La Voce del Leone I.I.S. “Roncalli-Sarrocchi Anno XI n° 4 Gennaio 2017 Un Leone “illuminato” Viaggio nel secolo delle Rivoluzioni La Voce del Leone contatti: Anno XI n°4 Gennaio 2017 Facebook.com/giornalinoLaVocedelLeone Blog: La-voce-del-leone 1.webnode.it IN QUESTO NUMERO: 4-7 10-14 8-9 la battaglia di Virginia Capes La rivoluzione industriale La rivoluzione francese Un Viaggio nel Tempo 2 Editoriale 15 Robespierre 16 Storia dell'Illuminismo 17 18-19 20-21 22 Tre grandi filosofi Montesquieu Voltaire Il Deismo 23 Blaise Pascal 27 Adam Smith 28-29 Mozart 30 La vaccinazione Le nostre Rubriche: 24-26 Le Grandi Biografie 31 Le recensioni del Leone Copertina e terza pagin a a cura di Matilde Leoncini a cura di Roberta Santonastaso a cura di Tommy Laurino Pag. 2 Editoriale Dopo la pausa “fiorentina”, riprendiamo il viaggio nel tempo approdando al “secolo dei lumi”. Certamente avrete notato che il nostro Leone,seduto accanto a Mozart e in compagnia di Voltaire,Montesquieu e Rousseau, è perfettamente a suo agio tra quei grandi. Il Settecento è stato un secolo di rivoluzioni e di grandi ideali; di pensatori ed innovatori;di menti “aperte” e di grandi speranze....e questo,certamente, nessuno lo può negare! Eppure il “dubbio” è stato il grande motore di quegli anni;le certezze non esistevano più,la massima cartesiana “Cogito ergo sum” era condivisa e nulla appariva casuale, dato che la Ragione era la fonte prima della conoscenza....eppure anche allora c'era qualcuno che aveva delle riserve.... «Sapere aude! Abbi il coraggio di Emmanuel Kant,il grande filosofo tedesco, allora scriveva: servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo. Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: — Non ragionate ! — L'ufficiale dice: — Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. — L'impiegato di finanza: — Non ragionate, ma pagate! — L'uomo di chiesa: — Non ragionate, ma credete! » Voglio appropriarmi delle parole del grande filosofo per recuperare un poco di “realismo”. È vero che se non ci fossero stati gli illuministi,forse, la civiltà dell'Occidente non sarebbe la stessa;tuttavia di quei valori (Libertà,Uguaglianza,Fratellanza,Tolleranza) quanti sono stati realizzati? Alla luce della Storia ,ed anche della cronaca,potrei dire che non lo sono stati,affatto! Ma forse sono solo una pessimista. Certamente la nostra civiltà è più egualitaria di un tempo;forse è anche più libera;ma la tolleranza e la fratellanza che fine hanno fatto? Papa Francesco non passa giorno che non si appelli ad esse ed inviti i cristiani ,e non solo, ad essere più tolleranti e fraterni verso il “prossimo”. È un papa, e penso che non potrebbe fare altro che questo;in fondo il suo “ruolo” glielo impone;tuttavia cerco di mettermi nei panni di coloro che vivono tra mille difficoltà ,economiche e non solo, e capisco la loro rabbia nei confronti degli “immigrati”, o “clandestini” come vengono chiamati talora. È difficile essere tolleranti,lo si può essere in astratto, ma la vita reale è un'altra cosa. E l'Uguaglianza ,che gli illuministi invocavano, esiste davvero? La società in cui vivo propone ,forse, un'uguaglianza “relativa”;c'è sempre qualcuno “più uguale” degli altri... Ed anche la Libertà...talvolta mi sembra che vacilli! Bisogna fare delle distinzioni. Che cos'è la Libertà? Si è “liberi da” o “liberi di”?Libertà significa solo essere liberi da “vincoli” e da “padroni”;oppure è molto molto di più? Nel Settecento,dopo secoli di Assolutismo,Libertà significava essere liberi da vincoli,essere liberi dalla superstizione e dal bigottismo,ma oggi? Esistono davvero la “libertà di pensiero” e la “libertà di parola”? Qualcuno mi risponderà di sì,che esistono;ma io qualche dubbio ce l'ho, comunque! Troppo spesso sento “notizie” date ad uso e consumo di chi ha il potere (economico o politico). La “libertà di parola” è la più difficile da esercitare,lo è più di quanto non sembri! Essere liberi davvero non è semplice! Adesso vi lascio al numero che state per sfogliare, spero che sia utile per farvi un'idea del “secolo dei lumi”. Buona lettura Patrizia Davini Pag.3 Stati Uniti d'America e Francia insieme per la Libertà Leo George Washington “Liberté, Égalité, Fraternité“ Pag.4 La Battaglia dei Virginia Capes (Chesapeake) ovvero Come la Francia contribuì alla vittoria delle 13 colonie americane Carissimi lettori, ritorno a parlare di guerre sul mare per spiegarvi come sia stata decisiva una battaglia, combattuta tra la Marina inglese e quella francese, ai fini della guerra d'indipendenza americana. Può apparire persino assurdo che l'antica rivalità anglo-francese abbia condizionato ad un punto tale la Storia da diventare decisiva in un conflitto che pareva ormai appannaggio del trono inglese,ma fu proprio così! Adesso vi spiego come andò. Per la prima volta nella sua storia la Francia aveva deciso di volgere le sue attenzioni al mare e dopo le battaglie di Velèz-Malagà e quella dei cardinali, la marina francese sembrava che avesse cessato di esistere, ma grazie all’impegno e all’intelligente amministrazione di Étienne François de Choiseul, la rinascita della Marina Francese fu un vero e proprio miracolo.Il suo eccellente lavoro gli valse grande fama. “Ogni provincia volle il suo nome a poppa di una nave della quale avrebbe sovvenzionato la costruzione”. Il piano di Choiseul prevedeva la costruzione di 80 navi di linea e 44 fregate. Nel 1771 il piano di costruzione era già a tre quarti della sua realizzazione, gli arsenali erano abbondantemente provvisti, fu costruita un’Accademia Navale e furono fondate scuole di medicina navale a Tolone, Brest e Rochefort. Il 6 febbraio 1778 Beniamino Franklin, firmò assieme agli “Insurgents”, un trattato di alleanza con il re di Francia. Di nuovo loro due, faccia a faccia; l’una contro l’altra. La Marina Britannica e la rinata Marina Francese riaccesero le ostilità dopo poco più di quindici anni. Alle undici del 27 luglio 1778 la squadra di Louis Guillouet D’Orvilliers, forte di trenta vascelli e sedici fregate, riuscì a causare gravi danni a quella dell’ammiraglio Keppel che ne contava quindici di linea e dieci fregate.“Lo stato in cui si trovavano le sue navi non gli aveva lasciato scelta su quanto conveniva fare” queste erano le parole scritte nel suo rapporto all’Ammiragliato inglese. Tra le unità del comandate francese spiccava una fregata da ventisei pezzi; la Survelliante capitanata da Charles Louis Du Couedic che fece parlare di sé per le numerose imprese, tra cui il 12 marzo 1779 l’affondamento di una nave corsara al soldo della marina britannica e la cattura, il 19 aprile successivo, di una fregata inglese da 22 pezzi. Il giovane comandante dichiarava apertamente che la Survelliante sarebbe stata “La sua tomba o il suo carro trionfale”. La Fortuna decise che sarebbero stati sia l’uno sia l’altro. L’ammiragliato francese decise di affidargli una missione di ricognizione nelle acque di Brest, il 4 ottobre 1779 e la Survelliante e la sua nave scorta il Quebec si scontrarono con il Rambler, Pag.5 vascello ugualmente armato del tenente George, e la nave scorta L’ Expedition, al servizio dell’ammiraglio Keppel. La Surveillante aveva il vento a favore e alle ore 11 iniziò il combattimento aprendo il fuoco per prima. Lo scontro durò più di un’ora, fino a quando un colpo di genio di Du Coudeic riuscì ad evitare il colpo alla prua tentato dal Rambler con una bordata. I danni subiti furono ingenti, soprattutto alle alberature, per entrambi i vascelli, ma il peggio arrivò tre ore dopo, quando le due navi si scontrarono. Il Rambler affondò e L’Expedition subì ingenti danni. Il Quebec ebbe il duro compito di tirare in salvo tutto l’equipaggio della nave ammiraglia, compreso il capitano Du Coudeic, gravemente ferito. La Francia accolse con grandi festeggiamenti il giovane capitano e l’Inghilterra fece altrettanto per il tenente. Purtroppo la gloria del giovane capitano non durò molto, egli si spense dopo tre mesi dalla battaglia, il 7 gennaio 1780. A Brest fu eretta una statua in suo onore con una stele marmorea che recita “Giovani allievi della marina, ammirate e imitate l’esempio del valoroso Du Coudeic”. Nello stesso momento, circa quindici giorni dopo l’epico scontro di cui ho parlato prima la neonata Marina Americana, rendeva omaggio a uno dei suoi primi grandi eroi, uno scozzese che era passato da poco dalla parte degli “Insurgents”: John Paul Jones. Breve fu la sua carriera ma molto intensa. ”Ha nella sua cripta della cappella di Annapolis, una sepoltura la cui magnificenza è paragonabile a quella di Napoleone.” Fece parlare di sé l’1 novembre 1777 quando riuscì a catturare due navi sulla rotta per Nantes. John Paul Jones, nel 1778, si fece un gran nome per aver catturato, dopo aver messo a ferro e fuoco il porto di Whiteheaven, la H.M.S. Drake, che fu la prima nave da guerra britannica caduta in mano alle ex colonie. Nel 1779 la Francia fece omaggio alla Marina Americana della Duc-DeDuras, un bastimento dotato di quarantotto pezzi d’artiglieria, in seguito ribattezzato Bonhomme-Richard in onore dell’opera di Benjamin Franklin “Poor Richard’s Almanac”. Il 19 giugno dello stesso anno La Bonhomme-Richard salpò con altre cinque imbarcazioni, tra cui una fregata da trenta pezzi, L’Alliance, agli ordini di Landais, francese, un personaggio molto bizzarro e stravagante. La crociera iniziò male, la Bonhomme-Richard e L’Alliance entrarono in collisione per via di una manovra sbagliata di quest’ultimo. Ripartite il 14 agosto, fecero alcune prede nel Mar d’Irlanda, e poi tentarono un’incursione nel Firth of Forth; ma fu un buco nell’acqua per via dei venti contrari e dalle “fantasie” di Landais, che voleva fare di testa sua. Il 21 settembre, l’estroso capitano riuscì a catturare altre tre navi, nei pressi del porto di Flamborough ma due giorni dopo capitò davanti ad un ricco convoglio di quarantuno vele, sotto la scorta della fregata Serapis da quarantaquattro pezzi agli ordini del capitano di vascello Richard Pearson, e della nave ausiliaria Countess of Scarborough. L’incontro avvenne a poca distanza dalla costa, tanto che da Flamborough migliaia di cittadini si ammassarono sulla costa per assistere a quello che sarebbe diventato il più sanguinoso combattimento nella storia delle guerre sul mare. Pag.6 Protagonisti dello scontro furono, indiscutibilmente, la Bonhomme-Richard e la Serapis, perché il caro Landais decise furbescamente di descrivere un cerchio concentrico sparando colpi a caso che andarono a disperdersi, un po’ tra gli inglesi e un po’ tra i suoi alleati. Le due navi procedevano in linea retta scambiandosi colpi quando, a un tratto, sulla nave di John Paul Jones avvenne un’esplosione interna che mandò in avaria più di dieci pezzi di artiglieria. Nonostante la schiacciante superiorità tattica e di armamento ed anche alla maggior esperienza dell’equipaggio inglese, Jones tenne duro fino all’ultimo. Celebre è l’episodio che vide alcuni dei suoi marinai, sconvolti e affranti per lo scontro, chiedere al comandante di issare bandiera bianca. La risposta fu:“No! Affonderò, piuttosto.Non ammainerò mai!” e preso il portavoce Jones, gridò ˂ agli avversari Non ho ancora neppure cominciato a combattere! ˃. Il bello doveva ancora venire! La Bonhomme-Richard faceva acqua da tutte le parti e l’unica soluzione era l’abbordaggio. Alle 20:30 le due navi accostarono e partì l’abbordaggio. Jones ordinò di liberare i prigionieri che si trovavano a bordo del Serapis e questi furono ben lieti di dargli man forte. Alle 22:30 Pearson issava bandiera bianca. Il Serapis fu consegnato agli americani e Jones dopo averlo riparato, vi fece un ritorno trionfale a Texel. La cosa strana fu che mentre in Inghilterra Pearson era insignito della patente di nobiltà per la sua eroica resistenza, John Paul Jones non ricevette nulla e in seguito non gli fu affidato alcun incarico. Tuttavia gli effetti della sua vittoria si sarebbero fatti sentire solo dopo la sua morte, perché egli aveva ,“involontariamente”, preparato la base per la formazione di quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti d’ America. Infatti, il destino della nuova nazione sarebbe dipeso dalla battaglia combattuta al largo delle coste di Chesapeake, in territorio americano,dalla Marina Britannica e dalla Marina Francese. Qualche mese prima le forze americane avevano subito un grosso scacco per via della caduta di Charleston, in Carolina del sud. Il generale Washington era stato bloccato sull’ Hudson da Lord Corwallis nonostante il sostegno di Rochambeau, ma entrambi non potevano far nulla senza la flotta Francese di supporto. In queste circostanze l’ammiraglio François Joseph Paul Conte de Grasse, eroe di guerra pluridecorato per il grande servizio svolto nei mari delle Antille, fu chiamato a risolvere la situazione e mandato a sbloccare Chesapeake. Le due flotte ,il 5 settembre 1781,si affrontarono nella battaglia di Chesapeake, al largo delle coste della Virginia. Lo schieramento Inglese, comandato dall’ammiraglio Sir Thomas Graves, affiancato dal contrammiraglio Samuel Hood, comandante dell’avanguardia, e da Francis Samuel Drake comandante della retroguardia, era forte di diciannove navi di linea. Quello Francese, comandato dal Conte de Grasse affiancato dal contrammiraglio Louis Antoine de Bougainville, comandante dell’avanguardia, e dal contrammiraglio François-Aymar conte di Monteil, comandante della retroguardia, era forte di ventiquattro navi di linea. Le unità navali si scontrarono alle 9:30 del mattino, ma fu alle 14:00 dello stesso giorno che De Grasse decise di ricorrere alla “vecchia”, e sempre efficace, tecnica del combattimento su linee parallele che Pag.7 consentiva a tutte le imbarcazioni di entrambi gli schieramenti di utilizzare a pieno la potenza di fuoco dei propri cannoni. Il piano di De Grasse funzionò alla perfezione anche perché la “Fortuna” interferì creando molto scompiglio fra le tre guardie del corpo Inglese. La necessità per le due linee di disporsi parallelamente spinse Graves ad inviare dei segnali contraddittori che per tale motivo furono interpretati erroneamente dall'ammiraglio Hood,comandante della retroguardia. Le segnalazioni erano inutili. Ogni manovra che portasse più vicine le navi ne limitava la capacità di fuoco e nella parte ricurva della fiancata esponeva i ponti alle "infilate" dei cannoni francesi. Graves, nel corso della battaglia, lanciò due segnali: uno di line ahead, in base al quale le navi inglesi avrebbero dovuto lentamente accorciare le distanze e quindi rafforzare la loro linea una volta dispostesi parallelamente al nemico e un altro, di "close action", che indicava alle navi di accostare per avvicinarsi al nemico e voltarsi quando la giusta distanza fosse stata raggiunta. Questa combinazione di segnali comportò l'arrivo frazionato delle unità inglesi nella zona di fuoco. L'ammiraglio Hood interpretò queste istruzioni nel senso di mantenere la linea di combattimento e dando la precedenza al segnale di "close action" non accostò rapidamente e rimase così escluso per tutta la durata dell’azione di guerra. Graves non sfruttò il potenziale vantaggio della separazione delle avanguardie. Lo scontro fu tra i più violenti; ma De Grasse fu il vero protagonista e alle 17:00 gli Inglesi dovettero ritirarsi. Il bilancio fu disastroso per entrambi. La flotta inglese ebbe duecento tra morti e feriti e due navi affondate; i Francesi 209 morti, 246 feriti, cinque imbarcazioni danneggiate e una affondata. Nonostante ciò la Francia riuscì a togliere (anche se per poco) il domino dei mari all’Inghilterra. Le conseguenze di questa battaglia furono enormi. Lord Corwallis non ebbe più l’appoggio delle sue unità navali e Washington e Rocheambeau furono in grado di sconfiggerlo. Che cosa sarebbe successo se tra le fila di Graves non ci fosse stato quel clamoroso equivoco? È proprio vero che la Storia è fatta spesso di casualità e di equivoci;in questo caso potremmo dire che se non ci fosse stato il clamoroso fraintendimento dei segnali la storia degli USA ,forse, non sarebbe neppure iniziata. Marco Nesi Pag.8 La Rivoluzione Industriale Aspetti economici La prima Rivoluzione Industriale iniziò in Inghilterra intorno alla metà del XVIII secolo e si diffuse, nel secolo seguente, in altri Paesi Europei e negli Stati Uniti. Venne chiamata "rivoluzione" in quanto determinò un radicale cambiamento nei modi e nelle condizioni di produzione dei beni e nella vita economica e sociale. Fu grazie all'introduzione di innovazioni tecnologiche che si sviluppò un nuovo sistema di produzione. Nella pre-industrializzazione (XVI - XVII secolo), le attività manifatturiere erano sparse nelle campagne, nelle quali veniva sfruttata l'energia delle acque correnti per azionare i macchinari. Inoltre, a causa di questa distribuzione, il prodotto veniva preparato nelle fattorie e ritirato da lavoratori che si spostavano da una fattoria all'altra sia per ritirare il prodotto finito sia per distribuire la materia prima. Il nuovo sistema industriale, invece, prevedeva l'impiego di operai che lavoravano all'interno delle fabbriche e la sostituzione delle fonti di energia tradizionale (animali, vento e acqua) con fonti combustibili (carbone) che permisero l'introduzione delle macchine a vapore. Inoltre le macchine a vapore vennero usate ai telai delle industrie tessili ed ai mantici delle fonderie, sostituendo parte del lavoro umano e favorendo la realizzazione di prodotti a basso costo. Dapprima i settori interessati dalla rivoluzione tecnologica furono quello tessile e siderurgico, ma ben presto le nuove tecniche interessarono tutti gli altri settori produttivi. Abraham Darby I, che nel 1709 fuse per la prima volta il ferro con il carbon coke in sostituzione del tradizionale carbone di legna, mentre suo nipote A. Darby III, nel 1779, costruì il primo ponte interamente in ferro (Iron Bridge), ritenuto uno dei monumenti più significativi della Rivoluzione Industriale. Aspetti Sociali La prima Rivoluzione Industriale ebbe considerevoli ripercussioni sociali in quanto accompagnò una serie di profonde trasformazioni nell'economia e nella vita sociale. Pag.9 L'aumento demografico creò la nascita della città industriale, che si popolò di artigiani e contadini che abbandonarono le campagne per lavorare nelle fabbriche dando origine al fenomeno dell'inurbamento. Si costruirono alle periferie delle grandi città abitazioni in rovina e insane, prive di servizi igienici. Il lavoro subì una forte trasformazione: nelle fabbriche all'operaio non era richiesta una particolare capacità come invece era richiesta all'artigiano; la lavorazione a catena costringeva il lavoratore ad atti ripetitivi e stressanti per 12 - 14 ore giornaliere, in capannoni umidi e scarsamente ventilato. La società si divise nettamente in due ceti: - Capitalisti (alto-borghesi ricchi, proprietari delle fabbriche) - Proletari (ricchi di prole e con bassi salari). Così si diffuse il lavoro minorile specialmente nelle fabbriche dove i piccoli per la loro minuta costituzione potevano infilarsi in spazi opprimenti (es: pulizia di cunicoli, pulizia di parti interne di macchinari). Ceccarelli Rosa Perciante Hydra Shoraj Jennifer Pag.10 La Rivoluzione Francese dalla presa della Bastiglia alla morte di Luigi XVI La rivoluzione francese, fu un periodo di totale sconvolgimento sociale, sia politico che culturale, avvenuto in Francia tra il 1789 e il 1799 e le sue principali conseguenze furono l'abolizione della monarchia assoluta, la proclamazione della repubblica con l'eliminazione delle basi economiche e sociali del cosiddetto Ancien Régime ("antico regime") e l'emanazione della "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino”, il fondamento delle costituzioni moderne. La storia della rivoluzione è troppo lunga e complicata per raccontarla per intero ed io non voglio annoiarvi per questo ho deciso di raccontarne l'inizio,dalla convocazione degli Stati Generali alla decapitazione del re. A seguito della gravissima crisi economica nella quale versava la Francia da qualche decennio, ed ormai aggravata fino all'inverosimile dopo la caduta dei prezzi agricoli della viticoltura dal 1778, la produzione industriale decadde dal 1786, mentre nel 1785 una siccità aveva provocato una morìa del bestiame. Nel 1788 infine un pessimo raccolto causò una grande crisi del pane, fondamentale alimento per il popolo. Il prezzo del pane aumentò continuamente fino a quattro soldi per libbra a Parigi e otto soldi in alcune province; le condizioni dei lavoratori salariati decaddero fino alla miseria. Luigi XVI aveva ripetutamente chiesto ai suoi ministri economici di trovare una soluzione ed anche l'ultimo della serie,Jacques Necker aveva cercato di risanare la situazione economica attraverso una capillare riforma del sistema fiscale nella sua interezza ed una riduzione delle spese improduttive; tale politica, tuttavia, nonostante alcuni successi iniziali, incontrò la resistenza della nobiltà e del clero. Le finanze francesi erano alla bancarotta; secondo François-Auguste Mignet, i prestiti ammontavano a 1.646 milioni di livre e c'era un deficit annuale di 46 milioni. Ormai non restava altro che convocare l'Assemblea degli Stati Generali,l'assemblea elettiva che rappresentava i tre ordini dello stato francese:Clero,Nobiltà e Terzo Stato. La procedura degli Stati Generali prevedeva che i tre ordini si riunissero in tre camere separate per discutere ed emettere un voto per camera; dato che il voto della nobiltà e del clero veniva spesso a coincidere, il terzo Stato poteva essere messo facilmente in minoranza. In ogni caso, quest'ultimo vide comunque la convocazione degli Stati Generali come una possibilità di migliorare la propria posizione sociale: i contadini, sostenuti dal basso clero sensibile alle loro difficoltà, speravano nell'abbandono dei diritti feudali e la borghesia, ispirata dalle idee illuministe condivise con alcuni membri della nobiltà, credeva nell'instaurazione dell'uguaglianza dei diritti e di una monarchia parlamentare ispirata al modello inglese. Storicamente i rappresentanti del Terzo Stato erano sempre stati messi in minoranza e per questo fecero richiesta al re di cambiare il modo della votazione applicando il criterio del voto singolo, per testa si diceva allora. Pag.11 Al rifiuto del re il Terzo Stato lasciò la sala e nei giorni successivi si riunì nella Sala della Pallacorda autoproclamandosi il 17 giugno 1789 assemblea Nazionale. La Rivoluzione Francese era appena iniziata! Rivolgendosi al re in termini beneducati ma fermi e supportata da Parigi e da molte altre città della Francia, l'Assemblea richiese la rimozione delle truppe (che includevano governi stranieri, più obbedienti al re rispetto alle truppe francesi), ma Luigi XVI rispose che lui solo poteva prendere decisioni sui soldati e rassicurò che la loro presenza era una misura strettamente preventivo. Il re propose inoltre di spostare l'Assemblea nazionale a Noyon o a Soissons, con l'intento di collocarla in mezzo a due eserciti e privarla del supporto dei cittadini parigini. L'Assemblea, rifiutando la proposta del sovrano, dichiarò che essa aveva ricevuto il suo mandato non dai singoli elettori ma dall'intera nazione, mettendo così in azione il principio della sovranità nazionale difeso da Diderot. La stampa pubblicò i dibattiti dell'Assemblea nazionale, estendendo la discussione politica alle piazze e ai salotti della capitale. Palais Royal e l'area circostante divennero il luogo di continui incontri tra la gente comune; la questione politica divenne talmente importante da incitare i cittadini a liberare alcuni granatieri della Guardia francese che erano stati imprigionati per essersi rifiutati di aprire il fuoco sulla folla. Successivamente l'Assemblea raccomandò i soldati liberati all'altruismo del re, il quale li perdonò. Gran parte dell'esercito era ora favorevole alla causa popolare. Necker nel frattempo si era guadagnato l'antipatia di parte della corte, avendo manifestato in Necker parecchie occasioni delle idee filo-popolari; l'11 luglio venne cacciato dal re, il quale gli ordinò di lasciare la Francia entro due giorni. Il 12 luglio la popolazione di Parigi, organizzò una grande manifestazione di protesta, durante la quale vennero portate delle statue raffiguranti i busti di Necker e del duca d'Orleans. Alcuni soldati tedeschi ricevettero l'ordine di caricare la folla, provocando diversi feriti e distruggendo le statue. Il disaccordo dei cittadini aumentò a dismisura e l'Assemblea nazionale avvertì il re del pericolo che avrebbe corso la Francia se le truppe non fossero state allontanate, ma Luigi XVI rispose che non avrebbe cambiato le sue disposizioni. La mattina del 13 luglio quaranta dei cinquanta ingressi che permettevano di entrare a Parigi vennero dati alle fiamme dalla popolazione in rivolta. I governi della Guardia francese formarono un presidio permanente attorno alla capitale, sebbene molti di questi soldati fossero vicini alla causa popolare. I cittadini cominciarono a protestare violentemente contro il governo affinché riducesse il prezzo del pane e dei cereali e saccheggiarono molti luoghi sospettati di essere magazzini per provviste di cibo; uno di questi fu il convento di Saint-Lazare dal quale vennero prelevati 52 carri di grano. In seguito a questi saccheggi, che continuavano ad aumentare, gli elettori della capitale (gli stessi che votarono durante le elezioni degli Stati Generali) si riunirono al Municipio di Parigi e decisero di organizzare una milizia cittadina composta da borghesi, che garantisse il mantenimento dell'ordine e la difesa dei diritti costituzionali (due giorni dopo, con Gilbert du Motier de La Fayette, venne denominata Guardia nazionale). Pag.12 Ogni uomo inquadrato in questo gruppo avrebbe portato, come segno distintivo, un distintivo con i colori della città di Parigi (blu e rosso). Per armare la milizia si cominciò a saccheggiare i luoghi dove si riteneva fossero custodite le armi. La mattina del 14 luglio gli insorti attaccarono l'”hôtel des Invalides” con l'obiettivo di procurarsi delle armi; si impossessarono di circa ventottomila fucili e qualche cannone ma non trovarono la polvere da sparo. Per impadronirsi della polvere decisero di assalire la prigione/fortezza della Bastiglia, nella quale erano tenuti in custodia solamente sette detenuti. Gli elevati costi di mantenimento di una fortezza medievale così imponente, adibita all'epoca a una funzione limitata come quella di carcere, portò alla decisione di chiuderne i battenti e probabilmente fu per questo motivo che il 14 luglio gli alloggi della prigione erano praticamente vuoti.La difesa della fortezza era composta da 82 soldati veterani non più idonei a servire in combattimento, ai quali il 7 luglio si aggiunsero 32 Guardie svizzere; il governatore della prigione era Bernard-René Jourdan de Launay. Pierre-Augustin Hulin prese la guida dei manifestanti e una folla sempre più numerosa raggiunse la fortezza chiedendo la consegna della prigione. Launay trovandosi circondato, cercò di trovare una soluzione pacifica ricevendo alcuni rappresentanti dei manifestanti, con i quali cercò di negoziare. La trattativa si prolungò per molto tempo mentre all'esterno la folla continuava ad aumentare fino a quando, le catene del ponte levatoio vennero tagliate e gli insorti riuscirono a infiltrarsi nel cortile interno, scontrandosi con la Guardia svizzera: ci fu un violento combattimento che causò diversi morti. Cercando di evitare un massacro reciproco, Launay ordinò ai suoi uomini di cessare il fuoco e inviò una lettera agli assedianti dove riportava le condizioni di resa, ma queste vennero rifiutate. Il governatore, capendo che i propri uomini non avrebbero potuto resistere ancora a lungo, decise di capitolare, permettendo agli insorti di introdursi nella Bastiglia. Gli assalitori riuscirono così a occupare la prigione-fortezza; le guardie trovate morte vennero decapitate e le loro teste furono infilzate su pali appuntiti e portate attraverso tutta la città. Il resto della difesa fu fatta prigioniera e condotta al Municipio ma lungo la strada Launay fu preso dalla folla e linciato. Uno degli insorti lo decapitò e infilzò la testa su una lancia. Pag.13 Ritornando al Municipio la folla accusò il prévôt des marchands (carica corrispondente grosso modo a quella di un sindaco) Jacques de Flesselles di tradimento; durante il viaggio, che lo avrebbe portato a Palais-Royal per essere processato, fu assassinato. Inizialmente Luigi XVI diede poca importanza all'accaduto, ma successivamente riconobbe la gravità della situazione; il 15 luglio 1789 si recò all'Assemblea nazionale dove dichiarò che da quel momento avrebbe lavorato con la Nazione e ordinato alle truppe di allontanarsi da Versailles e da Parigi. Questi annunci furono accolti con entusiasmo generale ma ben presto il re si dovette rendere conto che era troppo tardi per fermare il movimento rivoluzionario. Su richiesta dell'Assemblea il sovrano richiamò Necker al governo. Venne creata la Guardia nazionale, affidata al comando di La Fayette, con il compito di reprimere ogni eventuale tentativo rivoluzionario. Tutti i membri della precedente amministrazione erano fuggiti e il presidente dell'Assemblea nazionale, Jean Sylvain Bailly, fu eletto per acclamazione sindaco di Parigi. Parecchie città crearono nuove municipalità borghesi, rimuovendo i rappresentanti del vecchio regime con l'intento di eliminare il centralismo monarchico. Luigi XVI riconobbe questo sistema quando il 17 luglio si recò a Parigi; in quell'occasione ricevette dal nuovo sindaco una coccarda blu e rossa (colori della città di Parigi) che fissò sul suo cappello, associando anche il colore bianco della monarchia (questo gesto voleva simboleggiare una riconciliazione). La notizia della Presa della Bastiglia si diffuse in tutta la Francia, aumentando la consapevolezza che la forza della popolazione era in grado di supportare le idee dei riformatori. Per sfruttare questo momento a discapito della monarchia, alla Bastiglia venne dato un significato simbolico: rappresentò il potere arbitrario ma vulnerabile del re. Dopo l'arresto di Luigi XVI, i Girondini cercarono in ogni modo di evitare il suo processo temendo che questo potesse rianimare e rinforzare l'ostilità delle monarchie europee nei confronti della Francia. La scoperta dell'armadio di ferro al palazzo delle Tuileries, rese il processo inevitabile: i documenti reali rinvenuti provarono, il tradimento di Luigi XVI e il 3 dicembre la Convenzione nazionale dichiarò che il procedimento penale sarebbe cominciato la settimana successiva. Per la sua difesa il re, accusato di tradimento verso la Nazione e di cospirazione contro le libertà pubbliche, chiese l'assegnazione del più celebre avvocato dell'epoca, Guy-JeanBaptiste Target, ma quest'ultimo rifiutò l'incarico; la Convenzione decise allora di assegnare all'imputato gli avvocati François Denis Tronchet, Chrétien Guillaume de Lamoignon de Malesherbes e Raymond de Sèze. Il processo, presieduto da Bertrand Barère, cominciò il 10 dicembre: nei giorni seguenti gli avvocati difensori esposero le loro arringhe, sostenendo l'inviolabilità del sovrano prevista dalla Costituzione del 1791 e chiedendo che fosse giudicato come un normale cittadino e non come un Capo di Stato; i Girondini, che volevano condannare la carica del monarca ma non la persona, si trovarono in forte contrasto con i Montagnardi, i quali desideravano una netta separazione con tutto ciò che rappresentava il passato monarchico attraverso la condanna a morte. Il 15 gennaio 1793 il re fu riconosciuto colpevole con la schiacciante maggioranza di 693 voti contro 28 (erano presenti 721 deputati su 749). Il giorno seguente, su forte pressione dei Girondini, venne chiesto di decidere se la condanna Pag.14 di responsabilità adottata dalla Convenzione nazionale avrebbe dovuto passare attraverso un referendum popolare. Questo estremo tentativo di salvare la vita a Luigi XVI venne rifiutato con 424 contrari, 287 favorevoli e 12 astenuti (erano presenti 723 deputati su 749); sempre nella giornata del 16 gennaio si proseguì con la votazione pertinente alla tipologia di pena da adottare nei confronti del sovrano; infine, alle nove della sera, venne data lettura della sentenza: Luigi XVI sarebbe stato giustiziato il 21 gennaio alle 11, in Place de la Révolution. Il 17 gennaio, su richiesta di alcuni Girondini, venne eseguito uno scrutinio di controllo dove risultò che 387 deputati votarono la morte e 334 la detenzione o la morte con rinvio (erano presenti 721 deputati su 749). Luigi XVI fu condotto in carrozza in Place de la Révolution un'ora prima dell'esecuzione, dopo avere ricevuto la comunione nella Prigione del Tempio. Quando arrivò in piazza, indossando una camicia bianca di lino e una giacca che dopo l'esecuzione furono venduti all'asta, i soldati provarono a legargli le mani, ma il sovrano si liberò. Le mani, comunque, gli furono legate sulla ghigliottina dal boia Charles Henri Sanson, che gli tagliò il codino. Il resto del cerimoniale fu seguito dal re con indifferenza, nonostante la fama di uomo codardo che gli si attribuiva. Prima di essere ucciso, sebbene i soldati cercassero di impedirglielo, Luigi XVI si rivolse ai parigini per pronunciare un breve discorso: "Muoio innocente dei delitti di cui mi si accusa. Perdono coloro che mi uccidono. Che il mio sangue non ricada mai sulla Francia!". Secondo le testimonianze di alcune persone presenti, la ghigliottina scattò prima che Luigi fosse messo in posizione, e dunque la lama non tagliò del tutto il collo. Alla morte del re, sancita dalla testa mostrata alla folla da un membro della Guardia nazionale, i parigini festeggiarono ballando al suono dell'inno nazionale e, secondo le testimonianze dell'epoca, addirittura assaggiarono il sangue del re. La festa durò a lungo, e uno dei testimoni, Louis-Sébastien Mercier, la descrisse così: «Vidi gente che passeggiava sottobraccio ridendo e scherzando amabilmente, come se si trovassero a una festa». Alla fine il cadavere - trasportato in un cesto di vimini fino al Cimitero della Madeleine - finì in una bara aperta che fu calata in una fossa del cimitero e ricoperto di calce viva. Luigi Carlo divenne automaticamente, per i monarchici e gli Stati internazionali, re Luigi XVII,ma la sua vita finì presto. La rivoluzione aveva appena terminato la sua fase iniziale ma molti anni ancora dovevano passare per vederne la fine che va attribuita ad un giovane ufficiale di origini corse: Napoleone Bonaparte. Fabrizio Giacomini Pag.15 L' Incorruttibile Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre detto l'Incorruttibile, nato il 6 maggio 1758 ad Arras da una famiglia di notai, e morto il 28 luglio 1794 a Parigi, è stato un politico ed un avvocato, ma soprattutto è stato un protagonista della Rivoluzione Francese e del Regime del Terrore. Gli storici e i contemporanei si sono divisi tra chi lo considera un dittatore, che causò numerose esecuzioni dei nemici della Rivoluzione, e chi lo considera un idealista, cresciuto nelle idee illuministe. Robespierre rimane una figura storica molto discussa ma che, comunque, ha attirato l’interesse degli storici di tutto il Mondo. Molti hanno evidenziato la bontà nelle sue riforme per le classi svantaggiate, ma anche la sua folle severità durante il periodo del Terrore. Noi ve lo vogliamo presentare lasciandovi liberi di esprimere un giudizio su di lui. Maximilien Robespierre ottenne una borsa di studio di 450 lire annue dall’abbazia di Saint-Vaast e poté così entrare nel Collegio Louis-leGrand, a Parigi. Iscritto al registro degli avvocati del Parlamento di Parigi tornò ad Arras per esercitare la professione. Durante la Rivoluzione francese fu l’uomo politico più venerato e più disprezzato; per i rivoluzionari era l’Inflessibile, l’Incorruttibile. Nell’aprile del 1790 gli fu data la presidenza del Partito Giacobino, che egli spostò su posizioni rivoluzionarie. Fu lui, alla fine del 1792, a chiedere la condanna a morte di Luigi XVI, nonostante che fosse contrario alla pena capitale e poi fu lui a convincere i francesi che la ghigliottina dovesse essere usata durante la guerra e la rivoluzione. Entrato nel Comitato di Salute Pubblica il 27 luglio del 1793, seppure contrario alla guerra, fu tra i più attivi nel rafforzare militarmente l’esercito repubblicano. Preoccupato dai tentativi contro-rivoluzionari, decise di sostenere la politica del cosiddetto Terrore, con il quale si procedette all’eliminazione fisica di tutti i possibili nemici della rivoluzione francese. Il periodo del Terrore iniziato nel 1793 si concluse l'anno successivo ma fu ricordato come il più sanguinario e il numero delle vittime è rimasto indefinibile ma pare che sia intorno ai 70.000 uomini, più che altro appartenenti alla media borghesia. Robespierre non ebbe un potere assoluto e dittatoriale sulla rivoluzione. Tuttavia la sua azione a favore dei sanculotti e delle classi più povere lo spinse a prendere provvedimenti economici restrittivi che lo resero inviso a una parte dei francesi, e il suo timore di vedere la monarchia nuovamente sul trono, lo spinse a intraprendere la politica del Terrore, che fu estesa anche ai corrotti che egli vedeva numerosi ovunque. Quando, il 14 novembre 1793, gli fu rivelato che esisteva un complotto politico-finanziario in cui erano coinvolti esponenti politici, aziende, banchieri e governi esteri, il cosiddetto "scandalo della Compagnia Francese delle Indie Orientali” la sua azione purificatrice s’intensificò ma aumentò anche il numero dei suoi oppositori. Egli se ne rese ben conto l’anno successivo, quando il 27 luglio 1794 molte persone durante il discorso di Saint-Just, persona molto vicino a Robespierre, alla Convenzione iniziarono a lanciare pesanti proteste contro di lui; numerose furono le grida di "Abbasso il tiranno!" e quando Robespierre esitò nel replicare a questi attacchi, si alzò il grido “C’est le sang de Danton qui t’étouffe “ (È il sangue di Danton che ti soffoca).- ( N.d.R.- Danton era stato ghigliottinato con l’accusa di tradimento). Iniziò una rissa in cui Tallien sfoderò un pugnale e minacciò Robespierre in mezzo alla Convenzione. Nel pomeriggio, lui, Couthon e Saint-Just e altri, gli unici rimasti nell’assemblea a sostenere Robespierre, furono arrestati. Robespierre fu ghigliottinato. Con la morte di Robespierre finì il periodo del Terrore e il potere passò alla borghesia moderata. Erika Gaggelli Pag.16 Notizie storiche sull'Illuminismo L'illuminismo fu un movimento politico, culturale , letterario e filosofico che ebbe origine in Inghilterra ma si sviluppò maggiormente in Francia e poi nel resto d'Europa. Tra i padri fondatori dell'Illuminismo francese si ricordano Voltaire,Rousseau e Montesquieu,i quali contribuirono a formularne i principi fondamentali sopratutto in ambito filosofico. Se l'illuminismo assunse prevalentemente un'impronta francese questo si deve alle particolari condizioni storiche della Francia del XVIII secolo. Lo sviluppo della borghesia durante il regno di Luigi XIV è assicurato dall'assolutismo monarchico ed è fondato sulla distinzione tra l'uomo privato e quello pubblico. Il suddito potrà fare i suoi affari ed esprimere una certa libertà di pensiero ma questa non dovrà mai entrare in conflitto con l'autorità del sovrano. L'esaltazione della Ragione come uno strumento ideale per contrastare l'ignoranza. È senza dubbio l'elemento distintivo dell'Illuminismo e il rapporto tra la cieca fiducia nell'intelletto umano e la ragione deve guidare le scelte dell'individuo. I principi dell'Illuminismo inoltre si diffusero in particolar modo negli ambienti borghesi,in ebbero modo di attecchire e diffondersi. Un ruolo fondamentale fu ricoperto dall'intellettuale illuminista che si ritagliò il compito di educatore all'uso della ragione. Secondo gli illuministi era necessario aiutare l'Uomo a liberarsi dai vincoli della conoscenza metafisica,dall'oscurantismo religioso,dalla tirannia e dall'assolutismo. La scienza di cui si occupava l'illuminista serviva per risvegliare ,con i "lumi" della ragione ,tutti gli uomini dal "buio" dell'ignoranza, che li aveva soggiogati nei secoli precedenti. L'intellettuale era alla ricerca di un metodo empirico, dunque verificabile e dimostrabile, che conducesse alla verità e che fosse applicabile ogni qual volta ci si fosse trovati in presenza di uno fenomeno riconducibile ad una causa propria. Solo grazie alla conoscenza l'Uomo diventava padrone dei vari fenomeni della Natura. L'azione pedagogica degli illuministi doveva aiutare l'Uomo ad uscire da quello che il filosofo tedesco Emmanuel Kant definisce lo stato di “minorità”:«solo aiutandolo a diventare “maggiorenne” utilizzando la Ragione egli può liberarsi delle “verità” già date dalla religione e dalla scienza. La ragione rifiuterà tutto quello che non deriva da essa con principale compito di stabilire i propri limiti:una ragione dunque programmaticamente finita e orgogliosa di essere tale poiché,in quell'ambito limitato,che e quello dell'esperienza,essa potrà conoscere la verità sino in fondo. Questo avverrà applicando la critica della ragione,attraverso cioè le analisi,la discussione,il dibattito nei confronti di quell'esperienza che non è soltanto il complesso dei fatti fisici ma anche di quelli storici e sociali.» Questo movimento culturale fu davvero molto complesso ed interessò molti settori della vita e della cultura non solo europea. Alessia Costagli e Martina Oliva Pag.17 Tre grandi filosofi illuministi L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo intelletto! Così scrive Emmanuel Kant nel 1784 e l'Illuminismo ,infatti, propugna i valori della ragione, dello spirito critico e della circolazione democratica del sapere. Per gli illuministi, la Ragione è lo strumento principe di cui la filosofia deve servirsi come guida in tutti i campi del sapere e della conoscenza, con l'obiettivo di un miglioramento della vita associata degli uomini. Il filosofo illuminista, o “philosophe”, si dà una missione civile ben precisa, quella di “illuminare” il rapporto con il mondo dell'Uomo, diffondendo i valori della ragione, della critica, del sapere come fonti di miglioramento concreto della realtà. Il primato della ragione, per la filosofia dei lumi, non dev’essere mai fine a se stesso, ma conoscere sempre una declinazione pratica nella vita collettiva. A questo si collegano i due valori cardinali: la fiducia ottimistica nel progresso (sia quello intellettuale sia quello scientifico), che migliora le condizioni di vita dell’uomo e che influenza la concezione stessa della storia da parte degli illuministi; e il valore della tolleranza, che deve ispirare sia la vita quotidiana di ciascuno sia garantire la pacifica convivenza tra religioni. L’obiettivo è quindi quello di raggiungere il massimo grado di felicità condivisa; per fare ciò, i campi d’azione del “philosophe” sono principalmente due: l’azione diretta sui sovrani europei e l’argomentazione del proprio pensiero presso l’opinione pubblica in via di formazione. Tra i “philosophe” quelli più importanti sono: Charles Louis de Secondat barone di Montesquieu, un illuminista aristocratico, era favorevole a una monarchia costituzionale, sul modello di quella inglese. Egli sosteneva che i tre poteri dello Stato, cioè il potere legislativo (di fare le leggi), esecutivo (di applicarle) e giudiziario (di giudicare chi non le rispetta) non devono essere concentrati nelle mani di una sola persona. Per garantire la libertà politica ed evitare che pochi prevalgano su molti, è necessario che i tre poteri restino divisi e indipendenti. Questo principio, detto della separazione dei poteri, è accolto oggi dalle costituzioni di quasi tutti i Paesi. In Italia, ad esempio, il potere legislativo spetta al parlamento, cioè a rappresentanti del popolo liberamente eletti; il potere esecutivo al governo; quello giudiziario alla magistratura, costituita dall'insieme dei giudici. Jean-Jacques Rousseau, un filosofo di Ginevra, sosteneva che il potere dello Stato, cioè la sovranità, il potere di comandare, appartiene interamente al popolo il quale è l'unico sovrano. Il principio della sovranità popolare, sta alla base delle moderne democrazie. Nelle democrazie moderne, come l'Italia, la sovranità popolare viene esercitata indirettamente attraverso i rappresentanti scelti dal popolo e prende il nome di democrazia rappresentativa. François-Marie Arouet detto Voltaire, il più famoso dei filosofi illuministi, non riponeva nel popolo alcuna fiducia ed era disposto ad accettare il governo di un sovrano assoluto, a patto che questi si dimostrasse "illuminato" e si lasciasse guidare non dal capriccio, ma dalla ragione, preoccupandosi dell'efficienza dello stato e del benessere dei sudditi. Molti sovrani europei sembrarono sensibili alle idee illuministe e attuarono nei loro Stati importanti riforme. Il loro sistema di governo fu definito Assolutismo Illuminato. Elena Ferrara e Caterina Mostacci Pag.18 Montesquieu il teorico della divisione dei Poteri Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755) nacque in una illustre famiglia di giuristi, appartenente alla nobiltà di toga. Dopo aver studiato nel famoso collegio dei padri oratoriani di Juissy, venne indirizzato agli studi giuridici e nel 1714 divenne consigliere del parlamento di Bordeaux. Nel 1715 il matrimonio con Jeanne de Lartigue, proveniente da una ricca famiglia ugonotta neo-nobiliare, gli consentì di ricevere una notevole dote. Nel 1716 morì lo zio paterno, da cui ereditò il titolo nobiliare, il patrimonio e la carica di presidente dello stesso Parlamento;cosa che gli permise di dedicarsi allo studio della legge e della politica le quali lo portarono a teorizzare per primo la divisione dei tre poteri. “Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non esiste libertà; perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano delle leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente.” Alla base di ogni Stato che non sia assoluto ci sono le teorie di Montesquieu il quale fu il primo ad ipotizzare la necessità di una divisione dei poteri che avrebbero portato a una migliore organizzazione dello Stato. Lo Spirito delle Leggi, un’opera frutto di quattordici anni di lavoro fu pubblicata anonimamente nella Ginevra di Jean-Jacques Rousseau, nel 1748. Due volumi, trentadue libri, una vera e propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del Settecento, che lo rese famoso a livello internazionale. Le sue teorie sono alla base delle solide fondamenta che costituiscono la democrazia moderna. Montesquieu prendendo spunto dal Regno d'Inghilterra, dove già c’era una sorta di divisione dei poteri tra il monarca e il parlamento, sosteneva che quella era la migliore forma di governo che si potesse allora trovare in Europa. “Affinché non vi siano abusi, è opportuno che il potere assoluto sia diviso in più poteri parziali, ciascuno dei quali deve controbilanciare l’altro.” Pag.19 Il potere legislativo doveva appartenere ad un organo che aveva il compito di emanare le leggi e questo organo doveva però essere indipendente dagli altri due che avrebbero avuto altri poteri. Il potere esecutivo spetta all’organo incaricato di eseguire le prescrizioni delle leggi e attuare in concreto le pubbliche finalità. Il potere giudiziario è quel potere che permette di risolvere le controversie di natura civile, penale e amministrativa applicando le leggi. “Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica.” Montesquieu riflette poi sul diritto di rappresentanza del popolo e dice: «Poiché, in uno Stato libero, qualunque individuo che si presume abbia lo spirito libero deve governarsi da sé medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé» Da queste parole si comprende come per lui la rappresentanza fosse importante ma soggetta ad essere cambiata periodicamente,per il bene dello Stato,e sottintende che il diritto di voto fosse limitato e regolato secondo il reddito,poiché secondo lui la condizione di proprietario era indispensabile per un oculato esercizio del diritto medesimo. Il libro,che è anche un'analisi attenta del modello inglese, si conclude con queste parole: «Siccome tutte le cose umane hanno una fine, lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. Roma, Sparta e Cartagine sono pur perite. Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo. Non sta a me esaminare se gli Inglesi godano attualmente di questa libertà o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più. Non pretendo con ciò di avvilire gli altri governi, né dichiarare che questa libertà politica estrema debba mortificare quelli che ne hanno soltanto una moderata. Come potrei dirlo io, che credo che non sia sempre desiderabile nemmeno l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattino quasi sempre meglio alle istituzioni di mezzo che a quelle estreme?» Non voglio aggiungere altro poiché ritengo ancora attuali le riflessioni fatte dal grande illuminista francese. Kristjan Lleshi Pag.20 Voltaire o dell' Illuminismo il primo "giornalista" della Storia «Voltaire aveva convinzioni forti, grandi passioni intellettuali, una vasta cultura, una scrittura ironica e scintillante, una straordinaria curiosità per gli avvenimenti del suo tempo e una prodigiosa capacità di raccontare le idee. Fu insomma, anche se la parola può sembrare riduttiva, un giornalista.» (Prefazione di Sergio Romano al Trattato sulla tolleranza, RCS MediaGroup, 2010) 21 novembre 1694, Parigi. Francois-Marie Arouet,più noto con lo pseudonimo di Voltaire, nasce da una ricca famiglia borghese della Francia. Personalità forte e "spericolata", incarna sicuramente l'uomo della coscienza illuminista settecentesca: in lui convive uno spirito critico colmo di ironia e sarcasmo nei confronti dei pregiudizi umani che accecano l'uomo, impedendogli di agire attraverso la ragione. Costretto all'esilio in Gran Bretagna, Voltaire si trasferisce a Londra dove la realtà politica e sociale che la circonda, costituisce per lui motivo di ammirazione, che egli esprime soprattutto nelle "Lettere Filosofiche" del 1734. L'Inghilterra viene dunque proposta come modello incontrastato per la sua cultura, tradizioni e istituzioni politiche, modello attraverso il quale i francesi sarebbero potuti uscire dall'arretratezza culturale in cui erano bloccati. Aspetto che colpisce Voltaire è, inoltre, il realizzarsi, sul territorio inglese, di uno spirito di tollereanza religiosa, una convivenza tra una moltitudine di fedi diverse. Voltaire si esprime a tal proposito nel Deismo: secondo lui, l'esistenza di Dio può essere dimostrata razionalmente ("se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, ma la natura ci grida la sua esistenza"), Egli è garante di un ordine naturale delle cose, ma si limita a garantire le leggi naturali e non investe, secondo Voltaire, le vicende umane. Il nostro si mostra dunque in contrasto non solo con le religioni rivelate, ma anche con ogni forma di ateismo. Rispettando l'indole sfrontata e libertina che lo caratterizzava, Voltaire si esprime ironicamente nel Poema sul disastro di Lisbona del 1756, a proposito della provvidenza divina, la quale permise una catastrofe così violenta quale il terremoto che colpì la città. La provvidenza aveva permesso lo scatenarsi di mali, a suo parere, gratuiti e catastrofici. Sulla base di questa riflessione si apre un appunto sulla felicità umana: come può sopravvivere la felicità se il male è presente sulla Terra? Pag.21 Negli anni tra il 1749 e il 1753 Voltaire è ospite presso Berlino di Federico II di Prussia, con il quale aveva stretto amicizia. Ma sempre a causa del suo carattere litigioso, fu costretto a lasciare la città dopo un acceso dibattito con l'Accademia di Berlino. A seguito di questo episodio, Voltaire soggiorna dapprima a Ginevra e Château di Voltaire a Ferney Losanna e, in un secondo momento, nel castello di Ferney, Voltaire al castello di Sans-Souci, dove vive per circa vent'anni. Ritorna a Parigi solamente nel ospite di Federico II di Prussia 1778 per assistere alla rappresentazione della tragedia "Irene". Muore nella sua città natale il 30 maggio dello stesso anno. A causa delle sue accese critiche, velate di sarcasmo e pungente ironia, nei confronti della chiesa cattolica, la sepoltura religiosa gli viene negata. Per concludere voglio dare qualche spiegazione dello pseudonimo che il grande illuminista assunse fin dall'esilio in Inghilterra, durante il quale si presentava come "Arouet de Voltaire" (già usato però come firma nel 1719), poi accorciato in Voltaire, per separare il suo nome da quello del padre ed evitare confusioni con poeti dal nome simile. Va sottolineato che l'uso dello pseudonimo era diffuso nell'ambiente teatrale, come già era all'epoca di Molière, ma l'origine del nom de plume è incerta e fonte di dibattito; le ipotesi più probabili sono: 1)"Voltaire" potrebbe essere un particolare anagramma del cognome in scrittura capitale latina, dal nome con cui era conosciuto in gioventù, Arouet le Jeune (Arouet il giovane, per distinguerlo dal padre omonimo): da AROUET L(e) J(eune) a AROVET L. I. o AROVETLI, da cui VOLTAIRE. Questa è la teoria generalmente più diffusa;2) Un'altra teoria ricorre al luogo d'origine della famiglia Arouet: la cittadina di Airvault, il cui anagramma potrebbe rendere lo pseudonimo, nella forma "Vaultair", con pronuncia francese identica a quella del nome scritto con la grafia "Voltaire";3) Richard Holmes aggiunge che, oltre a questi motivi, il nome Voltaire fu scelto anche per trasmettere le connotazioni di "velocità" e "audacia". Questi provengono da associazioni con parole come "volteggio" (acrobazie su trapezio o cavallo), "voltafaccia" (fuga dai nemici), e "volatile" (originariamente, qualsiasi creatura alata, anche in senso figurato, onde dare una sensazione di agilità mentale e leggerezza);4) Una delle teorie minoritarie vuole che derivi dalla parola "revolté", ossia "rivoltato, in rivolta" (contro il vecchio ordine); lo pseudonimo sarebbe un anagramma di una trasformazione sillabico-fonetica della parola: da "revolté" a "revoltai" (la pronuncia è uguale), e quindi "Voltaire". Deana Xhaferi Pag.22 Il Deismo la religione atea degli Illuministi Tipico del pensiero illuminista è il rifiuto di ogni religione rivelata e in particolare del Cristianesimo, ritenuto origine degli errori e della superstizione. Gli illuministi criticavano le religioni rivelate e volevano abolire i privilegi ingiustificati della nobiltà e della Chiesa. Gli Illuministi rifiutavano i dogmi, i pregiudizi e il fanatismo, ispirandosi al principio di tolleranza,e combattevano le credenze religiose consolidate, i riti, le superstizioni; insomma essi avevano una visione laica della vita e dello Stato. Alcuni di essi furono atei e materialisti, mentre altri credevano in un Essere Supremo che ogni uomo può conoscere attraverso la Ragione, non attraverso una rivelazione. Da qui la scelta del Deismo . Il Deismo si ritrova nella maggior parte dei pensatori illuministi i quali, attraverso scoperte scientifiche, cercavano di dimostrare l'esistenza di un Dio all'origine dell'universo. Fra questi pensatori illuministi c’è Voltaire. Voltaire prese spunto per parlare dell'esistenza di Dio dal terremoto di Lisbona del 1755, che raccontò nel suo “Candido ovvero l'ottimismo”,pubblicato nel 1759. Infatti questo evento catastrofico fu un movimento tettonico,registrato la mattina del 1º novembre 1755 con epicentro non distante dalla capitale del Portogallo. Ci furono migliaia di vittime,più di metà della Lisbona di allora fu rasa al suolo. Solo nella capitale portoghese esse furono stimate,la cifra esatta non si conosce, tra le 60.000 e le 90.000 ma gli effetti catastrofici si ebbero anche in Marocco dove se ne contarono circa 10.000. IL sisma fu poi avvertito anche nel resto dell’ Europa. Il Deismo di Voltaire rifiuta di ammettere qualsiasi intervento di Dio nel mondo umano, ed è restio a farlo soprattutto dopo la catastrofe portoghese. Il grande filosofo Francese ne fu talmente colpito e se ne interessò a tal punto che arrivò ad ammettere ,per questo, l'esistenza di una vera e propria divina Provvidenza. Per lui Dio ha solo creato l’universo, senza intervenire ulteriormente, dunque l'uomo è libero, ovvero ha il potere di agire, anche se la sua libertà è limitata. Egli vede la prova dell'esistenza di Dio nell'ordine superiore dell'universo, infatti così come ogni opera dimostra un artefice, Dio esiste come autore del mondo e, se si vuole dare una causa all'esistenza degli esseri, si deve ammettere che sussiste un Essere creatore, un Principio primo, autore di un Disegno intelligente. In generale il Deismo, nato in un'epoca fortemente segnata dalle guerre di religione, intendeva porre fine ai contrasti fra le religioni rivelate, in particolare nell'ottica dell'illuminismo, come l'unico elemento in grado di affratellare tutti gli esseri umani. Concezioni religiose di tipo deista sono ancora particolarmente diffuse negli Stati Uniti e in grande espansione. Alcune associazioni di deisti, basandosi su studi sulle dinamiche religiose, stimano la popolazione americana vicina al deismo pari a quasi il 10% del totale, sebbene questa percentuale sia annoverata come parte della categoria atea. Emma Calabrese Pag.23 Blaise Pascal Blaise Pascal, noto come matematico, fisico, filosofo e teologo nacque a Clermont-Ferrand ,in Francia, il 19 giugno 1623, da una famiglia di condizioni agiate. Dopo la morte della madre Blaise, all'età di 3 anni, venne istruito dal padre Etienne , il quale gli trasmise l' interesse per la Matematica e la Fisica e ben presto fu ammesso alle riunioni scientifiche del Circolo Parigino, riuscendo ad entrare in corrispondenza con i più grandi ricercatori del tempo, tra cui: Girard Desargues, Galileo Galilei, Pierre de Fermat, ed Evangelista Torricelli. Egli si manifestò come un vero genio matematico, tanto che all'età di sedici anni scrisse la sua prima opera scientifica il “Trattato delle coniche” basato sul lavoro di Desargues e nel 1644 costruì la sua prima macchina calcolatrice (la Pascalina). Oltre alla Matematica, Pascal si mostrò versato soprattutto per il Latino, il Greco, la Fisica e la Filosofia. All'età di ventitré anni, avendo appreso l'esperienza di Torricelli, fece diversi esperimenti sul vuoto e preparò un trattato del quale uscì un frammento nel 1647,da quale emerge lo spiccato interesse per la conoscenza scientifica che è rintracciabile in Galileo, Bacone e Cartesio. Nonostante i suoi interessi scientifici e filosofici, Pascal sempre coltivò un intenso spirito religioso e un'intensa riflessione teologica. La prima conversione di Pascal risale al 1646, anno in cui egli decise di rinunciare alle soddisfazioni mondane e dedicarsi alla ricerca di Dio. Si pensa che questo interesse religioso sia stato legato anche al peggioramento della sua già incerta salute, che lo costrinse a lasciare temporaneamente gli studi. Nel 1651, alla morte del padre, Blaise riprese la vita mondana dividendosi tra la ricerca e le conversazioni con “le persone di mondo”, ma ben presto si annoiò e incominciò a prendere in considerazione gli studi sul calcolo delle probabilità che condusse in molteplici direzioni di ricerca e che fece nascere in lui l' interesse per il gioco d'azzardo. Nel 53 scrisse il “Traité du triangle arithmétique”, ossia “Il Trattato aritmetico” che porta il suo nome. Successivamente,in seguito ad un incidente, nel quale Pascal si salvò miracolosamente, abbandonò definitivamente lo studio della Matematica e della Fisica per dedicarsi alla Filosofia e alla Teologia. Da quel momento entrò nell'abbazia di Port-Royal, diventando membro della setta dei giansenisti., fondata e guidata dal vescovo Giansenio. A quel periodo risalgono le sue prime lettere in difesa dei giansenisti , i quali erano in controversia con i teologi dell'università La Sorbona di Parigi . Pascal aveva l'intenzione di scrivere una grande opera anche sul Cristianesimo ma non poté poiché morì il 19 agosto del 1662 a soli trentanove anni. Lidia Li Perni Pag.24 Le Grandi Biografie Cesare Beccaria il giurista che condannò la pena di morte Cesare Bonesana-Beccaria, marchese di Gualdrasco e di Villareggio è stato un giurista, filosofo ed economista (Milano 1738 -1794). Tra i massimi rappresentanti dell'Illuminismo italiano, la sua fama è legata al trattato Dei delitti e delle pene (pubblicato anonimo a Livorno nel 1764),con il quale egli pose le fondamenta della scienza criminale moderna. Figlio di Giovanni Saverio di Francesco e di Maria Visconti di Saliceto,sposata in seconde nozze,Cesare ,nel 1760, contro la volontà del padre e rinunciando ai suoi diritti di primogenitura, sposò l'allora sedicenne Teresa Blasco,dalla quale ebbe quattro figli,tra i quali Giulia, madre di Alessandro Manzoni. Dopo il matrimonio dovette lasciare la casa paterna poiché il padre lo aveva cacciato di casa e per questo Cesare fu accolto da Pietro Verri nella sua casa e da questi mantenuto anche agli studi. Educato a Parma dai gesuiti, si laureò in Giurisprudenza. A 22 anni, in seguito alla lettura delle Lettres persanes di Montesquieu, si entusiasmò ai problemi filosofici e sociali: entrato nel cenacolo di casa Verri, e spronato a dedicarsi agli studi di Scienze Politiche ed Economiche, scrisse nel 1762 , dietro consiglio di Pietro Verri, il saggio Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano. Casa Verri ospitava la sede della redazione del Caffè,il famoso giornale illuminista, e fu a seguito di una discussione sul problema dello stato deplorevole della giustizia penale che Beccaria decise trattare questo argomento e scrisse (1763-1764) il famoso libro Dei delitti e delle pene. Il successo di esso fu immenso: esaltato dalle più alte personalità del tempo, fu commentato da Voltaire;ma non mancarono le critiche tra le quali quelle del padre Facchinei che lo accusò di avere offeso la religione e l'autorità sovrana. Nel 1768 ebbe la cattedra di Economia Politica (allora Scienze Camerali), creata per lui, nelle Scuole palatine di Milano. Nel 1771 fu eletto consigliere del Supremo Consiglio dell'Economia carica che ricoprì per oltre vent'anni, contribuendo alle riforme asburgiche sotto Maria Teresa e Giuseppe II e finalmente, nel 1791, entrò nella Giunta per la Riforma del Sistema Giudiziario Civile e Criminale. Fu criticato per questo dagli amici (tra cui Pietro Verri), che gli rimproveravano di essere diventato un burocrate. Cesare Beccaria morì a Milano il 28 novembre 1794, a causa di un ictus, all'età di 56 anni, e trovò sepoltura nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina, in una sepoltura popolare (dove fu sepolto anche Giuseppe Parini) anziché nella tomba di famiglia. Quando tutti i resti vennero traslati nel cimitero monumentale di Milano, un secolo dopo, si perse traccia della tomba del grande giurista. Pag.25 La sua fama resta legata all'opera Dei delitti e delle pene, che eccelle anche per la lucida critica ai metodi giudiziari del tempo (come per esempio la tortura) dominati dall'arbitrio, e non rispondenti ai loro stessi fini. I legislatori del suo tempo non vi rimasero indifferenti. Caterina II di Russia,ad esempio, promosse una riforma del Codice Penale russo nettamente ispirata all'opera del Beccaria. Cesare Beccaria ha fondato i criteri per la misura dei delitti e l'equilibrio delle pene sui principi della filosofia illuministica francese e sulla teoria contrattualistica e utilitaristica: egli intende quindi il delitto come violazione dell'ordine sociale e la pena come una difesa di questo: di qui la polemica contro la pena di morte "né utile né necessaria" e in contraddizione con il principio contrattualistico (giacché nessuno ha rinunciato al diritto alla vita). Egli afferma nel suo famoso trattato: «Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio» Contro la pena di morte si opponeva perché veniva inflitta solo a pochi colpevoli ,quelli certi,sostenendo invece l'opportunità di una pena inferiore,ma inflitta a chiunque commettesse un reato. Egli aveva constatato ,infatti,che la pena capitale non aveva fatto diminuire i reati, mentre la certezza della pena sì Egli sosteneva che la certezza di una pena rigida e severa, ma pur sempre inferiore alla pena di morte, era un motivo sufficiente a bloccare la maggior parte dei reati. Lo Stato,secondo il Beccaria, ha il diritto di punire perché così garantisce la pace ai cittadini; ma essi devono rispettare le leggi e quindi rinunciare a dei “diritti” (come il diritto di ammazzare chi ti pare), per permettere allo Stato di mantenere la pace. Questa rinuncia del cittadino è un atto di sottomissione ricambiato da chi lo governa con il benessere. Ecco perché la pena di morte è inutile e controversa. Proseguendo nel suo ragionamento egli afferma che la pena di morte è il frutto di una politica sbagliata;infatti se uno stato ammette la pena di morte è debole, perché significa che è attraversato da una violenza che non è in grado di contrastare. Cesare Beccaria tratta anche il tema delle sanzioni alternative da comminare ai condannati e ne indica i requisiti: • la prontezza ovvero la vicinanza temporale della pena al delitto • l’infallibilità ,ovvero vi deve essere la certezza della risposta sanzionatoria da parte delle autorità • la proporzionalità con il reato (difficile da realizzare ma auspicabile) Pag.26 • • • la durata, che dev'essere adeguata la pubblica esemplarità, infatti la destinataria della sanzione è la collettività, che constata la non convenienza all'infrazione essere la «minima delle possibili nelle date circostanze» Secondo Beccaria, per ottenere un'approssimativa proporzionalità pena-delitto, bisogna tener conto: •del danno subito dalla collettività •del vantaggio che comporta la commissione di tale reato •della tendenza dei cittadini a commettere tale reato Egli si sofferma anche sull'opportunità per il cittadino di possedere un'arma e a tal proposito scrive: «Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di troppa conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l'acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere. Le leggi che proibiscono di portare armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l'esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all'uomo, carissima all'illuminato legislatore, e sottopone gli innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché è maggiore la confidenza nell'assalire i disarmati che gli armati. Queste si chiamano leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degli inconvenienti ed a vantaggi di un decreto universale» Per concludere, il Beccaria ,come economista, seguì l'indirizzo dei fisiocratici, ma sentì pure, per quanto in polemica, l'influenza dei colbertisti che sostenevano il Mercantilismo. Egli vide nella libera concorrenza il principio fondamentale di una buona economia, ma non riteneva che esso dovesse essere applicato rigidamente,perché lo riteneva dannoso, talvolta, soprattutto in materia di commercio internazionale. Un' altra opera interessante è il trattato intitolato Ricerche intorno alla natura dello stile (1770), in cui sostenne la necessità di dover abbandonare, nell'esame dello stile, il criterio dell'aderenza a norme fisse tradizionali, dedotte dalle opere del passato, per sostituire a esso un'indagine filosofica sull'essenza dell'attività artistica. Matilde Leoncini Pag.27 Il padre dell'Economia Politica:Adam Smith Adam Smith nacque in Scozia, a Kirkcaldy, il 5 giugno del 1723.Suo padre era esattore delle dogane mentre la madre apparteneva a una ricca famiglia della regione. Il padre morì nello stesso anno della sua nascita; figlio unico Adam, ebbe sempre un forte legame con la madre con cui trascorse la maggior parte della sua vita e non si sposò mai, anche se la cronaca parla di un suo importante amore con una giovane lady. Completata l’educazione universitaria a Glasgow e Oxford. E' divenuto professore tenne lezioni di retorica e letteratura a Edimburgo dal 1748 al 1751. Nel 1751 venne nominato professore di Logica e l'anno seguente professore di Filosofia morale, presso l'Università di Glasgow. Raccolse le sue lezioni di Etica nella sua prima grande opera, Teoria dei sentimenti morali (1759). La ricchezza delle Nazioni divenne il testo di riferimento per tutti gli economisti classici del XVIII e XIX secolo, come David Ricardo, Thomas Robert Malthus, Jean-Baptiste Say, John Stuart Mill, che o ne ripresero il contenuto per elaborare le proprie posizioni, anche divergenti fra di loro, oppure la criticarono alla ricerca di nuove idee. Dal 1764 al 1766 viaggiò come precettore in Francia, dove conobbe i più illustri filosofi ed economisti francesi del tempo; in particolare ebbe la possibilità di conoscere Voltaire a Ginevra nel 1765 e François Quesnay e Anne-Robert-Jacques Turgot che influenzarono in modo particolare la sua teoria della divisione del lavoro.Dal 1766 lavorò alla Ricchezza delle nazioni,ma l'opera venne pubblicata nel 1776, chiudendo,così, simbolicamente il periodo del mercantilismo, da lui così criticato,e dando l'inizio alla storia dell'Economia Politica come scienza autonoma. La ricchezza delle Nazioni divenne il testo di riferimento per tutti gli economisti classici del XVIII e XIX secolo, come David Ricardo, Thomas Robert Malthus, Jean-Baptiste Say, John Stuart Mill, che o ne ripresero il contenuto per elaborare le proprie posizioni, anche divergenti fra di loro, oppure la criticarono alla ricerca di nuove idee. Il saggio intitolato Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni riscosse un enorme successo di pubblico e di critica. Adam Smith viene considerato unanimemente il primo degli economisti classici, sebbene non sia facile individuare con precisione la fine del mercantilismo e l’inizio dell’età classica, poiché per un certo periodo ci fu una sovrapposizione tra le due correnti di pensiero. Nel 1778 Smith venne nominato commissario delle dogane e si trasferì ad Edimburgo dove visse agiatamente grazie anche al successo delle sue teorie fino alla sua morte il 17 luglio 1790. Roberta Santonastaso Pag.28 Wolfgang Amadeus Mozart Amadeus nacque il 27 gennaio del 1756, nel giorno di “San Giovanni Crisostomo” e per questo al battesimo gli furono imposti altri nomi, come Johannes Chrysostomus, il nome del nonno paterno Wolfgangus, che significa ‘ camminare come un lupo ’ e ,infine, anche Theophilus era il nome del padrino Johann Theophilus Pergmayr, commerciante e consigliere civico. Fu l’ultimo di sette figli, dei quali sopravvissero però solamente lui e la sorella maggiore Anna Maria. Leopold Mozart definiva suo figlio come "il miracolo che Dio ha fatto nascere a Salisburgo" e, infatti, fin da piccolo, Amadeus mostrò un grandissimo talento per la Musica. A tre anni suonava il clavicembalo, a cinque aveva già composto delle piccole opere, come l’“Andante e Allegro” e il “Minuetto”, raccolte poi nel Wolfgangerl Compositiones. Il piccolo aveva inoltre la capacità di riconoscere l'altezza dei suoni (il cosiddetto orecchio assoluto), cosa ,questa, che contribuì certamente a farne un genio assoluto della Musica. Nel 1762, il padre Leopold e i due figli si trasferirono a Monaco, dove Amadeus suonò presso la corte del principe elettore Massimiliano III. Verso la metà del Settecento, la famiglia intraprese un viaggio, lungo tre anni, per tutta Europa, visitando tra le altre Parigi e Versailles dove si fermarono e si esibirono nella Reggia. A Londra, Amadeus conobbe Johann Christian Bach, figlio minore del più famoso Johann Sebastian, e grazie a lui compose quattro sinfonie. Nel 1769, Mozart fu nominato Konzertmeister (maestro del concerto) dall'arcivescovo di Salisburgo, e in seguito si mise in viaggio, con il padre e la sorella, alla volta delle città italiane allora capitali della Musica: Venezia, Bologna, Roma, Napoli e Milano. In quest’ultima compose l’opera seria “Mitridate re del Ponto”, rappresentata ,per la prima volta, al teatro alla Scala nel 1770. Pag.29 Negli anni seguenti, la famiglia Mozart tornò in Italia per ben due volte, nel 1771 e poi nel 1772-1773. Il padre cercò di sistemare il figlio presso la Corte del Granduca Leopoldo I di Toscana, nell’attesa Amadeus compose i “Quartetti Milanesi” e ricevuta la risposta negativa, i Mozart tornarono a Salisburgo. Prima della morte del padre, Mozart compose due opere ancora oggi molto famose e importanti “Le nozze di figaro” e “Don Giovanni”,la morte del padre fu traumatica per lui sul piano emotivo ed economico. L’imperatore Leopoldo II, successore di Giuseppe II, inizialmente non fu entusiasta del lavoro di Mozart, però poco dopo cambiò idea e gli commissionò l’opera per celebrare la sua incoronazione “La clemenza di Tito”. Durante la sua vita scrisse molte sinfonie, musica sacra, melodrammi, musica da camera. Amadeus Mozart per la bellezza, leggerezza e l’amore per le sue composizioni, è considerato “il compositore universale della storia della musica occidentale”. Fu il primo fra i musicisti importanti a intraprendere la carriera da libero professionista, e uno dei massimi esponenti del Classicismo musicale settecentesco, insieme a Beethoven e Haydn costituì la Prima Scuola di Vienna. Morì a Vienna, il 5 dicembre del 1791, a soli trentacinque anni. Ricordare l’intera produzione di questo grande artista sarebbe lungo e noioso, ma vorrei citare tra le opere, in aggiunta ai titoli ricordati, Così fan tutte e Il Ratto dal serraglio e naturalmente ,tra le numerose sinfonie, la n°40 in Sol minore. Khrystyna Klyusyk Pag.30 L'importanza della vaccinazione Quando si pensa ad un regressivo cambiamento della vita si pensa subito al XIX secolo e agli argomenti che salvano l'esito degli esami orali di terza media: la Seconda Rivoluzione Industriale e la Rivoluzione Francese. Secondo me,invece, il vero punto di partenza è il 1796 con l'invenzione dei vaccini attribuita al medico Edward Jenner,medico e naturalista inglese. So che molti si chiedono il perché di questo,semplice... Grazie alla sua scoperta diede il primo spunto alla creazione di altri vaccini come, ad esempio, il vaccino contro la rabbia scoperto da Pasteur. A quei tempi c'era un alto tasso di mortalità, provocato dalle fognature quasi inesistenti,dall'utilizzo di acqua corrente quasi nulli e da una scarsissima ,talora, inesistente igiene;tutto ciò provocava veri e propri massacri e il dilagarsi di pericolose malattie ancora oggi presenti. Persino i dottori non si lavavano le mani; dovremo aspettare fino all' Ottocento per l'utilizzo del sapone prima degli interventi. Quindi si può dire alla vaccinazione e ad Edward un sonoro GRAZIE. Purtroppo anche oggi ci sono problemi contagio per pericolose malattie come l' Ebola o come il vaiolo e la peste ancora presenti nelle Vignetta satirica di James Gillray del 1802: Edward Jenner è zone più profonde della Cina. intento a vaccinare delle persone dal vaiolo ma il vaccino, Secondo me,oggi, la anziché prevenire la malattia, dà vita a delle vacche che escono dalla pelle. “malattia” più presente nei Paesi sviluppati è la DISINFORMAZIONE, diffusa da finti dottori e notizie false,come quella che i ”vaccini portano l'autismo”.Una cavolata grandissima! Le vaccinazioni dei bambini vengono effettuate in tenera età, età che non si può capire se un bambino è diversamente abile, quindi vedendo che il bambino ha una forma di autismo molti ne attribuiscono la colpa ai vaccini. Mitiracomando di vaccinarvi, “prevenire è meglio che curare”. Pietro Vezzaro Pag.31 Le recensioni del Leone Teatro Politeama FIGLI DI UN DIO MINORE di Mark Medoff Traduzione di Lorenzo Gioielli con GIORGIO LUPANO e RITA MAZZA con Cristina Fondi, Francesco Magali, Gianluca Teneggi, Deborah Donadio Regia Marco Mattolini L’opera è ambientata in un istituto per sordi con l’arrivo di un nuovo insegnante di logopedia, James Leeds. L’insegnante si contraddistingue per il suo grande entusiasmo e per la molta voglia di aiutare i ragazzi valorizzando le loro abilità piuttosto che le loro difficoltà. L’obiettivo principale di James è insegnare ai ragazzi a cavarsela da soli nella vita di tutti i giorni. Il giovane riesce ad ottenere buoni risultati con i propri allievi ma, la vera sfida per il docente è rappresentata da Sara, una giovane ragazza, intelligente e sorda fin dalla nascita. Sara ha un carattere forte ed è fiera della propria diversità, fino al punto rifiutarsi di parlare perché non vuole cedere alle convenzioni di un mondo, che non cerca di capirla, e teme poiché non ha mai conosciuto il suono della voce umana di non poterla fare bene perciò si esprime solo attraverso il linguaggio dei segni. Ogni incontro tra i due è una sfida e, allo stesso tempo, un’occasione per cercare di aprirsi all’altro. All’inizio la ragazza è ostile ma James non si arrende e i due finiscono per innamorarsi. Insieme affronteranno molte difficoltà cercando di superarle col linguaggio comune dei sentimenti. Ma nell'assenza di rumori lui si sente inutile e lei più protetta (al riparo da ingiustizie e delusioni). Il dramma portato in scena da un cast formato da attori udenti e non udenti ha letteralmente conquistato il pubblico. Ci sono stati molti momenti ricchi di emozioni, ma io sono stata colpita, in particolare, dalla scena nella quale James tenta di spiegare a Sara cos’è la musica e poi lei gli risponde: "Quello che per voi sono le orecchie per me sono gli occhi" e da un’altra frase di Sara: “La sordità non è il contrario dell’udito. È un silenzio pieno di suoni”. Penso però che il momento più toccante sia stato quello finale quando il pubblico si è riunito in un applauso silenzioso. Lo spettacolo è unico nel suo genere perché si rivolge sia agli udenti sia ai non udenti e a entrambi regala molte emozioni. Uno spettacolo certamente impegnativo ma ricco di significati! Figli di un Dio Minore è Vincitore del Premio Camera di Commercio delle Riviere di Liguria al 50° Festival di Borgio Verezzi “Per aver affrontato con delicatezza la tematica della sordità e aver felicemente messo a contatto due mondi, solo in apparenza incapaci di comunicare tra loro, sia sul palcoscenico - dove attori non udenti recitavano accanto a colleghi udenti -, sia in platea - con tutti gli spettatori uniti a fine rappresentazione in un commovente applauso “silenzioso”, una distesa di mani aperte che si agitavano nell’aria. Un progetto di grande valenza sociale e artistica”. Roberta Santonastaso L' Illuminismo "Che cos'è l'illuminismo?"L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidato da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E' questo il motto dell'Illuminismo. Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi.” Emmanuel Kant La Voce del Leone Redazione Advija E.; Calabrese E.;Ceccarelli R. Costagli A;De Luca J.; Ferrara E; Gaggelli E.;Giacomini F.; Klyusyk C.; Laurino T.;Leoncini M.;Li Perni L; Lleshi K.;Lorenzini V. ;Mostacci C Mostacci C.:; Oliva M.;Pascale D. Perciante H.; Santonastaso R.; Shoraj J. Verdiani A.;Vezzaro P.; Xhaferi D. Caporedattore Marco Nesi Collaborazioni esterne Clara Imbimbo