APPUNTI DI DIDATTICA DELLA MATEMATICA Sommario. Questi appunti sono solo per uso interno degli studenti del corso PAS della classe A059 presso l’Università di Trento, Anno Accademico 2015-16. Sono ricchi di refusi per la necessità di metterli a disposizione degli studenti in tempo utile. Mancano inoltre tutte le figure e alcune dimostrazioni, svolte in classe, e che quindi fanno parte del programma d’esame. Si noti che alcune parole si possono cliccare. SI tratta di alcuni concetti di geometria "superiore", ossia non parte dei comuni programmi di insegnamento delle scuole medie, ma che credo un docente debba conoscere. Il docente che non li conoscesse, cliccandoli, verrà condotto su una pagina web dove troverà gli elementi base di tali concetti, sufficienti per capire queste note. 1. Le isometrie Una isometria è una corrispondenza biunivoca del piano in sé che conserva le distanze. Di conseguenza la composizione di due isometrie è ancora una isometria. Proprietà: (1) Una retta viene trasformata in una retta, un segmento in un segmento della stessa lunghezza, un cerchio in un cerchio dello stesso raggio, un angolo in un angolo della stessa ampiezza, una qualunque figura in una figura congruente. (2) Rette parallele vengono trasformate in rette parallele. (3) Una isometria si dice diretta se conserva l’orientazione di ogni figura. Una isometria non diretta si dice inversa e inverte l’orientazione di ogni figura. Per descrivere e studiare le isometrie del piano è conveniente considerare il piano con coorx delle sue coordinate dinate cartesiane. Ogni punto viene quindi identificato con il vettore y cartesiane. Altra convenzione conveniente è quella di utilizzare le matrici. Il vettore coordinate di un punto è infatti una matrice con due righe e una colonna (in breve: una matrice 2 × 1). Useremo quindi la somma e il prodotto di matrici. Di seguito la classificazione delle isometrie, dirette e inverse. 1.1. Isometrie dirette. 1.1.1. Le traslazioni. La traslazione è una isometria che fa corrispondere ad ogni punto P del piano un punto P 0 in modo che i segmenti P P 0 siano tutti uguali, paralleli ed equiversi. È una isometria diretta. Proprietà: (1) Non ha punti fissi. (2) Sono unite tutte le rette che hanno la direzione della traslazione. (3) Trasforma rette in rette ad esse parallele. p (4) È caratterizzata dal vettore di traslazione v = delle coordinate cartesiane della q trasformata dell’origine O del sistema di coordinate. Notazione: Tv , dove v rappresenta il vettore della traslazione. 1 p x Equazioni: La traslazione Tv di vettore v = manda un punto di coordinate , nel q y punto di coordinate 0 x p x = + . 0 y q y In altre parole ( x0 = x + p y0 = y + q 1.1.2. Le rotazioni. La rotazione è una isometria che ha un solo punto fisso Q, detto centro della rotazione, e che fa corrispondere ad ogni punto P del piano un punto P 0 in modo che \ gli angoli P QP 0 siano tutti uguali ad un angolo di ampiezza fissata che chiamiamo α. È una isometria diretta. Proprietà: (1) Ha un solo punto fisso, il centro Q, a meno che α = 2kπ per un opportuno k ∈ Z, nel qual caso è l’isometria identità che fissa ogni punto. (2) Non ha alcuna retta unita, ad eccezione delle seguenti rotazioni particolari. α = 2kπ: fissa ogni punto, quindi sono unite tutte le rette. α = (2k + 1)π sono unite tutte le rette che passano per il centro Q, si tratta della simmetria centrale di centro Q (vedi dopo). (3) È caratterizzata da un punto Q (centro) e da un angolo α. (4) È uguale alla composizione di due simmetrie assiali (vedi dopo) i cui assi si incontrano nel centro Q e formano un angolo pari alla metà di quello della rotazione. Notazione: R(Q,α) dove Q rappresenta il centro della rotazione, e α l’angolo della rotazione x0 Equazioni: La rotazione intorno al punto Q di coordinate e angolo α manda un punto y0 x di coordinate , nel punto di coordinate y 0 x cos α − sin α x − x0 x0 = + . y0 sin α cos α y − y0 y0 In altre parole ( x0 = (x − x0 ) cos α − (y − y0 ) sin α + x0 y 0 = (x − x0 ) sin α + (y − y0 ) cos α + y0 1.1.3. Le simmetrie centrali. Dato un punto Q nel piano, chiamato centro di simmetria, si definisce simmetria centrale l’isometria che fa corrispondere ad ogni punto P del piano quel punto P 0 tale che il segmento P P 0 contenga Q e sia diviso da esso in due parti uguali. Concide con la rotazione R(Q,π) . Le simmetrie centrali sono quindi rotazioni particolari, e di conseguenza isometrie dirette. Proprietà: (1) (2) (3) (4) Ha un unico punto fisso: il centro di simmetria Q. Sono unite tutte le rette passanti per il centro di simmetria Ogni retta è trasformata in una retta ad essa parallela. È la composizione di due simmetrie assiali con assi perpendicolari. Notazione: SQ dove Q è il centro di simmetria 2 a Equazioni: Se Q ha coordinate , la simmetria centrale SQ manda un punto di coordinate b x , nel punto di coordinate y 0 x a x =− +2 . 0 y b y In altre parole ( x0 = 2a − x y 0 = 2b − y 3 1.2. Isometrie inverse. 1.2.1. Simmetrie assiali. Data una retta r del piano, si definisce simmetria assiale con asse di simmetria r l’isometria che fa corrispondere ad ogni punto P del piano il punto P 0 tale che il segmento P P 0 sia perpendicolare a r e intersechi r nel suo punto medio. È una isometria inversa. Proprietà: (1) Sono fissi tutti i punti dell’asse. (2) Le rette unite sono l’asse e le rette perpendicolari all’asse. (3) Rette parallele all’asse sono trasformate in rette parallele all’asse. Similmente, rette secanti l’asse sono trasformate in rette secanti l’asse. (4) La composizione di una simmetria assiale con se stessa dà l’identità. Notazione: Sr dove r è l’asse di simmetria. Equazioni: La simmetria assiale Sr dove r è la retta passante per un punto di coordinax0 x te tagliante angolo α2 con l’asse x, manda un punto di coordinate , nel punto di y0 y coordinate 0 cos α sin α x − x0 x0 x = + . 0 sin α − cos α y − y0 y0 y In altre parole ( x0 = (x − x0 ) cos α + (y − y0 ) sin α + x0 y 0 = (x − x0 ) sin α − (y − y0 ) cos α + y0 1.3. Glissosimmetria. Una glissosimmetria è la composizione di una simmetria assiale con una traslazione (diversa dall’identità) nella direzione dell’asse di simmetria. Proprietà: (1) Non ha punti fissi. (2) Ha come direzione invariante quella dell’asse di simmetria. Notazione: G(r,v) dove r rappresenta l’asse della simmetria e v il vettore della traslazione nella direzione dell’asse. Equazioni: per un punto di La glissosimmetria assiale G(r,v) dove r è la retta passante x0 p − x0 coordinate tagliante angolo α2 con l’asse x, e v è il vettore di coordinate manda y0 q − y0 x un punto di coordinate , nel punto di coordinate y 0 x cos α sin α x − x0 p = + . y0 sin α − cos α y − y0 q In altre parole ( x0 = (x − x0 ) cos α + (y − y0 ) sin α + p y 0 = (x − x0 ) sin α − (y − y0 ) cos α + q 4 2. Composizione di isometrie 2.1. Determinare il tipo di isometria dalla matrice e dal vettore si può. Nella scorsa sezione abbiamo descritto tutte le isometrie del piano, dividendole in quattro categorie, e abbiamo visto che si possono distinguere sulla base dell’essere una isometria diretta o inversa e dell’avere o meno punti fissi. Riassumendo (per lo schema seguente conviene considerare l’identità come una rotazione e non come una traslazione; inoltre non menzioniamo le simmetrie centrali in quanto speciali rotazioni). (1) Traslazioni: sono dirette senza punti fissi. (2) Rotazioni: sono dirette con punti fissi. (3) Simmetrie: sono inverse e con punti fissi. (4) Glissometrie: sono inverse e senza punti fissi. Le abbiamo anche descritte con l’aiuto delle matrici. Più precisamente abbiamo vistoche x ogni isometria può essere descritta come l’applicazione che manda un punto di coordinate y nel punto di coordinate 0 x p x =A + 0 y y q dove A è una matrice con due righe e due colonne della forma cos α − sin α se l’isometria è diretta sin α cos α opure cos α sin α se l’isometria è inversa sin α − cos α p Ora ci poniamo la seguente domanda. Se di un’isometria conosciamo A e , come possiamo q dedurre se l’isometria è una traslazione, una rotazione, una simmetria o una glissometria? È semplice determinare se si tratta di un’isometria diretta o inversa: basta calcolare il determinante di A. Ricordando infatti che il determinante di una matrice con due righe e due colonne è a b det = ad − bc, c d osserviamo che, per la nota formula trigonometrica sin2 α + cos2 α = 1, nel caso di isometrie dirette il determinante è 1 mentre nel caso di isometrie inverse è −1. Come distinguere le rotazioni dalle traslazioni? Un’isometria che non ha punti fissi è diretta 1 0 . Quindi, se A = 12 si tratta una traslazione, che sono le isometrie per le quali A = 12 := 0 1 p della traslazione di vettore , se invece A 6= 12 ma comunque det A = 1 si tratta di una q rotazione di angolo che può essere ricavato facilmente da A. Leggermente più complesso invece è ricavare il centro: bisogna calcolare le coordinate dell’unico punto fisso della trasformazione, il che comporta risolvere un sistema lineare di due equazioni in due incognite. Nel caso delle isometrie inverse vediamo invece che la matrice A ci permette facilmente di calcolare la direzione dell’asse, ma determinare l’asse e distinguere tra simmetrie e glissosimmetrie richiede di studiare se ci sono punti fissi, e quindi ancora studiare un sistema di due equazioni in due incognite. Non entriamo nel dettaglio dello studio di questi sistemi lineari. Riassumendo (1) traslazioni: A = 12 (2) rotazioni: A 6= 12 ma comunque det A = 1 (3) simmetrie: det A = −1 e con punti fissi 5 (4) glissometrie: det A = −1 senza punti fissi 2.2. Come studiare la composizione di isometrie con le matrici: qualche esempio. La descrizione matriciale ci permette di studiare facilmente cosa succede quando componiamo due isometrie. Se infatti vogliamo effettuare prima l’isometria x x p 7→ A + y y q e poi l’isometria 0 p x 0 x + 0 7→ A q y y otteniamo ovviamente l’isometria 0 x x p p 0 7→ A A + + 0 q y y q che per le proprietà delle operazioni di somma e prodotto tra matrici, si lascia scrivere anche come 0 p p x x 0 + 0 7→ (A A) + A0 q q y y In altre parole: p la composizione dell’isometria con matrice A e vettore con l’isometria di matrice A0 e q 0 0 p p 0 0 p vettore è l’isometria di matrice AA e vettore A + 0 . q0 q q In particolare osserviamo che la matrice dell’isometria composizione dipende solo dalle matrici delle due isometrie specifiche, e non dai loro vettori. Da questo possiamo facilmente dedurre molte cose su come si comporta la composizione di due isometrie. Per semplicità consideriamo solo il caso di composizione di due simmetrie e di due rotazioni, ma ogni composizione può essere facilmente studiata nello stesso modo. 2.3. Composizione di due simmetrie. La matrice di una simmetria corrisponde alla pendenza dell’asse. Se componiamo due simmetrie, con matrici rispettivamente A e A0 , otteniamo una isometria con matrice AA0 e quindi, siccome per il Teorema di Binet det (AA0 ) = det(A) det(A0 ) = (−1) · (−1) = 1 ne deduciamo innanzitutto che si tratta di un’isometria diretta. Se gli assi r e r0 sono paralleli, il che vuol dire che A = A0 , la matrice dell’isometria composizione è la matrice A2 che è la matrice 12 in quanto le matrici coinvolte sono le stesse che consideremmo se componessimo una delle due simmetrie con se stessa, nel qual caso la composizione è l’isometria identica la cui matrice, per l’appunto, è 12 . Quindi se componiamo due simmetrie con assi paralleli otteniamo una traslazione. Invece, se i due assi di simmetria che denotiamo rispettivamente con r e r0 non sono paralleli, essi si intersecano in un punto Q. Essendo tale punto fissato da entrambe le simmetrie lo è anche dalla loro composizione, che quindi è una rotazione di centro Q. L’angolo può essere facilmente calcolato in funzione degli angoli che determinano le due matrici delle due simmetrie. Infatti, se cos α sin α cos α0 sin α0 0 A= A = sin α − cos α sin α0 − cos α0 possiamo calcolare esplicitamente il prodotto AA0 e ricavarne l’angolo della composizione in funzione di α e α0 con un pò di trigonometria. In questo caso è più semplice usare la geometria: appare ovvio che r viene fissata dalla prima simmetria, e viene mandata dalla seconda in una 6 retta per Q che forma con r angolo doppio rispetto a quello formato da r0 . Quindi se β è l’angolo formato da r e r0 , l’angolo fra r e la sua trasformata è 2β, e quindi la rotazione composizione è la rotazione di 2β. 2.4. Composizione di due rotazioni. La matrice di una rotazione determina ll’angolo di cui stiamo ruotando, mentre non ha niente a che vedere con la posizione del centro. Se componiamo due rotazioni di centro l’origine di angoli rispettivi α e α0 , è ovvio che otteniamo la rotazione di centro l’origine e angolo α + α0 . Quindi, visto che la matrice della composizione non dipende dai centri, ne deduciamo che la composizione di due rotazioni di angoli α e α0 è, qualunque siano i centri delle due rotazioni, una rotazione di angolo α + α0 . Il centro della rotazione ottenuta dipende invece, oltre che dagli angoli α e α0 anche dai centri delle due rotazioni, che chiamiamo rispettivamente Q e Q0 . Come possiamo determinarlo? Suggerimento: provate a scomporre ogni rotazione come somma di due simmetrie, in modo che in ambedue i casi si usi la simmetria rispetto alla retta che contiene tanto Q quanto Q0 . 7 3. Angoli piani Il risultato più noto, molto utile nella geometria piana, è il seguente Teorema. Due angoli coi lati paralleli e concordi, oppure paralleli e discordi, sono uguali. Invece due angoli che abbiano due lati paralleli e concordi, e gli altri due paralleli e discordi, sono supplementari. Questa ne è la versione più ampia e sintetica, che forse il lettore faticherà a riconoscere. Per aiutare il lettore a riconoscerlo, diano nomi alle semirette che determinano i due angoli. Diciamo che il primo angolo sia l’angolo incluso tra la semiretta r e la semiretta s, mentre il secondo sia quella inclusa tra la semiretta r0 e s0 . Nel teorema si discutono tre casi, ma in tutti i casi si suppone che r sia parallela a r0 e s sia parallela a s0 . Supponiamo per esempio che s e s0 siano concordi e parzialmente sovrapposte: stiamo ossia supponendo che giacciano sulla stessa retta, e vadano nella stessa direzione. Sono quindi parallele e concordi. Se tracciamo le rette contenenti r ed r0 , che sono parallele, le tre rette disegnate descrivono la classica situazione di rette parallele tagliate da una trasversale. Nel caso in cui le due semirette r e r0 siano concordi, gli angoli che troviamo sono, nella nomenclatura piiù usata, angoli corrispondenti. Il teorema usato in questo caso quindi (r, r0 concordi, s e s0 concordi e parzialmente sovrapposte) ci dice: Corollario. Angoli corrispondenti sono uguali. Una costruzione analoga nel caso in cui r e r0 siano discordi, s ed s0 anche e giacenti sulla stessa retta ci dice: Corollario. Angoli alterni (interni od esterni) sono uguali. Il caso in cui due semirette siano concordi e due discordi diventa in maniera analoga Corollario. Angoli coniugati sono supplementari. Stranamente meno popolare è il teorema inverso, ugualmente importante per le applicazioni in geometria piana, e ancora più importante per la sua dimostrazione, in quanto consente di avvicinare i ragazzi per la prima volta a un tipo di ragionamento diverso da quello a cui sono abituati, il ragionamento per assurdo, in un caso molto semplice e quindi alla loro portata. In sostanza dice che se abbiamo due rette tagliate da una trasversale che formino due angoli (corrispondenti, alterni o coniugati) che verificano la tesi del relativo corollario sopra, allora le due rette devono essere parallele. Prima di vederlo, consideriamo un altro risultato importante di geometria piana che useremo. Teorema dell’angolo esterno.1 In un triangolo, ogni angolo esterno è uguale alla somma dei due angoli interni ad esso non adiacenti. Dimostrazione: Siano A, B e C i vertici del triangolo, e si scelga un punto D sulla semiretta con origine in \ = CAB [ + ABC. [ B e contenente C. Vogliamo dimostrare l’uguaglianza ACD Per il vertice C tracciamo la parallela CE al lato AB. [ = CAB [ ACE in quanto alterni interni rispetto alle parallele AB, CE con la trasversale AC. \ = ABC [ ECD in quanto corrispondenti rispetto alle parallele AB, CE con la trasversale BD. Dunque: \ = ACE [ + ECD \ = CAB [ + ABC [ ACD C.V.D. 1Questo viene spesso chiamato Teorema dell’angolo esterno “forte”; quello "debole" che ne è una forma meno precisa, viene usualmente dimostrata prima perché utile a dimostrare i teoremi sulle rette parallele di cui sopra. Noi non lo ricordiamo in questa sede. 8 Ora possiamo dimostrare il teorema delle parallele. Lo dimostriamo nel caso degli angoli alterni interni (da cui non è difficile ricavare gli altri). Teorema delle parallele. Date due rette tagliate da una trasversale, se gli angoli alterni interni sono congruenti, le rette sono parallele. Dimostrazione: Facciamo vedere che non è possibile che le rette, che chiamiamo r ed r0 , non siano parallele. Supponiamo quindi che r e r0 non siano parallele, allora si incontrano in un punto A. Chiamando B e C i punti di incontro di r e r0 con la trasversale, troviamo un triangolo ABC a cui possiamo quindi applicare il teorema dell’angolo esterno. Osserviamo ora che i nostri due angoli alterni interni sono diventati un angolo interno e un angolo esterno: per fissare le idee diciamo che si tratta dell’angolo interno in B e dell’angolo esterno in C. Dal teorema dell’angolo esterno, l’angolo esterno in C è uguale alla somma degli angoli interni in B ed A. Ma essendo per ipotesi uguale all’angolo interno in B, ne deduciamo che l’angolo interno in A è nullo, il che è assurdo: in un triangolo nessun angolo interno può essere nullo!!! Quindi il risultato a cui ha portato questo ragionamento è assurdo. Ergo, la nostra supposizione che le rette r ed r0 non siano parallele, non può mai verificarsi! C.V.D. Tornando ai triangoli, vediamo l’importantissimo Teorema degli angoli interni di un triangolo. In un triangolo, la somma dei tre angoli interni è uguale a un angolo piatto. Dimostrazione: Si può vedere come semplice corollario del teorema dell’angolo esterno. Oppure si può dimostrare come segue. Per un vertice qualsiasi (diciamo A) si traccia la parallela r al lato BC, e fissiamo due punti su di essa D ed E in modo che il segmento orientato DE sia concorde a BC e A vi sia contenuto. Allora \ = CBA [ DAB in quanto alterni interni rispetto alle parallele DA e BC tagliate dalla trasversale AB; [ = ACB [ CAE in quanto alterni interni rispetto alle parallele AE e BC tagliate dalla trasversale AC; e quindi [ + BAC [ + ACB [ DAB \ + BAC [ + CAE [ = DAE \ CBA che è un angolo piatto in A. C.V.D. Se ne deducono vari risultati utili, quali per esempio: Corollario. • I due angoli acuti di un triangolo rettangolo sono complementari. • In un triangolo equilatero, ogni angolo è uguale alla terza parte di un angolo piatto. • Se due triangoli hanno rispettivamente uguali due angoli, avranno uguale anche l’angolo rimanente. Se ne deduce inoltre l’analogo risultato per un poligono convesso qualunque. Teorema degli angoli interni di un poligono convesso. In un poligono convesso con n lati, la somma degli n angoli interni è uguale alla somma di n − 2 angoli piatti. Dimostrazione: Scegliamo un vertice, chiamiamolo A, e tracciamo tutte le diagonali per A del poligono. Esse sono esattamente n − 3, in quanto ne abbiamo una per ogni vertice del poligono che non sia né A né uno dei due vertici ad esso adiacenti. Tali diagonali sono tutte interne al poligono (qui serve che il poligono sia convesso!) e dividono il poligono in n − 2 triangoli. Le diagonali hanno inoltre diviso gli angoli del poligono in vari angoli più piccoli che sono ora gli angoli interni dei triangoli ottenuti2. 2A voler esser precisi, l’angolo in A viene diviso in n − 2 parti, gli angoli per i vertici adiacenti ad A non vengono divisi (e sono ora ciascuno un angolo interno di uno dei triangoli ottenuti) mentre gli altri angoli sono stati divisi in due parti. 9 Se ne deduce che la somma degli angoli interni del poligono è uguale alla somma degli angoli interni degli n − 2 triangoli ottenuti, ciascuno dei quali contribuisce alla somma con un angolo piatto per il teorema degli angoli interni di un triangolo. C.V.D. Molto più semplice è il Teorema degli angoli esterni di un poligono convesso. In un poligono convesso, la somma degli angoli esterni è uguale aun angolo giro. Si può facilmente ricavare dal precedente per differenza, ma gli studenti lo capiscono meglio se "mostrato" facendo fare un "giro" ad una macchinina sul perimetro del poligono, osservando che la macchina sterza su ogni vertice con angolo di sterzata uguale all’angolo esterno e... alla fine ha fatto un GIRO! C.V.D. 10 4. I triangoli Ricordiamo qui i tre criteri. Primo criterio di congruenza dei triangoli. Due triangoli sono congruenti se hanno congruenti due lati e l’angolo tra essi compreso. Secondo criterio di congruenza dei triangoli Due triangoli sono congruenti se hanno un lato e due angoli a esso adiacenti rispettivamente congruenti. Terzo criterio di congruenza dei triangoli Due triangoli sono congruenti se hanno tutti i lati ordinatamente congruenti. Normalmente si postula il primo, per dedurne gli altri due. In realtà quello più semplice da capire per uno studente di scuola secondaria di primo grado è probabilmente l’ultimo. Basta dargli tre coppie di bastoncini in modo che in ogni coppia i due bastoncini siano della stessa lunghezza ma siano uno rosso e l’altro nero, e gli si suggerisca di costruire un triangolo con i bastoncini rossi. Il ragazzo osserverà facilmente che il triangolo costruito è rigido, al contrario di quello che succede se usa quattro bastoncini per formare un quadrilatero (e infatti non vi è un analogo criterio di congruenza per i quadrilateri). Se poi ne forma un altro con i bastoncini neri capirà subito che proprio per la rigidità della costruzione il secondo triangolo è perfettamente sovrapponibile (ossia congruente) al primo. Anche gli altri due criteri si possono osservare con analoghe attività pratiche. Val la pena sottolineare che in tutti i criteri mi serve determinare tre "dati" per assicurarmi che i triangoli sono congruenti, dove i dati sono lunghezze dei lati o ampiezze degli angoli. Manca un criterio che usi solo gli angoli, ma questo dipende da uno dei corollari del teorema degli angoli interni di un triangolo: se due triangoli hanno due angoli congruenti anche il terzo lo deve essere, e questo vuol dire che se imponiamo tre angoli congruenti... è come imporne solo due, troppe poche condizioni per fissare il triangolo3. Nondimeno nei primi due criteri, che usano tanto angoli quanto lati... la posizione relativa di angoli e lati è molto ben specificata. Che succede se imponiamo l’uguaglianza tra due angoli e un lato, o tra un lato e due angoli, nella stessa posizione relativa, ma diversa da quella indicata nei criteri? Stiamo cercando di generalizzare i primi due criteri. 4.1. Generalizzazione del primo criterio: non va! La naturale generalizzazione del primo criterio sarebbe considerare un angolo che non sia quello compreso. Ci chiediamo quindi Domanda: Supponiamo di avere due triangoli ABC e A0 B 0 C 0 tali che AB = A0 B 0 , BC = B 0 C 0 e l’angolo in A sia uguale all’angolo in A0 . Basta ciò per dedurne che sono congruenti? La risposta è negativa, e un esempio facile si trova proprio giocando con i bastoncini, mostriamo qui il risultato. Fisso un triangolo ABC a piacere, e sia r la retta contenente la sua altezza per il vertice B. La simmetria di asse r, essendo r ortogonale ad AC, manda C in un altro punto della retta contenenti il segmento AC che chiamiamo C 0 . Scegliamo ora A0 = A e B 0 = B. Il triangolo ABC e A0 B 0 C 0 hanno AB = A0 B 0 in quanto sono i segmenti AB e A0 B 0 a coincidere; AC = A0 C 0 in quanto per costruzione la simmetria di asse r manda AB in A0 C 0 ; b=A b0 A in quanto angoli perfettamente sovrapposti. 3Qui si entra nel mondo delle similitudini... 11 4.2. Generalizzazione del secondo criterio: va! La naturale generalizzazione del secondo criterio sarebbe lasciare che il lato sia adiacente ad uno solo dei due angoli considerati. Ed effettivamente in questo caso funziona. Secondo criterio generalizzato di uguaglianza dei triangoli Se due triangoli hanno rispettivamente uguali un lato e due angoli, e i due angoli sono, nei triangoli, disposti allo stesso modo rispetto al lato uguale, allora quei due triangoli sono uguali. Dimostrazione: Basta osservare che, come già detto, se due triangoli hanno due angoli a coppie congruenti, allora siccome la somma dei tre angoli deve sempre fare lo stesso valore, anche il terzo lo deve essere! Quindi nelle ipotesi date siamo sicuri che oltre al lato i due triangoli avranno comunque congruenti anche gli angoli adiacenti e quindi per il secondo criterio (versione "base") i due triangoli sono congruenti. C.V.D. Osservazione: È davvero essenziale che i due angoli siano nei due triangoli, disposti allo stesso modo rispetto al lato uguale? SI!!!! \ sia maggiore dell’angolo in ADB, \ Scegliete un qualunque triangolo ABD il cui angolo in DBA \ con AB, e chiamate C la sua intersezione prendete la semiretta per B che faccia angolo ADB [ = ADB. \ con la retta contenente AD. In altre parole, abbiamo scelto C in modo che ABC Notate che avendo assunto l’angolo in B maggiore dell’angolo in D, B cade internamente al segmento AD. Il triangolo ABC non è di sicuro congruente a ABD, è chiaramente più piccolo! Eppure i due triangoli hanno un lato e un angolo in comune, e quindi, dal momento che per [ = ADB, \ essi hanno rispettivamente uguali un lato e due angoli!!!! costruzione ABC Concludo con un’osservazione sulle relazioni tra i criteri di congruenza e le isometrie: infatti una congruenza tra due figure non è altro che un’isometria. L’idea alla base del terzo criterio di congruenza dei triangoli, è che un’isometria (anzi, un’affinità) è determinata dall’immagine di tre suoi punti. Se scegliamo nel piano tre punti A, B e C non allineati e altri tre punti A0 , B 0 e C 0 in modo che AB = A0 B 0 , BC = B 0 C 0 , CA = C 0 A0 , allora esiste un’unica isometria del piano in se stesso che manda A in A0 , B in B 0 e C in C 0 . Questo si può dimostrare, per esempio, calcolando esplicitamente la matrice A e il vettore v dalle coordinate dei sei punti: si trova un sistema lineare e non è difficile dedurne con un pizzico di algebra lineare che la soluzione è unica. Ovviamente un tale ragionamento non è alla portata di uno studente di scuola secondaria di primo grado. 12 5. I quadrilateri 5.1. Le definizioni. Cominciamo ricordando le definizioni più comunemente date delle classi di quadrilateri maggiormente studiate. Tr: Un quadrilatero si dice trapezio se ha due lati opposti4 paralleli, Pa: Un quadrilatero avente parallele ambedue le coppie di lati opposti si dice parallelogramma o parallelogrammo. Re: Un parallelogramma con i quattro angoli tra loro congruenti si dice rettangolo. Ro: Un parallelogramma con i quattro lati tra loro congruenti si dice rombo. Qu: Un rettangolo che sia anche un rombo si dice quadrato. Le definizioni da me scelte hanno il vantaggio di rendere immediatamente evidente il classico diagramma di Venn da cui si deduce che la classe dei trapezi contiene quella dei parallelogrammi, la quale contiene le due sottoclassi formate da rombi e rettangoli l’intersezione delle quali è la classe dei quadrati. Nondimeno vi sono numerose altre definizioni "equivalenti" che possono essere scelte in alternativa a queste, come vedremo in seguito. Innanzitutto, per definire rettangolo5, non vi sarebbe bisogno di parlare di parallelogrammi. Un quadrilatero con i quattro angoli congruenti, per il teorema degli angoli interni di un poligono convesso, ha tutti gli angoli retti, e da questo si deduce facilmente che si tratta di un poligono. Il docente che voglia scegliere di definire il rettangolo non come da me descritto, ma come "un quadrilatero con tutti gli angoli retti", non sbaglia di certo. Altre definizioni meno standard sono comunque corrette, si tratta di scegliere quella più funzionale al progetto didattico. Avremmo potuto anche, in maniera decisamente poco comune, definire il parallelogramma come il quadrilatero le cui diagonali si tagliano scambievolmente nei rispettivi punti medi, anche se fatico a immaginare un progetto didattico che lo consigli. Da un punto di vista puramente matematico avremmo potuto anche definire il parallelogramma come "il quadrilatero che ha i lati opposti paralleli e le diagonali che si tagliano scambievolmente nei rispettivi punti medi", ma questo sarebbe un grave errore dal punto di vista didattico, perché produrrebbe naturalmente una misconcezione negli studenti: e cioé che avendo un quadrilatero "tra le mani" bisogna verificare ambedue le condizioni, quella sui lati e quella sulle diagonali, per essere sicuri di avere a che fare con un parallelogramma. E una volta che le misconcezioni sono state veicolate, diventa poi molto difficile liberarsene. É altresí molto importante che gli studenti imparino a destreggiarsi fra le diverse caratterizzazioni di queste figure, proprio perché molti ragionamenti di geometria piana si sviluppano proprio così, tipo ".. avendo appena verificato che il quadrilatero ABCD è un parallelogramma, ne deduciamo che il punto E di intersezione dei segmenti AC e BD è il punto medio di entrambi". Per evitare di confondere un giovane studente è però meglio distinguere tra le varie caratterizzazioni, scegliendo per ogni classe di figure una di esse, una volta per tutte, come definizione e introducendo poi le altre, una per volta, come criteri. 5.2. Il trapezio isoscele. Mi è capitato sovente di trovare confusione, tra gli insegnanti o aspiranti tali che ho incontrato, sul concetto di trapezio isoscele. Tutti concordano nel definirlo come "un trapezio i cui due lati obliqui sono congruenti", ma si dividono sul significato di questa frase. E forse non è colpa loro, perché la frase, molto diffusa, non è chiara se non capiamo bene il significato della parola obliqui. Il significato corretto6 di lati obliqui è lati opposti non paralleli. Un trapezio ha quindi esattamente una coppia di 4Da un punto di vista puramente scientifico qui il termine opposti è superfluo visto che, a meno di ammettere quadrilateri degeneri, due lati non opposti sono incidenti e quindi non paralleli. In un ottica d’insegnamento però a volte un pò di ridondanza aiuta il giovane studente alla comprensione del concetto. 5Un risultato analogo vale per il rombo, lo vedremo in dettaglio successivamente. 6Nel senso di "quello che intendono i testi" 13 lati obliqui a meno che sia un parallelogramma, nel qual caso non ne ha nessuna! E quindi i parallelogrammi sono particolari trapezi, ma non sono trapezi isosceli. Questo è esattamente il punto su cui gli insegnanti di cui sopra si dividevano: per alcuni un parallelogramma è perfettamente degno di essere chiamato trapezio isoscele. Perché sbagliano? Non è che una definizione sia giusta e un’altra sbagliata, non vi è un Dio della geometria piana le cui parole dobbiamo ripetere a memoria per ragioni di fede. Le definizioni sono convenzioni tra esseri umani per comunicare concetti, e quindi sono funzionali a i concetti da comunicare. Allora per un’insegnante di scuola media non dovrebbero esserci dubbi! Quali sono i concetti che si vogliono comunicare relativi ai triangoli isosceli? Vediamone alcuni. Teorema. Gli angoli adiacenti ad una base di un trapezio isoscele sono congruenti. Questo teorema non sarebbe vero se avessimo definito i trapezi isosceli in modo che includano i parallelogrammi. In tal caso, nel raccontare questo teorema, avremmo dovuto specificare "a meno che sia un parallelogramma". Col risultato di renderlo decisamente più indigesto. Vediamone un altro paio. Teorema. Le diagonali di un trapezio isoscele sono congruenti. Teorema. Le diagonali di un trapezio isoscele lo dividono in quattro triangoli di cui due isosceli e due congruenti. Convinti? 5.3. I parallelogrammi. Abbiamo detto che diciamo che un quadrilatero è un "parallelogramma" se ogni coppia di lati opposti è una coppia di lati paralleli. Vi sono però molti altri modi di riconoscere un parallelogramma. Caratterizzazioni del parallelogramma. Sia Q un quadrilatero. Allora le seguenti proprietà sono equivalenti a) b) c) d) e) f) ogni coppia di lati opposti è una coppia di lati paralleli; ogni coppia di lati opposti è una coppia di lati congruenti; ha una coppia di lati opposti che sono paralleli e congruenti; ogni coppia di angoli opposti è una coppia di angoli congruenti; per ogni lato, gli angoli adiacenti ad esso sono supplementari; le diagonali si intersecano nei rispettivi punti medi. Quindi, siccome la proprietà a) è proprio la nostra definizione di parallelogramma, basta verificare che il quadrilatero abbia una delle proprietà indicate per assicurarsi che sia un parallelogramma e quindi che abbia tutte le altre. Pessimo è l’insegnante che insegna semplicemente che un parallelogrammo è un quadrilatero con "lati opposti paralleli e congruenti, angoli opposti congruenti, angoli consecutivi supplementari e diagonali che si tagliano scambievolmente a metà". È vero, ma cosí non si danno allo studente gli strumenti per capire ragionamenti geometrici come quello che segue: se in una costruzione trovo due segmenti AB e CD che sono paralleli e congruenti, allora il punto di intersezione E dei segmenti AC e BD è il punto medio di entrambi7! Verifichiamo che la condizione d) caratterizza i parallelogrammi. Le cose da verificare sono due, un teorema e il suo inverso. Dobbiamo infatti verificare che tutti i parallelogrammi hanno la proprietà d), ma anche che ogni quadrilatero con la proprietà d) è un parallelogramma. Solitamente si indica questa doppia necessità parlando di "Teorema" e "Teorema inverso". Teorema. In un parallelogramma ogni coppia di angoli opposti è una coppia di angoli congruenti. 7Dovrebbe essere chiaro perché, ma per ogni evenienza... le condizioni date mi dicono che il quadrilatero ABCD ha la proprietà c) (quindi è un parallelogramma) quindi ha la proprietà f )... 14 Dimostrazione: Sia ABCD un parallelogrammo. Traccio la diagonale BD ed ottengo i due triangoli ABD e BDC; essi hanno8: \ congruente all’angolo BDC \ perché alterni interni rispetto alle parallele • l’angolo ABD AB e CD tagliate dalla trasversale BD; \ congruente all’angolo DBC \ perché alterni interni rispetto alle parallele • l’angolo ADB AD e BC tagliate dalla trasversale BD. Dal momento che ABD e BCD hanno due angoli uguali, per il teorema degli angoli interni \ = BCD. \ di un triangolo hanno uguale anche il terzo9, e quindi BAD Per quanto riguarda gli altri due angoli basta osservare che ciascuno di essi e somma di due degli angoli interni sopra considerati e quindi [ = ABD \ + DBC \ = BDC \ + ADB \ = ADC \ ABC oppure si può ripetere il ragionamento sostituendo la diagonale BD con la diagonale AC e considerare i triangoli ABC e ADC. C.V.D. Teorema inverso. Se in un quadrilatero ogni coppia di angoli opposti è una coppia di angoli congruenti, allora il quadrilatero è un parallelogramma. Dimostrazione: Essendo ABCD un quadrilatero la somma degli angoli interni vale due angoli piatti. Se gli angoli opposti sono congruenti allora la somma di due angoli adiacenti allo stesso lato vale un angolo piatto. Quindi, ad esempio, scegliendo il lato AB, otteniamo che \ + ABC [ = 180◦ . DAB \ e ABC [ sono angoli coniugati interni rispetto alle rette AD e BC tagliate Ma gli angoli DAB dalla trasversale AB ed essendo congruenti ne segue dal teorema delle parallele che le due rette sono parallele. Analogo ragionamento, scegliendo il lato BC invece del lato AB, dimostra che le altre due rette AB e CD sono parallele C.V.D. Ora vediamo la stessa verifica per la proprietà f ). Teorema. In un parallelogramma le diagonali si intersecano nei rispettivi punti medi. Dimostrazione: Traccio le diagonali AC e BD e chiamo O il punto di intersezione. Considero i due triangoli AOD e BOC; essi hanno: \ congruente all’angolo OCB \ perché alterni interni rispetto alle parallele • l’angolo DAO AD e BC tagliate dalla trasversale AC; \ congruente all’angolo OBC \ perché alterni interni rispetto alle parallele • l’angolo ADO AD e BC tagliate dalla trasversale BD; • il lato AD congruente al lato BC per la proprietà b)10. Quindi i due triangoli AOD e BOC sono congruenti per il secondo criterio di congruenza dei triangoli. In particolare AO = OC e BO = OD, come volevamo. C.V.D. Teorema inverso. Se in un quadrilatero le diagonali si intersecano nei rispettivi punti medi, allora il quadrilatero è un parallelogramma. Dimostrazione: Considero i triangoli AOD e BOC, essi hanno 8Si può dimostrare che sono congruenti col secondo criterio di congruenza dei triangoli e dedurre la tesi da questo, ma la dimostrazione che diamo è pi ‘u breve. Anche qui, non ritengo corretto dire che una dimostrazione è meglio dell’altra. Dipende dalla classe e dal progetto didattico. Ma il buon docente deve sapere quando una dimostrazione si può semplificare, per poter poi adeguare le scelte alla classe. 9Invece di vedere che sono congruenti, ci siamo accontentati di vedere che sono simili. 10Ho scelto di descrivere nel corso e quindi in queste note, per ragioni di tempo, solo alcune delle equivalenze, e in particolare non abbiamo verificato l’equivalenza tra a) e b), che gli studenti hanno visto nei laboratori. Nondimeno in questo argomento abbiamo bisogno di tale equivalenza e quindi il docente che voglia raccontare ai suoi studenti l’equivalenza tra a) e f ) in questa maniera dovrà prima raccontare l’equivalenza tra a) e b). 15 • AO = OC per ipotesi; • BO = OD per ipotesi; • AOD = BOC perché opposti al vertice. I due triangoli AOD e BOC sono quindi congruenti per il primo criterio di congruenza dei triangoli. \ = OCB. \ Essendo questi angoli alterni interni rispetto alle rette AD e In particolare ODA BC tagliate dalla trasversale BD allora le due rette AD e BC sono parallele. Basta ora considerare i triangoli AOB e COD e ripetere lo stesso ragionamento per dimostrare il parallelismo fra le rette AB e CD. C.V.D. 5.4. I rettangoli. Ricordo che abbiamo detto che diciamo che un parallelogramma è un "rettangolo" se ha i quattro angoli congruenti. Caratterizzazioni del rettangolo. Sia Q un parallelogramma. Allora le seguenti proprietà sono equivalenti a0 ) b0 ) c0 ) d0 ) i quattro angoli sono congruenti; ha un angolo retto; ha tutti gli angoli retti; ha le due diagonali congruenti. Come menzionato, le condizioni a0 ) e c0 ) bastano a garantire che un quadrilatero sia un rettangolo. Attenzione però alle facili generalizzazioni: questo non è vero per la proprietà b0 ) (pensate per esempio a un trapezio rettangolo, ma potete costruire quadrilateri con la proprietà b0 ) che non siano neanche trapezi) né per la proprietà d0 ) (pensate per esempio a un trapezio isoscele, ma anche qui potete costruire esempi che non siano neanche trapezi). 5.5. I rombi. Ricordo che abbiamo detto che diciamo che un parallelogramma è un "rombo" se ha i quattro lati congruenti. Caratterizzazioni del rombo. Sia Q un parallelogramma. Allora le seguenti proprietà sono equivalenti a00 ) i quattro lati sono congruenti; b00 ) le diagonali sono perpendicolari; c00 ) le diagonali sono le bisettrici degli angoli interni. Ecco che se abbiamo un quadrilatero le cui diagonali sono congruenti (proprietà d0 ), perpendicolari (b00 ) e si intersecano nei rispettivi punti medi (f ), possiamo concludere che è un quadrato: la proprietà f ci assicura che è un parallelogramma e, noto ciò, la proprietà d0 ci assicura che è un rettangolo e la proprietà b00 che è un rombo. Essendo sia un rettangolo che un rombo, è un quadrato e quindi ha tutte le innumerevoli proprietà descritte in questa sezione. Nel definire rombo, abbiamo supposto di avere a che fare con un parallelogramma, questo al fine di rendere evidente il diagramma di Venn. Va però saputo che in questo caso tale richiesta è superflua. Infatti: Teorema Un quadrilatero i cui quattro lati siano tra loro congruenti, è un rombo. Dimostrazione: Dobbiamo verificare che, se i lati di un quadrilatero ABCD sono tutti congruenti, ogni coppia di lati opposti è una coppia di lati paralleli. Tracciamo una diagonale del rombo, diciamo la diagonale BD. Essa taglia il quadrilatero in due triangoli, il triangolo ABD e il triangolo DBC, che si dimostra facilmente essere congruenti per il secondo criterio di congruenza dei triangoli. Applicando il teorema delle parallele ai segmenti AB e CD e alla trasversale BD ne ricaviamo che i lati opposti AB e CD sono paralleli. Allo stesso modo, applicando il teorema delle parallele ai segmenti AD e BC e alla trasversale BD ne ricaviamo che i lati opposti AD e BC sono paralleli. C.V.D. 16 Attenzione: se la condizione a00 basta ad assicurarsi di avere a che fare con un rombo anche senza sapere di avere a che fare con un parallelogramma, questo non è vero per la condizione b00 : avete mai visto un aquilone11? Invece si applica alla condizione c00 , e lo verifichiamo. Ci serve un teorema e il suo inverso. Teorema. Le diagonali di un rombo sono bisettrici degli angoli interni. Dimostrazione: Ripetete la costruzione della dimostrazione precedente, ossia tracciate la diagonale BD. Applicando il secondo criterio di congruenza dei triangoli a ABD e CBD ne \ e DBC, \ per cui la diagonale BD biseca l’angolo ricavo che sono congruenti gli angoli ABD [ Ripetendo l’argomento su ogni vertice del quadrilatero si ottiene la tesi. ABC. C.V.D. Teorema inverso. Un quadrilatero le cui diagonali sono bisettrici degli angoli interni, è un rombo. Dimostrazione: Ripetete la costruzione della dimostrazione precedente, ossia tracciate la diagonale BD. Applicando il secondo criterio di congruenza dei triangoli a ABD e CBD ne ricavo che il lato AB è congruente al lato BC e che il lato DA è congruente al lato CD. Ripetendo lo stesso ragionamento usando la diagonale AC al posto della diagonale BD otteniamo la congruenza tra il lato BC e CD. C.V.D. 11Detto anche deltoide. 17 6. I punti notevoli dei triangoli Tra le più complesse ma anche affascinanti proprietà dei triangoli vi sono i punti notevoli, spesso ridotti nell’insegnamento a una mera memorizzazione di termini astrusi come ortocentro, baricentro... che lo studente tende a dimenticare il giorno dopo l’interrogazione, come tutto ciò che viene ridotto a un puro esercizio mnemonico. L’interesse, se uno vuole affrontare un tale argomento, sta invece nella particolarità della proprietà geometrica. Perché diavolo le tre bisettrici di un triangolo si dovrebbero intersecare in un unico punto? Ecco che gli strumenti di geometria piana studiati (a cominciare da alcune di cui abbiamo parlato, ma ne useremo anche altre) ci consentono finalmente di ottenere delle conclusioni tutt’altro che ovvie! E infatti, vista la difficoltà di tracciare una bisettrice senza usare il compasso, il 99% degli studenti, richiesti di tracciare a mano libera le tre bisettrici degli angoli interni di un triangolo, non le farà certo passare tutte per lo stesso punto. I punti notevoli sono quattro, come quattro sono le "terne" di semirette che consideriamo, e in tutti i casi, per ragioni diverse, finiranno per avere un punto in comune. Vediamole, e vediamone le dimostrazioni. Teorema. Dato un triangolo qualsiasi, i tre assi di simmetria dei lati si incontrano in uno stesso punto. Dimostrazione: Costruiamo l’asse a1 del lato AB, l’asse a2 del lato BC, e chiamiamo O il loro punto di intersezione; se riusciamo a far vedere che O appartiene anche all’asse a3 del lato AC, il teorema sarà dimostrato. A tal proposito, ricordiamo una proprietà dell’asse di simmetria di un segmento: ogni punto dell’asse di un segmento è equidistante dagli estremi di quest’ultimo; pertanto, poiché O è per costruzione il punto di intersezione di a1 e a2 , esso appartiene sia ad a1 che ad a2 , dunque: • AO = BO , poiché O è equidistante da A e da B; • BO = CO , poiché O è equidistante da B e da C. Dalle due uguaglianze precedenti risulta AO = CO, da cui, ricordando che se un punto del piano è equidistante dagli estremi di un segmento allora esso appartiene all’asse di simmetria di quest’ultimo, risulta che O appartiene ad a3 12. C.V.D. Teorema. Dato un triangolo qualsiasi, le altezze relative ai tre vertici si incontrano in uno stesso punto13. Dimostrazione: A partire dal triangolo ABC, conduciamo le rette a, b e c rispettivamente parallele ai lati AB, BC e AC. Chiamiamo D il punto di intersezione tra b e c, E il punto di intersezione tra a e c, F il punto di intersezione tra b e a14. Il quadrilatero ABCD ha i lati opposti paralleli per costruzione, quindi è un parallelogramma e in particolare15 ha i lati opposti congruenti. Dunque AD = BC. 12Questo lo chiamiamo usualmente circocentro, perché, è il centro di una circonferenza che passa per i tre vertici, il cerchio circoscritto al triangolo. Infatti ripetendo l’argomento che ha portato a dimostrare AO = CO per una diversa coppia di assi notiamo che anche BO è uguale ad essi, per cui la circonferenza di centro O e raggio AO passa per i tre vertici del triangolo. La dimostrazione porta quindi anche alla naturale conseguenza che per tre punti non allineati passa sempre una ed una sola circonferenza. Quanto visto fornisce anche un metodo costruttivo per tracciare con riga e compasso una circonferenza passante per tre punti A, B e C non allineati del piano: è sufficiente costruire gli assi di simmetria di due segmenti aventi per estremi A, B e C e puntare il compasso sull’intersezione di tali assi con apertura fino ad uno qualsiasi dei tre punti assegnati. 13 Questo lo chiamiamo usualmente ortocentro. 14A essere rigorosi qui bisognerebbe verificare che non è possibile che due delle rette a b e c siano parallele, il che si deduce facilmente dal fatto che ciascuna di esse è parallela ad uno dei lati del triangolo per costruzione. 15proprietà b) 18 Lo stesso ragionamento applicato al quadrilatero ABCF ci dice che AF = BC. Quindi AD = AF , in altre parole A è il punto medio di DF . A questo punto tracciamo l’altezza relativa al vertice A del triangolo ABC. Essa passa per il punto medio di DF e, essendo ortogonale al lato BC lo è anche al segmento parallelo DF . Quindi l’altezza relativa al vertice A di ABC è l’asse di simmetria di DF . Ragionamenti analoghi ci dicono che l’altezza relativa al vertice B di ABC è l’asse di simmetria di DE, e che l’altezza relativa al vertice C di ABC è l’asse di simmetria di EF . Ne deduciamo quindi che tali altezze passano tutte per il circocentro del triangolo DEF . C.V.D. Teorema. Dato un triangolo qualsiasi, le mediane relative ai tre vertici si incontrano in uno stesso punto16. Tale punto taglia ciascuna mediana in due parti di cui quella tra esso e il vertice lunga il doppio dell’altro17. Dimostrazione: Chiamiamo M1 il punto medio del lato AC, M2 il punto medio del lato AC e M3 il punto medio del lato AB. Chiamiamo inoltre O il punto di intersezione delle due mediane BM2 e CM3 e tracciamo il segmento M2 M3 , il quale risulta parallelo a BC. Ne segue dal teorema del fascio di parallele BC = 2M2 M3 . Consideriamo, ora, il triangolo OBC e chiamiamo D ed E i punti medi dei lati BO e CO; per la medesima ragone anche il segmento DE è parallelo a BC e di lunghezza pari alla metè dello stesso, pertanto M2 M3 e DE sono paralleli e M 2M 3 = DE. Quindi18 DEM2 M3 è un parallelogramma e ne segue19 che DO = OM2 , e quindi che BO = 2OM2 . Analogo ragionamento dimostra che CO = 2OM3 . Rimane da dimostrare che O appartiene anche ad AM1 ; a tal fine osserviamo che se il punto di intersezione fra AM1 e BM2 fosse diverso da O, BM 2 non risulterebbe più diviso in due parti tali che una sia il doppio dell’altra, come invece deve essere per quanto appena visto. C.V.D. Teorema. Dato un triangolo qualsiasi, le bisettrici relative ai tre vertici si incontrano in uno stesso punto20. [ la bisettrice b dell’angolo Dimostrazione: Consideriamo la bisettrice a dell’angolo BAC, [ ABC, e chiamiamo O il loro punto di intersezione. Tracciamo ora le perpendicolari per O ai lati AB, AC e BC che chamiamo rispettivamente S, H e K. Poiché ogni punto della bisettrice di un angolo è equidistante dai lati di quest’ultimo, avremo OS = OK e OS = OH, da cui si ottiene OH = OK; quest’ultima relazione ci dice che O [ perché ogni punto equidistante dai lati di un angolo appartiene alla bisettrice dell’angolo ACB appartiene alla sua bisettrice. C.V.D. 16Questo lo chiamiamo usualmente baricentro, e corrisponde anche al centro di massa di una figura: se volete reggere un grosso triangolo omogeneo con la punta di un dito, dovete porlo proprio in quel punto perché resti in equilibrio. 17Questa affermazione va dimostrata per dimostrare quella precedente. Essendo interessante di per sé, spesso si mette nell’enunciato. 18Proprietà c). 19Proprietà f ). 20Questo lo chiamiamo usualmente incentro, in quanto centro della circonferenza inscritta, come si deduce dalla dimostrazione. 19 7. Isometrie di poligoni e poliedri regolari. 7.1. Le isometrie dei poligoni regolari. Non è difficile osservare, anche solo dalla classificazione delle isometrie del piano, che l’immagine di un triangolo ABC per un’isometria è il triangolo con vertici le immagini di A, B e C. E affermazione analoga vale per un poligono. Quante isometrie del piano mandano un triangolo in se stesso? Dall’osservazione appena fatta, se il triangolo è un triangolo scaleno... nessuna. Errore, una c’è, l’identità, quella non manca mai. Ma non ve ne sono altre. Se però consideriamo un triangolo isoscele, allora ecco che la simmetria rispetto alla bisettrice dell’angolo "singolo" (non uno dei due uguali tra loro), lo preserva: e quindi qui ne abbiamo due. E se invece lo prendiamo equilatero, di tali simmetrie ne abbiamo tre, ma abbiamo anche le due (in ambo le direzioni) rotazioni di angolo un terzo di angolo giro. La conclusione è che il triangolo equilatero viene preservato da ben sei isometrie! Ricordiamo che Definizione. Un poligono si dice regolare se ha tutti i lati congruenti, e tutti gli angoli congruenti. E sappiamo che ne esistono con k lati per ogni k ≥ 3. Il caso k = 3 è proprio il caso del triangolo equilatero. Allo stesso modo, per ogni classe di poligoni piani, classe nel senso della classificazione per numero di lati (triangoli, quadrilateri21, pentagoni, ...), quelli con più isometrie di tutti sono quelli regolari. Un poligono regolare con k lati è infatti preservato da ben 2k isometrie. Per la precisione possiamo ruotarlo di un frazione k−esima di angolo giro, e iterando tale isometrie troviamo k rotazioni (identità inclusa) che lo preservano. Ma vi sono esattamente k simmetrie, quelle rispetto alle rette che passano per il baricentro del poligono (che poi è il centro delle rotazioni appena considerate), e per un vertice o per il punto medio di un lato del poligono22. Vale la pena osservare che, tra le isometrie descritte all’inizio di queste note, nel descrivere le isometrie di un poligono regolare non abbiamo visto né traslazioni, né glissosimmetrie. Questo dipende dal fatto che entrambe non hanno punti fissi. Al contrario una isometria piana che mandi un poligono regolare in se stesso deve permutare i vertici e di conseguenza, fissare l’unico punto del piano che è equidistante da essi, il baricentro del poligono. Quella che abbiamo discusso è la proprietà più importante dei poligoni regolari, che li rende, per esempio, utilizzatissimi nell’arte23. 7.2. I poliedri. Che succede in dimensione 3? Per prima cosa dobbiamo generalizzare il concetto di poligono, introducendo i poliedri. Ad essere precisi per il termine poliedro non vi è una definizione univocamente accettata. Noi usiamo questa: Definizione. Un poliedro è una regione di spazio delimitata da un unione di un numero finito di poligoni, tale che ogni lato di uno di tali poligoni coincida perfettamente con uno ed un solo lato di uno ed un solo altro poligono. Ora introduciamo un po’ di nomenclatura standard, che ci verrà presto utile. I poligoni che "incolliamo" li chiameremo facce del poliedro. I lati di tali poligoni vengono per definizione a sovrapporsi a due a due in quelli che chiamiamo spigoli del poliedro. Ciascuno spigolo è quindi contenuto in due facce, che formano un angolo, detto angolo diedro. Le estremità degli spigoli) sono i vertici del poliedro; ognuno di essi appartiene almeno a due facce distinte, che diventano tre se ammettiamo solo poligoni strettamente convessi. Il numero n di 21Un interessante approccio alternativo allo studio dei quadrilateri nella scuola secondaria di primo grado è quello che li costruisce partendo da quante isometrie essi hanno: 8 per il quadrato, 4 per il rettangolo ed il rombo, una sola per il parallelogramma generale, mentre figure meno eleganti come romboide e trapezio isoscele ne hanno 2. 22Ci sono k vertici e k lati, e quindi può sembrare che io abbia descritto k + k = 2k simmetrie, ma in effetti ho trovato solo k rette, ciascuna due volte: per rendervene conto disegnatele tutte nei primi casi (triangolo, quadrato, pentagono ed esagono) vedrete anche un comportamento diverso tra il caso in cui k è pari ed il caso in cui k è dispari. 23 Non serve aver studiato geometria per vedere la bellezza intrinseca di un oggetto molto simmetrico, ossia dotato di numerose simmetrie. 20 facce cui appartiene un vertice è anche uguale al numero di spigoli che tocca: questo numero è la valenza del vertice. Il primo problema è: cosa si intende con poliedro "regolare"? Una bella attività per spingere gli studenti a sviluppare il concetto da soli la si può, trovare accanto a tantissime altre attività progettate per la scuola, sullo splendido sito mat.@bel, sito dell’INDIRE. Mi riferisco in particolare all’attività Simmetrie nei poliedri. L’approccio più naturale passa proprio attraverso le isometrie, in questo caso ovviamente isometrie dello spazio. Una isometria del poliedro sposta un vertice su un vertice, che può essere uguale o diverso da quello di partenza. Analogamente, sposta uno spigolo su uno spigolo, ed una faccia su di una faccia. La isometria determina quindi una permutazione dei vertici, una degli spigoli ed una delle facce. Le simmetrie di un poliedro inducono una relazione di equivalenza sull’insieme dei suoi vertici (e analogamente sull’insieme dei suoi spigoli e delle sue facce): due vertici (o spigoli o facce) sono equivalenti se esiste una isometria del poliedro (ossia una isometria dello spazio che manda il poliedro in se stesso) che sposta il primo nel secondo. Due vertici (o spigoli o facce) equivalenti devono avere necessariamente lo stesso "aspetto": ad esempio, due vertici equivalenti devono avere la stessa valenza, due spigoli la stessa lunghezza e lo stesso angolo diedro, due facce equivalenti devono essere congruenti. Ora possiamo dare la definizione comune di poliedro regolare (o solido platonico). Definizione. Un poliedro si dice poliedro regolare o solido platonico se ha tutte le facce poligoni regolari equivalenti, tutti gli spigoli equivalenti e tutti i vertici equivalenti. Si noti che se volessimo fare una definizione "simile" per le figure piane troveremmo proprio i poligoni regolari. Questa definizione di estende naturalmente anche a solidi di dimensione 4 o più, anche se non possiamo vederli nessuno ci impedisce di immaginarli24. L’analogia con i poligoni ci porta a pensare che ce ne siano tantissimi, con facce che siano k−goni regolari per qualunque k ≥ 3. E invece sono solo cinque, a meno di similitudini. Teorema. Esistono esattamente cinque solidi platonici (a meno di similitudini): il tetraedro, il cubo, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro. Idea della dimostrazione: Osserviamo che in ogni vertice convergono gli angoli, almeno tre, dei poligoni regolari che incidono su quel vertice. Ad esempio in ogni vertice del cubo, convergono tre angoli retti. Si può dimostrare che la somma degli angoli corrispondenti ai vertici delle facce corrispondenti a ciascun vertice del solido è minore di un angolo giro. In effetti se sviluppiamo sul piano la parte del solido data dalle facce incidenti quel vertice e la somma fosse superiore ad un angolo giro, nello "sviluppo" due facce si sovrapporrebbero, e non è difficile intuire che questo rende impossibile "chiudere" lo sviluppo nello spazio. Se invece fosse esattamente uguale ad un angolo giro, ecco che lo sviluppo sarebbe già chiuso, senza possibilità di "muoverlo": ecco che le facce incidenti su quel vertice sarebbero coplanari, e il nostro solido si ritroverebbe contenuto in un piano, impossibile. Per dimostrare il teorema, associamo ad ogni poliedro regolare la coppia ordinata (p, q) ove p è il numero di lati di ogni faccia e q è il numero di facce (o spigoli) per ogni vertice. Non è difficile dimostrare che, avendo richiesto che tutti i vertici sono equivalenti, e quindi la struttura (detta cuspide) dell’angolo solido in tutti i vertici è uguale, per ogni coppia (p, q) c’è al più un solido platonico corrispondente. Tralasciamo i dettagli di questo punto. Visto che p ≥ 3, il naturale punto di partenza è il caso p = 3, ossia studiamo i solidi platonici le cui facce sono triangoli equilateri. Ciascun angolo di un triangolo equilatero ha ampiezza uguale ad un sesto di un angolo giro. Quindi q può essere solo 3, 4 o 5: se ne mettessimo 6 o più la somma degli angoli per ciascun vertice sarebbe esattamente un angolo giro o maggiore. Quindi ne abbiamo al massimo 3. Effettivamente ci sono tutti e tre, e per verificarlo basta costruirli: 24Mai sentito parlare del tesseratto? 21 • (p, q) = (3, 3): si ottiene un tetraedro; • (p, q) = (3, 4): si ottiene un ottaedro; • (p, q) = (3, 5): si ottiene un icosaedro. Consideriamo il caso p = 4. Gli angoli di un quadrato sono retti, quindi uguali ad un quarto di un angolo giro. Ecco che l’unica possibilità è q = 3, tre facce su ciascun lato, il ben noto cubo. Ora tocca al caso p = 5. Gli angoli interni di un pentagono regolare sono uguali a tre quinti di angolo piatto, ossia tre decimi di angolo giro. Essendo tre decimi maggiore di tre ma minore di quattro, anche in questo caso l’unico caso possibile è q = 3. Anche questo caso è possibile, e si ottiene il dodecaedro. Vediamo ora che non ve ne sono altri, dimostrando che non può avvenire p ≥ 6. Infatti un poligono regolare con p lati ha angoli interni equivalenti alla frazione p−2 di un angolo p p−2 1 1 piatto, ossia a 2p = 2 − p di un angolo giro. Quindi, se p ≥ 6 tale angolo è non inferiore a 1 − 61 = 13 di un angolo giro. E quindi tre di essi formano quantomeno un angolo giro, e quindi 2 per l’osservazione iniziale ciò non può accadere. C.V.D. 7.3. Dualità. Due poliedri P e Q sono duali se esiste una corrispondenza biunivoca, chiamiamola T , fra gli insiemi di vertici, spigoli e facce di P e Q che inverte le adiacenze. Più precisamente T associa rispettivamente ad ogni vertice di P una faccia di Q, ad ogni spigolo di P uno spigolo di Q, ad ogni faccia di P un vertice di Q, in modo che una faccia F di P incide su uno spigolo S se e solo se lo spigolo T (S) incide sul vertice T (F ) e, viceversa, uno spigolo S incide su un vertice V di P se e solo se la faccia T (V ) incide su T (S) Se P è un poliedro convesso, un duale è ottenuto scegliendo un vertice all’interno di ogni faccia e prendendo il solido convesso con vertici questi punti. Nel caso dei solidi platonici, si può verificare direttamente che • il duale di un tetraedro è un tetraedro; • il cubo e l’ottaedro sono duali; • il dodecaedro e l’icosaedro sono duali. In effetti, se costruiamo il duale come inviluppo convesso dei baricentri delle facce, se partiamo da un solido platonico troveremo un altro solido platonico, e se ripetiamo l’operazione due volte troveremo un solido simile a quello di partenza, solo un pò più piccolo. 7.4. Isometrie dei solidi platonici. Quest’ultima osservazione ci permette di semplificare lo studio delle isometrie dei solidi platonici. Infatti una isometria di un solido platonico manderà ovviamente il baricentro di una faccia nel baricentro di un altra faccia! Ecco che le isometrie di un cubo preservano anche l’ottaedro duale, le quali a loro volta preservano il cubo ad esso duale. In questo modo vediamo che cubo e ottaedro hanno le stesse isometrie. Allo stesso modo dodecaedro ed icosaedro hanno lo stesso numero di isometrie. Basta quindi vedere quali sono le isometrie di tetraedro, cubo e dodecaedro. 7.4.1. Le isometrie del tetraedro. Sono esattamente 24. Innanzitutto osserviamo che non possono essere più di 24. Infatti un’isometria di un solido deve mandare vertici in vertici, e quindi permutare i vertici. Una volta determinato dove vanno i vertici, questo determina l’isometria unicamente. Siccome le permutazioni dei vertici sono esattamente 4! = 24, ce ne sono al massimo 24. Per vedere che sono proprio 24 la cosa più semplice è trovarle tutte. La prima è l’identità, che non manca mai. 8 sono rotazioni di un terzo di angolo giro e asse che passa per un vertice e il baricentro della faccia opposta. Altre 3 sono rotazioni di un angolo piatto con asse la retta che congiunge i punti medi di due lati opposti. Queste sono tutte rotazioni, che vengono chiamate anche nel casp tridimensionale isometrie dirette, in quanto non scambiano la destra e la sinistra. Poi ci sono 6 riflessioni rispetto a un piano che passi per uno spigolo e il punto medio dello 22 spigolo opposto, queste sono isometrie inverse, in quanto scambiano destra e sinistra. Notate che ne abbiamo trovate 18, e le sei inverse fissano almeno un vertice (due). Ne mancano 6, e sono isometrie inverse che non fissano nessun vertice. Per ottenerle, basta comporre due delle precedenti. Se chiamiamo A, B, C e D i vertici del tetraedro, operiamo prima la simmetria per il piano che contiene A, B, e il punto medio del segmento CD, e poi una rotazione con asse per D e per il baricentro del triangolo ABC. Vediamo il risultato come opera sui vertici. La simmetria scelta opera come segue A 7→ A, B 7→ B, C 7→ D, D 7→ C. La rotazione opera come segue A 7→ B, B 7→ C, C 7→ A, D 7→ D. Componendole otteniamo A 7→ B, B 7→ C, C 7→ D, D 7→ A: nessun vertice è rimasto fermo! Inoltre, avendo composto un’isometria diretta ed una inversa, scambiano la destra con la sinistra, e quindi sono isometrie inverse! Possiamo fare questa operazione in 6 · 4 = 24 modi diversi, scegliendo prima la riflessione (6 scelte) e poi la rotazione (4 scelte, visto che vanno bene solo quelle che non fissano uno dei due vertici per il piano di simmetria scelta), ma un conto diretto sull’azione sui vertici mostra che effettivamente vengono solo 6 distinte isometrie, ciascuna 4 volte. In effetti esiste una classificazione delle isometrie dello spazio analoga a quella delle isometrie del piano da noi descritta, che le distingue in sei categorie. Tre di esse sono isometrie senza punti fissi, che vanno sotto i nomi di traslazioni, glissorotazioni e glissoriflessioni: non entriamo in maggiori dettagli in quanto non interessano i solidi platonici. Infatti per ragioni analoghe a quelle che hanno escluso traslazioni e glissosimmetrie dalle isometrie dei poligoni regolari, ogni isometria di un solido platonico ne fissa il centro di massa. Le tre classi di isometrie dello spazio dotate di punti fissi, sono le rotazioni, le riflessioni rispetto ad un piano, e le riflessioni rotatorie. Queste ultime sono definite come la composizione di una rotazione con una riflessione rispetto a un piano perpendicolare all’asse di rotazione. Delle 24 isometrie del tetraedro abbiamo descritto prima le 12 rotazioni (identità inclusa, che a me piace considerare come una rotazione), poi le sei riflessioni, e infine le sei riflessioni rotatorie (anche se non le abbiamo descritte esattamente così, l’asse della rotazione utilizzata non è ortogonale al piano di riflessione scelto.). 7.4.2. Le isometrie del cubo. Qui i vertici sono 8, e quindi il ragionamento precedente mostra che ce ne sono al più 8!, che è il numero delle permutazioni dei vertici. Ma questo numero è ovviamente eccessivo: abbiamo detto che sono le stesse isometrie dell’ottaedro, che di vertici ne ha solo 6, quindi al massimo massimo sono 6! = 720. Ma anche queste sono troppe, visto che un’isometria deve mandare vertici adiacenti in vertici adiacenti, e vertici opposti in vertici opposti, non è difficile vedere che con tali limitazioni restano accettabili solo 6 · 4 · 2 = 48 permutazioni dei sei vertici dell’ottaedro. In effetti le isometrie del cubo sono esattamente 48, e ora le troviamo tutte. La prima è, come al solito, l’identità. Poi ci sono le rotazioni, vediamo quali sono gli assi possibili. Prima di tutto possiamo prendere una retta per i baricentri di due facce opposte: è chiaro che le rotazioni con questo asse di angolo retto (in ambedue le direzioni), o piatto preservano il cubo. Sono 3 per ogni coppia di faccia opposti, e quindi 9 in tutto. Poi possiamo prendere una retta per i punti medi di due spigoli opposti: per ciascuna di queste rette c’è una sola rotazione "buona", quella di mezzo angolo giro: visto che gli spigoli sono 12, ne abbiamo trovate altre 6. Infine possiamo prendere una retta per due vertici opposti. In questo caso le rotazioni buone sono quelle di 31 di giro in ambedue le direzioni, quindi 2. Abbiamo 4 tali rette, quindi altre 8 rotazioni. E siamo arrivati a 1 + 9 + 6 + 8 = 24. Ne mancano altrettante. La più semplice è la simmetria centrale con centro il baricentro del cubo, che è la più semplice delle riflessioni rotatorie. Per trovare le ultime 23 basta comporre la simmetria centrale con ciascuna delle 23 rotazioni suddette. 23 Non tutte son semplici da descrivere geometricamente, ma 9 di esse sì perchè sono riflessioni rispetto a piani. Sei sono i piani per coppie di spigoli opposti, e 3 (i più naturali) sono piani paralleli ad una faccia per il baricentro del cubo. Le 48 isometrie del cubo sono quindi 24 rotazioni (identità inclusa), 9 riflessioni e 15 riflessioni rotatorie. 7.4.3. Le isometrie del dodecaedro. Queste sono 120. La prima è, tanto per cambiare, l’identità. Poi vi sono le rotazioni intorno ad un asse che unisce i centri di due facce opposte. Per ciascun tale asse le rotazioni possibili sono quattro: di 51 di angolo giro, di 25 di angolo giro, di 53 di angolo giro e di 54 di angolo giro. Essendo le facce di un dodecaedro 12, di tali assi ne abbiamo 6, e quindi abbiamo descritto 24 rotazioni diverse. Altre rotazioni ammissibili hanno asse che unisce due vertici opposti, e angolo di 31 o 23 di angolo giro. Ci sono 20 vertici, quindi 10 tali assi, ergo abbiamo trovato 20 nuove rotazioni. Infine possiamo prendere come asse di rotazione la retta per i punti medi di due spigoli opposti, e angolo uguale all’angolo piatto. Gli spigoli sono 30 e quindi abbiamo trovato altre 15 rotazioni. In tutto, considerando anche l’identità tra le rotazioni, ne abbiamo trovate 1 + 24 + 20 + 15 = 60. Anche in questo caso possiamo considerare la simmetria centrale per il baricentro del dodecaedro, e componendola con le 60 rotazioni suddette troviamo le altre 60 isometrie del dodecaedro. 15 di queste sono simmetrie rispetto ad un piano. Le 120 isometrie del cubo sono quindi 60 rotazioni (identità inclusa), 15 riflessioni e ben 45 riflessioni rotatorie. 24