume Tornio. Fu la città mercantile più importante
del Nord fino alla guerra russo-svedese (1808-1809), quando la Finlandia fu conquistata
dallo zar Alessandro I e diventò un Granducato autonomo ma facente parte dell’impero
russo fino al 1917. Il fiume Tornio segnava il confine tra Svezia e Finlandia. Durante la
Prima guerra mondiale la linea ferroviaria Haparanda-Tornio rappresentò l’unico
collegamento che i Russi avevano con gli alleati occidentali. Nel dicembre 1917 la
Finlandia dichiarò l’indipendenza.
58 In Italia, nel 1911 gli analfabeti erano il 46,7% della popolazione (il 35,80 nel 1922).
Nella Russia europea (non comprensiva della Finlandia), nel 1913 gli analfabeti erano il
73% della popolazione maggiore di 9 anni, ma nella Russia asiatica si arrivava al 98%. In
Finlandia il primo vero censimento è stato eseguito nel 1950, fino ad allora erano i registri
delle parrocchie della Chiesa luterana a fornire il numero di nati e morti. Tuttavia, in un
recente studio sul commercio e l’industria finlandese si è calcolato che nel 1900 il 50%
della popolazione totale conosceva lo svedese oltre la propria lingua (finlandese o sami
dei Lapponi) e che di quel 50% più di un terzo sapeva anche il russo e il tedesco.
59 La Fortezza di San Pietro e San Paolo è la cittadella edificata su progetto dall’architetto
ticinese Domenico Trezzini nel 1703, per ordine di Pietro il Grande, su una piccola isola del
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spalle: non vedeva nulla. Forse si stupì di quel mio sussurro misterioso. Ma
io pensava che di giorno questo carcere famoso si presenta con un aspetto
ridente di bianchi edifizi fra il verde, raggruppati intorno alla chiesa dove
sono le tombe degli imperatori, sormontata dalla freccia d’oro che si slancia
nel cielo. Di notte invece noi potevamo immaginare muraglioni massicci,
tetri…
E pensai alle vittime innumeri, alla lotta secolare per la rinnovazione
dell’impero, e ancora una volta mi chiesi quello che stava per vedere.
Astraendo dalla missione ufficiale che mi conduceva in Russia, il mio
pensiero, ponendo il piede a Pietrogrado e contemplando nella notte l’ombra
smisurata della Bastiglia russa, fu un pensiero di riverenza e di saluto per
coloro che [17] avevano combattuto e che combattevano tuttora per la
redenzione del popolo.
28 Gennaio.
Sono a Pietrogrado da due giorni e la veste ufficiale mi toglie ogni libertà.
Da una visita a un ricevimento, da un ministero ad un’ambasciata, da una
conferenza ad un’adunanza, le ore volano, precipitano, l’argomento è unico,
l’ambiente è burocratico, ufficiale, stilizzato. Non ho tempo per penetrare il
segreto di questa città e di questo popolo. E tuttavia… osservo, studio,
indago.
Le mie prime impressioni non sono dissimili dalle antiche. C’è troppa
lentezza, c’è troppa imponenza in questa pittoresca sfilata di tipi russi per
sognare un prossimo movimento tumultuario. Questi popi dai lunghi capelli
untuosi pioventi sulle spalle, questi signori soffocati da enormi pelliccie, da
cappotti imbottiti, da mantelli di pelle, questi soldati colossali, rigidi,
imponenti che marciano contando per quattro Ras, dra, tri, cetire60, — tutta
questa umanità un po’ goffa, un po’ impacciata, un po’ tarda, sempre troppo
lontana dalla convulsa animazione, dalla impaziente nervosità delle tragiche
vigilie.
Anche la città dà un’impressione di riposo e di torpore. Tutta la Russia
sembra dormire pigramente sotto il manto di neve. Pietrogrado ha un
aspetto fantastico, grigio, indefinibile, misterioso. Le slitte basse a due posti
scivolano rapidamente, senza rumore, sul pavimento di ghiaccio, trascinate
dai loro cavalli che sembrano rivestiti di un pelame di cristallo. La vita [18]
fugge dalle strade e dalle piazze per rintanarsi. E nelle case, negli
appartamenti ben riscaldati, guardando dalle doppie vetrate, si scorge un
biancore crepuscolare sulla grande città addormentata. Poichè alle tre del
pomeriggio la Russia è al buio, e poco dopo bisogna accendere le lampade…
fiume Neva. Dal 1720 fu usata come comando militare per la guarnigione cittadina poi,
quando non si temettero più gli Svedesi, diventò la prigione per i detenuti di alto rango e
per gli oppositori politici. Il bastione Trubeckoj, costruito nel 1870, divenne il corpo
centrale della prigione.
60 Raz, dva, tri, četyre: uno, due, tre, quattro.
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Come diversa questa Pietrogrado invernale da quella estiva, quando il
sole veste di splendore le vie e le piazze, fiancheggiate da palazzi dovuti in
tanta parte all’architettura italiana61, e la Neva è solcata per ogni verso da
migliaia di imbarcazioni, e il popolo si riversa giocondo verso le isole del
Ladoga e verso le migliaia di dacie, villette in legno, amenissime fra il verde
dei dintorni!
L’estate russa è breve e fulminea: sembra donarsi con prodigalità. Ma da
ottobre a maggio, quale interminabile inverno! La noia di una stagione così
lunga giustifica lo sfarzo delle serate russe. Non so quel che avvenga nelle
campagne, ma i ricevimenti nelle grandi città russe sono qualche cosa di
indimenticabile. Mi hanno riferito oggi che a Pietrogrado nulla è cambiato.
La guerra non ha diminuito il fasto e l’abbondanza. Teatri, ristoranti, salotti
sono sempre affollati.
Non avrò certamente l’occasione di presentarmi al ricevimento in casa di
qualche amico pietrogradese, dovendomi sobbarcare alla fatica di
ininterrotti ricevimenti ufficiali, ma so che cosa voglia dire per uno stomaco
occidentale un ricevimento presso una famiglia russa. Dopo il baciamano
alla padrona di casa e le presentazioni ad una folla elegantissima ed
eccentrica, eccovi [19] spinti verso l’albero della cuccagna. E’ una camera
degna dei sogni di Pantagruel62, è una catasta di trovate gastronomiche, un
trionfo culinario. Bottiglie, piatti, bomboniere, cestelli, e carni e burro e
panini e pesci e frutta e conserve. Scusate: vi avverto che questa è la
camera dell’aperitivo. A tempo opportuno, il padrone di casa passerà
invitandovi alla cena.
Ebbene, queste abitudini pietrogradesi continuano. La guerra non ha
61 Tra gli architetti italiani che lavorarono a San Pietroburgo o nei dintorni si ricordano:
Nicola Michetti (?-1758; fu architetto di corte di Pietro il Grande e realizzò il giardino e la
cascata di Peterhof), Gaetano Chiaveri (1689-1770, completò la Kunstkamera),
Bartolomeo Francesco Rastrelli (1700-1771; realizzò il primo e il secondo Palazzo
d’Inverno e i palazzi Razumovkij, Stroganov e Voroncov; lavorò ai Palazzi imperiali di
Carskoe Selo e Peterhof e al monastero Smol’nij), Antonio Rinaldi (1710?-1794, lavorò
per Caterina II a Oranienbaum e, a San Pietroburgo, costruì il Palazzo di Marmo, il Palazzo
Gatčinskij e la guglia dorata nella fortezza di S. Pietro e Paolo), Vincenzo Brenna (17411814; progettò il Michajlovskij zamok, residenza dello zar Paolo I, con Vasilij Baženov),
Giacomo Quarenghi (1744-1817; realizzò, tra i suoi numerosi edifici, il Palazzo
Berborodko, il Collegio degli Affari Esteri, la Banca di Stato, l’Accademia delle Scienze, il
Teatro dell’Ermitage, il Palazzo Vitingov e il Palazzo inglese a Peterhof), Carlo Domenico
Rossi (1775-1849; progettò il piano urbanistico del centro città e realizzò l’edificio dello
Stato Maggiore con il doppio arco di trionfo, i palazzi Michajlovskij e di Elagin, il Senato e
il Sinodo, numerose piazze e la celeberrima via Teatral’naja, con il teatro Aleksandrinskij
sullo sfondo). Del Canton Ticino (Svizzera italiana) erano gli architetti Giovanni Maria
Fontana, Luigi Rusca, Domenico Gilardi, Domenico e Antonio Adamini, Domenico, Carlo
Giuseppe e Pietro Antonio Trezzini, Ignazio Ludovico e Giovanni Gioacchino Rossi.
62 Con Gargantua e Pantagruel si intende una serie di cinque libri, fantastici e satirici, scritti
da François Rabelais dal 1532, sotto lo pseudonimo di Alcofribas Nasier, anagramma del
proprio nome. I due giganti, tornati a Parigi dopo un lungo viaggio in Europa, raccontano
le loro avventure attorno a mense laute e allegre, ben fornite di vino e di qualsiasi cibo
possibile, perciò l’aggettivo “pantagruelico” rimanda a pasti abbondanti in allegre
compagnie e l’aggettivo “gargantuesco” all’essere smisurato, insaziabile.
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portato che un rialzo dei prezzi: ma chi ci bada? Il russo non misura il
denaro. E a Pietrogrado si è abituati ad una vita assai costosa.
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Tornando dalla Borsa dove si era tenuta l’assemblea generale della
Camera di Commercio russo-italiana, ho avuto una interessantissima
conversazione col mio vecchio amico, l’avvocato Karamine63. Egli ha voluto
spiegarmi perchè Pietrogrado conserva in tutti gli aspetti esteriori una
freddezza e una calma, o meglio, una normalità inesplicabile, se veramente
si attraversa un periodo di crisi suprema. L’avvocato Karamine crede che
realmente si sia alla vigilia di avvenimenti eccezionali. Ecco il suo discorso.
«Pietrogrado che pure fu il teatro della sanguinosa repressione del 22
Gennaio 190564 — non si è neppure accorta di questo anniversario, ma io so
che a Mosca avvennero dimostrazioni colossali, scontri colla polizia — al
grido di abbasso il Governo! viva la Duma! viva la Costituente! — Ebbene,
Mosca ha dato un segnale. Quando Mosca ricorre a gesti violenti, dopo due
anni di attesa paziente, dopo aver subìto tutti [20] gli affronti per non
compromettere le sorti della guerra, vuol dire che è scoccata l’ora
rivoluzionaria.
Pietrogrado non si è ricordata della Domenica nera, ed è naturalissimo.
Se vi sarà una rivoluzione russa essa scoppierà a Mosca, avrà la sua
cittadella a Mosca, dovrà trasferire la capitale da Pietrogrado a Mosca.
Pietrogrado strozzerebbe la rivoluzione o la snaturerebbe, perchè
Pietrogrado non può essere una città rivoluzionaria, anzi è la negazione di
ogni movimento rivoluzionario russo.
«Che cosa è, o almeno, che cosa deve essere, essenzialmente, la
rivoluzione in Russia? Deve essere la rinnovazione dell’anima russa, da
passiva in attiva. I russi sono mistici, sognatori, inerti: contemplano,
meditano, scandagliano, assetati di verità, gli abissi dell’anima, s’inebbriano
nelle vertiginose altezze dell’assoluto, ma non agiscono. E in loro vece
agiscono gli altri. Tutto quello che esiste in Russia di organizzato e di
ordinato è una imposizione esterna. Questo spiega le antitesi formidabili del
nostro paese. Pietrogrado è una manifestazione tangibile di questa
imposizione. Pietro il Grande ha imposto questa città, la quale quindi non
poteva essere una città russa e non lo è mai stata. Si comprende
perfettamente l’odio dei rivoluzionari per Pietrogrado. E dicendo
rivoluzionari io intendo tutti coloro che hanno tentato di dare al popolo
russo una personalità e una volontà propria, di liberarlo da ogni imposizione
esteriore, di farne un artefice dei propri destini. Da questo punto di vista
sono egualmente rivoluzionari gli slavofili e i zapadniki, cioè gli
63 Anche trascritto in altri modi, Karamine non risulta essere un cognome russo. Invece,
Karamin è una cittadina della Crimea.
64 A San Pietroburgo, Il 22 gennaio 1905 (9 gennaio per il calendario giuliano), la Guardia
Imperiale aprì il fuoco contro la manifestazione pacifica di dimostranti disarmati
capeggiata dal pope Gabon, come già ricordato. Quel giorno è detto “Domenica di sangue”
o, nel testo, “Domenica nera”.
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occidentalisti65. [21] Queste due correnti del pensiero russo nacquero e
fiorirono a Mosca: di là fulminarono Pietrogrado, questa metropoli dello
czarismo e del tedeschismo.
«Il profeta degli slavofili, Axakov66, inveendo contro Pietro il Grande, uno
dei plasmatori della creta russa, gli diceva appunto: «Tu hai ripudiato Mosca
senza pietà e lontano dal tuo popolo hai costruito una città solitaria: non vi
era più possibile vivere insieme».
«Questo dualismo fra Mosca e Pietrogrado non è mai cessato, e Mosca è
sempre rimasta la vera capitale della Russia. Ma da quando è incominciata
la guerra l’abisso fra le due città si è allargato, come l’abisso che separa il
popolo dalla burocrazia. Non so se voi abbiate seguito con molta attenzione
gli avvenimenti russi o se l’avrete potuto fare. Ma certo avrete osservato
che Mosca ha preso la direzione del movimento liberale russo. Mi
permettete di ricordarvi alcuni fatti?
«La crisi delle munizioni, che si era fatta sentire verso la fine del 1914,
arrivò nel 1915 allo stato acuto. Nel Maggio e nel Giugno 1915, come ebbe
a dichiarare poi il ministro della guerra Polivanoff67, la situazione era tragica.
L’esercito doveva ritirarsi per mancanza di proiettili. Appunto in Giugno si
teneva a Mosca un congresso di commercianti e di industriali e, ad una
seduta del congresso, ecco apparire il soldato Riabushinsky68, un milionario,
tutto sporco di fango, ansante e trafelato, per domandare soccorso in nome
della Patria in pericolo e in nome dell’esercito impossibilitato a combattere.
Il congresso in preda ad una commozione indescrivibile [22] si alzò
unanime a chiedere la mobilitazione industriale.
«Da quel momento sotto la pressione degli avvenimenti la burocrazia
dovè cedere e la Commissione per il rifornimento dell’esercito russo, che
65 Gli slavofili intendevano mantenere l’autorità dello zar, tornare alla cultura precedente a
Pietro il Grande, recuperare i valori tradizionali della Chiesa ortodossa, evitare il
capitalismo e il razionalismo occidentale, identificare l’idea-uomo nel popolo e non
nell’individuo. Principali esponenti della slavofilia furono Chomjakov, Aksakov, Kireevskij,
Dostoevskij, Solov’ev. Gli occidentalisti (zapadniki) volevano democratizzare lo Stato
russo combattendo l’autocrazia dello zar e mirando al socialismo, continuare
l’occidentalizzazione del Paese iniziata da Pietro I, riformare la società civile creando una
classe intermedia tra nobiltà e borghesia, laicizzare il popolo, mettere l’individuo al centro
dei valori della società umana. Suoi principali esponenti furono Beljnski, Herzen, Caadaev,
Turgenev, Černyševskij.
66 Sergej Timofeevič Aksakov (1791-1859), laureatosi all’Università di Kazan’, prese parte
alla guerra del 1812 e si ritirò in campagna. Intorno al 1830 si trasferì a Mosca per
entrare nel Dipartimento della Censura e iniziò a pubblicare i Racconti di un proprietario di
vita familiare, caccia, pesca… che lo resero celebre. Nel 1843 si trasferì coi figli nel
villaggio di Abramcevo, facendolo diventare un centro culturale, e scrisse opere in buona
parte autobiografiche.
67 Aleksej Andreevič Polivanov (1855-1920), di famiglia aristocratica, iniziò la carriera
militare partecipando alla guerra russo-turca del 1877-1878; nel 1905 fu nominato
generale dello Stato maggiore e fu il vice del ministro della Guerra, Vladimir Suchomlinov,
dal 1906 al 1912 quando passò al Consiglio di Stato. Dal giugno 1915 al marzo 1916, fu
ministro della Guerra, poi la zarina lo accusò di cospirazione e lo rimosse. In seguito entrò
nell’Armata Rossa. Morì di tifo a Riga.
68 Il soldato Rjabušinskij è un omonimo del politico citato in seguito (cfr. nota 70).
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doveva essere una semplice commissione consultiva, ebbe, grazie
all’appoggio del Quartier generale, dei poteri dittatoriali.
«Fu una grande vittoria degli industriali moscoviti, tanto più notevole in
quanto l’esercito era così unito strettamente a Mosca, alle forze nuove della
Russia che si levavano finalmene per agire da sè, che rinunziavano
finalmente alla inerte passività, al lasciar fare e malfare degli altri, al
fatalistico nitcevò della rassegnazione russa69. Mosca aveva con sè
l’esercito: quanto al popolo, Mosca lo aveva organizzato intorno a sè
coll’Alleanza degli Zemstva di tutta la Russia e colla alleanza delle Città.
«Quello che è stato fatto da queste associazioni, quello che si è ottenuto
colla mobilitazione industriale, è stupefacente. Tuttavia si poteva fare di più,
se questa mobilitazione sociale della Russia non avesse urtato contro il
malvolere della burocrazia. Ma erano ormai due forze organizzate che si
urtavano, e la lotta incominciò aspra e difficile. Riabuscinski, il presidente
degli industriali di Mosca70, lanciò una parola d’ordine: «Bisogna togliere gli
impacci». Togliere gli impacci voleva dire liberarsi della burocrazia, e quindi
colpire in pieno il vecchio regime».
Nel Settembre del ’915 tutte le forze liberali convennero a Mosca: si
radunarono gli industriali, i commercianti, gli Zemstva, i rappresentanti [23
] delle città, dei comitati militari e industriali, i deputati. In quelle
assemblee imponenti si riconobbe nella Duma il centro organizzato delle
forze liberali russe, ma si volle organizzare una deputazione del paese, e
cioè una maggioranza progressista che unisse la Duma a Mosca. Poscia sei
delegati dell’assemblea recarono allo czar i voti degli Zemstva e delle città
per la costituzione di un governo responsabile. Così Mosca rimaneva al
posto glorioso segnato dalla tradizione storica.
Dal settembre 915 ad oggi la lotta non ha avuto tregua e tuttavia Mosca
non ha vinto.
Quale sarà l’esito di questa battaglia? Io non ho dubbi in proposito e
credo non lontana la vittoria. Ma la vittoria non sarà ottenuta che a Mosca.
Pietrogrado non è città della rivoluzione. Non vi è neppure un elemento
rivoluzionario perchè vi manca una classe piccolo-borghese. Vi è sì
l’elemento operaio, ma questo elemento non ha la capacità per dirigere una
rivoluzione e per salvarla da nuove imposizioni e sovrapposizioni straniere
all’anima popolare russa.
69 Ničevo significa letteralmente “nulla, non importa, fa niente”, ma esprime in sé una
filosofia di vita, quella del tirare a campare senza preoccuparsi troppo, del superare la
cattiva sorte e le avversità con fatalistica rassegnazione.
70 Pavel Pavlovič Rjabušinskij (1871-1924) fu imprenditore e politico liberale. Nato in una
famiglia di Vecchi Credenti (ortodossi tradizionalisti), nel 1907 iniziò la pubblicazione del
giornale “Utro Rossii” (Mattino di Russia), per diffondere i principi liberali. Aderì al Partito
democratico costituzionale (o “dei Cadetti”) ma poi fondò, nel 1908, con l’amico Aleksandr
Konovalov, il moderato Partito progressista. Rjabušinskij fu eletto presidente del Comitato
della Borsa di Mosca e del Comitato industriale. Dopo la Rivoluzione di febbraio, alleato di
Lavr Kornilov, si oppose alla partecipazione dei socialisti nel Governo provvisorio.
Sconfitto, si ritirò dalla politica e si recò in Crimea per curare la tubercolosi. Dopo la
Rivoluzione d’ottobre emigrò in Francia.
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«A Pietrogrado non vi può essere che l’anarchia czarista o l’anarchia
plebea. Se la rivoluzione esulasse dal suo centro d’origine per venire a
Pietrogrado, essa dovrebbe presto o tardi ritornare a Mosca, trincerarvisi,
salvarsi. E’ a Mosca che deve risiedere il Comitato di salute pubblica della
rivoluzione russa, se la perfidia dei neri sospingerà la Russia alla
rivoluzione».
.
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.
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.
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.
.
Ho meditato le parole dell’avvocato Karamine. [24]
E’ paradossale, ma c’è del vero. Pietrogrado non ha infatti quella classe
media, di piccoli borghesi, dove si reclutano le avanguardie, i martiri e poi i
duci delle rivoluzioni.
Una classe media in questa capitale non può esistere per la semplicissima
ragione che una mela può costare quattro rubli, qualche cosa come dieci lire
e mezza71, e una porzione di baccalà cinque rubli, e certe bottiglie dalle
etichette sonore e di una discutibile vetustà, dagli ottanta ai cento rubli.
Cifre favolose anche in questi tempi!
Ma è risaputo che pure in tempi normali la vita a Pietrogrado è
costosissima. Il russo spende largamente, senza misura, senza risparmio: è
quasi un bisogno quello di essere fastosi, prodighi, di vivere largamente. Noi
pensiamo al domani: il russo se ne preoccupa assai poco.
Com’è diversa la vita a Parigi dove anche le piccole borse hanno modo di
salvare le più decorose apparenze! A Pietrogrado no: bisogna vivere o molto
in alto o molto in basso! Non c’è posto per la piccola borghesia. E quindi,
secondo l’amico Karamine, non c’è possibilità di rivoluzione.
Pure, quando penso alla massa operaia, l’asserzione mi sembra
arrischiata. Questa massa ha ogni giorno sotto gli occhi lo spettacolo di
questa società gaudente e trionfale, che trascorre la vita in continue feste e
in orgie frequenti, non frenate neppure dal pensiero della guerra. Le
condizioni degli operai non sarebbero penose, se col denaro si potesse
trovare della carne, dello zucchero, e sopratutto della [25] vodka… Ma la
capitale è male fornita, e quanto alla vodka si è imposto al russo di non
bere.
Sempre riforme dal di fuori, non mai dall’interno: il russo non deve più
ubbriacarsi, non per una sua decisione, non per volontà sua, ma per volontà
altrui. Sono riforme alla moda di Pietro il Grande, ma spesso non ottengono
seri risultati. Quale è stato il successo della proibizione del vino e della
vodka?
Non ho pensato di chiederlo al Karamine, ma l’altro ieri ho assistito ad
una curiosa scena. Anzi mi pare sia stato proprio al buffet della Stazione,
arrivando. Era in una di quelle sale di buffet così sfarzose e imponenti come
si vedono nelle stazioni russe, e un signore aveva ordinato al cameriere una
tazza di caffè nero. Mi parve di scorgere sul volto impassibile del cameriere
un lampo fugace, una strizzatina degli occhi… e poco dopo vidi un caffè
71 Secondo gli studi dell’Istat, una lira del 1917 corrisponde a 3.002,1394 lire del 1999,
anno di introduzione dell’euro nei mercati finanziari.
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nero, che portato dal cameriere, mi passò innanzi lasciando dietro di sè
un’aroma di vodka così pronunziato, che non poteva sfuggire neppure al
fiuto di chi conosceva solo di nome la famosa acquavite russa. Era una
vodka corretta col caffè! Ero al colmo dello stupore, ma mi rimisi subito
pensando al nostro vecchio proverbio: Fatta la legge, trovato l’inganno. In
Russia l’inganno è così grossolano che non merita neppure tal nome. Non si
tratta che di mutare il nome alla cosa proibita. Vino, vodka, cognac, hanno i
loro nomi convenzionali e così ribattezzati fanno la loro comparsa in tutti i
ristoratori della capitale. — Il popolino avrà trovato anch’esso il modo di
accomodare le esigenze legali e quelle della sua sete inestinguibile. [26]
Rientrando all’albergo interpello il cameriere. Ma appena apro bocca la
mia attenzione è d’un subito sviata dall’alcoolismo. Il cameriere parla il
russo e poi… soltanto il tedesco. Mi pare strano. Esprimo la mia meraviglia e
il cameriere mi osserva che a Pietrogrado nei grandi alberghi il personale
non parla che il tedesco. Perchè? Perchè a Pietrogrado prima della guerra,
non c’erano che tedeschi.
Pietrogrado tedeschizzata! Pietrogrado germanofila! L’invasione e
l’invadenza dei tedeschi in Russia! quanta materia di ricerca! Ma pensandoci
bene, ecco un vero pericolo per una rivoluzione russa che venisse a stabilirsi
a Pietrogrado. Credo che l’amico Karamine abbia ragione di voler la capitale
della Russia rivoluzionaria a Mosca, sebbene egli non abbia accennato al
pericolo tedesco.
Pietrogrado aveva scuole tedesche con programmi tedeschi — aveva
magazzini, negozi, case commerciali tedesche, con personale tedesco:
aveva ed ha tuttora, in piena guerra, due giornali stampati in tedesco:
aveva ed ha tuttora, in piena guerra, una burocrazia tedesca: è circondata
da regioni abitate da tedeschi di razza e anche un po’ di sentimento. A Riga
si parla tedesco.
La Russia ha avuto ministri che parlavano soltanto il tedesco e prima di
intraprendere il mio viaggio mi ricordo di aver letto una statistica
spaventosa del numero dei funzionari tedeschi occupati a servire la Russia.
E infatti se non si aprivano gli occhi in tempo, la Russia era bell’e servita.
Questo dell’invasione tedesca è un fenomeno [27] mondiale: non c’è
paese del mondo che non si sia accorto — nell’agosto 1914 — di avere
troppi tedeschi in casa. Ma liberarsene fu un problema diversamente difficile
per i vari popoli. I russi hanno messo del fervore nell’opera di epurazione,
ma… Ci sono tanti ma. Quello che il popolo faceva, la burocrazia disfaceva.
Quello che voleva Sazonoff72 e il granduca Nicola, non lo volevano la czarina
72 Sergej Dmitrevič Sazonov (1860-1927), cognato del Primo ministro russo Pëtr Stolypin, fu
diplomatico a Londra e in Vaticano e, dal settembre 1910 al giugno 1916, ministro degli
Esteri. A questa nomina seguì un incontro a Potsdam tra Nicola II e Guglielmo II di
Germania e il governo britannico interpretò tale combinazione come il disinteressamento
della Russia alla crisi bosniaca, che stava ridisegnando la geopolitica europea. Infatti, a
Potsdam, Russia e Germania firmarono un accordo riguardante la questione persiana e in
particolare fu firmata la realizzazione della ferrovia Russia-Iran che Sazonov aveva
sollevato per incrementare i commerci con l’Oriente. Nel 1912, dopo la sconfitta nella
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e Protopopoff e Sturmer. E questi ultimi in definitiva pare che finiscano
sempre coll’averla vinta.
Cosicchè se il popolo vuole togliere gli impacci, secondo la frase
pittoresca del presidente degli industriali di Mosca, bisognerà fare non solo
la guerra antitedesca al di fuori, ma la rivoluzione antitedesca al di dentro.
In questo caso avremmo una ripetizione nella storia russa; le sommosse,
i pronunziamenti militari più memorabili furono sempre antitedeschi.
Guardo l’orologio. Le tre di mattino. Non è affatto tardi in Russia. Se
guardo dalle vetrate doppie, laggiù nella via, fuori del portone d’un gran
palazzo tutto illuminato, vedo le slitte che attendono, e sul basso sedile un
ammasso di coperte buttate di traverso. E’ l’isvoscik che attende… fino alle
cinque, alle sei di mattino.
Notiamo in fretta qualche ricordo di storia.
Anna Ivanovna, duchessa di Curlandia, regna circondata da tedeschi da
lei chiamati da ogni angolo della Germania. Gli storici russi chiamano questi
tedeschi: banda di ladri, gatti affamati. Una rivoluzione di palazzo nel 1741
abbatte l’oligarchia tedesca73.
Ma per poco. [28]
Con Pietro III74 – che montava la guardia all’appartamento
guerra russo-giapponese, Sazonov firmò una convenzione col Giappone sulla spartizione
della Mongolia, primo passo del trattato conclusivo del 1916, volto a garantire gli interessi
russi e giapponesi in Cina. Intorno alla questione balcanica, la sua politica, alla vigilia del
primo conflitto mondiale, fu quella di isolare l’Austria-Ungheria per diminuire il potere
asburgico. Sazonov fu licenziato dalla zarina Alessandra (o dai germanofili) quando
propose di concedere l’autonomia alla Polonia. Nel 1919 rappresentò l’Armata Bianca alla
Conferenza di Pace di Parigi. Rimase poi in Francia.
73 Anna Ivanovna Romanova (1693-1740), figlia di Ivan V (fratellastro di Pietro il Grande),
fu imperatrice dal 1730. Nel 1710 sposò Federico III Guglielmo, duca di Curlandia,
rimanendo vedova poco mesi dopo. Fu eletta dal Consiglio dei bojari perché, con la morte
di Pietro II, si era estinta la diretta successione maschile dei Romanov. L’intento dei bojari
era forse quello di mettere sul trono una figura influenzabile, ma Anna sfruttò l’appoggio
della guardia imperiale e si impose. Reintrodusse la polizia segreta, ridimensionò il potere
dell’aristocrazia, mise in posti di potere personalità originarie delle regioni baltiche della
Germania strinse alleanza con Carlo VI e coinvolse la Russia nella guerra di successione
polacca (1733-1735). Nel 1736 attaccò l’impero ottomano, ma Carlo VI firmò una pace
separata che costrinse la Russia a sospendere le ostilità e a restituire tutte le conquiste a
eccezione di Azov. Nel decennio di regno, crebbe in modo esponenziale il debito pubblico e
il malumore generale. Poco prima di morire, Anna nominò suo successore il neonato
nipote Ioann Antonovič (Ivan VI) e indicò come reggente il Gran ciambellano Ernst Johann
von Biron (o Biren), duca di Curlandia e suo favorito. Biron era però malvisto dalla
popolazione e la madre di Ivan VI, Elisabetta di Meclemburgo-Schwerin (poi Anna II di
Russia), lo rovesciò e assunse la reggenza, che durò poco perché nel dicembre 1742 la
figlia di Pietro il Grande, Elisabetta, incitò la guardia imperiale alla rivolta col favore
dell’esercito e salì al trono. Ivan VI fu imprigionato e Anna II fu esiliata su una piccola
isola del fiume Dvina settentrionale.
74 Carlo Pietro Ulrico di Holstein-Gottorp (1728-1762), nipote di Pietro il Grande e di Carlo
XII di Svezia, salì al trono di Russia per soli sei mesi, nel 1762, col nome di Pietro III. Si
sposò con la principessa Sofia Augusta Federica di Anhalt-Zerbst, che, convertendosi alla
religione ortodossa russa, assunse il nome di Caterina, ed ebbe un figlio, Paolo. Pietro III
ritirò l’esercito dalla Guerra dei Sette anni, siglò la pace con la Prussia e con essa si alleò
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dell’ambasciatore tedesco e che pregava davanti al busto di Federico II 75 –
abbiamo una ripresa di fanatismo germanico. Gli ufficiali della guardia
ammazzano questo scimmiotto. Il partito tedesco si ecclissa per ricomparire
sempre. Ad ogni svolto della storia russa noi l’incontriamo. La sua forza è la
fedeltà e la complicità colla tirannia. E’ l’influenza tedesca che mantiene
l’oppressione in Russia: sono i tedeschi che hanno insegnato alla burocrazia
e che hanno applicato in Russia i peggiori metodi di tirannia.
Esecuzioni, deportazioni, torture, sciabolate.
Il 14 Dicembre 1825. Mosca, centro rivoluzionario. Il motto dei
decembristi76: «Combattere i tedeschi al servizio della Russia». La
repressione della rivolta è opera della nobiltà tedesca — dal principe
Eugenio di Wurtemberg, generale77 – a Grunvald78, a Kaulbars79, a
Frederichs…80
contro la Danimarca per restituire lo Schleswig al proprio ducato di Holstein-Gottorp,
promulgò delle riforme economiche sul modello occidentale, limitò le importazioni per
favorire i prodotti nazionali, revisionò il servizio militare… La moglie Caterina, assieme
all’amante Grigori Orlov e col sostegno della nobiltà, detronizzò Pietro, che fu ucciso in
carcere, e governò la Russia – col nome di Caterina II – fino al 1796.
75 Federico II il Grande di Hohenzollern (1712-1786) fu re di Prussia dal 1740. Amante della
letteratura e della musica, si circondò di intellettuali, soprattutto illuministi francesi.
Riformò l’esercito, conquistò la Slesia (possedimento asburgico) partecipò alla prima
spartizione della Polonia (1772), attuò una serie di riforme amministrative e favorì lo
sviluppo delle manifatture, tanto che alla sua morte la Prussia era diventata una delle
principali potenze economiche e militari d’Europa.
76 Decembrista o decabrista (dal russo dekabr’, dicembre) fu in nome dato agli ufficiali della
guardia imperiale russa che presero parte alla rivolta democratica antizarista del 14
dicembre 1825, giorno dell’incoronazione di Nicola I, a San Pietroburgo, ma in senso lato
indicò tutti i membri che prepararono quel moto. La rivolta fu soffocata e cinque ribelli
(Pestel’, Ryleev, Kachoviskij, Bestuzev-Rjumin e Murav’ev Apostol) furono impiccati; oltre
un centinaio di insorti furono arrestati e condannati ai lavori forzati o all’esilio.
77 Federico Eugenio II di Württemberg (1732-1797) si formò alla corte prussiana di Federico
II il Grande e seguì la carriera militare diventando in pochi anni luogotenente generale di
cavalleria. Contro i russi combatté a Kołobrzeg nel 1761, ma pur resistendo per molti
mesi dovette alla fine ripiegare in ritirata. Lasciato l’esercito prussiano, si stabilì a
Mömpelgard su cui governò fino al 1791 quando fu circondato dai francesi. Federico II lo
nominò governatore generale del principato di Brandeburgo-Ansbach e di BrandeburgoBayreuth e, in seguito, feldmaresciallo generale di Prussia e duca regnante di
Württemberg, con residenza a Stoccarda. La sua prima figlia femmina, Sofia Dorotea
Augusta, sposò il futuro zar Paolo I di Russia e diventò madre degli zar Alessandro I e
Nicola I.
78 Generale A.A. von Grünwald, capo del corpo di cavalleria sotto Nicola II.
79 Il barone Nikolaj Vasil’evič von Kaulbars (1842-1905) fu nominato generale di cavalleria
nel 1880 a San Pietroburgo e prese parte a sette guerre e ottantadue battaglie,
diventando un membro del supremo consiglio militare russo. Fu il primo a capire il
potenziale militare dell’aviazione e studiò in Francia sia la costruzione delle macchine che
la tecnica di volo. Nel 1910 compì la prima traversata aerea San Pietroburgo-Mosca; in
seguito realizzò l’aerodromo di Gatčino, che per molti anni fu il più attrezzato del mondo,
e fondò l’Aero Club di Odessa.
80 Il barone Vladimir Freedericksz (1838-1927) fu nominato, da Alessandro III, ufficiale di
cavalleria e poi assistente del ministro di corte, conte Voroncov. Nicola II lo nominò conte
e ministro di corte, ossia suo consigliere e portavoce. Freedericksz fece sì che la Russia
mantenesse ottime relazioni con la Germania, non fidandosi della lealtà di Francia e Gran
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A proposito, Frederichs… Non è questo il nome del ministro della casa
imperiale? Domani faremo conoscenza con questo signore. Sua maestà lo
Czar, imperatore di tutte le Russie, granduca di Finlandia, etc., etc., si degna
ricevere la missione alla quale appartengo.
.
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.
Vado a dormire e sogno di avere sullo stomaco un elmo a chiodo. [29]
29 gennaio.
Oggi ho veduto e ho scambiato due frasi collo czar Nicola II, a TsarkoeSelo81.
La solita coreografia di staffieri gallonati, di gendarmi dipendenti dalla
polizia di palazzo, colle lunghe tuniche candide fregiate di decorazioni, di
ufficiali in uniformi sgargianti. Questa coreografia può costituire uno
spettacolo seducente fuori, sulle ampie praterie, quando scintilla il sole e
trae barbagli e riflessi dalle armature lucide, dagli argenti degli elmi,
dall’else delle sciabole, dagli ori delle giubbe azzurre e vermiglie, dalle
visiere lucide.
Ma quest’oggi nevicava e questi impassibili guardiani dello czar, coperti di
placche e di decorazioni, accrescevano la tristezza di quegli ambienti d’una
magnificenza che sembrava una stonatura melanconica.
Lo czar ci ha ricevuti in piedi nel suo studio. E’ un uomo di media statura,
dal portamento un po’ affaticato, cascante, dalle movenze lente, indecise. Il
volto è d’un ovale regolarissimo, assai pallido, e incorniciato da una barba
rada e castana. L’occhio azzurro è velato di una melanconica dolcezza.
Anche la sua voce è d’un timbro carezzevole.
In questo monarca di un territorio sterminato, in questo signore assoluto
di quasi duecento milioni di uomini, non vi è nulla di grandioso, di terrifico,
di ieratico. E’ un uomo alla buona, impacciato da una responsabilità
spirituale superiore alle sue forze, abbattuto da un contrasto tormentoso fra
gli impulsi del cuore e le suggestioni dell’ambiente, fra la debolezza [30]
del suo temperamento e i propositi impostigli dalla visione di necessità
imperiose. Non è un uomo nato per la lotta e non mi pare neanche un uomo
di un’intelligenza superiore. Egli dà l’impressione di un animo troppo
sensibile, d’una mente inclinata al misticismo fatalista. In una parola è uno
stanco.
Egli stesso non si cura di nascondere la sua stanchezza spirituale. Fra le
poche frasi convenzionali, ed evidentemente preparate, che egli ci rivolse
non potrò dimenticare l’accento nostalgico col quale egli parlò dell’Italia
Bretagna. Fu arrestato nel 1917 dal Governo provvisorio, ma rilasciato per la tarda età.
Morì in Finlandia.
81 La tenuta di Carskoe Selo (“città degli zar”) è a circa 25 km da San Pietroburgo. Il palazzo
imperiale fu progettato dall’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli e dedicato dalla zarina
Elisabetta alla madre Caterina la Grande.
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prima, e poscia della fronte de’ suoi eserciti. Furono due frasi e due lampi
rivelatori del suo stato d’animo.
Guardando dalla finestra alla nevicata e al cielo torbido egli evocò il bel
cielo, e il sole, lo splendido sole d’Italia. C’era dell’accoramento in quella
evocazione.
Poi ci mostrò il nastrino della medaglia italiana al valor militare che gli
fregiava il petto. E soggiunse con un sorriso appena abbozzato e con uno
sguardo che parve perdersi lontano lontano: Non l’ho meritata. Quando mi
reco al Quartier Generale io resto così lontano dal fronte, che non odo
neppure il rombo del cannone. Je n’entende pas même la cannonade.
E c’era in queste parole dette sommessamente come un grido nostalgico
verso l’azione.
E’ questa l’angoscia dei deboli, l’aspirazione degli impotenti: gettarsi
nell’azione, vivere, volere, dominare il corso degli eventi colla propria
volontà. Ma la tragedia spirituale di questo uomo è appunto nell’avere avuto
dal destino tutto quanto potrebbe servire all’azione, [31] meno il requisito
essenziale dell’azione che è la volontà libera, forte, personale.
Fra i membri della missione italiana che assistono all’udienza, la
sensazione di questa psicologia imperiale è così evidente, che tutti
sembrano liberati da quel senso di timore riverenziale che solitamente si
prova alla presenza di anime auguste. Il nostro sentimento è di simpatia
affettuosa. Ne è persino minacciata l’etichetta e se l’udienza si protrae non è
fuori del caso che qualcuno di noi prenda la parola senza attendere l’invito
dello czar.
Il Marchese Carlotti82 deve intuire il pericolo e si affretta a pronunziare
parole di ringraziamento. Lo czar ci congeda. Retrocediamo fino alla porta,
al di là della porta, curvandoci in un triplice inchino. E andiamo alla
colazione offertaci da Nicola II. Ci fa compagnia il Gran Maestro di Corte,
barone Frederichs.
Colazione lussuosa, rapida, silenziosa. Poi una larga distribuzione di rubli
al servidorame. E si ritorna al lavoro di Pietrogrado.
Ripensando allo czar, mi domando quale sarà la persona che esercita
maggiore influenza sul suo animo. Si dice che sia la Czarina 83. Questa
82 Il marchese Andrea Carlotti di Riparbella era l’ambasciatore italiano a Pietrogrado. Un
aneddoto racconta che il 7 novembre 1917 spedì un telegramma a Roma riferendo un
amabile colloquio avuto con il ministro degli Esteri russo Tereščenko, senza minimamente
accennare alla rivoluzione in corso.
83 Aleksandra Fëdorovna Romanova (1872-1918) fu il nome assunto da Alix Victoria Helena
Louise Beatrix d'Assia e del Reno dopo la conversione all’ortodossia e l’incoronazione a
zarina di Russia, in quanto sposa di Nicola II. Dalla morte della madre, la principessa Alice
d’Inghilterra, passò lunghi periodi con la nonna, la regina Vittoria, che ne seguì
l’educazione. Nel 1884, a dodici anni, durante un viaggio in Russia per il matrimonio della
sorella Elisabetta con il granduca Sergio di Russia (fratello di Alessandro III), incontrò lo
zarevič Nicola Aleksandrovič, che sposò il 14 novembre 1894, dopo la morte dello zar
Alessandro III. Pur molto religiosa, per curare dall’emofilia il figlio si affidò a sedicenti
guaritori, tra cui Rasputin, che esercitò un’enorme influenza sulla zarina. Nel 1917, allo
scoppio della rivoluzione, la famiglia imperiale fu prima esiliata a Carskoe Selo, fu poi
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influenza è comprensibile, perchè lo czar adora i suoi figliuoli. Sono cinque:
lo czarevich Alessio, le granduchesse Olga, Tatiana, Maria, Anastasia84.
La Czarina è assai intelligente e si dicono meraviglie di un suo quaderno
di caricature regali. Tutti i sovrani e i principi d’Europa sono stati colpiti,
compreso il marito Nicola.
Non so se la Czarina intrighi nella politica interna, ma a credere ai
sottovoce della capitale, [32] essa si sarebbe ricordata in questa occasione
di essere una principessa tedesca. E’ divenuta quindi il braccio destro del
Santo Sinodo e della burocrazia, mentre i granduchi sono più vicini alla
corrente liberale. C’è quindi conflitto nella complicata gerarchia della Corte
russa, un vivaio di granduchi, e Nicola II ondeggia fra le opposte correnti, e
non osa mai sacrificare gli uomini che gli sono imposti dalla Corte, anche
quando ne condanna i metodi.
Questa debolezza dell’autocrate, a chi gioverà? Ai neri o ai rossi? Forse
sarà un danno per tutti. Frattanto il suo prestigio decade, precipita. Questo
è vero almeno per le classi intellettuali russe. Anzi la decadenza risale a
parecchi anni addietro.
Ricordo a questo proposito la lettera di un mio collaboratore russo che mi
prometteva l’invio dei discorsi dell’imperatore Nicola, un volumetto
pubblicato nel 1906. La promessa non fu mai mantenuta, perchè il libretto
sparì dalla circolazione sequestrato dalla polizia. Perchè? Perchè era un
documento di vacuità. I discorsi ricavati testualmente dal giornale ufficiale
erano così vuoti, così inconcludenti, così scipiti, che nessuno avrebbe osato
una lode per il suo autore.
Tutta Pietrogrado cominciò a ridere. Allora la polizia per compir l’opera
ritirò dal commercio il volumetto. E la trovata fece ridere più di prima alle
spalle dello Czar.
Povero czar! Prima che scoppiasse la guerra non era raro il caso di
dimostrazioni antidinastiche a Pietrogrado. E’ avvenuto molte volte che il
pubblico manifestasse il suo dispregio per lo czar, specialmente nei periodi
più acuti delle [33] crisi politiche. Nell’inverno del 1908, salvo errore, o
forse del 1906, tutto il pubblico uscì dal teatro Mariinsky85, quando alcuni
assoldati dalla polizia chiesero a gran voce l’inno imperiale. I cori intonarono
il «Dio proteggi lo czar» nel salone disertato da tutti, fuorchè dagli ufficiali
che ascoltarono l’inno sull’attenti.
La guerra sembra invece che abbia stretto il popolo russo intorno allo
trasferita a Tobol’sk, in Siberia, e quindi a Ekaterinburg, dove fu giustiziata nella notte tra
il 16 e 17 luglio.
84 In ordine di età i figli di Nicola II e Aleksandra Fëdorovna furono: Ol’ga (15/11/1895),
Tat’jana (10/6/1897), Marija (26/6/1899), Anastasija (18/6/1901), Aleksej (12/8/1904).
Tutti i membri della famiglia imperiale furono giustiziati a Ekaterinburg il 17 luglio 1918 e
proclamati santi martiri dalla Chiesa ortodossa russa nel 2000, con festa il 17 luglio
(calendario giuliano).
85 Il Teatro Mariinskij (dedicato alla principessa Maria Aleksandrovna), noto anche come
Teatro Imperiale di San Pietroburgo, fu costruito dall’architetto Cavos, nel 1860, per opere
liriche e danza.
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czar.
Non si può dimenticare la scena imponente della folla inginocchiata
davanti al palazzo d’Inverno86, quando Nicola II annunziò la guerra. Anche
in occasione dei funerali del granduca Costantino Costantinovich87
l’imperatore comparve in pubblico, seguendo a piedi il corteo funebre,
durante tutto il percorso attraverso le vie della capitale. Egli non vide allora
che un’immensa folla devota che si scopriva e s’inginocchiava al suo
passaggio, facendosi il segno della croce.
Tuttavia queste manifestazioni non sono sufficienti per stabilire senz’altro
una riconquista di popolarità, di simpatie, di venerazione. Il popolo è troppo
mutevole e suggestionabile e c’è da chiedersi quale sarà la sua condotta
verso il Piccolo Padre88, nel caso che egli non sappia o non possa pacificare
nell’ambito della sua suprema autorità i partiti russi.
Disgraziatamente Nicola II non ha le qualità indispensabili per dominare i
partiti. In quel libretto de’ suoi discorsi al quale ho accennato, sono riportati
anche i rapporti de’ suoi ministri e le note da lui scritte. Ebbene, tutto quello
che egli sapeva scrivere a proposito delle più gravi rivelazioni, tutto quello
che sentiva, pensava, [34] voleva, era in questa frase stereotipa: Questo è
un brutto affare (Skviernoie Dieto)89.
Davvero poco per un uomo nel quale dovrebbe accentrarsi l’unica forza
organizzata della Russia!
30 Gennaio.
Sono stanchissimo.
In quattro giorni non abbiamo avuto un momento di tregua.
Ecco l’elenco delle visite: il 27 gennaio dal ministro degli esteri
Pokrovski90, dal ministro delle vie e comunicazioni Kriger Weinoski 91, dal
presidente dei ministri principe Galitzin: il 28 sedute al ministero di
Industria e Commercio, alla Borsa, il 29 visita allo czar: il 30 visita a
86 Affacciato sul fiume Neva, il Palazzo d’Inverno era la principale residenza imperiale. La
costruzione visibile oggi – 1786 stanze con 1945 finestre – è stata riprogettata
dall’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli e completata nel 1762 per la zarina Caterina
II. Ospita il museo dell’Ermitage.
87 Konstantin Konstantinovič Romanov (1858-1915) era un cugino dello zar Alessandro III,
padre di Nicola II.
88 “Piccolo Padre” era l’appellativo che il popolo dava allo zar, in quanto al secondo posto
dopo Dio, il “Grande Padre”. Era comune però indicare con la stessa locuzione (ma in
minuscolo) il capo di una comunità, anche familiare.
89 Skvernoe delo, cattivo affare.
90 Nikolaj Nikolaevič Pokrovskij (1865-1930), laureato in Legge, si impiegò nel 1889 al
Ministero delle Finanze, arrivando alla nomina di presidente del Dipartimento di Fiscalità
(1904) e di vice-ministro delle Finanze (1906). Dal 30 novembre 1916 fu ministro degli
Esteri, mostrandosi contrario alla pace con la Germania e favorevole ad affari economici e
finanziari con gli Stati Uniti. Dimessosi il governo il 25-26 febbraio 1917, Pokrovskij andò
a insegnare presso l’Università di Kaunas, Lituania.
91 Eduard Kriger-Voinovsky, in carica come ministro dei Trasporti nel 1916-1917.
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stabilimenti, ai corsi di lingua italiana, alla Borsa, e ricevimento alla Banca
russo-asiatica.
Tutto procede regolarmente, tutti sono tranquilli e sicuri. Pare impossibile
che si parli di crisi rivoluzionaria! Tutti questi ministri sembrano dire con un
largo sorriso: Ma dov’è la crisi? Sinceramente, non so che pensarne.
31 Gennaio.
Eppure la verità si palesa per tanti segni.
Oggi per esempio ho conosciuto la pittura rivoluzionaria russa. Si trattava
evidentemente di riproduzioni, per quanto accurate e scrupolose. Ma sono
stato colpito da una raccolta di quadri [35] di un tal genere in una casa
dell’alta borghesia pietrogradese.
Trattandosi di riproduzioni ho pensato che la raccolta più che a passione
artistica fosse dovuta a una passione politica.
C’era riproduzioni di Fetin, di Schlugeit92, di Brodski93, di Valdimirof94.
Nie chodi!95 Non andare! Di Vladimirof è l’apoteosi del terrorista. Eccolo lì
il rivoluzionario, nella strada biancheggiante, col suo berrettone di pelo
calcato sulla nuca, alto, slanciato, vigoroso, pronto alla partenza per la
terribile missione affidatagli e che ci è svelata dalla rivoltella che stringe
nella destra. La magnifica figura campeggia nel quadro e una giovane
popolana uscita dalla casetta vicina per l’estremo addio, invano cerca di
trattenerlo. Non andare! Nie chodi! Ma egli sorride tristemente: deve
andare, andrà. Sopra l’amore, sopra la vita, sopra tutto, la Russia libera!
Fetin rappresenta in una vasta distesa di neve chiazzata di sangue alcuni
cadaveri di contadini, i parenti disperati che li riconoscono e che vigilati
dalle baionette reprimono il loro grido d’orrore e di vendetta. Il quadro dice:
Hanno ristabilito la calma. Parafrasi del detto famoso: l’ordine regna a
Varsavia96.
92 Fetin e Šlugeit sono effettivamente cognomi russi, ma non si sono trovati riferimenti in
pittura.
93 Isaak Izrailevič Brodskij (1884-1939) frequentò l’Accademia delle Arti di San Pietroburgo
sotto la guida di Il’ja Repin. Nel 1905, partecipò alla protesta dei giovani dell’Accademia e
dipinse Funerali rossi. Dopo un lungo viaggio in Europa, passò al realismo. Fu rettore
dell’Accademia di Leningrado dal 1934 al 1939. Nella sua casa-museo, sono raccolte oltre
ottocento opere, da lui collezionate, di artisti russi vissuti dalla fine del XVIII all’inizio del
XX secolo.
94 Il pittore Ivan Alekseevič Vladimirov (1869-1947), frequentò a Vilno (ora Vilnius, Lituania)
l’Accademia d’Arte, fu attivo a San Pietroburgo dal 1893, esponendo in patria e all’estero.
Dal 1922 insegnò all’Accademia delle Arti e dei Mestieri di Pietrogrado/Leningrado ed è
noto per essere stato uno dei primi pittori dedicatisi al realismo socialista.
95 Ne chodi.
96 «L’ordine regna a Varsavia» («Au moment où l’on écrivait la tranquillité regnait a
Varsavie») fu la frase detta dal ministro degli Esteri francese Horace-Fraçois-Bastien
Sébastiani alla Camera dei Deputati in risposta a una interpellanza sull’insurrezione
polacca crudelmente repressa dai Russi il 15 e il 16 agosto 1831. Ha così assunto il
significato di disimpegno, di non-intervento a una violenta restaurazione.
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Che valore indiziario, di sintomo, possono avere queste manifestazioni
artistiche. La mia prima impressione è stata esagerata. Mi ricredo. Infine
nulla di nuovo, nulla di grave. La letteratura russa non è forse tutta
rivoluzionaria? Certamente, ma essa è puramente negativa, demolitrice. Ciò
che è necessario ad un movimento rivoluzionario è una classe che [36]
abbia l’interesse a fare la rivoluzione, la coscienza di questo interesse, la
capacità storica a tradurlo in atto. Esiste questa classe? esiste questa
coscienza? esiste questa capacità, che si traduce in volontà di ricostruzione?
Non mi pare. Prendiamo i teorici della rivoluzione, i propagandisti del
socialismo, gli uomini della letteratura. Quale caos di idee e di programmi!
Anton Cekhof97 è un poeta della melanconia, della noia, dell’incubo: la
sua letteratura non presenta che tipi meschini, volgari, schiavi del
pregiudizio, della paura, dell’abitudine. La vita è uno sbadiglio. Tolstoi
fremente di ribellione, fustigatore dell’autocrazia, condanna la rivolta
armata, respinge la civiltà e la scienza d’occidente. Gogol 98, che cauterizzò
col ferro rovente le piaghe dell’arbitrio e della venalità russa finisce
coll’apologia del regime politico, sociale e religioso che aveva combattuto e
muore spossato dai digiuni e dalle veglie, davanti alle sante imagini appese
alle pareti della sua stanza. Artzebasceff99 tenta di russificare il superuomo
97 Anton Pavlovič Čechov (1860-1904) si laureò in Medicina nel 1884 a Mosca ma esercitò
saltuariamente, preferendo l’attività di scrittore e pubblicista, che fu molto intensa. Già
ammalato di tubercolosi, nel 1890 raggiunse l’isola di Sachalin dove era situata una
grande colonia penale, per descrivere dettagliatamente le disumani condizioni di vita: la
pubblicazione de L’isola di Sachalin, nel 1895, ebbe molta risonanza, portando alla
abolizione delle punizioni corporali. Nello stesso 1895 conobbe Lev Tolstoj, cui rimase
legato da amicizia per tutta la vita. Nel 1900 fu eletto membro onorario dell’Accademia
russa delle Scienze, ma si dimise due anni dopo per protesta contro l’espulsione di Gor’kij.
La malattia lo portò a lunghi soggiorni sia nella sua tenuta di Melichovo (Mosca), dove
realizzò molte opere sociali, che all’estero. Con gli anni, la sua narrativa si spogliò dei toni
ironici per cogliere la tristezza della situazioni umane (La sala n. 6, Racconti di uno
sconosciuto, Il monaco nero, La mia vita, I contadini, Il duello) e il confitto drammatico
tra gli ideali troppo alti e la gretta realtà (Il gabbiano, Zio Vania, Le tre sorelle, Il giardino
dei ciliegi).
98 Nikolaj Vasil’evič Gogol’ (1809-1852) lasciò l’Ucraina nel 1828, dopo gli studi umanistici,
per trasferirsi a San Pietroburgo e impiegarsi presso un ministero. Quando pubblicò Veglie
alla fattoria presso Dikan'ka (1831) conobbe il successo e amicizie influenti. Del 1835 è
una serie di racconti, Arabeschi (poi inglobati nei Racconti di Pietroburgo, uscito postumo)
che mostrò il suo stile: realista, ma mescolato all’ironia, all’umorismo, al grottesco.
Viaggiò in Germania, andò a Parigi (qui apprese la morte dell’amico Puškin) e a Roma
dove iniziò Le anime morte che fu pubblicato nel 1842, poco dopo il suo ritorno in Russia.
Nello stesso anno uscì Il cappotto, un racconto che esercitò una profonda impressione sui
futuri narratori russi: Dostoevskij affermò, di se stesso e la sua generazione di intellettuali
e narratori, «siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol’». Una crisi religiosa, cominciata a
Roma (dove, a più riprese, soggiornò oltre vent’anni) e acuita dalla nevrosi, lo portò a
Costantinopoli e in Palestina. Al ritorno, come atto di purificazione, bruciò la seconda
parte de Le anime morte.
99 Michail Petrovič Arcybašev (1878-1927), ucraino, scrisse racconti sui moti rivoluzionari del
1904-1905, i romanzi erotici Sanin (1907) e Al limite estremo (1910), il dramma La
gelosia. Il suo stile fu man mano paragonato a quello di Tolstoj, Nietzsche o Dostoevskij
per il pessimismo, l’immoralità, l’edonismo o il libero arbitrio. Il romanzo Sanin fu respinto
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di Nietzsche100 nel suo romanzo Ssanine che ottiene un successo enorme,
tanto che la studentesca russa organizza delle associazioni di ssanisti. Egli
dice alla gioventù russa: Voi siete insensati e ciechi a commovervi come fate
per l’ideale d’una rivoluzione politica decisamente irrealizzabile e che non è
mai stata degna del vostro interesse. Invece di sacrificare le vostre forze e
spesso la vostra vita, per l’emancipazione di un popolo di bruti, affrettatevi
a godere del privilegio meraviglioso che vi danno la salute e il vigore dei
vostri vent’anni… Non abbiate altro scopo se non di cogliere [37] il piacere,
e sopratutto il piacere dei sensi, il solo che procuri una soddisfazione attiva
e reale». Da ultimo Gorki101 che è considerato il poeta della rivoluzione
inorridisce quando a Nuova-York si trova in presenza della febbrile attività
americana, ultimo sviluppo della civiltà occidentale verso cui tende il
rinnovamento russo. Nuova-York gli fa l’impressione di una macchina
gigantesca, senza ragione e senza scopo, di una città orribile ove il
vittorioso fragore del ferro, il clamoroso insieme dell’elettricità, il lacerante
rumore delle costruzioni sopraffanno le voci degli uomini, come la tempesta
dell’Oceano attutisce il canto del gabbiano.
La democrazia sociale russa è divisa da questioni di tattica, di programmi,
e dall’azione pratica. I litigi datano dal 1903, quando si trovarono di fronte,
al Congresso socialista — detto Congresso unificatore —, l’idea di
un’organizzazione accentratrice, sostenuta da Lenin — e l’idea del
discentramento con a capo Martow102. Subito nacquero i Leninzi e i
dagli editori nel 1903, ma quando fu pubblicato nel 1907 incontrò il favore dei giovani che
nello snobismo e nell’assenza di scrupoli morali (che chiamarono “saninismo”) trovarono
consolazione al fallimento della rivoluzione. Nel 1923 Arcybašev, espulso dalla Russia, si
rifugiò a Varsavia, dove continuò a scrivere e a criticare il sistema sovietico.
100Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900), scrittore tedesco, fu uno tra i maggiori filosofi
occidentali. Il suo superuomo, o oltreuomo, è l’uomo del futuro, che verrà quando la
società non sarà più come l’attuale; egli non sarà e non penserà come noi, sarà
semplicemente oltre noi; sarà un uomo creatore di valori, dotato di uno sguardo sovrano
sulla morale e quindi non si assoggetterà ai giudizi morali dominanti.
101 Maksim Gor’kij (pseudonimo di Aleksej Maksimovič Peškov; 1868-1936) è considerato il
padre del realismo socialista in letteratura. Povero e orfano di padre, si guadagnò da
vivere esercitando svariati mestieri e imparò a scrivere dal cuoco di un vaporetto sul
Volga dove faceva lo sguattero. Con lo pseudonimo Gor’kij (Amaro) pubblicò opere in cui
predominava la sofferenza umana nella lotta contro la miseria, l’ignoranza e la tirannia e
fu il successo. Sospettandolo di essere un sovversivo per i suoi contatti con gli intellettuali
rivoluzionari e per il contenuto sociale dei suoi scritti, lo zar Nicola II bloccò la sua
nomina, nel 1902, a membro dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo. Per gli
stessi motivi fu arrestato nel 1902 e nel 1905, ma presto rilasciato per la forte protesta
internazionale che apprezzava Gor’kij soprattutto per i drammi teatrali I piccoli borghesi
(1901) e L’albergo dei poveri (1902). Lasciò la Russia, andò negli Stati Uniti e a Capri
dove concluse il romanzo La madre, ma tornò in patria allo scoppio della Prima guerra
mondiale e si schierò con i pacifisti. Dopo la Rivoluzione del 1917 svolse un importante
ruolo di organizzatore culturale, adoperandosi per la salvaguardia delle opere d’arte e
nella diffusione di capolavori letterari di tutto il mondo. Al primo Congresso degli scrittori
sovietici (1934) fu celebrato come maestro e fondatore della letteratura sovietica.
102 Martov (pseudonimo di Julij Osipovič Cederbaum; 1873-1923) nacque a Costantinopoli e
diventò un importante esponente della socialdemocrazia russa. Al congresso di Londra
(1903) entrò in contrasto con la posizione sostenuta da Lenin, divenendo fondatore e
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Martowzi, e con altro nome i Bolsciwiki o gente della maggioranza, che
erano i leniniani, e i Mensciwiki o gente della minoranza103. I nomi delle due
frazioni si conservarono, ma il rapporto dei voti è mutato. Lenin non ha che
una minoranza esigua. Egli vorrebbe un Comitato centrale, autoritario,
posto alla direzione del movimento socialistico, e al quale i Comitati locali
dovrebbero cieca obbedienza e una subordinazione rigida, meccanica. Lenin
è un giacobino, un cospiratore del vecchio tipo romatico. Nel suo giornale
Iskra, la Scintilla104, egli sostiene l’insurrezione [38] armata e immediata.
Ma Lenin dirige il movimento dalla Svizzera e forse pecca di eccessivo
ottimismo ritenendo il suo paese maturo per il gran salto dall’autocrazia alla
repubblica socialista.
1.° Febbraio.
Soltanto oggi al grande ricevimento offerto in Municipio ho sentito parlare
della principessa Maria Vassilitchikoff105.
Il ricevimento è stato un ricevimento russo, quanto dire fatto con uno
sfarzo, con una sontuosità, con una mise en scène iperbolica. C’era proprio
tutta Pietrogrado. Una sfilata di autorità d’ogni genere, una raccolta del fior
fiore della cittadinanza, e poi discorsi, musica, e un salone pei rinfreschi che
era una cornucopia di ogni ben di Dio. Il Municipio aveva stanziato diecimila
rubli; saranno bastati?
Nei nostri paesi questa spesa avrebbe sollevato un mondo di proteste,
ma in Russia si ha l’abitudine della prodigalità, in alto e in basso, e i doveri
leader della corrente dei menscevichi. In seguito alla vittoria dei bolscevichi, emigrò a
Berlino nel 1921, dove pubblicò la Storia della socialdemocrazia russa (1923).
103 Il termine “bolscevismo” (da bol’šcintvo, maggioranza) entrò nel lessico politico quando si
volle indicare la maggioranza guidata da Lenin al II congresso del Partito operaio
socialista democratico russo (Posdr), che si svolse a Londra e a Bruxelles (1903). I
bolscevichi introducevano il concetto di dittatura del proletariato, le rivendicazioni del
movimento contadino, una struttura organizzativa centralistica, composta di rivoluzionari
di professione. Al contrario i menscevichi (da men’šcintvo, minoranza) sostenevano la
necessità di una rivoluzione borghese e capitalistica prima dell’avvento del socialismo, per
cui le forze proletarie avrebbero dovuto fiancheggiare la borghesia, limitandosi a
difendere gli interessi economici propri del ceto operaio urbano e favorendo, allo stesso
tempo, lo sviluppo industriale.
104 “Iskra” (Scintilla) era l’organo di stampa ufficiale del Partito operaio socialdemocratico
russo, dal 1900, e aveva come motto «Da una scintilla scoppierà un incendio», cioè una
frase contenuta in una risposta che Vladimir Odoevskij indirizzò a Puškin quando questi
scrisse una poesia dedicata ai decabristi imprigionati in Siberia. “Iskra” era pubblicato a
Lipsia, Ginevra, Monaco di Baviera e Londra. Fino al 1903 il giornale fu gestito da Lenin,
poi passò sotto il controllo dei menscevichi.
105 I Vasilčikov costituivano una delle più importanti famiglie russe, originaria delle province
tedesche sul Baltico. Un principe Ilarion fu presidente delle Camere unite del Consiglio di
Stato e del Comitato dei ministri dal 1838 al 1846 e un suo discendente, anch’egli di
nome Ilarion, fu membro della Duma durante il regno di Nicola II e amico intimo del
Primo ministro Stolypin (fino al 1911). Dopo la Rivoluzione d’ottobre, la famiglia Vasilčikov
emigrò in Francia e poi in Lituania, dove possedeva ampi territori.
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della ospitalità sono interpretati in un modo che a noi sembrerebbe gravoso.
Ho già avuto occasione di osservare del resto questo contrasto fra la gravità
del momento e la spensieratezza popolare. Sembra quasi che il popolo non
si renda conto delle minacce economiche sospese sul suo capo, e chi più ha
più spende.
Ma torniamo a noi. Diceva di aver sentito soltanto oggi il nome della
principessa Vassilitchikoff. [39]
Questa signora è una ex dama di Corte ed è parente di Rodzianko106;
passò dodici anni a Vienna, divenendo l’amica intima del principe austriaco
Liechtenstein107 e del magnate ungherese Szecheny108. Venuta in Russia da
poco, essa si è subito posta al lavoro per conto della Germania e dell’Austria
tentando di preparare il terreno per una pace separata. Si mise in relazione
con molti personaggi, ma ebbe l’imprudenza di esporre i suoi progetti allo
stesso Rodzianko. Denunziata all’opinione pubblica dall’ambasciatore
britannico Sir Giorgio Buchanan109, ella ciononostante si stabilì a
Pietrogrado. Fu necessario l’intervento energico e risoluto della Duma
perchè il governo si decidesse a inviare questa signora nelle sue proprietà
della Russia meridionale.
Il deputato ottobrista110 Alessandrof111 diceva che in Russia si favoriscono
i nemici e si lascia libero terreno ai propagandisti della pace separata.
L’episodio potrebbe sembrare insignificante, ma non lo è quando lo si
106 Michail Vladimirovič Rodzjanko (1859-1924), grande latifondista e leader del Partito
ottobrista della borghesia conservatrice, fu presidente della terza e della quarta Duma dal
1911 al 1917. Fu uno dei principali responsabili politici durante la Rivoluzione di febbraio e
presidente del Governo provvisorio. Nell’agosto 1917 appoggiò la rivolta del generale
Kornilov e nel 1920 emigrò in Jugoslavia dove, a capo dell’Armata Bianca, tentò di
unificare i gruppi controrivoluzionari russi.
107 I principi Liechtenstein erano i proprietari di un castello nella Bassa Austria dal XII secolo.
Il territorio, ampliatosi nel tempo mediante acquisizioni, fu elevato al rango di “principato”
il 23 gennaio 1719 da Carlo VI d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero. Nel 1917
era principe Johann II (1840-1929), ma l’Autore potrebbe riferirsi anche al fratello Franz
(1853-1938; salito al trono nel 1929) che fu ambasciatore alla corte di Nicola II dal 1894
a 1899.
108 I nobili ungheresi Széchenyi furono per secoli molto influenti: politici, statisti, teorici,
scrittori… Il territorio ungherese fece parte dell’impero Austro-ungarico finché questo non
uscì sconfitto dalla Prima guerra mondiale, cosicché, nel 1918, l’Ungheria ottenne
l’indipendenza e fu proclamata Repubblica.
109 Sir George William Buchanan (1854-1924) fu un diplomatico inglese e, dal 1910,
ambasciatore a San Pietroburgo. Contribuì attivamente a consolidare la Triplice Intesa e
cercò di evitare la Rivoluzione russa, prima convincendo lo zar ad accordare le riforme,
poi (agosto 1917) appoggiando la rivolta del generale Kornilov, aiutando attivamente le
guardie bianche dopo la vittoria dell’Ottobre, partecipando all’organizzazione dei complotti
controrivoluzionari e dell’intervento armato delle potenze dell’Intesa contro la Russia.
Lasciò la Russia nel gennaio 1918 e scrisse l’autobiografia My Mission to Russia and Other
Diplomatic Memories, pubblicata nel 1923.
110 Gli ottobristi erano gli aderenti al Partito ottobrista russo, così chiamato perché formatosi
in conseguenza al Manifesto zarista del 17 ottobre 1905. Rappresentanti dei latifondisti e
della borghesia conservatrice, nel 1916 si opposero al governo zarista criticandolo per la
cattiva condotta della guerra. Vennero messi fuori legge dopo la Rivoluzione d’ottobre.
111 A.M. Aleksandrov.
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colleghi a tutti i recenti avvenimenti politici della Russia. Non vi è un russo
disposto a confessare che in Russia si pensi ad un tradimento della causa
comune, ma non ve n’è uno che non ci creda.
Oggi ho sentito affermare da taluni che la czarina stessa è a capo del
movimento per un accordo colla Germania. Si giunge persino ad attribuirle
la colpa del siluramento della nave che portava in Russia lord Kitchener112 e
si racconta che ella stessa sia la spia più preziosa dei tedeschi. Tempo fa il
comandante militare del porto di Arkangel113 avrebbe avuto richiesta [40]
dalla cancelleria della czarina del piano di difesa del porto: il comandante
mandò uno schema non corrispondente al vero, e fu profeta, perchè poco
tempo dopo un sommergibile germanico seguendo una falsa rotta andava a
fracassarsi contro le mine del porto.
Non so quello che ci può esser di vero in questi sottovoce della capitale,
ma è già sintomatico il fatto che una vera azione di tradimento e di
spionaggio possa essere attribuita all’imperatrice.
La maggioranza della Duma e tutte le classi liberali della Russia sono
furenti contro il partito germanofilo che s’identifica poi col partito della
reazione, e non mancano coloro che esprimono propositi violenti. La
dichiarazione di guerra alla Germania stabilì una tregua fra lo czarismo e il
partito liberale-progressista, e se non disarmò il partito socialista, certo lo
mise in opposizione con grande parte del popolo, odiatore dei tedeschi. Si è
detto che la guerra alla Germania aveva per i russi un carattere di guerra
nazionale ed è infatti così per due ragioni, perchè tende a liberare la Russia
dal predominio tedesco e perchè tende a dare alla Russia Costantinopoli114.
112 Horatio Herbert Kitchener (1850-1916) fu un generale britannico, gran riorganizzatore
degli eserciti nelle colonie (India, Australia, Nuova Zelanda), vincitore delle guerre angloboere (Sudafrica), governatore dell’Egitto fino al 1914, quando fu nominato ministro della
Guerra e il “Times” lo definì «un soldato duro, accanito, spietato, eccellente organizzatore
militare e fedele servitore dell’impero britannico in ogni parte del mondo». All’inizio della
Prima guerra mondiale, grazie a una ossessiva campagna pubblicitaria, riuscì a arruolare
due milioni e mezzo di volontari, poi predispose la coscrizione obbligatoria. Morì nel
maggio 1916, quando lo zar Nicola II gli chiese di riorganizzare l’esercito russo: un
sommergibile tedesco intercettò l’incrociatore Hampshire sul quale Kitchener viaggiava,
affondandolo nel Mare del Nord.
113 Archangel’sk, sul Mar Bianco.
114 Com’è noto, dopo la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani nel 1453, Mosca
si attribuì il titolo di Terza Roma e ne reclamò l’eredità storica, politica e religiosa. Dal
XVIII secolo alla metà del XIX secolo i Russi riconquistarono alcuni territori persi, ma nel
1878 le forti pressioni austriache e lo spiegamento ostile della flotta inglese nel Mar di
Marmara (interessata a mantenere i collegamenti con i suoi domini orientali) impedirono
l’occupazione russa della capitale ottomana. Al conseguente Congresso di Berlino, cui
presero parte i rappresentanti delle potenze europee e dell’impero ottomano, fu firmato
un trattato che lasciava alla Russia la sovranità sulla Bessarabia, affidava all’Austria
l’amministrazione di Bosnia ed Erzegovina (formalmente appartenenti alla Turchia) e
sanciva l’indipendenza di Serbia e Bulgaria. Nel 1908, la Russia, indebolita dalla guerra
contro il Giappone e dalla Rivoluzione del 1905, accettò la decisione dell’Austria di
annettersi la Bosnia e l’Erzegovina in cambio di una revisione delle clausole del trattato di
Berlino che limitavano la navigazione negli Stretti. La Gran Bretagna si oppose alla
revisione, ma l’Austria procedette all'annessione, causando il rafforzamento dell’alleanza
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Queste due finalità comuni a tutto il popolo, salvo, s’intende, i socialisti che
dichiararono esplicitamente il loro disaccordo al convegno di Londra del 16
Febbraio 1915, queste finalità comuni, dicevo, si originano però da
sentimenti e da programmi opposti. I grandi giornali, l’alta burocrazia, la
Duma, la borghesia commerciale e industriale, formano un aggregato
nazionalista. Questo nazionalismo ha la visione chiara [41] del momento
storico e lo vuole sfruttare all’estero per realizzare il sogno del libero mare,
all’interno per abbattere l’assolutismo e giungere alla monarchia
costituzionale. Questo gruppo è evidentemente il gruppo più forte per
omogeneità, per coscienza, per volontà, ma non ha dalla sua il numero,
almeno per ora. Il nazionalismo russo è costretto ad appoggiarsi a gruppi
estremi nella sua lotta contro la reazione, ma difficilmente vorrà giungere
all’aperta ribellione. Preferirebbe una trasformazione radicale, ma pacifica,
che gli permettesse di sfruttare immediatamente l’organizzazione attuale
dello Stato per non correre l’alea dell’anarchismo russo.
Anche la folla è per la guerra ai tedeschi, ma la folla non pensa al riscatto
della industria e del commercio nazionale, non pensa al mare libero come
via di espansione politica ed economica. La folla odia il tedesco perchè il
tedesco è l’ordine, è la disciplina, è lo Stato, è l’aguzzino, è il capo-fabbrica,
è l’intendente, è in una parola il governo. Uno dei filosofi russi più in voga,
Nicola Berdiaef115, analizzando la psicologia del popolo russo, è venuto alla
conclusione che il popolo non vuole uno Stato libero, la libertà nello Stato,
ma vuole liberarsi dallo Stato. Quindi la Russia è il paese più anarchico del
mondo.
La guerra alla Germania adunque rappresenta per gli uni la
trasformazione di un regime, per gli altri la liberazione da ogni regime. Ciò
spiega il momentaneo accordo dei nazionalisti democratici e del popolo.
Finchè lo czarismo è in piedi tutti rimarranno uniti per [42] premere su di
lui. Qual’è la conclusione? La conclusione logica sarebbe la vittoria dei
nazionalisti e la riforma dell’assolutismo. Soltanto in questo modo si può
salvare la Russia da una catastrofe.
Disgraziatamente lo czar non ha l’energia necessaria per vincere le
resistenze della burocrazia onnipotente, la quale forse conta sulla grande
massa contadina, seppure non è colpita da una cecità tragica. La burocrazia
tra Serbia e Russia. Se all’inizio della Prima guerra mondiale la Russia mirava a indebolire
l’impero asburgico e a obbligarlo a cedere alcuni territori balcanici alla Triplice Intesa
(Russia, Gran Bretagna e Francia), con l’entrata in guerra della Turchia a fianco
dell’Austria (31 ottobre 1914) tornò a mirare a Costantinopoli per il controllo degli Stretti
con l’approvazione degli alleati. Per la Russia, la guerra finì invece il 3 marzo 1918,
quando i bolscevichi firmarono il trattato di Brest-Litovsk che sancì la sua uscita dal
conflitto.
115 Nicolaj Alexandrovič Berdjaev (1874-1948) è oggi considerato in Russia uno dei più grandi
pensatori cristiani. Nato a Kiev, dove si mescolavano l’austerità monacale dell’ortodossia
orientale e le inclinazioni per il mondo occidentale, coltivò l’amore per la profonda
spiritualità russa e la simpatia per la cultura tedesca e francese. Essendosi opposto al
marxismo, fu esiliato nel 1922; si stabilì a Parigi dove scrisse la maggior parte dei suoi
libri (Il senso della storia, Cristianesimo e lotta di classe, Autobiografia spirituale…).
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ha bisogno di ritrarsi dalla guerra, ma non sa come ritrarsene. Un tentativo
di pace separata è enormemente pericoloso, perchè non solo urterebbe
contro quella parte della nazione che nella guerra vede la leva più potente
della trasformazione interna, ma disgusterebbe anche quella massa
politicamente reazionaria o passiva che guarda oggi a Costantinopoli come
alla meta radiosa della guerra.
A questo proposito si racconta, che nel Febbraio 1915, in una seduta
segreta, dalla quale furono esclusi i socialisti, si discusse della pace. Lo Czar
e la destra erano pronti alla pace purchè si cedesse alla Russia la Galizia:
per la politica interna s’impegnavano a promuovere le forze produttive del
paese, ma senza concedere riforme politiche. Questo progetto incontrò la
più fiera opposizione dell’elemento militare, degli ottobristi, dei cadetti, i
quali tutti avrebbero adottato il motto: «o Nicola III o Costantinopoli».
L’episodio proverebbe che il granduca Nicola e i generali sono alleati al
partito liberale-progressista. E’ un elemento di forza non trascurabile e la
burocrazia russa deve pensarci su due volte, prima [43] di sospingere il
partito liberale a dare il segno di una rivolta che, aiutata dal popolo e
dall’esercito, travolgerebbe d’un soffio la czarismo.
D’altra parte i liberali dovranno esitare lungamente anch’essi, perchè non
possono avere la sicurezza di dominare il movimento. Essi dovrebbero
appoggiarsi alla grande massa popolare, ma questa avrebbe raggiunto la
finalità della sua guerra una volta abbattuto lo czarismo, e probabilmente
reclamerebbe a sua volta la pace.
2 Febbraio.
Oggi è stata una giornata laboriosa. Una visita all’Officina Carte e Valori,
grandioso impianto con circa 8000 operai, una seduta alla Camera di
esportazione, un’altra al Club degli Economisti, un thè dall’on. Radkewitz116,
deputato della Duma. Ma non è di questo che io intendo parlare.
Le mie note vogliono essere uno specchio di ciò che fermenta nella vita
russa, di ciò che si prepara: serviranno a darci una norma per giudicare di
avvenimenti forse grandiosi e di importanza storica mondiale, se gli
avvenimenti stessi non ci precederanno.
Oggi mi sono soffermato un momento in una mostra di oggetti artistici,
fabbricati a mano da contadini russi. Si trova sulla Prospettiva Nevsky117, la
magnifica strada della capitale, diritta per quattro chilometri, fiancheggiata
da splendide costruzioni e da botteghe [44] di gran lusso, animata in ogni
epoca dell’anno dalla corsa di migliaia di veicoli, e da una folla sfarzosa,
116 Forse si tratta del generale Nikolaj Aleksandrovič Radkevič.
117 Come descritto, la prospettiva Nevskij è la strada principale di San Pietroburgo, che fu
pensata da Pietro il Grande, ma progettata da una speciale commissione istituita nel
1737, come centro cittadino e inizio del collegamento con Novgorod e Mosca. Essa parte
dal Palazzo d'Inverno e, passando tra palazzi nobiliari e insigni monumenti, termina al
Monastero dedicato ad Aleksander Nevskij. La sua lunghezza è di circa 4,5 chilometri.
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elegante, nella quale si frammischiano nobili e plebei d’ogni nazionalità,
venuti dall’Asia o dal Caucaso o dalla Polonia o dall’estremo settentrione. La
mostra si trova in un vasto salone e comprende soltanto i prodotti artistici
dei kustari118. E’ questo il nome che si dà ai contadini che durante il
lunghissimo inverno si dedicano a questa piccola industria rurale.
Sono rimasto meravigliato della genialità, del senso artistico, dell’abilità
del contadino russo. C’erano delle scatole di legno colorate, a intagli, delle
cornici, dei mobili, dei giocattoli, e una varietà numerosa di bambole e di
casette e di troike e di barche, riproducenti aspetti caratteristici del costume
e della vita russa. Ecco qua un cavaliere tartaro, ecco un mugik colossale
colla barba prolissa e bianca, ecco un contadino della Piccola Russia colla
cemerka, la casacca119, stretta alla cintola dalla fascia di seta verde rigata di
bianco e rosso; ecco un tartaro col capo coperto dall’inseparabile
kalapush120, un berrettino piatto di peluche nero, e un polacco nei suo bel
kaftan121 verde dai bottoni rossi e nei calzoni chiari, attillati, sostenuti da
un’ampia fascia di cuoio.
Ho domandato informazioni su questa industria ed ecco i dati che mi
furono riferiti. Si calcola che almeno dieci milioni di contadini della Russia
europea esercitino mestieri domestici, e la loro produzione di eleva a cifre di
milioni, ogni anno. Queste industrie sono esercitate da associazioni
cooperative di contadini, [45] che prendono il nome di artel122 e il sorgere
della grande industria sembra non abbia pregiudicato finora queste industrie
campestri. Nel governo di Mosca 87 villaggi sono occupati alla fabbricazione
di mobili, 120 ateliers producono giocattoli, il villaggio di San Sergio123 da
solo vende 28000 rubli di oggetti di legno, scodelle, saliere, portafiammiferi,
cucchiai. Nijni Novgorod124 esporta fino in Persia i suoi prodotti di
ebanisteria: il governo di Kostroma sfrutta le sue immense foreste
fabbricando stuoie, ceste, panieri: il governo di Tver fiorisce per l’industria
delle calzature, il Caucaso settentrionale per le stoffe di seta, il governo di
Vladimir per la confezione delle pelli e per la lavorazione dei metalli. A
Worsm125 4000 uomini fabbricano coltelli. Ascie, falci, aratri, chiodi,
118 Artigiani (singolare: kustar’). I dati che l’Autore fornisce in seguito si riferiscono ai kustari
registrati (cooperative, ambulanti ecc.).
119 Čemarka è l’antico nome della casacca o dell’abito-cappotto (robe-manteau).
120 Kala puš deriva dal persiano kala, testa, e push, coprire.
121 Caffettano o caftano, lunga veste aperta davanti con larghe maniche.
122 Artel’, cooperativa. Un’associazione famosa era l’Artel’ degli Artisti di San Pietroburgo,
fondata nel 1863, che raccoglieva ai laureati dell’Accademia delle Arti di tendenza
progressista.
123 Il monastero della Trinità di San Sergej di Radonež, fondato nel 1345, è situato nella città
di Sergiev Posad, nella provincia di Mosca, sulla strada che collega Mosca con Jaroslavl’.
124 Nižnij Novgorod, alla confluenza dei fiumi Oka e Volga.
125 Il villaggio (ora città) di Vorsma – dall’ugro-finnico: “città di legno” – si trova a circa 70
km a sudovest di Nižnij Novgorod, sul fiume Kišma, un affluente dell’Oka. Nel XVIII secolo
diventò famosa per la lavorazione del metallo: armi, lame, forbici e attrezzi di ogni
genere. Oggi è un centro specializzato in strumenti medici e in piccoli pugnali. Questa
città non va confusa con la più importante Worms (Vormsa), in Germania, anch’essa
produttrice di lame.
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samovar, casseruole, molle, catene, staffe, eleganti bijoux di smalto nero
incrostati d’argento126, tutto si fabbrica a domicilio, a Tver, a Jaroslav127, a
Vladimir. E poi la tessitura, l’industria del ricamo, delle passamanerie, dei
broccati in oro, dei merletti, nei governi di Mosca, di Vladimir, di Podolsk, e
la filatura della lana del governo di Kalouga128, celebre anche per le sue
spazzole. Sono sempre contadini che confezionano reti, filo per pescare,
calzature in feltro, cappelli di seta e mobili in legno curvato, imagini sacre.
Cinquecento lavorano nell’industria degli orologi nel governo di Kostroma.
Altri preparano chitarre e violini, flauti e cetre; altri, come a Volozoff129,
costruiscono strumenti di fisica e di precisione.
Lo sviluppo di questa industria rurale mi pare vastissimo ancora. Esso è
spiegabilissimo [46] in Russia dove la grande industria ha avuto uno
sviluppo pure notevolissimo, ma che non è certo grande in rapporto
all’estensione, alla popolazione e alla capacità del paese. Inoltre
l’abbondanza del legname è una delle condizioni favorevoli all’industria
rurale. Vi sono poi certe industrie rurali che sfuggiranno sempre
all’organizzazione accentratrice della grande industria: noi vediamo che esse
resistono e sono piene di vitalità anche in paesi industriali modernissimi. Da
un certo punto di vista questo è un bene, poichè il lavoro a domicilio toglie il
contadino dall’ozio forzato dei lunghi inverni, gli procura nuovi cespiti di
entrata, lo affeziona alla sua terra. Non sarebbe questo un rimedio
all’urbanismo?
Ma d’altra parte, se vogliamo ascoltare Carlo Marx, le piccole economie
sono destinate ad essere assorbite dalle grandi130. Molto cammino
rimarrebbe dunque da fare alla Russia per giungere al mostruoso
accentramento capitalistico. Io credo però che si possa applicare in questo
126 Si indicano i lavori di oreficeria decorati col niello: si riempiono a caldo con un amalgama
nerastro (detto niello) – composto di zolfo fuso e, in varie proporzioni, di solfuri di
piombo, rame e argento – i solchi di un’incisione, eseguita a bulino, su una lamina di oro,
argento o lega di rame.
127 Jaroslavl’.
128 Kaluga, a circa 200 km a sud di Mosca.
129 Volosovo.
130 I filosofi ed economisti tedeschi Karl Heinrich Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (18201895) posero le basi del materialismo storico, affermando la necessità di superare i limiti
della speculazione teorica per una trasformazione radicale della società. Nel Manifesto del
Partito Comunista (1848) scrissero: «Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la
borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che
vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro
aumenta il capitale. […] Con l’estendersi dell’uso delle macchine e con la divisione del
lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente e con ciò ogni
attrattiva per l’operaio. […] L’industria moderna ha trasformato la piccola officina del
maestro artigiano patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. […] Quelli
che fino a questo momento erano i piccoli ordini medi, cioè i piccoli industriali, i piccoli
commercianti e coloro che vivevano di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte
queste classi precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro piccolo capitale
non è sufficiente per l’esercizio della grande industria e soccombe nella concorrenza con i
capitalisti più forti, in parte per il fatto che la loro abilità viene svalutata da nuovi sistemi
di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione».
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campo la legge fisica di Newton131, per cui ogni azione di forze è sempre
accompagnata da una reazione eguale e contraria — ogni movimento
centripeto da una forza centrifuga. Dove giunge la grande industria, ecco
sopraggiungere le modificazioni, le aggiunte, le trovate ausiliari della
piccola. Ma il loro campo d’azione rimane vario, diverso. Il nostro sguardo è
quindi rivolto alle possibilità future. Ma nel presente quale può essere la
sorte delle industrie rurali in Russia? quale la capacità di resistenza o di
adattamento dell’artel? E in ultima analisi quale è l’influenza dell’economia
[47] russa su questo movimento riformatore che agita ormai tutti gli strati
sociali dell’impero, ma che sembra essere l’opera cosciente dei
rappresentanti la grande industria? Problemi formidabili! Eppure nella loro
soluzione sta in gran parte la chiave dell’avvenire russo! Per ora la piccola
industria rurale ha interesse a riformare l’assolutismo: essa deve liberarsi
dalla esosità degli intermediari, dalla cupidigia burocratica, dall’oppressione
dei governatori, e possibilmente deve impadronirsi della terra.
3 Febbraio.
Gli avvenimenti odierni ci hanno insegnato a tener conto degli elementi
spirituali nella valutazione dei fenomeni storici. Il materialismo storico da
solo non può spiegare la storia. Ieri ho visitato la produzione geniale degli
artel russi, le meraviglie dell’arte paesana, dalla quale forse nascerà qualche
grande manifestazione d’arte russa, come da un humus fecondo: oggi sono
entrato nella cattedrale di S. Isacco132. Questa cattedrale sorge frammezzo a
un’oasi monumentale: nelle sue vicinanze sono il Palazzo d’Inverno,
l’Ammiragliato133, le statue di Piero il Grande, di Nicola I. E tuttavia non è
senza commozione che si contempla questo edifizio, voluto da Pietro il
grande, distrutto poco dopo da un incendio, ricostruito da Nicola I e
consacrato al culto il 30 Maggio 1859. Le mura marmoree, i quattro porticati
colle loro magnifiche colonne di granito, [48] coi grandiosi frontoni a
bassorilievi, le quattro grandi porte di bronzo, la cupola dorata troneggiante
colle sue colonne e colle sue ventiquattro statue d’angeli sopra le quattro
cupole dorate delle torri campanarie e sopra altri aggruppamenti di statue
131 Lo scienziato inglese Isaac Newton (1642-1727) contribuì in maniera fondamentale a più
di una branca del sapere: enunciò i principi della meccanica (di cui l’Autore ricorda il terzo
principio della dinamica), espose le leggi della gravitazione universale, sviluppò il calcolo
infinitesimale, introdusse una teoria corpuscolare sulla natura della luce, scoprì la
scomposizione della luce bianca nei colori dell’iride, inventò il telescopio a riflessione. Si
occupò anche di economia e di questioni monetarie (dal 1699 fu direttore della Zecca di
Londra). Il suo scritto più importante è Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (I
principi matematici della filosofia naturale), pubblicato nel 1687.
132 Cfr. nota 4.
133 L’Ammiragliato fu costruito nel 1704-1803 su progetto di Pietro il Grande come cantiere
navale. La guglia dorata, alta 72,5 metri fu realizzata dall’architetto Korobov per volere di
Anna Pavlovna, sorella dello zar Nicola I e regina d’Olanda. Nel 1806, il palazzo subì una
radicale trasformazione in stile neoclassico.
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danno all’aspetto esteriore della cattedrale un’imponenza e una grandiosità
non comuni.
Entriamo nel recinto sacro. E’ un quadrato immenso dove può trovar
posto una folla di quindicimila persone, una profusione di marmi, di argento
e d’oro, di fregi e di decorazioni, di scolture e di sacre imagini. L’iconostasi
che è la parte di separazione fra lo spazio riservato ai fedeli e il santuario,
comprende tre porte corrispondenti al santuario centrale e alle due chiese
laterali. Questa iconostasi è di una magnificenza che soggioga. Le otto
colonne di malachite, il bronzo dorato delle porte, i bassorilievi dorati, le
icone dei santi e della vergine, tutta questa profusione di luci e di colori e di
atteggiamenti ieratici dà un’animazione solenne del tempio. E io imaginava
facilmente la seduzione esercitata sugli animi della folla, quando spalancata
la porta centrale dell’iconostasi, la porta dello czar, appare nel fondo, sulla
vetrata immensa, al di sopra dell’altare e del tabernacolo d’argento, nella
luce dei candelabri, la figura del Salvatore risorto e che sembra salire in un
rutilante nimbo di luce. Io imaginava la cattedrale nella Notte Santa del
Natale, quando sembra trasformata in un roveto ardente, e i ghiacci e la
neve e l’oro delle cupole riflettono in vividi barbagli le migliaia di fiamme
che sprigionano i candelabri [49] sorretti dagli angeli ai quattro angoli del
tetto. Ma mi sono anche domandato quanto profonda, quanto radicata negli
animi potesse essere la religione ortodossa, la religione degli czar e del
Santo Sinodo, la religione che aveva dato a Pietrogrado le sue magnifiche
cattedrali, questo S. Isacco, e la vicina Nostra Signora di Kazan 134, e San
Pietro e Paolo135 nella cittadella paurosa, dove gli imperatori hanno voluto
questo avvicinamento mostruoso della chiesa e del carcere. Ma vi posero
anche la loro tomba.
Chi visita S. Isacco, il tempio nazionale russo, non vi trova un’arte di
ispirazione nazionale, ma un’arte di ispirazione bizantina. Le icone più
venerate, le imagini miracolose, coperte da una pianeta136 d’oro tempestata
di diamanti, sono quella del Salvatore, la Vergine di Korsoune137, e la
134 La cattedrale di Nostra Signora di Kazan’ fu voluta da Nicola I simile alla Basilica di San
Pietro in Vaticano ed edificata fra il 1801 e il 1811. Centoquarantaquattro colonne
formano il semicerchio esterno, la cupola raggiunge i 70 metri di altezza.
135 La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo fu progettata, come la fortezza che la circonda,
dall’architetto ticinese Domenico Trezzini fra il 1712 e il 1733. Distrutta da un incendio, fu
ricostruita dall’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli, nel 1750, in stile olandese, a pianta
basilicale con cupola centrale. Sempre a un italiano, Antonio Rinaldi, si deve la guglia
dorata, alta 60 metri, che regge un angelo con la croce. La torre di 122 metri si erge sul
pronao e reca un carillon che ogni sei ore suona l’inno russo. Vi sono sepolti tutti gli zar e
zarine Romanov, tranne Pietro II, Ivan IV e Nicola II.
136 È il felonio (in greco phélonion e in russo felón): ampio e morbido vestito dei sacerdoti
(secondo ordine maggiore dell’ordine sacro), ricavato da un telo unico, più corto davanti,
con un’apertura per la testa e una croce o un’icona ricamata sul dorso. È simile alla
pianeta dei cattolici latini.
137 L’icona ritrae la Vergine e il Bambino fino alle spalle e in atteggiamento affettuoso. La
leggenda racconta che fu dipinta a Efeso dall’evangelista Luca e custodita nel Palazzo
imperiale di Costantinopoli. Il 9 ottobre 988, una copia fu portata a Kiev dalla città greca
di Cherson (in slavo antico: Korsun’, in Crimea) dal Gran principe san Vladimir, in seguito
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Vergine di Tichvine138. Quest’ultima e quella del Salvatore sono antichissime
e perfettamente bizantine nella concezione e nel disegno. La Vergine di
Korsoune che si stringe al seno il bambino ha un’espressione di tenerezza:
c’è un raggio di umanità nel suo volto; ma la Vergine di Tichvine, magra,
secca, misteriosa, nerissima fra il barbaglio degli ori, è una fedele
espressione dell’aridità teologica dell’arte bizantina. Questa madonna,
secondo mi spiegava un pope139, sarebbe un acheiropoiétes140, quanto dire
un’imagine non fatta dalla mano dell’uomo, ma che si credevano eseguite
dalla mano divina. Queste imagini vennero in voga nel V° secolo, poi si
attribuirono a San Luca evangelista. La loro particolarità è di avere un
colore marcatamente [50] bruno, forse in memoria della Sposa del Cantico
dei Cantici: Nigra sum, sed formosa141.
Le altre numerosissime icone, opere di artisti moderni, non si possono
certo chiamare opere bizantine, ma la loro ispirazione è bizantina come
bizantina è l’impressione d’assieme data dal tempio. Basta pensare
all’abbondanza del mosaico, al predominio della decorazione, alla sontuosità
dei colori. Come ci si sente lontani da un’arte paesana! da un’ispirazione
indigena! Come mai una religione che dovrebbe esser divenuta sangue e
carne del popolo non ha suscitato un’arte del popolo che le desse
espressioni nuove, più adatte all’anima della folla, più intonate all’ambiente?
Nel paese dove l’inverno grigio e interminabile vela il cielo e la terra di
nebbie, come può fiorire l’arte di Bisanzio che vede curvarsi sulle sue cupole
un cielo di zaffiro e bagnare le sue scalinate marmoree ondate di smeraldi?
Sant’Isacco, bello, grandioso, magnifico tempio dell’impero ortodosso! ma
non tempio dell’anima russa. Tutto qui ha un carattere strano: tutto qui
risente dell’artificio colossale: tutto qui è un tentativo di abbagliare, di
affascinare, di sbalordire. Si sente il dispotismo in questa pompa. Si
comprende che le cerimonie non volevano parlare allo spirito, ma sedurre
gli occhi. Si vede che il tempio è la succursale della reggia, il rito un
ausiliario della politica.
La religione ortodossa fu importata nella Russia, imposta al popolo, ma il
popolo non ne fu conquistato fin nell’intimo. Introdotta da Vladimiro il
santo142 verso il mille, la chiesa ortodossa fu organizzata da preti e dignitari
trasferita a Novgorod e poi a Mosca. Ritenuta miracolosa, ne furono eseguite molte copie.
138 L’icona della Madre di Dio di Tichvin è del tipo della “Odigitria” (Colei che indica la via) e
ritrae Maria che piega leggermente il capo verso il Bambino seduto sul braccio sinistro.
Gesù mostra la pianta del piede destro. Secondo la tradizione, apparve, alla fine del XIV
secolo, in un fulgore di luce trasportata dagli angeli sul lago Ladoga, dopo essere sparita
da Costantinopoli secoli addietro.
139 Pope è una parola russa popolare, probabilmente derivata dall’antico greco poppás. Indica
il prete di rito orientale delle Chiese russe, serbe e bulgare.
140 In italiano: acheropìta.
141 «Bruna sono ma bella» (Ct 1,5). In realtà, nel testo si fa riferimento al colore bruno
assunto dal dipinto per la composizione della vernice trasparente (olifa) che lo copriva.
L’olifa essicca lentamente, trattiene il fumo delle candele e, per fotosintesi, vira da un
tono giallino a uno bruno-ambrato nel giro di cento anni circa.
142 Vladimir I (Volodymyr in ucraino, Valdimar in normanno e Volodymer in ruteno antico)
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[51] ecclesiastici greci, rimase per lungo tempo una dipendenza di
Bisanzio, per passare poi alla dipendenza del capo dello Stato, con Pietro il
Grande, creatore del Santo Sinodo, come organo della volontà imperiale
negli affari ecclesiastici. Questa fusione del potere politico e del potere
ecclesiastico rafforzò straordinariamente l’assolutismo, ma legò le loro sorti.
Ogni ribelle allo czarismo doveva essere in Russia anche un ribelle
all’ortodossia: ciò spiega come oggi le forze reazionarie non possono fare
grande calcolo sull’influenza dei religiosi sul popolo russo. Questo non
significa che il popolo russo sia giunto nella sua grande massa
all’indifferentismo religioso, chè anzi la religiosità e il misticismo rimangono
come una delle caratteristiche fondamentali dell’anima russa, ma questa
religiosità non trova più la sua piena espressione nell’ortodossia bizantina.
La religione organizzata non può come tale avere un’influenza decisiva nel
corso degli avvenimenti russi: piuttosto non si deve fare astrazione nel
valutare la situazione di questo paese e le possibilità del suo sviluppo, dal
fattore psicologico costituito dalla religiosità russa.
A questo proposito è assai interessante notare il grande numero di
contadini e di operai russi che per fervore religioso si danno alla vita
monastica. Accolti in qualcuno dei grandi monasteri russi come semplici
poslushnik143 dopo qualche anno di noviziato diventano monaci riasofornii144
e poi s’innalzano al grado di monacheinii145.
Ho visitato in altri tempi il monastero delle isole Valaam sul Ladoga146,
dove vivono un migliaio [52] di monaci, dalle lunghe capigliature, dalle
barbe prolisse, col cappello cilindrico e un lungo drappo nero cascante ai
piedi dalle spalle, che dava alle loro riunioni nella solitudine selvosa
dell’isola un aspetto di tenebrose cospirazioni. E’ innumerevole il numero
delle persone che giungono a Valaam dai più lontani governi della Russia
per passarvi alcuni giorni in devoto raccoglimento, ospitati dai monaci in
cambio di qualche lavoro campestre che compiono nei boschi e nei prati del
convento. Partendo, tutti acquistano i prosfòri147, di panetti con impresse le
diventò Gran principe di Kiev nel 980 al termine di una guerra fratricida. Nel 988 ottenne
dall’imperatore di Bisanzio, Basilio II, la mano della sorella Anna, ma dovette accettare la
conversione al cristianesimo, che Vladimir impose a tutta la popolazione dell’antica Rus’.
Alla sua morte, avvenuta nel 1015, fu canonizzato.
143 Poslušnik, novizio.
144 In italiano corrisponde a rasofori, termine derivato dal greco rasoforòs, che significa
“monaci con la tunica”. Il rasoforo è il diacono o il novizio che ottiene il permesso di
indossare una lunga e leggera tunica di lana o seta nera con ampie maniche (detta in
russo rjasa), che simbolizza la morte su questo mondo e la dedizione completa a Dio.
145 Monaci che possono ricevere il sacramento dell’ordine sacro.
146 Nel X secolo fu fondato sull’isola principale dell’arcipelago di Valaam, situato nel lago
Ladoga, vicino al confine con la Finlandia, il monastero di Valaam (nome dell’arcipelago e
dell’isola maggiore) dai santi monaci greci Sergio e Germano. Il monastero fu un centro
religioso e culturale della Russia, sostenuto dagli zar e dalla Chiesa ortodossa, fino al
1617 quando fu conquistato dagli Svedesi. Distrutto e ricostruito nel XVIII secolo, diventò
uno dei monasteri più ricchi in Russia, trasformandosi in un piccolo stato che controllava
tredici monasteri minori.
147 La prósfora è il pane lievitato dell’Eucaristia, un pane rotondo, sulla cui parte centrale è
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figure dei santi Sergio e Germano, che porteranno per sè e per le famiglie
lontane, come un santo viatico.
Ho osservato molte di queste manifestazioni religiose del popolo, ma esse
hanno tutte un carattere di esteriorità, di superficialità. Altre sono le
manifestazioni del bisogno religioso russo. Nei riti, nelle processioni, nelle
benedizioni, non abbiamo che la teatralità del clero fastoso, sfilante per le
vie nei broccati bianco-dorati, nelle cappe maestose incrostate di perle,
figure ascetiche dalle fluenti barbe e dalle zazzere biondastre, tutto uno
spettacolo fatto per la suggestione dei sensi. Ma il sentimento vasto e
trascendente della religione di questo popolo è nella dimostrazione pubblica,
aperta, franca della loro convinzione religiosa, nell’inginocchiarsi nel mezzo
della strada e fare il segno della croce e ripetere la preghiera di rito, nello
scambiarsi le frasi sacramentali, come nella notte di Pasqua. Cristo è
risorto! dice l’uno, e l’altro risponde; Sì, è vero! è risorto! e chiunque essi
sieno, nobili e plebei, [53] uomini e donne, che mai prima si videro, si
baciano tre volte sulla bocca. La religiosità russa è in questo bisogno di
carità, che ha avuto manifestazioni veramente grandiose durante la guerra,
ma che ne aveva di egualmente grandiose durante la pace. E ancora, è il
senso religioso che fa del russo il popolo più mite e più pacifista del mondo.
Sembra un’affermazione strana quando si pensi alla terribile fama dei
cosacchi Eppure è un’affermazione che mi hanno ripetuto di sovente in
Russia. Degli ufficiali assicuravano che i soldati negli assalti alla baionetta
evitano di colpire il nemico al ventre e mirano alle braccia o alle gambe.
Questa improvvisa rivelazione di pietà nell’ebbrezza della lotta più
barbarica, questo affiorare misterioso dalle profondità dell’anima di una
impreveduta ingenua bontà, questa istintiva contraddizione alla brutalità
apparente, alla selvaggia scorza, non è la riprova di quel senso religioso che
ci è rivelato dal temperamento contemplativo, estatico, sognatore, irrealista
del contadino russo?
Tolstoi che è considerato come l’eroe nazionale russo, ossia come
l’espressione più genuina della mentalità russa, è il più grande e il più
assoluto dei pacifisti. Nella sua negazione della violenza egli giunge più
lontano ancora del Cristo che offriva la guancia sinistra a chi gli aveva
percosso la destra. Kouropatkine148 nelle sue Memorie sulla guerra russogiapponese è un testimone del pacifismo naturale, istintivo del popolo
russo.
Per questo aspetto la psicologia religiosa dei russi può essere un fattore
impresso un sigillo con la Croce e l’iscrizione IC XC NIKA (Gesù Cristo vince) a
simbolizzare l’Agnello di Dio. La parte di prosfora non usata nel rito o un altro pane
benedetto viene distribuito ai fedeli e prende il nome di antidoro (antidór in russo).
148 Aleksej Nikolaevič Kuropatkin (1848-1925) fu un ufficiale dell’esercito russo che combatté
nella guerra russo-turca del 1877-1878, fu luogotenente generale e governatore della
regione del mar Caspio dal 1890 al 1898 e fu ministro della Guerra dell’impero zarista dal
1898 al 1905, quando l’esercito russo fu sconfitto in Manciuria nella guerra russogiapponese. Nel 1916 fu governatore del Turkestan fino allo scoppio della Rivoluzione del
febbraio 1917, in seguito alla quale si ritirò a vita privata.
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importante nel determinarne [54] la linea d’azione se il popolo dovesse
domani diventare, contro l’ortodossia czarista, l’arbitro dei propri destini.
La nuova borghesia russa ha un nuovo problema da risolvere prima di
avventurarsi ad un salto nel buio.
4 Febbraio.
Riassumiamo il nostro lavoro.
— 31 Gennaio: visita al cantiere navale del Baltico; pranzo da
Timiriasef149, ex-ministro del Commercio, membro del Consiglio dell’Impero:
seduta al Comitato Militare-Industriale.
— 1 Febbraio: visita allo stabilimento Erikson per apparecchi telefonici:
ottomila fra impiegati e operai: produzione giornaliera 3500 apparecchi:
ricevimento all’Hotel de Ville: pranzo dall’Ambasciatore italiano.
— 2 Febbraio: all’Officina Carte e Valori: alla Camera di Esportazione: al
Club degli Economisti.
— 3 Febbraio: al Politecnico, che ospita, in tempi normali, cinquemila
studenti. Calorosa dimostrazione degli insegnanti. Colazione da Nobel: visita
alla sua officina per motori Diesel150.
— Oggi, alla Galleria de l’Ermitage151. E poi da Kramskoi, direttore delle
ferrovie dell’Ural. Poi alla Duma. Poi da Protopopoff, con Scialoia152. Poi alla
Comédie française. Da ultimo qui, a tavolino, per le note di questa giornata
laboriosa, piena di emozioni.
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A l’Ermitage ho ammirato Bernardino Luini153. [55] Questo grande e
149 Vasilij Ivanovič Timirjazev (1849-1919) si impiegò nel Ministero delle Finanze russo dal
1873 diventando ministro delle Finanze dal 1902-1905. Fu poi ministro del Commercio e
dell’Industria fino al febbraio 1906 (quando il governo si dimise e lui rimase membro del
Consiglio di Stato) e ancora nel 1909. Fu inoltre presidente della Camera di Commercio
anglo-russa (Londra-San Pietroburgo).
150 Il barone Emanuel Nobel (1859-1932), nipote di Alfred Nobel, assunse la direzione della
compagnia petrolifera “Branobel” (abbreviazione di Fratelli Nobel), con sede a Baku, nel
1888, alla morte del padre Ludwig. La Branobel, fondata nel 1876, aveva avviato a San
Pietroburgo, nel 1879, la produzione di olio combustibile e dal 1898 quella dei motori
inventati dal tedesco Rudolph Diesel (1858-1913), così da detenere il monopolio delle
forniture per automobili, petroliere, impianti elettrici, pompe idrauliche ecc. Nel 1917 la
società aveva un capitale di 30 milioni di rubli.
151 L’Ermitage conteneva le collezioni imperiali nel Palazzo d’Inverno. Nel 1852 diventò il
primo museo pubblico della città, ma con accesso limitato alle persone considerate
rispettabili.
152 Vittorio Scialoja (1856-1933) fu uno dei maggiori giuristi italiani della sua epoca,
fondatore nel 1888 dell’Istituto di Diritto romano. Fu docente all’Università di Roma,
consigliere della città di Roma dal 1891 e senatore del Regno d’Italia dal 1904. Fu inoltre
ministro della Giustizia (1909-1910) e degli Esteri (1919-1920) e rappresentante
dell’Italia nel Consiglio della Società delle Nazioni (1921-1932).
153 Bernardino Schapis (1481?-1532) prese il nome Luini perché originario del retroterra di
Luino sul Lago Maggiore. Studiò pittura a Milano ed eseguì dipinti su tavola e affreschi per
moltissimi monasteri e chiese in Lombardia e nel Canton Ticino. Fu anche uno dei pittori
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modesto genio della pittura, questo generoso datore di capolavori, lo si
incontra dappertutto. Al Prado di Madrid come alla galleria reale di Berlino,
al Museo di Budapest come al Louvre di Parigi, alla Nazionale di Londra
come all’Imperiale di Vienna. Tutte le città d’Italia hanno un Luini, e la
Lombardia è un sacrario delle sue opere. La Vergine col Bambino
dell’Ermitage è Leonardesca, ma Santa Caterina che legge, fra i due angioli,
è di stile e di fattura prettamente luinesca. E’ la sublimazione della soavità e
dell’estasi religiosa.
L’Italia è rappresentata gloriosamente in Russia dalla sua arte. Sono gli
artisti, ancora prima dei commercianti, che sono venuti qui a crearvi una
tradizione di italianità che non si è mai più spenta. Quanti conoscono la
nostra lingua! e la parlano con facilità, con prontezza! Sazonoff, Efremof 154,
Miliukoff… ci sarebbe da fare un lungo elenco di altissime personalità russe.
E fra i primissimi italiani venuti in Russia bisogna pure che ricordi per un
legittimo orgoglio i magistri comacini155, che fecero la loro comparsa in
Russia verso il 1450, con Ivano III 156 e con Ivan il Terribile157. Celebre fra
preferiti da Federico Borromeo, che raccolse molte sue opere alla Pinacoteca Ambrosiana.
Nel 1521 si recò a Roma e restò impressionato dalla pittura di Raffaello. Nel periodo
maturo l’opera del Luini diventò «un’originale sintesi tra lo sfumato di Leonardo e il rigore
metafisico-prospettico di Vincenzo Foppa, Bramantino e Zenale».
154 Tra gli Efremov, grandi proprietari terrieri, vi furono molti militari. Nel 1917 risultano attivi
il generale Konstantin Efremov, il progressista I.N. Efremov (partecipante al Governo
provvisorio del 1917) e un “Efremov” – forse uno pseudonimo – che era un componente
della Čeka (Commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione e la
speculazione, creata nel 1917) e partecipò all’eccidio della famiglia imperiale a
Ekaterinburg.
155 Dal Medioevo, con “maestri comacini” si indicavano i costruttori, lapicidi e scalpellini
associati in forme corporative, abilissimi nel taglio e nell’uso della pietra e del laterizio.
Non si sa se il nome facesse riferimento all’area di Como come luogo di provenienza o se
derivasse da cum machinis, cioè con gli attrezzi meccanici necessari al taglio delle pietre.
Si diffusero soprattutto in Italia centrale e settentrionale, in Svizzera, in Francia e nella
valle del Reno.
156 Il Gran Principe di Mosca, Ivan III il Grande (1440-1505), regnò dal 1462 alla morte. È
considerato l’unificatore delle terre russe perché riuscì a quadruplicare le dimensioni del
suo regno, assoggettando la repubblica di Novgorod (1478), i principati di Jaroslavl’ (1463
) Rostov (1474) e Tver’ (1485), la Lituania (1500) e vincendo in più riprese i Tatari. In
politica interna, puntò all’autocrazia, diminuendo in modo consistente l’influenza dei
bojari, e fu il primo a farsi chiamare “zar”. In seconde nozze sposò Sophia Paleologa (o
Zoe, l’originale nome greco ortodosso), figlia del despota di Morea, fratello dell’ultimo
imperatore bizantino Costantino XI. Fu Sophia a introdurre il cerimoniale bizantino in
Russia e Ivan III a dare inizio alle magnificenze artistiche di Mosca, perché, secondo lui,
essa doveva succedere a Costantinopoli e diventare la “Terza Roma”.
157 Ivan IV Vasil’evič (1530-1584), più noto come Ivan il Terribile (da un’arbitraria traduzione
di groznyi, temibile), fu incoronato Gran principe della Moscovia a 16 anni e si autodefinì
subito “zar di tutte le Russie”. Durante il regno, riformò il codice penale, creò un esercito
stabile e una polizia segreta (opričnina), un’assemblea dei rappresentanti delle classi
sociali (Zemskij Sobor), introdusse la stampa tipografica, favorì i commerci, ampliò i
confini annettendo due khanati tatari e definì la subordinazione della Chiesa allo Stato,
creando un complesso sistema di rituali e regole. Ma promulgò anche le prime leggi che
restringevano la libertà di spostamento dei contadini e combatté una guerra durata 22
anni contro Svezia, Livonia (Lituania) e Polonia per il controllo del mare che impoverì
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tutti l’ingegnere ed architetto Aristotile Fioravanti da Bologna158, un
rinnovatore delle arti e dei mestieri, in Russia.
Questa tradizione d’italianità si aggiunge alla alleanza attuale per
accrescere le simpatie russe verso di noi. Quali accoglienze splendide,
entusiastiche, cordiali dappertutto!
Oggi alla Duma la dimostrazione fu imponente. Rodzianko parlò dalla sua
tribuna presidenziale: tutti i banchi erano affollati di pubblico. [56] Era
presente anche il ministro rumeno Bratianu159.
Vagabondando nelle sale del palazzo della Tauride160, ho incontrato
l’avvocato Karamine.
— Non sei al tuo posto? mi disse ridendo.
— No, vado curiosando.
— Ti farò da Cicerone.
Mi sono accompagnato con lui e passo passo, dal couloir alla ciainaia161,
dalla sala dei giornalisti agli uffici del telegrafo, del telefono, egli mi trascinò
in una delle sale adiacenti alla grande aula. E mi sussurrò pianissimo,
sbirciando le signorine stenografe dell’Agenzia telegrafica di Pietrogrado:
Sai!? Ci siamo.
Feci una smorfia interrogativa.
«Vieni domani sera in Bolchaia Bolotnaia… »
Lo interruppi. «Domani sera sarò in viaggio per Mosca».
L’amico Karamine si strinse nelle spalle e non volle saperne di aggiungere
una parola di più. Ho giudicato il suo procedere quasi crudele. Ma devo
convenire che il silenzio è d’oro.
Forse per questo in Russia tutti tacciono, a cominciare dai giornali che
notevolmente lo Stato. Una serie di sventure alterò il sistema nervoso di Ivan fino a fargli
uccidere chiunque non gli andasse a genio. Morì avvelenato mentre stava giocando a
scacchi.
158 Aristotele dei Fioravanti (1420?-1487?) fu uno degli ingegni più singolari del XV secolo,
che fu paragonato a Leonardo da Vinci e a Galileo Galilei. Lavorò come ingegnere
(idraulico e militare), architetto, fonditore e orefice a Bologna, sua città natale, a Firenze
(chiamato da Cosimo de Medici), a Milano, Parma, Cremona… Nel 1467 si trasferì in
Ungheria per il re Mattia Corvino. Chiamato da Ivan III, arrivò a Mosca nel 1475 e lavorò
nel Cremlino fino alla morte, costruendo la cattedrale della Dormizione nel Cremlino
(1476-1479) e iniziando quella dell’Arcangelo Michele.
159 L’ingegnere Ionel Brătianu (1864-1927), leader del Partito nazionale liberale rumeno, fu,
in Romania, ministro dei Lavori Pubblici (1897-1899, 1901-1902) e ministro degli Interni
(1907-1908), Primo ministro per cinque mandati (tra il 1909 e il 1927) e ministro degli
Affari esteri in più occasioni. Durante la Prima guerra mondiale, la Romania dichiarò
guerra all’Austria-Ungheria, aumentando così la sua dipendenza dalla Russia, fino a
quando la Rivoluzione dell’ottobre 1917 determinò l’armistizio e la firma del trattato di
Bucarest nel maggio 1918. In seguito, Brătianu continuò a svolgere un ruolo di primo
piano nella definizione dei confini e delle alleanze con i Paesi confinanti.
160 Il Palazzo di Tauride a San Pietroburgo fu disegnato dall’architetto Ivan Starov nel 1789 e
costruito tra il 1783 e il 1789 per Grigorij Potëmkin, amante di Caterina la Grande, la
quale gli aveva conferito il titolo di “principe di Tauride”, dall’antico nome della Crimea che
egli aveva conquistato. Fu trasformato in caserma dallo zar Paolo I e, fra il 1906 e il 1917,
ospitò le assemblee della Duma, del governo provvisorio e del Soviet di Pietrogrado.
161 Dall’androne alla sala da the.
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pure stampano tante parole. Per esempio: questa sera dopo il pranzo
offerto da Protopopoff è circolata la notizia della rottura delle relazioni
diplomatiche fra la Germania e gli Stati Uniti. — Come mai questa notizia
non ha sollevato tutta Pietrogrado in un impeto di entusiasmo? perchè
l’avvenimento non è annunziato ai quattro venti?
Ci siamo, ha detto Karamine.
E io ho pensato alle contraddizioni, all’assurdo della vita politica russa più
recente: ho pensato a tutto quel fermento, a tutto quel ribollimento [57] di
forze, di aspirazioni, di passioni, che pure non appariva, non riusciva a
turbare il ritmo regolare della vita, e guardando Protopopoff, cortese,
affabile, irreprensibile, ho dubitato della parola di Karamine
Possibile!? Ma perchè? ma come?
Eco qui il principe Galitzin, ecco qui i ministri della Marina, della Guerra,
della Giustizia, coloro che strinsero la mano a Miliukof quando colpì Sturmer
colla sua terribile requisitoria, e Protopopoff si aggira fra loro, con quel suo
passo saltellante, con quella sua faccia ridente. Ma qui tutti sono sereni!
tranquilli!
Eppure Karamine dice che ci siamo.
Fuori ho domandato a qualche collega: Che ne dici di questo Protopopoff?
— Ha lo sguardo falso, mi rispose.
Ecco tutto. Io penso alla sguardo falso di Protopopoff. In realtà non era
uno sguardo falso, ma uno sguardo turbato. Quell’uomo nel suo intimo deve
tremare. Deve essere in preda a quella specie di ossessione che adagio
adagio conduce un re o un potente alla tirannia crudele. Egli guarda
stranamente, perchè non riesce a nascondere dietro la maschera ridente il
suo spirito vigile ed ostile. Gli occhi svelano la sua anima in agguato. Anima
nera di traditore. Protopopoff è salito perchè venduto alla Germania. Dopo il
suo giro nell’Europa, questo deputato di sinistra si è abboccato coi tedeschi:
dopo l’abboccamento è passato nelle file della reazione, è divenuto ministro
dell’interno. La Russia è nelle sue mani avendo egli nelle sue mani la polizia.
Essendo salito in alto la sua vanità fu crudelmente provata: il potere [58]
non gli diede tanto quanto aveva perduto. Egli sentì intorno a sè il vuoto
della disistima generale, poi il soffio gelido dell’odio popolare. Il suo animo
fu gonfio di rancore. Il suo programma fu un programma di vendetta contro
il liberalismo. Anfiteatrof162 lo punzecchia nel suo giornale ed egli non
nasconde i suoi propositi di punirlo. I Comitati militari e industriali vedono
entrare nelle loro adunanze la polizia, con aria provocatrice. Che cosa vuole
Protopopoff? Abbattere la Duma, gli Zemstvo, i Comitati, tutta
l’organizzazione nuova del liberalismo: tornare all’assolutismo: far la pace
colla Germania senza render conto a nessuno. Ma poiché lo scopo ultimo
che egli persegue è la pace separata, egli ha contro di sè non solo il
liberalismo russo, ma i granduchi, i generali, i reazionari che amano il loro
paese, i nazionalisti. Anzi sono proprio i nazionalisti che ritengono urgente
162 A.V. Anfiteatrov, direttore del periodico di estrema destra “Russkaja Volja” (Volontà russa
).
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sbarazzare la vita russa dalla camarilla. Chi ha ucciso Rasputin? Il capo dei
nazionalisti di destra, il deputato Purisckievic163. Il partito nero164 non vuole
esser condotto nell’abisso dalla follia di Protopopoff. La ridda dei ministri che
vanno e che vengono senza una ragione politica, senza una logica, senza un
criterio, è dovuta alle attrazioni e alle ripulsioni di questo maniaco che le
circostanze hanno posto al ministero dell’interno. Ci si domanda come egli
possa resistere a quel posto: e taluni rispondono con dei nomi. Prima si
diceva Rasputin, e Rasputin, questo ciarlatano ignorante, ma psicologo,
conoscitore degli uomini, e più delle donne, fu preso così sul serio che
l’ammazzarono. L’ultima versione dice che [59] da molte sere veniva ad
ubbriacarsi in casa del principe Iussupoff, dove si riteneva sicuro. Ma la
polizia subodorò il pericolo: Protopopoff fu avvertito: egli mandò una notte il
capo della polizia Balk165 in casa del principe per proteggere Rasputin. —
Balk fu persuaso ad andarsene con belle parole. Il deputato Purischievic166
che voleva convertire Rasputin in uno strumento del nazionalismo russo
comprese di non aver più tempo per strappare quel santone a Protopopoff:
allora si decise di sopprimerlo subito. Al mattino alle cinque Rasputin era
ucciso a rivoltellate. Ma Protopopoff rimase e l’uccisione di Rasputin lo rese
più sospettoso, più vendicativo. Chi lo tiene su in alto? Pitirim, il
metropolita? Ma quest’uomo che ha trasformato il monastero di Alessandro
Newsky167 in un salone da ricevimenti e da feste per l’alta società, è
163 L’ucraino Vladimir Mitrofanovič Puriškevič (1870-1920), grande proprietario terriero, fu un
politico della destra reazionaria, co-fondatore nel 1905 dell’organismo controrivoluzionario
e antisemita “Unione del popolo russo” a San Pietroburgo e, in seguito a divergenze
interne, nel 1908, fondatore della “Unione dell’Arcangelo Michele”. Fu eletto deputato della
destra radicale nella seconda, terza e quarta Duma. Durante la Prima guerra mondiale
abbandonò la politica attiva e nel 1916 partecipò, insieme al granduca Dmitrij Pavlovič e
al principe Feliks Jusupov, all’assassinio di Rasputin. Dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1917
chiese l’abolizione dei Soviet, organizzò il “Comitato per la salvezza della Patria” e
partecipò ai movimenti antibolscevichi. Arrestato nel novembre 1917 dalla Čeka
(Commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione e la speculazione) fu
imprigionato e rilasciato un anno dopo, forse per le condizioni di salute: morì nel 1920 di
tifo.
164 Con “partito nero” ci si riferisce ai Cento Neri, l’organizzazione politica di estrema destra –
cui Puriškevič faceva parte – sorta in Russia durante la rivoluzione del 1905. Costituita da
proprietari terrieri, contadini possidenti, esponenti della burocrazia statale e degli apparati
militari, propugnava idee autocratiche, nazionaliste e antisemite in opposizione alla
richiesta di riforme in senso costituzionale diffusa tra vari strati sociali. Violente azioni
contro i dissidenti politici e pogrom contro gli ebrei furono promossi da membri
dell’organizzazione che, con il beneplacito delle autorità, rimase attiva fino al 1911.
165 Generale A.P. Balk, ultimo capo della polizia zarista a Pietrogrado. Si dimise il 28 febbraio
1917.
166 Pur se scritto diversamente, è il già citato Vladimir Puriškevič.
167 Il monastero dedicato a sant’Aleksandr Nevskij, principe di Novgorod e Vladimir (12201263), si trova lungo il fiume Neva, all’estremità occidentale della Prospettiva Nevskij ed è
il più antico monastero di San Pietroburgo. Fu fondato da Pietro il Grande nel 1710 in
onore della vittoria sugli Svedesi. La neoclassica cattedrale della Trinità fu invece costruita
tra il 1776 e il 1790 dall’architetto Ivan Starov. Negli annessi tre cimiteri riposano illustri
scienziati (come Lomonosov), scultori, architetti, scrittori (come Dostoevskij), musicisti
(come Čajkovskij).
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anch’esso un parvenu. Non ha credito. Non ha stima.
Si sostiene forse Protopopof pe’ suoi meriti? Quali? Non se ne conoscono.
Gli uomini che agivano hanno dovuto fuggire di fronte a lui. Trepof, Ignatief,
Bark, Sciuvaief168 spariscono. Sono uomini neri, ma sono patriotti. Bisogna
lasciare il passo a Sturmer, E questo Protopopoff che fa e disfa i ministri,
esce in pubblico pavoneggiandosi nell’uniforme di generale di gendarmeria.
Quest’uomo non ha il senso della propria potenza, evidentemente perchè la
potenza non è in lui, ma gli viene da qualcuno, da qualche cosa. Viene la
sua potenza da Berlino: dietro di lui si vede l’ombra della czarina.
Non vi è altra spiegazione per l’enigma russo. Il partito tedesco fa un
disperato tentativo [60] valendosi del suo predominio alla Corte, avendo
nelle sue mani il ministro dell’interno. Questo losco esecutore dei piani di
tradimento, per giungere alla pace separata deve abbattere la formidabile
posizione liberale. Mentendo il suo vero scopo egli provoca i liberali sul
terreno della politica interna. Gioco pericoloso. Peggio ancora, giuoco
scoperto.
E Karamine quindi mi ha detto: Ci siamo.
Che cosa si prepara dunque? Forse è giunto il momento di tradurre in
atto la deliberazione dei Comitati di guerra radunatisi a Mosca verso la metà
di gennaio. I Comitati di guerra comprendono militari, industriali, operai,
professori. Quando nel loro congresso di Mosca comparve la polizia mandata
da Protopopoff, il deputato della Duma Konowaloff169 e il sindaco di Mosca
Celnokoff170 si alzarono a protestare violentemente e tutta l’assemblea
proruppe in veementi invettive. Prima di separarsi i delegati votarono la
dichiarazione di guerra del popolo al potere costituito. Eccola integralmente:
«Un governo irresponsabile, ispirato da forze secrete, conduce il paese
alla rovina. Tutti lo criticano, dalla Duma sino al Consiglio dell’Impero e
all’Unione della nobiltà. Ma il potere è sordo alla voce del popolo e delle
istituzioni legislative. Esso ha risposto cacciando tutti i congressisti riuniti in
168 Per Aleksandr Trepov, cfr. nota 14 Il conte P.N. Ignatev fu ministro dell’Istruzione nel
1915-16, iniziando una serie di riforme per modernizzare le scuole e introdurre la
formazione tecnico-professionale. Pëtr L’vovich Bark fu ministro delle Finanze dal 19141916. Dmitrij Savel’evič Šuvaev (1854-1937), generale di fanteria, fu capo commissario
militare e ministro dal 1915 al 1917, quando diventò membro del Consiglio di Stato; si
ritirò dal servizio militare alla fine del 1920 e, nel 1937, fu arrestato dalla polizia segreta
di Stalin e giustiziato.
169 Aleksandr Ivanovič Konovalov (1875-1948) fu un grande capitalista russo e membro della
quarta Duma per il Partito democratico costituzionale (o dei Cadetti). Dopo la Rivoluzione
del febbraio 1917 fu nominato ministro del Commercio e dell’Industria e poi vice Primo
ministro del Governo provvisorio. Allo scoppio della Rivoluzione dell’ottobre 1917 emigrò
in Francia e in seguito negli Stati Uniti.
170 Michail Vasil’evič Čelnokov (1863-1935), industriale e attivista del Partito democratico
costituzionale (o dei Cadetti), fu vice-presidente nella seconda, terza e quarta Duma,
sindaco della città di Mosca dal 1914 al 1917. Fu commissario rappresentante del Governo
provvisorio per Mosca per pochi giorni (1-6 marzo 1917), durante i quali concesse
l’amnistia ai prigionieri politici, legalizzò tutti i partiti politici e ordinò la chiusura di alcuni
periodici, poi si dimise. Dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1917 emigrò, vivendo in
Jugoslavia.
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assemblea per discutere la questione del vettovagliamento. Proseguendo
una lotta accanita contro tutte le classi della popolazione e contro tutte le
nazionalità, esso distrugge ciò che resta delle organizzazioni laboriose. La
salvezza del paese risiede nell’unione di tutte le forze della nazione e in una
stretta [61] collaborazione colla democrazia. Il Congresso dei Comitati di
guerra fa perciò appello alla Duma e la invita a continuare la buona lotta per
ottenere un governo responsabile: esso le domanda di non perdersi di
coraggio e di lottare energicamente per l’onore e per la libertà».
Quando la Duma si riaprirà il 27 di febbraio essa avrà dietro di sè queste
organizzazioni pronte alla lotta. La situazione è paurosa. Qualunque uomo di
Stato cederebbe, ma Protopopoff non arretrerà d’un passo. La Germania
evidentemente non teme nè l’assolutismo russo nè l’anarchia russa. E noi
abbiamo visto che la politica russa oscillerà fra questi due poli.
5 Febbraio.
Abbiamo pranzato al Club dei commercianti. Parafrasando il: Ci siamo!
dell’avv. Karamine oggi ho detto a un commerciante: Non mi sembra di
veder chiaro negli ultimi avvenimenti del vostro paese. Si è forse giunti a un
momento decisivo e chissà come potrà cavarsela il ministro Protopopoff
quando si troverà faccia a faccia colla Duma.
Il commerciante rispose: Ci sono sempre i cosacchi in Russia.
La rivoluzione e la repressione. Tutto era dunque previsto secondo il
naturale ordine russo delle cose. Infatti, i cosacchi! Non ci avevo pensato.
Che cosa faranno i cosacchi? E verranno chiamati a Pietrogrado?
Sarebbe interessante uno studio su questi soldati singolarissimi, sulla loro
speciale organizzazione [62] di favore, sui privilegi amministrativi che
godono, sull’esenzione dalle tasse, sul loro servizio militare lunghissimo. Ma
non ne ho più il tempo. Bisogna lasciare la capitale.
Partiamo per Mosca, Karkow171, Kiew, Odessa. Quando torneremo? Mi
dispiace lasciare Pietrogrado proprio in questi giorni, proprio ora che
Karamine ha gettato nella mia fantasia il suo «Ci siamo!» incendiario.
D’altra parte si dice che Pietrogrado non sia la Russia. La santa Russia mi si
rivelerà forse meglio a Mosca e a Kiew, la madre delle città russe. Partiamo.
6 Febbraio.
Il governo imperiale ha messo a nostra disposizione due magnifiche
vetture e tre alti impiegati delle ferrovie, per il nostro giro nella Russia
meridionale. Questa premura ci rallegrò moltissimo stamane, partendo da
Pietrogrado per Mosca. Infatti quando si sale in treno nella Russia è un po’
171 Charkov (in russo) o Charkiv (in ucraino), città dell’Ucraina. Nel testo, l’Autore lo scrive
Karkow, Karkof e Karkoff.
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come da noi quando si sale a bordo. I viaggi durano delle intere giornate
attraverso pianure sterminate confinanti col lontano orizzonte.
Da Pietrogrado a Mosca nulla di interessante. Guardando traverso i doppi
vetri delle vetture scorgeva il panorama d’argento della pianura, qua e là
interrotto dai rettangoli bianco-neri dei boschi o dall’improvviso affacciarsi di
paeselli, dalle case basse coi tetti larghi, massicci, spioventi fin quasi a
toccare cogli orli il cumulo della neve. E neve dappertutto! E ricami e trine e
sbavature di ghiaccio sulle staccionate [63] della ferrovia, sugli scambi, sui
rami degli alberi allineati in file interminabili. Di quando in quando fra tutto
quel bianco, delle chiazze nere che si movevano al rombo del treno: erano
enormi cornacchie errabonde in cerca di cibo. Si sarebbe detta un deserto
quella regione se il piano non fosse stato solcato dalle strisce dei veicoli e
non fosse apparsa qualche slitta a tre cavalli, carica di legname da ardere.
Il treno giunse a Mosca alle 13, con molte ore di ritardo. Quando l’urlo
nasale della locomotiva, un urlo simile a quello d’un vaporetto, ci annunziò
la città santa, tirammo un gran respiro di sollievo. Finalmente! Ma a Mosca
ci attendeva la solita improba fatica dei ricevimenti, che culminarono col
ricevimento di questa sera in Municipio. C’erano migliaia di signori e di
signore. Mi domando se tutta questa folla si è scomodata esclusivamente
per noi, o se noi non siamo stati che un pretesto per ammazzare in qualche
modo la noia delle notti invernali. Il ricevimento è cominciato alle ventidue.
Musica, fiori, bandiere, discorsi. Ritorno ora all’Albergo Nazionale, e sono le
tre. La penna mi cade di mano.
8 Febbraio.
Siamo a Mosca da tre giorni…. e non si è fatto nulla. Nulla dal punto di
vista della mia inchiesta personale sulle probabilità e sulle direttive di una
trasformazione politica-sociale dell’impero, nulla nei riguardi della nostra
missione.
Bisogna pure che consacri una parola alla [64] Missione Commerciale
Italiana in Russia. Veramente ci rimane ancora del tempo, ma tutto quello
che dovremo ancora vedere ci è stato anticipato nelle discussioni e nelle
relazioni pietrogradesi. A Pietrogrado si è lavorato enormemente. Abbiamo
avuto relazioni su relazioni: di Nagrodzki sulle ferrovie, di Rummel sui porti
e sulle vie fluviali, di Rafalovitc sull’esportazione dei cereali, di Linden e di
Zagorski sulle comunicazioni fra la Russia e Italia, e poi di Sciapiro, di
Korsukin, di Grinberg, di Voronof, di Perrimond sulla nafta, sul legname,
sull’alcool, sui minerali, sulle industrie, sul credito.
Il programma del nostro soggiorno a Mosca non comprende più nulla di
tutto questo. La parte informativa, riassuntiva è già terminata: possiamo
trarne le conclusioni.
I russi vogliono da noi tutto, Vogliono macchine, vogliono capitali,
vogliono tecnici. Hanno addosso la febbre della industrializzazione. Abbiamo
veduto a Pietrogrado e quì a Mosca delle organizzazioni potenti,
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meravigliose, e le cifre dell’industria russa sono imponenti, considerate a sè.
Ma che cosa possono significare queste cifre quando si mettono in rapporto
alle cifre indicanti l’estensione e la popolazione russa? O quando si pensa
alle ricchezze inestimabili del suolo e del sottosuolo? Sono inezie. Ciò che è
stato fatto in Russia è meraviglioso, ma quel che rimane da fare è
incalcolabile. La borghesia commerciale e industriale vede benissimo tutte le
possibilità dell’avvenire: ha voluto e sostenuto la guerra appunto per
liberarsi dai tedeschi che, secondo la frase di Korzouhkine172, avevano
letteralmente sommerso [65] la Russia coi loro prodotti impedendo
assolutamente ogni sviluppo della industria locale. Liberarsi dai tedeschi
vuol dire sostituire i capitali, i tecnici, il personale, l’importazione tedesca. E
noi italiani siamo sollecitati per tale sostituzione.
Io non consiglio di fare un calcolo eccessivo su dei sentimenti che le
circostanze e l’esito della lotta potranno far mutare notevolmente. Ma ciò
che costituisce indubbiamente una garanzia di successo per l’espansione
commerciale italiana in Russia sono le condizioni della produzione nei due
paesi, per cui essi nella futura divisione del lavoro e degli scambi
internazionali rappresentano elementi di integrazione, e non elementi di
concorrenza. Voglio dire che la bilancia commerciale dei due paesi troverà
facilmente l’equilibrio.
Finora l’esportazione russa in Italia superava di molto la importazione
dall’Italia, ma in ogni modo le cifre degli scambi erano insignificanti in
rapporto al movimento totale dei commerci dei due paesi. Il che dipendeva
in parte dal fatto che fra la Russia e l’Italia servivano da intermediari i
tedeschi. E a sua volta questo fenomeno era una conseguenza della
nessuna organizzazione, sia da parte nostra che da parte dei russi, del
commercio fra le due nazioni. Non venivano i russi da noi, non andavamo
noi da loro. Mancava da una parte e dall’altra, la conoscenza diretta
dell’ambiente e delle persone. Mancava ogni tentativo organizzato di
penetrazione commerciale. Quale differenza dai tedeschi che mandavano
legioni di commessi-viaggiatori! che studiavano e si adattavano a tutte le
esigenze [66] e le consuetudini del cliente russo! che potevano contare sul
più minuto servizio di informazioni, sull’aiuto dei loro connazionali sparsi
dovunque, nelle fabbriche, nei negozi, nella burocrazia! Si lasciavano fare i
tedeschi. Si subiva la loro preponderanza. Si dava partita vinta. E di
conseguenza nessun movimento, nessuna agitazione, nessuna pressione
per ottenere dai governi un miglioramento delle comunicazioni fra Russia e
Italia. Il nostro paese pareva aver dimenticato le tradizioni di Venezia e di
Genova, le gloriose repubbliche il cui nome ha ancora risonanze di gloria e
di splendore negli scali del Mar Nero173. Eppure quando io penso all’avvenire
172 Aleksej Ivanovič Korzuchin (1835-1894) studiò pittura all’Imperiale Accademia della Arti
di San Pietroburgo e nel 1864 si unì all’Artel’ degli Artisti (cfr. nota 122). Nel 1870 fu tra i
fondatori del “Gruppo degli Ambulanti”, movimento artistico attento al realismo e avente
come fine l’affermazione di una identità russa. Diventò famoso come ritrattista.
173 Veneziani e Genovesi comparvero a Soldaia, in Crimea, nel secolo XII, ognuno cercando di
prendere il controllo della navigazione sul Mar Nero e il Mare di Azov, nonché di occupare i
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delle relazioni commerciali italo-russe mi pare che esso si ricolleghi ad una
ripresa di questa via del mare. Verrà col tempo la realizzazione di quel
rettifilo slavo-latino che dovrebbe congiungere per ferrovia Milano e Trieste,
traverso le capitali balcaniche, alla Russia: si istituiranno linee dirette fra i
nostri porti e quelli del mar Baltico: ma il Mar Nero rappresenterà pur
sempre, e ancora più colla liberazione dei Dardanelli, la meta dei nostri
sforzi e la via della nostra espansione. Questo perchè il Mar Nero ci pone in
contatto diretto colle regioni della Russia dove immediatamente e
largamente l’espansione italiana potrà manifestarsi.
La regione del sud-ovest della Russia, che stiamo per visitare e che ha
per suo centro la città di Kiew, è la più popolosa, la più ricca, e forse la più
intraprendente delle regioni russe. E’ verso questa regione, verso il bacino
del Mar Nero, la Russia meridionale, il Caucaso, la Persia, [67] che deve
mirare la iniziativa italiana. Terminata la guerra avremo un’attività febbrile:
si vorranno realizzare tutti i grandi progetti di miglioramenti già discussi e
approvati: strade, porti, impianti elettrici, sfruttamento di miniere, di
foreste, irrigazioni, canali. Ci sarà da fare per tutti, ma in modo speciale per
l’industria meccanica. La Russia ha bisogno di macchine: ne importò per
circa centotrenta milioni nel 1902 — e dieci anni dopo, nel 1912, ne
importava per quasi quattrocento milioni di lire. Questa progressione nella
domanda è destinata ad aumentare ancora, specialmente per ciò che
riguarda le macchine agricole, le macchine, gli apparecchi e tutto il
materiale accessorio per installazioni elettriche, e le automobili. Ecco la
progressione per le vetture automobili: nel 1903, trentasette, nel 1914,
quattromilaseicento.
Nella Missione Commerciale Italiana io rappresento i meccanici italiani, e
quindi è giusto che mi interessi principalmente di macchine. Ma tuttavia
l’esportazione italiana in Russia ha un campo vastissimo! Le nostre primizie
agricole, i nostri prodotti caratteristici, agrumi, vini, olî, mandorle, lo zolfo,
la seta, costituivano già per il passato materia di uno scambio attivo. Non è
dubbio che i carissimi colleghi comm. Ernesto Ghisi, dell’Associazione
Serica174 e dottor Giovanni Silvestro Puleio, della Camera di Commercio di
Messina175, avranno raccolto a quest’ora dati preziosi per lo sviluppo delle
crocevia delle rotte commerciali. Subito dopo la presa di Costantinopoli nel 1204, i
Veneziani consolidarono le loro posizioni a Soldaia e i Genovesi a Caffa. Quando
l’imperatore di Nicea Michele Paleologo, alleato dei Genovesi, si insediò a Costantinopoli, i
liguri presero il sopravvento in tutta la regione costiera. La città di Caffa divenne il centro
di irradiazione dell’espansione genovese e la capitale della regione fu chiamata Gazaria.
Nel 1475 Caffa cadde sotto i colpi dei Turchi e dei Tatari, segnando la fine dell’influenza
genovese nella Tauride.
174 Nata ufficialmente a Como nel 1902 (ma le origini risalgono al 1877), l’Associazione
Serica Italiana è tuttora l’organo di rappresentanza collettiva delle imprese che operano
nel campo della produzione e della commercializzazione dei tessuti di seta e di fibre
artificiali e sintetiche continue. Forse l’industriale Ernesto Ghisi fu anche un collaboratore
del mensile “Per l’Esportazione moderna”, edito a Milano, che dal giugno 1913 al maggio
1921 uscì come allegato alla rivista “L’Impresa moderna”.
175 Di nobile e antica famiglia, Giovanni Silvestro Puleio (o Pulejo) era il presidente della
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esportazioni interessanti in modo speciale le regioni meridionali.
Poichè ho fatto dei nomi non posso fare un torto agli altri compagni di
pellegrinaggio. Come [68] potrei soprattutto dimenticare le più care
conoscenze del viaggio, tramutatesi in amicizie che ci accompagneranno
oramai per tutta la vita? Parlo di Ettore Cesari, ingegnere, delegato della
Camera di Commercio genovese per le industrie elettrotecniche, ingegno
aperto e profondo, un miracolo di erudizione, anima semplice e diritta, parlo
del delegato di Roma, il più augusto quindi dei delegati, il grande ufficiale
Augusto Jaccarino176, pubblicista, direttore della Rivista d’Italia. La Missione
è completata da Pio Selbaroli della Camera di Commercio di Bologna, dal
barone Costanzo Cantoni177, da Gaetano Marzotto178, amici tutti troppo noti
in Italia perchè io segni le loro lodi ne’ miei ricordi. Presidente della
Missione, il Comm. Pietro Tomasi, marchese della Torretta, Vice
Presidente179, Zaccaria Oberti della Camera di Commercio di Genova180. Il
più fortunato membro della Missione credo sia l’amico Iaccarino venuto in
Russia alla ricerca del legname. E’ questa la sua partita, e per ciò che lo
riguarda trova nientemeno che duecento milioni di ettari di foreste. Egli può
dire: Veni, vidi, vici…181 E si è messo all’opera seriamente perchè nel dopoguerra non ci manchino nè il legname nè la cellulosa di legno per la
fabbricazione della carta. Tutti i membri della Missione del resto fanno ogni
Camera di Commercio di Messina.
176 Il conte Augusto Jaccarino (1865-1944) fu redattore del quotidiano di Napoli “Don Marzio”
e poi proprietario e direttore de “Le Riviste d’Italia” di Roma.
177 Si tratta del nipote di Costanzo Cantoni (1800-1877) fondatore dell’omonimo cotonificio,
alla cui morte succedette il figlio Eugenio (1820-1887) che trasformò la fabbrica da
familiare a società per azioni. Nel 1887 il figlio di Eugenio e della baronessa Amalia
Genotte von Merkenfeld, Costanzo (1861-1937; ultimo della dinastia), non si dedicò alla
direzione dell’azienda, ma al Consiglio di amministrazione della società fino al 1910 per
svolgere l’attività di agente di “cotoni sodi”. Fu anche presidente dell’Associazione
Cotoniera Italiana, amministratore del Cotonificio Veneziano e promotore della Cucirini
Cantoni Coats.
178 Si tratta del pronipote di Luigi Marzotto (1773-1869) fondatore dell’omonimo lanificio, alla
cui morte subentrò il figlio Gaetano (1820-1910), poi il figlio di questi Vittorio Emanuele
(1858-1922) che ampliò e rinnovò l’industria. Dopo l’assassinio del padre Vittorio
Emanuele, subentrò il figlio Gaetano (1894-1972) che evitò la divisione della fabbrica fra
parenti, rinnovò i macchinari, acquisì altri impianti lanieri e creò, a Valdagno, la Città
sociale, costituita da case e servizi (scuole, ospedali, negozi, teatro ecc.) per i dipendenti,
e colonie al mare e in montagna per adulti e bambini.
179 Pietro Paolo Tomasi marchese Della Torretta (1873-1962), nobile dei principi di
Lampedusa, ebbe una lunga e intensa vita politica come ministro degli Esteri del Regno
d’Italia, capo di varie delegazioni all’estero, ambasciatore a Pietrogrado, Vienna e Londra.
Fu eletto senatore nel 1921, ma non aderì mai al fascismo, di cui fu un irriducibile
oppositore. Per questo motivo, all’indomani della liberazione di Roma, fu nominato
Presidente del Senato il 20 luglio 1944, carica dalla quale si dimise il 25 giugno 1946, in
seguito ai risultati del referendum istituzionale e all’elezione dell’Assemblea Costituente.
180 Zaccaria Oberti fu presidente della Camera di Commercio di Genova e, dal 1895,
dell’Andrea Doria, odierna squadra calcistica del Genoa.
181 Venni, vidi, vinsi, è la frase con cui, secondo la tradizione, Giulio Cesare annunciò la
vittoria riportata il 2 agosto del 47 a.C. contro l’esercito del Ponto, antica regione sul Mar
Nero.
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sforzo e si assoggettano a fatiche d’ogni genere. E non voglio escludere le
fatiche… gastriche. Ma al nostro ritorno in Italia bisognerà dir chiaro ai
signori industriali e commercianti che occorre una sollecita e intensa opera
di penetrazione. Il commercio italo-russo non è mai stato quel che doveva
essere, perchè nè in Russia, nè in [69] Italia, ci si è curati di organizzarlo. I
russi hanno apertamente confessato i loro errori ed espresso il
proponimento di porre rimedio in avvenire a molte loro deficienze. Noi
dobbiamo da parte nostra fare il possibile perchè italiani e russi vengano a
diretto contatto. Per quel che mi riguarda, ho già promesso agli amici russi,
che tornando in Italia cercherò di creare una Società fra i Meccanici per
l’esportazione dei loro prodotti in Russia. — Soltanto riunendo in fascio tutte
le energie è possibile iniziare e condurre a buon porto un’impresa, che è
nello stesso tempo seducente e colossale.
9 Febbraio.
Stabilimenti visitati a Mosca e dintorni. Ricordo innanzi tutto il filatoio di
Kolomna a 60 km dalla vecchia capitale182. Vi fummo accompagnati dal
governatore di Mosca, con un treno speciale e vi ebbimo le solite
accoglienze calorose dalle autorità e dalla Colonia Italiana. Il filatoio di
Kolomna è il più importante della Russia — e il primo costruito dalla mia
ditta. L’industria tessile in Russia occupa intorno a ottocentomila operai.
Viene poi la metallurgia con mezzo milione di operai. Poi l’industria dello
zucchero. Non conosco il numero degli operai. Ma si vede subito quale
piccolissima minoranza sia quella rappresentata dal proletariato delle città
industriali — Mosca-Petrogrado-Lodz-Riga-Varsavia — in confronto alla
massa enorme del proletariato rurale.
Oggi a Kolomna, un italiano profugo da Varsavia, [70] interpellato da me
sul tema della evoluzione o rivoluzione russa, mi diceva: «Non credo che gli
industriali abbiano interesse a mettersi contro lo czar. Il governo ha sempre
favorito gli industriali. In questi ultimi dieci anni il progresso dell’industria è
stato enorme. Il che vuol dire che lo Stato l’ha favorita! A Pietrogrado le
industrie predominanti sono le metallurgiche e sono arsenali, fabbriche
d’armi, al servizio dello Stato».
— E come spieghi dunque l’opposizione degli industriali al governo? gli
chiesi.
— L’opposizione non tocca che indirettamente la forma di governo. Ciò
che vogliono gli industriali è la prosecuzione della guerra in pieno accordo
cogli Alleati e la loro esasperazione è al colmo per i tentativi di pace
separata. Disgraziatamente il governo così come è costituito e come
funziona si presta a dei colpi di scena, a delle sorprese. Ecco la necessità di
una riforma costituzionale.
182 Kolomna è a circa 115 km a sudest di Mosca, alla confluenza dei fiumi Moskva (Moscova)
e Oka. Fu elevata al rango di città nel 1781 da Caterina II.
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— E in questo tutti gli industriali sono d’accordo?
— Certamente. C’è stata una campagna anti-inglese nei primi mesi della
guerra. Agivano le industrie tedesche di Lodz e di Riga, coll’appoggio del
conte Sergio Witte183. In quel tempo il Ruskoje Slovo sosteneva che la
guerra contro l’Austria e la Germania non aveva interesse per la Russia e
proponeva che oratori di grido tenessero conferenze in difesa della coltura
germanica. Ma il conte Witte morì a tempo, il 14 Marzo del 1915. In
progresso di tempo Lodz passò ai tedeschi, Riga fu evacuata. Rimasero i
grandi centri industriali dove il capitale dell’Intesa [71] ha un’importanza di
primo ordine. Non è indifferente ricordare l’ammontare del capitale europeo
che è venuto in Russia o per i prestiti dello Stato e dei Comuni o per
imprese industriali proprie o in unione a russi. La Francia per esempio
possiede 17 miliardi in valori russi e di questi quasi cinque sono stati
assorbiti da imprese industriali. Voi trovate dappertutto capitali francesi,
inglesi, belgi. La borghesia russa è quindi doppiamente legata all’Intesa,
dall’interesse e dalla coltura. Dovendo lottare contro la pace separata, essa
si appoggia principalmente alla media borghesia, alle classi intellettuali che
costituiscono la vera forza rivoluzionaria. Ma l’intelligenzia russa non andrà
mai oltre la Monarchia costituzionale, per non distruggere l’integrità
dell’impero. Vedrete che alla fine arriveremo a questo. Lo czar finirà col
cedere…
— E la Czarina….!?
— Non bisogna credere alle favole che si spacciano sul conto della
czarina. Tutto quello che si dice a Pietroburgo deve essere sospettato. Il
tentativo di implicare una diretta responsabilità della famiglia imperiale negli
intrighi tedeschi è una manovra che si prepara in vista di possibili
avvenimenti interni. Il passaggio dall’assolutismo ad una monarchia
costituzionale sarebbe un grave colpo per la Germania. Essa ha bisogno di
più; ha bisogno che si cominci a gridar repubblica, che si sospetti
dell’imperatore e dell’imperatrice, che funzioni magari una ghigliottina, che
si scatenino ad un tempo tutte le passioni disorganizzatrici, insomma che la
rivoluzione divori i propri figli. [72] Ecco il pericolo, ecco la ragione delle
lunghe esitazioni, dei replicati sforzi per un accordo fra governo e Duma…
— E ci si arriverà all’accordo?
— Non credo, ma vorrei sbagliare. La Germania ha il suo agente in
Russia. Protopopoff tradisce il suo paese e la sua dinastia. Il suo scopo è
183 Il conte Sergej Jul’evič Vitte (1849-1915, scritto anche Witte) fu un personaggio molto
influente nell’impero russo. Fu uno dei autori del Manifesto d’Ottobre del 1905, ministro
dei Trasporti (1892) e delle Finanze (1892-1903), presidente del Consiglio dei Ministri
(1903-1905) e Primo ministro (1905-1906). Di origine olandese da parte paterna e russa
da quella materna, nacque a Tiflis, nella regione caucasica, e si laureò in Matematica a
Odessa, impiegandosi poi nel settore ferroviario privato. Nel 1889 diventò direttore delle
ferrovie nel Ministero delle Finanze dove supervisionò la costruzione della ferrovia
transiberiana. Nominato ministro perseguì una proficua politica economica che portò la
Russia a diventare la nazione con il più alto tasso di crescita industriale in Eurasia. Dopo
la vittoria dei partiti politici di sinistra nel parlamento della prima Duma (1906) si dimise
da Primo ministro, ma continuò l’attività politica come membro del Consiglio di Stato.
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forzar la mano alla Duma: è un agente provocatore: vuole la rivoluzione…
per giungere alla pace separata».
Il mio egregio connazionale vedeva troppo nero. Mi sono guardato bene
dal riferire il colloquio a Carlo Anghileri, presso il quale fummo invitati a
colazione. L’egregio uomo ha i suoi due figliuoli combattenti alla fronte
nostra, sul Carso ed è pieno di fede e di entusiasmo, per quanto oppresso
sempre da una legittima paterna preoccupazione. Ho brindato al suo
avvenire, a’ suoi figliuoli, e ho visto ne’ suoi occhi luccicare lagrime di
commozione. Porto nel cuore l’imagine e il ricordo di questo valoroso
italiano, che nella città russa rappresenta così degnamente le virtù della
nostra stirpe, la serena fermezza del nostro popolo, il nostro diritto alla
vittoria.
10 Febbraio.
A Kolomna abbiamo visitato anche lo stabilimento meccanico Struve per
locomotive, vapori, motori Diesel — e l’officina per proiettili da 75, 110,
115. — Ventimila operai, settanta ingegneri, tremila impiegati.
Indimenticabili le cortesie usateci dal direttore, dagli [73] ingegneri, dalle
loro signore. Ho potuto procurarmi in un ufficio dello Stabilimento una cifra
interessante. E’ la cifra totale degli Operai d’ambo i sessi assicurati per
legge — contro le malattie: 1-951-955. Invece il totale degli operai
assicurati contro gli infortuni è di due milioni e mezzo. Sono esclusi dall’una
e dall’altra assicurazione gli operai dell’industria di Stato.
Fra gli stabilimenti visitati a Mosca devo ricordare la filanda e il filatoio dei
signori Schenkoff184. Anche queste fabbriche sono opera della mia ditta.
Degli Schenkoff conosco da anni il signor Nicola, presidente della sezione
moscovita della Camera di Commercio russo-italiana e amico di vecchia data
del nostro paese dove soleva recarsi ogni anno. Ci ha voluti per un the nella
sua casa magnifica, e ho riveduto con gioia la sua signora sempre piena di
grazie e di cordialità. Quante rievocazioni amaro-dolci in quel momento! Il
signor Nicola parlava del suo viaggio di nozze in Italia, lontano ormai di
ventidue anni, ma che ci pareva ancora più lontano, nella notte di tempi
immemorabili, tanto distacco dalla vita anteriore ha prodotto l’evento della
guerra. Questi ricordi famigliari trasportarono naturalmente il mio pensiero
alla mia famiglia così lontana e fui soggiogato momentaneamente da un
vivo senso di nostalgia. Fu una stretta al cuore, ma di null’altro io sono così
grato al signor Nicola Schenkoff come di questa commozione. Perchè è
appunto una prerogativa dei nobili amici farci vibrare l’anima per le cose più
belle e più sante.
Abbiamo visitata la grandiosa tessitura di [74] seta Giraud Fils185, una
184 Forse Ščenkov.
185 È la Société des Fabriques de soieries “C. Giraud Fils” di Mosca. La fabbrica fu fondata dal
francese Claude Marie Giraud nel 1875, vicino alla chiesa di San Nicola nel distretto di
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organizzazione poderosa che occupa tutto un quartiere e conta 3500 telai
meccanici. E insieme a questa tessitura, non posso tacere della visita ai
magazzeni Sapojnikoff186, dove ammirammo stoffe di inaudita ricchezza, a
trame di argento e d’oro, richiamanti subito alla mente gli splendori dei sacri
paramenti e le luccicanti visioni del lusso orientale.
L’enumerazione delle nostre visite sarebbe assai lunga.
Ma finisco segnando nel mio taccuino due nomi cari, i nomi degli amici
Terkevorkoff e Koukine187.
11 Febbraio.
Alle 11 partiremo da Mosca per Karkoff. Mi sono alzato presto stamane e
dedico un’ora alle mie note.
Che cosa ricorderò di te, città santa dello slavismo, cuore dell’impero,
sfinge seducente dell’avvenire russo? Ricorderò i tuoi principeschi ritrovi
come lo Strelna o l’Eremitage? Quivi convengono ai richiami del piacere,
dalle solitudini dei campi e dai lontani governatorati, principi, uomini d’arme
e mercanti, a vivere alcune ore di ebbrezze sfolgoranti. Eremitage, io non
oblierò l’indicibile sapore dello storione che giungeva a noi dall’emporio di
Astrakan188, dove si adunano tutte le varietà di pesci, che cinquantamila
uomini traggono, d’inverno e d’estate, dal Volga e dal Caspio. Per quel
delicatissimo sapore, per quella sensazione [75] fresca e piccante come di
un aroma che si disciogliesse sulla lingua, io ti perdono, o Mosca, il tempo
perduto. Poichè in questi pochi giorni tu hai assorbito tutte le mie facoltà,
mi hai sedotto e affascinato, e non mi hai dato nulla di quel che voleva. Ti
cercavo una parola del futuro e tu m’hai cantato le epopee del passato. Mi
hai mostrato la casa dei Romanov e il tuo Kremlino cinto dalle vecchie mura
rosse, dominante la città colle cupole dorate delle sue chiese. E mentre io
mi aggirava nelle fantastiche sale de’ suoi palazzi, scivolando su quei
magnifici pavimenti intarsiati che non hanno eguali nel mondo, mi ripeteva
Chamovniki (di fronte alla casa che Lev Tolstoj abitò dal 1882), e diventò tra le maggiori
di Mosca. Giraud è ricordato per i suoi rigidi rapporti con gli operai: stipulava soltanto
contratti di lavoro annuali, per il cui rinnovo, sempre annuale, l’operaio doveva dimostrare
di essere bravo nel suo lavoro e in ottima salute. E soprattutto è ricordato per aver dovuto
lasciare la gestione della fabbrica ai figli Victor, Paul ed André ben prima della sua morte
(1904) a causa di uno scandalo che lo obbligò a lasciare Mosca: Claude Giraud aveva
copiato e firmato a proprio nome i foulards del concorrente Sapožnikov. Dopo la
Rivoluzione dell’ottobre 1917 la fabbrica fu statalizzata e chiamata “Rosa Rossa” in onore
di Rosa Luxemburg. Durante la Seconda guerra mondiale ha prodotto i paracadute per
l’esercito sovietico.
186 Nella seconda metà dell’Ottocento, la fabbrica di tessuti G.G. Sapožnikov di Mosca era
conosciuta in tutto il mondo per la bellezza delle lavorazioni. Nei palazzi imperiali russi
(nel Cremlino di Mosca, a Peterhof ecc.) si è fatto ampio uso dei suoi tessuti: velluti, sete,
broccati…
187 Kukin è cognome presente nella regione di San Pietroburgo ma di origine finlandese.
188 Astrachan’ è una delle principali città della parte meridionale della Russia europea e un
grande porto sul delta del Volga a 90 km dalla sua foce.
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spesso: Ah, se potessero raccontare quel che videro, ciò che udirono queste
mura! Pensava così perchè l’aria era piena di fantasmi e di squilli di guerra.
Erano le figure di Ivano il terribile, dei boiardi suppliziati, del falso
Demetrio189, di Pietro il Grande; erano le folle tumultuanti, guidate
dall’«orso», quel Michaile Sokolov190 che capeggiò l’insurrezione del
Dicembre 1905, e che morì impiccato nel 1906.
Traversando una delle sale mi ricordo di aver intravisto fuori un grande
edificio bianco. O forse mi fu indicato da qualcuno. E’ il palazzo bianco della
Università, in via Nikitska191. Il Kremlino e il palazzo dell’università! Non si
può far a meno di pensare all’antagonismo profondo, irreducibile, fra la
coltura russa e la burocrazia. Noi siamo abituati a considerare negli
avvenimenti storici soltanto il lato economico: il materialismo storico vuole
che si cerchi sotto all’esteriorità delle ideologie, dei sentimenti, il movente
economico. E tuttavia ciò [76] non persuade. Quale influenza enorme per
esempio non avranno in Russia tutti questi rivoluzionari scampati
all’estremo supplizio, ma costretti alla fuga e all’esilio o deportati in Siberia?
Quale influenza il ricordo della recentissima insurrezione, durata dal 9 al 17
Dicembre, quando tutta la massa operaia di Mosca scese nelle piazze a
costituire i distaccamenti dei druginiki192 e uomini armati? Perchè se
Pietrogrado, quando furono arrestati nel 1905 i rappresentanti operai non
scioperò neppure, Mosca, vero centro rivoluzionario, insorse. La lotta fu
aspra specialmente nei sobborghi ed è rimasta celebre la resistenza del
rione manifatturiero, la Presnia, dove si trovava la Prokhorovka, fabbrica
189 L’Autore segna alcune tappe della storia russa. In politica interna, lo zar Ivan IV il Terribile
(cfr. nota 157) organizzò la opričnina – la prima polizia segreta, obbligata alla fedeltà
assoluta verso lo zar – e la usò per perseguitare i nobili bojari, esiliandone o uccidendone
molti. A Ivan IV successe Fëdor I (1584-1598), debole di mente e malaticcio, che fece
governare per pochi mesi lo zio materno Nikita Romanov e poi il cognato Boris Godunov, il
quale, alla morte di Fëdor, che non aveva lasciato eredi maschi, si fece nominare zar dai
bojari anche grazie all’appoggio della Chiesa. Nel 1603, mentre il Paese era in preda
all’anarchia e bande di Cosacchi e guarnigioni polacche e svedesi dilagavano in Moscovia,
contro Godunov si levò, con l’appoggio dei bojari e della popolazione, il “falso Demetrio”,
un avventuriero sostenuto dalla Polonia e dalla Chiesa cattolica che si spacciava per lo
zarevič Dmitrij – ultimo figlio di Ivan IV e quindi fratello di Fëdor, che era “scomparso” nel
1601, forse ucciso da Godunov – e usurpò il trono per quasi un anno (1605-1606). A
questi succedette il bojaro Basilio Šujskij (1606-1610) contro il quale insorse un secondo
falso Demetrio, detto l’Impostore o il Brigante di Tušino (1607-1610), sostenuto da
Svedesi, Polacchi e cattolici. Questo periodo – chiamato “dei Torbidi” – si concluse con la
salita al trono di un principe acclamato dalla popolazione: di stirpe russa e di religione
ortodossa, ossia lo zar Michail Romanov (1613-1645).
190 Michail Ivanovič Sokolov era l’organizzatore capo del Partito dei socialisti rivoluzionari a
San Pietroburgo.
191 Fu Caterina II a trasferire l’Università Statale di Mosca – istituita dalla zarina Elisabetta
nel 1755 – nell’edificio neoclassico, situato in Bol’šaja Nikitskaja ulica, realizzato
dall’architetto Matvej Fëdorovič Kazakov nel 1782-1793 e ricostruito, dopo l’incendio del
1812, dallo svizzero Domenico Gilardi. Ospitava le facoltà umanistiche, frequentate dai
nobili; oggi ospita i dipartimenti di Psicologia e Giornalismo.
192 Il družiniik è storicamente una guardia armata imperiale, ma indica anche un membro di
una squadra volontaria.
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con 5000 operai. Fu il reggimento Semenovski della guardia imperiale che il
16 Dicembre prese d’assalto le posizioni rivoluzionarie. Quasi tutti costoro
però riuscirono a porsi in salvo… e attendono gli avvenimenti in qualche
angolo sicuro d’Europa193.
Il movimento rivoluzionario del 1905… non si spense che nel 1908 ed è
solo in quest’anno che la reazione trionfò, ma con migliaia di impiccati e con
decine e decine di migliaia di deportati in Siberia. Non è neppure pensabile
una riforma della costituzione russa in senso democratico senza il richiamo
di tutta questa folla di emigrati e di deportati. Costoro ritornando in patria
potranno nella gioia della liberazione far tacere la loro passione, i loro odii, il
loro spiegabile desiderio di vendetta? O una volta scosso l’edificio
dell’autocrazia, costoro non si daranno pace, finchè abbiano piantata la loro
bandiera rossa sulle rovine dell’impero? E come sarebbe [77] possibile
paralizzare, o per lo meno bilanciare, il loro ascendente sulle masse? Il
popolo non può dimenticare questa schiera di coraggiosi che scese con lui
nelle piazze, che salì sulle barricate, che affrontò il supplizio, l’esilio, la
deportazione, e che nonostante ogni pericolo, rimaneva sempre presso di
lui. Ebbene questa schiera che è composta della parte più eletta, più colta,
se anche più fanatica, del paese, è tutta formata di socialisti. Il loro
programma non può arrestarsi alla monarchia costituzionale: essi anelano
alla repubblica sociale. Questi ideologi costituiscono una forza formidabile, e
la borghesia russa dovrà averli alleati o veder perire l’opera di riforma nelle
convulsioni dell’anarchia.
193 Le informazioni dell’Autore sono lacunose. Nel gennaio 1905 la marcia del pope Gapon
finita con il massacro dei pacifisti scatenò per tutto l’anno una serie di scioperi, scontri,
assassini, tra cui, non citato dall’Autore, quello degli ufficiali della corazzata Potëmkin nel
porto di Odessa. Tra gli eventi principali del 1905 ci fu lo sciopero, indetto dal Soviet
moscovita per il 7 dicembre, degli oltre centomila operai che lavoravano in condizioni
disumane nel quartiere Presnja, un polo tessile vicino a Mosca, e ai quali si unirono
commercianti e impiegati. Il governatore di Mosca, vice-ammiraglio Fëdor Dubasov,
sostituto dell’assassinato granduca Sergej, ordinò il fuoco e l’arresto dei leader dello
sciopero, che fuggirono e si unirono a un centinaio di rivoluzionari che rifornirono gli
operai di 800 armi da fuoco. Scoppiò una rivolta tra le guardie imperiali e gli scioperanti,
nella quale si ammutinò, per la prima volta dal 1826, un battaglione zarista di Rostov e la
folla disarmò cinquanta reduci della guerra russo-giapponese presso la stazione
ferroviaria. Dopo una settimana di artiglieria, in soccorso a Dubasov arrivò da San
Pietroburgo un battaglione del reggimento Semenovskij: un milione e quattrocentomila
soldati giunti utilizzando la linea ferroviaria rimasta funzionante. Il Semenovskij, guidato
dal colonnello Min, assaltò il sobborgo della Presnja il 17 dicembre, con l’ordine di «agire
senza misericordia» e «senza arresti». Dopo uno scontro disperato, i rivoluzionari e gli
operai deposero le poche armi e si dispersero. La rivolta si concluse con la morte di un
centinaio di soldati del Semenovskij e di 1059 civili e migliaia di deportati e carcerati, ma
stime non ufficiali parlano di 18.000 morti e oltre 30.000 feriti. Il colonnello Min fu
nominato generale e fu ucciso il 26 agosto 1906 da una ragazza rivoluzionaria sul treno
per Peterhof. Anche l’ammiraglio Dubasov fu ucciso da una bomba nell’ottobre 1906. Il
bilancio delle vittime del regime zarista, tra la metà dell’ottobre 1905 e l’aprile 1906, è
stato stimato in quindicimila persone giustiziate, ventimila feriti o morti da colpi d’arma da
fuoco e oltre quarantacinquemila deportati o esiliati.
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12 Febbraio.
Ieri ho notato nel mio taccuino: Mosca non mi ha detto nulla del futuro.
Devo correggere la mia frase nel senso che nulla di nuovo mi ha rivelato
Mosca, ma certamente le previsioni di un mutamento radicale furono
confermate. A Pietrogrado il dissidio fra la Duma e il Governo si manifestava
per segni. Per esempio, al pranzo offertoci dal ministro dell’interno
intervengono soltanto tre deputati su centoquaranta invitati, mentre al
ricevimento offerto da Rodzianko tutta la Duma è presente, ed è invece
escluso Protopopoff. A Mosca invece si è parlato chiaro. Il nostro
ricevimento al Municipio assunse l’importanza di un avvenimento politico,
perchè in tale occasione il popolare sindaco della città fece nel suo discorso
una carica a fondo contro il governo. [78] E aveva al suo fianco il leader dei
progressisti, il deputato Miliukoff. E a Mosca sentimmo pure dichiarare in un
banchetto, fra gli applausi scroscianti di tutti i presenti, che era vergognoso
vedere a capo della Russia un fallito. L’oratore alludeva a complicate vicende
giudiziarie della ditta Protopopoff, e anche al fallimento morale dell’uomo
politico.
Oggi siamo giunti a Karkoff, grande centro del mercato minerario, e
anche qui fummo accolti con manifestazioni indimenticabili. Ho avuto una
strana spiegazione delle accoglienze così unanimi e così grandiose che noi
riceviamo.
Mi si è detto: Indipendentemente dalle condizioni interne della Russia voi
avreste certo accoglienze calorose, e per la tradizionale ospitalità russa e
per le simpatie che suscita il nome italiano. Ma voi vi sarete però accorti che
le dimostrazioni intorno a voi hanno una tonalità, un colore, come dire? un
loro particolare sottinteso. I governatori si fanno in quattro…. perchè non
vorrebbero lasciarvi capire, e il popolo si fa in otto… perchè vuol farsi
capire».
Questa osservazione corrisponde in parte a verità. Ma gli sforzi dei
governatori sono perfettamente vani. Non si possono sopprimere i segni di
un malcontento che ha invaso tutte le classi sociali e che ha già rotte le
dighe di ogni ritegno.
13-14 Febbraio.
A Karkoff abbiamo dovuto lavorare. L’associazione mineraria che
abbraccia tutti i proprietari o espletatori, grandi e piccoli, di miniere, [79] ci
ha intrattenuti con una serie di lettura e di rapporti: altro tempo dedicammo
alla visita di un’officina per locomotive e vagoni, e al nuovo stabilimento per
motori elettrici, sorto in seguito all’abbandono di quello che lavorava a Riga.
Furono due giornate febbrili a Karkoff, ma la città rimarrà indimenticabile,
perchè legata nel mio cuore al ricordo di due preziose conoscenze. Ho
trovato a Karkoff il milanese Calamari, direttore di una miniera di sale.
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Quando si è a migliaia di chilometri dalla Patria è come una risurrezione il
trovare un concittadino; ma questo senso di gioia e di forza è ancora più
grande, quando il concittadino è proprio della vostra terra, della vostra
provincia. Il signor Calamari è qui da anni, e io gli ho strette le mani
coll’effusione e anche coll’ammirazione sincera di chi scorgeva in lui uno di
quei campioni valorosi della nostra stirpe di migratori, non per la conquista,
ma per la civiltà. E’ un confronto che si impone, questo, tra la penetrazione
italiana e quella, per esempio, germanica. Gli italiani, dove arrivano,
portano più di quello che ricevono: quegli altri non portano nulla, ma
riportano via tutto, anche l’indipendenza dei popoli.
L’altra conoscenza di Karkoff è quella dell’amico Rizoff, un giovanotto
ricchissimo, energico, esuberante, pieno di iniziative. Noi simpatizzammo
subito ed egli mi pose a parte del suo progetto di impiantare una fabbrica di
automobili, sotto la direzione d’un ingegnere Petrillo, un altro di quelli che io
chiamerò pioneri della penetrazione italiana in Russia. Caro e [80] buon
Rizoff! Egli volle festeggiare il nascere della nostra amicizia invitandomi ad
una noce194, durante la quale la nostra espansività raggiunse le più alte
vette! Da notare che noi ci elevavamo però sopra una piramide di bottiglie
di Champagne! Credo di aver contato il loro numero fino a 27!
15 Febbraio.
Siamo a Hughesovska, o Iouzovka, che vorrebbe dire città di Hughes195.
Questo centro industriale della famosissima regione del Donetz ha preso
appunto il nome dell’inglese John Hughes, che fu il pioniere dell’industria
siderurgica e mineraria in Russia. Siamo ospiti del Direttore generale della
New Russia C., un organismo colossale, che sfrutta una miniera di carbone,
alti forni e un laminatoio. Visitiamo prima la ferriera assistendo alle colate
degli alti forni, dei Martini-Siemens e dei Bessemer196; poi i laminatoi,
albergati in capannoni immensi, l’impianto per la fabbricazione di ferri da
cavallo, 27000 al giorno, la forgia per proiettili da 75 a 150. Da ultimo,
visitiamo la miniera di carbone. Scendiamo in un pozzo a 900 metri di
194 Noč’, notte, nottata.
195 Hughesovska o Juzovka (russificazione del primo) prese il nome dall’ingegnere e
imprenditore britannico John Hughes (1814-1889), che costruì una acciaieria. Su richiesta
dello zar Alessandro II, Hughes fondò la società russa Novorossiskoe-Rog (Società Nuova
Russia), per lo sviluppo dell’estrazione di carbone e la produzione di ferro e rotaie per
l’espansione del sistema ferroviario in Russia, vicino a Oleksandrivka, un villaggio cosacco
nel bacino del fiume Donec, ora in Ucraina. Intorno alla fabbrica crebbe la città di
Hughesovska che nel 1889 contava 50.000 abitanti, molti dei quali operai del Galles del
Sud, come Hughes, attratti dagli alti salari. Dal 1889 l’attività fu guidata dai quattro figli
di Hughes, ma dopo la Rivoluzione del 1917 l’industria fu statalizzata. Nel 1924 la città
prese il nome di Stalino (da stal, acciaio) e dal 1961 quello di Doneck (o Donec’k, in
ucraino).
196 Martin-Siemens (processo inventato da P. Martin ma realizzato in un forno ideato da W.
Siemens; 1865) e Bessemaer (1855).
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profondità.
16 Febbraio.
A Makejevka, altro centro minerario della Union Minière et metallurgique
de Russie»; società belga197. Impressione di grandiosità e di potenza. [81]
17 Febbraio.
Kamenskoie198. Société metallurgique Niprovient du Midi de la Russie.
Società polacca. Tutto il personale direttivo è polacco. Accoglienze
calorosissime. Questa società impiega quattordicimila operai. Produce ogni
mese due milioni di Poud199 di laminati, e due milioni e un quarto di Poud di
ghisa.
Domani mattina, alle dieci partiamo per Kiew.
19-20 Febbraio.
Ieri sera, 19 Febbraio, non ho potuto scrivere le mie note. Il ricevimento
al Municipio si protrasse fino a tardissima ora. E fu un seguito interminabile
di discorsi. Credo che non mi avverrà mai più di ascoltare tanti oratori. Ecco
l’elenco dei discorsi:
1. Discorso del Sindaco;
2. del presidente della Giunta dello Zemstwo provinciale:
3. del presidente della Giunta dello Zemstwo del circondario;
4. del capo della Nobiltà della Provincia;
5. del rappresentante del Comitato industriale militare;
6. del rappresentante dell’Unione degli Zemstwa russi;
7. del rappresentante dell’Unione delle città russe;
8. del presidente del Comitato della Borsa;
9. del rappresentante della Società dei commercianti; [82]
10. del rappresentante della Camera russa di esportazione;
11. del rappresentante della Società Imperiale tecnica della Russia;
197 Vicino alla cittadina di Makeevka (in ucraino, Makjivka) a 20 km da Doneck, la vecchia
Hughesovska, si sviluppò dal 1889 l’industria metallurgica e mineraria Union Minière &
Métallurgique de Russie, in seguito alla scoperta di giacimenti di carbone. La zona
mineraria e industriale mantenne il nome di Makeevka, mentre all’area culturale si dette il
nome di Dmitrievsk che nel luglio 1917 assunse lo status di città. In seguito le due unità
si fusero sotto la dominazione di Makeevka.
198 La città di Kamenskoe è situata sul fiume Dnepr, in Ucraina. Dal 1936 è stata denominata
Dniprodzeržns’k, in ucraino, o Dneprodzeržinsk in russo, in onore del polacco Feliks
Dzierżyński, fondatore della polizia segreta bolscevica (Čeka). Nel 1906 vi nacque Leonid
Brežnev.
199 Un pud corrisponde a 16,38 chilogrammi.
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12. del rappresentante della Università;
13. del rappresentante della Società degli economisti;
14. del rappresentante della Società agricola;
15. del rappresentante della Colonia italiana.
16. del signor Zaizew;
17. del signor Madey.
L’elenco però non è completo Ricordare tutti gli oratori dopo il
diciasettesimo è superiore alle mie forze mnemoniche. Evidentemente però
Kiev è una città di grande coltura. Infatti ha magnifici istituti. Non ho
visitato l’Università di San Vladimiro, ma sono rimasto ammirato dell’Istituto
di Commercio.
E’ una scuola superiore di scienze economiche, giuridiche e commerciali.
Alcune cifre danno un’idea della sua importanza e del suo sviluppo, poichè
l’istituto non conta che otto anni di vita. I beni mobili ed immobili della
Scuola, che ha una sede grandiosa, superano i cinque milioni di rubli. Il
personale insegnante si compone di 65 professori. Gli allievi sono circa
cinquemila. Vi sono due facoltà, una per le scienze commerciali che prepara
alle carriere tecniche, alla vita degli affari, e una di Scienze economiche per
la carriera amministrativa. Inoltre l’istituto ha sezioni speciali per la finanza,
le banche, le assicurazioni, le ferrovie e per lo studio delle lingue viventi.
Ogni studente deve conoscere due lingue, a sua scelta, fra il tedesco,
l’inglese, il [83] francese, l’italiano. All’istituto è annesso un Museo
tecnologico delle merci (17 sale magnifiche) un gabinetto di geologia,
mineralogia e metallurgia, laboratorio di Chimica, di biologia, di igiene,
dell’arte tessile, di fisica, una biblioteca (28000 volumi, e 51.000 lettori nel
1912). L’attività dell’istituto è sorprendente. Ha organizzato società di studî,
missioni e viaggi di insegnanti e di studenti, e pubblica ne’ suoi Annali,
lavori di grande valore scientifico.
Esprimendo la mia ammirazione, e anche, perchè non dirlo? la mia
sorpresa al professore che mi faceva da Cicerone, ho osservato che la
scuola ammette soltanto giovani originari della Russia del sud e del sudovest, del Caucaso e del Turchestan. Il mio interlocutore sorrise e mi lanciò
un’occhiata penetrante. Non riuscivo a capire perchè l’osservazione lo aveva
così colpito, ma ebbi subito la spiegazione.
— Vi sbagliate, mi disse. L’istituto non ammette soltanto i giovani del
sud-ovest, ma li ammette di preferenza. Questa preferenza è pienamente
giustificata per il fatto che gli studi hanno un particolare riferimento alla
nostra regione, così diversa dal rimanente della Russia. Queste differenze
saltano subito all’occhio del visitatore, il quale comprende subito come
l’Ucraina sia stata battezzata a torto per la piccola Russia.
Stavolta fui io a lanciare l’occhiata penetrante al professore. E insinuai:
Questione di nomi…
— No, ribattè il professore accalorandosi. L’Ucraina non è un’espressione
geografica, come [84] Metternich diceva della vostra bella Italia200. Dalle
200 Il 2 agosto 1847 Klemens von Metternich (1773-1859) – ministro degli Esteri austriaco
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cime dei Carpazi, dai monti del Caucaso, dalla sponda del Mar Nero su su
fino alla cintura di foreste coronanti il Dniepr201, per un’estensione di mezzo
milione di chilometri quadrati, sta il vasto e fecondo territorio della nostra
Ucraina, fissato geograficamente ed etnicamente, dalla natura e dalla storia.
Kiev, Podolia, Cholm, sulla destra del Dniepr, Poltava, Cernighin, sulla
sinistra, Echaterinoslav, Cherson, Tauride sul Mar Nero202, sono le gemme di
questo popolo di trenta milioni d’abitanti, che ha costumi propri, lingua
propria, letteratura propria. Voi avete preso Dante come simbolo
dell’indipendenza nazionale. Questo nome è stato una fiaccola che non si
spense nei secoli. Ebbene, abbiamo scelto anche noi un poeta nazionale,
Saewcenko203. Le sue liriche di fuoco gli hanno guadagnato la Siberia.
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Kiev, città di giardini, adagiata sui colli, che ti specchi pittoresca e
tranquilla, nelle onde del Dnieper! Kiev, primo focolare della civiltà russa,
quando Vladimiro il Santo chiamava i sacerdoti di Bisanzio per l’estirpazione
del paganesimo! con quali occhi diversi io ti ho guardata dopo il discorso del
professore patriotta… Ti ho guardata come la capitale dell’Ucrania, come il
cuore di questo popolo di agricoltori che ha saputo trasformare
dal 1809 al 1848, fautore dell’equilibrio tra le cinque maggiori potenze europee
(Congresso di Vienna, 1815) per la pace internazionale (Santa Alleanza, 1815) – scrisse,
in una nota inviata al conte Dietrichstein, la frase: «L’Italia è un’espressione geografica»,
frase che fu ripresa l’anno successivo dal quotidiano napoletano Il Nazionale, riportandola
però in forma negativa: «L'Italia non è che un’espressione geografica». In questa versione
diventò il manifesto dei liberali italiani che la utilizzarono in chiave patriottica per
risvegliare il sentimento anti-austriaco. Tuttavia, la frase non fu scritta in senso
dispregiativo, ma come oggettiva constatazione, in quanto l’Italia era «composta da Stati
sovrani, reciprocamente indipendenti», come Metternich ribadiva più avanti nella stessa
nota.
201 Dnepr in russo, Dnipro in ucraino.
202 Le città sono tutte in Ucraina, tranne Chelm. Le traslitterazioni esatte sono: Kiev (in
ucraino Kyiv), Podolia (in ucraino Podillya), Chelm (in ucraino Kholm; è oggi nella Polonia
orientale), Poltava, Černigov (in ucraino Černihiv), Ekaterinoslav (oggi Dnipropetrovs’k),
Chersones (in russo e in ucraino; in slavo antico è Korsun’; oggi è Sevastopol’). Tauride è
l’antico nome della Crimea.
203 Taras Hryhorovyč Ševčenko (1814-1861) fu poeta, scrittore e umanista ucraino. Nato in
una famiglia di servi della gleba nella provincia di Kiev, allora russa, nel 1828 seguì il suo
signore Pavel Engelhardt a Vilnius e, dal 1831, a San Pietroburgo, città in cui poté
studiare pittura. A San Pietroburgo incontrò gli artisti ucraini e, grazie a loro, il professor
Karl Briullov, che comprò la sua liberazione nel 1838 e lo accettò nel proprio laboratorio
all’Accademia delle Arti. Ancora studente, pubblicò la raccolta di poesie Kobzar, il poema
epico Haidamaky (1841) e i drammi teatrali Nykyta Hayday (1842) e Nazar Stodolja
(1843). Compì diversi viaggi in Ucraina e, impressionato dalle condizioni umane dei
contadini, frequentò la “Confraternita dei Santi Cirillo e Metodio”, una società segreta con
l’obiettivo di supportare le riforme politiche all’interno dell’impero Russo. Quando la
confraternita fu scoperta, nel 1847, Ševčenko fu arrestato, rinchiuso in prigione a San
Pietroburgo e poi esiliato a Orsk, nei pressi degli Urali, «sotto stretta sorveglianza e con il
divieto di scrivere e dipingere» come ordinò lo zar Nicola I. Fu graziato nel 1857 ma
dovette stabilirsi a Nižnij Novgorod. Nel 1859 fu di nuovo arrestato con l’accusa di
blasfemia, ma fu presto rilasciato con l’ordine di recarsi a San Pietroburgo, dove morì
sette giorni prima l’annuncio dell’emancipazione dei servi della gleba.
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quarantacinque milioni di ettari di terreno e che produce da solo un terzo
della produzione totale di frumento, di segale, della Russia. Ti ho guardata
come il centro di quel sud-ovest della Russia, così popoloso, così ricco, che
[85] ricorre continuamente sulle labbra de’ tuoi cittadini, come il nome di
una terra cara e preferita, quasi come il nome di una patria. E forse il sudovest della Russia vuol dire appunto l’Ucrania.
E d’improvviso Kiev mi ha fatto ricordare Varsavia, Helsingfors, Tiflis 204,
tutti questi centri di nazionalità così diverse, fuse nell’impero. Allora
compresi meglio una pagina che aveva letto poco tempo prima nella «Russia
d’oggi» del Liuchiz205. Mi ricordo che il Liuchiz sosteneva la necessità di una
monarchia costituzionale in Russia, essendo indispensabile un governo forte
per mantenere l’integrità dell’impero. L’integrità dell’impero deve essere lo
scopo supremo del governo e di ogni cittadino russo.
Quella pagina mi riusciva strana allora: oggi invece ho avuta la
sensazione del separatismo russo. Ahimè! quale spettro per la democrazia
di Mosca! Ecco un’altra causa di esitazioni. In realtà più ci penso, più il
problema mi pare terribile. La Russia è un mosaico di popoli: comprende un
numero stragrande di stirpi: russi, polacchi, ucraini, chirghisi, calmucchi,
armeni, georgiani, lapponi, finni, tartari, mongoli, turchi, tedeschi, lettoni,
greci… Tutti questi popoli sono legati assieme dall’autocrazia: non hanno
altro legame, nè d’interesse nè di coltura. Il loro grado di civilizzazione è
disparatissimo. Se domani non ci fosse per tutti il legame czarista, che cosa
avverrebbe?
Per chiarire il mio pensiero basta fare qualche avvicinamento: pensare
per esempio ai rapporti fra un ipotetico governo repubblicano e l’emiro di
Bukhara, o i principotti del Caucaso, [86] o i governatorati dell’Amur, del
Transcaspio, di Samarcanda, o quelli delle steppe206. E’ vero che l’Asia
potrebbe rimanere quello che è, una grande colonia della Russia europea. Il
pericolo separatista è in Europa. Si dirà che la libertà unirà i popoli russi per
la comune difesa. Questo potrebbe esser vero temporaneamente. Ma non è
soltanto la libertà che cercano questi popoli, è l’indipendenza. Ne abbiamo
un esempio in Finlandia. Io sono venuto in Russia convinto delle pretese
atrocità commesse dallo czarismo in Finlandia, e ciò mi spiegava il suo
anelito di libertà. Ma ho poi dovuto mutar parere e riconoscere che la
Finlandia era in una situazione privilegiata. In Finlandia non vi è un regime
russo, ma parlamento, moneta, dogane, leggi, scuole, università finlandesi.
204 Helsingfors è il nome svedese di Helsinki; Tiflis, o Tbilisi, è la capitale della Georgia.
205 F. Livchiz, La Russia d’oggi, edizione italiana a cura del Prof. Angelo Pernice, Tipografia
Allegretti, Hoepli, Milano 1916 (ed. originale: Ruβland, Zürich 1916). Il nome non
italianizzato dello scrittore svizzero-tedesco è Feitel Lifschitz (1875-1918?).
206 Bukhara e Samarcanda sono città dell’Uzbekistan (Asia centrale). Alla regione caucasica
appartengono gli attuali Stati di Russia, Armenia, Azerbaigian e Georgia. Il fiume Amur è
uno dei maggiori al mondo; scorre in Siberia orientale, Manciuria e Mongolia e sfocia di
fronte all’isola di Sachalin. Con regione transcaspica (oblast’ Zakaspijskaja) si indicava,
prima del 1924, il territorio russo a est del Mar Caspio, all’incirca corrispondente al
Turkmenistan. Le steppe sono quelle siberiane.
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La Finlandia è in condizioni economiche assai prospere. Tuttavia i tedeschi
hanno potuto arruolare duemila giovani finlandesi. Si dice che questo sia un
merito speciale dei socialisti, padroni di quel paese. Adunque più che di
movimenti anticzaristi si tratta di movimenti antirussi! La unificazione
morale della Russia è adunque di là da venire. Non parlo del Caucaso, non
ancora domato. Non della Polonia, che ora sta sotto il tallone tedesco. Non
delle provincie baltiche, dove la Germania ha le sue avanguardie. Ma che
sarebbe la Russia senza questa perla delle sue provincie, senza Kiev, madre
delle città russe, senza questo Sud-Ovest, che attrae nella sua zona
d’influenza tutto il Sud della Russia e che ha tutti i requisiti morali e
materiali per la costituzione di un grande e florido Stato indipendente? [87]
Ebbene, questo problema sorgerebbe certamente il giorno in cui lo czarismo
cadesse. Improvvisamente ogni legame sarebbe spezzato. La rivoluzione si
troverebbe di fronte alla più terribile minaccia di disgregazione nazionale. E’
vero però che rimarrebbe la Duma e la Duma si affretterebbe a proclamare
l’autonomia… Ma… limitiamoci a constatare l’esistenza di questo nuovo
elemento. Ogni giorno qualche nuova forza si delinea alla mia mente e mi fa
apparire l’eventualità della rivoluzione russa come un avvenimento così
complesso da sorpassare la guerra e da sconvolgere tutte le ipotesi più
ragionevoli degli studiosi.
23 Febbraio.
Sono a Odessa. Chissà perchè quando si giunge al mare, anche
lontanissimi dalla patria, si ha la sensazione della sua divina presenza!
Credo che sia così per tutti, ma specialmente deve essere così per noi
italiani che abbiamo così gloriose tradizioni marinare. Il Mar Nero poi,
l’antico Pontus Euxinus207, è strettamente legato alla storia politica e
commerciale di Roma e di Atene prima, di Genova e di Venezia poi.
Dalla mia finestra io seguo la costa fin laggiù, dove sorgeva la città di
Olbia, sul Boristene (Dnieper). Quivi Atene caricava il grano che necessitava
per il suo popolo, e i prodotti che giungevano dall’India e dalla Cina, per la
via che rimase la più seguita, fino a quando l’ardimento dei navigatori trovò
nuove vie, doppiando il Capo di Buona Speranza. [88]
Nel medio-evo i genovesi avevano stabilito colonie su tutte le rive del Mar
Nero, e a Caffa (Teodosia) facevan capo le vie che salendo dall’India
conducevano le merci al Caspio, e di li per il Volga e per il Don, al mar
d’Azof. Il commercio fra l’Europa e l’estremo Oriente seguì queste vie fino al
sorgere dell’epoca moderna, poi le abbandonò, ma non è detto che non si
debbano riprendere. E’ interessante notare a questo proposito la tendenza
di Kiev a organizzare e a unificare commercialmente le popolazioni che si
207 Furono i Greci a dare il nome di Ponto Eusino al Mar Nero nell’VIII secolo a.C. e a
colonizzarlo, fondando le città di Sinope, Trapezunte, Olbia… Su Veneziani e Genovesi, cfr.
nota 173.
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trovano su questo antico cammino del commercio indo-europeo. Russia del
sud-ovest-Mar Nero-Caucaso-Turchestan.
Quali sarebbero le conseguenze commerciali della cacciata del turco da
Costantinopoli e del possesso russo dei Dardanelli? Ho l’intuizione che
l’avvenire darà un’importanza inaspettata a questa provincia. A questo
proposito abbiamo avuta una relazione assai interessante del Consigliere di
Stato C. I. Boudilovich208. Egli disse: L’iniziativa russo italiana deve
impossessarsi di ogni sorta d’affari atti a facilitare, a migliorare le relazioni
commerciali fra la Russia, l’Oriente e l’Italia. E propone la creazione di
società russo-italiane che prendano il posto delle società tedesche liquidate.
Non nego che il programma sia seducente, ma quale sarà la soluzione
dell’immane crisi europea?
Questa domanda sono costretto a ripetermela dacchè osservo il precipitar
degli eventi in Russia. Da un po’ di giorni eravamo senza notizie, ma oggi a
Odessa abbiamo saputo dell’arresto a Pietrogrado degli operai membri del
Comitato delle industrie di guerra. Gli [89] arrestati sono conosciutissimi e
popolarissimi fra le masse operaie: essi sono accusati di cospirazione per
rovesciare la dinastia e proclamare le repubblica sociale. Ho domandato se
l’arresto avesse provocato dimostrazioni, scioperi, ma mi si assicura che
Pietrogrado è tranquillissima.
— Come spiegate questa tranquillità? domando ad un compatriotta della
Colonia Italiana.
— E’ semplicissimo. Il movimento è perfettamente organizzato e
disciplinato. E quindi nessuno si muoverà fino all’apertura della Duma, che è
convocata per la fine del mese.
Mi ricordai del: Ci siamo! dell’amico Karamine. Tuttavia non mi lasciava
persuadere di essere alla vigilia di eventi decisivi.
Ma come? voi siete in Russia da un mese e non vi siete accorto che lo
czarismo è morto? Leggete dunque il voto recentissimo del Congresso della
nobiltà russa. I nobili si sono schierati coll’opposizione e reclamano gli stessi
provvedimenti liberali «per salvare la dinastia» anzi, letteralmente dicono:
«per salvare il trono». Non vi pare chiarissimo? Non ci sono che i diplomatici
forse che vivono tranquilli e sicuri.
— Voi dunque supponete…
— Non suppongo, sono certissimo che alla fine del mese la Duma si
scontrerà col governo, e il popolo scenderà in piazza per difendere la Duma.
— E i soldati?
— I soldati sono tutti contro la burocrazia. Credete a me, lo czar è finito.
[90]
— Ma le aspirazioni repubblicane non sono nel programma della Duma…
— Da cosa nasce cosa. E’ certo che se il governo non cede
immediatamente, sarà rovesciato. La rivoluzione potrebbe finir lì, in un
giorno o due. Ma i germanofili spingeranno le cose all’estremo. Poi verranno
in scena i deportati, gli emigrati, i socialisti, gli anarchici, i liberati dal
208 Budilovič.
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carcere, gli stanchi della guerra e tutti i romantici innamorati della
rivoluzione francese e disposti a copiarla.
Non posso negare che ho una gran fretta di ritornare a Pietrogrado.
Anche i miei amici della Missione vogliono partire. Siamo stanchi e
pensiamo all’Italia. Ma ora questo discorso, questo annunzio di qualche cosa
di straordinario, mi mette la febbre. Abbiamo deciso di prendere il treno
domani, per Pietrogrado. Vorremmo poter partire colla Missione politica. Nei
progetti per il viaggio di ritorno ha fatto capolino, modestamente, il
sommergibile. Siano tra due fuochi: il sottomarino e la rivoluzione.
24 febbraio.
Ecco il nostro viaggio finito. Torniamo. Eppure come volentieri si
proseguirebbe ancora un poco! L’Oriente ci chiama col suo fascino. Che
abbiamo visto della Russia? Tutto ciò che è moderno, tutto ciò che è troppo
simile a noi. Ma in queste giornate di crisi bisognerebbe andare un po’ verso
la Russia orientale. Giungere almeno ad Astrakan e di là risalire il [91]
Volga. Fermarsi sulla porta dell’Asia. Oppure, dopo i ricevimenti delle grandi
città russe, andare nel Caucaso per essere ricevuti, dopo otto o dieci ore di
lineica209, sopra carreggiate sconquassanti, dallo starchina210, il sindaco, o
dal pope, fra il subito accorrere di tutta la popolazione incuriosita per la
venuta dello straniero. Sentire a Tiflis se veramente i georgiani si sieno
pacificati collo czar russo. E ancora dare una capatina a Niini-Novgorod,
dalle sessanta chiese, d’ogni culto, e dalla popolazione strana, miscela di
razze e di lingue — di bulgari, di tartari, di mongoli, di turchi, di circassi —
accampati là per la gran fiera annuale che raduna quivi per un miliardo di
mercanzie. Poi di là per uno dei tanti fiumi e canali, rivedere Mosca,
Pietrogrado… Quanti progetti! quanti desideri! quanta materia di studio e di
osservazione!
Ma il tempo urge: la vita è breve, e forse Scialoia, l’onorevole ministro
sta per partire… L’Italia che al figliuolo lontano appare così radiosamente
bella e confortatrice, ci chiama, ci chiama… Ho fretta di rivederla, ho fretta
di conoscere più minutamente le sue fortune… Suvvia, in cammino!
Oggi al thè del console italiano ho udito che si confermava la voce di
prossimi gravi avvenimenti a Pietrogrado. Qualcuno è rimasto incredulo e ha
accennato ai Cosacchi. E’ la seconda volta che mi si parla dei cosacchi come
di un elemento fidato. Un altro dissertò sull’ignoranza dei contadini. Discorsi
superficiali. Bisognerebbe conoscere a fondo questi due temi: i cosacchi, o
meglio, le forze della reazione, i [92] fedeli dello czarismo, e poi i contadini.
Ma io, a fondo, non conosco nè l’uno nè l’altro tema.
209 Linejka, carrozza aperta a più posti.
210 Staršina, capo eletto.
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In treno - 25 Febbraio.
Abbiamo tre giorni e tre notti da passare in treno. Corriamo a
Pietrogrado. Ed io approfitto del lungo viaggio per sfruttare le conoscenze di
chi viaggia con me, intorno ai temi più interessanti della vita e dell’avvenire
russo.
Alla stazione tra la folla di ufficiali, di soldati — equipaggiati da campo coi
solidi cappotti color nocciola, baveri e manopole di pelo — ho avuto la
fortuna di scorgere una signorina o signora russa, che io aveva già
conosciuto in Italia — o più precisamente — a Lugano, quando anch’io fui
colà in qualità di profugo, nel 1898, l’anno un po’ russo della nostra storia
contemporanea.
Piccola, mingherlina, scialba, questa donna non ha di particolare che gli
occhi mobilissimi e fosforescenti. Ella non mi ha subito riconosciuto, ma le
ricordo Lugano e una certa gita a Ponte Tresa, dove ella doveva incontrarsi
non so bene con quale pezzo grosso dell’internazionale rossa. Ella si ricorda
ora perfettamente, batte le mani con un’esclamazione prolungata di
sorpresa e mi porge la destra. Siamo amici. Ed io spero di aver trovato una
informatrice preziosa.
Fra i tanti vantaggi della situazione io devo ricordare che la signorina
Elena Nicolaiewna parla benissimo l’italiano. Non so se il suo nome sia
veramente quello che scrivo e ch’ella mi dichiara, ma ho l’impressione di
averla [93] conosciuta con un nome diverso. Non oso dirglielo e preferisco
subito parlare di rivoluzione. La signorina si arrende con docilità alle mie
pretese e mi traccia un quadro dell’avvenire che cerco di riprodurre il più
fedelmente che posso.
La rivoluzione è al suo epilogo. Non bisogna parlare di un movimento che
si inizierà fra alcuni giorni, ma di un moto che si conchiude, che raggiunge
la sua meta. La rivoluzione ha guadagnato tutta la popolazione russa fin dal
1905, durante la guerra col Giappone. Da allora la lotta è stata feroce,
incessante. La nuova guerra ha dato al popolo un potere effettivo perchè il
governo non può fare a meno del popolo. Di questo suo potere effettivo un
popolo che ha ormai una coscienza rivoluzionaria, non può servirsene che
per fare piazza pulita di tutti gli ostacoli. Non è riuscito in due anni colla
pressione morale: riuscirà nei prossimi giorni con un minimo di violenza.
Dico con un minimo di violenza, perchè i due più grandi ostacoli sono
eliminati. Voglio dire il granduca Nicola e i cosacchi.
Il granduca Nicola Nicolajevic211 era l’unico uomo che rimaneva allo
czarismo. Di una energia spietata, dotato di un grande talento militare, egli
211 Il comandante dell’esercito russo, granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov, era lo zio dello
zar Nicola II. Nel 1905 fu proposto dalle frange più reazionarie dell’esercito come dittatore
con pieni poteri per soffocare la rivoluzione, in alternativa alla concessione di alcuni diritti
civili alla popolazione. Nikolaj Nikolaevič rifiutò, consigliando lo zar di firmare il Manifesto.
Nel 1915 fu destituito dallo zar che assunse personalmente il comando dell’esercito. Per
questo motivo, dopo lo scoppio della Rivoluzione dell’ottobre 1917, lo zar fu ritenuto il
diretto responsabile delle sconfitte subìte nel corso del conflitto.
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non avrebbe esitato dinnanzi alla strage e avrebbe trattato la Duma come
tratta i generali, che prende a schiaffi e a pedate. Ma la sua grandezza dava
ombra a tutti, allo czar come al partito tedesco, ai capi militari come ai
liberali della Duma. L’hanno cacciato molto lontano, nel Caucaso. Di là,
almeno sulle prime, non potrà far molto. [94]
Quanto ai cosacchi, che costituiscono secondo la tradizione i difensori più
fedeli dello czarismo, seguiranno la loro vera tradizione che è quella di
accordar il loro appoggio a chi meglio li può compensare, assicurando loro
quei diritti e quelle concessioni che ne hanno fatto una casta privilegiata. Vi
sono cosacchi del Dnieper e cosacchi del Don, cosacchi di Kuban, di Terek,
d’Astracan, d’Oremburg, degli Urali, della Siberia, tutti soldati dai 18 ai 60
anni, rotti ad ogni fatica, agili, temerari, scaltri, tenuti uniti fra loro dal
legame militare. Tutti sono proprietari di terra e tutti possiedono un cavallo,
che è l’ideale per questi abitatori dell’immense piane steppose fra il Dnieper,
il Don e il Volga. Ogni tribù forma le sue sotnie212 e i suoi pulki213, al
comando della nobiltà indigena, e questi ufficiali sono con noi.
Voi vedete che non ci vorrà molto per aver ragione della polizia e di
Protopopoff. Ma all’indomani di questa vittoria immancabile e facile, perchè
contro lo czarismo sono uniti per il momento tutti, nobili e borghesi,
contadini e operai, quelli che vogliono la pace e quelli che vogliono la
guerra, che cosa avverrà? Immediatamente la rivoluzione avrà da risolvere i
problemi buttati sul tappeto. Ogni corrente vorrà indirizzare la rivoluzione
verso una sua finalità. I germanofili vorranno la pace, i contadini vorranno
la terra, la nazionalità e i nazionalismi vorranno l’indipendenza, il Nord sarà
contro il Sud, e tutti questi interessi concorrenti e nemici, dell’industria e
dell’operaio, del latifondista e del contadino, saranno sfruttati, a destra e a
sinistra, dalle [95] spie e dagli agenti tedeschi, saranno intorbidati dalle
ideologie anarchiche, repubblicane, socialiste, si complicheranno per la
contemporanea esplosione di tutti gli appetiti individuali, per la diffidenza
delle nazioni alleate, per la invasione minacciante alle frontiere. Che cosa si
può vedere, amico mio, nell’avvenire della Russia? Voi pensate a un
compromesso fra tutti coloro che pongono la salvezza del Paese al di sopra
del loro interesse particolare o di classe. Sì, questo compromesso è
possibile e voglio prospettarvene i motivi e la genesi
La prima questione che si imporrà sarà certamente il separatismo. Lo
czar ha creato l’unità materiale dell’impero, ma non l’unità morale. La storia
russa fino al nostro secolo è una storia di conquiste e di rivolte interne.
Basta fare il nome della Finlandia, della Polonia, della Lituania, dell’Ucraina e
del Caucaso. La sottomissione dei montanari di Erivan e di Kars214, uomini
feroci e primitivi, accampati sulle cime impervie delle loro montagne, non
può ancora dirsi compiuta. E voi ricordate certamente il grande rumore che
212 La sotnja è una centuria, uno squadrone di cento uomini.
213 Pul’ki (plurale di pul’ka) significa sia proiettili che partite.
214 Situate nella regione caucasica, Erevan, capitale dell’Armenia, e Kars, città turca,
facevano parte del territorio russo.
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si fece nel gennaio 1915, quando Nicola II si recò a Tiflis. Comparve colla
cupa tunica, la cartuccera lucente e l’ispida burka (mantello) del costume
georgiano e si pose a contatto persino coi kintò, i merciai ambulanti
caratteristici di quella città215.
Si fecero le grandi meraviglie allora, perchè i georgiani erano rimasti
tranquilli e forse ciò dipese dall’odio contro i mussulmani. Poche settimane
prima gli aggiari, mussulmani del territorio di Batum216, avevano infatti
guidato [96] i turchi fino ad Arkim217 e massacrata una quantità di cristiani.
Ma tralasciamo i particolari.
Questi movimenti separatisti io li voglio considerare in una grande sintesi,
nel conflitto fra il Nord e il Sud della Russia. La guerra ha acuito il conflitto.
Pietro il Grande fondando Pietrogrado e conquistando le foci della Neva e il
litorale Baltico, cercò di deviare tutto il commercio russo dall’oceano Artico e
dal Mar Nero. Pietrogrado uccise Arcangelo218 e lottò fieramente con Odessa.
Venne la guerra e dopo due secoli Arcangelo risorse. Tutti gli sguardi si sono
volti al nord della Russia e un cumulo di progetti è venuto alla luce per
mettere in valore il settentrione. Si vuole unire Arcangelo al bacino della
Petciora219, la Dwina alla Viatka e al medio Volga220, e già si è compiuta la
ferrovia che da Pietrogrado mette alla penisola di Kola, al golfo di Motovsk e
al nuovo porto di Romanov221.
215 Nel XIX secolo e fino alla Rivoluzione del 1917, i kintos erano i piccoli commercianti di
Tbilisi (o Tiflis, Georgia), abbigliati di nero, che portavano le merci sulla testa in giro per la
città. Se la merce andava pesata, il kinto usava come bilancia lo scialle di seta che
pendeva dalla sua cintura. Dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1917, il kinto sparì dalle città e
il termine assunse un significato dispregiativo per i modi sbrigativi e poco ortodossi. Nel
1923, Lev Trockij definì i kintos «eroi della strada, ciarlatani, cantastorie e malfattori» e il
georgiano Stalin «un kinto al potere».
216 Batum, ora Batumi, è una città georgiana sul Mar Nero e capitale dell’Ajaria (o Aggiaria, o
Agiaria), che è una repubblica autonoma nella Georgia sud-orientale. Nel 1614 l’Ajaria fu
conquistata dagli Ottomani – che con la forza convertirono all’Islam la popolazione locale
di fede cristiana – e poi annessa all’impero russo nel 1878. Durante la Prima guerra
mondiale venne ancora occupata dall’esercito ottomano e poi da quello britannico, ma fu
restituita alla Georgia nel 1920.
217 Forse è Artvin, città turca vicina al confine georgiano, che con il Trattato di Brest-Litovsk
(1918) passò dal governo russo a quello turco.
218 Archangel’sk, sul Mar Bianco. Nel XVIII secolo il commercio nel Mar Baltico divenne
predominante e la città declinò, ma alla fine del secolo successivo ritornò ad avere una
posizione di primo piano quando fu costruita la ferrovia che la collegava a Mosca e venne
rilanciato il commercio del legname.
219 Il bacino della Pečora è situato più a nord di Archangel’s, oltre il Circolo Polare Artico. Il
fiume – ghiacciato per molti mesi all’anno – sfocia nel Mare di Barents, che è parte del
Mar Glaciale Artico.
220 La Dvina Settentrionale è un tributario del Mar Bianco, la Vjatka è un affluente di destra
della Kama, che a sua volta si immette nel Volga a sud della città di Kazan’.
221 Dal 1837 (inaugurazione della prima ferrovia, da San Pietroburgo a Carskoe Selo) al 1917
tutte le maggiori aree produttive russe erano collegate dalla ferrovia (merci e passeggeri
): da Murmansk – penisola di Kola, tra il Mare di Barents dal Mar Bianco – al Mar Caspio,
(Volgograd sul Volga e Orenburg sull’Ural). Da Kazan’ si arrivava a Vladivostok con la
Transiberiana e da Orenburg si raggiungeva il lago Bajkal traversando la Siberia
meridionale.
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Terminata la guerra tutto questo affannarsi cadrà da sè, ma la lotta
ripiglierebbe fra Pietrogrado e la Russia meridionale. I porti della Russia non
possono essere che sul Mar Nero. Ciò è fatale. Nel 1800 Pietrogrado, Riga,
Libau222, assorbivano l’85% dell’esportazione, il Mar Nero il 5 ½ %, ma nel
1900 il Baltico, pur conservando il primato per l’importazione, doveva
cedere al Mar Nero quello per l’esportazione. Ebbene vi è fortunatamente un
interesse comune per il Baltico e per il Mar Nero, per la Russia del Nord e la
Russia del Sud. Kiev che è il centro progreditissimo e attivo della Russia
meridionale sa che lo sviluppo ulteriore della [97] regione è subordinato
all’esito vittorioso della guerra, perchè dalla vittoria dipenderà la cacciata
dei Turchi dall’Europa e il libero incontrastato passaggio traverso i Dardanelli
per i mari del sole. La necessità della guerra, ecco ciò che vincerà il
separatismo: la guerra non più per lo czar, non più per il dominio, ma la
guerra per difendere la libertà conquistata, che vorrà dire autonomia e
federazione, ecco ciò che cementerà l’unità morale russa, la cui semente è
stata fecondata dall’unanimità rivoluzionaria.
Ciò che io vi dico per il sud della Russia è ancora più vero per il Nord. Il
separatismo non rappresenta un reale interesse per nessuno dopo la caduta
dello czarismo e sarà vinto rapidamente, se si riuscirà subito ad avere un
governo nazionale. Questa sarà una grave difficoltà perchè un governo
nazionale non potrà venire che dalla Costituente e la Duma non potrà
proclamarsi assemblea costituente. Il popolo non può riconoscere nella
Duma la vera rappresentanza nazionale. D’altra parte chi dovrà prendere le
redini dello Stato nell’intervallo fra l’abolizione dello czarismo e la
convocazione della Costituente? Ecco il periodo pauroso. Durante questo
periodo la grande massa sarà forzatamente senza una rappresentanza:
lotteranno i partiti, le folle operaie, gli avventurieri e gli agenti nemici. A
questo proposito ci sarà molto da dire. Per ora procediamo.
La questione separatista si può risolvere. La questione della forma di
governo non è così grave. Non vi è una differenza troppo sostanziale fra la
monarchia costituzionale italiana [98] per esempio, e la repubblica di
Francia. Tuttavia la maggioranza della popolazione è per la monarchia
costituzionale. I borghesi, i nazionalisti, i religiosi e i contadini sono per lo
czar: ma per la repubblica sono le folle proletarie della città, quasi tutta la
piccola borghesia che ha piena la testa di rivoluzione francese, e i partiti
socialisti e anarchici. Non credo però che la questione della forma di
governo possa dividere la Costituente in modo irrimediabile. Può anche
darsi che la Costituente sia convocata da un governo repubblicano, e in tal
caso, cosa fatta capo ha.
Ma la questione capitale sarà la questione agraria. Tuttavia è su questo
punto che l’accordo fra la borghesia industriale e commerciale e i contalini
verrà a costituire un blocco granitico e vittorioso. Non vi è alcuno che non
riconosca le condizioni strazianti dei villaggi russi. Migliaia e migliaia di
fanciulli non trovano posto nelle scuole elementari. In cinque distretti del
222 Libau è il nome tedesco della città di Liepāja, nell’attuale Lettonia occidentale.
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governatorato di Karkof l’anno scorso furono rimandati per esempio 8153
bambini. Altre migliaia e migliaia muoiono prima di raggiungere i cinque
anni. A vent’anni in Russia giunge solo il 46% della popolazione, e a 50 anni
il 20%. Nel 1910 le malattie della popolazione fecero perdere nientemente
che 2339 milioni di giornate di lavoro. Che cosa manca al contadino russo?
Manca la terra e bisogna dargliela, cominciando dall’espropriazione e
mandare al loro paese gli immigrati tedeschi. In tre anni di guerra si sono
espropriati così tre milioni di ettari di terreno, ma ne rimangono altri sette in
mani tedesche. Bisogna [99] confrontare le condizioni dei coloni tedeschi e
dei coloni russi, per comprendere la miseria del povero mugik. Mentre uno
dvor, una famiglia di coloni possiede in media venti desiatine223, uno dvor di
mugik non ne possiede che sette. Aggiungete l’esenzione dalle tasse e dal
servizio militare per quelli, e per il mugik tutto il peso delle imposte e tutte
le sopraffazioni burocratiche. In queste condizioni l’abolizione della servitù
della gleba, la trasformazione dei possessi collettivi in personali, l’abolizione
della solidarietà collettiva, il condono di novanta milioni di rubli che i
contadini dovevano ancora pagare, non rappresentavano che delle buone
intenzioni. Nonostante tutto egli non poteva vivere. S’indebitava, perdeva la
sua piccola proprietà. Ecco la necessità di dargli la terra.
I socialisti guardano al mir224 come all’istituto che dovrà salvare la società
russa e che dovrà rappresentare l’organizzazione fondamentale per lo
sviluppo futuro del socialismo. Sono i narodnikii225 che sognano la
distribuzione delle terre alle comunità rurali mediante espropriazione
forzata. Ma questa soluzione è già compromessa dalla recente legislazione
russa che sciolse le comunità rurali in 47 governatorati, e che colla legge di
separazione del 1911 rese facile la trasformazione in possesso personale dei
possessi collettivi. I contadini russi vogliono ora essere proprietari. Si dirà
che questa forma economica, la quale esclude lo sfruttamento di un uomo
per opera di un’altro, esclude in pari tempo l’associazione di lavoro, quindi
lo sviluppo energico e il procedimento razionale della produzione. Ma i
proprietari — [100] lavoratori possono associarsi spontaneamente, e
salvare ad un tempo il loro spirito di indipendenza e le necessità della
produzione. — Terra e libertà! questo è il grido della rivoluzione russa come
di tutte le rivoluzioni e su questo programma sarà basato il compromesso
salvatore fra la borghesia industriale e i contadini. Ho detto compromesso
223 La desjatina corrispondeva a circa un ettaro: mq 10.925. Questa unità di superficie è
stato abolita nel 1927. Dvor, oltre a corte o cortile, significa casa colonica.
224 Il mir era l’organo decisionale delle singole comunità rurali russe (obščina) che ebbe
origine nel Medioevo. Esso assegnava alle famiglie contadine una quota della proprietà
terriera collettiva ed era tenuto a rimborsare entro quarantanove anni l’indennizzo che lo
Stato aveva corrisposto ai vecchi proprietari. Inoltre, era responsabile della riscossione
delle tasse, del servizio militare e di altri obblighi verso lo stato. In russo moderno, mir
vuol dire sia “pace” che “mondo”.
225 I narodniki erano gli intellettuali e gli studenti segnaci del populismo russo di metà
Ottocento. Contrari all’autocrazia zarista, credevano nell’emancipazione, nella purezza
morale e nella forza potenziale della classe contadina, che avrebbe potuto costituire la
base della futura giustizia sociale.
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salvatore e voglio riferirmi all’esempio della Francia. Pietro Kropotkine226
chiedendosi a che era servita la rivoluzione in Francia, se la nazione doveva
poi ricadere sotto il giogo di Bonaparte, rispondeva: Nei quattro anni della
rivoluzione era nata una nuova Francia. Il contadino mangiava a sazietà per
la prima volta dopo dei secoli. Alzava la schiena curva. Osava parlare. In
virtù di questa rinascita la Francia fu capace di sopportare le guerre della
repubblica e di Napoleone… E quando, dopo tutte queste guerre, si crede di
trovare nel 1815 una Francia impoverita, ridotta in spaventosa miseria,
devastata, ma che! eccovi le campagne assai più ridenti di quel che non
fossero ai tempi di Luigi XVI. Le risorse interiori che contengono i villaggi
sono tali che in qualche anno la Franca diviene il paese dei contadini agiati,
e subito dopo si scopre che malgrado tutte le ferite e tutte le perdite, è il
paese più ricco d’Europa per la sua produttività».
Ecco, mio buon amico, il destino della Russia!». [101]
26 Febbraio.
Ho scambiato quattro chiacchiere coi colleghi della missione, ho dormito
parecchie ore, ho mangiato, ho curiosato un po’ dai vetri il panorama
bianco-grigio, e poi mi sono ripresentato dalla signorina Elena, ed ho
cominciato con una collana di bugie la mia giornata: Questo rosario
terminava con questa affermazione:
«Ho pensato tutta notte al nostro discorso di ieri. Mi avete detto delle
cose assai interessanti, ma…».
Allungavo questo ma, lo lanciavo innanzi, lo rigiravo, come un’amo
buttato in acqua, perchè vi si attacchi qualche cosa, un pesce o una vecchia
226 Il principe Pëtr Alekseevič Kropotkin (1842-1921) fu uno dei più grandi filosofi sostenitori
dell’anarchia. Entrato nel 1862 in un reggimento cosacco in Siberia, abbracciò gli ideali
anarchici e compì una serie di studi di geografia, geologia e zoologia. Nel 1868 terminò la
facoltà di Scienze, ed entrò nella Società russa di geografia, che abbandonò nel 1872 per
dedicarsi alla politica aderendo alla corrente di Michail Bakunin nella Prima Internazionale.
Più volte arrestato – a San Pietroburgo e in Francia, dove fu accusato con altri anarchici
dell’uccisione dello zar Alessandro II – dal 1881 si stabilì in Inghilterra dove fondò la
rivista “Freedom” (Libertà) e pubblicò libri di politica e scienze, ambiti per lui inscindibili:
«L’anarchia è il risultato inevitabile del movimento intellettuale nelle scienze naturali». Nel
1914 prese posizione in favore della guerra contro la Germania, posizione che ribadì nel
1916 firmando il Manifesto dei Sedici, un documento anarchico che invitava a combattere
i «barbari tedeschi» a fianco degli alleati. Nel 1917 tornò in Russia e si schierò contro i
bolscevichi, e strinse amicizia con Aleksandr Kerenskij. Nel 1919 si ritirò a Dmitrov. In
politica, Kropotkin fu promotore del “comunismo anarchico”, cioè dell’idea di una società
senza controllo centrale e «in cui ogni individuo è un produttore di lavoro manuale e
intellettuale, e in cui ogni lavoratore è attivo sia nell’agricoltura che nell’industria; in cui
ogni insieme di individui, grande abbastanza da disporre di una certa varietà di risorse
naturali […] produce e consuma in maniera autosufficiente la maggior parte dei propri
prodotti agricoli e manifatturieri». Ciò non significava, secondo Kropotkin, ridurre il
commercio mondiale «ma limitarlo allo scambio di ciò che deve realmente essere
scambiato, e, al tempo stesso, accrescere notevolmente gli scambi di novità, prodotti
locali o arte nazionale, nuove scoperte e invenzioni, conoscenze e idee» (1913).
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scarpa.
La signorina Nicolaiewna che forse aveva pensato più di me al suo quadro
della rivoluzione, abboccò subito a questo ma… che ondeggiava pieno di
promesse, e mi disse: Indovino quello che mi volete dire. Io ho tracciato
delle linee troppo generali e sono giunta subito all’epilogo — ai risultati della
rivoluzione. Ma… (ecco il vostro ma) in quanto tempo? dopo quali errori?
con quanti sacrifici? e sopratutto, confessatelo amico mio, con quale
ripercussione sulla guerra? E’ questo che vi turba. Ebbene io condivido il
vostro timore fino ad un certo punto. Si tenterà di imporre la pace
immediata dai socialisti, a norma dei loro deliberati, e questa corrente sarà
sostenuta dalla Germania, con ogni sforzo. Non è difficile alla Germania
trovare dei traditori fra i vecchi arnesi di polizia e disgraziatamente quando
avete a che fare con un terrorista, con un socialista catastrofico, [102] non
sapete mai se si tratta di uno in buona fede, o di un agente provocatore al
servizio della polizia, o di un essere abbietto che tradisce e la polizia e i
rivoluzionarî. Tenete presenti le rivelazioni di Vladimiro Burtzeff 227, di
Lopoukine228, che fecero tanto rumore da voi, all’epoca dello scandalo
Azeff229. E ancora lo scandalo Carpoff-Voskresenski. Costui aveva uno
stipendio mensile di mille rubli.
Ecco, vedete… L’«intelligenza» russa che ha preparato la rivoluzione
lavorando e lottando incessantemente, è ora in preda a una stanchezza e a
un nervosismo morbosi: è irrequieta: è di un eccitamento malato. Inoltre vi
è una caratteristica dei russi che contribuisce ad aumentare il numero di
coloro che si lasciano andare alla deriva, ed è il bisogno naturale in noi di
una vita larga, di abbondanza, di grandiosità, di fasto. In nessun paese del
mondo la vita è così spavalda, frenetica, sciupona. Voi latini avete il vostro:
«Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza», ma è un canto
227 Vladimir L’vovič Burcev (1862-1942), rivoluzionario attivista e studioso, pubblicò i
periodici “Byloe” (Passato), sulla storia del movimento rivoluzionario russo, e, a Parigi,
“Buduščee” (Futuro). A causa della sua attività rivoluzionaria – fu capo della sicurezza del
Partito dei socialisti rivoluzionari – e delle dure critiche mosse contro il regime imperiale e
la persona di Nicola II, fu arrestato più volte. Avendo accusato Lenin e i bolscevichi di
essere agenti tedeschi, il giorno stesso dell’inizio della Rivoluzione d’ottobre fu
incarcerato. Liberato dopo pochi mesi, emigrò in Francia, da dove appoggiò l’Armata
Bianca.
228 A.A. Lopuchin, capo della polizia zarista dal 1903 al 1905, fu condannato ai lavori forzati
in Siberia dopo lo scandalo Azef (1908).
229 Evno Azef (1869-1918) era il capo dell’organizzazione militare dei socialisti rivoluzionari e,
contemporaneamente, lavorava per la polizia zarista, contribuendo a sventare attentati e
a far arrestare parecchi terroristi. Ma non aveva impedito gli attentati che costarono la
vita al ministro dell’Interno Pleve e al Gran principe Sergej Aleksandrovič, governatore di
Mosca. Nel 1908, fu Vladimir Burcev – allora capo della sicurezza del partito – a
smascherarlo pubblicamente, grazie alla conferma avuta dall’ex capo di polizia A.A.
Lopuchin.
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carnascialesco230, temperato dal vostro semel in anno231 — una volta
all’anno —.
Ma da noi questo senso del godereccio, questa smania di tripudi, questo
bisogno di feste, di prodigalità, di orgie, ha qualche cosa di barbarico, non è
frenato dalla previdenza, dalla preoccupazione del domani. E’ una cosa
sciocca anche, come quando si vedono certuni buttare sul piattello delle
orchestrine tzigane dei sesquipedali232 biglietti da cento rubli, ma è
sopratutto una spinta alla corruzione. L’orgia soffoca tutto quanto vi è di
puro e di onesto. Il bisogno di denaro prepara l’anima ad ogni adattamento.
[103] E i tempi, essendo tempi di violenta negazione, di sradicamento
d’ogni fede, abbattono i meno saldi caratteri, nel fango dell’anarchia morale.
Vi è del cinismo nella corruzione russa. Nel 1905 la rivoluzione fece
comparire sul mercato librario un diluvio di libri, di opuscoli pornografici,
centinaia di migliaia di studentesse si precipitarono alle università, e in tutte
le provincie fiorirono associazioni dal titolo eloquente: «Giovane piacere»,
«Libertà in amore», «Notti bianche». Immoralità, fasto, spavalderia,
bisogno di denaro… ed ecco l’esercito delle spie, dei traditori e degli agenti
tedeschi. Questo aspetto non è trascurabile: potranno i tedeschi creare
imbarazzi alla rivoluzione: potranno ritardarne l’assestamento, ma non sono
certo alcuni venduti e corrotti che possono aver ragione di un movimento
sostenuto da milioni e milioni.
Che cosa domanderanno i traditori? Costoro domanderanno innanzi tutto
la pace, poi la ghigliottina per lo czar, per i granduchi, per i borghesi, poi
l’espropriazione delle terre e delle fabbriche, la dittatura proletaria. Tutto ciò
in nome dei grandi principî. Più la domanda è assurda, più la pretesa è
urtante, meglio è. Questo è il compito degli agenti tedeschi. E dietro loro si
accoderanno molti ingenui e molti esaltati, che finiranno col costringere gli
elementi sani e chiaroveggenti del paese a stabilire una dittatura.
Presso a poco non è questa la storia di tutte le rivoluzioni?
Voi pensate che nel frattempo i tedeschi non resteranno inattivi, che essi
tenteranno di [104] avanzare spezzando la resistenza affievolita
dell’esercito russo, che essi riusciranno a occupare nuovi territori della
Russia, e che forse forse finiranno coll’imporre colla forza la pace separata
non ottenuta per opera del tradimento.
Queste previsioni sono logiche: la Germania ci attaccherà, ma una
rivoluzione ha sempre bisogno di un pericolo esterno per salvarsi dai pericoli
interni. Se la Germania non ci attaccasse, bisognerebbe prender subito
l’offensiva, provocarla. — Gittato il dado, cioè accettata la guerra ereditata
230 «Quant’è bella giovinezza, / che si fugge tuttavia! / chi vuol esser lieto, sia: / di doman
non c’è certezza» è la prima quartina della “Canzona di Bacco”, nei Canti carnascialeschi
di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico (1449-1492).
231 «Semel in anno licet insanire» (una volta all’anno è lecito uscire da se stessi, impazzire) è
una locuzione latina molto antica che divenne proverbiale nel Medioevo.
232 Sesquipedale è termine proveniente dal latino per indicare la misura di un piede e mezzo.
Il “piede romano” equivaleva a una lunghezza di cm 29,76. In senso figurato – come lo
intende l’Autore – il termine significa grande, enorme.
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dallo czarismo come guerra propria, la rivoluzione dovrà andare fino in
fondo. Non mi preoccupo delle alterne vicende della lotta: il mio ottimismo
guarda alla fine. Le democrazie sono ormai invincibili. Io credo fermamente
che nel 1918 non avremo più Cesari in Europa e che la Russia, come
seppellì un secolo fa il sogno napoleonico, seppellirà oggi, e per sempre,
l’alleanza dei re per dare vita alla alleanza, alla federazione dei popoli.
.
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Affondato nella pelliccia come dentro una guardaroba, ascolto ormai
distrattamente la mia interlocutrice. Sono forse le quattro, le cinque del
pomeriggio: la luce vacilla: traverso le vetrate vedo scintillare la neve,
passare ombre di boschi oscuri….. Ci accompagna il rombo greve, continuo
del treno, che di quando in quando lancia nella distesa immensa il suo urlo
gutturale… Le palpebre cadono più pesanti; dormo. [105]
27 Febbraio.
Siamo di nuovo a Pietrogrado. Dopo tre giorni e tre notti di treno non vi
può essere che un’ideale: dormire in un buon letto. — A domani!
28 Febbraio.
Sono tornato a Pietrogrado preparato a trovarvi la rivoluzione. Invece a
primo aspetto, nulla. Mi pareva impossibile. A furia di pensarci, di studiarla
ne’ suoi probabili coefficienti, di parlarne e di sentirne parlare, ho finito col
crederci. Ci credo, ed ecco che ho girato tutto il giorno a cercarla.
Ho girato il centro della città, mi sono spinto dal lato di Viborg 233, ho
percorso la Petersbourgskaia sino al giardino Botanico, poi i quartieri di
Vassilevsky Ostrov. Per scrupolo di coscienza sono sceso fino alla barriera di
Narva. Infatti il ponte sul Tarakanovska 234 era guardato. Di lì potevano
giungere gli operai delle Putiloff. Ma la rivoluzione non c’era. Tuttavia la città
era profondamente turbata.
Non so se dipenda dalla forza della suggestione, ma io vedo e sento
molto più di quello che appare. Turbe di operai sono in isciopero:
assembramenti di cittadini sono dovunque: nei magazzeni, sulle porte, i
commessi, i dvornik sembrano tutti sul chi va là!: persino i gorodovoi, che
colle orecchie fasciate di feltro e con una grande spatola di legno bianco
alzata in una mano, regolano il corso delle slitte, mi sembrano un po’
disorientati e nervosi. C’è un’aria [106] di sospetto, di ansia, di
aspettazione in tutti, e ci sono troppi gendarmi a cavallo, troppi cosacchi,
troppi soldati in giro.
In altri tempi non si poteva parlare di politica, ma oggi nei luoghi pubblici
233 Vyborg, per indicare la parte nord-nordovest di San Pietroburgo.
234 Ponte Tarakanovskij sul canale Obvodnij, posto tra il fiume Neva e il monastero Nevskij.
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si reclama apertamente un governo costituzionale e si esprime la speranza
che la truppa fraternizzi col popolo. A tutti questi sintomi bisogna
aggiungere la mancanza di alimenti, Non c’è pane, non ci sono patate:
gruppi di gente minacciosa si vedono far coda presso le botteghe. Il popolo
ha fame. E frattanto corrono voci sinistre. Non avremo la rivoluzione, ma la
sommossa soffocata nel sangue.
Ho ascoltato io stesso queste parole nel grande refettorio di una fabbrica,
dove fui condotto oggi dall’amico Karamine. Quest’uomo che qualche
settimana fa mi aveva sconvolto col suo: Ci siamo!, ora mi confessa di non
capirne niente. L’ho incontrato prima di mezzogiorno e siamo andati insieme
a far dei tentativi per la colazione. Non fu una cosa facile, nè soddisfacente,
ma à la guerre comme à la guerre235. Andammo dunque al comizio degli
operai. La discussione era sullo sciopero. C’erano due correnti, una voleva
scioperare, marciare sulla città, l’altra era per l’attesa. Nel refettorio
passavano delle frasi infiammate e la scena era patetica. Fu un vecchio
operaio che rispondendo a un giovanotto alto, biondo e pallido, disse:
«Voi volete andare senza di noi vecchi. No. I vecchi verranno perchè essi
hanno dei figliuoli da liberare da una vita da bestie. Ma verranno quando
sarà ora. Noi non ci prestiamo al gioco di Protopopoff che fa nascondere la
farina e [107] sguinzaglia i suoi cani lupati. Egli vuole la sommossa per
annegarci nel sangue, noi vogliamo la rivoluzione per sradicare lo czar.
Aspettiamo che la Duma parli!
— Qualcuno lo interruppe:
— Noi abbiamo il nostro Comitato rivoluzionario che ha parlato… Che cosa
è la Duma dei Sciulghin236 e dei Savic?237
Il vecchio si raddrizzò: tremava di commozione: «Fratelli! La Duma è il
popolo, la Duma è con noi. Non soffiamo su questa candela, se no
brancoleremo nel buio e ci faremo ammazzare come tanti cani rabbiosi.
La maggioranza consentiva col vecchio, ma un gruppetto nel mezzo della
235 «À la guerre comme à la guerre» è un proverbio francese di origine sconosciuta, diffusosi
nel XVIII secolo con più significati: a) non andare in guerra impreparati; b) nei momenti
di crisi, tutti i mezzi sono validi pur di arrivare al fine; c) essere fatalisti e adattarsi
sempre ai tempi e alle circostanze.
236 Vasilij Vital’evič Šulgin (1878-1976) si laureò in Diritto a Kiev, dove divenne un
sostenitore della monarchia. Nel 1907 entrò nella Duma di Stato come membro della
destra conservatrice, sostenne il governo di Pëtr Stolypin e l’istituzione dei tribunali
marziali. Si arruolò durante la Prima guerra mondiale, ma fu subito ferito e poté
continuare la politica. Contrario alla rivoluzione, era però convinto della fine
dell’autocrazia, perciò, insieme all’ottobrista Aleksandr Gučkov convinse lo zar ad abdicare
per insediare una monarchia costituzionale o una repubblica con a capo il granduca
Michail Aleksandrovič, fratello minore dello zar. Nell’agosto 1917 appoggiò la rivolta del
generale Kornilov, ma, sconfitto, si rifugiò a Kiev, dove partecipò al Movimento Bianco, poi
emigrò in Jugoslavia e qui venne arrestato nel 1944 dall’esercito sovietico. Dopo dodici
anni di carcere fu amnistiato e visse a Vladimir, dove scrisse in un libro che il comunismo
non era più una sciagura per la Russia, perché gli ex bolscevichi si erano trasformati in
patrioti.
237 N.V. Savič, per molti anni deputato conservatore della Duma, lasciò un diario in dieci
volumi manoscritti.
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sala scoppiò in invettive. Allora colui che pareva presiedere intonò a gran
voce la marcia funebre dei rivoluzionari, che fu cantata da tutti con un
fervore religioso: «Vittime sacre nella lotta fatale dell’infinito amore per il
popolo, avete dato tutto voi stessi per la sua libertà e il suo onore….».
Uscii di là, dove mi aveva condotto la salvaguardia di Karamine,
profondamente commosso. Tacemmo ambedue per un tratto, poi i pensieri
che mi turbinavano in testa, si espressero in una parola sussurrata a me
stesso.
— Che cosa borbotti? fece Karamine.
— ça ira, ça ira238, ripetei io, forte.
Karamine si strinse nelle spalle, aperse le braccia, sembrò chiudersi in un
silenzio ostinato. Ma poi dovette cedere alla espansività russa e mi si rivelò
intiero.
— Tu hai ragione: ça ira. Io lo so, lo vedo, ma mi sforzo di dubitare, di
non vedere, di non sapere, perchè l’azione mi sgomenta.. C’è un [108]
attimo nelle rivoluzioni in cui tutti gli individui devono essere degli iniziatori.
E’ l’attimo in cui dalla negazione teorica bisogna passare alla negazione
pratica. Eccomi qui sul punto di saltar giù, come gli altri, nell’abisso: ma io
vedo così buio che se non mi buttano giù, non mi muovo. Sono radicato al
suolo: tutto il mio passato è socialista, eppure tutto il mio passato mi lega,
mi trattiene. Che cosa sono le teorie, le credenze, mio caro? L’uomo è
foggiato dalla vita che vive, e da null’altro. Ecco perchè il mio: Ci siamo! di
poco tempo fa, è divenuto oggi questo amaro e scettico: Non ne capisco
niente».
Gli faccio rilevare l’astrusità del suo discorso, ed egli mi spiega:
— Voglio dire questo, che nel giudicare degli avvenimenti spesso siamo
vittime delle nostre tendenze più intime, del nostro temperamento; noi
diamo alle cose e ai fenomeni l’aspetto che ci è suggerito dal nostro
interesse, dall’egoismo e dalla viltà.
Guardai Karamine, quest’uomo dall’aspetto erculeo, florido, possente, che
pareva fatto per schiacciare gli ostacoli, e vidi ne’ suoi occhi uno
smarrimento pietoso.
— Amico, tu hai dei dubbî. Perchè attribuirli alla viltà? Essi possono
essere giustificati. Tu esageri i tuoi doveri di socialista. Saltare nel buio!? Ma
questo è fanatismo. E se non vedi chiaro, avrai le tue ragioni.
— Le hai udite da quel vecchio operaio. Sì, anch’io sono avverso al
movimento, oggi, perchè oggi, come ieri, come domani, è Protopopoff che
vuole la sommossa. Sai quanti di noi erano pronti per la giornata di ieri e
quanti invece [109] mancarono? Ci siamo!, per me voleva dire il 27
Febbraio, la riapertura della Duma, ma ieri tutti hanno avuto l’intuizione che
saremmo stati giocati. Nessuna parola è corsa, eppure il centro della città è
rimasto tranquillo: gli operai si sono incamminati verso la città, ma
incontrati i soldati si sono dispersi. Non una fucilata, neanche una
collutazione. Eppure il Comitato rivoluzionario operaio aveva disposto
238 “Andrà così”.
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perchè l’insurrezione scoppiasse ieri: numerosi oratorî avevano arringato gli
operai nei dintorni delle fabbriche, avevano portato l’adesione e le
sollecitazioni di Miliukoff, di Pepelaief239, di Scingaref240. Tutto questo
avveniva la vigilia della riapertura della Duma, mentre Protopopoff chiamava
reggimenti a Pietrogrado e lanciava le ultime sfide, esiliando Anfiteatrof, il
direttore della Russkoia Volia241, a Irkutsk, e liberando dal carcere il
generale traditore Sukomlinof242 e sua moglie. Contemporaneamente la
mancanza degli alimenti diveniva sempre più tormentosa e sempre più
inesplicabile. Allora ebbimo la visione della Domenica nera, quando la
reazione lasciò che Gapon indisturbato preparasse la dimostrazione al
Palazzo d’Inverno, perchè il massacro fosse più spedito e più esemplare. Ci
siamo fermati a tempo. Ma qual’è in questo caso la responsabilità del
Comitato rivoluzionario? Perchè questo dissidio colla Duma? Vi sono
traditori? chi sono? Ecco il più angoscioso dei dubbî. Se non è un puro caso
questa coincidenza degli sforzi di un Comitato rivoluzionario e di
Protopopoff, evidentemente noi avremmo in questa coincidenza la prova che
gli agenti tedeschi si preparano a sfruttare e a dirigere la [110] rivoluzione,
se per ipotesi non è schiacciata dalla reazione». Questo dubbio impedisce
ogni azione, noi non possiamo che guardare alla Duma. La Duma è il
popolo! Che essa parli e sorgeremo in piedi!
Ho lasciato Karamine e sono venuto a riposarmi scrivendo qui, all’Hotel
Astoria243, dove sono alloggiato. Quel buon diavolo di Karamine è un
rivoluzionario galantuomo. Gli ho espresso tutta la mia soddisfazione per la
sua linea di condotta. La rivoluzione non è possibile e non è giustificabile, se
non viene dalla Duma.
I giornali e le informazioni che assumo intorno alle prime adunanze e alle
dichiarazioni fatte da molti deputati confermano le ipotesi di Karamine
intorno a manovre tedesche. Il comitato rivoluzionario operaio, in buona o
mala fede, è precisamente un organo d’azione tedesca. Questo risulta
239 Viktor Pepeljaev, appartenente al Partito democratico costituzionale (o dei Cadetti) e poi
al movimento antibolscevico, fu comandante della flotta russa nel Mar Nero, presidente
del Governo provvisorio a Omsk e Primo ministro del governo bianco di Aleksandr
Vasil’evič Kolčak durante la guerra civile russa (dal novembre 1917). Fu fucilato, insieme
a Kolčak, nel febbraio 1920 a Irkutsk.
240 Andrej Ivanovič Šingarëv (1869-1918), medico, fu deputato nella terza e quarta Duma di
Stato, leader del conservatore Partito democratico costituzionale (o dei Cadetti), ministro
dell’Agricoltura nel primo Governo provvisorio e delle Finanze nel secondo. Fu arrestato
dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1917 e giustiziato.
241 “Russkaja Volja” (La volontà russa), periodico di estrema destra.
242 Vladimir Aleksandrovič Suchomlinov (1848-1926), generale russo, fu ministro della
Guerra dal 1909 al 1915, quando fu rimosso dall’incarico a causa di una serie di sconfitte
della Russia, durante la Prima guerra mondiale, che il granduca Nikolaj Nikolaevič – capo
dell’esercito con poteri assoluti delegati dallo zar – tentò di arginare stravolgendo i piani
di guerra preparati a Pietrogrado da Suchomlinov. Fu arrestato nel 1916 per presunta
corruzione e per tradimento e mandato ai lavori forzati, ma venne presto rilasciato per la
tarda età. Riparò quindi all'estero e quando morì nel suo conto bancario furono trovati
centinaia di migliaia di rubli di dubbia provenienza.
243 L’hôtel Astoria è sulla piazza prospiciente alla cattedrale di Sant’Isacco.
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chiaro da una notizia che mi si è data ora, rientrando all’albergo. Il governo
russo fa pubblicare una smentita alla notizia data da molti giornali della
Germania, essere scoppiata la rivoluzione a Pietrogrado la vigilia della
riapertura della Duma. Bene informati i giornalisti del Kaiser! Essi potevano
pubblicare tutto intero il programma, ma, disgraziatamente per loro, esso
ha subìto un ritardo.
Contemporaneamente alla smentita del governo, Miliukoff smentisce
coloro che osarono presentarsi a suo nome nelle fabbriche per trascinare la
massa operaia alla sommossa. Tutti i deputati raccomandano la calma: essi
non vogliono che l’ordine sia turbato. Questo non vuol dire che la Duma
rinunzi alla battaglia. Il governo è stato attaccato da tutte le parti, subito:
ieri [111] parlarono Tzeide244, Purischievic, Scidlowski245: trenta senatori
hanno abbandonato la sala dov’era adunato il Consiglio dell’Impero, per
protesta contro il presidente Sceglovitof246 che voleva impedire la
discussione sulla politica del governo. Lo stesso tentativo di sfuggire alla
discussione è fatto da Rittich, ministro dell’Agricoltura, alla Duma 247. Il
governo ha paura, il governo è in fuga. Questo è il giudizio di tutti.
Oggi Miliukof ha pronunziato un discorso che ebbe un successo
strepitoso; gli applausi furono frenetici. La manovra di Rittich non ha servito
244 Il georgiano Nikolaj Semenovič Čcheidze (1864-1926; talvolta trascritto Čkheidze,
Chkheidze o Chxeidhe) frequentò l’università di Novorossijsk (Odessa) e di Charkov ma fu
espulso da entrambe per aver partecipato alle manifestazioni degli studenti. ai disordini
degli allievi (1888). Nel 1892 fu uno dei fondatori del Partito socialdemocratico in
Transcaucasia, ma nel 1903 divenne menscevico e fu eletto nella terza e quarta Duma
(1907-1917), diventando il primo presidente del Soviet di Pietrogrado e membro del
Governo provvisorio. Dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1917, tornò in Georgia dove fu uno
dei fondatori della Repubblica democratica georgiana e presidente dell’Assemblea
costituente georgiana dal marzo 1919. Quando i bolscevichi presero il controllo della
Georgia, (1921) emigrò in Francia, dove il 13 giugno 1926 si suicidò.
245 Sergej I. Šidlovskij fu deputato nella terza Duma dal 1909 al 1910 per il conservatore
Partito degli Ottobristi, fu l’ultimo vice-presidente della Duma zarista e fece parte del
primo Governo provvisorio nel febbraio 1917 guidato da Michail Rodjanko. Dopo la
Rivoluzione d’ottobre emigrò in Estonia.
246 Il generale Ivan Šeglovitov fu ministro della Giustizia sotto Nicola II. Nel febbraio 1917, fu
arrestato nell’ufficio di Rodzjanko, il quale disse che i soldati erano talmente incattiviti
dalle gesta del generale che la sua autorità di Primo ministro non servì a evitarne la
cattura.
247 Aleksandr Aleksandrovič Rittich (1868-1930), nato da una famiglia livoniana, servì il
Ministero degli Affari interni dal 1888, prima come impiegato e poi come funzionario di
missioni speciali sull’immigrazione. Dal 1902 cominciò a interessarsi di questioni agrarie
sotto Sergej Vitte (cfr. nota 183) per stendere una riforma sulla proprietà delle terre e
sulla posizione legale dei contadini, continuata poi insieme a Pëtr Stolypin (cfr. nota 41)
Nel 1915-1916 fu ministro dell’Agricoltura e senatore. Nel gennaio 1917 firmò le decisioni
sulla distribuzione del pane, dalla campagna alla città, basata su un sistema che
considerava sia l’eccedenza che l’eventuale appropriazione. Alla Duma il suo intervento
sulla mancanza di pane suscitò forte disapprovazione: egli riferì che le cause erano le
consegne disorganizzate e la disobbedienza dei contadini nel consegnare i cereali a
Pietrogrado, mentre in Siberia vivevano nell’abbondanza. Dopo la Rivoluzione dell’ottobre
1917, fu arrestato, ma subito rilasciato. Visse a Odessa fino al 1919 quando emigrò in
Inghilterra, dove diventò direttore di una banca russa a Londra.
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a nulla, perchè la Duma ha imposto al governo che tace di fare le sue
dichiarazioni circa la necessità di un governo costituzionale. Una mozione in
questo senso è stata approvata all’unanimità dalla Duma. Miliukof ha chiuso
il suo discorso facendo appello al patriottismo del popolo, perchè sieno
evitati disordini nel momento culminante della guerra. La situazione è
chiara: da una parte la Duma, sicura della sua forza, sta per costringere il
governo alla resa: dall’altra un governo di inetti e di traditori non volendo
cedere alla realtà si affida ad espedienti o calcola, come Protopopoff,
sull’insurrezione popolare. Il popolo non cede ancora alle eccitazioni di chi
predica la rivolta, ma il giorno in cui fosse usata la violenza alla Duma
nessuna forza potrebbe trattenerlo.
Ebbene quale via d’uscita si presenta al governo di fronte al voto
unanime della Duma? Il dilemma è questo: o chiamare lo czar perchè giuri
la costituzione fra i rappresentanti del popolo o sciogliere la Duma. Questo
secondo [112] partito si dice sia nei propositi di Protopopoff. Il che vuol
dire che la rivoluzione è purtroppo inevitabile, perchè il governo la vuole. Ma
il giorno in cui la rivoluzione scoppierà in appoggio alla Duma, sarà la Duma
che si porrà alla testa del popolo e che non lascerà la rivoluzione nelle mani
degli agenti tedeschi.
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Non mi è possibile chiudere le note di questa giornata senza registrare
l’episodio più ameno della nostra odissea. Il 28 febbraio adunque la
Delegazione Commerciale Italiana è a Pietrogrado per prepararsi al ritorno,
ed ecco ricomparire il figliuol prodigo. Sicuro! oggi si è rivisto l’onorevole Di
Bugnano248, delegato della Camera di Commercio di Napoli.
Avevamo perduto questo membro fin dal 17 Gennaio, all’Havre249, dove si
era trattenuto per attendere le sue quaranta casse di pellicole
cinematografiche. Viaggiare con quaranta casse, in questi tempi, anche se
le casse son munite dei sigilli dell’ambasciata, non è una cosa comoda! E poi
con delle casse preziose, rappresentanti il valore di centinaia di migliaia di
lire! Povero Di Bugnano! Comprendiamo perfettamente il suo ritardo.
Giungerà almeno a tempo per tornarsene colla Missione della quale fa
parte? Lo interroghiamo. L’onorevole parla poco del suo ritardo e non è
affatto disperato di aver dovuto mancare al suo mandato. In fondo al suo
pensiero deve esserci un grande disprezzo per l’opera della Missione
Commerciale. Già! perchè l’onorevole Di Bugnano è rimasto fedele alla
Triplice Alleanza, dichiara nefasto l’on. Salandra250, e aspetta che il mondo
248 Il marchese (concessione del 1907) Alfredo Capece Minutolo Di Bugnano (1871-1942) fu
onorevole del Regno d’Italia e, dal 1920, senatore.
249 Le Havre, in Alta Normandia, dove forse l’Autore si imbarcò per Londra nel viaggio di
andata.
250 Antonio Salandra (1853-1931), politico conservatore, fu Presidente del Consiglio dei
Ministri del Regno d’Italia dal 21 marzo 1914 al 18 giugno 1916. Egli volle l’entrata in
guerra dell’Italia a fianco della Triplice Intesa, ma quando, nella primavera 1916, gli
Austriaci vinsero in Trentino si dimise. Finito il conflitto si spostò su posizioni di estrema
destra e appoggiò l’ascesa al potere di Mussolini nel 1922.
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[113] ritorni come prima, coi tedeschi dappertutto. E allora che cosa
sarebbe venuto a fare in Russia?
Io ascolto questo disinvolto collega: ha un portamento maestoso, ha lo
scilinguagnolo sciolto, ha della sicurezza e della prosopopea, ha dei titoli e
ha dei soldi. Ha venduto le sue quaranta casse di pellicole. Farà
probabilmente una relazione alla Camera di Commercio di Napoli. Che cosa
manca all’on. Di Bugnano per essere un uomo di mondo, un perfettissimo e
navigato gentiluomo? Non gli manca nulla.
Eppure tutti sono freddi con lui. Quanto a me non riesco ad essere
gentile. Quando parla della guerra nostra e quando investe Salandra, mi
pare che mi dia dei pugni nello stomaco. Scatto e dico delle cose poco
piacevoli. Ripensando ora al nostro incontro non mi pare di aver esagerato,
e mi auguro di essere anche più spregiudicato in avvenire coi gentiluomini e
cogli onorevoli Di Bugnano.
1° Marzo.
I miei colleghi sono preoccupati per il ritorno in patria. I sottomarini
germanici non fanno complimenti e noi facciamo la statistica dei bastimenti
affondati. Si vorrebbe tuttavia partire subito: che si fa qui? La nostra
missione è finita e la vita a Pietrogrado non si può dire piacevole. Siamo
stati abituati a banchetti luculliani ed ora si mangia come si può: la
scarsezza del pane è specialmente penosa. Per ammazzare il tempo si fanno
degli studi sulle carte [114] geografiche e si tracciano gli itinerari del
ritorno. Non manca qualche progetto geniale. Una proposta, che è subito
seppellita fra le generali proteste, è quella di un collega che vorrebbe farci
fare il giro del mondo. Mosca-Vladivostoch-San Francisco-New YorkBarcellona-Genova-Milano.
Un’altro ci vuol condurre in Mesopotamia a festeggiare la presa di Kut-elAmara251. Poi dal golfo Persico al Mar Rosso e su fino alla Sicilia. Tutti questi
progetti, sulla carta, sono di una semplicità affascinante. Il guaio si è che
nessuno si interessa di noi e non vedo, nè come, nè quando, potremo
partire. Frattanto si preparano le relazioni che dovremo presentare Martedì
venturo, 6 Marzo, al Presidente della Delegazione, marchese della Torretta.
Oggi giornata di assoluto riposo. Anche la città pare più tranquilla.
251 Kut-el-Amara (ora Al Kut) è una città sul fiume Tigri, nell’Iraq sud-orientale (allora
Mesopotamia) che fu teatro di una feroce battaglia durante la Prima guerra mondiale. Nel
1915 i Turchi ottomani sconfissero gli Inglesi e i mercenari della Compagnia delle Indie,
guidati dal generale Townshend, massacrandoli vicino a Bagdad, e misero sotto assedio
Kut-el-Amara per 146 giorni, finché i pochi anglo-indiani sopravvissuti che vi si erano
rifugiati non si arresero. Nel 1917, gli Inglesi organizzarono una seconda spedizione,
guidata dal generale Sir Frederick Stanley Maude e provvista di aeroplani e autoblindo, e
riconquistarono i territori perduti. Questa fu chiamata “la prima guerra del petrolio”,
perché la zona era ricca di giacimenti che furono poi spartiti tra le compagnie petrolifere
di allora: la Standard Oil di Rockfeller (pronunciata “es-o” e diventata Esso e poi Exxon),
la Shell, l’Anglo-Persian (diventata Bp), la Gulf, la Mobil.
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2 Marzo.
Continua il periodo di attesa, di sospensione, ma le cause immediate che
possono determinare un movimento di popolo non scompaiono. Il Comitato
rivoluzionario fa una propaganda accanita, continua, nei sobborghi, nelle
fabbriche: il pane manca sempre: il governo non dimostra nessuna
preoccupazione.
Si ha tuttavia l’impressione che un vasto sommovimento sia già
cominciato, perchè dai bassi fondi della città comincia a venire a galla
qualche bieca figura di mendicante o di operaio disoccupato, e a mostrarsi
per le vie più [115] eleganti della città. In certi quartieri torna in uso la
catenella che serve di garanzia quando si schiude la porta. La cronaca dei
furti non segna però nessun aumento.
Un fatto che può avere funestissime conseguenze è la riduzione di lavoro
di alcune officine, per mancanza di combustibile. Migliaia di operai
rimangono momentaneamente disoccupati. Corre voce che molti capi del
partito social-democratico sieno stati arrestati. Fra gli altri si fa il nome di
Smirnof, operaio metallurgico252, che avrebbe una notevole influenza sulle
masse operaie.
3 Marzo.
Stamane sono stato alla Duma. I corridoi sono affollatissimi. Vado alla
ciainaia a prendere un the. Poi mi muovo di gruppo in gruppo, cercando
qualche conoscenza. Le conversazioni sono animatissime, ma l’accordo fra i
membri della Duma è completo. Un deputato parla con voce tuonante.
Indico ad un usciere quella figura alta, nervosa. Chi è ? — Rodicef253,
252 Di Smirnov, la storia rivoluzionaria russa ne ricorda tre che non sembrano essere
l’«operaio» citato dall’Autore. Ivan Smirnov (1880?-1936) fu effettivamente operaio a
Mosca e a Tver, aderente all’ala sinistra del partito socialdemocratico e fu più volte
arrestato e deportato in Siberia per sovversione, tuttavia la sua azione durante la
Rivoluzione del febbraio 1917 si svolse soltanto a Mosca. In seguitò diventò membro della
Quinta Armata e presidente del Comitato rivoluzionario della Siberia. Vicino a Lev Trockij,
fu destituito nel 1922, espulso dal partito nel 1927 da Stalin, arrestato nel 1934 e
giustiziato nel 1936. Vladimir Michailovič Smirnov (1876-1952) fu un bolscevico molto
attivo dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1917 a Pietrogrado, dove fu membro dell’organo del
partito “Kommunist” e a Mosca, come commissario alle Finanze per l’oblast’ di Mosca nel
governo. Ivan Vasil’evič Smirnov (1895-1956) fu un famoso pilota delle forza aeree da
combattimento zariste durante la Prima guerra mondiale, fino al dicembre 1917; poi entrò
nell’Armata Bianca ed emigrò in Olanda, per cui combatté nella Seconda guerra mondiale.
253 Il latifondista Fëdor Ismailovič Rodičev (1854-1933), laureato in Storia Naturale e in
Giurisprudenza a San Pietroburgo, nel 1877 lavorò nella provincia di Tver’ dal 1877 al
1896. Nel 1901 fu esiliato per aver difeso dei dimostranti, emigrò in Svizzera e fu tra i
fondatori dell’Unione di Liberazione. Tornato in patria nel 1904, entrò nel Partito
democratico costituzionale (o dei Cadetti) e dal 1906 fu membro del Comitato Centrale e
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deputato di Tver, progressista. «Tenete il paese tranquillo: i disordini
gioverebbero ai complici del nemico». Un omone grande e grosso, dalla
faccia larga e ridente, esclama: «Il governo ci provoca per liberarsi di noi.
Ma la violenza si ritorcerebbe contro di lui. Signori, manteniamo la calma!»
Questi è Kovalevski254, una celebrità della cattedra. Sciakovskoi255, un
nazionalista, grida: «La Patria è con noi! Avanti!» E Scedlovski, ottobrista,
dichiara: «Il governo [116] ha ancora tempo, oggi: domani è troppo tardi».
Avvicino un deputato in giacca da lavoro. E’ un rappresentante degli
operai. Alla Duma non è necessario un cerimoniale complicato per dire due
parole ad un parlamentare. Basta presentarsi, e il deputato con un
cortesissimo: Pozhaluista! (vi prego)256 è subito a vostra disposizione.
— Volete il mio giudizio sulla situazione? E’ deciso: andremo sino in
fondo. Sono anni ed anni che lottiamo contro l’irresponsabilità dei governi.
Ma per il passato eravamo noi soli, noi del gruppo laburista, ad esprimere la
volontà popolare per un governo responsabile. Fin da quando fu convocata
la prima Duma, il 26 Maggio 1906, il mio collega Gilkin257 presentava un
ordine del giorno in tal senso. Oggi l’ordine del giorno dei socialisti è difeso
dal blocco progressista. Quando Goremikin258 il 16 Settembre 1915, chiuse
la Duma, fu il nazionalista Sciulghin il più violento oppositore. Ma anche
allora cedemmo… Oggi siamo qui e nessun governo riuscirà a scioglierci.
Siamo pronti a tutto! Il paese è in pericolo.
Il cadetto Almasof259 che passava in quel momento, afferrò la frase, e
aggiunse:
— E Annibale è alle porte!
— Faremo tutto il nostro dovere, Almasof, qui e fuori di qui!
vicepresidente in tutte le quattro Dume elette. Dal marzo al maggio 1917 fu nominato,
dal Governo provvisorio, commissario per gli Affari interni della Finlandia. Quando la
Finlandia fu liberata, sostenne la rivolta antibolscevica del generale Kornilov e nell’ottobre
1917 divenne un membro del Parlamento provvisorio e vicepresidente della Assemblea
costituente. Ben presto, però, tornò nel sud della Russia per seguire il Movimento Bianco
e dal 1922 emigrò definitivamente in Svizzera.
254 Maksim Maksimovič Kovalevskij (1851-1916), sociologo e professore di Storia giuridica
all’Università di San Pietroburgo. Passò lunghi periodi all’estero, dove conobbe Karl Marx e
Friedrich Engels. Tornato a San Pietroburgo, nel 1906 fondò, con un gruppo di liberali
moderati, il Partito progressista e diventò membro della Duma dove sostenne un
rinnovamento dell’impero sulla base dei principi del dominio della legge, del
parlamentarismo e del decentramento amministrativo e legislativo.
255 Il principe Šakovskoj fu ministro del Commercio nel governo guidato da Aleksandr
Kerenskij (luglio-agosto 1917). Poco dopo fu arrestato e condannato a morte.
256 Požalujsta: prego, per favore.
257 I. Žilkin, leader del partito conservatore dei Cadetti, fu eletto nel governatorato di Saratov
nel 1906 e quindi partecipò alla Duma.
258 Ivan Loginovič Goremikin (1839-1917), reazionario ostile a ogni riforma, fu nominato
Primo ministro dal 21 aprile all’8 luglio 1906 e dal 30 gennaio 1914 al 20 gennaio 1916.
259 Forse Almazov. Non è sicuro che si tratti del generale Aleksej Nikolaevič Grišin-Almazov
(1880-1919), il quale fu un acceso conservatore e membro dei Cento Neri (cfr. nota 164).
Si unì all’esercito di Aleksandr Kolčak per combattere i bolscevichi durante la guerra civile
russa (dal novembre 1917), prima in Siberia e poi sul Mar Nero. Fu sorpreso a Odessa e
per non farsi arrestare si sparò.
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Squillano le sonerie elettriche. E’ il secondo segnale per convocare i
deputati nell’aula. Dopo cinque minuti il presidente sale alla sua tribuna ed
afferra il campanello a batacchio e lo scuote. E’ il terzo segnale, e i deputati
si affrettano ai loro scranni. L’aula si riempie: non vi sono posti [117] vuoti:
l’assemblea è imponente. La lettura degli atti occupa una buona mezzora,
poi la Duma sopprime il Ministero di Sanità pubblica, istituito dal Governo
nel periodo extraparlamentare e funzionante già da sei mesi.
Fuori dal palazzo di Tauride, gruppi di cittadini attendono l’uscita dei
deputati.
4 Marzo.
Nulla di nuovo neppur oggi. A volte si ha l’impressione che la tempesta
sia per svanire: a volte che sia per riprendere violentissima da un minuto
iall’altro. Tutti intanto sono diventati più guardinghi, più misurati nelle
parole; è forse il momento della decisione. La crisi dei viveri si aggrava ogni
giorno. Gli arresti continuano. Non si vede una via d’uscita. Ho cercato
invano l’avv. Karamine.
5 Marzo.
Non mi muovo da casa. Preparo la mia relazione.
6 Marzo.
Torno ora dall’adunanza presso il marchese della Torretta. Ho incontrato
Elena Nicolaiewna che credeva a Mosca. Non ho avuto modo di trattenermi
con lei, sebbene abbia tentato in tutti i modi. Ella aveva impegni urgenti.
Quali? Non lo disse, ma mi assicurò che domani sarà proclamato lo sciopero
generale. [118] Per quanto preparato ad una notizia che si attendeva di
giorno in giorno, quell’annunzio mi ha sconvolto. Penso alla frase di
Almasof: Annibale è alle porte!
O popolo di Russia, aiuta, aiuta!
Comunico la notizia all’albergo. Pochi ci credono. A domani!
7 Marzo.
Elena Nicolaiewna ha avuto ragione. Nei quartieri popolari si sciopera.
Qualche deposito di farina è stato preso d’assalto, le botteghe dei fornai
svaligiate. Tutte le vie che conducono al centro della città sono però
sbarrate. Percorro in lungo e in largo Pietrogrado e non vi noto alcun segno
di grave agitazione. Pattuglie di cosacchi e di gendarmi percorrono le vie.
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Qualche gruppo appena si forma, è disciolto. Nessuno è persuaso che si
tratti di cosa grave, e infatti, dato il numero dei reggimenti che sono stati
chiamati di rinforzo a Pietrogrado, il popolo non può aver ragione del
Governo.
Trovo finalmente l’avv. Karamine. Egli mi dice subito che il movimento si
è iniziato e che sarà ormai impossibile fermarlo. La Duma ha fatto ogni
sforzo per evitare disordini, ma il governo ha fatto di tutto per provocarli.
Non si è preso alcun provvedimento per vettovagliare la città. In queste
condizioni gli oratori rivoluzionarî hanno avuto buon gioco. Essi sanno che
non potrebbero vincere contro l’esercito, ma il loro scopo è di forzare la
Duma, perchè l’esercito seguirà la Duma. Ricordatevi che quando Miliukof
nel Novembre attaccò ferocemente [119] Sturmer, denunziandolo come
traditore, i ministri della Guerra e della Marina andarono a stringergli la
mano. Tutti gli ufficiali sono stanchi di un governo che tradisce. La Duma a
sua volta non può più esitare: essa deve domandare la costituzione. Se il
popolo si solleva, la Duma non può tradirlo. Il dado è gettato, amico mio.
Venite domani alla Duma: credo accadrà qualche fatto decisivo.
8 Marzo.
Stamani verso le dieci mi mossi per il convegno fissatomi da Karamine e
per osservare l’aspetto della città avrei fatto un lungo giro, se non ne fossi
stato impedito dalla sospensione del servizio tramviario. Sono sospesi anche
i giornali. Evidentemente lo sciopero si estende e comincia la paurosa
paralisi della città260.
Scendendo per la Nevski che appare deserta e tranquilla, scorgo laggiù la
piazza Znamenskaia un enorme affollamento dietro i cordoni dei gendarmi
che sbarrano il passo all’incrocio della Ligovskaia. Mi avvicino rapidamente,
mentre giunge a me un confuso clamore. Ma ad un certo punto un
gorodovoi mi ferma e mi invita a retrocedere. Obbedisco, e in quel
momento si eleva dalla folla come un urlo di trionfo, poi subito echeggia
sinistra una scarica….. Che è avvenuto? Non lo posso sapere.
Più tardi mi si dice che la folla aveva risposto col suo urlo di gioia ai
cosacchi, i quali erano schierati dinanzi alla stazione Nicola e che si erano
rifiutati di far fuoco, gridando invece [120] ai dimostranti: Salute, fratelli!
La folla stava allora per muoversi in uno slancio formidabile, ma i gendarmi
fecero fuoco.
Sono avvenute scene simili in parecchi punti della città. Il centro è ancora
difeso, ma è minacciato da tutte le parti. Il governo non può far troppo a
fidanza coi soldati, altrimenti li spingerebbe alla caccia nei sobborghi.
Limitarsi a sbarrare le strade che conducono al centro, ossia accontentarsi
della difensiva, mi sembra un sintomo di debolezza.
260 Secondo le cronache sovietiche, il 23 febbraio (8 marzo) scioperarono 100.000 persone, il
24 febbraio più di 200.000 e il 25 febbraio tutti i 400.000 lavoratori di Pietrogrado.
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Vagabondando ho fatto tardi e rinunzio a recarmi in via Chpalernaia,
preoccupato della colazione che è sempre in pericolo in questi giorni.
A sera osservo che la città è silenziosa, deserta, come disabitata. Corrono
voci sinistre e contraddittorie.
9 Marzo.
Non so quale de’ miei colleghi della Missione mi abbia detto: Non si può
parlare affatto di rivoluzione, perchè nessuno si sogna di reclamare qualche
mutamento di governo. Gli scioperanti gridano: Abbiamo fame! Vogliamo
pane! — Se il governo mandasse loro dei carri di farina tutto sarebbe
finito».
L’osservazione in parte era giusta: infatti il grido universale è: Pane! Pane
e lavoro. Ma coloro che hanno mandato il popolo sulla piazza, che intenzioni
hanno? Il comitato rivoluzionario si è messo alla testa di un movimento
soltanto economico? Evidentemente no. La scarsezza [121] dei viveri è il
pretesto. Ma credo che oggi non basterebbero i carri di farina ad arrestare
la valanga. Lo sciopero è generale: la città è paralizzata: i conflitti si
succedono, si moltiplicano: ma è certo che i soldati non si prestano alla
repressione. D’altra parte la polizia è insufficiente a parare la minaccia.
Oggi le dimostrazioni hanno guadagnato terreno. Anche nel centro della
città si formò qualche corteo: La Nevski fu percorsa da gruppi che
cantavano la Marsigliese, e che venivano dispersi con brutalità dalla polizia.
Ho osservato un corteo che, formatosi in Vassili Ostrof, nei pressi
dell’Università, e respinto dal ponte Nicolò, era riuscito a superare il ponte
Toutschkof e si dirigeva alla fortezza di S. Pietro e Paolo. Il corteo non era
formato soltanto da operai, ma vi si notavano moltissimi borghesi, studenti,
donne e anche qualche soldato. Non so quali fossero le intenzioni di quella
folla, che non raggiunse però il suo obiettivo, ma se anche pensava di
assaltar quella che potrebbe chiamarsi la Bastiglia russa, il suo contegno
non lo dava a divedere. Non bisogna imaginare una dimostrazione alla
latina: pareva di assistere ad una processione. La folla procedeva calma,
ordinata, a file serrate, lentissima: molti nonostante il freddo intenso erano
a capo scoperto, e un coro di migliaia di voci, un coro potente, sovrumano,
riempiva le vie, traeva spettatori dalle case. Una simile manifestazione dopo
tre giorni di sciopero e mentre già correva il sangue cittadino, è
incomprensibile per la nostra mentalità. Io mi persuadeva sempre più che
senza la rivolta militare, [122] nulla si sarebbe mutato in Russia. Ma la
rivolta militare era assai problematica — e nessuno poteva crederci….
Nel pomeriggio capitai alla Duma in un momento decisivo. Le discussioni
solitamente calme e ordinate, avevano un andamento tumultuoso. Già si
erano formate varie correnti nel blocco progressista. I socialisti, i
rappresentanti operai, non volevano ritardare una dichiarazione che ponesse
la Duma contro il governo e colla rivoluzione. Miliukoff propose un ordine
del giorno sollecitante dal governo un immediato provvedimento, che
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confidasse
gli
approvvigionamenti
alle
amministrazioni
comunali.
Quest’ordine del giorno fu votato alla quasi unanimità, ma alcuni
dichiararono che era tempo di finirla col governo. Bisognava intimargli di
andarsene e assumere senz’altro il potere.
L’ordine del giorno fu subito comunicato al principe Galitzin, il quale
subito avvertì che convocava al Ministero un Consiglio straordinario e
invitava a parteciparvi Rodzianko, il sindaco di Pietrogrado ed altri. Si dice
che nel consiglio di stasera Galitzin farà larghe concessioni alla Duma, e
raggiungendosi un accordo, domani interverrà alla seduta pubblica per fare
delle dichiarazioni.
Ma circola anche la voce che il governo cerchi di guadagnar tempo, che
Protopopoff sia corso dallo czar per sottoporgli un decreto di chiusura della
Duma. Frattanto si nota nella notte un grande movimento di truppe. La
cittadinanza applaude ai soldati. La giornata di domani si annunzia grave.
[123]
10 Marzo.
Manca completamente il pane. Non vi sono giornali, non carrozze, non
tram. I negozi sono chiusi. Le vie sono affollate di dimostranti e di soldati. I
cosacchi in doppia fila formano cordoni lungo la Nevski, lancia in resta e
fucile alla mano. Ogni sbocco di strada è chiuso da soldati di fanteria: ogni
cortile rigurgita di soldati. Continue dimostrazioni si formano, procedono,
sono disperse. Il grido della giornata non è più: «Pane e lavoro!» ma:
«Abbasso il governo! abbasso lo czar!». La confusione è al colmo: la
repressione non si vede. Cosacchi e soldati rimangono pressochè passivi. In
vari quartieri però si combatte. Echeggiano scariche lontane di fucileria.
Il governo non ha preso alcun provvedimento. Si viene a sapere che al
Consiglio di ieri sera mancava Protopopoff. Non si è venuto ad alcuna
accordo colla Duma. Il governo si dimostra incapace a superare la grave
crisi.
La passività delle truppe ha imbaldanzito i rivoluzionari. Comincia a
delinearsi la fisionomia politica del movimento. Per domani nel pomeriggio si
annunzia un’adunanza della Duma. Frattanto in tutta la città oratori
improvvisati parlano al popolo.
L’impressione generale è che il movimento non ha ancora trovato una
direttiva precisa, un programma d’azione definito. L’intervento della Duma
s’impone. [124]
11 Marzo.
Vado alla cattedrale della Madonna di Kazan per udire i cori che
accompagnano la messa. La cattedrale è affollata. I cori sono di un effetto
sorprendente. Incomincia da solo un pope con certi boati paurosi, con un
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vocione lugubre, toccando le note più basse, e improvvisamente a quel
motivo solenne si lega un tremolo di voci bianche, alate, soavi. Par di
vedere, sopra un mare sconvolto e nero, un levarsi spaurito di colombelle.
Quando esco, leggo un proclama del generale Hapalof261, comandante la
circoscrizione militare di Pietrogrado. Il proclama avverte che le truppe
hanno l’ordine di sparare. Mentre penso all’effetto che potrà produrre quella
minaccia e dalla via di Kazan sto per sboccare sulla Nevski, ecco sfilarmi
davanti in colonne serrate, migliaia di operai recanti bandiere rosse colla
scritta: «Abbasso il governo». La popolazione applaude: i soldati non si
muovono. Ma poco dopo la fiumana ondeggia, si arresta; un’ondata di gente
imbocca la strada, ed io sospinto, rifaccio il cammino percorso. In via
Gorokhova la folla dirada. M’imbatto in Karamine.
— Ah, finalmente, ti ritrovo!
— Già per le strade!? mi fa. Vieni con me. Fra poco la battaglia
raggiungerà il centro. Si combatte dappertutto. Ma colla polizia soltanto. I
soldati non vogliono sparare262. Finiranno col venire con noi. Alcuni
reggimenti furono già ritirati nelle caserme. Persino il reggimento dei
Preobrajenski263. La rivoluzione vittoriosa. Ciò che mi amareggia, è questo.
[125]
E così dicendo Karamine trae di tasca un foglio, lo spiega, lo legge. E’ un
manifestino contro la guerra.
— Vedi? si comincia. Gli agenti della Germania non perdono tempo. Il
Comitato rivoluzionario crede con questa mossa di trascinare i soldati.
Bisogna che la Duma si ponga alla testa del popolo, o tutto è perduto. Il
Comitato rivoluzionario agisce in pieno accordo coi socialisti e cogli operai. Il
loro programma è definito. Essi contano di impadronirsi degli arsenali, di
armare il popolo, di prendere la fortezza di Pietro e Paolo, e di costituire un
governo di operai e di soldati. Ogni officina e ogni battaglione eleggeranno
un loro rappresentante: l’unione di questi delegati assumerà il potere con
un programma pazzesco: la pace separata. Tutto questo è deciso, ti dico. Gli
oratori rivoluzionari cercano di screditare la Duma: essi danno un grande
rilievo alle sue esitazioni.
Che cosa si aspetta dunque per proclamare decaduto il governo di
Protopopoff?
Karamine era eccitato. Giungemmo a casa sua.
— Ho pensato di prenderti in custodia oggi. — Non vorrei che la
rivoluzione cominciasse col compromettersi colle nazioni alleate, e
principalmente coll’Italia. Ti offro una colazione da rivoluzionario. Poi
andremo alla Duma.
261 Forse Chapalov.
262 La mattina del 26 febbraio (11 marzo) i soldati si unirono agli insorti: la prima compagnia
fu quella di addestramento del reggimento della guardia della Volyn’ (o di Volynia o
Volinskij). Verso sera, quasi la metà dell’esercito era con i rivoluzionari.
263 Il reggimento Preobraženskij era uno dei più antichi dell’esercito russo, istituito da Pietro il
Grande alla fine del XVII secolo a Preobraženskoe, un villaggio tra San Pietroburgo e
Mosca. Nel XVIII e XIX secolo vi si arruolavano soltanto giovani aristocratici.
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Ho mangiato malissimo, ma l’amico Karamine non ne ha colpa. Non
siamo andati alla Duma per molte ragioni, ma la principale è questa, almeno
per mio conto, che le strade erano spazzate da raffiche di mitragliatrici.
[126]
La Duma ha deliberato di chiedere nella seduta di domani le dimissioni
del governo e un mutamento di regime.
La rivoluzione è proclamata.
Rincaso a notte. Karamine ha voluto accompagnarmi e osserva che non si
vedono più poliziotti in giro. Che cosa significa ciò?
All’albergo si dice che un ukase264 imperiale ordina la chiusura della
Duma.
— Ciò è perfettamente logico, commenta Karamine.
— E allora?
— E allora domani la battaglia avrà uno scopo diverso da quello che gli
agenti della Germania volevano imporre. Si combatterà per la Duma — e il
governo della nuova Russia sarà al palazzo di Tauride, non nella fortezza di
Pietro e Paolo.
Mentre conversiamo qualcuno sopraggiunge ad annunziare che la polizia
è stata ritirata dalle vie e dalle piazze, e mandata sui tetti delle case, sui
campanili delle chiese, colle mitragliatrici. I reggimenti che fecero cattiva
prova nelle giornate precedenti sono stati sostituiti con altri venuti dalle
vicinanze. Protopopoff è venuto a Pietrogrado da Tsarhoe-Selò.
Alle dodici, quando salgo nella mia camera, la città sembra dormire, ma
questa non è che una falsa apparenza. Tutti vegliano. Le strade sono
deserte: solo qualche spostamento di truppa le anima. Ma nelle case tutti si
preparano al domani. Vegliano i ministri sgomenti, veglia la Duma che è
stata convocata di nuovo, a sera, tardi, per le insistenze di alcuni deputati.
Vegliano gli uomini del Comitato rivoluzionario, [127] illusi e semplicisti —
che sognano un’instaurazione repubblicano-socialista, per un colpo di
bacchetta magica, e vegliano i venduti alla Germania ricontando i denari di
Giuda. La forza bruta, primordiale, inconscia della massa è stata scatenata,
ha rotto gli argini, dilaga spumeggiante, oceano tempestoso sul quale
passano sibilando i venti di tutte le passioni, odî ed amori, istinti ed idealità.
I pochi si preparano a dominare questa forza portentosa, a incanalarla, a
farne, disciplinata, uno strumento di progresso.
Non posso dormire. E d’ora in ora mi passano per la mente turbata le
visioni terrificanti delle rivoluzioni e del Terrore.
12 Marzo.
Si batte ripetutamente alla mia porta. Mi sveglio di soprassalto. Ho dato
ordine che mi chiamassero per tempo. Ma guardo l’ora… sono quasi le dieci.
264 L’ukase, o in russo ukaz, era un tipo di decreto o editto usato nella Russia zarista.
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Il dolce dormire mattutino mi ha tradito.
«L’avvocato Karamine è venuto a cercare di vostra Signoria».
In pochi minuti sono pronto. Il saluto della rivoluzione mi giunge con un
rombo di cannonate. Scendo a precipizio, trovo Karamine pallido e
commosso. Egli mi abbraccia.
— Corriamo alla Duma, amico mio. Il destino della Russia è deciso.
Fuori notiamo che le vie sono sgombre: la Nevski è deserta, da cima a
fondo. Passano pattuglie di soldati, passano slitte armate di mitragliatrici.
Karamine mi annunzia che i dimostranti [128] sono armati, perchè
l’Arsenale è stato preso stamane coll’aiuto di reggimenti che si sono
ribellati. La ribellione fu opera degli ufficiali. Questi sorpresero per le vie dei
soldati dei loro reggimenti, che dovevano invece essere consegnati:
fermatili e interrogatili, si accorsero che si trattava di poliziotti travestiti da
soldati. Alcuni avevano le mostre del Preobrajenski, altri del Volinski. Si dice
che questi reggimenti sieno usciti dalle loro caserme e si sieno uniti alla
folla. Il colonnello del Volinski, avendo voluto arringare i soldati, fu ucciso da
una rivoltellata265. Gli ufficiali stessi distribuirono ai soldati delle bandierine
rosse da inalberare sulle baionette. Molti di questi ufficiali hanno un nome
tedesco e Karamine è d’opinione che questa circostanza non sia trascurabile
nello spiegare la rivolta di reggimenti ritenuti fedelissimi. L’ufficialità tedesca
e tedescofila ha giocato Protopopoff.
Giungiamo nei pressi della Duma, ma è impossibile passare attraverso la
folla enorme, che circonda il palazzo. Rodzianko alle undici ha preso posto
sulla tribuna e ha pronunciato le parole sacramentali: Invito i membri della
Duma ad ascoltare in piedi l’ukase…266
Egli non ha potuto finire, perchè nell’aula è scoppiato un tuono di voci.
L’Estrema gridava: «Abbasso lo czar». La maggioranza del blocco
progressista voleva temporeggiare: i socialisti insistevano per la
costituzione immediata di un governo provvisorio.
L’eco della discussione, le proposte, gli applausi, i nomi degli oratori
uscivano dall’aula, correvano per i corridoi, le sale, il giardino, le [128] vie,
ripetute, declamate, giungevano fino a noi, agitavano la folla, suscitavano
consensi.
Il principe Luov267, il nazionalista Sciulghin, Konovalow, Scingareff, lo
stesso presidente Rodzianko, sono per l’invio immediato di una delegazione
della Duma presso lo czar Nicola II. Questa proposta è aspramente
combattuta dai socialisti.
265 Le fonti sovietiche annotano la provocazione: il colonnello, irritato perché veniva disatteso
l’ordine di sparare contro la folla, sferrò un pugno sul viso di un militare e questi lo uccise.
266 Il decreto dello zar scioglieva effettivamente la Duma di Stato.
267 Il principe Georgij Evgen’evič L’vov (1861-1925), statista ruuso di origine tedesca.
Durante la guerra russo-giapponese organizzò i soccorsi in Oriente; nel 1905 entrò nel
conservatore Partito democratico costituzionale, partecipando nella Duma dal 1906 e
diventando il leader dell’Unione degli Zemstvo di tutta la Russia. Dopo l’abdicazione di
Nicola II, fu Primo ministro del Governo provvisorio, ma si dimise nel luglio 1917 a favore
di Aleksandr Kerenskij. Arrestato dai bolscevichi, fuggì e si rifugiò in Francia.
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— La Duma siede in permanenza e nessun deputato può allontanarsi da
Pietrogrado! Restate col popolo: lo temete voi forse per rifugiarvi nelle
braccia del re? Chi si allontana, tradisce la rivoluzione.
Queste frasi colpiscono i proponenti che non vogliono essere accusati di
tiepidezza. La proposta, debolmente difesa, è respinta. Si delibera di
mandare un telegramma allo czar. Circolano diverse forme. Una versione
dice: «Il governo è sopraffatto dall’anarchia, abbandonato dai soldati,
esecrato da tutti. Bisogna creare un governo che abbia la fiducia del Paese.
Dio faccia ricadere sul nostro capo, non sul vostro, la responsabilità di
questo momento».
Un’altra versione: «E’ suonata l’ora estrema in cui si decide il destino
della vostra dinastia. Tutta la responsabilità di quanto avverrà in seguito
ricade sul Capo dello Stato che gioca coi destini del Paese».
I socialisti non si oppongono al telegramma.
Un deputato nazionalista commenta: «Essi sanno bene che lo czar non lo
potrà ricevere! Proclamate dunque la repubblica!».
Dal mio punto di osservazione, presso l’entrata della legazione degli Stati
Uniti, in via Fourstadskaia, 34, io ascolto questi echi e indovino [130] il
lontano mareggiare della folla dai riflussi che giungono fino a me. A quando
a quando tutti si muovono, tutti si spostano: intorno alla Duma si sono
venuti a schierare migliaia di soldati.
Karamine mi fa osservare che questi soldati sono stati scelti nella piena
sicurezza di averli strumenti passivi di repressione: sono soldati della
Siberia, del Turchestan. Essi vanno a difendere la Duma, che è in pericolo,
perchè… non vuole continuare la guerra.
Questa motivazione mi stupisce a tutta prima, poi la giudico credibile.
Serve alla Duma per aver con sè il presidio delle milizie pietrogradesi, serve
sopratutto ai socialisti per creare uno stato d’animo avverso alla guerra, per
rendere la Duma prigioniera dei soldati ribelli, per afferrare quindi la
supremazia in seno alla Duma stessa. D’altronde per quale motivo, per
quale suggestione si potevano muovere questi figliuoli delle steppe,
semplici, primitivi, ignari di politica, adoratori dello czar?
Evidentemente alla base della rivoluzione militare ci deve essere sempre
un colossale inganno.
Sto discutendo questa tesi con Karamine, quand’ecco la folla si mette in
moto, affretta il passo, ci risospinge verso la Liteiny, mi divide dal mio
amico. Che è avvenuto? Tutti si dirigono al Campo di Marte. Io mi lascio
rimorchiare e noto scene di entusiasmo. Quando si giunge al Marsovo
polé268 comprendo la ragione di quell’improvviso moto della folla. Al di là
della Neva la fortezza di S. Pietro e Paolo è stata presa e la Bastiglia russa è
impennacchiata dalla bandiera rossa. Dense colonne di fumo si alzano al
cielo, punteggiate da un turbinìo di faville, che ricadono poi spente,
volteggiando nell’aria. Dei palazzi bruciano. Mezzogiorno è passato di poco e
la rivoluzione ha già vinto.
268 Campo di Marte.
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13 Marzo.
Ieri sera mi sono rifugiato al mio albergo assai per tempo. Tutta la città
combatteva, nel pomeriggio. Gli insorti erano padroni di tutte le arterie
principali. Le isole erano in loro mani. La polizia superstite si era
asseragliata nelle vicinanze del Palazzo d’Inverno.
Il nostro Albergo, posto sulla piazza del Duomo di S. Isacco, dirimpetto al
Consolato tedesco, e requisito dall’autorità militare, si trovava precisamente
al centro della lotta.
Andai tuttavia a dormire senza preoccupazioni, convinto che in ogni caso
la battaglia nei dintorni doveva esaurirsi rapidamente coll’eccidio di qualche
poliziotto e la resa degli altri.
Ma stamattina ci svegliammo al crepitare delle fucilate. Sparavano contro
l’Albergo. Mi vesto di furia, mentre porgo l’orecchio agli schianti, ai clamori,
alle urla: tutto l’Albergo era in preda allo spavento. Socchiudo la porta… e
scorgo una folla atterrita di signori, di donne, di ufficiali, che guadagna i
piani superiori, e intanto dal basso giunge un frastuono infernale. Vedo fra
quelli che salgono il barone Cantoni, calmissimo, e lo interrogo. — L’Albergo
è invaso dai ribelli. — mi risponde: Io correggo:…. dai rivoluzionari, perchè i
ribelli adesso sono dall’altra parte. Infatti perchè hanno preso [132]
d’assalto l’Albergo Militare? Perchè la polizia che occupava il tetto con una
mitragliatrice ha sparato sulla folla rivoluzionaria, ribellandosi alla nuova
autorità vittoriosa.
Durante la notte tutto il quartiere era occupato, ma l’Albergo era stato
considerato come terreno neutrale, d’accordo col generale che lo dirigeva, a
condizione che non fosse stato commesso alcun atto ostile alla rivoluzione.
Immaginarsi il furore dei soldati quando la polizia aprì il fuoco a tradimento!
Fu questione di minuti, poi la polizia fu sloggiata dal tetto. Ma frattanto una
turba di soldati inferociti aveva invaso l’Albergo, sparando, fracassando,
urlando. L’assalto ai piani superiori fu ritardato dal salone del Ristorante,
dove una trincea gastronomica e un fortino di bottiglie fermarono lo slancio
degli assalitori. Questa pausa mi permise di completare il mio
abbigliamento.
Il tumulto cresce d’intensità: urla, colpi di pistola, usci sbattuti, sfondati,
ordini perentori di ufficiali, strilli di femmine. Corro da una camera all’altra
chiamando i colleghi. Un ufficiale russo continua a pregarci di scendere. Mi
par di intendere il grido: Ruki wierch!269 Alte le mani! E scendiamo. Senza
alzare le mani noi troviamo subito una parola magica per aver libero il
passo. Un soldato si scosta appena noi pronunziamo la parola «Italianski!».
Al pianterreno sono passati i vandali: tutto è rotto, spezzato, contorto;
dei soldati hanno trovato gli strumenti musicali dell’orchestra e se ne
269 In lingua polacca.
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servono per organizzare un concerto da ottentoti270. Fra i rottami di bottiglie
e di stoviglie, [133] rosseggia qualche macchia di sangue. Usciamo. Un
soldato ci ferma. Italianski! Il soldato tenta di irrigidirsi nella posizione
d’attenti, ma non riesce che a ondeggiare lungamente, mentre con un riso
ebete mi presenta le armi, cioè una bottiglia di cognac semivuota.
Siamo sul marciapiede della Morskaia: sulla neve ardono i mobili e le
carte dell’albergo; soldati ubbriachi vanno e vengono dall’albergo: da ogni
parte echeggiano colpi d’arme da fuoco. Affrettiamo il passo per
raggiungere la nostra Ambasciata che è al 43, in via Morskaia.
Una pattuglia di soldati ci ferma, ci fruga indosso per vedere se abbiamo
armi, poi ci conduce all’Ambasciata. Quivi si sono già rifugiati altri italiani,
due ufficiali rumeni. Poco dopo tutti gli italiani che erano all’Albergo Astoria
giungono guidati dal colonnello Origo, con una grande bandiera italiana,
accompagnati dalla folla plaudente. Le grida di Viva l’Italia ripetute dal
popolo e dai soldati ci commovono. Io grido un grazie! sonoro a un
soldatone barbuto e questi mi stringe la mano e mi assorda con una
Strasstonit Italia! che è un colpo di cannone.
All’ambasciata tutti parlano, tutti discutono: nessuno sa riaversi dalla
sorpresa per la inaspettata rivolta militare.
Non so quale sia stata a tale proposito la perspicacia del nostro
ambasciatore, nè mi curo di saperlo. So che il marchese Carlotti è un
diplomatico e quindi ha le virtù e i difetti della nostra diplomazia. La quale è
vecchia, pedante, piena di acciacchi, e si esaurisce nello sforzo stilistico
della selezione e della dosatura dei [134] vocaboli. Inoltre questa vecchia è
una sfinge, ha una maschera impenetrabile… e custodisce il proprio vuoto.
Ciò che mi colpì arrivando all’ambasciata italiana, fu l’assenza di una
bandiera italiana esposta a tutela della nostra sede, e ciò che mi fece
ammutolire fu l’apparire d’un impiegato, che alle mie rampogne corse a
scovare non so dove un tricolore che… non era il tricolore italiano. De
minimis non curat praetor!271
Giungono frattanto amici di Pietrogrado a cercare di noi. Tutti sono felici
di ritrovarci. Nel pomeriggio capitò trafelato l’avv. Karamine, e mi gettò le
braccia al collo. Dopo le prime cordiali effusioni, egli vuol condurmi fuori. Mi
decido a seguirlo, a condizione che alle cinque mi riconduca all’Albergo
Astoria, dove mi si assicura che potrò ricuperare la mia roba, salvo l’acqua
per toilette bevuta dai soldati. Poscia torneremo all’Ambasciata a passarvi la
notte.
Le vie della città portavano le traccia della lotta: mure scrostate,
sforacchiate, insegne abbattute e contorte, vetri rotti, finestre, porte chiuse
ermeticamente. I rivoluzionari scorazzano da un capo all’altro facendo la
270 Gli Ottentoti (o Ottentotti), popolazione sudafricana stanziata a nord del fiume Orange,
usa primitivi strumenti a percussione per ottenere il ritmo. Fu il letterato Giovanni Berchet
(1783-1851) a dare l’appellativo di “ottentoti” ai lettori rozzi e incapaci di aprirsi alla
cultura.
271 Locuzione latina che significa: il pretore non si occupa di cose minime, ossia chi copre alte
cariche non può prendere in considerazione le quisquilie.
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pulizia della città: sono alla caccia dei…. ribelli. Passano automobili della
Croce Rossa, cariche di soldati, coi fucili incrociati fuori dai finestrini:
passano camions pieni d’armati, in gruppo intorno a uno straccio rosso: uno
reca per insegna il ritratto del granduca Nicola Nicolaievitch. Delle staffette
corrono avvicendandosi di ora in ora e distribuiscono fogli volanti colle prime
notizie. Qua e là gruppi di soldati sbandati, faccie torve che vanno o che
tornano dal saccheggio, [135] qualche ubbriaco, automobili con
mitragliatrici blindate piene di studenti. Nere colonne di fumo s’alzano da
ogni angolo della città: sono i palazzi dei ministri, le sedi dei commissariati
di polizia, le prigioni politiche, in fuoco. Ad uno ad uno gli uomini del vecchio
regime sono scovati, arrestati, condotti alla Duma, mentre i gendarmi e i
poliziotti sono giustiziati sommariamente. Dopo aver percorso alcune vie
secondarie assieme con Karamine, una pattuglia di soldati guidata da un
ufficiale, ci ferma, si informa dell’esser mio, mi ordina di tornare
all’Ambasciata. Non si può replicare: obbedisco. Karamine mi lascia nell’atrio
dell’ambasciata. Mi porterà notizie stasera.
.
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.
.
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.
.
L’incidente del tricolore al quale ho accennato non mi esce di testa. E’
umiliante per un italiano. Non vorrei nemmeno registralo qui fra i miei
ricordi. E invece rincaro la dose. Bisogna sfogare il dispetto e l’ira. Vorrei
proclamare ai quattro venti quello che avviene all’Ambasciata di Pietrogrado.
Ecco un episodio.
L’altro ieri mi reco in cancelleria per sapere come mai le nostre
sollecitazioni intese ad ottenere il mezzo di lasciare Pietrogrado non
ottengano risposta. Sono ricevuto dal consigliere Nani Mocenigo (oh
memorie di veneti ambasciatori!)272 il quale mi grida: Avanti! s’accomodi,
cavaliere! Ma, per carità, non si levi la pellicia! Io vedo con sorpresa che lui
stesso, Mocenigo, e un giovane applicato seduto davanti la macchina per
scrivere, sono impellicciati, e ascolto con ancora maggior sorpresa che
l’egregio [136] consigliere impartisce all’inserviente degli ordini in tedesco.
Esprimo con mal frenata indignazione questa mia sorpresa…. Ma che
sorpresa! L’egregio signor consigliere Nani Mocenigo mi riserva la sorpresa
delle sorprese. Egli mi spiega come sia nell’ordine naturale delle cose l’uso
della lingua tedesca, perchè è vero che noi siamo all’ambasciata italiana, ma
è pur vero che la governante, la direttrice, la maitresse, non so come
chiamarla, dell’Ambasciata è la signorina. La signorina!? La signora di Monza
di manzoniana memoria? No, la signorina…. di Vienna, quella che lesina la
legna per le stufe, e i pennini e le matite per gli scrivani. Mi chiedo se al
cancelliere ha dato di volta il cervello: ma, nossignori! La signorina è una
realtà: la sua esistenza mi è confermata da tutti: inservienti, portiere,
impiegati, tutti la subiscono, tutti la temono. La signorina…. di Vienna
272 Il nome Nani Mocenigo è storicamente l’unione, avvenuta per via ereditaria nel XIX
secolo, di due famiglie venete: i Nani e i Mocenigo. Nella famiglia dei Nani sono noti due
statisti e ambasciatori a Costantinopoli: Ermolao (1559-1633) e Agostino (1555-1627); in
quella dei Mocenigo vi sono stati sette dogi della Repubblica di Venezia.
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comanda anche all’ambasciatore? Mah! Andiamo a dormirci sopra e non
scriviamo parole inutili. Il mondo cammina a suo modo, e sopra… le
signorine di Vienna e gli ambasciatori di sua Maestà, c’è lo stellone d’Italia.
Ma se cascasse sulla testa, colle sue cinque punte, a chi dico io, lo stellone
d’Italia!
14 Marzo.
Eccomi il resoconto fattomi ieri sera da Karamine.
La rivoluzione ha vinto. La Duma ha costituito un governo provvisorio273.
Gli uomini del vecchio governo sono prigionieri. Non vi è più un soldato per
la reazione. I socialisti hanno [137] in parte raggiunto il loro scopo che non
era soltanto quello di ottenere un governo costituzionale, ma quello di levar
di mezzo lo czar. Questi non ha risposto, come era prevedibile, ai
telegrammi di Rodzianko e si è quindi giunti alla costituzione di un governo
provvisorio. Di esso fanno parte i socialisti i quali vogliono guadagnar tempo
e controllare l’opera della Duma. Questa ha con sè gran parte della
popolazione e l’ufficialità: ma i socialisti sono seguiti dalla massa operaia e
dalle truppe. Un governo, il vero governo, siede al Palazzo di Tauride: un
altro governo però dirama ordini e manifesti dalla fortezza di S. Pietro e
Paolo274.
Ieri sera ci fu annunziato che partiremo il 16 sera.
15 Marzo.
Stamane si ebbe una ripresa di fucileria che divenne poi intensa nelle ore
pomeridiane. Ho dovuto fare numerose corse fra la Newsky, dove si trova
l’Albergo dell’Orso, e l’Ambasciata e l’Albergo Militare: durante il percorso
intesi sempre il crepitìo delle mitragliatrici, proveniente dal Palazzo
d’Inverno. Sono gli ultimi aneliti della resistenza della polizia.
La città comincia a rianimarsi e la Newsky è assai popolata, sebbene
273 Tecnicamente non fu la Duma a costituire il Governo provvisorio (o, ufficialmente,
Comitato provvisorio), in quanto sciolta dal decreto zarista, ma il “Comitato della Duma di
Stato” (presidente l’ottobrista Michail Rodzjanko) con il compito di «ristabilire l’ordine a
Pietrogrado e mantenere i contatti con le istituzioni e le persone». Il primo Governo
provvisorio – uscito da una mediazione tra Duma e Soviet degli operai - fu presieduto dal
liberale moderato principe L’vov, al Ministero degli Esteri fu posto il cadetto Pavel Miljukov
e a quello della Giustizia il socialista rivoluzionario Aleksandr Kerenskij. Il Soviet degli
operai (nato nel 1905) diventò ben presto una sorta di contropotere per il governo che
non prendeva decisioni senza consultarli (creando la cosiddetta “dualità di poteri”) e, in
effetti, tra loro vi fu molta collaborazione, ma la partecipazione alla guerra e la mancata
riforma agraria li divise irrimediabilmente portando alla Rivoluzione d’Ottobre.
274 I detenuti usciti dalla fortezza di Ss. Pietro e Paolo si erano spontaneamente divisi in due
gruppi: i bolscevichi andarono sulle barricate, i menscevichi al palazzo della Tauride, dove
si riuniva la Duma.
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quasi nessun negozio si sia riaperto. Le «Isvièstje»275, fogli volanti, si
succedono a brevi intervalli. Una prima annunzia che la notizia della
rivoluzione aveva deciso lo Czar, che si trovava al fronte, a ritornare: il treno
era stato fermato a Bologoia, a 300 verste276 da Pietrogrado. La ribellione
essendosi rapidamente diffusa a Mosca, Karkof e Kiew, [138] quasi senza
spargimento di sangue, il treno potè essere fermato dai rivoluzionari, che
comunicarono allo czar l’intimazione della Duma di abdicare. Questi pare
abbia tentato prima di andare a Mosca, sperando forse di trovarvi aiuto, poi
a Tsarkojè Selo per visitare il figlio, malato di rosolia: al rifiuto dei
rivoluzionari chiese di essere condotto a Pietrogrado, ma anche questo gli fu
negato.
Alle 5 ½ pomeridiane uscì un bollettino recante l’abdicazione dello czar.
Alle 8 di sera, un ultimo bollettino annunzia essere avvenuta una tregua
fra il governo provvisorio e i socialisti del Comitato rivoluzionario, in virtù
della quale durante tre mesi i socialisti sospendevano qualsiasi attacco al
governo, e questi si impegnava entro tale termine a convocare una
Costituente. Verso sera ogni ostilità era cessata.
16 Marzo.
La città riprende l’aspetto normale. La Duma ha dichiarato decaduto lo
czar, e lo ha fatto tradurre in arresto a Tsarkoje-Selo.
Questa sera partiamo da Pietrogrado. Faccio una corsa per salutare
Karamine. Lo trovo a casa sua, indisposto.
— Mio caro, ho la testa stordita. Tutto quello che è avvenuto è stato così
grande, così fulmineo… Ma vedi, la mia gioia è un po’ turbata da brutti
presentimenti. La città è giubilante: le vie sono percorse da fiumane di
popolo che inneggia alla sua grande vittoria. Ma io non so sottrarmi al
pensiero di domani… Ti parrà strano trovare un socialista russo così tiepido,
[139] così esitante in questo momento. Ma è così. La rivoluzione confida
troppo in sè stessa e non pensa che i suoi nemici vivono nel suo seno.
Hanno spalancato le carceri e sono venute fuori a gridare viva la repubblica!
tutte le spie tedesche, messe al sicuro con tanta fatica. Hanno arrestato lo
czar e poi lo hanno dichiarato decaduto… Ora parlano del signor Nicola
Romanov, semplicemente, ma che ne penseranno i contadini per i quali lo
czar è il sole? Ho l’impressione che noi abbiamo corso troppo e che la
questione della forma di governo rimanga sul tappeto. La Duma ha avuto
momenti di debolezza e di esitazione. Ma essa si riprenderà. Il suo compito
è quello di salvarci ad un tempo dall’invasione straniera, dall’anarchia e dal
disfacimento della nostra unità nazionale.
Esprimo a Karamine la mia speranza per l’avvenire della Russia. Le forze
275 Izvestija (Notizie) era il quotidiano russo fondato nel 1917 a Pietrogrado, diventò l’organo
ufficiale del governo bolscevico e poi del Soviet supremo dell’Urss.
276 Una versta è pari a 1066,8 metri.
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disintegratrici si elideranno a vicenda: ogni eccesso chiamerà all’azione di
difesa le masse rimaste passive. La minaccia straniera che è l’incubo più
grave di ogni patriotta russo, sarà invece il cemento unificatore dei popoli
russi. La guerra diventerà guerra rivoluzionaria e nazionale, e l’unità morale
che gli czar non avevano potuto dare alla Russia, sarà conquistata traverso
prove eroiche e dolorose.
Karamine mi ringrazia con effusione. Io lo lascio pensando che i socialisti
russi dovranno come lui, uno dopo l’altro, arrendersi alla realtà della Patria
e convenire nell’ideale legame mazziniano, per cui Patria e Umanità sono
termini inscindibili ed egualmente necessari al Progresso. [140]
EPILOGO
Abbiamo lasciata la capitale russa alle 22,30 del 16 sera e siamo giunti a
Romanov il 24 Marzo. Il viaggio fu disastroso. Esaurimmo presto la scorta
dei viveri che con gran fatica ci eravamo procurati a Pietrogrado. Per il
calore dei vagoni la carne si alterava: esposta all’aria esterna il gelo la
trasformava in una specie di legno durissimo. Soffrimmo la fame. La
lentezza del convoglio era esasperante, le fermate in aperta campagna o
presso stazioni deserte, erano interminabili.
Il treno portava un drappello di marinai incaricati di scendere a tutte le
stazioni, disarmare la polizia, comunicare la nuova della rivoluzione
trionfatrice. Non si ebbe alcun episodio di resistenza e nessuno di
entusiasmo. Quella gente sperduta in quelle gelide tristissime solitudini,
sembrava troppo assente dal mondo per interessarsi gran che alle vicende
politiche del popolo.
Incontrammo lassù dei prigionieri e la loro sorte così disgraziata ci
commosse fino alle lagrime. Ricordo di aver a stento trattenuto le lagrime
parlando con un prigioniero austriaco che da due anni si trovava segregato
dal consorzio umano. Era un commesso di negozio a Vienna.
A Romanow rimanemmo dal 24 Marzo al 6 Aprile, a bordo della
Tsarisza277. Furono giorni di lunga noiosa attesa, rallegrati tuttavia dalla
[141] presenza della marchesina Puleio di Cassibile278. Povera signorina!
Come tardi io le rendo giustizia nelle mie memorie! Ci ha seguiti durante
tutte le nostre peregrinazioni, ma essa è sempre rimasta modestamente
nell’ombra, proprio come la violetta. Un po’ perchè ella lo ha voluto, e un
po’ perchè coloro che si curavano della procedura, i formalisti della
Missione, davano l’ostracismo alla donna…. Una donna non può far parte
277 Carica: zarina, imperatrice.
278 Cassibile, tra Siracusa e Avola, è antico feudo concesso dai Borboni a Silvestro Loffredo di
Messina nel 1797 insieme al titolo di Marchese di Cassibile. Alla fine dell’Ottocento lo
ereditò la famiglia Pulejo.
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della Delegazione ufficialmente riunita. Quali scrupoli! In Russia, il paese
delle donne! Ma la marchesina tanto discreta ha il suo quarto d’ora a
Romanow. La missione ufficiale, arcigna, pedantesca, sbadiglia, si annoia,
non sa più come ammazzare il tempo: la marchesina invece ha trovato il
modo di far disperare tutti i parrucconi. Cara e buona e intelligente
fanciulla! Con quali occhi ho guardato, dopo tante vicende tragiche, fiorire
nel gelido porto un idillio fresco e profumato, come fioriscono sulle rive
beate de’ nostri paesi! Quanta innocente poesia! quanta soavità di vita! Ed
ecco i maldestri turbare i sogni, rompere le ragnatele d’argento…. Io ero il
vostro protettore, vi ricordate, marchesina? E ho sofferto un pochino
anch’io, da vero papà, quando il Corvo partì due giorni prima di noi
coll’ufficiale polacco…. Lo risparmino i siluri quel povero Corvo! Ma che
nome antipatico! E perchè mettere un corvo sul mare?
Il 6 aprile trasbordammo dalla Tsarisza sull’Umtali279, un cargo-boat
sudicio, privo di ogni comfort, che ci condusse al nord fin verso il 74°
parallelo per sfuggire ai sommergibili, e dopo dieci giorni di navigazione si
sbarcò a Liverpool il 16 aprile alle ore 14. [142]
Un barbiere, un bagno… mi ridiedero un aspetto civile, e poi via per
Londra, via per il collegio di South Ascot, dove mi aspettava la mia figliuola.
La marchesina Puleio di Cassibile mi accompagnava.
E nel bacio della mia figliuola, come sempre, svanì ogni tristezza, ogni
preoccupazione, e tornai per un’ora un giovane di liete speranze al braccio
di due belle eleganti signorine.
279 Umtali è nome ricorrente nella flotta inglese, indicando l’antica città della Rhodesia
meridionale (oggi Zimbabwe) diventata nel 1895 colonia britannica.
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