02-59 Articoli 20-05-2007 12:17 Pagina 35 AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO Un paese straordinario, selvaggio e allo stesso tempo accogliente, uno degli ultimi santuari della biodiversità e della multietnicità. Testo di Alessandro Pellegatta Foto archivio AnM e Paola Vegetti el miglior romanzo di Bohumil Hrabal “Una solitudine troppo rumorosa” l'operario Hanta,uno svitato “pabitelè”, rappresenta la sintesi di un sogno e di un personaggio reale che cerca in tutti i modi la sua impossibile strada per sfuggire all'oppressione della Storia, in una sorta di “progressus ad originem”. N Sì,tornare alle origini per avanzare.Riscoprire il senso delle cose perdute. Ritrovare il significato, l'essenza e la semplicità del vivere. Inoltrandoci nel cuore di uno dei Paesi meno conosciuti dell'Asia sudorientale, avanzando nella fitta vegetazione tropicale, sferzati dalle piogge monsoniche, scivolando tra le rapide di fiumi impetuosi e stretti tra incombenti rupi calcaree, ritroveremo alla fine del viaggio il significato di questo “progressus ad originem”, e una profonda nostalgia per questo meraviglioso Paese, il Laos, il più enigmatico dell'Indocina,non ancora contaminato dai processi di globalizzazione e che vive ancora, quasi ai margini della Storia,con i suoi tempi e suoi ritmi.Parafrasando Tiziano Terzani, che al Laos dedicò il primo capitolo di “Un indovino di disse”, continuiamo a sperare che “...i missionari del materialismo e del benessere economico”,nonché i discepoli del turismo di massa non distruggano questo territorio, uno degli ultimi “...rifugi del vecchio fascino d'Oriente” che rivela ancora paesaggi di incomparabile e selvaggia bellezza,e che ci riporta fuori dalla Storia, dal turbinare confuso di un Mondo sempre più vittima dello “sviluppo” ad ogni costo. “Ogni cosa è illuminata”.Tutto è chiaro, come nel capolavoro di Jonathan Safran Foer, cui si ispira il bellissimo film Da un Tutto Laos gr. Bestetti del regista ucraino Liev Schreiber. Il valore della memoria ci condurrà nel nostro viaggio in Laos, ci farà riscoprire le “radici” della nostra sofferente Umanità, consapevoli che anche i luoghi più remoti dell'Asia (e del Mondo intero) sono sempre più minacciati dall'aggressione della “modernità”: Come ha scritto recentemente anche l'International Herald Tribune, sull'altopiano Nakai, nei pressi di Oudomsouk, al centro del Laos, la calma della zona è squassata dai tuoni della dinamite utilizzata per realizzare una diga colossale sul fiume Nam Theun, e che stravolgerà la vita di almeno 100.000 abitanti.Thailandia e Cina sono assetate di energia, e anche quando i progetti di “grandi opere” non vengono realizzati le concessioni permettono ai titolari di effettuare disboscamenti indiscriminati. In questi giorni anche Federico Rampini ha pubblicato un bel reportage sullo Yunnan, altra area della Cina (confinante col nord del Laos) che verrà presto stravolta e che va assolutamente visitata prima che venga travolta sia dal turismo di massa che da progetti idroelettrici che faranno impallidire anche la diga sul Fiume Giallo. Arrivo a Vientiane Camminando sul ponte di ferro sopraelevato che collega l'aeroporto di Bangkok alla stazione ferroviaria di Dong Muang,rimaniamo sospesi per qualche minuto sul traffico incessante, nel caldo appiccicoso e nello smog della tentacolare capitale thailandese. Raggiungeremo il Laos via terra, e lo percorreremo da Nord a Sud. Il treno notturno ci porta a Nong Khai, dove attraversiamo il Ponte dell'Amicizia,il più importante punto di accesso via terra per Laos il Laos. Lo imbocchiamo dopo le solite ( e interminabili) formalità doganali e giungiamo a Vientiane,la “fortezza della Luna” (“Vieng Chian”) dove secondo la tradizione khmer regnavano i Re “Naga”. L'attuale Capitale del Laos sopravvisse fino al 1827, anno in cui venne messa a ferro e a fuoco dalle truppe siamesi.Abbandonata all'oblio per decenni, fino a diventare un povero porto di pescatori, venne riscoperta dai francesi solo nel 1860, e alla fine del XIX° secolo tornerà a rappresentare la nuova Capitale coloniale con ville fin-de-siecle e ampli boulevard. Solo pochi edifici di Vientiane hanno mantenuto la loro struttura originaria.Anche le invasioni siam hanno lasciato il loro segno. Il Wat Si Sakhet risale al 1818. Nel suo “sim” (che rappresenta in tutti i templi laotiani il sacrario e la sala delle ordinazioni sacerdotali) si trovano centinaia di nicchie contenenti migliaia di statua del Buddha. Le statue più grandi presentano il “mudra” del “bhumisparsha”, o mudra della Terra,che ricorda il momento in cui il Buddha Gautama chiamò la Terra a testimonianza dei suoi meriti, altre statue rappresentano il “mudra” del Buddha che invoca la pioggia (presenti solo in Laos).Si tratta di 6840 statue collocate nelle nicchie delle gallerie, molte delle quali sono state lesionate, capitozzate o comunque offese dagli invasori siam.Altre 2052 statue sono custodite nel “sim”. Di fronte al Wat Si Sakhet è collocato il Wat Pra Kheo , famoso perchè fu costruito nel 1565 per ospitare il Buddha di giada,in seguito trafugato dagli invasori thai nel 1778 ed ora collocato nel complesso del Wat Phra Keo di Bangkok. Il tempio, usato come sala di preghiera reale, è uno dei massimi esempi dell'arte laotiana degli intagli. All'interno dell'edificio si possono inoltre ammirare diverse statue del Buddha di origine kmher e un bellissimo buddha thai proveniente da Muang Sing, nel Triangolo d'Oro. Completiamo la visita col That Luang,l'emblema di Vientiane e il simbolo dell'indipendenza del Paese. L'iconografia è simile a quella del Borobudur indonesiano, e da lontano sembra di vedere dei missili dorati sulla rampa di lancio! Van Vieng Dopo quasi 4 ore di pulmino, a circa 140 km. a nord di Vientiane, in un piacevolissimo paesaggio verde intenso di risaie e montagne calcaree, arriviamo a Van Vieng, adagiata in un'ansa del fiume Nang Song. Lo scenario è di rara bellezza,molto simile al Guilin cinese,con montagne a picco sul fiume.La cittadina,famosa per le sue bellissime grotte (che la mitologia considera abitate dai “Phi”, gli spiriti soprannaturali), è purtroppo anche frequentata dal turismo fricchettone di occidentali pallidi e slavati che, con tutta questa meraviglia,non sanno far altro che fumare oppio nei vari ritrovi clandestini e rimbecillirsi davanti ai televisori dei ristorantini, che sciorinano a tutto volume i programmi - spazzatura dei loro ameni Paesi. Dalle bellissime montagne sopraggiunge con rapide folate di vento un nubifragio impressionante.Alloggiamo in un bel “resort”, immerso in un coloratissimo giardino, sulle rive del Nang Song, e seduto sotto una tettoia mi godo la frescura della pioggia dopo tanto caldo.Ripenso al “Siddharta”di Hesse.Senza più la misura del tempo,il futuro e il passato sembrano entrambe presenti in questo magnifico luogo. Nella pace e nel verde godo dello scorrere incessante e melmoso del fiume,rivedo sprazzi della mia infanzia e del mio (plausibile) futuro di viaggiatore “straciuncolo”, nella pace assoluta e nel verde. Ora spiove, le farfalle multicolore danzano tra i fiori e ringrazio ancora la Buona Sorte per avermi condotto in quest'oasi di tranquillità (e pensare che proprio ora, in questo preciso istante, migliaia di infelici stanno combattendo nel rumore e nel caos per conquistarsi una fetta di “vacanza” su spiagge stracolme...). 35 02-59 Articoli Laos 20-05-2007 12:17 Pagina 36 AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO Vorrei davvero che il mondo si fermasse,e che questo luogo sopravvivesse agli assalti della “modernità”. Che gli uccelli tropicali che popolano le rive del fiume continuassero,anche per le future generazioni,a interrompere coi loro striduli richiami il silenzio della foresta.A soli 7 chilometri da qui incombe infatti la mostruosa cementeria cinese, che sbuffa incessantemente i suoi fumi e con la sua sinistra presenza non promette nulla di buono. Dopo aver pasteggiato con parmigiano reggiano (gradito anche dal proprietario del “resort”), saliamo su affusolate imbarcazioni a motore (ma non rumorose) e lentamente ci avviciniamo alle grotte di Tham Jang, ai piedi delle quali sgorga una sorgente di acqua cristallina, in cui immergersi sarà una vera goduria, tra i pesci e una vegetazione acquatica di un verde argentino dove scorgiamo granchi e un piccolo luccio in agguato. Ritorniamo alle barche sprofondando nel fango e giocando con le piante sensitive,che al contatto si chiudono ermeticamente. I giocherelloni continueranno l'esperienza fluviale facendo “tubing” con grosse camere d'aria (attenzione alle rapide !). Ripartiamo il giorno seguente.Sul fondo del pulmino,parzialmente sommerso dai bagagli fluttuanti e sempre pericolosamente incombenti, assaporo tra le molli curve le “Partite” di Bach e mi sembra di entrare nel soprannaturale.A sinistra lo scorrere del fiume tra montagne carsiche interamente ricoperte di alberi, a destra rari passanti, qualche bufalo e sparuti villaggi tra boschetti di banani e risaie. La nebbia rende ancor più suggestive le cime delle montagne, e tra i pinnacoli calcarei si notano le cortecce degli alberi monumentali. File di donne, uomini e bambini, ognuno con la sua bella cesta, camminano ordinati sul ciglio della strada per raggiungere i campi sulle primi pendici dei monti.Vivono in modeste capanne palafittate intrecciate con canne di bambù e foglie di banano, e sorridendo vanno incontro alla fatica giornaliera.Alimentate dalle ceneri dei disboscamenti ricrescono rigogliose le felci tra le pannocchie, gli alberelli di papaya e le foglie larghe dei banani. Più in alto svettano alberi enormi nel verde scuro impenetrabile della foresta,dove il fico strangolatore rinnova le sue spire attanaglianti.Ora appare una piccola mandria di bufali completamente infangati e poco lontano un contadino, con un carrettino traballante, trasporta dal semenzario le piantine di riso verde pallide, pronte per essere innestate nei terrazzamenti. Sembra che la mano sicura di un grande pittore impressionista abbia dipinto questo scenario, che si ripete da secoli. E il futuro di questo luogo è anche il suo passato, nel 36 placido fluttuare delle acque del suo fiume. Le sue fantasie sono le acque che stanno a monte, i suoi rimpianti le acque che stanno a valle...Se il caso ha sempre la sua causalità, ora il mio lettore-CD mi offre l'ascolto della Partitura n.5 di Bach,la prediletta da Béla Bartok e più tardi da Glenn Gould, così piena della gioia di vivere...e così difficile da eseguire ! Luang Prabang La città è davvero affascinante. Nell'antichità pare vi dimorassero due eremiti ed era conosciuta con il nome di “Xieng Thong” (Città dei gelsi).Trenta dei sessanta “wat” sono ancora intatti. Le estremità dei loro bordi rialzati (i “chao fa”, o “principi del cielo”) intrappolano gli spiriti maligni. L'eleganza e la leggerezza dei tetti è davvero impressionante. Il Wat Xieng Thong è una delle meraviglie imperdibili. Rifugio di pace dai riflessi dorati, il tempio è rimasto miracolosamente illeso nonostante le aggressioni nemiche. Il complesso prende il nome dell'albero di gelso (Thong) che è stato rappresentato sul retro nel 1957 per festeggiare i 2500 anni della nascita del Buddha. Otto stupende colonne lignee finemente decorate sorreggono l'unica campata. In una cappella di fronte al sim è esposto un carro reale funebre alto 12 metri, con bellissimi “naga”. Sulle pareti esterne si distinguono scene del famoso poema epico “Ramayana”. L'edificio sembra librarsi da un momento all'altro ; il tetto disposto su più livelli scende così in basso da toccare quasi il suolo,e il sim sembra sul punto di spiccare il volo !. Ho acceso un incenso e liberato da una gabbietta di bambù due bellissimi uccellini, dal becco scuro, che sono subito volati sopra un albero di frangipane. E insieme a loro si è liberata anche una parte di me (che in Laos rimane, in attesa del ritorno del Buddha del Futuro...). La giornata si conclude con la visita del That Phu Si. Seduti in cima alla collina, dopo una salutare sudata, godiamo della vista spettacolare su questa placida città sonnacchiosa, adagiata sulle rive del Mekong che fluttua in questo luogo tranquillo e maestoso. Nella leggera brezza serale rinfreschiamo i corpi affaticati dalle scalinate e dall'afa. In lontananza si odono i richiami dei gong dei templi e le flebili voci di una città fuori dal tempo, senza traffico, senza automobili.Se ripenso al caos di Phnom Pehn,di Hanoi o di Saigon mi viene da sorridere.A Vientiane anche le rane si sentono al sicuro, e i girini nuotano nelle pozzanghere dei marciapiedi ! Vientiane è davvero la Capitale di un Popolo che vive nel passato, nei suoi ritmi antichi e distaccati. La serata si conclude con un'altra bella camminata al mercato serale, un poco turistico ma comunque interessante anche perché vendono le loro merci diverse donne della minoranza Hmong. Il mattino seguente, di buon ora (sveglia alle ore 5.00 !), ci buttiamo giù dal letto e mezzi morti di sonno ci incamminiamo per assistere alla cerimonia del “tak bat”. Si tratta del percorso che giornalmente i monaci fanno. Escono dai loro monasteri di buona mattina e raccolgono le offerte alimentari della popolazione.E' solo uno dei 227 precetti che i monaci laotiani, che aderiscono all'ordine “theravada”, devono rispettare. La veste dei monaci è arancione come quella degli ordini birmani. Molti sono i novizi (“samanera”) che, un po' annoiati, osservano lo scatenarsi dei flash dei turisti. Come snaturare una cerimonia antica, ma si sa, il turista pretende di ingabbiare tutta la realtà in una scatola e di possederla. Mentre questi monaci non possiedono nulla al di fuori della loro ciotola,della grezza veste monacale,di un rasoio e di poco altro…Le regole dell'ordine,definite “patimokkha”,rappresentano il più rigoroso codice di osservanza quotidiana che si possa trovare in qualsiasi religione tuttora praticata. Le regole sono così severe, quelle specialmente alimentari, che mettono a dura prova gli organismi dei monaci occidentali, che perdono a volte la salute per osservarle. Il Wat Mai, residenza della suprema autorità buddista del Laos, venne realizzato a partire dal 1796 ed è un gioiello col suo tetto a cinque falde che spicca fra i tetti di Luang Prabang. La facciata rappresenta un imponente bassorilievo dorato con scene tratte dalla vita quotidiana laotiana. Anch'esso è stato risparmiato dalla furia devastatrice dei siam in quanto in esso veniva esposto il “Prabang”, il Buddha ora custodito gelosamente in una sala del Museo.Tale preziosa statua del Buddha risale al 1° secolo dopo Cristo e proviene dallo Sri Lanka, Patria del Buddismo Theravada, e venne donato e trasferito in Laos dal Re khmer Fa Ngum. La città cambiò il suo nome proprio per onorare tale statua. Nelle sale del Museo si trovano altre notevoli statue buddhiste;in particolare,c'è un bellissimo capo di chiara influenza “gandara” proveniente da Mathura (India) e che risale anch'esso al 1° secolo dopo Cristo.Bellissimi anche i tamburi di bronzo vecchi di mille anni, contenenti al centro un sole e sui bordi coppie di rane che rappresentano la stagione monsonica. Molti i buddha di cristallo di rocca.Tra gli altri oggetti del Museo, che ospita le vestigia del Palazzo Reale, ci sono anche delle bellissime maschere tratte dal “Ramayana “ e alcune ceramiche dello stile di Chiang May. Verso il Nord Inizia la tappa di trasferimento verso il Nord del Laos sotto la pioggia monsonica. Piove copiosamente da ore e l'aria è fresca e gradevole. Evidentemente il “mudra” delle migliaia di statue del Buddha che invoca la pioggia (“mudra” che è presente solo in Laos) hanno prodotto il loro effetto !. Il tratto di strada tra Luang Prabang e Luang Nam Tha richiede almeno otto ore di viaggio.Dopo Udomxai la strada presenta tratti di sterrato e buche,costringendo il pulmino a defatiganti “stop and go” che rallentano notevolmente il viaggio. Foresta, foresta e ancora foresta, e qua e là qualche povero villaggio. Ad Udomxai la CIA stabili il suo quartier generale per contrastare le truppe Vietcong, sobillando la minoranza Hmong (che, per questo “collaborazionismo”,verrà per anni perseguitata dal regime vietnamita). Ci avviciniamo sempre più al confine cinese, e la pioggia continua incessante.Sapremo solo in seguito che sulla Cina meridionale stazionava da tempo un tifone.Lungo i fossi accanto alla strada si intravedono trappole e ceste per catturare rane, granchi e gamberi. Gli uomini raccolgono grossi germogli di bambù, e qualcuno sbuca dalla foresta 02-59 Articoli 20-05-2007 12:17 Pagina 37 AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO con funghi color nocciola.Lungo il cammino vediamo donne e bambine che azionano una macina rudimentale,azionata con un palo di legno. Qualche bambino sta appollaiato, completamente nudo, sotto la sua capanna, nel fango tra galline ruspanti e il grufolare dei maiali. Continua a piovere ossessivamente e la strada è sempre più problematica.A Luang Nam Tha manca l'elettricità e si prospetta una notte davvero romantica. Con le pile frontali sfratteremo da un'improvvisata guest house almeno una decina di grossi placidi scarafaggi. Non volano nemmeno gli aerei. Luang Nam Tha è allagata. L'acqua entra nelle case e i villaggi delle minoranze etniche posti sulla destra orografica del fiume Nam Tha sono sommersi. Qualcuno, nonostante l'emergenza, approfitta per pescare tra le case con delle piccole reti !. Non è più possibile proseguire verso Muang Sing, anche il ponte sul Nam Tha nei pressi di Ban Finho non è transitabile ;l'acqua l'ha completamente sommerso ed è un vero azzardo solo pensare di attraversarlo. Prendiamo atto dell'emergenza, e che non potremo recarci a Muang Sing. Ci sono frane, smottamenti ed allagamenti ovunque. La strada, prima di Luang Nam Tha, nei presso di un'ampia curva, sta letteralmente scivolando a valle...C'è solo un collegamento precario di barche, ma anche se riuscissimo a raggiungere Muang Sing rischieremo di...restarci per molti giorni ! E' comunque davvero immorale pensare di fare “turismo”, di passeggiare nei villaggi con una calamità naturale di tal genere.Anche volendo accanirsi nell'immoralità più becera, fare “trekking” col fango fino alla cintola non è sicuramente il massimo...con le sanguisughe sempre in agguato. Che amarezza. Rinunciamo a Muang Sing, al suo imperdibile (sic !) mercato multietnico (fortuna che ho già visto nel Vietnam del Nord quelli di Sapa e Con Cau...). Ripartiamo per Nong Khiaw, ci aspettano altre dieci ore di pulmino sotto il sole (è questa è una vera beffa) e con un caldo che comincia a diventare asfissiante. Raggiungiamo la città poco prima dell'imbrunire.Alloggiamo in una casa di puro cemento sulle rive del fiume Nam Ou.Tra i ragni del bagno ci facciamo una bella doccia e sotto l'acqua fredda pregustiamo lo spettacolo che ci riserverà il giorno seguente. Un controllo alla rete della zanzariera, e come teneri piselli nel loro bacello ci infiliamo nei nostri candidi sacchi lenzuolo e cominciamo a ronfare... La discesa sul fiume Nam Ou e le grotte di Pak Ou La mattina seguente affittiamo una barca coperta e affrontiamo la discesa del fiume Nam Ou, un affluente del Mekong, in uno scenario spettacolare. Dalle remote regioni settentrionali del Laos,il fiume scorre tra giungle selvagge e pareti a strapiombo fino alla magica Luang Prabang. Scenderlo o risalirlo, via fiume o via terra, è una del- le avventure migliori che si possano avere in Laos. Pinnacoli di montagne calcaree, completamente ricoperte di vegetazione,si avvicendano e incombono.Il fiume serpeggia tra massi enormi.Anse d'acqua limacciosa e impetuosa disegnano dolcissime linee,sinuose.Stretti sulle nostre panche, quasi intimoriti da tanta grandiosità, avanziamo sentendo solo il rombo del motore e le nostre grida d'eccitazione.Che esperienza emozionante ! Avanziamo a zig zag evitando grossi tronchi, massi e mulinelli d'acqua davvero poco invitanti, fendendo le increspature dell'acqua...Un sottile brivido attraversa le nostre schiene, stiamo attraversando il cuore di uno dei Paesi meno conosciuti dell'Asia sudorientale, una terra di frontiera che fino a pochi anni fa era bandita ai turisti occidentali !. Sobbalziamo a tratti sulla superficie del fiume, che in questi giorni raggiunge la sua massima portata, e lo spettacolo è unico :montagne ricoperte di vegetazione e di palme, alcune barchette di legno a remi (chiamate “heua ha pa”) che pescano granchi e gamberi vicino alla riva, tra le fronde degli alberi sommerse dalle acque, villaggi dalle cui sponde i bambini salutano fragorosamente (e fragorosamente vengono da noi ricambiati) e, ridendo a crepapelle, si lanciano in acqua sugli scivoli fangosi delle rive.Nella luce splendente di una giornata memorabile, alcune piccole folle di donne locali si insaponano nelle acque limacciose, con i sarong pudicamente succinti intorno al corpo. Questa regione isolata di foreste inaccessibili ospita ancora elefanti, tigri e una rara specie di leopardo (Leo nebulosa), e qui nel massimo isolamento vive il popolo dei “Lao Loum”, o Lao dei bassipiani, un popolo gentile che giunse dalla Cina meridionale durante il VI° e VIII° secolo. Dopo circa tre ore di navigazione, prima del confluire del Nam Ou nel Mekong,appaiono nella roccia due grandi fenditure, che preannunciano un'altra meraviglia del nostro viaggio. Si tratta delle mitiche grotte di Pak Ou, scoperte solo nel XVI° secolo e sopravvissute alle ruberie dei trafficanti di opere d'arte. Come le grotte di Pindaya in Birmania, le grotte di Pak Ou (“Tam Ting”), dapprima utilizzate nell'8° secolo D.C. dalle popolazioni animiste che, muovendosi dal sud della Cina, veneravano lo Spirito del Fiume collocandovi le statue dei “Phi”, vennero utilizzate a partire dal 16° secolo D.C. dai fedeli buddhisti che, utilizzando le preesistenti usanze animiste, iniziarono a collocare nelle grotte di Pak Ou moltissime statue del Buddha, specie nel “mudra” che invoca la pioggia. Molte statue sono stati trafugate, ragion per cui ancora oggi è vietato esportare dal Laos qualsiasi statua del Buddha. Solo trent'anni fa le grotte restavano sotto il tiro dei mortai del Pathet Lao, e lo stesso Tiziano Terzani racconta in “Un indovino mi disse” le sue vicissitudini per visitarle. WAT PHU: il miracolo dell'unione Uomo - Natura Dirigendoci verso sud, arriviamo a Pakse in piena notte, sotto un diluvio universale.Trovare un posto per dormi- Laos re è un vero incubo.Da queste parti non c'è mai quasi nessuno, ma stanotte la cittadina è letteralmente impazzita per un evento, l'”Asian Rally”, che ha riempito ogni albergo, ogni guest house.Alla fine troviamo una sistemazione decorosa e,senza cena,ci addormentiamo dopo due giorni di trasferimento. Il mattino seguente inizia a diluviare. Prendiamo un pulmino per arrivare a Wat Phu: traghettiamo su una chiatta antidiluviana sul Mekong,il tempo fortunatamente migliora (evidentemente il nostro “karma” non è così negativo,o molto più semplicemente dopo tanta pioggia, come insegna la legge di Bertoldo, prima o poi deve anche tornare il sereno…) e si comincia a intravedere la montagna del Lingaparvada. Il Mekong in questo punto impressiona per la sua larghezza ma si presenta placidamente, con bellissime isole galleggianti vegetali rappresentate dai fiori di loto. Wat Phu è il tempio della Montagna. Come si legge nei documenti dell'UNESCO, che hanno dichiarato il tempio Patrimonio dell'Umanità nel 2001, il territorio di Champasak rappresenta l'unico “paesaggio culturale” del sudest asiatico che è stato preservato quasi integralmente e che non subito i danni dell'inurbamento selvaggio.Questo permette ancora oggi di osservare come i khmer progettassero il loro territorio per coniugare esigenze pratiche e spirituali. La particolare topografia dell'area permette chiaramente di cogliere il simbolismo delle costruzioni khmer. Per il suo lineare “lay out”,Wat Phu è paragonabile al Preah Vihar sul confine thai-cambogiano, e rappresenta un raro esempio di pianificazione di tempio sulla collina nel contesto culturale khmer. In termini di importanza storico - monumentale Wat Phu è paragonabile a due altri grandi siti realizzati sempre alla metà del Primo Millennio D.C. e sviluppatisi durante la fase pre - angkoriana (e precisamente Phom Dan, vicino ad Angkor Borei, nel delta del Mekong, e Sambor Prei Kuk). Le sculture di pietra rappresentano il ricco “pantheon” delle divinità induiste, e la relativa iconografia (kala, makara ecc.). La prima fonte storica che parla di Wat Phu è rappresentata dagli Annali della dinastia cinese SUI, che risalgono al 569 D.C..Il sito fu descritto per la prima volta da Francis Guarner, che soggiornò nel Champasak nel 1866. La città fu la capitale di un Regno i cui testi ed iscrizioni si collegano rispettivamente coi regni Chenla e Champa, e fu la prima struttura realizzata in stretta connessione con la montagna - linga. La montagna riveste particolare importanza a causa della sua protuberanza, che appunto ricorda la forma del linga, e veniva considerata la casa di Shiva, mentre il fiume Mekong rappresentava gli oceani o il Fiume Gange. L'acqua che irrorava il linga sgorgava direttamente dalla montagna. Intorno al 10° secolo D.C. la città divenne parte dell'impero khmer, sotto il regno di Yasho- Wat Phu 37 02-59 Articoli Laos 20-05-2007 12:18 Pagina 38 AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO Le grotte di Pak Ou varman I. Successivamente, i monumenti originali ( di origine pre - angkoriana ) vennero replicati e riutilizzati. Il complesso templare, nelle forme oggi visibili, fu realizzato in massima parte durante i periodi Koh Ker e Baphuon. Altri minori cambiamenti vennero effettuati duranti i due secoli successivi a seguito della conversione dell'impero khmer al buddhismo theravada. Wat Phu non ha sicuramente la ricchezza scultorea e la spettacolarità di Angkor Wat, ma è un luogo di una suggestione unica. La sua “aura” non è intaccata, il flusso turistico è ancora molto contenuto. E' uno dei luoghi, come Angkor Wat, in cui ci si sente davvero orgogliosi di appartenere al Genere Umano. Dall'alto del santuario la vista sul “baray” è davvero spettacolare, e dà tutto i senso dell'intima comunione tra Uomo e Natura.Molto deve ancora essere fatto per preservare questi luoghi.Alcuni edifici, specie i “Padiglioni della Venerazione”, hanno bisogno di urgenti interventi di consolidamento e, prima ancora, necessitano di rilievi puntuali. Anche il Santuario appare gravemente lesionato e rischia il collasso. La nostra Fondazione Lerici, fondata presso il Politecnico di Milano, e che rappresenta la prima Istituzione in Italia ad introdurre metodici diagnostici non invasivi per la localizzazione e il riconoscimento di strutture archeologiche sepolte,è già intervenuta efficacemente a Wat Phu ed ha in programma altri importanti interventi.. Molto resta da fare sul territorio del Champasak per la riscoperta e la valorizzazione di diversi siti pre-angkoriani e angkoriani.Vogliamo solo ricordare il tempio di Um Muang (risalente al IX secolo D.C.), che in piccolo rappresenta un “Ta Prohm” immerso tra maestosi dipterocarpini alti oltre 50 metri ! Quest'ultimo tempio, sommerso nella foresta, presenta mura ricoperte di felci e di licheni, e sul terreno alcune trabeazioni con pregevoli motivi floreali. Si Phan Don La zona (il nome significa “Quattromila Isole”) posta ai confini con la Cambogia rappresenta un vero e proprio Paradiso tropicale, dove vivono comunità autosufficienti che coltivano tutto il riso, la canna da zucchero, la verdura e le noci di cocco di cui hanno bisogno. In questo Paradiso, disegnato dai capricci del Mekong (che, a seconda della sua portata, rilascia e si riprende la terra che vuole), vivono gli ultimi esemplari del delfino dell'Irrawady (Orcaella brevirostris),un magnifico cetaceo grigio-blu che vive in piccoli branchi fin dall'era olocenica e che l'uomo sta facendo di tutto per eliminare. La pesca a strascico, con i tremagli di nylon e (orrore) la pesca con l'esplosivo praticata specie in Cambogia stanno minacciando di estinzione questo bellissimo delfino, sacro già fin nell'epoca khmer (che lo considerava la reincarnazione di essere umani). Il Si Phan Don è davvero un'area di eccezionale interesse naturalistico.Al sonnacchioso arcipelago si susseguono le rapide, impetuose e impressionanti, di Tat Somphamit e Khon Papheng. Su queste ultime, fino a pochi anni fa, su 38 QUESTO È IL MIO AUGURIO E IL MIO DESIDERIO PER GLI ANNI A VENIRE Che il Buddha Compassionevole protegga il Laos dagli assalti della modernità. Che lo Spirito del Fiume continui ad abitare le grotte, le rapide e le cascate. Che il calendario continui a girare in senso contrario. Che il “tak bat” dei monaci ripercorra ogni mattina le strade di Luang Prabang. Che i sim dai tetti spioventi possano finalmente spiccare il volo e librasi nei cieli tersi. Che il Mekong sommerga definitivamente l'orizzonte e,disobbedendo alla forza di gravità, risalga dai suoi delta. Che ogni giorno si ripeta il Miracolo dei Mille Buddha del Wat Si Sakhet. Che i bambini continuino a sorridere e a sorridere,lanciandosi nei fiumi dagli scivoli di fango delle rive. Che si aprano spiragli nel folto della foresta e qualche raggio di sole penetri sulle rovine dei templi pre-angkoriani ancora da scorpire. Che l'alleanza tra Uomo e Montagna stretta a Wat Phu si rinnovi,immortale e immutabile. Che la forza del lao - lao, distillato dal raccolto delle mille risaie, sostenga l'allegria degli Uomini umili. Che Ognuno di noi, attraversando oggi e domani il Laos, si senta ancora orgoglioso di appartenere al Genere Umano. traballanti ponteggi di bambù alcuni intrepidi pescatori sfidavano la morte (si diceva che avessero stretto un patto con lo Spirito delle Cascate). Cos'è la semplicità ? Prendere una bicicletta e girovagare sull'isola di Don Khonh, la più grande dell'arcipelago di Si Phan Don, immersi nella pace delle risaie, col sole basso all'orizzonte, tra nuvole che placidamente pascolano nel cielo. Le bufale si godono il fresco immerse fino alle narici nelle pozze fangose ai bordi delle strade, alcuni bambini posizionano le trappole per le rane nei canali,e i piccoli granchi camminano avanti e indietro sulla superficie del manto stradale. Piccoli cani qua e là si radunano incuranti, altri bambini sui cigli salutano sorridendo e tutto appare come deve essere,semplice,spontaneo, autentico. Una semplice pedalata di pochi chilometri,oltre a farci smaltire la ruggine delle centinaia di chilometri in pulmino, ci permette di penetrare questo bellissimo territorio, di cogliere il respiro del riso e all'im- brunire il fragoroso richiamo di centinaia di rane gracidanti, e il librarsi di centinaia di libellule sul pelo dell'acqua, nel saltellare dei piccoli pesci. In una poesia di Trilussa, che per volontà del Poeta, è stata incisa sulla sua tomba, si legge :“C'è un'Ape che se posa / su un bottone di rosa :/ lo succhia e se ne va.../ Tutto sommato la felicità / è una piccola cosa”. Questo è l'insegnamento del Laos, continuare nel suo semplice, antico, distaccato ritmo di vita. Il calendario parla del Ventunesimo secolo, e il Paese prosegue camminando a ritroso, come i gamberi del Mekong. Mettersi “fuori dal tempo” ci riporta all'infanzia del Genere Umano, ci inorgoglisce e regala le tenere fantasie di un mondo irrimediabilmente perduto. Bolaven Arriviamo, alla fine del nostro viaggio, sull'altipiano di Bolaven, uno dei luoghi più bombardati dagli americani durante la guerra del Vietnam, in quanto nei suoi pressi passava il famoso Sentiero Ho Chi Min. Dal Ted Fan Resort, nella pioggia incessante e nella nebbia (siamo a metà Agosto !),ci sforziamo di immaginare le due fantastiche cascate alte 120 metri che, fragorose, sono proprio davanti a noi, potenti e selvagge, ma che sono nascoste in una densa nube di vapore. Prima dell'imbrunire, la nostra perseveranza (un'ora di attesa con gli occhi sbarrati) viene premiata. Grazie ad un inatteso vento da sud vediamo i due spettacolari salti d'acqua e raggiungiamo l'illuminazione ! Chiudiamo la nostra avventura laotiana scendendo dal fertile altopiano di Bolaven, e raggiungiamo frettolosamente la frontiera thailandese nei pressi di Chong Mek, col caleidoscopio delle immagini di un Paese straordinario, selvaggio e allo stesso tempo accogliente, uno degli ultimi santuari asiatici della biodiversità e della multietnicità. Ripercorriamo inconsciamente il nostro “progressus ad originem” transitando sulle moderne superstrade thailandesi verso l'aeroporto di Ubon Ratchathani. La nostra avventura è terminata, ma continuerà ad alimentare la nostra sete di semplicità e autenticità. P.s.: un particolare ringraziamento ad Annalisa Bestetti,che ha saputo risolvere egregiamente tutte le problematiche “logistiche”. Alla Cambusiera / Dottora.che ci ha allietato coi suoi intrugli. A Telly che, abbarbicata in prima linea sul pulmino, ci ha fatto vivere momenti di esilarante comicità. A Mario, Stambecco in trasferta,sempre pronto per un Si Phan giro di Bier Lao.A Marcello, il nostro irDon ripetibile Guru, che non è riuscito a comprarsi la Casetta degli Spiriti. A tutti gli Amici “straciuncoli” con cui ho condiviso questo irripetibile Viaggio, e che hanno avuto la pazienza di sopportare il mio logorroico affabulare…