Prefazione
di Mohamed Charfi *
Questo libro è da salutare per vari motivi. Prima di tutto, è il frutto
di un lavoro colossale, di una ricerca approfondita e meticolosa il cui
risultato è un contributo importante alla conoscenza dell’islam come
religione, del pensiero islamico e soprattutto dei fondamenti del diritto musulmano.
Il libro è al confine tra il saggio ed il testo enciclopedico. È un
saggio nel senso che l’autore non nasconde le sue opinioni. Da tempo
è conosciuto per il suo impegno a favore dei diritti dell’uomo e per la
sua opposizione a qualsiasi norma e comportamento che potrebbero
ledere questi diritti. Questo libro rientra nella linea direttrice della
sua opera. Esso è di natura enciclopedica non solo perché studia tutti
i gruppi islamici, a cominciare dai sunniti e dagli sciiti, ai quali ci
s’interessa di solito nei libri dedicati al grande pubblico, ma anche
perché esamina tutte le sette minoritarie, che hanno un numero esiguo di credenti. L’autore s’interessa inoltre a tutte le epoche del pensiero islamico, da quella dei compagni del Profeta fino agli autori di
oggi, e a tutte le tendenze, dai classici del passato ai moderni.
Tuttavia, il libro non può essere esaustivo. Il patrimonio intellettuale islamico è così vasto che è impossibile citarne tutti gli autori e
presentarne tutti i punti di vista, a meno di voler scrivere un’opera di
decine di migliaia di pagine. L’autore ha dunque dovuto fare delle
scelte prendendo in considerazione soltanto quello che gli sembrava
essere più importante.
È probabile che gli islamisti non apprezzeranno le sue scelte. Non
gradiranno che in questo libro si ponga l’accento sull’esistenza nella
shari’ah di norme incompatibili con la democrazia e i diritti dell’uomo. Anche se l’essenziale del loro programma è il ritorno a un diritto
* Professore emerito alla facoltà di Giurisprudenza di Tunisi ed ex ministro
dell’Istruzione.
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IL DIRITTO ISLAMICO
musulmano di cui rifiutano ogni revisione, è chiaro che preferirebbero dimenticare l’esistenza di certe norme... fino al giorno in cui saranno al potere. Tra quelli che fanno dell’islam uno strumento di lotta politica, non pochi saranno quelli che rimprovereranno l’autore
per aver citato questo o quel hadith, perché non ne condividono la
scelta e dunque avanzeranno dubbi su di essi, adducendo come pretesto che sono rimasti minoritari o diventati arcaici e che quindi oggi
non sono più in vigore e sono, per il momento, da non far conoscere.
Crederanno che l’autore non voglia presentare l’islam sotto la sua miglior luce.
Invece, le scelte dell’autore non offenderanno il musulmano medio, che non confonde la religione con la politica e che sa che la shari’ah è essenzialmente un’opera umana che cambia col tempo. Affinché l’autore sia considerato onesto e imparziale e il suo libro scientificamente valido, al musulmano basta che egli non abbia deformato alcuna citazione, che i fatti del passato citati siano ripresi da storici attendibili e che le esposizioni sintetiche delle teorie e delle opinioni
presentate siano corrette.
Ciò non esclude che ci si possa interrogare sulla fondatezza dell’approccio puramente “giuridico” o “formalistico”. Porre ogni norma nel suo contesto storico è metodologicamente più corretto soprattutto quando si esprimono valutazioni che somigliano a giudizi sul
merito. Per esempio, ci si può chiedere se è giusto dire che, contrariamente al Vangelo, i testi sacri del giudaismo e dell’islam contengono norme a valore giuridico senza ricordare le circostanze storiche
nelle quali ogni religione s’è sviluppata. È necessario ricordarsi che
nella concezione islamica sia Gesù che Maometto sono considerati
dei profeti che hanno incontrato una viva opposizione nell’ambiente
in cui hanno predicato. L’essenziale differenza storica dal punto di
vista dei fatti è che questa opposizione s’è conclusa con la crocifissione di Gesù, cosa che Maometto è riuscito a evitare fuggendo dalla
Mecca. Così i compagni di Maometto riuscirono a costituire uno Stato e a costituire un sistema giuridico, mentre i sacerdoti cristiani non
poterono imporsi che tre secoli dopo la scomparsa di Gesù. Ma anche loro, appena si sono impadroniti delle leve del potere dello Stato,
hanno sviluppato il “diritto canonico”.
In realtà, ogni volta che un gruppo umano arriva a governare e a
usare la religione per legittimare il proprio potere, riesce a imporre la
sua legge e a elaborare un sistema giuridico autoritario, criticabile da
vari punti di vista. Per esempio, si può rimproverare al diritto ebraico
e al diritto musulmano d’autorizzare la poligamia; ma nemmeno il divieto del divorzio previsto dal diritto canonico è accettabile. La diffi18
PREFAZIONE
coltà è la stessa per tutti i diritti religiosi, prodotti delle antiche civiltà. Coloro che detengono il potere utilizzano la religione per farsi
obbedire; per questo le norme del diritto assumono un carattere religioso che le rende immutabili. Ci si deve di conseguenza impegnare
in modo da far evolvere il diritto senza far cambiare la religione. La
soluzione è la separazione tra Stato, la sfera del diritto e la politica da
un lato e la religione dall’altro. In Occidente s’è imposta la laicità per
uscire dall’impasse. Nel mondo musulmano si cerca una soluzione
coerente con le particolarità dell’islam, una soluzione che possa consentire l’ammodernamento dello Stato e del diritto pur mantenendo
l’essenziale della religione. Nell’ambito del tourath (il patrimonio islamico) è possibile fare la distinzione tra il divino e l’umano e, nell’ambito dei versetti coranici, tra il circostanziale e l’eterno.
Optando per una soluzione che distingua la prescrizione veramente divina da tutti i sedimenti depositati dalla storia e che permetta di
rivedere il Corano collocando ogni versetto nel suo contesto, nel corso
degli ultimi decenni il mondo musulmano si è evoluto molto. Così il
diritto – nei suoi rami penale, commerciale, costituzionale – si è molto
trasformato nella grande maggioranza dei paesi musulmani. Solo nei
paesi dell’islamismo radicale (l’Iran) o dell’islamismo tradizionale (i
paesi del Golfo) ci si aggrappa ancora a un diritto musulmano più che
millenario. In qualsiasi caso, anche in questi paesi su molti punti si è
dovuto procedere a un aggiornamento.
Sami Awad Aldeeb Abu-Sahlieh ci promette di pubblicare prossimamente un altro libro sull’attuale legislazione degli Stati musulmani.
Certamente sarà un’opera molto importante che permetterà il raffronto tra quei paesi che hanno potuto avanzare sulla via delle riforme e
quelli che si sono autocondannati all’immobilismo; così facendo, ci
permetterà di misurare l’ampiezza delle riforme introdotte, le loro
conseguenze sociali e il cammino che rimane ancora da fare.
Ma la via delle riforme è piena d’ostacoli. Le forze conservatrici
hanno i mezzi per bloccare l’evoluzione delle società musulmane; minacciano infatti di farle arretrare. Oggi il mondo musulmano fa molto
parlare di sé ed è sovente teatro di violenze che superano i suoi confini. Ciò dimostra quante sono le difficoltà che scaturiscono dalle
transizioni che lo agitano.
Questo libro ha il merito di spiegare chiaramente ai lettori occidentali il diritto musulmano nella sua visione classica ed esplicitare il
cammino che i popoli musulmani devono percorrere per modernizzarsi e colmare il loro ritardo storico. Allo stesso tempo, i lettori constateranno che alcuni versetti del Corano sono indubbiamente in contraddizione l’uno con l’altro, che certi hadith sono ugualmente in19
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compatibili tra di loro e che ci sono dei versetti e degli hadith in netto contrasto gli uni con gli altri, cosa che dà luogo a interpretazioni –
necessariamente umane – che devono cambiare col tempo. Comunque sia, la grande varietà di punti di vista è una ricchezza.
In conclusione, il pensiero islamico non è il regno delle certezze –
certezze che sono state troppo spesso la causa di derive autoritarie e
di soprusi –, ma quello dell’interrogazione continua e della ricerca
costante.
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