1. Premessa. A causa della complessità e della lacunosità della disciplina codicistica e della scarsità tecnica del legislatore che ha compilato la legge n. 151 del 19 maggio 1975, entrata in vigore il successivo 21 settembre, ancor oggi è arduo (1) il compito degli interpreti, volto all’individuazione dell’oggetto della comunione legale tra i coniugi (2), specie con particolare riguardo a determinate fattispecie quali, ad esempio, l’acquisto dei diritti di credito, l’acquisto dei cd. beni “immateriali”, gli acquisti a titolo originario (ben nota è, in materia, la problematica relativa all’accessione) (3), e, ancora, quelli di 1 - Cfr. SANTOSUOSSO, Beni ed attività economica della famiglia, in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da BIGIAVI, Torino, 1995, 67, ove si evidenzia che <<la precisazione dell’oggetto della comunione legale è uno dei compiti più delicati dell’interprete di questo istituto, sia in considerazione dell’oscurità di alcuni dati normativi, sia per il carattere decisivo che tale precisazione ha per la spiegazione dei punti più qualificanti della riforma in tema di regime patrimoniale della famiglia>>. 2 - Sulla comunione legale dei beni si sono avuti moltissimi contributi. Si vedano, in particolare, tra gli altri, quelli di: Famiglia IV) Regime patrimoniale della famiglia: profili generali, in Enc. giur., XIV, Roma, 1989; AULETTA, Il diritto di famiglia, Torino, 1992; BARBIERA, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da RESCIGNO, 3, II, Torino, 1982, 399; BIANCA, Il regime della comunione legale, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 1-18; BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia - Le successioni, 1985; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in generale. La comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, VI, I, 1 Milano, 1979; DE MARCHI, Natura e oggetto della comunione legale, in AA.VV., Il nuovo diritto di famiglia. Contributi notarili, Milano, 1975, 539; DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995; DE PAOLA, MACRÌ, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978; DOGLIOTTI M., La comunione legale, in Giurisprudenza del diritto di famiglia. Casi e materiali, a cura di BESSONE, II, Rapporti personali e patrimoniali tra coniugi, famiglia di fatto, Milano, 1994 163; FUSARO, Il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 1990; GABRIELLI, I rapporti patrimoniali tra coniugi, Trieste, 1981; MAJELLO, Comunione dei beni tra coniugi I) Profili sostanziali, in Enc. giur., VII, Roma, 1988; NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984; ROPPO, Coniugi I) Rapporti personali e patrimoniali tra coniugi, in Enc. giur., VIII, Roma, 1988; RUSSO, Concetti vecchi ed istituti nuovi: a proposito della comunione legale, in Riv. dir. civ., 1998, I, 423; RUSSO, Ancora sull’oggetto della comunione legale: favor communionis o favor personae coniugis?, in Dir. fam., 1998, I, 206; RUSSO, Nuove considerazioni sull’oggetto della comunione legale, in Riv. dir. civ., 1997, I, 671; SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia. Il regime patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice civile, I, 1, III, Torino, 1983; SELVAGGI, La comunione legale tra coniugi, in Nuova giur. civ. comm., 1987, II, 2; SCHLESINGER, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da CIAN, OPPO, TRABUCCHI, III, Padova, 1992. L’introduzione del regime di comunione legale quale regime “ordinario” in assenza di diversa esplicita opzione è stata avversata da parte della dottrina: BETTI, Intervento in La riforma del diritto di famiglia, Atti del Convegno di Venezia 30 aprile-1°maggio 1967, 139, secondo cui è <<ripugnante allo spirito di un ordinamento borghese che fa assegnamento sull’iniziativa individuale>>; Relazione FILETTI, in Commentario alla riforma del diritto della famiglia, diretto da CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, vol. II, Padova, 1976, 207, che, riportando il pensiero di STELLA RICHTER, Prospettive di riforma del diritto di famiglia, in Giust. civ., 1970, IV, 267, ha considerato la comunione dei beni <<estranea alle abitudini ed ai sentimenti del popolo italiano>>; QUADRI, Nota introduttiva a Selvaggi, La comunione legale tra coniugi, in Nuova giur. civ. comm., 1994, II, 314; SCHLESINGER, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da CIAN, OPPO, TRABUCCHI, III, Padova, 1992, 75. AIROLDI, 3 - Circa gli acquisti a titolo originario: AULETTA, Gli acquisti a titolo originario, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 73; CARAVAGLIOS, La comunione legale, I, Milano, 1995, 241; DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 364; SANTOSUOSSO, Beni ed attività economica della famiglia, in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da BIGIAVI, Torino, 1995, 80. In giurisprudenza, da ultimo: Cass., 11 agosto 1999, n. 8585, in Fam. dir., 1999, 580; Cass., 22 aprile 1998, n. 4076, in Giust. civ., 1998 , I, 2831, con nota di AULETTA; in Riv. not., 1998, 885; in Fam. dir., 1998, 568; e in Foro it., 1998, I, 2451; e Cass., sez. un., 27 gennaio 1996, n. 651, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 800, con nota di REGINE; in Giur. it., 1997, I, 1, 370, con nota di DALIA; in Dir. fam., 1997, 107, con nota di PARENTE; e in Foro pad., 1997, I, 26, con nota di SABATINI. 1 partecipazioni in società di persone o di capitali o, più in generale, di strumenti finanziari ( 4), e ciò proprio quale conseguenza della incertezza della formula utilizzata dall’art. 177, lett. a), c.c. (secondo cui, come noto, costituiscono oggetto della comunione <<gli acquisti>> compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio). Il regime patrimoniale legale introdotto dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 è in realtà un sistema complesso e composito (5), il che inevitabilmente aggiunge ulteriori complicazioni interpretative: vi sono infatti beni che appunto entrano immediatamente in comunione ex art. 177 lett. a) c.c., beni che diventano comuni solo nel momento in cui la comunione si scioglie (c.d. communio de residuo a norma dell’art. 177 lett. b) e c), nonché dell’art. 178 c.c.) e beni, infine, che sono esclusi dalla comunione perché considerati appartenenti al patrimonio “personale” di un solo coniuge ai sensi dell’art. 179 c.c.. Analoga complessità deriva dalla legislazione tributaria: a livello di imposte dirette, si tratta ad esempio di imputare ad uno solo o ad entrambi i coniugi, i redditi derivanti dal possesso di determinati cespiti (si pensi ad una partecipazione al capitale di una società); inoltre, a livello di imposte indirette e, in particolare, di imposta di successione e donazione, si trattava fino a ieri (si parla al passato, stanti le novità legislative intervenute in questo àmbito) di identificare l’entità della massa trasferita e da sottoporre a tassazione (e, in particolare, quella dimessa da un defunto), essendo palese il rilievo che <<trattasi di tributo a carattere progressivo, che per effetto del regime di comunione può venire commisurato ad una massa ereditaria ridotta>> (6). E proprio sotto quest’ultimo aspetto, vi sono da dipanare numerose e non secondarie questioni: innanzitutto, occorre rilevare che sussistono beni e rapporti (si pensi ad una azione di s.p.a., ma anche - Ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza, cd. "TUF"), per <<strumenti finanziari>> si intendono: a) le azioni e gli altri titoli rappresentativi di capitale di rischio negoziabili sul mercato dei capitali; b) le obbligazioni, i titoli di Stato e gli altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali; c) le quote di organismi di investimento collettivo; d) i titoli normalmente negoziati sul mercato monetario; e) qualsiasi altro titolo normalmente negoziato, che permetta di acquisire gli strumenti indicati alle precedenti lettere e i relativi indici; f) i contratti futures su strumenti finanziari, su tassi di interesse, su valute, su merci, e sui relativi indici; g) i contratti di scambio a pronti e a termine (swaps); h) i contratti a termine collegati a strumenti finanziari; i) i contratti di opzione per acquistare o vendere gli strumenti indicati nelle precedenti lettere; j) le combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti lettere. 4 5 - Cfr. BUSNELLI, La <<comunione legale>> nel diritto di famiglia riformato, in Riv. not., 1976, 33; CARAVAGLIOS, La comunione legale, I, Milano, 1995, 19, per il quale <<l’instaurarsi della comunione crea di per sé un pugno di regimi, che, unitamente al regime primario, copre l’intero ambito delle sfere patrimoniali dei coniugi>>. L’Autore fa riferimento a tre distinti <<sacchi>> costituiti appunto dalla comunione immediata, dalla comunione de residuo e dal patrimonio personale del coniuge; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in generale. La comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, VI, I, 1 Milano, 1979, 83; DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 248, ove si conclude che <<ne discende che il sistema misto accolto dal legislatore della riforma non è riconducibile ad alcun preciso modello, ma è un sistema ibrido pro parte di vera comunione, pro parte di comunione differita allo scioglimento, pro parte di separazione di beni. I tre regimi sono governati da regole che si ispirano a criteri privi di un comune denominatore, eccettuata quella di carattere obbligatorio che impone ad entrambi i coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143, comma 3, c.c.) che, però, in quanto relativa ai rapporti personali e reciproci tra i coniugi, come tale, è inidonea di per sé ad influire sui singoli regimi>>; NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984, 29; RUSSO, Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 144, per il quale l’instaurarsi della comunione genera una piccola costellazione di regimi, che si colloca sullo sfondo del regime primario. In giurisprudenza: CASS., 1 febbraio 1996, n. 875, in Fam. dir., 1996, 543 (con nota di SCHLESINGER); in Società, 1996, 61 (con nota di FIALE); in Corr. giur., 1996, 392 (con nota di AMBROSINI); e in Studium Iuris (con nota di SEVERINI), ha puntualizzato che dalla pluralità di interessi, riconosciuta meritevole di tutela dal legislatore, discende un regime necessariamente composito in cui convivono tre sotto-insiemi, ciascuno ispirato ad una diversa esigenza. 6 - FANTOZZI, Regime tributario, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, II, Milano, 1989, 1125. 2 ad un dossier bancario) che, a differenza di altri, ben si prestano ad essere formalmente “instestati” ad un dato soggetto, senza che tale “intestazione” espliciti l’effettiva appartenenza del bene “intestato” (se esso cioè sia o meno assoggettato al regime di comunione legale dei beni in cui eventualmente si trovi l’ “intestatario”) (7); inoltre, va ricordato che, al mero fine fiscale di evitare facili manovre da parte dei contribuenti, la legge conteneva alcune presunzioni di appartenenza di certi beni al defunto (8); infine - La questione dell’individuazione dell’appartenenza sostanziale di determinati beni e rapporti, al di là della loro mera intestazione formale, è ben nota alla giurisprudenza. Ad esempio, è stato ritenuto che, in ipotesi di conto corrente bancario cointestato a piu' persone, ciascuna con facolta' di compiere operazioni anche separatamente, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall'art. 1854 c.c., che riguarda i rapporti tra i medesimi e la banca, ma dall'art. 1298 comma 2 c.c. in base al quale il debito e il credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente (Tribunale Verona, 28 ottobre 1994, in Gius, 1995, 60). Inoltre, nell'ipotesi di contitolarita' di un conto corrente di corrispondenza, con facolta' per i cointestatari di compiere operazioni bancarie anche separatamente, opera la presunzione di comproprieta' del credito, che pertanto, salvo prova contraria, non puo' essere fatto proprio per intero da uno solo di essi (Trib. Perugia, 14 dicembre 1992, in Rass. giur. umbra, 1993, 31, con nota di SASSI). Con specifico riguardo alle cassette di sicurezza e ai dossier titoli oggetto di cointestazione è stato poi deciso che: la cointestazione di una cassetta di sicurezza a piu' persone origina una presunzione iuris tantum di appartenenza alle stesse, in parti e quote uguali, di tutto quanto in essa contenuto, di modo che la prova contraria, per alcuni dei beni custoditi nella cassetta, lascia ferma ed operante l'anzidetta presunzione nei riguardi degli altri beni (Cass., 26 febbraio 1993, n. 2453, in Banca, borsa tit. cred., 1995, II, 24); il principio secondo cui l'apertura di un conto corrente bancario intestato a piu' persone, con facolta' per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, rende gli intestatari "creditori o debitori in solido dei saldi del conto" (art. 1854 c.c.), mentre nei rapporti interni, se non risulta diversamente, "le parti di ciascuno si presumono uguali" (art. 1298, comma 2, c.c.) si applica anche al cosiddetto “conto provvisorio” (caratterizzato dalla immissione nello stesso di danaro cui viene conferita la specifica destinazione dell'acquisto di titoli), ancorche' il danaro sia stato versato da uno solo dei contestatari o da un terzo a favore di uno solo di essi, salvo che si dimostri che il titolo di acquisizione di quel denaro rendeva destinatario dello stesso in via esclusiva il solo cointestatario che poi lo ha versato sul conto (Cass., 22 ottobre 1994, n. 8718, in Giust. civ., 1995, I, 972; in Banca borsa tit. cred., 1995, II, 554; e in Giur. it., 1995, I, 1, 1522); alla morte del cointestatario di una cassetta di sicurezza, l'originario rapporto negoziale non si trasmette ipso iure nella sua globalita' all'erede, il quale, in relazione alla qualifica di contratto intuitu personae rivestita dal contratto in discorso, potra' pretendere dalla banca soltanto l'apertura della cassetta per apprenderne il contenuto; ove si raggiunga la prova certa sulla spettanza del contenuto della cassetta agli eredi di uno soltanto dei cointestatari, la banca non ha motivo per rifiutare loro la consegna di detto contenuto, adducendo che non risulta acquisito il consenso degli eredi dell'altro cointestatario (Trib. Pavia, 9 maggio 1980, in Banca borsa tit. cred., 1981, II, 347); il contratto di cassetta di sicurezza, in cui la prestazione essenziale della banca e' rappresentata dalla custodia, non implica una praesumptio ex lege di comproprieta' delle cose ivi depositate a favore dei cointestatari del contratto, giacche' l'art. 1840 c.c. si limita a stabilire che, salvo diversa pattuizione, l'apertura della cassetta e' consentita a ciascuno di essi; dall'intestazione di una cassetta di sicurezza a piu' persone puo' invece desumersi soltanto una presunzione semplice di comproprieta' delle cose depositate, allorche' tale fatto, in concorso con altre circostanze, presenti, ai sensi dell'art. 2729 c.c., carattere di gravita', precisione e concordanza (Cass., 20 settembre 1979, n. 4823, in Banca borsa tit. cred., 1980, II, 268). 7 - Ai sensi dell’abrogato art. 11, comma 2, d. lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, <<per i beni e i titoli […] depositati a nome del defunto e di altre persone, compresi quelli contenuti in cassette di sicurezza o altri contenitori di cui all'art. 48, commi 6 e 7, per le azioni e altri titoli cointestati e per i crediti di pertinenza del defunto e di altre persone, compresi quelli derivanti da depositi bancari e da conti correnti bancari e postali cointestati, le quote di ciascuno si considerano uguali se non risultano diversamente determinate. Se i cointestatari sono eredi o legatari i beni e i diritti, salvo prova contraria, si considerano appartenenti esclusivamente al defunto; questa disposizione non si applica per i beni e i diritti cointestati al coniuge che formavano oggetto della comunione di cui agli articoli 177 e seguenti del codice civile>>. Inoltre, ai sensi del successivo articolo 12, comma 1, <<non concorrono a formare l'attivo ereditario: a) i beni e i diritti iscritti a nome del defunto nei pubblici registri, quando è provato, mediante provvedimento giurisdizionale, atto pubblico, scrittura privata autenticata o altra scrittura avente data certa, che egli ne aveva perduto la titolarità, salvo il disposto dell'art. 10; b) le azioni e i titoli nominativi intestati al defunto, alienati anteriormente all'apertura della successione con atto autentico o girata autenticata, salvo il disposto dell'art. 10 […]>>: dunque quasi come se, qualora tali alienazioni non fossero intervenute, quei beni, per il solo fatto di essere intestati al defunto, gli appartenessero in via esclusiva, senza possibilità di prova contraria (e, in particolare, di poter addurre la loro appartenenza pro quota anche al coniuge superstite nel caso di vigenza della comunione legale dei beni). Si noti che, mentre nell’articolo 11 era ammessa 8 3 occorre rimarcare come, nella prassi operativa degli uffici finanziari, ci si limitava molto spesso (anzi, quasi sempre, per non dire sempre) al rilievo di una appartenenza che sarebbe derivata dall’ intestazione formale di dati cespiti, senza da un lato considerare che anche beni non formalmente “intestati” al defunto (perché acquistati, stand alone, dall’altro coniuge, superstite) possono ben essere appartenuti anche al defunto stesso per effetto appunto dell’attrazione che essi subiscono dalle regole della comunione legale e, d’altro lato, viceversa, senza considerare che i beni in effetti “intestati” formalmente solo al defunto potevano non concorrere per l’intero loro valore alla formazione della massa ereditaria, a causa della loro sottoposizione al regime di comunione legale e quindi della loro effettiva appartenenza pro quota anche al coniuge superstite (9). Solo di recente, peraltro, la Suprema Corte ha stabilito che, qualora i titoli di partecipazione azionaria siano acquistati in costanza di matrimonio da uno solo dei coniugi ed a questo unicamente intestati, ma viga il regime di comunione legale, detti titoli <<sono suscettibili di essere compresi nel regime della comunione legale contemplata dall’art. 177, primo comma, lett. a), c.c. e, quindi, di essere ricompresi solo per la metà nel patrimonio dell’intestatario al momento della apertura della successione>> (10). 2. Comunione legale e diritti di credito. Nel percorso di indagine che occorre compiere per analizzare la problematica che ci si è posti di tentare di risolvere, è imprescindibile innanzitutto verificare (per le implicazioni che comporta l’accoglimento dell’una o dell’altra opinione sul tema dell’attrazione o meno alla comunione legale delle partecipazioni sociali e degli altri strumenti finanziari che siano acquistati da un soggetto coniugato) il ricco dibattito dottrinale sviluppatosi e le pronunzie giurisprudenziali intervenute in relazione alla problematica concernente la sorte dei diritti di credito acquisiti da un soggetto coniugato in regime di comunione legale (11), nonché, inevitabilmente, circa la nozione e la portata del termine <<acquisti>> utilizzato dal legislatore nell’art. 177, primo comma, lett. a), c.c.. Il quesito cui gli interpreti hanno cercato di dare soluzione è dunque quello se sia ammissibile ipotizzare la ricomprensione dei diritti “relativi”, in genere, e “di credito”, in particolare, nell’ambito del la possibilità di prova contraria, la prescrizione di cui all’articolo 12 pareva tradursi in una presunzione “assoluta”, il che evidentemente non è ammissibile, almeno con riguardo ai coniugi in regime di comunione. - In altri termini, accade lo “strano” fenomeno per effetto del quale, quando si tratta di immobili, non ci si ferma mai alle risultanze formali dei rogiti notarili (e, conseguentemente, dei Registri Immobiliari e di quelli catastali) ove in ipotesi un coniuge abbia stipulato senza l’intervento dell’altro coniuge: in questi casi, in effetti, l’immobile risulta intestato solo al coniuge stipulante, ma a nessuno viene in mente, in caso di sua morte, di inserire per intero (o di pretendere l’inserimento per intero di) quell’immobile nell’asse ereditario da tassare, così come, viceversa, in caso di morte del coniuge “non stipulante”, a nessuno appare eccessivo inserire nella sua dichiarazione di successione anche la quota di quell’immobile che non gli è formalmente “intestato”. Invece, quando si cambia la natura del bene, e si tratta ad esempio della giacenza di un conto corrente, di un certificato di deposito, di una quota di fondo comune, di azioni o obbligazioni, eccetera, si aveva stupefacente riguardo, nella massima parte dei casi, al solo profilo dell’intestazione formale di quei beni o rapporti, senza domandarsi alcunché circa l’effettivo profilo dell’appartenenza sostanziale dei beni stessi. 9 10 - CASS., 27 maggio 1999, n. 5172, in GT Riv. giur. trib., 1999, n. 11, 52 (con nota di FIGONE). 11 - Il GABRIELLI, Comunione legale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 10, sostiene che è irrilevante, ai fini della soluzione del problema, l’incorporazione o meno del diritto di credito in un titolo; REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., 1992, 625, precisa che la problematica afferente ai rapporti tra comunione legale e diritti di credito non può subire alterazioni per l’eventuale incorporazione di questi ultimi in un titolo, di modo che va risolta, nel medesimo modo, tanto nel credito non cartolarizzato che nel caso di titoli di credito, ove il diritto di credito è incorporato in un apposito titolo; VENTURINI, Comunione legale e diritti di credito, in Giur. it., 1983, I, 2, 627, per la quale la regola della comunione legale degli acquisti dovrebbe ricomprendere anche i diritti di credito, sia che si tratti di crediti semplici, sia che si tratti di diritti incorporati in titoli di credito. 4 regime di comunione legale (12); ora, tale dibattito ha registrato, in linea generale, essenzialmente la contrapposizione di due opposte tesi: da una parte, quella che, in una lettura restrittiva, afferma l’esclusione dalla comunione legale di ogni diritto che non abbia carattere “reale” e, dall’altra, quella che propende invece per l’operatività della comunione legale anche nel caso in cui uno dei coniugi si sia reso titolare della posizione attiva di un rapporto obbligatorio. Alla prima tesi può essere ricondotto il convincimento di chi afferma che debbano considerarsi inclusi nell’oggetto della comunione legale solo i beni (13) che siano suscettibili di immediato godimento, e non quindi le situazioni soggettive che siano solamente strumentali nell’ambito di un più ampia fattispecie e non rappresentino pertanto <<il momento finale della vicenda economica>> (14). Da tale angolo visuale, attraverso un’analisi, per così dire, funzionale (15), si sostiene che, poiché il diritto di credito rappresenta “solo” un momento strumentale di una vicenda economica più vasta, la cui naturale conclusione è invero rappresentata dall’acquisto di un bene da parte del creditore ( 16), sarebbe unicamente il bene finale a sottoporsi alla comunione legale e non il diritto di credito, il quale altro non rappresenta appunto che il mezzo, o lo strumento, per la realizzazione di tale acquisto finale. È stato però obiettato che tale interpretazione, volta a ritenere compresi nella comunione solo i “beni finali”, contraddirebbe con il fondamento stesso della comunione legale, non consentendo quella tutela dell’interesse familiare cui, in senso lato, viene ricondotta la ratio della comunione dei beni; infatti, <<escludendo dalla comunione i diritti di credito [...] non si permette al coniuge non intestatario l’esercizio di quell’attività di gestione del patrimonio che l’ordinamento riconosce e si dà spazio ad eventuali manovre pregiudizievoli di un coniuge nei confronti dell’altro>> (17). - Il QUADRI, L’oggetto della comunione legale tra coniugi: i beni in comunione immediata, in Fam. dir., 1996, 177, ritiene che la problematica concernente i diritti di credito costituisce uno degli aspetti più travagliati della discussione relativa all’oggetto della comunione legale dei beni. 12 13 - Il BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia - Le successioni, Milano, 1985, 80, ritiene che oggetto della comunione siano sempre dei <<diritti non delle res>>; il VITUCCI, I diritti di credito, in AA. VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 34, osserva che il linguaggio utilizzato dal legislatore è <<compendioso, se non vuol dirsi impreciso>>; infatti, <<non l’acquisto, ma il diritto acquistato durante la comunione dall’un coniuge si comunica all’altro, pur non partecipe del fatto acquisitivo>>; il GERBO, Le operazioni bancarie, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 163, precisa che dall’analisi dell’art. 179 c.c. si desume come il concetto di acquisto vada riferito non al bene ma al diritto. Contra CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in generale. La comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, VI, I, 1 Milano, 1979, 84, secondo cui occorre individuare i <<beni>> della comunione in relazione alle caratteristiche delle cose materialmente considerate. 14 - SCHLESINGER, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, I, 1, Padova, 1977, 373 ; COMPORTI, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 1979, I, 74; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in generale. La comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, VI, I, 1 Milano, 1979, 84 ; OPPO, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, I, 110 - Così REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., 1992, 631, il quale tra l’altro ritiene tali argomentazioni non persuasive, in quanto esse mostrano di non prendere in considerazione la possibilità che il credito medesimo costituisca esso stesso una autonoma utilità per il soggetto che ne è titolare (c.d. profilo statico del rapporto obbligatorio): il diritto di credito viene, ai fini della giustificazione di tale opinione, considerato solo dal punto di vista dinamico, vale a dire come vicenda acquisitiva di utilità ulteriori. 15 - Si tratta evidentemente solo dei crediti il cui adempimento consiste nel realizzare in capo al creditore l’acquisto di un bene e non di quelli che, ad esempio, tendono alla fornitura di un servizio o ad un comportamento omissivo del debitore. 16 17 - LA ROCCA, Comunione legale tra coniugi e diritti di credito, in Rass. dir. civ., 1984, 808. 5 In posizione ancor più rigida e riduttiva si è poi espresso chi ritiene che <<bene vuol dire cosa oggetto di diritti (art. 810), cioè vuol dire diritto reale, l’acquisto è l’acquisto del diritto reale>> ( 18), opinando pertanto che solo gli acquisti di diritti reali (di proprietà o di godimento) farebbero parte della comunione legale, con inevitabile esclusione dei diritti di credito. Si è però obiettato sul punto che se è vero che i beni contemplati dall’art. 810 c.c. sono le cose suscettibili di formare oggetto di diritti, è pur vero che l’art. 813 c.c. stabilisce che <<le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti>>, non potendosi in definitiva trarre conseguenze così decisive per la soluzione del problema solo dall’art. 810 c.c. (19). A sostegno della tesi che avversa l’inclusione nel regime di comunione legale dei diritti di credito è stato anche sottolineato che, nel nostro ordinamento giuridico, non sarebbe prevista <<una comunione di diritti relativi>>, di modo che dovrebbe escludersi la possibilità che il diritto di credito, sorto a favore di un coniuge, si estenda anche all’altro coniuge (20). Tale opzione interpretativa si fonda sulla considerazione che sarebbe la stessa formulazione dell’art. 1100 c.c. a sancire l’incompatibilità tra l’istituto della comunione e i diritti “relativi”, poiché tale norma disciplinerebbe solo la contitolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale (21). E anche la pronuncia della Suprema Corte del 23 luglio 1987, n. 6424 ( 22), interrompendo recisamente una tendenza giurisprudenziale formatasi presso i giudici di merito e favorevole all’acquisibilità dei diritti relativi in comunione legale (23), e per la verità fornendo una risposta semplicistica e sbrigativa al 18 - DETTI, Oggetto, natura, amministrazione della comunione legale dei coniugi, in Riv. not., 1976, 1176; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in generale. La comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, VI, I, 1, Milano, 1979, 84. Si veda pure la critica di REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., 1992, 628. In giurisprudenza CASS., 9 luglio 1994, n. 6493, in Riv. giur. edilizia, 1995, I, 114, ha ritenuto che la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., riguardi gli “acquisti”, cioè gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti (di credito) che siano sorti da un contratto preliminare concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura “relativa” e “personale”, pur se strumentali rispetto all’acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione. 19 - GABRIELLI, Comunione legale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 12. 20 - CECCHERINI, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, Milano, 1991, 53; CECCHERINI, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, 11; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1979, 84; DETTI, Oggetto, natura, amministrazione della comunione legale dei coniugi, in Riv. not., 1976, 1193; FINOCCHIARO A. e M., Diritto di famiglia, Milano, 1984, 873; MACCARONE, Considerazioni e spunti sulla riforma del diritto di famiglia, in Bancaria, 1975, 921; PINO, Il diritto di famiglia, Padova, 1984, 117. La stessa Associazione Bancaria Italiana, con la circolare n. 63 del 21 ottobre 1975, in Riv. not., 1975, 1386, si era espressa in senso contrario all’ingresso dei crediti nel regime di comunione legale dei beni. 21 - Si veda la critica di DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 344, per il quale tale tesi non può essere accettata poiché non tiene conto che <<la comunione legale non ha nulla a che vedere con la comunione ordinaria, di cui agli artt. 1100 s.s. del codice civile, e neppure, d’altra parte, con una speciale forma di contitolarità di diritti>>. 22 CASS., 23 luglio 1987, n. 6424, in Giust. civ., 1988, I, 459; in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 456 (con nota critica di DE FALCO); in Dir. fam e pers., 1988, 791; e in Giur. it., 1988, I, 1, 2020 (con nota di VENTURINI). Cfr. anche CASS., 18 luglio 1983, n. 4969, in Giur. it., 1984, I, 1, 286. - La più significativa pronuncia della giurisprudenza di merito è senz’altro quella di TRIB. TRANI, 28 febbraio 1983, in Giur. it., 1983, I, 2, 628 (con nota di VENTURINI); e in Rass. dir. civ., 1984, 807 (con nota di LA ROCCA), ove, dopo essersi preliminarmente affermato che la ratio del regime legale consiste nel favorire l’eguaglianza delle sorti economiche dei coniugi, si critica la tesi “negativa” (all’ “introduzione” nella comunione legale dei diritti di credito, sia perché <<la sottrazione al regime legale di tutta la vasta categoria dei diritti obbligatori frustrerebbe lo scopo della riforma, sia perché l’art. 177 c.c. relativo all’oggetto della comunione parla genericamente di acquisti e gli artt. 178 e 23 6 problema (24), si basa su tale ultimo orientamento: il giudice di legittimità in questa sentenza afferma infatti che nella comunione legale dei beni tra i coniugi rientrano, a norma dell’art. 177, lett. a)), cod. civ., solamente i diritti reali, proprio perché, a differenza di altri ordinamenti, il nostro non prevederebbe <<la comunione dei diritti relativi>>. Nello stesso senso la Cassazione è poi tornata (25) nella sentenza datata 11 settembre 1991, n. 9513 (26), ove, seppur ribadendosi le conclusioni già raggiunte in precedenza, vi è tuttavia il suffragio di un iter argomentativo assai più ampio ed articolato: la Suprema Corte ha questa volta ritenuto infatti che <<[...] nell’attuale assetto normativo gli acquisti “compiuti” anche separatamente dall’uno dei coniugi ricadono ipso iure nella comunione, ma deve ovviamente trattarsi di acquisti non in fieri, bensì già realizzati attraverso l’effettivo trasferimento della proprietà della res o con la costituzione di diritti reali sulla medesima. Non possono invece ricomprendersi tra gli acquisti i diritti di credito sorti dal contratto concluso dall’uno dei coniugi, non qualificabili come “beni” in senso proprio e attinenti comunque alla sfera della residua libertà individuale, in campo negoziale, esplicatasi già con la stipula del contratto e destinata ad esplicarsi ancora attraverso l’ulteriore attività (sia pure sotto forma di cooperazione per il creditore) per la attuazione dei relativi effetti. Insomma, i diritti di credito, per la loro stessa natura, relativa, personale, pur se strumentale rispetto all’acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione>>. Inoltre, soggiunge la Suprema Corte, <<se si opinasse diversamente, si dovrebbe ammettere un coinvolgimento, nel vinculum iuris costituito dal contratto, insieme con tutte le relative implicazioni dal lato attivo e dal lato passivo, anche dell’altro contraente di fronte al coniuge rimasto estraneo all’accordo contrattuale>>. In definitiva, il Supremo Collegio, riaffermando che il regime della comunione legale tra coniugi non diverge, quanto agli acquisti, dal modello fondamentale risultante dall’art. 217 del codice civile previgente, conclude che <<i diritti di credito, anche se derivanti da un contratto preliminare di vendita [come nel caso di specie, n.d.A.], non costituiscono acquisti suscettibili 179 dettano tassativamente l’elenco dei beni esclusi senza menzionare i diritti di credito>>. Nel senso dell’inclusione dei crediti nella comunione legale cfr. anche: PRET. BARI, 6 febbraio 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 8 (con nota di CIPRIANO); in Banca borsa e tit. cred., 1983, II, 386 (con nota di SALANITRO); e in Giur. mer., 1984, 616 (con nota di GIONFRIDA DAINO); TRIB. MONZA, 25 ottobre 1983, in Giust. civ., 1984, I, 583, che ammette l’ingresso del credito nella comunione legale a condizione che il coniuge acquirente abbia agito “a nome” della comunione stessa; TRIB. FERRARA, 21 maggio 1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 504 (con nota di GIONFRIDA DAINO); TRIB. CATANIA, 28 aprile 1986, in Dir. fam. e pers., 1987, 188; TRIB. MESSINA, 24 novembre 1996 (a quanto consta inedita), ove, ammettendosi implicitamente l’ “inclusione” dei diritti di credito nella comunione legale, si afferma che <<l’acquisto di titoli in regime di comunione legale indipendentemente dalla provenienza del denaro utilizzato ne determina ex art. 177 lett. a) c.c. l’automatica acquisizione alla comunione legale, conseguendone che, finché perdura la comunione, ai fini dell’amministrazione degli stessi – e della regolamentazione delle controversie che intorno a questa sorgano -, occorre far riferimento alle norme di cui agli artt. 180 – 184 c.c.>> Hanno invece negato l’inclusione dei crediti nella comunione legale: PRET. SORRENTO, 3 giugno 1978, in Dir. e giur., 1979, 820; APP. NAPOLI, 15 maggio 1981, in Giur. merito, 1984, 98; e TRIB. ROMA, 17 maggio 1984, in Giust. civ., 1985, I, 1212 . 24 - Così CARAVAGLIOS, La comunione legale, I, Milano, 1995, 387. - Si veda, per un’ampia critica all’orientamento giurisprudenziale contrario all’inclusione dei crediti nella comunione, anche QUADRI, Il contenuto della comunione legale: l’itinerario esegetico della Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 1994, II, 311. 25 26 - CASS., 11 settembre 1991, n. 9513, in Dir. e giur., 1992, 624 (con nota di REGINE); CASS., 16 dicembre 1993, n. 12439, in Fam. dir., 1994, 297, che, ancor più sinteticamente, propende per l’esclusione dei diritti di credito dalla comunione, opinando che <<alla luce del chiaro significato dell’espressione “acquisti” di cui all’art. 177, comma 1, lett. a), c.c.>>, la comunione legale va riferita <<solo ai beni di cui sia stata conseguita la proprietà nel corso del rapporto coniugale>>; CASS., 9 luglio 1994, n. 6493, in Riv. giur. edilizia, 1995, I, 114, in tema di diritti di credito rinvenienti dalla stipula di un contratto di compravendita immobiliare; e CASS., 27 gennaio 1995, n. 987, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 889 (con nota di REGINE), che richiama semplicemente le conclusioni raggiunte dalla sentenza n. 9513/91. 7 di cadere in comunione, mancando la presenza attuale della res da attrarre nella sfera patrimoniale comune>>. Secondo una ulteriormente diversa opinione, la tesi “negativa” circa la ricomprensione dei diritti “relativi” nel regime di comunione legale troverebbe invece la sua ragion d’essere nella particolare natura del diritto di credito, la cui sottoposizione al regime di comunione legale, essendo il diritto di credito, per sua natura, relativo e personale, finirebbe per concretarsi in una situazione tale da coinvolgere inevitabilmente la controparte del rapporto obbligatorio anche contro la sua volontà. È stato sul punto infatti osservato che <<non è ammissibile che, quando [il diritto di credito, n.d.A.] nasce ex contractu in capo allo stipulante, se ne verifichi un trasferimento ex lege a favore della comunione legale, ciò che coinvolgerebbe necessariamente la controparte>>; si sottolinea infatti, che <<è da escludersi che la riforma del diritto di famiglia abbia voluto imporre a carico dei terzi, in ogni contratto, un onere di preventivo accertamento dello status, dell’altro contraente e del regime patrimoniale cui questo è assoggettato>> (27). Nonostante ciò, è stato replicato che tale concezione riduttiva avrebbe quale inevitabile conseguenza quella di svuotare di contenuto la comunione immediata, poiché ne sarebbero esclusi, perché crediti, <<gli acquisti di titoli obbligazionari, di buoni del tesoro, di cartelle fondiarie ecc.>> compiuti separatamente da un coniuge con il provento della sua attività o col frutto dei suoi averi (28): quei beni, pur essendo di secondo grado e quindi strumentali, si atteggerebbero invero quali strumenti di capitalizzazione o di investimento, e perciò da intendersi inclusi nella comunione dei beni (29). Un consistente seguito ha raccolto invero pure la tesi che ammette l’ingresso nella comunione fra coniugi anche dei diritti di credito: sotto questo profilo, per lo più, è stato sottolineato che l’esclusione non troverebbe riscontro né nella formula della legge, poiché questa si riferisce <<genericamente>> agli “acquisti” successivi al matrimonio, né nella sua ratio, ravvisata nella necessità di far beneficiare entrambi i coniugi di tutti gli incrementi economici acquisiti al loro patrimonio, fatta eccezione per gli incrementi dei beni personali, che ne restano esclusi, e per i guadagni della loro attività separata, che 27 - SCHLESINGER, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, I, 1, Padova, 1977, 374, il quale ha peraltro successivamente modificato la sua posizione; cfr. anche SCHLESINGER, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da CIAN, OPPO, TRABUCCHI, III, Padova, 1992, 107; PINO, Il diritto di famiglia, Padova, 1984, 117; SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia. Il regime patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice civile, I, 1, III, Torino, 1983, 165, il quale ritiene che sarebbe <<intralcio notevole per la dinamica dell’odierna economia>> la configurazione di un onere in capo al terzo contraente di verifica del regime patrimoniale della controparte. Anche l’Associazione Bancaria Italiana, con la circolare n. 63 del 21 ottobre 1975, in Riv. not., 1975, I, 1386 , si espresse in senso contrario all’ingresso dei crediti in comunione legale perché ciò avrebbe potuto comportare il verificarsi di seri ostacoli per il commercio e la circolazione dei beni. Si veda però GIONFRIDA DAINO, La posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, 1986, 110, che richiama una serie di norme (in tema di cessione del credito, di espropriazione forzata del credito e di surrogazione) a favore della compatibilità dell’acquisizione ex lege del credito alla comunione legale dei beni. 28 - VITUCCI, I diritti di credito, in AA. VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 35, il quale osserva che <<se così fosse, resterebbero insoddisfatte tutte le esigenze perseguite con l’introduzione del regime patrimoniale legale; sarebbe inoltre priva di ogni ragionevole giustificazione la diametrale differenza di trattamento, rispetto al caso in cui i proventi dell’ “attività separata” e i frutti dei beni personali vengano usati per l’acquisto di un immobile, di un gioiello o di altro bene-rifugio>>. 29 - SCHLESINGER, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, I, 1, Padova, 1977, 374; BUONOCORE, Comunione legale tra i coniugi e partecipazione a società per azioni e a società cooperative, in Riv. not., 1977, 1142, il quale condivide la tesi secondo cui le azioni, anche se strumentali e pertanto di “secondo grado”, rientrerebbero in comunione perché prevale su questo aspetto quello patrimoniale: le azioni <<rappresentano un investimento stabile ed entrano come ricchezze effettive nel patrimonio del socio>>; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1979, 85; FABBROCINI CARDILLO, Nota a Trib. Venezia 4 luglio 1986, in Riv. not., 1988, 413. 8 “cadono” in comunione differita: <<sarebbe dunque in contrasto con tale motivazione sottrarre alla comunione immediata gli acquisti di diritti di credito che rappresenterebbero essi stessi un incremento economico, come entità patrimonialmente valutabili, salvo che tali crediti siano volti a realizzare risultati sottratti alla comunione o alla comunione immediata>> (30). Inoltre, si è osservato che escludere i crediti dalla comunione legale <<significa, nella sostanza, fornire al coniuge “più avvantaggiato” un formidabile strumento di elusione al regime patrimoniale legale, consentendogli di trattenere come “personali” una larga fetta degli acquisti effettuati durante il matrimonio>> ( 31), di 30 - BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia - Le successioni, Milano, 1985, 71 e 76; cfr. anche GABRIELLI, Comunione legale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 10, il quale ritiene infondata la preoccupazione per gli interessi della controparte del rapporto obbligatorio (nel rapporto costituito con contratto) e ritiene che, proprio per la genericità dell’espressione <<acquisti>> utilizzata dalla norma in questione, sussiste in capo ai sostenitori della lettura restrittiva <<l’onere della dimostrazione contraria>>; GIONFRIDA DAINO, La posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, 1986, 107; MAZZOLA, RE, Proposta di un diverso modo d’intendere la comunione dei beni tra coniugi, in Riv. not., 1978, 774, nota 8, i quali ravvisano nella adozione del termine “acquisto” <<una precisa volontà del legislatore: quella di dare alla comunione il massimo di estensione insieme con il massimo di concisione espressiva, di semplicità, di certezza>>; NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984, 47; NUZZO, Le situazioni strumentali: titoli di credito e opere dell’ingegno, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 120, secondo cui quando il rapporto obbligatorio è incorporato in un titolo di credito, è lo stesso diritto positivo a riconoscere l’operatività dell’istituto della comunione, in quanto <<nel nostro ordinamento, infatti, sono numerose le norme che affermano esplicitamente, o sottintendono con chiarezza, la comunione dei titoli di credito; si pensi ad esempio all’art. 2347 c.c. [...]; all’art. 168 c.c. [...]. Nella legislazione speciale particolarmente significativi sembrano gli art. 7 e 74 D.P.R. 14 febbraio 1963, n. 1343 (testo unico delle leggi sul debito pubblico) [...]>>; VITUCCI, I diritti di credito, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 33, secondo cui, il mutuo e deposito bancario, in quanto semplici accantonamenti di denaro presso terzi, escludono ogni trasformazione del provento in un cespite nuovo, e quindi la possibilità di configurare acquisti, mentre conclusione opposta varrebbe per l’investimento azionario; quanto poi all’acquisto di titoli a reddito fisso, eseguito con l’impiego di redditi personali, esso si collocherebbe in una “fascia intermedia”: <<anche l’acquisto di titoli a reddito fisso comporta trasformazione del danaro in un cespite diverso. Danaro e titoli a reddito fisso non sono infatti suscettibili delle stesse utilizzazioni (per es. a fini solutori) ed i titoli sono soggetti ad un corso ed a vicende non necessariamente coincidenti con quelli della moneta, accantonata o tesaurizzata>>. Propendono altresì per l’idoneità dei crediti a costituire oggetto della comunione dei beni: BUSNELLI, La <<comunione legale>> nel diritto di famiglia riformato, in Riv. not., 1976, 42; DE FALCO, Nota di commento a Cass. 23 luglio 1987, n. 6424, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 461, ove si evidenzia che la <<esclusione dalla comunione dei diritti di credito, in quanto frustrerebbe lo scopo del regime legale di assicurare in pari misura ai coniugi il risultato degli incrementi patrimoniali conseguiti durante la sua sussistenza, dovrebbe chiaramente risultare per litteras>>; DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 346; DI MARTINO, Gli acquisti in regime di comunione legale tra coniugi, in Quadrimestre, 1985, 30; LA ROCCA, Comunione legale tra coniugi e diritti di credito, in Rass. dir. civ., 1984, 814; REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., 1992, 632, per il quale il problema della struttura del diritto oggetto di comunione legale deve essere <<diversamente impostato a seconda che si tratti di diritti reali o di diritti di credito. Per quanto riguarda i primi può utilmente farsi riferimento alle elaborazioni formulate in tema di comunione ordinaria, le quali, pur con i contrasti sussistenti, sembrano propendere per una ricostruzione della fattispecie in termini di contitolarità della situazione giuridica […]>> mentre per i diritti di credito dovrà invece farsi riferimento alle soluzioni dottrinali prospettate in tema di obbligazioni soggettivamente complesse; SALVESTRONI, Comunione legale, efficacia degli acquisti separati e responsabilità per le obbligazioni contratte separatamente dai coniugi, in Riv. dir. comm., 1978, I, 169; SBISÀ, Appunti sulla riforma del diritto di famiglia - Appendice al corso di diritto civile, Milano, 1976, 52; VENTURINI, Comunione legale e diritti di credito, in Giur. it., 1983, I, 2, 827. Secondo BARBIERA, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da RESCIGNO, 3, II, Torino, 1982, 446 s., i crediti non rientrano nella comunione legale, ma vanno inseriti in una <<comunione differita>> distinta dalla communio de residuo. Fornisce infine una succinta ma esaustiva ricognizione delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di ammissibilità dei diritti di credito ad “entrare” in comunione legale il D’ADDA, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, in Fam. dir., 1998, 553. - REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., 1992, 634, il quale critica l’impostazione secondo la quale l’esclusione dalla comunione legale non opera per quei crediti che concretizzano, da un punto di vista meramente economico, un <<investimento>>; cfr. anche GERBO, Le operazioni bancarie, in AA.VV., La comunione 31 9 modo che <<non vi può essere alcuna pregiudiziale per l’esclusione dei diritti di credito dall’ambito della comunione legale>> (32); il compito di cui quindi l’interprete dovrebbe farsi carico sarebbe invero quello di procedere all’individuazione dei crediti che ne sarebbero esclusi, determinando <<l’esatta estensione ed i precisi limiti di operatività dei siffatti meccanismi acquisitivi per la comunione>> (33). Nell’ambito di tale indagine, si è talora ritenuto che debbano addirittura considerarsi inclusi nel regime di comunione legale <<tutti i diritti>> sempre che <<di contenuto patrimoniale>> (34); quindi, rientrerebbe nella comunione legale dei beni, indistintamente, ogni diritto di credito che sia sorto a favore anche solo di un singolo coniuge in costanza di matrimonio; secondo altra opinione invece, si ammette l’ingresso in comunione dei diritti di credito solo a condizione che <<il coniuge o i coniugi dichiarino espressamente di acquistare per la stessa>> (35). La dottrina maggioritaria, in questa opera di individuazione dei diritti di credito ricompresi nella comunione legale, sulla scorta di un criterio sostanziale che fa riferimento al concetto di “investimento”, è comunque orientata invece nel senso di ritenere l’idoneità alla “caduta” in comunione solo di quei diritti di credito che integrino un “investimento”, e cioè un incremento tale da arricchire in modo stabile il patrimonio del coniuge investitore (36). legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 163, per il quale dalla tesi secondo cui il concetto di acquisto va riferito non al bene ma al diritto, si dovrebbe desumere che sono da “includersi” nella comunione anche i diritti di credito poiché <<escludere dall’ambito dell’oggetto della comunione legale i diritti di credito, significa sottrarle incrementi economici, discostandosi tanto dal dato testuale (art. 177 c.c.), quanto dai principi informatori il nuovo regime patrimoniale>>. Secondo GABRIELLI, Comunione coniugale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 11, milita a favore dell’idoneità dei crediti a costituire oggetto della comunione dei beni il fatto che tale fenomeno costituisca ormai un dato sostanzialmente acquisito in tutti gli ordinamenti che prevedono un regime di tipo comunitario. Contra FINOCCHIARO M., in FINOCCHIARO A. e M., Diritto di famiglia, Milano, 1984, 874, che rileva la pericolosità di un’operazione di mera estensione al nostro sistema giuridico dei risultati raggiunti da altri ordinamenti, quindi nel vigore di altre norme e principi. 32 - DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 347. 33 - DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 347; LA ROCCA, Comunione legale tra coniugi e diritti di credito, in Rass. dir. civ., 1984, 817; REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., 1992, 637. 34 - BARALIS, Comunione coniugale legale e titolarità di partecipazioni sociali, in Riv. not., 1977, 294; GABRIELLI, Comunione coniugale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 11; GATTI, SCARDACCIONE, Titolarità delle partecipazioni sociali in regime di comunione legale, in Vita not., 1978, 259. 35 - DE PAOLA, MACRÌ, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978, 104. 36 - Cfr. AULETTA, Il diritto di famiglia, Torino, 1992, 137; CIAN, VILLANI, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I, 192; DI MARTINO, Gli acquisti in regime di comunione legale fra coniugi, Milano, 1987, 61 e 76 ; FURGIUELE, Libertà e famiglia, Milano, 1979, 204; GIONFRIDA DAINO, La posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, 1986, 109. Si vedano, in merito, anche le considerazioni di VITUCCI, I diritti di credito, in AA. VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 36. Inoltre, secondo DE MARTINO, L’acquisto dei crediti in regime di comunione legale tra i coniugi, in Quadrimestre, 1985, 42, nota 83, <<relativamente al problema se il credito sia un bene non mi pare dovrebbero invece sussistere dubbi. Sebbene, infatti, l’art. 810 cod. civ. dando la definizione di bene, faccia riferimento solo a cose materiali oggetto di diritti reali, il legislatore più volte ha mostrato di considerare il credito di un bene, intendendo per tale un elemento suscettibile di valutazione economica idoneo a costituire un patrimonio. Oltre all’art. 727 cod. civ. dettato in tema di comunione ereditaria, può bastare al riguardo ricordare che, ai sensi dell’art. 813 cod. civ., le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti ed inoltre il credito può essere oggetto di pegno (art. 2800 cod. civ.), e si ritiene concordemente costituisca oggetto anche di sequestro conservativo (art. 2905 cod. civ.) e di esecuzione forzata presso terzi (art. 2910 cod. civ.)>>. 10 3. Comunione legale e partecipazioni sociali. Restringendo ora l’obiettivo su ciò che maggiormente qui interessa, occorre osservare che l’articolata disciplina della comunione legale tra i coniugi non contempla alcuna norma che preveda espressamente le partecipazioni in società quale oggetto del patrimonio comune dei coniugi, o che almeno vi faccia riferimento, cosicché è stato affermato che questa <<vistosa carenza [è, n.d.A.] indice della superficialità del lavoro dei riformatori>> (37). Tale inadeguatezza legislativa ha dunque inevitabilmente contribuito a suscitare numerosi dubbi in tema di acquisibilità o meno delle partecipazioni sociali dei coniugi alla comunione legale dei beni (38) e ha dato origine ad un ampio dibattito dottrinale, dal quale sono scaturite diverse soluzioni (e posizioni) nel tentativo di dare certezze, là dove il legislatore non si è invece espresso, attraverso l’individuazione di criteri utili al fine di stabilire se, e in che modo, all’acquisto di partecipazioni sociali dei coniugi si estenda il regime di comunione legale, e ciò tanto in sede costitutiva della società che successivamente (39). In anteprima, è opportuno osservare come il breve excursus appena compiuto sullo stato della dottrina e della giurisprudenza in merito all’ammissibilità dei diritti di credito quale oggetto della comunione legale dei beni, fornisca comunque utili basi al discorso circa l’inquadramento delle partecipazioni sociali come facenti parte o meno del regime comunitario (40): infatti, le posizioni in materia, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, non sono univoche, poichè se, da un lato, si è per lo più ritenuto che l’acquisto di partecipazioni azionarie, in quanto cartolarizzate in un titolo, sia da considerarsi ricompreso nel concetto di acquisto di res (e quindi rendendosi l’azione stessa quale possibile componente della comunione legale) (41), d’altro lato, seppur in linea minoritaria, è stato rilevato che esse rappresentano comunque un diritto di credito. 37 - SCHLESINGER, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, I, 1, Padova, 1977, 377; cfr. anche TANZI, Comunione legale e partecipazioni a società lucrative, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 305, il quale osserva che <<la mancanza di un esplicito riferimento alle partecipazioni sociali come oggetto della comunione legale ha fatto legittimamente porre in dubbio non solo che esse possano essere considerate beni comuni, ma che, in caso di risposta affermativa, siano sempre e comunque tali o siano riconducibili alle altre due categorie di beni: quella dei beni personali e quella dei beni che cadranno in comunione de residuo>>. 38 - Solo da ultimo, come già riferito, la Suprema Corte ha stabilito che, qualora i titoli di partecipazione azionaria siano acquistati in costanza di matrimonio da uno solo dei coniugi ed a questo unicamente intestati, ma viga il regime di comunione legale, detti titoli <<sono suscettibili di essere compresi nel regime della comunione legale contemplata dall’art. 177, primo comma, lett. a), c.c. e, quindi, di essere ricompresi solo per la metà nel patrimonio dell’intestatario al momento della apertura della successione>> (CASS., 27 maggio 1999, n. 5172, in GT Riv. giur. trib., 1999, n. 11, 52, con nota di FIGONE). 39 - Il PAVONE LA ROSA, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 3 e 14, evidenzia che non importa se l’acquisto delle partecipazioni di società di capitali avviene <<mediante sottoscrizione in sede di costituzione della società o di aumento del capitale sociale ovvero mediante un atto traslativo concluso col titolare delle partecipazioni sociali>>. Così come nessuna ragione sussiste per <<distinguere l’ipotesi di acquisto di quote di società già costituite dall’ipotesi di partecipazione alla costituzione di una società personale mediante apporto di denaro, beni o prestazioni lavorative>>. Anche CASS., 1 febbraio 1996, n. 875, in Fam. dir., 1996, 543, specifica che <<il quesito se tra i diritti il cui acquisto costituisce oggetto della comunione si ricomprenda anche le partecipazioni ad una s.r.l., in generale, […] si pone con pari intensità, sia nell’ipotesi che uno dei coniugi acquisti la partecipazione per effetto di un conferimento in sede di costituzione di una società, sia con riguardo all’acquisto di una partecipazione - di una società già costituita - rilevata da terzi>>. 40 - Di recente, per un quadro puntuale sulle differenti posizioni dottrinali si veda: POSITANO, Riflessioni sul problema dei rapporti tra comunione legale e partecipazioni sociali, in Vita not., 1999, CXCIV. 41 - Cfr. CASS., 18 agosto 1994, n. 7437, in Giust. civ., 1995, I, 2503; in Società, 1995, 499 (con nota di MONTESANO); in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 561 (con nota di REGINE); e in Fam. dir., 1994, 593 (con note di CUBEDDU e CARBONE), per la quale le azioni, lungi dall’essere meri titoli di credito, sono titoli di partecipazione ove <<l’aspetto 11 Da quest’ultima prospettiva, coloro i quali ampliano la nozione di “acquisti” soggetti al regime della comunione legale fino a comprendervi anche i diritti di credito non hanno dunque difficoltà ad ammettere, in linea di principio, la “caduta” in comunione delle partecipazioni sociali; mentre, al contrario, da quella parte della dottrina che esclude i diritti di credito dal novero degli acquisti ricadenti nella comunione legale, è stato osservato che l’acquisto di titoli di credito, in generale, e di partecipazioni sociali, in particolare, dovrebbe essere escluso dalla comunione legale. Senonché, l’acquisto a favore della comunione di partecipazioni sociali, con assunzione di responsabilità limitata, è stata comunque ammessa sulla base di quell’orientamento che ravvisa nelle partecipazioni sociali la natura di bene “immateriale”, equiparato ai beni mobili dall’art. 812, comma 3, c.c. (42). Sotto un diverso angolo visuale, sempre al fine di procedere all’individuazione delle partecipazioni sociali cui si estende la comunione legale, una parte della dottrina (43) ha invece ravvisato nel criterio della “responsabilità” l’elemento maggiormente idoneo a risolvere la questione: secondo tale opinione occorre infatti preliminarmente distinguere le partecipazioni che comportano una responsabilità personale illimitata del socio, così come avviene in linea generale nelle società di persone, da quelle che comportano invece una responsabilità limitata per le obbligazioni sociali. Secondo tale criterio dunque patrimoniale è assolutamente prevalente rispetto ai diritti e agli obblighi connessi con lo status di socio>>, per cui le azioni di società, costituendo incrementi patrimoniali, sicuramente rientrano tra gli acquisti di cui alla lettera a) dell’art. 177 c.c., e quindi nell’oggetto della comunione tra coniugi; cfr. anche CASS., 3 aprile 1995, n. 3903, in Giust. civ., 1995, I, 2423 (con nota di VIDIRI); in Società, 1995, 1544 (con nota di BALZARINI); in Resp. civ. e prev., 1995, 745 (con nota di BALZARINI); CASS., 29 agosto 1995, n. 9067, in Mass. Giur. it., 1995; CASS., 1 febbraio 1996, n. 875 (in motivazione), in Fam. dir., 1996, 543 (con nota di SCHLESINGER); in Società, 1996, 61 (con nota di FIALE); in Corr. giur., 1996, 392 (con nota di AMBROSINI); e in Studium Iuris (con nota di SEVERINI); CASS., 23 settembre 1997, n. 9355, in Corr. giur., 1998, 68 (con nota di GIOIA); e in Notariato, 1998, 317 (con nota di SCOZZOLI), la quale propende per l’inclusione nella comunione legale immediata delle acquisizioni di partecipazioni societarie rappresentate da azioni e quote, in virtù della prevalenza del carattere di investimento patrimoniale di tali operazioni, che le rende del tutto rispondenti alla categoria degli <<acquisti>> prevista dall’art. 177 c.c.. In dottrina si veda CAMPOBASSO, Comunione coniugale e partecipazioni in società di capitali, in Riv. dir. priv., 1996, 3, 458, che considera senz’altro come ricomprensibile nell’oggetto della comunione legale l’acquisto di una quota di società a responsabilità limitata; GIOIA, Titolarità delle azioni tra fiducia germanistica e comunione legale, in Corr. giur., 1998, 71 , per la quale <<le azioni, la cui natura permette di sdoppiare titolarità e legittimazione, alla stregua di ogni altro titolo di credito, assurgono a livello di “bene” e attraverso la c.d. reificazione certificano lo status di socio di colui che partecipa alla vita dell’ente sociale tanto che entrano a far parte della comunione legale ai sensi dell’art. 177 comma 1 lett. a) c.c.>>. - Cfr. CASS., 12 dicembre 1986, n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101 (con nota di DONATI, il quale tra l’altro effettua una puntuale ricostruzione della qualificazione delle partecipazioni sociali). Nel senso che le quote di s.r.l., e quelle di s.a.s. in relazione alla posizione dell’accomandante, e le azioni, devono, di regola, cadere in comunione legale pur se intestate ad uno solo dei coniugi si vedano anche: CASS., 27 gennaio 1984, n. 640, in Giust. civ., 1984, I, 3090; CASS., 18 febbraio 1985, n. 1355, in Rep. Foro it., 1985, voce Fallimento, n. 276. Nella giurisprudenza tributaria si vedano poi: COMM. TRIB. CENTR., 12 giugno 1992, n. 4049, in Dir. prat. Trib., 1993, II, 727 (con nota di FUSARO); in Corr. trib., 1992, 2563 (con nota di COSTANZA); e in Giur. it., 1994, III, 2, 28; COMM. TRIB. 1° GRADO MACERATA, 2 marzo 1990, in Rass. trib., 1990, II, 772; e COMM. TRIB. 1° GRADO TREVISO, 28 settembre 1988, in Rass. trib., 1990, II, 64. 42 43 - Cfr. ARMANNO, Partecipazione in società di coniugi in regime di comunione, in Vita not., 1976, 592; BARALIS, Comunione coniugale legale e titolarità di partecipazioni sociali, in Riv. not., 1977, 300; BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia - Le successioni, Milano, 1985, 80; COMPORTI, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 1979, 77; DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale. Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 446; DE PAOLA, MACRÌ, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978, 113; FINOCCHIARO A. e M., Diritto di famiglia, Milano, 1984, 902; GABRIELLI, I rapporti patrimoniali tra coniugi, Trieste, 1981, 70; METITIERI, L’acquisto della partecipazione a società lucrative, in AA.VV., Partecipazione a società di coniugi in regime di comunione di beni, in Riv. not., 1978, 1249; NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984, 92 ; SCHLESINGER, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, I, 1, Padova, 1977, 377; SCHLESINGER, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da CIAN, OPPO, TRABUCCHI, III, Padova, 1992, 108 e 146. 12 conseguirebbe che <<non cadono in comunione - restando assoggettati alla disciplina di cui all’art. 178 codice civile, e cioè alla c.d. comunione de residuo - gli acquisti di quote di società di persone (salvo che per il socio accomandante, proprio perché questi è, in sostanza, un socio di capitali), ovvero gli acquisti di partecipazioni che comportano a carico del socio responsabilità personale illimitata>>; in effetti, <<coerentemente alle finalità della legge, una situazione, che si acquisisce ope legis, non può comportare per il coniuge rimasto estraneo all’operazione, una responsabilità ultra vires, che lo esporrebbe con i suoi beni personali, i quali, per tale verso, finirebbero per essere essi stessi coinvolti nella comunione legale dalla quale invece sono esclusi>> (44). Al contrario, <<[...] cadono in comunione (immediata) gli acquisti di quote (o azioni) di società di capitali (ovvero, ma sostanzialmente è lo stesso, gli acquisti di partecipazioni sociali che comportino responsabilità personale limitata per le obbligazioni della società) […] senza che assuma rilievo l’entità della partecipazione, se l’acquisto sia stato effettuato in sede di costituzione della società o successivamente, se dai coniugi insieme o da uno solo di essi separatamente, e neppure ha importanza se i coniugi abbiano ad acquistare ciascuno una quota, anche di diversa entità, nella stessa società: in ogni caso gli acquisti gioveranno alla comunione ipso iure e senza bisogno che l’effetto sia evidenziato nell’atto di acquisto>> (45). E proprio sulla scorta dell’indirizzo che ravvisa il criterio distintivo, circa l’assoggettamento o meno dell’acquisto di partecipazioni societarie al regime di comunione legale dei beni, nella differente responsabilità gravante sul socio per le obbligazioni a carico della società, nella giurisprudenza tributaria è stato affermato il diritto/dovere dei coniugi di dichiarare i relativi dividendi per metà ciascuno nelle rispettive dichiarazioni dei redditi allorquando si tratti di acquisto di partecipazioni di una società di capitali (o delle quote del socio accomandante in una società in accomandita semplice) (46). In 44 - COMM. TRIB. CENTR., 12 giugno 1992, n. 4049, in Dir. prat. trib., 1993, II, 727 (con nota di FUSARO); in Corr. trib., 1992, 2563 (con nota di COSTANZA); e in Giur. it., 1994, III, 2, 28, ove è specificato che l’acquisto di una quota di una società in accomandita semplice rientra nella comunione legale tra coniugi e che, pertanto, il reddito riferibile a detta quota va attribuito per il cinquanta per cento ad entrambi i coniugi. In dottrina cfr. BUONOCORE, Comunione legale tra i coniugi e partecipazione a società per azioni e a società cooperative, in Riv. not., 1977, 1142, il quale ha rilevato che l’applicabilità dell’art. 177 lett. a), c.c. è impedita sia dalla rilevanza che assume l’intuitus personae, sia dalla necessità di garantire al coniuge imprenditore la piena disponibilità dei beni destinati all’esercizio dell’impresa. In tal senso cfr. anche TRIB. ROMA, 15 gennaio 1988, in Foro it., 1989, I, 257. 45 - SCHLESINGER, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da CIAN, OPPO, TRABUCCHI, III, Padova, 1992, 109; cfr. anche SCHLESINGER, Acquisto di quote di società da parte di coniugi in regime di comunione legale, in Fam. dir., 1995, 55. Circa l’esclusione dalla comunione relativamente alle assegnazioni di azioni e di quote emesse a favore di prestatore di lavoro e delle azioni e quote acquistate dallo speculatore di borsa nella sua qualità di imprenditore individuale cfr. TANZI, Comunione legale e partecipazioni a società lucrative, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 329. In giurisprudenza cfr. TRIB. MILANO, 26.9.94, in Fam. dir., 1995, 52, ove, nell’affermare l’applicabilità di una diversa disciplina per l’acquisto da parte di uno dei coniugi di un pacchetto azionario rispetto a quello di una partecipazione ad una società di persone, si conclude che <<l’assunzione di una responsabilità illimitata, strettamente connessa alla qualità imprenditoriale dell’operazione, comporta che l’acquisizione della quota sociale non possa ricondursi all’ipotesi normativa degli “acquisti” contemplati dall’art. 177, lett. a)>> e che dunque tale acquisto resta assoggettato alla disciplina di cui all’art. 178 c.c.; CASS., 1 febbraio 1996, n. 875, in Fam. dir., 1996, 543 (con nota di SCHLESINGER); in Società, 1996, 61 (con nota di FIALE); in Corr. giur., 1996, 392 (con nota di AMBROSINI); e in Studium Iuris (con nota di SEVERINI), ove si precisa che vanno esclusi dalla comunione attuale gli acquisti di partecipazioni che implicano una responsabilità illimitata del socio intestatario e che rendono il coniuge medesimo titolare di uno status, o di una partecipazione nei confronti di un ente personificato. 46 - Cfr. COMM. TRIB. CENTR., 12 giugno 1992, n. 4049, in Dir. prat. trib., 1993, II, 727 (con nota di FUSARO); in Corr. trib., 1992, 2563 (con nota di COSTANZA); e in Giur. it., 1994, III, 2, 28; COMM. TRIB. 1° GRADO MILANO, 23 maggio 1990, n. 2136, in Bollettino trib., 1990, 1422; COMM. TRIB. 1° GRADO MACERATA, 2 marzo 1990, in Rass. trib., 1990, II, 772; COMM. TRIB. 1° GRADO TREVISO, 28 settembre 1988, in Rass. trib., 1990, II, 64; COMM. TRIB. 2° GRADO FORLÌ, 30 giugno 1987, n. 223, in Dir. prat. trib., 1988, II, 15, secondo cui la quota di partecipazione ad una società in accomandita semplice quale socio accomandante appartiene ad entrambi i coniugi in comunione legale, e dunque è imputabile il relativo reddito a ciascun coniuge. Contra COMM. TRIB. 1° GRADO, MILANO, 18 novembre 1986, n. 36771, 13 particolare la Commissione tributaria di primo grado di Rimini, nella decisione n. 320 del 30 maggio 1984 (47), ha stabilito che, sulla base dell’interpretazione della norma, contenuta nell’art. 177, comma 1, lett. a), c.c. (nel senso che essa trova applicazione agli acquisti di partecipazioni sociali comportanti solo l’assunzione di responsabilità limitata e non a quelle da cui deriva l’illimitata responsabilità per le obbligazioni sociali) e in relazione al senso ampio dell’espressione <<acquisti>>, tale da ricomprendere qualsiasi incremento patrimoniale, l’acquisto di partecipazioni sociali deve intendersi “cadere” in comunione legale immediata; altro aspetto assai importante di tale pronuncia è poi la considerazione del rilievo “esterno” attribuito alla comunione legale, derivandosene che gli acquisti si realizzerebbero direttamente per la comunione legale, attraverso <<una traslazione del diritto ex lege a prescindere da qualunque formalità o condizione di opponibilità verso i terzi>>. Da tutte tali considerazioni, e in particolare da quella in base alla quale l’effetto acquisitivo delle partecipazioni sociali si trasmetterebbe direttamente, ex lege, dal coniuge acquirente al patrimonio comune, la Corte riminese ha tratto dunque quale inevitabile conseguenza che il relativo reddito di detta partecipazione sociale deve essere ripartito in ragione del cinquanta per cento su ogni singolo coniuge, in virtù dell’appartenenza di tali partecipazioni alla comunione: <<[...] ciascuno dei coniugi è beneficiario della metà del reddito societario e per tale metà deve rispondere all’obbligazione tributaria>>. Un’ulteriore angolo visuale è poi quello proposto da quegli Autori (48) che, affermando se non l’inutilità quanto meno l’insufficienza del criterio fondato sulla “responsabilità”, ritengono che occorra in Bollettino trib., 1987, 252, per la quale <<non rientrano fra i redditi che formano oggetto della comunione legale imputabili ad entrambi i coniugi i dividendi periodici costituenti il frutto di un investimento contratto durante il matrimonio, non trattandosi di un valore residuale. Pertanto, se la partecipazione in società è intestata soltanto ad uno dei coniugi, il reddito è interamente imputabile a tale coniuge>>. 47 COMM. TRIB 1° GRADO RIMINI, 30.5.84, n. 320, in Bollettino trib., 1985, 172. Conforme anche COMM. TRIB. CENTR., 12.6.92, n. 4049, in Dir. prat. Trib., 1993, II, 727 (con nota di FUSARO), in Corr. trib., 1992, 2563 (con nota di COSTANZA), in Giur. it., 1994, III, 2, 28 e COMM. TRIB. CENTR., 13.6.92, n. 4101, in Corr. trib., 1992, 2977, con riferimento all’art. 26, 2° comma, del D.L. n. 69 del 1989, convertito, con successive modificazioni, dalla L. n. 154 del 1989, con cui il legislatore ha interpretato autenticamente la lett. a) dell’art. 4 del D.P.R. n. 597/73 stabilendo che <<i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge sono a lui imputati in ogni caso per l’intero ammontare>>. La Commissione in tale ultima pronuncia ha fondato la propria decisione, nel senso della comunione legale delle partecipazioni sociali limitate e della distinzione del reddito imponibile tra i due coniugi, sulla differenziazione tra partecipazioni che comportano una responsabilità limitata da quelle che importano una responsabilità illimitata. In dottrina CARAVAGLIOS, La comunione legale, I, Milano, 1995,580 e CARAVAGLIOS, La comunione legale, II, Milano, 1995, 1289 ; FANTOZZI, Regime tributario, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, II, Milano, 1989, 1103, il quale precisa che dal regime di comproprietà della partecipazione <<deriveranno ai coniugi pro-quota, le ulteriori conseguenze fiscali collegate con la distribuzione degli utili societari, tanto ai fini dell’imputazione delle ritenute che al regime di spettanza del credito di imposta, che va assegnato pro-parte ai singoli coniugi>>. 48 - Cfr. COSTANZA, Partecipazioni sociali e comunione legale, 1992, 2565, la quale ritiene che il criterio della strumentalità trovi <<conferma nella ratio generale che ispira il sistema del regime patrimoniale legale della famiglia: i beni che servono per l’esercizio dell’attività separata di ciascun coniuge restano al di fuori del regime della contitolarità, mentre rientrano in essa tutti i beni o, meglio, gli acquisti relativi a beni che rappresentano un incremento delle economie familiari>>. L’Autrice conclude che occorre <<verificare quale sia la funzione dell’acquisto della partecipazione sociale. Solo quando si evidenzia che lo scopo è di investimento […] si dovrà applicare la regola dell’immediata inclusione dell’oggetto della comunione legale>>; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, Milano, 1984, 135 ; DI MARTINO, Gli acquisti in regime di comunione legale fra coniugi, Milano, 1987, 133 ; GIONFRDA DAINO, La posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, 1986, 115; PAVONE LA ROSA, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 1. Secondo METITIERI, L’acquisto della partecipazione a società lucrative, in AA.VV., Partecipazione a società di coniugi in regime di comunione di beni, in Riv. not., 1978, 1250, la distinzione tra acquisto effettuato per investimento e acquisto meramente strumentale <<coincide con il criterio della limitazione o meno della responsabilità per le obbligazioni sociali. Se con la partecipazione il socio assume responsabilità illimitata si tratta di acquisto strumentale, in caso contrario è investimento vero e proprio>>. Contraria a tale conclusione è 14 piuttosto riferirsi alla “destinazione” che venga impressa all’acquisto delle partecipazioni sociali, sollecitando quindi un “criterio sostanziale” di indagine (che tiene conto cioè del tipo di operazione compiuta, ossia del “significato economico” dell’operazione stessa) e abbandonandosi quindi criteri di giudizio reputati meramente “formali” (poiché, volta a volta, fondati sulla distinzione tra diritto reale e diritto di credito o tra partecipazioni a responsabilità limitata o a responsabilità illimitata): <<alla stregua di tale criterio riterrei di dover distinguere tra acquisti che, dal punto di vista economico, costituiscano veri e propri “investimenti”, ossia forme di impiego del risparmio volte all’acquisizione di beni o di diritti destinati a far parte stabilmente del patrimonio dell’acquirente, ed acquisti di diritti aventi invece carattere strumentale, ossia costituenti un mezzo per l’acquisizione differita di una somma di denaro o di un bene>> (49). E così, se le partecipazioni che costituiscono un investimento, inteso come un qualcosa di “nuovo” in cui si trasforma la ricchezza già appartenente al patrimonio del soggetto, entrerebbero nel regime di comunione legale immediata, ex art. 177, lett. a), c.c., invece le partecipazioni strumentali ad un’attività imprenditoriale, che rappresentino semplicemente il mezzo per realizzare un’iniziativa economica e per attribuire al socio il potere gestorio (qui dandosi pertanto rilevanza all’attività svolta dal coniuge acquirente) andrebbero soggette alla disciplina propria dei beni appartenenti alla sfera dell’esercizio imprenditoriale da parte del coniuge singolo e, quindi, alla communio de residuo. Tale tesi è stata però oggetto di critiche sotto diverse prospettive: in primo luogo, è stato osservato che con l’affermazione che esclude l’assoggettamento al regime della comunione legale di quell’acquisto di quote cui si accompagni un’effettiva partecipazione alla vita sociale del coniuge-socio, si perviene infatti <<ad attribuire giuridica rilevanza ai motivi che avrebbero determinato i coniugi alla stipula del contratto sociale, assegnando ai motivi medesimi il potere di attrarre o meno nell’ambito della c.d. comunione attuale l’acquisto delle quote effettuato separatamente>> (50). Partecipazioni sociali e comunione legale, 1992, 2566, che precisa: <<l’individuazione dello scopo dell’acquisto, per altro, non potrà dipendere essenzialmente dal tipo di responsabilità assunta dall’acquirente. La limitazione di responsabilità è, infatti, solo un indice, peraltro non univoco, della carenza, nel titolare della partecipazione, della qualità di imprenditore o comunque di assuntore del rischio di impresa>>. COSTANZA, 49 - PAVONE LA ROSA, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 6; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, Milano, 1984, 139, per il quale occorre distinguere <<tra acquisto che mira soprattutto a conseguire uno status attivo di socio e quindi uno strumento di attività, e acquisto che mira soprattutto a metter da parte una qualche ricchezza>>; MAZZONE, Comunione legale a partecipazioni sociali, in Contratto e impresa, 1997, 48. Nel medesimo senso si è espresso TRIB. ROMA, 18 febbraio 1994, in Fam. dir., 1995, 53 (con nota di SCHLESINGER); in Società, 1994, 1237 (con nota critica di FIGONE); e in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 546 (con nota di MAGGIOLO), ove, dopo aver inquadrato le quote di s.r.l. nella tradizionale categoria dei diritti di credito, si sostiene che, per risolvere il quesito circa l’inclusione o meno nella comunione legale attuale tra coniugi degli acquisti di partecipazioni sociali in s.r.l., occorre evidenziare se si tratti di investimento suscettibile di tradursi in immediata ricchezza (e, in tale ipotesi, l’acquisto alla comunione sarà appunto immediato) ovvero di <<beni>> o diritti che costituiscono solo strumenti per l’acquisizione di una diversa utilità economica, i quali, eventualmente, rileveranno ai fini della c.d. comunione de residuo; viene pertanto dato rilievo alle caratteristiche dell’impegno economico che accompagna l’acquisto del bene o diritto, di modo che, nel caso di specie, il Tribunale escluse che l’acquisto delle partecipazioni sociali da parte di uno dei coniugi, stante l’effettiva partecipazione del coniuge-socio all’attività imprenditoriale, rientrasse nella comunione immediata. A parere di FUSARO, La quota dell’accomandante rientra nell’oggetto della comunione legale, in Dir. prat. trib., 1993, II, 733, <<per conciliare la speditezza e l’automaticità del criterio più tradizionale [della responsabilità, n.d.A.] […] con la superiore arguzia della logica da ultimo esposta [criterio fondato sulla destinazione della partecipazione, n.d.A.] si potrebbe applicare il primo allorché sia in giuoco l’affidamento di terzi, ed accordare invece spazio al secondo nei rapporti interni tra i coniugi, allorché - come accade sullo sfondo delle separazioni personali - si voglia censire la ricchezza davvero comune>>. 50 - FIGONE, Acquisto di quote di s.r.l. e comunione legale tra coniugi, in Società, 1994, 1238. Cfr. anche SCHLESINGER, Acquisto di quote di società da parte di coniugi in regime di comunione legale, in Fam. dir., 1995, 55. 15 In secondo luogo, insigne dottrina ha avanzato perplessità addirittura riguardanti <<questioni di metodo>> circa la ricostruzione prospettata da tale orientamento, obiettandosi invero che <<l’interprete deve privilegiare - di fronte ai casi dubbi - la soluzione che consente di diminuire i costi della incertezza e del conseguente rischio di incremento della litigiosità. Orbene, distinguere tra società di persone e di capitali, tra responsabilità personali limitate ed illimitate, è cosa molto agevole, idonea a troncare in radice ogni impulso alle contestazioni; laddove complessi distinguo tra “destinazioni” e “ruoli” assegnati dall’acquirente o dagli acquirenti ad una partecipazione sociale (non sempre, ovviamente, accertabili agevolmente, anche a causa di zone di ambiguità per gli stessi protagonisti, oltre che di eventuali contrastanti atteggiamenti tra di loro) non possono non destare preoccupazioni in ordine alla linearità dei risultati cui potrebbero condurre>> (51). Inoltre, l’evoluzione del diritto delle società <<non consente più di condividere l’idea che esistano, nettamente distinte tra loro, società spersonalizzate, come le s.p.a. (dove non vi è rapporto alcuno tra socio ed azienda), e società personalizzate, come le s.r.l. e le società di persone (dove il rapporto è stretto), dal momento che al “processo di spersonalizzazione della grande società si affianca un processo di personalizzazione” delle figure intermedie>> (52). Infine, proprio il riferimento al termine “investimento”, nozione prettamente economica e non abbastanza praticata nella scienza giuridica, quale punto qualificante di un acquisto di partecipazioni sociali, non appare idoneo per postulare la diversità di trattamento rispetto ad altre situazioni che, pur rientranti nel concetto di investimento, sono sottratte al regime della comunione legale (53). Accanto a tali opinioni maggiormente accreditate, si affiancano poi tesi “estreme”. Da un lato, sulla scia di quella tradizionale corrente dottrinale e giurisprudenziale che esclude dall’ambito della comunione legale i diritti di credito e ogni altro bene che non possa considerarsi res, vi è chi afferma l’esclusione dalla comunione legale delle partecipazioni al capitale di società, siano esse quote o azioni ( 54), trattandosi di diritti “relativi”; dall’altro, vi è invece chi, ricusando l’interpretazione riduttiva del termine <<acquisti>> per limitare l’oggetto della comunione legale ai soli diritti reali su cose materiali, si spinge fino a ricomprendere tutti i beni non personali che pervengano a ciascun coniuge, sulla considerazione che <<bene>> è tutto ciò <<che può formare oggetto di diritti soggettivi, o, meglio di rapporti 51 - SCHLESINGER, Acquisto di quote di società da parte di coniugi in regime di comunione legale, in Fam. dir., 1995, 55. - CARAVAGLIOS, La comunione legale, I, Milano, 1995, 528, il quale sul punto riprende l’opinione di ARMANNO, La società a responsabilità limitata tra società d capitali e società di persone. L’esperienza delle <<close corporations>> negli Stati Uniti d’America e delle <<sociétées unipersonnelles>> in Francia, Padova, 1990, 2. 52 53 - Cfr. GABRIELLI, Comunione coniugale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 6, secondo cui alla nozione economica di <<investimento>> non può essere riconosciuta <<una connotazione sufficientemente precisa per fondare su di essa il diverso trattamento giuridico di una fattispecie rispetto ad altre che vanno ricondotte nell’ambito dello stesso concetto, ma vengono escluse dall’oggetto della comunione>>; MOLLURA, SACCÀ, Impresa collettiva societaria e comunione legale tra coniugi (Società fra coniugi Partecipazione di uno dei coniugi a società), Milano, 1981, 185; NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984, 65. 54 - Cfr. DETTI, Oggetto, natura, amministrazione della comunione legale dei coniugi, in Riv. not., 1976, 1206; DI Comunione legale, Napoli, 1992, 147, secondo cui <<è assolutamente da escludere che l’assunzione di una quota di partecipazione ad una società di qualsiasi genere possa comunque determinare un fenomeno di comunicazione dell’acquisto in favore dell’altro coniuge>>; MACCARONE, Considerazioni e appunti sulla riforma del diritto di famiglia, in Bancaria, 1975, 921; PINO, Il diritto di famiglia, Padova, 1984, 117; RUSSO, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, in Commentario del codice civile, diretto da SCHLESINGER, Milano, 1999, 277. TRANSO, 16 giuridici>> (55): in tal modo, <<tutte>> le partecipazioni sociali “cadrebbero” ipso iure in comunione legale. Quanto poi al tentativo di individuare il criterio discriminante nella qualificazione giuridica delle partecipazioni sociali e nella loro natura, al fine di ricomprenderle o meno nella comunione legale, da un lato ne è stata rilevata la scarsa utilità. Infatti, <<la molteplicità delle opinioni e la vischiosità dell’argomento potrebbero portare ad una soluzione soddisfacente sul piano teorico, ma contrastante con l’obiettivo perseguito dal legislatore: dare attuazione anche sul piano patrimoniale al principio di parità tra coniugi […] Appare, dunque, probabile che con l’istituto sia compatibile qualsiasi definizione di “quota sociale”>> (56). D’altro lato, invece, la Corte Suprema, con sentenza del 12 dicembre 1986, n. 7409 ( 57), ha fondato la sua decisione proprio sulla natura giuridica delle partecipazioni sociali: dopo aver compiuto un’ampia panoramica sulla base della distinzione tra momento negoziale programmatico e momento attuativo e funzionale dell’organizzazione societaria, il giudice della legittimità ha concluso individuando nella situazione giuridica del socio una <<sintesi di poteri e doveri>> conferenti uno status. Di modo che, nel caso della società di persone, la <<unitaria situazione soggettiva del socio [...] è posizione personale: partecipazione strettamente personale del socio, che è stato parte nel negozio costitutivo della società, all’organizzazione societaria mediante l’esercizio dei poteri e l’adempimento dei doveri, al lui attribuiti dalla prestabilita disciplina, in funzione dell’esercizio comune, da parte del gruppo dei soci, dell’attività imprenditoriale; e la variazione dei soci, quindi delle persone partecipanti all’organizzazione societaria, comporta (salvo che per il socio accomandante nella società in accomandita semplice) la modificazione del contratto sociale, che richiede il consenso di tutti i soci, salva la diversa pattuizione (art. 2252 c.c.)>>. Nell’ipotesi invece della società di capitali, il Supremo Collegio ha preso in considerazione la trasferibilità della posizione del socio e distinguendo ulteriormente tra società per azioni e società a responsabilità limitata; nel primo caso, le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate dall’ azione, e questa <<oltre e prima che rappresentare una quota proporzionale del capitale sociale, è il documento nel quale è incorporata l’unitaria situazione soggettiva di ciascun socio nell’organizzazione societaria, quale sintesi dei poteri e dei corrispondenti doveri attribuiti al socio dalla prestabilita disciplina dell’organizzazione societaria, al fine della sua trasferibilità a terzi secondo la legge di 55 - GATTI, SCARDACCIONE, Titolarità delle partecipazioni sociali in regime di comunione legale, in Vita not., 1978, 277. 56 - TANZI, Comunione legale e partecipazioni a società lucrative, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 310; cfr. anche BUONOCORE, Comunione legale tra coniugi e partecipazione a società per azioni e a società cooperative, in Riv. not., 1977, I, 1140, il quale nega, stante le pluralità di opinioni in proposito, che la corretta metodologia per affrontare la questione della caduta in comunione delle partecipazioni sociali, sia quella della definizione della loro natura giuridica; DI MARTINO, Gli acquisti in regime di comunione legale tra i coniugi, Milano, 1987, 137; PAVONE LA ROSA, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 4, il quale non ritiene utile percorrere questa strada, essendo grave il rischio di rimanere invischiati in posizioni preconcette e non idonee a consentire di cogliere la reale dimensione del fenomeno. Contra GIACOBBE, L’attività notarile di fronte alla nuova legge sul diritto di famiglia 19 maggio 1975 n. 151, in Riv. not., 1975, 834. Anche secondo CARAVAGLIOS, La comunione legale, I, Milano, 1995, 546, <<la ricerca della natura giuridica delle partecipazioni sociali, onde offrire una soluzione generale alle problematiche in parola, non può essere liquidata semplicisticamente, opponendo vantate vischiosità o pluralità di opinioni, giacché, così argomentando, si giungerebbe alla paradossale conclusione che di comunione legale non potrebbe mai parlarsi, a causa degli innumerevoli (e inevitabili) contrasti di opinione che ne affliggono ab initio la corretta interpretazione>>. Per un’analisi della problematica si veda anche CATANIA, Comunione legale e acquisto di quote di società a responsabilità limitata, in Vita not., 1996, III, LV. 57 CASS., 12 dicembre 1986, n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101 (con nota di DONATI); e in Riv. not., 1987, II, 567, ove la sentenza è datata 2 dicembre 1986 (con nota di PAZZAGLIA). 17 circolazione dei titoli di credito: normalmente nominativi, stante la nominatività delle azioni>>. Nella s.r.l. invece, <<le quote di ciascun socio - che non possono essere rappresentate da azioni (art. 2472 comma 2° c.c.) - sono [...] proporzionali del capitale sociale, ma soprattutto la cui essenza è l’unitaria situazione soggettiva di ciascun socio nell’organizzazione societaria [...] , che è trasferibile a terzi con atti di alienazione o per successione a causa di morte, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, o coattivamente con espropriazione forzata>>. Di conseguenza, si ha <<previsto e disposto dal vigente sistema legislativo, il fenomeno dell’oggettivazione dell’unitaria situazione soggettiva del socio nell’organizzazione societaria, in uno dei tipi di società di capitali, al fine della sua trasferibilità a terzi [e] l’unitaria situazione soggettiva del socio [...], che è estrinsecazione, modo di essere del socio in tale organizzazione, diviene alterità rispetto al soggetto, assume la consistenza di individualità ontologica oggettiva, rispetto alla quale il soggetto socio si trova in relazione di appartenenza>>. E proprio attraverso il fenomeno dell’<<incorporazione>> per quanto attiene alla s.p.a. e dell’<<oggettivazione>> nelle s.r.l., l’unitaria situazione soggettiva del socio, definibile appunto come <<quota di partecipazione>>, riveste la qualità di bene mobile, materiale nell’un caso perché incorporata nell’azione (che consente la mobilizzazione dell’intera situazione del socio attraverso la circolazione del documento stesso), e, nell’altro, non essendo incorporata in un documento avente natura di cosa materiale, immateriale, equiparato ex art. 812, ult. comma, c.c. ai beni mobili materiali non iscritti in pubblici registri. 4. Comunione legale e depositi bancari. Il dibattito di cui si è fin qui riferito condiziona inevitabilmente anche la risoluzione della questione inerente le possibili interferenze del regime della comunione legale sul contratto di deposito bancario che venga stipulato da un soggetto coniugato che non abbia optato per il regime di separazione dei beni. Infatti, anche in questo caso, le soluzioni che sono state prospettate non sono univoche e fondano per lo più le loro argomentazioni sull’accoglimento dell’una o dell’altra tesi in materia di compatibilità tra diritti di credito e regime di comunione legale. Cosicchè, coloro i quali aderiscono alla tesi secondo la quale i diritti di credito non sarebbero ricomprensibili nel patrimonio comune, riguardando la comunione legale solo l’acquisto di diritti reali, ritengono di conseguenza che i contratti di deposito bancario, dai quali scaturirebbe soltanto un diritto di credito (58) siano esclusi dall’ambito comunitario (59). Altra opinione (60), pur mostrando di 58 - Cfr. GERBO, Le operazioni bancarie, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 159, il quale, dopo aver compiuto una puntuale ricognizione delle posizioni dottrinali in materia, afferma che <<oggetto della comunione può, o meno, essere (a seconda della tesi che si intende accogliere) solo il credito relativo agli interessi che il capitale depositato ha prodotto e mai il credito che il depositante vanta nei confronti dell’istituto bancario per la restituzione del capitale, [poiché, n.d.A.] solo il primo, infatti, e non il secondo può costituire (o meno) “acquisto” da parte della comunione>>. Il REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., 1992, 638, ravvisando dal contratto di deposito scaturire un credito di restituzione, che viene acquistato allorché si provveda a depositare in banca danaro costituente provento dell’attività separata o frutto di beni personali, sostiene che <<ammetterne un ingresso in comunione appare palesemente incongruo non potendosi porre il coniuge nell’alternativa fra perdere metà del danaro ovvero tenerlo presso di sé, e di tale avviso, pur nella diversità delle motivazioni, è l’unanime dottrina>>. L’Autore a tale conclusione giunge richiamando l’opinione di chi ravvisa nel deposito bancario un semplice <<accantonamento>> di danaro presso terzi, senza che ciò comporti alcuna trasformazione del provento in un nuovo cespite e quindi un <<acquisto>>; ritenendosi ciò, va concluso che <<il diritto alla restituzione delle somme depositate non è un bene nuovo acquistato al patrimonio del coniuge, ma costituisce esclusivamente lo strumento attraverso cui la legge assicura al depositante la disponibilità delle somme che si trovano presso la banca>>. - Cfr. GALLOTTI, Il regime patrimoniale della MACCARONE, Considerazioni e spunti sulla riforma famiglia nell’attività dell’impresa bancaria, Milano, 1984, 41; e del diritto di famiglia, in Bancaria, 1975, 921. Nel medesimo senso si era espressa anche l’Associazione Bancaria Italiana con la circolare n. 63 del 21 ottobre 1975, in Riv. not., 1975, 1386. Cfr. anche PRET. BARI, 6 febbraio 1982, in Banca borsa e tit. cred., 1983, II, 386 (con nota di SALANITRO); in 59 18 accogliere la tesi più ampia circa l’ammissibilità dell’estensione della comunione legale anche ai diritti di credito, ritiene comunque, ai fini del contratto di deposito bancario, l’ininfluenza del regime patrimoniale matrimoniale del depositante, stante l’impossibilità di ravvisare nel contratto di deposito un <<acquisto>>, ancorché di diritti poiché, in effetti, il contratto di deposito determinerebbe un <<mero accantonamento>> di somme e non un investimento (61). Accanto a tali posizioni si pone peraltro l’opinione di chi (62) ritiene di dover distinguere, sulla scia di quell’indirizzo dottrinale che differenzia gli “acquisti” qualificabili come investimenti da quelli che non Giur. mer., 1984, 616 (con nota di GIONFRIDA DAINO) e 1138 (con nota di DOGLIOTTI); e in Giur. it., 1983, I, 2, 8 (con nota di CIPRIANO), secondo cui, in primo luogo, con il verificarsi di una delle cause di scioglimento della comunione legale, si opera, per i redditi individuali non consumati, un automatico trasferimento a favore della comunione de residuo, anche se detti redditi si sostanziano in crediti verso i terzi; in secondo luogo, si stabilisce che al momento dello scioglimento della comunione legale per morte di uno dei coniugi, il coniuge superstite non ha diritto a pretendere la metà della somma di denaro depositata dall’altro coniuge su un conto corrente postale, perché ciò potrebbe pregiudicare le legittime pretese dei terzi creditori del coniuge defunto. Si veda anche, seppur non esattamente in termini, CASS., 22 febbraio 1992, n. 2182, in Giust. civ., 1992, I, 892; e in Vita not., 1992, 1167, secondo la quale <<in tema di comunione legale tra coniugi, il denaro rinvenuto al momento dello scioglimento della comunione, qualora costituisca provento dell’attività separata di ciascuno (o di uno) dei coniugi, è oggetto della comunione in via assoluta, ai sensi dell’art. 177 lett. c) dello stesso codice, senza che possa ammettersi una prova contraria a norma dell’ultima parte dell’art. 195 cod. civ., e di conseguenza deve essere ripartito in parti uguali al momento della divisione dei beni (art. 194, primo comma, cod. civ.) sia che provenga dall’attività di uno solo dei coniugi, sia che provenga dalle singole attività dei due coniugi, ancorché in misura diversa da ciascuno di essi>>. Al proposito SANTOSUOSSO, Beni ed attività economica della famiglia, in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da BIGIAVI, Torino, 1995, 79, il quale afferma che <<analogamente va ritenuto per quanto riguarda i redditi individuali che trovansi depositati in banca, oppure concessi a mutuo di breve durata>>. Cfr. anche TRIB. MESSINA, 24 novembre 1996 n. 1105, G.d. dott. Iannello (rinvenuta all’indirizzo http:\\ www.giuristi.thebrain.net/sententiae/civ/messina/index2.htm), secondo cui <<le somme versate sul conto corrente di corrispondenza, escluso che l’accensione di un conto corrente di corrispondenza in costanza di matrimonio possa valere ex se ad assoggettare tali somme al regime di comunione, non rientrano in alcuna delle ipotesi di cui all’art. 177 c.c. (non trattandosi infatti di un acquisto di un diritto di credito ma di un accantonamento di un guadagno mediante sua conversione in credito avente lo stesso oggetto). La loro destinazione, nei rapporti interni tra i coniugi va pertanto regolata ai sensi dell’art. 1298, 2° comma c.c. in base al quale il credito solidale (nella specie quello dei correntisti nei confronti della banca per il saldo attivo) si divide in quote uguali solo se non risulti diversamente>>. 60 - Cfr. PAVONE LA ROSA, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 6, il quale, ritiene che, sulla base di tale distinguo, non possano ricomprendersi nella previsione dell’art. 177, lett. a), c.c., <<i crediti da mutuo o da operazioni di deposito bancario, così come non vi rientrano le cambiali, gli assegni ed analoghi titoli, in quanto in questi casi l’acquisto del diritto non rappresenta un momento finale dell’operazione, bensì solo un momento preliminare inteso al conseguimento di un bene, che potrà esso, ricorrendone i presupposti, cadere in comunione, ma non la situazione strumentale che ne consente l’acquisto. Sono invece da considerare acquisti nel senso della disposizione indicata gli acquisti di titoli obbligazionari, di buoni del tesoro, e quindi anche di azioni o quote di società, in quanto forme stabili di impiego del risparmio, e quindi vere e proprie operazioni di “investimento”>>. - Cfr. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia - Le successioni, Milano, 1985, 72; D’ADDA, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, in Fam. dir., 1998, 556, il quale estrapola dal concetto di investimento, il deposito bancario, ove non si potrebbe scorgere un investimento poiché <<il denaro, a fini che direi conservativi e di custodia, viene versato su un conto, ma rimane nella “immediata disponibilità” del risparmiatore, che quindi non acquista nulla e potrà vantare nei confronti dell’istituto bancario un mero diritto alla restituzione delle somme depositate>>. Per SCHLESINGER, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da CIAN, OPPO, TRABUCCHI, III, Padova, 1992, 103, il deposito bancario è escluso dalla comunione legale dei beni perché non si può dire che <<qualcosa, dal punto di vista sostanziale ed economico, sia stato effettivamente acquistato>>. Secondo GABRIELLI, Comunione legale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 11, di conseguenza, perché vi sia investimento, è necessario che il risparmiatore operi una immobilizzazione della moneta realizzando <<impieghi che escludono la liquidità>>. 61 62 - Cfr. COSTI, Nuovo diritto di famiglia e operazioni bancarie, in Le operazioni bancarie a cura di G.B. PORTALE, Milano, 1978, 178. 19 sono definibili come tali, tra depositi “liberi” e depositi “vincolati” (63): così, mentre per i primi non potrebbe verificarsi un “acquisto” di diritti da parte del cliente-depositante, restando quindi del tutto indifferente il suo regime patrimoniale coniugale, nel secondo caso, i diritti nascenti dal contratto finirebbero invece per costituire oggetto della comunione legale (64). Sulla questione del rapporto tra comunione legale dei beni e giacenze bancarie, intervenne pure il Ministero delle Finanze, stante l’indubbia ripercussione tributaria di questa materia, in particolare nell’ipotesi in cui decedesse un depositante che fosse coniugato in regime di comunione legale con il coniuge superstite: in tal caso si poneva infatti il problema di quale fosse il trattamento tributario da applicare al saldo del deposito di conto corrente bancario intestato al solo de cuius e ci si è dunque domandati appunto se <<a seguito del decesso del coniuge correntista, possa ritenersi operante, nei confronti del coniuge superstite, la predetta comunione, onde considerare caduta in successione soltanto la metà della somma depositata in conto corrente (cioè la quota corrispondente al cinquanta per cento del saldo del conto corrente esistente alla data della morte del coniuge intestatario). Ove, infatti, si ritenesse caduta in successione soltanto la metà della somma depositata, dovrebbe considerarsi consentita la messa a disposizione del coniuge superstite della restante metà, senza esigere la prova della avvenuta presentazione della dichiarazione di successione>> (65). Ebbene, l’amministrazione finanziaria ha rilevato che <<la tesi secondo cui anche i diritti di credito derivanti da deposito bancario formerebbero oggetto della comunione c.d. “de residuo” si fonda, pertanto, sul presupposto che le somme di cui trattasi siano riferibili specificamente a frutti di beni personali o a proventi dell’attività separata di uno dei coniugi>>. Pertanto <<nell’ipotesi in esame, non vi è elemento che autorizzi a ritenere che il deposito bancario sia stato alimentato esclusivamente dai suddetti frutti e proventi. L’Organo Legale osserva che, per respingere una simile conclusione, genericamente affidata al rilievo dell’ordinario ricorso a deposito bancario per la custodia dei risparmi familiari (o meglio della famiglia), basta riflettere che il deposito ben potrebbe essere costituito da somme acquisite per effetto di donazione o successione (art. 179 c.c. lett. b) ovvero a titolo di risarcimento danni (lett. e) o ancora rappresentanti il prezzo del trasferimento di beni personali (lett. f) o ancora, come rilevato, più radicalmente, da una parte della dottrina, da somma affidate da un terzo in fiduciaria custodia al de cuius. L’Avvocatura generale ha pertanto concluso che, fino a dimostrazione contraria (la quale, per altro, ben difficilmente potrebbe presentare i requisiti di certezza idonei) non possa superarsi l’apparenza della situazione giuridica creata con l’intestazione del deposito ad uno solo - A quest’ultima fattispecie può probabilmente accostarsi quella dei c.d. certificati di deposito, che, tra l’altro, appaiono rilevanti, oltre che sotto il profilo di integrare un’ “investimento”, poiché hanno anche, ove sia considerato un fatore importante, indubbi connotati di cartolarità. 63 64 - Cfr. GERBO, Le operazioni bancarie, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 162, ove si precisa che occorre poi distinguere ulteriormente circa i rapporti tra cliente e banca da un lato, e tra coniugi dall’altro: <<in ordine ai primi, si ritiene che la banca sarebbe del tutto estranea al regime patrimoniale del cliente e che quest’ultimo sarebbe l’unico soggetto legittimato ad esigere nei confronti dell’istituto depositario l’esatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto contrattuale; per quanto riguarda i secondi, invece, si sostiene che se il coniuge depositante, nel gestire il rapporto che lo lega all’istituto, non rispettasse le regole relative all’amministrazione dei beni della comunione, sarebbe tenuto - nei confronti dell’altro coniuge - alternativamente, a ricostruire la comunione nello stato in cui si trovava anteriormente all’atto dispositivo, o al pagamento dell’equivalente, ex art. 184 c.c. ultimo comma>>. L’Autore, inoltre, precisa che oggetto della comunione è il credito relativo agli interessi nascenti dal deposito, ma distingue a seconda che il deposito abbia funzione di custodia dei beni depositati presso la banca, nel qual caso essi non “cadono” in comunione perché la custodia, essendo un mero accantonamento, non costituisce un <<acquisto>>, dall’ipotesi in cui il deposito ha una funzione di investimento, caso nel quale essi allora “cadono” in comunione immediata. 65 - Ministero delle Finanze, circolare 6 dicembre 1989 n. 53, in Dir. prat. trib., 1990, I, 35, su cui cfr. BUSANI, Una presunzione in contrasto con codice e diritto di famiglia, in Il Sole 24 Ore, 18 dicembre 1989. 20 dei coniugi (con il presumibile consenso dell’altro), per cui non può ritenersi operante, nell’ipotesi in esame, la comunione legale>>. Se quindi anche vi sia una notevole difficoltà di prova, è importante notare come l’amministrazione finanziaria non abbia ritenuto il saldo del conto corrente pregiudizialmente escluso dalla comunione legale dei beni, aderendo evidentemente essa pertanto alla tesi circa la ricomprensione dei saldi di conto corrente nella comunione legale dei beni (salvo che si verta in tema di denaro “personale”): cosicché, se non si tratterà di somme rinvenienti al coniuge defunto da prima del matrimonio, oppure da successione o donazione (o da altra “provenienza” estranea all’attrazione da parte del regime di comunione legale), ma, come accade nella più parte dei casi, rinvenienti come frutto della propria attività lavorativa, si avrà per esse la rilevanza del regime comunitario, e pertanto la loro ricomprensione nell’asse ereditario solamente per la quota di pertinenza del coniuge defunto. E’ altresì importante notare come la stessa Amministrazione definisca l’intestazione del conto in termini di pura “apparenza” e che contro tale apparenza sia considerata ammissibile la prova di una realtà sostanziale diversa da quella manifestata dalla mera intestazione formale del rapporto bancario. 5. Comunione legale e titoli del debito pubblico. La questione se i titoli del debito pubblico (66) sottoscritti da uno solo dei coniugi, in regime di comunione legale, non è stata oggetto, a quanto consta, di decisioni giurisprudenziali, fatta eccezione per la pronunzia del Tribunale di Milano del 21 maggio 1997 (67): in questa sentenza è stata infatti affrontata la questione se l’acquisto di titoli di Stato debba ritenersi compreso tra gli <<acquisti>> che, a norma dell’art. 177 lett. a), c.c., “cadono” in comunione immediata, oppure se essi, stante la loro natura di diritti di credito, siano estranei alla comunione stessa. Detta pronuncia si è dunque data carico di definire innanzitutto l’ambito della comunione legale “immediata”, e ciò rifacendosi tanto alla ratio dell’istituto della comunione legale (individuata appunto, in una visione solidaristica, nell’esigenza di parificare la posizione giuridica dei coniugi rispetto alle loro vicende economiche successive al matrimonio), quanto indagando circa la nozione di <<acquisti>> e propendendo per una portata estensiva dell’espressione usata dal legislatore, concludendo cioè nel 66 - Alle sorti di questa fattispecie possono a buon titolo accostarsi quelle di altri strumenti finanziari, la cui disciplina non può evidentemente essere dissimile: quote di fondi comuni, quote di gestioni in fondi, bond di organismi sopranazionali, titoli obbligazionari, eccetera. - TRIB. MILANO, 21 maggio 1997, in Fam. dir., 1998, 551, con nota di D’ADDA, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, il quale precisa (p. 556, nota11) che già TRIB. MILANO, 21 dicembre 1981, in Dir. fam., 1982, 128, aveva dato per presupposta la soluzione accolta dalla pronuncia in commento. Lo stesso Autore, al fine di valutare la fondatezza delle conclusioni raggiunte dalla pronuncia commentata, ed esaminando la natura dei buoni ordinari del tesoro, appartenenti alla categoria dei c.d. <<titoli di massa>>, li qualifica come <<strumenti mediante i quali lo Stato si assicura forme di finanziamento del proprio debito>>, i quali <<nel contempo, rappresentano, per i privati sottoscrittori, una vera e propria collocazione del risparmio a tassi di interessi (che per lungo tempo sono stati) più vantaggiosi di quelli fruibili per il tramite di un semplice contratto di deposito>>. Il SANTOSUOSSO, Beni ed attività economica della famiglia, in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da BIGIAVI, Torino, 1995, 79, precisa che quando i titoli di credito si sostanziano in veri e propri investimenti (azioni, obbligazioni, buoni del tesoro, cartelle fondiarie, depositi vincolati, mutui a lungo termine e così via), l’analogia con l’acquisto dei diritti reali appare possibile, anzi doverosa, ai fini dell’applicabilità della norma dell’art. 177, lett. a), in quanto si crea un cespite che esclude la liquidità. In particolare l’Autore richiama la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria, del 25 luglio 1992 (a quanto consta inedita), che ha ritenuto che i buoni fruttiferi del tesoro vadano divisi in parti eguali tra i coniugi, così come accade per i risparmi. Di diversa opinione GABRIELLI, Comunione legale ed investimento in titoli, Milano, 1979, 25, secondo il quale l’acquisto di titoli di Stato non configura un investimento: in particolare questo Autore precisa che quando si tratta di acquisto di titoli a reddito fisso con l’impiego di redditi personali, dal momento che la diversità del bene acquistato (titoli obbligazionari o del debito pubblico) rispetto al denaro speso nell’acquisto sarebbe essenzialmente formale per un accantonamento solo temporaneo di liquidità, questi non “cadono” in comunione. 67 21 senso di potersi estendere la comunione legale anche al di là dei diritti reali. Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, il Tribunale di Milano distingue, nell’ambito dei diritti “relativi”, quei <<cespiti che pur rappresentati da crediti costituiscono dal punto di vista economico dei veri e propri investimenti da quei diritti di credito che si configurano come strumenti di credito e pagamento, quali potrebbero essere le cambiali, gli assegni bancari, i titoli rappresentativi di merci>>; cosicché nell’ambito della più lata nozione di <<acquisti>> accolta dal Tribunale, ricadrebbero in comunione anche i <<titoli pubblici in quanto non meramente strumentali, ma, per così dire, finali, cioè ricchezze stabilmente entrate a far parte dei beni comuni>>; e si ritiene, infine, che tale soluzione sia pure <<coerente con le trasformazioni delle forme di investimento e di risparmio intervenute anche a livello familiare nella società contemporanea, in cui l’acquisto di titoli di Stato e di titoli obbligazionari ha talora sostituito pure l’acquisto immobiliare, considerato in passato il bene rifugio per eccellenza>>. Questa pronuncia fonda dunque le sue conclusioni sulla distinzione tra crediti che costituiscono un investimento (68) e crediti che non possono qualificarsi come tali; solo allorquando con l’acquisto di titoli di credito, a fronte del pagamento della somma richiesta, si produca un <<qualcosa di nuovo>>, questi entrerebbero a far parte del patrimonio del sottoscrittore: <<l’acquisto del titolo [...] integrerebbe così una fattispecie acquisitiva simile a quella che si realizza con l’acquisto di un bene mobile o immobile>> (69). Tale impostazione non è però andata esente da critiche, come si è già osservato, poiché il concetto di <<investimento>>, utilizzato quale elemento discretivo, <<avrebbe connotazioni e profili assai incerti e, quindi, non costituirebbe un utile strumento al fine di operare la suddetta distinzione>> (70). - L’individuazione della categoria dei crediti che rapprendano “investimenti” risponde all’esigenza di non svuotare di contenuto la comunione immediata, poiché ne sarebbero esclusi, perché crediti, <<gli acquisti di titoli obbligazionari, di buoni del tesoro, di cartelle fondiarie ecc.>> compiuti separatamente da un coniuge con il provento della sua attività o col frutto dei suoi averi (cfr. VITUCCI, I diritti di credito, in AA. VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 35, il quale osserva che <<se così fosse, resterebbero insoddisfatte tutte le esigenze perseguite con l’introduzione del regime patrimoniale legale>>): quei beni, pur essendo di secondo grado e quindi strumentali, si atteggerebbero invero quali strumenti di capitalizzazione o di investimento, e perciò da intendersi inclusi nella comunione dei beni: cfr. SCHLESINGER, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, I, 1, Padova, 1977, 374; BUONOCORE, Comunione legale tra i coniugi e partecipazione a società per azioni e a società cooperative, in Riv. not., 1977, 1142, il quale condivide la tesi secondo cui le azioni, anche se strumentali e pertanto di “secondo grado”, rientrerebbero in comunione perché prevale su questo aspetto quello patrimoniale: le azioni <<rappresentano un investimento stabile ed entrano come ricchezze effettive nel patrimonio del socio>>; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1979, 85; FABBROCINI CARDILLO, Nota a Trib. Venezia 4 luglio 1986, in Riv. not., 1988, 413. 68 - D’ADDA, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, in Fam. dir., 1998, 557, il quale osserva come <<l’insufficienza della tesi in discussione risieda nel fatto che essa si limita ad una descrizione di carattere meramente economico delle vicende concernenti l’acquisto di un titolo di Stato>>. A parere poi di SCHLESINGER, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da CIAN, OPPO, TRABUCCHI, III, Padova, 1992, 103, anche con la sottoscrizione di titoli di Stato non entrerebbe nel patrimonio dell’acquirente un quid novi, perché i titoli di Stato avrebbero una natura strumentale volta al recupero del capitale versato. Sono invece di opinione diversa: BUONOCORE, Comunione legale tra i coniugi e partecipazione a società per azioni e a società cooperative, in Riv. not., 1977, 1141; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in generale. La comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO, continuato da MENGONI, VI, I, 1 Milano, 1979, 85; GERBO, Le operazioni bancarie, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 159; NUZZO, Le situazioni strumentali: titoli di credito e opere dell’ingegno, in AA.VV., La comunione legale, a cura di BIANCA, I, Milano, 1989, 119; PAVONE LA ROSA, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 6. 69 - D’ADDA, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, in Fam. dir., 1998, 557, il quale evidenzia che anche <<parte di quella autorevole dottrina che aveva fatto leva su tale concetto per ricomprendere taluni diritti di credito tra gli acquisti di cui all’art. 177 lett. a) c.c. ha successivamente rimeditato le proprie conclusioni proprio in considerazione dell’incerto ambito applicativo della categoria dell’investimento>>. 70 22 Di recente, si è così abbandonato il criterio distintivo fondato sul concetto di “investimento”, cercando di ravvisare ulteriori elementi qualificanti, utili a suffragare l’opinione che mira a considerare appartenenti alla comunione legale i titoli del debito pubblico che siano stati acquistati da un solo coniuge: ci si è riferiti, in primo luogo, alla natura giuridica dei buoni del tesoro, nei confronti dei quali, al pari degli altri titoli di credito, opera il fenomeno dell’incorporazione, <<in forza del quale all’emissione del titolo da parte del Ministero del Tesoro consegue una “materializzazione del diritto nel documento”; il quale ultimo, sottoscritto dietro pagamento di un corrispettivo in denaro, potrebbe quindi considerarsi come il bene oggetto dell’acquisto di cui all’art. 177 lett. a) c.c.>> (71). In secondo luogo, si è osservato che le possibili modalità di acquisto dei titoli (a seguito d’asta, e pertanto con determinazione del prezzo dei titoli in relazione alla richiesta del mercato), confermano l’opinione che i titoli in questione siano influenzati dall’andamento del mercato e delle conseguenti richieste, non limitandosi ad <<esprimersi in entità nominalisticamente costanti nel tempo e non soggette ad oscillazioni>> (72), così come invece avviene per i depositi bancari; inoltre, da un lato, si è rilevato che il sottoscrittore di taluni tipi di titoli di Stato può essere destinatario, a seguito di sorteggio, di premi annuali e, dall’altro, è stato ricordato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il conferimento di titoli di Stato in società di capitali si configura quale conferimento di beni “in natura” e non “in denaro”. Da tutte queste peculiari caratteristiche proprie dei titoli di Stato è stato dunque ritratto che <<seppur vero che nella maggior parte dei casi i titoli di Stato “producono” un reddito fisso e vengono rivenduti alla loro normale scadenza a prescindere da oscillazioni di mercato, le descritte caratteristiche che connotano giuridicamente i titoli non consentono di ritenere che, con l’acquisto di essi, si realizzi la medesima operazione conclusa per il tramite del deposito di denaro presso un istituto di credito, la cui causa è eminentemente di custodia>> (73). 71 - D’ADDA, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, in Fam. dir., 1998, 558. 72 - CAPRIGLIONE, voce Buoni e certificati di credito del tesoro, in Enc. giur., V, Roma, 1988, 2. - D’ADDA, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, in Fam. dir., 1998, 558, il quale avverte che tali sforzi interpretativi, volti a dare fondamento alla tesi che vuole includere i titoli di Stato nella comunione legale, potrebbero apparire quasi superflui qualora si intenda seguire la traccia fornita dalla recente sentenza 23 settembre 1997, n. 9355, della Suprema Corte>>. 73 23