II PARTE - Unitre Varedo

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DIARI DI VIAGGIO
II PARTE
dispensa relativa agli incontri del 2010 – 2011 – 2012
Il “viaggio” nell’immaginario collettivo è uno spostamento verso paesi
lontani, magari esotici o avventurosi.
Noi, attraverso gli incontri di Diari di Viaggio abbiamo visitato alcuni di questi
paesi, lasciandoci affascinare dalla “diversità” o più semplicemente dalla
“bellezza” in tutte le sue forme.
Ecco quindi raccolti sotto il nome di “viaggi oltremare” i paesi presentati
negli anni 2010, 2011, 2012.
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in America, gli Stati Uniti, visitando il favoloso “Far West”,
in Asia, la Thailandia
in Asia, il Laos
In Africa, l’Etiopia
in Africa, il Madagascar.
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1 - IL VIAGGIO NEL SUD-OVEST AMERICANO
Questo viaggio è una limitata immersione in quella parte di territorio che venne
chiamato “Far West”, patria di indiani, bisonti, carovane, cow-boys. Oggi vi
ritroviamo territori parzialmente modernizzati che conservano panorami
spettacolari, una natura eccezionale ed enormi città, quasi come contro altare.
Sono questi due aspetti, le città dell’Ovest e gli immensi panorami, che
incontriamo in questo viaggio, attraversando alcuni stati del sud-ovest:
Calfornia, Arizona, Utah, Nevada., nomi altisonanti nella “leggenda del West” e
dove si trovano città mitiche, sebbene per altre caratteristiche: Los Angeles,
Las Vegas, San Francisco.
Il primo approccio col suolo americano avviene con l’arrivo in California e,
segnatamente, con lo sbarco nella città di Los Angeles, che merita una sosta.
• California
E' uno degli stati più grandi degli USA ed è chiamato il “Golden State”, lo
stato dorato, lo stato d'oro, in ricordo del periodo della scoperta delle
miniere d'oro, per cui esplose la “corsa all'oro” che, intorno alla metà del
XIX secolo, ha attirato in California persone di tutte le specie: dalle famiglie
in cerca di una terra in cui vivere e prosperare, a quelli che speravano in
una fortuna immediata, a quelli disposti a rompersi la schiena scavando e
filtrando terra su terra, agli avventurieri a cui tutto andava bene pur di far
soldi. Così la California si è popolata. Ma forse nel “nickname”, il
soprannome della California, si riflettono le ampie distese di pianori e
colline che, nel corso dell'anno assumono un caldo colore dorato.
A proposito delle miniere d'oro si pensa che quello scavato con i semplici
mezzi a disposizione in quel tempo, sia una minima parte di quello
presente nel sottosuolo, almeno secondo le stime e le proiezioni dei
geologi. Comunque sia, i tempi della libera ricerca e di liberi scavi sono
terminati.
Ora l'oro della California è più simile a quello prodotto da Hollywood o dalla
Silicon Valley (anche se quest'ultima è in declino a favore dell'India di
Bangalore).
Le città del West
LOS ANGELES, fin dove si può esagerare?
E’ la seconda città degli Stati Uniti, che si è sviluppata in orizzontale, e
segnatamente in lunghezza, perché il territorio sismico non consente di
costruire grattacieli e le colline la limitano ad est; perciò la città è larga
circa 60 chilometri e lunga circa150 km.
Una curiosità: il nome completo della città è El pueblo de la Iglesia de
Nuestra Senora la Reina de Los Angeles de Porciuncola, ma è
universalmente conosciuta come Los Angeles.
L’insediamento originario avviene nel settembre 1781, da parte di coloni
messicani, sulle sponde del fiume. Nel 1847 la California passa agli Stati
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Uniti e il 4 aprile 1850, l’insediamento assume lo stato di città. Cinque
mesi dopo la California diventa il 30° stato dell’Unione.
Dalla scoperta del petrolio nel 1892, la città ebbe un enorme incremento.
A Los Angeles tutto è esagerato, almeno nella Los Angeles in cui portano i
turisti. Perché dico questo? Perché secondo il modo di vita e il metro di giudizio
a cui siamo abituati, questa città ha degli aspetti incredibilmente oltre i nostri
limiti.
Secondo il racconto della guida una estensione così enorme è
incontrollabile, quindi ci sono alcune zone o interi quartieri, che vivono di vita
propria e che sono inaccessibili agli estranei; alcuni sono degradati, altri sono
sovraffollati, altri sono violenti, altri semplicemente sono insofferenti al resto
della città, quindi … qui non si entra e non solo i normali cittadini, ma anche la
polizia.
Ecco perché la visita di Los Angeles si limita ad alcune zone,.per cui, quando si
parla di Los Angeles (e quando la si visita) si nominano Beverly Hills,
Hollywood e, sulla costa, Santa Monica, Malibù; questi sono lo specchio della
città “bene”, affollata di turisti, visitatori, uomini d'affari, politici. Delle altre zone
non conosciamo nulla, neanche il nome.
Beverly Hills. Cominciamo dal luogo ove siamo alloggiati. Dopo quello che
abbiamo saputo sui quartieri della città siamo sistemati ovviamente nel
quartiere bene per eccellenza. Non vorrete che ci facciamo una cattiva
impressione della città? Quindi il nostro hotel è il Beverly Hilton Hotel, che detto
così lascia abbastanza indifferenti. Poi scopriamo, dal racconto della guida, che
qui, la settimana precedente alla nostra, ha alloggiato Barak Obama e famiglia,
perché lo standard dell'hotel è appropriato a un presidente degli USA.
Figuratevi i poveri clienti a cui venne impedito l'accesso alle camere, l'uso degli
ascensori e di alcuni spazi dell'albergo durante i movimenti di cotanta famiglia.
Beverly Hills è una lussuosa municipalità di Los Angeles con lussuose ville,
lussuose costruzioni adibite al terziario, lussuosi giardini ben tenuti e strade
percorse da lussuose auto, tra cui incede pomposamente una grande quantità
di lussuose limousine. Qui è possibile ammirare una moltitudine di abitazioni in
perfetto stile californiano, le quali dimostrano l'esclusività della vita e del luogo
in cui si trovano, nonché il tenore della stessa certamente al di sopra della
media americana. Beverly Hills è il luogo di residenza di molte star di
Hollywood
Il cuore della municipalità è Rodeo Drive. Questa strada deve il suo nome al
fatto che agli inizi degli anni 50 era principalmente un sentiero dedicato al
passaggio dei cavalli. Negli anni settanta divenne un quartiere commerciale fino
a diventare, oggi, una delle zone più care al mondo. Questa strada, ma definirla
strada è riduttivo, questo simbolo del lusso e del buon gusto è stato glorificato
in numerosissimi film, cosicché è diventato l'oggetto del desiderio popolare,
almeno come passeggiata, per poter dire: io l'ho visto, io ci sono stato. Rodeo
Drive è effettivamente una magnifica strada, deliziosa nella sua protetta
tranquillità, pulita, ordinata, con splendide costruzioni che la delimitano, con
rigogliose palme, cespugli in fiore e curatissime aiuole. Sulla strada si affaccia il
meglio del lusso mondiale: pensate ai grandi nomi, alle grandi firme
dell'abbigliamento, della pelletteria, degli orologi e dei gioielli, qui ci sono tutti, in
scintillanti negozi che si aprono in eleganti palazzetti a loro dedicati; non c'è
l'affollamento del centro commerciale, ma c'è la silenziosa intimità di uno spazio
riservato, quieto, protetto, che garantisce serenità durante la scelta di un
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prodotto di alta qualità. Tutto è studiato per uno shopping di alto livello. Le
costruzioni che costeggiano lo strada sono rigorosamente a un piano, in modo
da rendere uniformemente gradevole la prospettiva, sono case e palazzetti
scintillanti che trasudano eleganza e ricchezza, con colonne, vetrine
elegantemente acconciate, ingressi suntuosi, centri di shopping di altissimo
livello; nella strada non ci sono abitazioni e, curiosamente neppure banche
(l'ostentazione del denaro è volgare), ma una fila ininterrotta di boutiques e
atelier. A noi non resta che osservare dall'esterno.
Una curiosità: qui, nel centro di Beverly Hills termina la più famosa strada di
tutti gli Stati Uniti, la mitica Historical Route 66, la strada che attraversa tutti gli
States da est a ovest e che negli anni della beat generation ha incarnato il
sogno della libertà on the road, la strada come luogo di vita libera.
Hollywood Boulevard. Questo è il secondo luogo immagine della città e,
come dice il nome, è il simbolo dello spettacolo e del cinema. Una lunga ed
ampia strada da cui si sale sulla collina su cui, tra gli alti alberi e la curata
vegetazione che le nascondono alla vista, ci sono le ville di molte stars del
cinema, fa entrare nel mondo dello spettacolo.
Su questa via ci sono i grandi teatri di Hollywood. Cominciamo dal Graumont
Chinese Theatre, una curiosa costruzione di stile vagamente cinese Ma il
teatro deve la sua notorietà alla piazza antistante ove sono impresse nel
cemento le impronte dei piedi e delle mani della grandi stelle cinematografiche
di tutti i tempi. Qui c'è un imperdibile pellegrinaggio, imperdibile per i fans che
qui, naso per terra, cercano le amate impronte del proprio attore/attrice
preferito/a. Così capita che, guardando solo il cemento, ci si scontri, ma senza
imprecazioni, anche questo fa parte del rito. Poco più avanti c'è il Kodak
Theatre, il teatro in cui si svolge ogni febbraio la cerimonia della consegna degli
Oscar, una imponente costruzione classica del '900; qui bisogna immaginare il
famoso “red carpet”, il tappeto rosso, su cui sfilano le celebrità concedendosi
all'ammirazione e alla glorificazione dei fans. Nel teatro non si entra, allora ci si
accontenta dello scalone d'onore. Di fronte a questo teatro, sull'altro lato della
strada, c'è il “the El Capitan Theatre”, una grande costruzione dedicata alla
proiezione di film della Walt Disney, solo ed esclusivamente di questa casa
produttrice.
Ma il meglio è sulla strada. Il boulevard è affollato, un sacco di gente si muove
lentamente scrutando il marciapiede. Siamo arrivati al “Hollywood Walk of
Fame”, “la passeggiata hollywoodiana delle celebrità”. Sui marciapiedi, da
ambo i lati, ci sono tantissime stelle rosa, sono 2400, ciascuna dedicata a un
personaggio dello spettacolo, attori, registi, cantanti, … Qui si celebra il “rito”:
consiste nel passeggiare senza troppi urti con gli altri pedoni, cercando sul
terreno la stella dedicata al personaggio del cuore. Per alcuni sembra essere
ragione di vita. Trovato l'oggetto della ricerca si scatenano i richiami, gli strilli di
gioia, le fotografie. Il massimo è raggiunto quando vediamo un assembramento
che muta continuamente nelle persone che lo compongono, ma non diminuisce
mai di numero. Ci avviciniamo e capiamo tutto: la stella sull'asfalto è dedicata a
Micheal Jackson e una turba di ragazze si spinge per conquistare il posto,
sedute o sdraiate sul marciapiede in posa di abbraccio alla stella, si fanno
fotografare a turno, tra gridolini ed esclamazioni di gioia. Questa sì che è
passione da fan che supera la morte.
Di fianco al Kodak Theatre si apre una piazza che, a noi abituati alle piazze
medioevali o rinascimentali o ai sagrati delle cattedrali, sembra l'insieme di un
incubo: immaginate una piazza circolare lastricata con marmo, con tavolini,
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ombrelloni e palme, edicole per bibite e hot dogs, al centro una fontana a livello
terra che sprizza acqua da numerosi getti; dalla piazza si accede a scintillanti
negozi e alle balconate di un grande centro commerciale; poi … alcuni
bianchissimi “gioielli architettonici danno lustro alla piazza”: ci sono due grandi
bianche colonne panciute con il capitello bombato che sorregge un piedestallo
adornato con sagome di leoni, ciascun piedestallo sorregge un bianco elefante
rampante (questi sono animali che normalmente si trovano nei deserti
americani!); la piazza è chiusa da un arco, bianco ovviamente, che costituisce
un ponte sulla piazza, i piloni dell'arco sono decorati con figure e motivi che
richiamano l'arte della Mesopotamia assiro-babilonese, anche la forma dell'arco
è smussata in stile mesopotamico. In questa piazza gli architetti hanno
raggruppato tutto quello che si può senza una logica, secondo una loro visione
personale che rappresenta il meglio: cibo, shopping, relax, visoni esotiche di
luoghi lontani. Sarà, ma Campo dei Miracoli è tutta un'altra cosa!
Però sulle passerelle interne all'arco si gode la vista più famosa di Los Angeles:
osserviamo una collina terrosa con cespugli che ricoprono le pendici, ma con
una scritta a caratteri cubitali, HOLLYWOOD! il nome che è il sogno di
generazioni di ragazze o ragazzi. Questa immagine è stata talmente riprodotta
da identificare una città, un mondo, un possibile avvenire, quindi … è
imperdibile!.
Siamo sul Sunset Boulevard, il “Viale del Tramonto”, da cui a un certo punto,
è possibile accedere alla collina di Hollywood dove molte stelle del cinema, e
molti ricconi, hanno le loro ville, nascoste da cancelli, mura e alberi. Questo
viale è lungo 39 km, dal centro di Los Angeles fino alla costa del Pacifico, e
attraversa numerosi quartieri e municipalità ormai parte della grande L.A., tra
cui Hollywood, West Hollywood, Beverly Hills, Bel Air. Durante il giorno è
frequentatissimo il tratto chiamato “Guitar Row” (“La fila di chitarre”), nella zona
di Hollywood; questo nome è dovuto al grande numero di negozi per strumenti
musicali e attività legate al mondo della musica. Ma è la parte che va sotto il
nome di “Sunset Strip”, a West Hollywood, che è il centro della vita notturna
della città; è frequentato per i suoi locali notturni dove si può trovare buona
musica di tutti i tipi; ci sono i mostri sacri del jazz, il meglio della musica country
e western, il rock, la disco music e così via. Nel nostro percorso possiamo
vedere come ciascun locale presenta già con la sua architettura il tipo di
musica suonata: così il meglio del jazz si suona in una specie di capannone
cadente (ma l'apparenza inganna); la musica country si trova in un locale che
esibisce selle, mini diligenze e mini carri dei pionieri; il rock è pubblicizzato da
una facciata ricoperta di chitarre, e avanti così. Il boulevard si completa con bar
e ristoranti, con tante aiuole fiorite e con una piccola piazzetta che brilla nei
colori dei tanti fiori che l'adornano e che ovviamente si chiama Sunset square.
Ma Hollywood non sarebbe la mecca del cinema se non ci fossero gli
Studios, cioè quei grandi spazi su cui si costruiscono i set cinematografici.
Quindi è d'obbligo andarne a visitare uno dei più famosi: gli Universal Studios.
Cominciamo da un ingresso scenografico fatto di fontane, di archi e di un
monumento al cinema. Poi si entra in un altro mondo. Questo sito enorme è
situato in una valle, di cui occupa un'abbondante parte. Si paga un biglietto
giornaliero e per tutto questo tempo si vive in un immenso parco di divertimenti,
perché la visita è organizzata in modo che, facendo riferimento a un
determinato film, si gira nell'ambientazione del film o si partecipa ad azioni che
riguardano il film, il tutto condito da effetti speciali, a sorpresa e da spettacoli a
tema. Tutto questo è compreso nel biglietto di ingresso. A seconda di dove ti
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giri, puoi entrare nei mondi del cinema: Shrek, la piazzetta francese,
Waterworld, Jurassic Park, i Blues Brothers, il villaggio western …
Il modo migliore per raccapezzarsi è quello di prendere il trenino che attraversa
gli studios e che, in un'ora e mezza, presenta in modo complessivo il meglio,
lasciando poi agli spettacoli dedicati il dettaglio del singolo film qui realizzato.
Poi, per quanto lunga sia, la giornata non basta, perché ...QUESTA E'
HOLLYWOOD!!!
Che cosa rimane di importante? L'oceano!
Allora ecco Santa Monica, una delle tante municipalità che fanno parte della
grande Los Angeles, è una splendida località che si allunga pigramente sulle
rive dell'oceano Pacifico. La sua immensa spiaggia è diventata il “posto di
mare” più popolare di L. A. E' il posto popolare perché ci sono altre località,
altre spiagge, una per tutte Malibù, ma questi sono quartieri e spiagge esclusivi,
protetti e controllati, non accessibili a tutti, ma riservati ai residenti.
Santa Monica è invece a disposizione di tutti.
L'abitato è elegante, pulito, con grandi viali alberati, palme, aiuole fiorite, il tutto
senza eccessi, e con un azzurro cielo sereno. Ma è la spiaggia che si impone.
Una passerella pedonale protetta, scavalca la via trafficata e ci porta verso la
spiaggia. Questa è molto profonda, con sabbia fine su cui è piacevole
camminare per alcuni minuti, il tempo necessario per attraversarla e giungere
sul bagnasciuga dove l'oceano, oggi, si frange con piccole onde che si
susseguono incessantemente. Sulla spiaggia sono chiaramente visibili le
postazioni dei bagnini, rese famose dalla serie americana “Baywatch”, quella
dei bagnini “fusti” e delle bagnine “formose”. Ora però sono disabitate; non è
stagione. Però, anche senza bagnini, posso raggiungere il bagnasciuga per
farmi lambire i piedi dalle onde.
I parchi nazionali
Da Los Angeles mi muovo verso Phoenix attraverso le propaggini del “deserto
di Sonora “, deserto che si allunga verso sud fino a raggiungere la sua più
ampia estensione nel nord del Messico. Nella fascia californiana il territorio si
presenta desertico grazie agli immensi spazi aperti punteggiati da cespugli
impolverati e dominati da enormi catus: i cactus Saguaro. Immaginate il
panorama. Una grande estensione di terreno desolato, senza apparenti segni
di vita a parte un nero nastro di asfalto che si allunga, dritto come un fuso, fino
a lontane colline violacee che chiudono l'ancor più lontano orizzonte. Il piattume
è interrotto dai cactus saguaro, che spuntano dal terreno, isolati ed enormi, e
che si susseguono irregolarmente, quasi distribuiti a caso da una enorme mano
dispettosa. E' un panorama selvaggio e affascinante.
Per il pernottamento arrivo a Phoenix e sono in Arizona.
• Arizona
E' uno stato del sud-ovest degli USA, che fa parte della storia della
“conquista del West” del XIX secolo. E' uno stato prevalentemente
desertico o semidesertico in cui le città sono “sputi nel deserto” nel senso
che sono agglomerati che, anche quando sono grandi, sono poco più di un
nonnulla nella vastità del territorio, dei meravigliosi deserti dell'Arizona.
Oltre alle città, anzi più imponenti delle città, dal deserto emergono le
rocce, erose dal tempo e dagli agenti atmosferici, isolate o composite a
formare ammassi, forre, profonde valli contornate da bastioni di rocce che
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qui si chiamano “canyons”. Rocce che cambiano colore durante le ore del
giorno; rocce che hanno nomi affascinanti che promettono panorami
mozzafiato, un esempio per tutti il “Grand Canyon”.
Le città hanno nomi che evocano ricordi diversi dell'epopea della conquista
del west, dei cow-boys e dei pellerossa: Phoenix, al limitare del deserto di
Sonora, porta dell'Arizona; Flagstaff, porta verso il Grand Canyon; Tucson,
città di frontiera dove finiva la legge; Yuma, il penitenziario del West.
Tutte queste cose sono l'orgoglio dell'Arizona. Infatti, secondo la
consuetudine americana, nella targa dello stato troneggiano l'immagine del
cactus saguaro e il profilo che ricorda il Grand Canyon a definire
visivamente quelle che sono sentite le caratteristiche dello stato.
I parchi nazionali
GRAND CANYON, LA MAESTOSA GRANDEZZA
Siamo a poco più di 2000 m. di altitudine, sul bordo di una profonda spaccatura
della crosta terrestre di dimensioni incredibili. Fino a 1600 metri di profondità,
446 km di lunghezza, 27 km di larghezza. Questo “taglio” nel Colorado Plateau,
in parte segnato dal fiume Colorado, è lungo quasi 3000 km, ma solo una parte
è il famoso Grand Canyon.
Va da sé che di fronte a simili dimensioni l'essere su un “view point”, un punto
panoramico, è piccola cosa che mi permette di vedere solo uno “scorcio”, ma
impressionante. Sono sulla cima di una grande valle rocciosa di cui non si vede
il fondo. Il lato su cui mi trovo precipita verso il fondo con pareti rocciose
intersecate da cenge di diverse dimensioni e su cui si intravedono tracce di
sentiero. La parete è un susseguirsi di rocce che emergono dal dirupo, che si
slanciano verso l'alto, che formano archi. Un lungo canalone si allunga di fronte
a me fino a sciogliersi nel grande solco centrale come un affluente che sbocca
nel grande fiume.
Di fronte a me, a una distanza che pare enorme, piramidi di roccia precedono
scure fenditure e altissime pareti. Lo spettacolo è impressionante per la vastità
degli spazi occupati dalle rocce, dai solchi, dai pendii. Il sole del pomeriggio
rende vivi i colori rossicci e evidenzia, attraverso il gioco di ombre che va
formandosi col passare del tempo, come il Grand Canyon sia un regno di
forme rocciose impensabile. Lontano, come quinte di un enorme palco, file e
file di piatte montagne si allineano, sfumando i loro colori dal rosso verso il
viola, il blu e un regno di ombre.
• Utah
Il nome dello stato deriva dalla lingua degli indiani e significa “popolo delle
montagne”. Infatti lo Utah è uno stato roccioso che è noto per la grande
varietà del suo paesaggio naturale, dai deserti con dune di sabbia fino ai
4123 m. della cima più alta, nelle Montagne Rocciose. Il “meglio” si trova
nella parte meridionale dello stato dove vento e pioggia hanno scavato le
rocce di arenaria, roccia friabile, per milioni di anni e oggi si possono
ammirare canyon, guglie, archi, pinnacoli, “butte” (le rocce emergenti
tipiche del paesaggio del west), calanchi e mesas. Lo Utah è lo stato dei
mormoni, gli appartenenti alla “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi
Giorni”, che sono il 60% della popolazione.
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I parchi nazionali
MONUMENT VALLEY, LA FANTASIA AL POTERE
Lasciata l’Arizona si entra nello Utah, avendo come prima meta la Monument
Valley!
La strada che conduce alla Moument Valley è famosa quasi quanto la località
stessa: essa segue un percorso rettilineo in leggera discesa che dà al
viaggiatore l'impressione di calarsi all'interno della valle. Percorrendo questa
strada, la highway 167, arriviamo al “Visitor Center”, il punto di accesso al
parco e il primo, impressionante punto panoramico. Da qui lo sguardo si perde
su di un arida distesa polverosa rossiccia in cui emergono rossi picchi scolpiti,
tormentati cumuli di rocce rosse, butte rosse, enormi mesas rosse. In questo
ambiente il rosso è il colore dominante che unito al giallo dei sentieri, alle
macchie marrone del terreno e al luminoso azzurro del cielo, forma una
tavolozza di colori che è contemporaneamente contrastante e ben amalgamata.
In effetti è facile dire “rosso”, ma c'è rosso e rosso e questa costante tonalità di
fondo è di volta in volta intensa, bruciata, smorta, brillante, più tenue, scurita
dalla profonda ombra prodotta dalla guglia, dal pinnacolo, dal canalone; ma
non è finita, sul colore indefinito del terreno, tra il rosso e il bruno spicca la
traccia gialla delle piste in terra battuta che attraversano la valle. A proposito,
questa valle è un'immensa distesa, segnata dai complessi rocciosi, che si
stende a perdita d'occhio fino a quando il rosso del piano si unisce all'azzurro
del cielo.
Questa è la terra della “nazione navajo”, una volta un semplice territorio
desertico e inospitale, ora, grazie alla voglia di vedere ambienti affascinanti e
alla diffusione del turismo, la terra si è trasformata in oro perché il grande
afflusso di visitatori, giustamente regolamentato per preservare l'ambiente,
fornisce al popolo navajo una sicura entrata di denaro. Infatti qui i Navajos sono
padroni perché ufficialmente la zona fa parte della “Navajo Nation Reservation”
ed è un “Tribal Park” con ingresso a pagamento; ovviamente gli introiti vanno ai
Navajos e i camioncini fuoristrada che permettono di entrare e di girare nella
valle sono guidati dai navajos. Sono padroni nella riserva, ma sottoposti alla
legge federale che, dai tempi della “acqua di fuoco” che intontiva e ubriacava gli
indiani, proibisce la vendita e il consumo di alcolici nella riserva. Perciò quando
più tardi, nel corso del nostro giro, ci fermeremo per il pranzo preparato dai
navajos, berremo solamente acqua, coca cola e caffé.
• I Navajos
Sono la tribù più numerosa dei “nativi d'America” e una delle più famose.
Sono protagonisti di tante storie e avventure ambientate nel Far West, la
più nota e seguita è la saga di Tex Willer o “Aquila della Notte”, il capo
bianco dei navajos. Ma al di fuori della fantasia la tribù dei Navajos vive
ancora nella riserva e ci sono luoghi in cui è possibile acquistare
artigianato locale e gli oggetti lavorati dai navajos.
Proseguo per la nostra meta, attraversando foreste di conifere. Poi, ai lati della
strada, si fanno spazio tra gli abeti, grandi roccioni rossi. Ci sono punti
panoramici da cui ammirare l'unione selvaggia dei rossi pinnacoli svettanti che
fanno concorrenza allo slancio delle conifere, con il verde scuro di queste
ultime; tutto sovrastato da un cielo azzurro profondo. Siamo nel Red Canyon. E'
l'introduzione a ciò che vedremo: le pietre che si tramutano in sogno.
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I parchi nazionali
BRYCE CANYON, I MERLETTI DI ROCCIA
E’ questo un luogo assolutamente fantastico, inimmaginabile prima di vederlo.
Di fronte a me, che sono sul primo dei diversi punti panoramici che incontrerò
nel mio cammino nel Bryce Canyon, a 2500m. circa di altezza, c'è un anfiteatro
rosso che si apre su una valle: è un cerchio di guglie color fiamma punteggiato
da guglie più minute bianchissime; un momento, sembrano minute per via della
distanza e la maestosità dell'anfiteatro, ma in realtà sono alte e slanciate
formazioni rocciose di bianco calcare che spiccano nel semicerchio eroso di
rossa arenaria.
L'erosione del vento, della sabbia, degli agenti atmosferici naturali, ha creato questo
complesso fantastico. Cammino lungo il bordo della valle e il panorama cambia e
diventa un immenso canalone, un canyon classico, che tra massicce pareti e
vertiginosi pinnacoli sembra la soglia di un mondo segreto fatto di rocce rosse, di
profondità nascoste da tenebrose ombre, di forre che affondano entro spaccature, di
tracce di sentiero; è un mondo contorto, ma invitante, con un fascino misterioso e
tenebroso. Quando giungo all'inizio di un sentiero che vi si infila, mi affaccio su una
ripida discesa che chiama a scoprire dove è il fondo e che cosa aspetta alla fine del
percorso. Il sentiero, il Navajo Trail Loop, è uno splendido percorso all’interno del
parco tra le rocce, le forre, i pinnacoli, gli abeti e superbi scorci paesaggistici, che mi
fa sentire parte di questa splendida natura.
I parchi nazionali
ZION NATIONAL PARK, FORESTE E GRANDI MONTAGNE
Dopo una simpatica cena in un ristorante stile western e una notte di riposo si
riparte.
E' mattina quando la solita strada diritta mi conduce verso la nuova meta. Si
sale verso la montagna, lungo una strada che si inerpica dolcemente tra foreste
di conifere, rocce e lavori in corso che rallentano la marcia, senza peraltro
bloccarci. Un buio tunnel mi fa uscire a metà parete di un fianco montuoso da
cui si domina una valletta. Il tempo di percorrere un breve tratto poi la strada
comincia a scendere fino al fondo del declivio. Da qui in avanti si corre in una
bella valle tra pareti rocciose che a tratti diventano ripide. Poi la valle si apre
mentre profili di alte montagne limitano l'orizzonte. I colori sono molteplici,
passando dal grigio al marrone, al rosso al bianco, spesso in stratificazioni
multicolori dovuti ai diversi minerali che col tempo si sono sciolti nelle rocce e
che fanno assumere alle montagne i colori di una tavolozza. Un ampio
anfiteatro sbarra la valle e al centro si trova il Centro Visitatori, messo
strategicamente per far godere un vasto panorama, imponente, terrificante
nell'esplosione dei colori delle rocce; l'anfiteatro domina la piccolezza del
visitatore dall'alto delle vette bianchissime che sembrano fendere l'azzurro
intenso del cielo. Una bandiera americana sventola sul pennone ma il silenzio
non è rotto neanche dal fruscio del vento; c'è solo la silenziosa affascinante
enormità della montagna, della serie di vette e pareti, che incombono sulla
verde valle.
E' lo Zion Nat'l Park.
Riprendiamo la via e, lasciata la valle, siamo ancora una volta su una strada
diritta che ci conduce nel Nevada.
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• Nevada
E' uno stato situato negli Stati Uniti occidentali. “Nevada” è un aggettivo
che in spagnolo significa innevato, coperto di neve. Il nome deriva dalla
catena montuosa della Sierra Nevada nell'ovest dello stato. Lo stato è un
poco più piccolo dell'Italia ed è una regione prevalentemente montuosa
che include pascoli semi aridi e deserti sabbiosi ed è lo stato più arido di
tutti gli USA. La parte settentrionale e centrale dello stato sono in gran
parte all'interno del deserto del Great Basin, mentre alcune aree
meridionali appartengono al deserto del Mojave. La cima più alta dello
stato è il Boundary Peak, con i suoi 4005 metri.
La città più famosa dello stato è Las Vegas che, con oltre 2 milioni di
abitanti, raccoglie la quasi totalità degli abitanti dello stato. L'enorme
sviluppo della città è iniziato quando, nel 1931, il Nevada legalizzò il gioco
d'azzardo con lo scopo di stimolare la crescita economica, in risposta alla
Grande depressione dei primi anni trenta. Fu così che Las Vegas divenne,
e oggi continua a rimanere, il centro mondiale del gioco d'azzardo.
Le città
LAS VEGAS, la città che non dorme mai
Il nome deriva dallo spagnolo “i prati”, per via di pozzi d’acqua che
tenevano in vita alcune aree verdi, mentre tutto intorno era deserto.
Qui, nel maggio 1855, alcuni missionari mormoni costruirono un forte
come stazione di posta per i viaggiatori. Col passare del tempo il forte
divenne una stazione per le carovane verso il west e nel 1905, con la
costruzione della ferrovia, divenne un villaggio ferroviario. In seguito, data
la presenza dell’acqua e grazie alla legislazione dello stato del Nevada
riguardo il gioco d’azzardo, esplose come il ” paradiso del gioco”.
Las Vegas è, usando un termine colloquiale sempre più diffuso, un enorme
“casino”. Curiosamente questa parola si può pronunciare in due modi cosicché
si hanno due accezioni che, questa è la curiosità, si possono tranquillamente
applicare alla città. Un significato di “casino” (quello colloquiale) è quello della
confusione, di un miscuglio di luoghi e situazioni diversi tra loro che
intersecandosi e sovrapponendosi fanno un insieme caotico e sfuggente. L'altro
significato si ottiene cambiando l'accento: ”casinò”, alla francese, che indica il
luogo dove si gioca d'azzardo. Las Vegas è l'insieme indistricabile di queste due
accezioni e questo fa sì che la città possa essere dichiarata la “più pazza del
mondo”.
Non basta. Continuando con le iperboli posso dire che Las Vegas è un mostro.
Un mostro costruito per giocare, in tutti i sensi.
Le costruzioni, immense, enormi, sono fatte per accogliere 24 ore su 24 i
giocatori ai classici giochi (americanizzati) del casinò,
Le strade sono fatte per giocarci. Su di esse si affacciano hotel (con annesso
casinò, un hotel un casinò) dalle dimensioni e dalle forme più strampalate:
pensate a un immenso primo piano in cui scorre un canale su cui navigano
gondole con il gondoliere cinese che canta “O sole mio”. Nella strada si gioca,
perché passare nel giro di qualche centinaio di metri dalla Tour Eiffel al Ponte di
Brooklin scivolando sotto una enorme Harley Davidson che spunta da una
parete ad altezza di un primo piano, che cosa altro è? Se si vuole continuare a
C. Trovati
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giocare basta andare da una fontana sonora e luminosa a un vulcano che erutta
fumo e fiamme, da un veliero pirata che assalta l'isola delle sirene al leone
enorme della MGM che ruggisce alle torri del castello di Excalibur. Sulla strada
si gioca con i colori e le luci che, qualsiasi siano le ore del giorno e della notte,
rilucono, brillano, abbagliano.
Ecco, questa è la sintesi dello “Strip”, il viale lungo circa sette chilometri su cui
si allineano gli alberghi/casinò; le enormi costruzioni sono un tutt’uno di stanze
per dormire e saloni per giocare; il tutto arricchito e completato da bar e
ristoranti arredati nel modo più fantasioso e inverosimile, boutique e negozi; con
la sala dove in pochi minuti e senza eccessive formalità ci si può sposare (la
“wedding chapel”) e all'occorrenza divorziare; dove un fiume ininterrotto di
persone sciama continuamente. Lo Strip è un viale super-moderno con
costruzioni di vetro e acciaio, di forme avveniristiche, mischiate casualmente a
riproduzioni, altamente tecnologiche e in scala corretta, dei luoghi più disparati
del mondo, fatti per stupire, Allora si trovano allineati, senza una logica se non
quella del totale utilizzo degli spazi, le Piramidi e il Canal Grande con il ponte di
Rialto, il grattacielo tutto specchi che domina il massiccio leone della MGM di
fronte al castello medioevale di Excalibur, la monorotaia con i vagoncini
automatici e l'obelisco egizio e la Sfinge, l'immensa moto Harley Davidson che
è sospesa sulla strada e la riproduzione della Tour Eiffel, il centro di Manhattan
con i grattacieli, il ponte di Brooklin, la statua della Libertà e il vertiginoso
ottovolante, la grande fontana luminosa e musicale (uno spettacolo ogni quarto
d'ora) e i marmi e le statue romane del Caesar's Palace (non importa se nel
mondo romano l'architetto folle ha inserito la sfinge egizia e la Nike, la greca
Vittoria alata, tanto “tutta antichità è” e per le migliaia di persone che passano
da un albergo all'altro, da un casino/casinò all'altro, con appesa al collo
un'enorme bottiglia piena di … boh!, non importa capire, tanto è tutta roba
vecchia).
Per sostenere tutto questo è necessaria una buona dose di pazzia, il che ci
porta alla concezione del tempo. Las Vegas, per rendere proficua questa città
così strutturata, ha abolito il tempo. La città è “aperta, senza soluzione di
continuità, 24 ore su 24”. Giorno o notte non fa differenza. Non a caso in tutti i
casinò non ci sono né finestre, né orologi, che se fossero presenti darebbero il
senso del tempo che scorre con l'alternarsi del buio e della luce e con il giro
delle lancette. Così ogni momento è uguale al precedente e al successivo; c'è
la stessa luce, c'è la stessa folla. Ci sono anche gli aiuti a passare qui tutto il tuo
tempo: se vuoi puoi comparare il ticket per il buffet che ti da libero accesso al
cibo per 24 ore, quando e quanto vuoi; così per alimentarti non devi neanche
uscire! Il tempo non esiste a Las Vegas!
Da questa città passo, attraversando il deserto, a un mondo ancor più
allucinante, ma naturale e per questo più terrificante: la Valle della Morte.
I parchi nazionali
DEATH VALLEY, LA “VALLE DELLA MORTE”
La Valle della Morte si chiama così perché, intorno alla metà del 1800, una
carovana di pionieri rimase qui bloccata durante l'attraversamento del
deserto: dopo fatiche e vicissitudini di estrema difficoltà, cibo e acqua finiti,
animali morti, la carovana venne soccorsa e salvata, con una sola vittima;
una, ma sufficiente a dare il nome alla valle:Valle della Morte, Death Valley.
C. Trovati
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La strada riporta in California, sì perché la Death Valley è appena oltre il
confine del Nevada, in California appunto. Sto raggiungendo quest'arida
depressione che tocca la maggiore profondità del continente americano, 85,5
metri sotto il livello del mare (battuta, a livello mondiale, solo dalla depressione
del Mar Morto).
La strada attraversa colline rocciose e grigiastre, senza un filo di vegetazione.
Poi le colline divengono biancastre, sono più basse. perciò lasciano vedere una
landa bianca, larga e lunga, chiusa in distanza, una lontana distanza, da una
fila di colline bluastre, indefinite e tremolanti nel calore, anche se mi dicono che
oggi non è particolarmente caldo perché la temperatura si aggira “solo” sui
37°C.
La prima sosta è su una terrazza naturale che precipita verso la depressione.
Le aride formazioni rocciose non hanno nulla a che vedere con le classiche
montagne a cui siamo abituati; non sono rocce da scalare, ma dune pietrificate,
tondeggianti, che si susseguono come onde di pietra; tracce bianchissime le
avvolgono come ragnatele, sono sentieri? Sono strane erosioni? In un certo
senso sono invitanti. Sono a Zabriskie Point, nome reso famoso dal film degli
anni '60 del secolo scorso, che titola proprio Zabriskie Point; il film di Antonioni,
regista del tormento dell'anima, non poteva scegliere luogo più appropriato. Il
punto in cui siamo è affascinante nella sua selvaggia solitudine e nella sua
desolazione.
Da qui scendo lentamente fino a raggiunger il fondo della depressione. Qui c'è
il cartello che fornisce i dati precisi del luogo
BADWATER BASIN
282 feet/ 85.5 meters
BELOW SEE LEVEL
il “Bacino dell'acqua cattiva – 85.5 metri sotto il livello del mare”. Se mi giro e
alzo gli occhi verso la grigiastra parete rocciosa che mi sovrasta e la risalgo,
vedo a un certo punto una scritta bianca: SEA LEVEL, livello del mare. Allora è
vero! Sono proprio in basso!
Di fronte a me c'è una distesa bianchissima che si perde a vista d'occhio. E'
una superficie di sale, solidificazione di antiche acque che, nel bordo della
distesa vicino a noi, ancora oggi hanno trovato la via per formare piccole pozze
azzurre a testimoniare la potenza della natura che è sempre pronta a fornire
forme inspiegabili.
Sono nella parte orientale del Deserto di Mojave, ancora in California. Il viaggio
a semicerchio sta per chiudersi, ma senza fretta ci sono ancora chilometri e
chilometri da percorrere.
Ora sto correndo su una delle grandi strade americane di comunicazione, la
Interstate 15. La denominazione della strada è tipicamente americana: se la
strada attraversa diversi stati è una strada interstatale, Interstate appunto; se
va da nord a sud è indicata da un numero dispari; viceversa se va da est a
ovest è indicata con un numero pari. Come si vede non c'è spazio alla fantasia,
ma è pura logica. Quando la Interstate 15 incrocia una strada perpendicolare
(normalmente in questi grandi spazi le strade si incrociano ad angolo retto) i
cartelli indicatori sono di una semplicità disarmante: uno indica “15 nord”, l'altro
che indica il senso opposto dice “15 sud”.
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• Sierra Nevada
Anche se da questa catena montuosa ha preso il nome lo stato del Nevada, La
Sierra Nevada si trova nella parte centro-occidentale della California, dove sto
viaggiando.
E' giunto il momento di lasciare il deserto e di salire in montagna.
Il panorama cambia; diventa dolce, verde, di un verde vitale non più assalito
dalla polvere; l'aria è più frizzante. Incontriamo lindi paesini con le case
circondate da verdissimi prati, ben tenuti. Alti alberi ombreggiano le strade.
Anche i nomi delle località hanno un altro suono, meno anonimo, legati
all'ambiente o alla storia: Lone Pine (Pino solitario), Independence
(Indipendenza), Big Pine (Grande Pino). Ritroviamo l'acqua, il lago, i boschi, le
pinete.
I parchi nazionali
YOSEMITE NATIONAL PARK
Ora la strada sale fino alle pendici del Tioga Peak (3513m), attraversando
ampie pinete. Si costeggia l'azzurrissimo Tioga Lake bordato da alti pini; ancora
un poco di salita e superiamo il Tioga Pass a quota 3031m. E siamo
all'ingresso del parco, nel cuore della Sierra Nevada. Ora cominciamo a
scendere, mentre il panorama mostra enormi roccioni di granito grigio che
spuntano sopra la cime delle conifere. Continuiamo in questo ambiente per
qualche tempo, scendendo lentamente, finché ci fermiamo sulle sponde di un
lago con limpidissime acque azzurre, il Tenaya Lake. La giornata è splendida,
limpida e luminosa; la temperatura, grazie al sole che splende, è gradevole. Da
queste sponde incantate possiamo cominciare ad ammirare i grigi massicci di
granito che emergono dallo Yosemite, incorniciati dalle alte conifere verdi. La
visione del lontano Half Dome, una delle montagne più rappresentative del
parco, è affascinante e invitante a continuare il percorso, per avvicinarsi..
Yosemite è un parco protetto e vigilato per cui c'è un ingresso sorvegliato, ove
si paga l’entrata e un'uscita controllata. in cambio si hanno servizi utili: la
mappa dettagliata del parco; i ranger che forniscono sicurezza e guida nelle
visite; i veicoli per le visite guidate. Si trova a un'altezza compresa tra i 1500 e i
2000m. Yosemite è un parco che offre un ambiente incontaminato e
preservato in cui il silenzio è sovrano; un silenzio che permette di sentire
fischiare il vento, scrosciare l'acqua e trillare gli uccelli; un ambiente possente,
selvaggio per alcuni aspetti, impressionante per altri, con dolci oasi verdi di
ampi prati solcati dalle acqua del Merced river. La strada attraversa aree in cui
le montagne hanno le pendici ricoperte di boschi fino a quando il granito si
presenta possentemente arrogante sotto forma di vertiginose pareti, di
imponenti ed altissimi blocchi che sembrano sfidare il passante, sfida che, a
partire dagli anni '70, è stata raccolta da un numero sempre maggiore di
scalatori, tanto che il parco divenne e rimane, il paradiso dell'arrampicata libera.
Il parco offre altissime cascate, placide acque di torrenti che scorrono
pigramente a fondo valle, verdissimi boschi con altissimi pini e un vastissimo,
limpido, luminoso cielo azzurro che sovrasta un'ampia valle ricca di prati e
ombrosi boschi.
A poca distanza dal Centro Visitatori c’è il punto più famoso del parco: l’enorme
roccione chiamato El Capitan, un impressionante blocco di granito che si
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innalza dal sentiero fino al cielo, 400 metri di verticalità assoluta di una parete
che sembra liscia come un uovo.
Questo è il parco più vecchio degli Stati Uniti e ne ha visti di visitatori, ma
continuerà a vederne perché la sua bellezza e la pace e la tranquillità che
infonde nel visitatore rispettoso, sono una ricchezza inesauribile.
La prossima meta è il Mariposa Grove, il bosco della farfalla. Arriviamo al
pianoro dove si estende il bosco che non ha le farfalle svolazzanti, ma è
formato da enormi alberi: le “sequoia”. Sono alberi giganteschi, che superano i
50 m. di altezza e che, alla base, richiede una dozzina di persone per
abbracciare il tronco; hanno una vita lunghissima di centinaia e centinaia di
anni, fino a raggiungere i duemila anni di età.
E' con una sorta di riverenza che mi inoltro nel bosco e osservo questi giganti.
Quando picchietto il tronco, lo trovo morbido, quasi spugnoso: quando raccolgo
uno dei suoi frutti mi trovo in mano un ovoide a scaglie, grande proprio quanto
un uovo; sembra un paradosso della natura che da un enorme albero fa
nascere un piccolo frutto.
Ecco, sono arrivato al re del bosco, il “Vecchio Grizzly”. E’ una sequoia di circa
2600 anni, circondata da un recinto per proteggerla dalle incursioni dei turisti. E'
letteralmente alta fino al cielo, con un tronco enorme che richiede tanto tempo
per girargli intorno. Mentre lo osservo, e fotografo mi viene da pensare che ha
l'età di Roma, più o meno; mentre Roma secondo la leggenda veniva fondata,
qui nella realtà nasceva questo albero che sarebbe passato indenne nei
millenni fino a mostrarsi oggi in tutta la sua gigantesca maestosità. A conti fatti,
questa sequoia è il migliore monumento naturale all'enormità.
Poco distante c'è un'altra sequoia caratteristica, ma per un altro motivo. E'
gigantesca anche questa, ovviamente, ma alla base del tronco è stato scavato
un passaggio, come un buco nel tronco, in cui nel passato transitavano i carri
che percorrevano il sentiero; ora è una meta favorita dei turisti.
Le città
SAN FRANCISCO, la perla dell’ovest
La città fu fondata dagli spagnoli nel 1776, con il nome d La Mision de
Nuestro Padre San Francisco de Asis. A partire dal 1845 le dimensioni
iniziarono ad aumentare per via della rilevante immigrazione dei coloni,
finché, con la “corsa all’oro” degli anni 1848-1849, l’insediamento divenne
una vera e propria città che, sviluppandosi nella parte interna della baia,
fornì un porto sicuro ai traffici marittimi con l’Oriente. Questo incrementò
l’immigrazione specialmente cinese, tanto che a San Francisco c’è la più
grande comunità cinese al di fuori della madre patria.
San Francisco, Frisco per gli amici, è una città speciale che affascina e stimola
le sensazioni. E' una città dell'ovest degli Stati Uniti, anzi è “la città” dell'ovest,
ma “americana” non è, almeno nel senso comune della terminologia. E' una città
europea, cinese, di mare; con un porto tradizionale per i pescatori; con due ponti
enormi che attraversano la baia, di cui uno è il ponte più famoso al mondo: il
Golden Gate Bridge. E se non basta, San Francisco è famosa per la sua
vivacità culturale e il suo eclettismo architettonico.
E' una città fatta di mille città. C'è la città degli affari, indicata all'americana come
“downtown”, il centro importante, qui si va di fretta e impettiti con borse e
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computer sotto il braccio, perché gli affari hanno il loro rituale. C'è la città dei
“gay”, Castro, dove vive la più grande comunità gay americana e dove ci si
muove lentamente, senza fretta, tra gioiosi super-palestrati che sorridono
tenendosi per mano. C'è la città dei “cable cars“, i piccoli tram che, trainati da
cavi, vanno su e giù lungo le ripide strade delle colline e sono diventati un altro
simbolo di San Francisco. C'è la città della musica ove ci si può fermare ad
ascoltare la musica delle orchestre jazz o i suoni inconsueti degli strumenti
cinesi. C'è la città cinese, “Chinatown”, dove vive la comunità cinese più
numerosa al di fuori dell'Asia, fatta di architetture esotiche, di luminarie, di
negozi incredibili in America, di cibi orientali e di musiche dissonanti, ma tutto
questo è l'armonia cinese. C'è la città italiana, o meglio il quartiere viste le
dimensioni più ridotte, dove sul “Corso Cristoforo Colombo”, scritto così, in
italiano, si aprono negozi e ristoranti con nomi italiani. C'è la città del mare dove,
tra le lamentose e rauche grida dei leoni marini, ci si può ingozzare di granchi,
aragoste, pesci diversi e, per risparmiare, di “fish and chips”.
Visitiamo i punti celebri di Frisco.
•
Golden Gate Bridge
San Francisco è costruita su una penisola che ad ovest è battuta dall'oceano
Pacifico, mentre a est delimita la parte settentrionale della grande baia di San
Francisco. La lingua di terra si interrompe a nord, dove l'oceano con un ampio
canale si insinua nella baia interna. Qui si trova il simbolo di San Francisco, il
Golden Gate Bridge, il grande ponte color rosso mattone che collega la punta
della penisola di San Francisco con il continente a nord; due carreggiate con tre
corsie ciascuna, per i veicoli e due marciapiedi laterali, permettono il passaggio,
sorrette da enormi piloni a cui sono ancorati i cavi che sostengono la campata. Il
ponte è la porta di ingresso alla città per tutto ciò che proviene via mare dal
Pacifico, da qui il nome “Porta d'Oro”, Golden Gate.
Beh! Il ponte merita la sua fama. Scavalca agilmente il braccio di mare, dando
un'impressione di leggerezza e di forza allo stesso tempo. La campata sospesa,
leggermente arcuata, è affascinante e invita a percorrerla lungo tutti gli oltre 2
chilometri, sospesi a oltre 60 metri sul livello del mare. E' come viaggiare nel blu,
tra cielo e mare, con la leggerezza dei gabbiani che veleggiano sopra la baia.
Quando si passa sotto gli oltre 200 metri delle torri, quando si vedono i cavi
portanti, così piccoli dalla distanza, ma con un diametro di quasi un metro nella
realtà, la leggerezza lascia il posto alla potenza dell'opera ingegneristica. Il
Golden Gate Bridge è semplicemente bello!
• Fisherman's Wharf
Sono ora al Fisherman's Wharf, il molo del pescatore, che con il nome ricorda il
luogo ove, nel passato, c'era il villaggio dei pescatori. Oggi è una delle principali
mete turistiche della città. E' una grande area dove ci sono ancora i moli a cui si
ormeggiano barchette, barche a vela, motoscafi, yacht, battelli, traghetti, navi
storiche come un grande veliero o un sommergibile in mostra, reperto storico,
dimora di gabbiani che sono pacificamente appollaiati sulla prua. Questo “molo”
è il paradiso di luoghi di ristoro estremamente vari, per cui si va dai tricicli che
offrono panini, agli snack, ai bar, alle tavole calde, fino ai ristoranti di diversa
offerta (in qualità e prezzo); c'è solo l'imbarazzo della scelta. Ovviamente ci
sono ampi spazi dove sedersi per gustare i cibi, tra questi il più apprezzato è il
panino al granchio, seguito dal classico fish and chips. Poi ci sono i negozi e
anche qui c'è solo l'imbarazzo della scelta, dal grande magazzino alla boutique.
In qualsiasi ora del giorno e della sera il Fisherman's Wharf è pieno di gente che
sciama apparentemente senza meta, per il solo gusto di esserci.
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Il centro di Fisherman's Wharf è il “Pier 39”, il “molo 39”. questo è un'ampia
banchina ricoperta da un tavolato di legno, che vuole riproporre la vecchia
ambientazione, che come un enorme dito, si inoltra nella acqua. Qui c’è il
meglio della città per lo svago e li ricordi turistici. Ci sono ampie terrazze da cui
godersi il Golden Gate, da un lato, e i profili della città, dall'altro. .All'estremità
del molo ci sono i leoni marini; una colonia schiamazzante di questi animali è
annidata sulle banchine e intorno al piccolo faro; ci si accorge della loro
presenza prima ancora di vederli grazie ai loro rauchi urli e all'odore pungente
che li accompagna. Qui non si compera, si fotografa!
• Attraverso la città
Tra questi due capisaldi c’è il resto della città
- Il Centro finanziario è il regno dei grattacieli, degli edifici che con la loro
imponenza trasudano ricchezza. Qui domina la Transamerica Pyramid, che con
la sua forma piramidale alta 260 m è praticamente visibile da tutta la città, ma è
in buona compagnia di torri e palazzi. Questa zona è il centro della città, dove ci
sono i grandi alberghi, le grandi vie commerciali, prima fra tutte Market Street la
lunga e principale strada che attraversa tutta la zona centrale (ed è proprio
all'incrocio con Market Street che è situato il nostro albergo); qui, negli slarghi a
fianco di questa via, ci sono i capolinea dei Cable cars; sempre affacciata sulla
strada c'è Union Square, la grande piazza che è un po' il cuore della città, è il
luogo dello shopping, degli hotel più facoltosi e dei teatri più prestigiosi, sul
grande spazio gli artisti mostrano le loro opera e sui marciapiedi si aprono
negozi, eleganti boutique e saloni di bellezza. Da Market Street si dipartono le
strade che attraversando Chinatown e valicando le colline, vanno verso il mare,
verso il “molo del pescatore”.
− Chinatown, è il quartiere dove vive la più grande concentrazione di cinesi fuori
dal loro paese; qui le architetture e le insegne ricordano un altro mondo. I volti
delle persone sono chiaramente orientali, le vetrine dei negozi, i ristoranti, i
lampioni e le lanterne, i capannelli delle persone, le musiche che aleggiano,
indicano la chiara origine cinese. Uno dei suoi simboli è la Porta del Drago, la
porta di accesso al quartiere composta da tre arcate che sovrastano la strada e
due leoni di pietra sul marciapiede, è come aprire una finestra sulla Cina, ma
una finestra tranquilla, attraverso cui si vede gente con fattezze, e magari abiti,
diverse, ma sostanzialmente integrate in questa città, di cui si sentono parte.
− Poi c'è il quartiere italiano, Little Italy. Questo quartiere è celebre per la vivacità
e l'atmosfera beatnik che qui regna dagli anni '60. E' il quartiere della musica
jazz e blues, suonata nei numerosi locali notturni della zona. In Washington
Square, ampia piazza con giardini circondata da ristoranti, sorge la Cattedrale di
san Pietro e san Paolo, cattolica, che è il centro di aggregazione della comunità
italiana.
- Ricordo ancora Mission District, il primo insediamento abitativo nella baia, che
deve il suo nome alla prima missione spagnola qui costruita nel 1791; ora ha
una popolazione molto variegata sotto il profilo economico ed etnico, tanto da
essere il simbolo della pacifica convivenza e tolleranza, vanto della città. Qui si
trovano vie ricche di palazzine linde e ordinate in stile vittoriano: in una piazzetta
sono allineate le “sette sorelle”, sette palazzine di puro stile vittoriano, di diverso
color pastello, affiancate l'una all'altra cosicché creano uno sfondo colorato alla
piazza.
− Poi c'è la collina dove ha sede il municipio, un grandioso palazzo neoclassico
preceduto, su un'enorme piazza, da una curiosa statua: la divinità indiana della
trimurti. Poco lontano c'è la Grande cattedrale cattolica, dedicata a Santa Maria
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Assunta, che si presenta nel suo ultimo rifacimento del 1962-1970.
− Infine non posso dimenticare il “Cable car”. Questo è il classico tram di San
Francisco che scavalca le colline. Sono solo due linee e ambedue arrivano a
Fisherman's Wharf, a poca distanza l'una dall'altra. Il veicolo usato è piccolo e
c'è un addetto che regola l'afflusso dei passeggeri; quando, a suo dire, il tram è
pieno non fa salire più nessuno; si aspetta il prossimo e se anche questo è
pieno ancora il prossimo. Ecco perché nelle ore di grande movimento, ai
capolinea si forma la coda e salire lungo il percorso è un terno al lotto. Va detto
tuttavia, che, pur essendo un regolare mezzo di trasporto, il suo uso è
prevalentemente turistico.
Il tram è una specie di funicolare, cioè per superare le salite e non precipitare
incontrollato nelle discese, si aggancia a un cavo che regola il movimento
trascinandolo o frenandolo sui binari. Il bello del percorso è assistere alle
evoluzioni del manovratore per adattare la corsa alle caratteristiche del
percorso. Da notare che il tram si ferma nel piccolo spazio pianeggiante ove
una strada trasversale incrocia la salita (o la discesa), quindi in prossimità di
questo spazio il manovratore comincia a scampanellare con energia per
avvisare di lasciare libero il passaggio e non ingombrare l'incrocio. L'altra cosa
bella è quella di sporgersi dai predellini per prendere aria durante la corsa, per
vedere meglio il panorama e per gustare in modo ravvicinato l'incrocio con il
tram che arriva in senso opposto.
Per tutto questo vale la pena di fare un poco di coda!
Questo e tanto di più è San Francisco!
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2 - THAILANDIA
La Thailandia è un nazione stupenda, ricca di arte, di bellezza, di sorrisi.
A una più ridotta parte insulare, comunque famosa per la bellezza delle sue
isole e dello splendido mare, risponde la parte continentale del territorio, la gran
parte della Thailandia, dove la storia ha le sue radici visibile nei grandi siti
archeologici, dove la religione ha i suoi luoghi sacri nei numerosi templi dorati,
dove la popolazione si veste di colori a seconda dell'etnia di appartenenza.
La Thailandia è un mondo affascinante per le sue mutevoli sfaccettature, ma
soprattutto per la bellezza e la tranquilla accoglienza del suo popolo.
Allora, se è un posto da non perdere, andiamoci!
Cominciamo da Bangkok, la capitale, cuore e specchio della nazione.
BANGKOK
Per prima cosa bisogna affrontare il nome ufficiale:
“Città degli angeli, grande città, dimora del Buddha di smeraldo, città
inespugnabile del dio Indra, grande capitale del mondo che possiede le nove
pietre preziose, città benedetta in cui abbondano immensi palazzi e che
somiglia al paradiso in cui regnò il dio reincarnato, città donata da Indra e
ricostruita da Vishnu”, ma già i Thai hanno abbreviato il nome in “Kruong Thep,
Città degli angeli”, mentre gli occidentali la chiamano Bangkok, Città degli ulivi.
Ora siamo pronti alle meraviglie che il nome contiene e non ci importa che
ormai tutta questa sequela sia stata abbreviata in “Bangkok”, noi andiamo!.
Bene! Siamo nella giusta condizione per entrare in un mondo che ha
dell'incredibile tanto da essere quasi “il paese dei sogni”.
Utilizzando il fiume Chao Phraya e facendo scavare un canale semicircolare,
Rama I creò un'isola artificiale sulla quale fece costruire il Grand Palace e la
cappella che doveva contenere il Buddha di Smeraldo. L'isola ricevette il nome
di Rattanakosin, che significa “Dimora del Buddha di smeraldo”. Questa è la
nostra meta.
Siamo dentro i 260 ha di stupefacente bellezza che vanno sotto il nome di
GRAND PALACE, per lungo tempo residenza dei re della Thailandia e
ancor oggi sede degli avvenimento ufficiali dello stato nella parte del
complesso riservata all'uso istituzionale. Il centro della visita e del
pellegrinaggio della popolazione thai, è il WAT PHRA KEO, il santuario
che accoglie al suo interno il BUDDHA DI SMERALDO (contrariamente al
suo nome, questa statuetta di 66 cm di altezza, è scolpita in una blocco di
nefrite). La statua fu collocata a Bangkok nel 1784 e divenne simbolo della
dinastia reale Chakri ed è il simulacro più venerato del regno. Si racconta
che venne trovata a Chiang Rai quando, all'inizio del XV secolo, il chedi
del Wat Phra Keo venne distrutto da un fulmine facendo apparire dalle
rovine la statuetta del Buddha; la statuetta, dopo alterne vicende che la
portarono anche nel Laos, venne ripresa dai Thailandesi che la portarono
a Bangkok.
Intorno a questo luogo sacro si stende il complesso del Grand Palace, cioè
un susseguirsi di giganteschi demoni a custodia degli edifici, creature e
divinità mitologiche che proteggono e sorreggono i templi, poi edifici
stupefacenti (templi e palazzi di varie fogge) i cui tetti sono adornati da
C. Trovati
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decorazioni simili a uccelli che separano il confine tra terra e cielo, con le
pareti decorate con tessere di ceramica, smalti e specchi colorati, poi oro,
tanto oro, che dà luce propria al complesso. Un lungo porticato si estende
nel complesso completamente affrescato con raffigurazioni del poema
Ramakien, allegoria del trionfo del bene sul male.
Sulla sponda opposta del fiume Chao Phraya sorge il Wat Arun. Il “tempio
dell'Alba” è uno dei simboli della città. Il tempio fu costruito nel periodo di
Ayutthaya. Il suo prang, la grande torre principale alta 80 m, simboleggia il
monte Meru e ha una forma che si ispira ai templi khmer. Migliaia di fiori di
porcellana decorano le pareti e la torri del tempio e richiamano la
vegetazione del Monte Meru.
Poi c'è la città, affollata, con traffico intensissimo. Ha un clima che sa
essere pessimo, molto caldo e molto umido; in certi periodi lo smog
soffoca tutto e allora non resta che riparare nei centri commerciali,
abbondanti e vastissimi, con l'aria condizionata. Quando arriva il monsone,
in mezz'ora le strade si allagano, ma quando spiove e poi arriva il sole
altrettanto rapidamente l'acqua se ne va lasciando chiazze di umido sulla
strade.
Ma nonostante tutto questo Bangkok è bella. Bella nell'insieme d'antico e
moderno che si intreccia, partendo dagli storici alberghi sul fiume e sullo
sfondo, lontano i nuovi grattacieli in vetro-cemento; bella lungo i klong, i
canali della città vecchia dove la popolazione vive in case sulla palafitte a
cui fanno da contro altare le strade sopraelevate e l'aerea metropolitana
veloce; bella nel vivacissimo quartiere cinese con le sue architetture da
“Paese di Mezzo” (la Cina) e le scritte inconfondibili sempre affollato a cui
rispondono gli anonimi grandi centri commerciali, altrettanto affollati.
Contrapposizioni che rendono Bangkok una città crogiolo di vita.
Poi, per riposarsi dal caos cittadino, basta andare al palazzo Abanda
Samakhom , un tempo dimora reale, ora museo testimone della grandezza
del regno del Siam, con le sue immense sale di rappresentanza e il tesoro
reale che include fantastici troni d'oro (p.s. non posso fornire immagini
perché qui è rigorosamente vietato fotografare). E' una visita fatta in
grande tranquillità e un tuffo nella grandezza prima di lasciare Bangkok.
Ci dirigiamo a nord della capitale per visitare le località famose, ma lungo la
strada abbiamo soste interessanti da effettuare.
• La prima tappa è la visita del Bang Pa-In Palace, il palazzo reale d'estate.
Tra prati verdissimi e splendidi laghetti sono disseminati diversi edifici, tra
cui spicca il Aisawan Tippaya Asna, un padiglione sull'acqua tra i più
interessanti esempi di architettura thai. Poi ci sono
una torre di
osservazione e palazzi in vari stili che rendono questo luogo l'ideale per il
riposo.
• Poi visitiamo il Wat Phanang Choeng, del 1324, che contiene una
gigantesca statua di Buddha seduto; era il tempio preferito dai mercanti
cinesi: Alla fine della visita ci coglie l'improvvisa pioggia monsonica, molto
intensa e violenta; aspettiamo un poco, poi dobbiamo andare, quindi
rimbocchiamo i calzoni ed entriamo nell'acqua fino alle caviglie per fare le
decine di metri che ci separano dal nostro bus. Bene, dopo il primo
assaggio, questo è il vero battesimo del monsone!
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•
AYUTTHAYA
La prossima meta è Ayutthaya, ora un sito archeologico, ma che fu capitale
del regno di U Tong, nel 1350. La città, circondata dalle acque di fiumi e canali
diventò un'isola fortificata e uno dei più grandi centri commerciali e culturali
dell'Asia sud-orientale, nel XVII secolo era più estesa e popolata di Londra o
Parigi. Rimase sede del potere siamese fino al 1767. L'Ayutthaya Historica
Park è il sito archeologico, esteso giacché nel XVIII secolo si contavano 1700
templi. Ora il luogo si presenta di grande interesse e di stupendo fascino, tra
templi ancora luoghi di preghiera, statue dorate del Buddha e resti gloriosi di
grande magnificenza.
Dopo aver lasciato Ayutthaya ci aspetta un percorso di qualche centinaio di
chilometri, che effettueremo in bus. La lunghezza sarà ricompensata dalle
bellezze che incontreremo, che ci vengono anticipate come vere meraviglie.
Vedremo.
Siamo nelle pianure centrali e il viaggio prosegue tra risaie e acque dei fiumi.
In questa parte del viaggio incontriamo i siti archeologici che indubbiamente
sono il cuore della visita, ma anche villaggi e cittadine che contengono splendidi
templi in cui il grande Buddha dorato è continuamente riverito dai fedeli;
ciascuno di questi templi ha una sua collocazione ed ambientazione che lo rende
unico, e da vedere! Come il “Tempio dei cristalli” che appare improvvisamente
nella campagna; si entra e ci accoglie uno spettacolo stupefacente: il tempio ha
una grande aula con tantissime colonne che la dividono in navate, ciascuna
colonna è ricoperta da piccoli specchietti e pezzetti di vetro, basta la luce di una
lampada perché tutto si illumini di mille riflessi e ci immerga in un mondo di
cristallo luminescente e luminoso dove non sai da dove venga la luce,
semplicemente c'è e ti avvolge! Magnifico!
Così come è da vedere il “paese sull'acqua”, navigando sul fiume Sakaekrang;
questo breve giro ci porta a contatto con la quotidiana vita dei pescatori, tra
barche, reti, case su palafitte e templi che si specchiano nell'acqua.
Poi continuiamo tra le risaie.
• A Phitsanulok, una città che per cinquecento anni ha conosciuto un
grande splendore visitiamo il tempio Wat Pura Sri Ratana Mahathat. Ci
accoglie un tempio con un grande portico d'ingresso e sormontato da una
guglia dorata di stile khmer. L'ampia aula ha un un colonnato che conduce
alla Phra Buddha Chinaraj, una statua del Buddha venerata in tutta la
Thailandia e meta di visite da parte dei fedeli di tutto il paese anche
perché, dicono le guide, questa è la più bella statua di Buddha della
Thailandia .
• SUKHOTHAI
Arriviamo in un posto importante: Sukhothai. Nel 1238 Bang Klang Thao
fu consacrato re di Sukhothai (che significa “Alba della Felicita'”). Questo
fu il primo regno indipendente thai. Nell'età d'oro del regno, tra il XIII e la
fine del XIV secolo, il dominio si estendeva fino a Vientiane e Luang
Prabang (Laos) e Pegu (Birmania) e fu caratterizzato dalla diffusione de
buddhismo theravada che generò raffinate espressioni di arte buddhista.
Il sito archeologico ha una dimensione notevole, di circa 70 km quadrati.
Imponenti templi ben conservati rendono interessante la visita.
• A poca distanza si trova Si Satchanalai, la “città dei vasai”, fondata verso
la metà del XIII secolo e che fu la seconda città del regno Sukhothai. Il
parco storico è immerso in una natura rigogliosa, ancora integra ed è una
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sensazione magnifica vagare per questo ambiente dove, dietro ogni
angolo, può apparire un monumento.
Siamo arrivati nei territori del nord. Il paesaggio è diventato collinoso e coperto
di boschi; negli spazi aperti ci sono le immancabili risaie; qui, grazie al clima sub
tropicale, si possono fare fino a tre raccolti all'anno, perciò è possibile vedere
campi appena seminati e campi allagati e campi con le piantine in via di
maturazione. I villaggi che costeggiano la strada permettono la rapida visita ai
mercati locali, semplici ma ricchi di frutta e verdura, cibo locale e soprattutto di
sorrisi con cui le venditrici ci accolgono. Anche qui, lungo il percorso ci sono
innumerevoli templi, molto frequentati dai fedeli. Ciascuno di questi templi ha
una caratteristica locale che li rende insostituibili alla vita religiosa degli abitanti.
CHIANG MAI
Siamo a Chiang Mai, una delle due grandi mete dl nord. Situata tra i monti
verdeggianti, la “rosa del nord” ha un patrimonio culturale straordinario.
Fondata nel 1296 fu capitale culturale, religiosa e politica del regno Lan
Na. Oggi è la terza città della nazione, con oltre 300.000 abitanti.
Purtroppo sono rimasti pochi resti dei numerosi wat e delle bellezze del
XIV-XV secolo. Sono comunque ancora visibili edifici Lan, caratterizzati
dai Cho Fa, i particolari fregi architettonici sui tetti e le decorazioni a
traforo sulle facciate.
Alto 1061 m, il monte Doi Suthep domina Chiang Mai. Sulla cima sorge il
Wat Phra That Doi Suthep, un complesso formato da edifici decorati e dal
“chedi”, l'edificio reliquiario, protetto da una grata dorata e ricoperto d'oro.
Costruito nella metà del XIV secolo è il più importante e frequentato della
città. E' raggiungibile con una scalinata di 304 gradini, vigilata dei “naga”,
tra il verde del fianco del monte, la leggenda narra che fu costruito dove
l'elefante bianco, animale sacro, che trasportava le reliquie di un
sant'uomo, dopo aver raggiunto il culmine del monte, non si mosse più e
qui morì, a indicare la sacralità del posto.
Proseguiamo il nostro viaggio attraverso le valli e le montagne del nord, lungo
una strada sinuosa avvolta dal verde dei boschi.
• Siamo a Mae Sa, la valle dei fiori e degli elefanti, dove visitiamo i vivai
delle orchidee, in un mondo di fiori di tutte le dimensioni e di forme e colori
stupefacenti. Poi passiamo al centro addestramento per elefanti e qui ci
aspetta una “cavalcata a dorso di elefante” nella foresta, incluso il guado
di un fiume che l'elefante ha affrontato pacificamente, mentre noi
nutrivamo qualche apprensione, risultata esagerata; poi, imparato a
convivere con il dondolio dell'animale, ci siamo lasciati trasportare su per
brevi salite e giù per ripide discese; poi l'elefante andava ringraziato
dandogli un piccolo fascio di pezzi di canna da zucchero che afferrava
subito con la proboscide.
Il cammino riprende verso est, verso Chian Rai, attraverso nuove colline.
Nelle colline del nord vive il “popolo delle montagne” composto da numerose
etnie diverse, ciascuna nel suo villaggio isolato, che dista parecchi chilometri da
quello “vicino” per cui le etnie vivono la loro vita con le loro tradizioni e i loro riti;
lo scambio avviene quando c'è il mercato e quando i turisti si fermano per
osservarli; allora gli abitanti sciamo fuori dalle loro case con i piccoli oggetti di
artigianato che offrono tra grandi sorrisi (e a prezzi irrisori), mentre noi siamo
sommersi dalla marea di bambini che si accontentano di toccarci e di prenderci
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per mano per accompagnarci nel villaggio; la strada asfaltata è quella su cui si
affaccia il villaggio, all'interno le strade sono sterrate e a volte sono poco più di
un sentiero ai cui lati ci sono le abitazioni in legno.
In questi villaggi incontriamo la comunità degli “Jeen Hor” cinesi immigrati dallo
Yunnan, poi gli yao, i Lisu, gli Akha. Nel villaggio Shan di Nasoi vivono le donne
della tribù Padang, note come le “donne giraffa”, quelle “con il collo lungo” che
con una serie di anelli al collo aggiunti progressivamente uno all'anno,
allungano il collo in maniera impressionante.
Un'altra caratteristica di questa area è l'abbondanza di acqua. I fiumi grandi e
piccoli che nascono nelle colline e nelle altissime montagne himalayane, vedi il
Mekong, scorrono placidamente ospitando sulle rive piccoli agglomerati di case,
villaggi, cittadine.
Poi c'è il cielo. Pensiamo a un cielo celeste e luminoso, con sbuffi bianchi di
nuvole e che durante il giorno si copre di nere e tumultuose nubi monsoniche
che rovesciano cascate d'acqua, poi quasi all'improvviso le nubi si spaccano in
frange da cui i raggi del sole filtrano a colpire e illuminare zone sempre più
ampie, meglio se fanno brillare le acqua del fiume. Siamo in Thailandia.
Questo percorso tra dolci colline, piccoli villaggi, lungo strade che, anche per
l'andamento tortuoso, invita a procedere senza fretta e ci porta a Chiang Rai.
Questa città, meno nota e meno frequentata di Chiang Mai, deve la sua recente
nomea alla vicinanza al famigerato “Triangolo d'oro”.
CHIANG RAI
− Ubicata nella regione più settentrionale della Thailandia, a 580 m di
altezza, fu fondata nel 1262 in un luogo strategico, vicino al regno di
Birmania, divenne un importante centro commerciale, per declinare
lentamente a causa delle frequenti guerre tra Siam e Birmania. Il ricordo
più interessante è il Wat Pura Singh, che secondo la leggenda, sembra
essere stato la prima residenza del Buddha di Smeraldo.
− Da Chiang Rai si parte per la visita del Triangolo d'oro, il punto di
confluenza dei tre stati Birmania, Laos e Thailandia. Quest'area ha
prodotto per anni circa la metà dell'oppio commerciato in tutto il mondo.
Mae Sai è la città più settentrionale della Thailandia, sulle rive del fiume
omonimo; il ponte che lo scavalca permette di entrare in Birmania. Il posto
è splendido, tra monti e valli verdissime, tra acque lucenti. Più a sud
Chiang Saen, antica capitale, ricorda la storia recente dalla zona con il
Museo dell'oppio; è anche il luogo di imbarco per una gita sul Mekong, con
sconfinamento “da clandestini” in un piccolo villaggio sulla sponda laotiana
del fiume, noto per la produzione di whisky e grappa di riso che vengono
imbottigliati insieme ad animaletti quali piccoli cobra, scorpioni,
sanguisughe, bottiglie da cui stare alla larga se non per le immancabili
fotografie.
Ora non ci resta che raggiungere Chiang Khong, dove, quando i rapporti tra i
due stati sono amichevoli, c'è il “ponte dell'amicizia” che permette il passaggio
di confine. A proposito, questo “ponte” è un ferry che solcando il fiume porta
sull'altra sponda a Ban Houeyxai, piccolo agglomerato di case e posto di
confine nel Laos.
Addio Thailandia!
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3 - LAOS
E' uno stato di 236.000 km quadrati, il cui territorio è costituito prevalentemente
da montagne e altipiani. Su questo territorio vivono 6.000.000 di abitanti.
Nel paese risiedono 47 diverse tribù, che fanno parte di tre principali gruppi:
LAO LUM, il 69% degli abitanti, sono gli “abitanti delle terre basse”
LAO SONG, gli “abitanti delle montagne”, di etnia tai, mong-yao o tibet-birmana
LAO TEUNG o LAO KHANG, gli “abitanti degli altipiani”, piccole tribù del centrosud in gran parte di etnia mong-khmer.
Il Laos è uno stato socialista, marxista-leninista.
IL VIAGGIO
Entriamo in Laos dal posto di confine thailandese Chiang Khong, da dove un
paio di barche veloci traghettano noi ed i nostri bagagli sulla riva sinistra del
Mekong, in territorio laotiano a Ban Huoeyxay. Le pratiche di frontiera
richiedono qualche tempo, ma in un'oretta ce la caviamo e possiamo
raggiungere il posto dove imbarcarci.
Questa parte nord del Laos è montagna e foreste, sentieri a volte impervi che
si perdono tra le valli e la vegetazione. Per quasi tutta la popolazione di questa
area un robusto paio di gambe continua ad essere il mezzo di trasporto
principale. Poiché temo che questa sia un'opzione impraticabile per noi, per
scendere a sud, non resta che la via d'acqua: il Mekong, che funge da
autostrada del nord, ma non solo, come vedremo, per quasi tutto il paese
questo fiume è la più importante via di comunicazione.
La meta è Luang Prabang, a due giorni di navigazione sul fiume; perciò tutti in
barca! Abbiamo una barca privata assolutamente confortevole: è una barca
lunga; nella parte anteriore, dopo la timoneria, ha il “solarium” e la zona riposo
coperta, dotate di comode poltroncine; poi c'è la zona pranzo, anche questa
coperta; poi nella parte posteriore oltre alla cucina, c'è l'abitazione della famiglia
dei barcaioli, che sulla barca lavora e vive.
La discesa del fiume è tranquilla; qui il Mekong è ampio e scorre pacifico;
talvolta delle grosse rocce emergono e allora l'acqua, scorrendo intorno a loro,
forma dei piccoli gorghi che non impensieriscono la navigazione. Il Mekong è
lungo 4200 km., nasce nel Tibet e sfocia, dopo aver formato il rinomato “delta”
nel sud Vietnam, nel Mar Cinese Meridionale.
La giornata è magnifica, soleggiata e gradevolmente calda e trascorre tra la
navigazione e la sosta in alcuni villaggi per incontrare gli abitanti che ci fanno
invariabilmente una grande festa. In un villaggio, quando sanno che siamo
italiani è una grande gioia; ci mostrano orgogliosi una fontanella al centro del
villaggio e ci spiegano che il pozzo e la soprastante fontanella sono stati
costruiti grazie al contributo dell'Unione Europea e noi, come suoi membri,
meritiamo il loro grazie.
A sera siamo a Pakbeng, l'unica importante stazione commerciale di
quest'area, dove sbarchiamo per pernottare.
Il secondo giorno è in parte la fotocopia del primo, ma facciamo due soste
particolari. La prima a Ban Xang Hai, qui chiamato “Whisky Village”, dove gli
abitanti distillano il riso producendo una bevanda alcolica chiamata lao-lao. La
seconda, sulla sponda opposta del Mekong, è la visita alle grotte dei Buddha di
Pak Ou, inizialmente un deposito di statue via via sostituite nel tempo, poi
C. Trovati
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diventato luogo di pellegrinaggio alle centinaia e centinaia di Buddha, tanto è
vero che la grotta è chiamata “dei 1000 Buddha”.
Infine siamo a Luang Prabang.
LUANG PRABANG
Città proclamata “Patrimonio dell'Umanità” dall'UNESCO, con circa 300 templi,
situata in una valle stretta e circondata da splendide montagne verdi e solcata
dai fiumi Mekong e Khan, Luang Prabang trasmette la tranquillità di un luogo
remoto, non contaminato e delizioso, e si presenta elegante senza essere
ricercata.
Le origini della città si fanno risalire alla fine del VII d.C., con la conquista del
territorio da parte del principe Thai KHUN LO. All'inizio dell'XI secolo fu capitale
dei diversi regni locali che si succedettero nel tempo. Il XV secolo fu l'età
dell'oro del regno. Quando avvenne l'annessione francese (seconda metà del
XIX secolo) i francesi riconobbero Luang Prabang come residenza del re del
Laos, fino al 1953, data in cui i francesi lasciarono l'Indocina.
La città ha ereditato dal passato antichi templi dai tetti rossi ed edifici di
architettura franco-indocinese. E' questo patrimonio di templi buddhisti
theravada, case bottega franco-cinesi, verdi giardini e fiori coloratissimi che
dona suggestioni deliziose e serene di tranquillità e fornisce a Luang Prabang
un fascino difficilmente riscontrabile altrove.
L'immagine classica della città è quella di file di monaci con le vesti color
zafferano che scivolano silenziosi nel chiarore dell'alba lungo strade pulite con
edifici coloniali color bianco e tetti rossi e palme ondeggianti. In un unico quadro
è presente l'anima della città.
I punti pricipali di visita sono:
PHOU SI, la “collina Sacra” sulla cui cima c'è lo stupa dorato del Wat Pa
Houak da cui si domina tutta la città; per contro, da buona parte della città
è visibile la guglia; la cima si raggiunge con una scalinata di 328 gradini:
il WAT XIANG THONG, il tempio più importante della città costruito nel
1560, caratteristico per il tetto spiovente che le ali spiegate di un uccello
il PALAZZO REALE, costruito nel 1904 e trasformato in museo; contiene
la statua Pha Bang, la più sacra immagine del Buddha del Laos (non
fotografabile);
il BANJEK, il quartiere con le tipiche case-negozio, di architettura francoindocinese, con il negozio a piano terra e l'abitazione al primo piano;
poi gli innumerevoli altri templi, chi con monastero annesso, chi in un
rigoglioso giardino
e nei dintorni BAN THA PENE, idilliaco paesino sulla strada delle
Cascate KOUANG SI, una suggestiva cascata a più livelli che scende per
60 m prima di gettarsi in un a serie di laghetti di un blu cristallino.
Inoltre la visita non può mancare questi tre momenti:
1. la questua mattutina dei monaci, quando all'alba di ogni giorno escono
avvolti nei mantelli zafferano e scalzi accettano il cibo che servirà per il
pasto giornaliero;
2. il mercato mattutino dove i contadini vendono i loro prodotti, è un
momento tipicamente laotiano dove i turisti sono sopportati, ma non sono
cercati;
3. il mercato serale lungo la via principale chiusa al traffico; qui i turisti sono i
ben venuti, specialmente se comprano scegliendo tra la varia oggettistica
artigianale.
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Come ultima cosa, dobbiamo ricordare gli splendidi tramonti sul Mekong che
rendono d'oro il fiume mentre una pace assoluta scende sulla città.
E' la ciliegina sulla torta da sogno che ha un nome: Luang prabang!
Lasciamo la città e con un volo ci portiamo a Vientiane
VIENTIANE
Capitale al posto di Luang Prabang nel 1560. Il nome significa “Città del legno di
sandalo”. Distrutta dai Siamesi nel XIX secolo e ricostruita dai Francesi nel
1867, venne da questi scelta come capitale di uno dei quattro protettorati
dell'Indocina. Nel 1954, con la partenza dei Francesi, divenne la capitale del
neonato stato del Laos.
I luoghi della visita:
WAT SISAKET, il più antico di Vientiane (1818): qui si svolgeva la
cerimonia durante la quale i nobili laotiani giuravano fedeltà al re; il
chiostro, coperto da un tetto a tegole circonda il sim affrescato (il sim è la
costruzione più grandiosa che ospita le statue più venerate);
HOW PA KAEW, ora museo, conservò per due secoli il Pa Kaew, la
statua ddel Buddha di Smeraldo, fino alla riconquista da parte dei
Siamesi;
THAT LOUANG, il più importante edificio sacro della città e simbolo della
nazione, ha una guglia dorata di 45 m che domina l'ampio spazio in cui si
trova i tempio. Il tempio risale agli anni '30 ed è la ricostruzione di quello
originale della metà del XVI secolo effettuata da re Setthathilat, la cui
statua precede lo stupa.
Forse il tempio e il monastero più popolare è il WAT SIMUANG, meta di
moltissimi fedeli; il sim ospita il “pilastro di pietra sacro” che, secondo la
tradizione è l'abitazione dello “spirito guardiano di Vientiane”.
Una curiosità è la “PATOUXAI”, la “Porta della Vittoria”, che si ispira
all'Arco di Trionfo parigino, costruita alla fine degli anni '50 in ricordo delle
vittime di guerra che combatterono per il governo reale.
A circa 80 km da Vientiane c'è il WAT PHABAT PHONSAN, noto
soprattutto per l' “impronta del Buddha” , un'enorme nicchia di pietra che
ha una vaga somiglianza con l'impronta di un piede.
Nel complesso, dopo essere passati da Luang Prabang, Vientiane non rimane
nel ricordo come una meraviglia laotiana; è una città che si sta muovendo verso
un futuro indeterminato, con alcuni punti significativi e tante speranze.
Allora, contenti di aver visto la capitale, la lasciamo senza rimpianti.
Andiamo a sud e cambiamo panorami.
Il nostro viaggio diventa prevalentemente paesaggistico: tra acque (il Mekong) e
coltivazioni (risaie) spuntano villaggi e città che sono un contorno alla grande
campagna che la fa da padrona.
Qui fa da padrone il Mekong, che costeggiamo per lunghi tratti. E' l'arteria vitale
del Laos del sud, insieme all'”autostrada” che percorriamo: la “nazionale 13”
praticamente l'unico collegamento via terra a sud di Vientiane.
Sul Mekong viaggiano merci e persone, battelli per i turisti e traghetti stracarichi
di tutto.
Sulla nazionale viaggiamo noi!
Percorriamo un lungo nastro d'asfalto con poco traffico e, cosa sorprendente per
le nostre abitudini, senza camion; questo la dice lunga sul livello di
industrializzazione del paese; la mancanza di veicoli e di movimento di materie
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prime e di prodotti finiti è l'evidenza che il Laos, al momento, ha una sola attività
produttiva: l'agricoltura.
Infatti la strada è affiancata da campi coltivati e da risaie. Il sud è un paese
contadino, ma contadino vecchia maniera. Quando ci fermiamo nel pressi di un
campo di riso in cui sono al lavoro tre donne e un uomo, vediamo che la raccolta
è fatta a mano usando dei falcetti, il riso ammonticchiato in fasci viene
trasportato a mano in grossi mucchi presso la casa colonica (una capanna di
medie dimensioni); qui aspettano un carro e un grosso zebù che sta pascolando
tra le stoppie.
Arriviamo a SAVANNAKHET, il capoluogo di provincia più visitato del Sud, sia
per l'importanza che ha come nodo stradale che per il patrimonio architettonico,
costruzioni religiose e il centro con le case-negozio (il quartiere francese).
Notevole è lo stupa buddhistaThat Ing Hang, molto venerato, che risale al XVI
secolo; le decorazioni in stucco che ricoprono lo stupa sono rozze, ma
affascinanti; da notare che le donne non possono entrare nel piccolo recinto
che circonda lo stupa.
Riprendiamo la nostra strada; nuove risaie con contadini che salutano ci fanno
compagnia, poi arriviamo a PAKXE, una città sul Mekong.
Pakxe è la città più grande del sud del Laos. Si impose circa un secolo fa
come centro amministrativo francese, per poi diventare la più importante
città mercato dell'area. Per questo il posto più importante della città è il
grande “Mercato dell'Ovest”, un grande spazio coperto dove c'è di tutto,
incluso i tipici ristoranti locali dove noi pranziamo nel “migliore”: tavoloni
comuni, cucina a vista con pentoloni sui fornelli, da cui viene “pescato” il
cibo; nonostante le apparenze dell'ambiente il cibo è buono ed è sano e
l'ambiente è famigliare, informale, semplice e sollecito, cioè “questo è
quello che passa il convento e siamo tutti sulla stessa barca”.
Lasciamo questa città per imbarcarci su un traghetto.
Inizia così il “nostro periodo sull'acqua” perché per un paio di giorni o saremo
sull'acqua o saremo da essa circondati.
Il traghetto in circa 1h30 di navigazione sul Mekong ci porta a Champasak,
cittadina composta da un tranquillo insieme di una decina di piccoli
villaggi, situata sulla sponda occidentale del fiume. Il traghetto è affollato
di passeggeri (a parte noi, sono tutti laotiani che stanno attraversando il
fiume) e di qualche camioncino carico di merce varia; il tempo di
navigazione è abbastanza lungo, allora alcune donne depongono il
bilanciere che trasportano sulle spalle, scoperchiano le ceste appese ed
ecco il cibo per uno spuntino che viene rapidamente comprato e
consumato dei viaggiatori.
Dopo lo sbarco visitiamo un sito archeologico importante; si tratta di Wat
Phu, il “Tempio della Montagna”, risalente al periodo pre-Angkor tra il Vi e
il XII secolo; è uno dei complessi khmer più suggestivi al di fuori della
Cambogia. E' un sito affascinante appollaiato sul fianco della montagna
che domina Champasak, ormai coperto in buona parte dalla foresta; i
templi di stile khmer emergono da un ambiente incontaminato (e non
ancora sottoposto all'assalto di orde di turisti) e scenografico; visitato,
come facciamo noi, quando si approssima il tramonto è un luogo fuori dal
tempo, silenzioso ed affascinate.
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Nell'estremo sud del Laos il corso del Mekong si frammenta un reticolo di rivoli e
rivoletti di 14 chilometri di ampiezza. Noto con il nome SI PHAN DON, “le
quattromila isole”, questo labirinto di isole, isolotti, rocce e banchi di sabbia, ha
protetto le popolazioni locali che hanno continuato, non toccati dalle vicende
storiche, la loro vita di pescatori praticamente indisturbati ( si è calcolato un
pescato di 355 chili di pesce per famiglia all'anno).
DON KHONG è l'isola più grande dell'arcipelago ed è la normale base di
partenza per le escursioni nella zona. L'isola ha una serie di piccoli villaggi
e di venerati templi buddhisti che la rendono interessante e piacevole.
Ma indubbiamente è la navigazione nell'arcipelago il momento più
intrigante. Si viaggia senza meta, seguendo il corso della corrente,
scegliendo un canale piuttosto che un altro, tra profili di isole, canali tra
rocce, palme ondeggianti al vento, ciuffi di vegetazione che emergono
dalle acque, sotto un cielo che, risentendo ancora della coda del monsone,
passa da un limpido celeste a un colore plumbeo all'orizzonte dove le nubi
monsoniche son accumulate.
Poi rientriamo per partire per un'altra meta.
Ritorniamo sulla terraferma, la sponda orientale del Mekong, questa volta
attraversando un piccolo braccio di fiume, in pochi minuti.
Ci dirigiamo alle CASCATE di KHON PHAPHENG, le più imponenti del
sud est asiatico; qui il Mekong precipita da un plateau di roccia; è una
gran massa di acqua che compie un salto modesto, ma dopo il monsone
ha una sua imponenza e la vista è piuttosto suggestiva.
Ormai è tempo di tornare.
Rientriamo a Pakxe per scavalcare il Mekong sul “Ponte giapponese” ed entrare
in Thailandia a Ban Huang, da dove, via Bangkok, torniamo infine a casa!
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4 - ETIOPIA
L’Etiopia è un paese che domina l’Africa dall’alto di un altopiano di2500 metri, perché
su questo altopiano c’è la sua storia millenaria.
E’ situata nel “Corno d’Africa”,ciè la parte orientale del continente chesi spinge
nell’oceano con una forma che può essere assimilata a un corno. Nel “Corno” ci sono
altre nazione, l’Eritrea, Gibuti e la Somali, ma è l’Etiiopia che ha la più grande
estensione
Il territorio del paese ha una superficie di 1.128.221 km quadrati (quasi quattro volte
l’Italia), che ne fa il nono paese d’Africa per estensione. Al centro-nord c’è il grande
altopiano, con un’altezza media intorno ai 2500 m. A est c’è la Rift Valley, desertica
con la grande depressione della Dancalia; in questa parte della Rift Valley sono state
scoperte le più antiche tracce di presenza umana (il famoso scheletro dell’ominide
femmina chiamato Lucy). La valle si allunga poi a sud, fino al Kenia e ai grandi laghi
dell’Africa centrale, con la valle dell’Omo, in un territorio verde con laghi e foreste.
Quindi mentre l’est è praticamente desertico e nel sud ci sono ancora tribù che
seguono ritmi di vita e credenze ancestrali, è nell’altopiano che si è sviluppata la
millenaria civiltà che ha fatto dell’Etiopia un crocevia fondamentale tra Africa ed Asia.
La storia
I primi documenti certi datano il 356 d.C. il periodo in cui il re axumita Ezana si
convertì al cristianesimo e fece del suo regno uno dei più antichi regni cristiani e di
Axum la “città sacra d’Etiopia”.
Verso la metà del XII secolo l’antico villaggio di Roha diviene capitale e sotto
l’imperatore Lalibela (1181-1221) ne prende il nome. A questo imperatore, il cui nome
significa letteralmente “gli dei ti riconoscono re”, si deve la costruzione delle 11
straordinarie chiese intese a fornire l’immagine di una “Nuove Gerusalemme”.
Nel 1686 re Fasilidas, stabilisce a Gondar la nuova capitale, che qui rimane per circa
200 anni.
Infine, nell’ultimo decennio del XIX secolo, l’imperatore Menelik II pone termina
all’usanza della “capitale itinerante nel paese” e fonda la nuova capitale in un
prossimità del monte Enoto, a un’altezza di circo 2600 m., in un luogo più centrale e
più ameno. La nuove città viene chiamata Addis Abeba, letteralmente “nuovo fiore”.
Siamo nel 1887.
Arriviamo a i tempi moderni e ci soffermiamo su quanto ci riguarda da vicino. Nel
ventennio fascista il nuovo impero di Roma doveva trovare il “posto al sole”, cioè,
come le altre potenze europee doveva avere le sue colonie in Africa. Gli occhi si
puntarono sull’Etiopia e nel 1935 comincia l’avventura italiana Dall’Eritrea e dalla
Somalia, già colonie italiane, inizia l’invasione con il conseguente abbandono
dell’Etiopia del legittimo imperatore Haile Selassie.. L’avventura termina con la
seconda guerra mondiale. Nel 1941 l’occupazione italiana ebbe termine dopo
l’intervento inglese. In Etiopia ritorna Haile Selassie.
Nel settembre 1974 un colpo do stato militare depone l’imperatore e l’Etiopia diviene
una repubblica.
Siamo ancora nel 1974 quando, il 30 novembre, una equipe di paleontologi trovò nel
deserto della Dancalia il più antico scheletro di un antenato umanoide che venne
chiamato Lucy, ispirandosi a una canzone dei Beatles che era suonata in quei
momenti; nel 1979 il capo spedizione diede il nome ufficiale a questo scheletro fossile
di ominide, ormai divenuto popolare: Australopithecus afarensis, in onore della
popolazione afar che vie in quel luogo. Gli etiopi preferiscono chiamare il fossile
dinquinesh, “sei meravigliosa”.
C. Trovati
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La leggenda
La leggenda narra che ai tempi di re di Israele Salomone, nel 950 a.C., in Africa una
giovane donna di nome Makeda sconfisse il serpente che teneva in schiavitù la città di
Axum; per questo motivo suo padre divenne re e successivamente Makeda divenne la
“Regina della terra di Saba”.
Nell’antico libro conosciuto come Kebre Nagast, “La gloria dei Re”, si narra come
Menelik I, figlio della regina di Saba e di re Salomone, dia origine alla dinastia dei re
etiopi, una delle dinastie monarchiche più lunghe del mondo.
La leggenda continua narrando come Menelik portò l’Arca dell’Alleanza da
Gerusalemme ad Axum, dove viene tutt’ora custodita in una cappella a lei dedicata.
Il viaggio
Addis Abeba
La capitale, situata a 2400 m di altezza si sviluppò su un agglomerato sorto
lungo le carovaniere dell’altopiano dopo l’ampliamento operato da Menelik. La
città offre al visitatore lo spettacolo di uno dei più grandi mercati d’Africa che si
estende lungo ampie vie affollate di persone, asini, carretti e veicoli, che
rendono difficile muoversi e piccoli vicoli stracolmi di merci per cui il transito è
uno slalom continuo tra mucchi di merci, venditori seduti, compratori che
trattano; perciò la guida ci dice che è altamente sconsigliato per noi
avventurarsi a piedi nel mercato, non perché sia pericoloso in sé, ma perché
una volta inoltratosi il difficile è uscirne dalla parte giusta. Vediamo e capiamo!
L’altro luogo interessante è il Museo Nazionale dove c’è la copia dello
“scheletro di Lucy”, cioè l’origina dell’uomo (al momento attuale delle
conoscenze). Poi c’è la città con ampie strade e grandi piazze che introducono
alla modernità, presentata da alti palazzi a vetri. Infine c’è la parte istituzionale
con i palazzi governativi, le chiese egli edifici dell’Unione Africana di cui Addis
Abeba è sede; sono tutte costruzioni “sensibili” e quindi è vietato fotografare.
Il lago Tana e i monasteri copti
Dopo la visita di Addis Abeba, in cui ritorneremo alla fine del viaggio per la
celebrazione del Timkat, ci dirigiamo nel cuore dell’Etiopia.
Le guide locali denominano il percorso che ci accingiamo ad effettuare il “Percorso
della storia” per i luoghi che tocca e le memorie che ivi sono.
L’altopiano, grazie alla difficoltà per raggiungerlo, quando ci si muoveva solo su strade
e sentieri, fin dal medioevo è stato terra di rifugio di numerosi monaci e mistici, la cui
memoria resta ancora oggi tra le montagne del nord. Qui la religione cristiana
ortodossa copta si è radicata e non è stata mai insidiata dall’avanzata dell’Islam,
perciò l’altopiano è rimasto il cuore religioso dell’Etiopia per oltre 1500 anni e continua
ad esserlo.
o
o
Da Addis Abeba giungiamo a Bahir Dar. Sulle rive del lago Tana, la città è
sede di un importante mercato in cui noi turisti siamo oggetto dell’attenzione
dei venditori e dei compratori, specialmente quando nella zona delle spezie
paghiamo la nostra non abitudine agli odori intensi e penetranti starnutendo e
tossendo, tra le risate dei locali.
Da qui pariamo per le cascate Tis Isat, le grandi cascate del Nilo Azzurro. Il
lago Tana è ritenuto la sorgente del Nilo Azzurro. L’antichissima leggenda
racconta che il Nilo Azzurro scendeva dal cielo: erano le lacrime della dea Iside
C. Trovati
29
o
alla ricerca del suo amato sposo Osiride, ucciso dal fratello Seth, che, dopo
essersi raccolte nel lago Tana originavano le piene del fiume.
Le cascate sono ormai ridotte di portata dopo la costruzione di una diga.
Comunque rimane il fascino del salto dell’acqua che da un largo bacino
precipita in una stretta gola, meritando il nome Tis Isat, “acqua fumante”. Da
questo punto il Nilo, scavando l’altopiano per più di 600 chilometri, arriva a
Karthoum e si unisce al Nilo Bianco, formando il Nilo che attraversa l’Egitto.
Dopo le cascate ci rechiamo al lago, perché è un contenitore di grandi bellezze
artistiche. Il lago, situato a1840 m di altitudine ha una forma ovale di 75 km per 60 km.
E’ punteggiato da 37 isole e isolotti su cui sono celati 20 monasteri, risalenti a un
periodo compreso tra il XIII e il XVIII secolo, che testimoniano un’antica tradizione
contemplativa; si racconta che qui sia stata nascosta l’Arca dell’Alleanza durante i
periodi bui della storia etiope. E’ quindi un luogo di bellezza e di storia.
Iniziamo l’escursione in battello sul lago Tana per raggiungere i monasteri.
Le chiese che vedremo sono la parte più significativa del monastero e seguono un
codice religioso-architettonico nella loro struttura:
o la costruzione è composta da un portico che immette alla chiesa di forma per lo più
circolare con tre ingressi: quello centrale riservato ai sacerdoti, i due laterali sono
uno per gli uomini e l’altro per le donne,
o lo spazio esterno, il portico e il primo spazio interno sono per il popolo, la parte
centrale della costruzione è riservata ai sacerdoti e viene chiusa durante le
celebrazioni riservando il “sancta santorum” al clero;
o lo spazio sacro è il luogo dove viene conservata l’Arca dell’Alleanza, poiché ogni
chiesa ne ha un simulacro;
o le cerimonie devono essere guidate da almeno due sacerdoti e tre diaconi;
o tre sono gli strumenti che accompagnano la salmodia:il bastone per definire il ritmo
e l’intensità (utilizzato anche come appoggio, il tamburo e il sistro:
o le chiese sono costruite con paglia e fango, quindi le pareti sono ricoperte di pelli
su cui gli artisti hanno dipinto splendide storie della Bibbia, figure di santi,
raffigurazioni di Cristo e della Madonna, con uno stile particolare, semplice ma
sorprendente;
o i dipinti hanno un loro codice: le figure sono rappresentate di fronte, manca la
profondità e la prospettiva, le anime buone sono rappresentate di fronte, quelle
cattive di profilo, i santi e le persone buone sono di colore chiaro mentre o demoni
sono neri, gli angioletti quasi immancabili in ogni chiesa sono rappresentati solo
con viso e ali, hanno sguardi rivolti a varie direzioni volendo esprimere che siamo
sempre sotto il loro occhio vigile. Queste rappresentazioni ripetitive riescono ad
essere comprese anche dalle persone che, non sapendo leggere e scrivere, non
usano i libri ma intuiscono dalla pittura.
Tanti sono i monasteri e tante sono le chiese, ricordo i più importanti
1 – Monastero di Narga Selassie –S.Trinità- si trova sull’isola di Dek, la più grande
del lago, con la chiesa del 700, dagli interni completamente dipinti. E’ stata la prima
che abbiamo visto, perciò la ricordiamo: per la sorpresa, per la bellezza inusuale, per
la semplicità..
2 - Chiesa Azwa Mariam - Santa Maria
3 - Chiesa Ura Kidane Meheret - La Parola del Perdono. Si trova sulla penisola di
Zeghie ed è esempio significativo dell’arte medioevale etiope. E’ una delle più belle del
lago Tana per l’interno completamente ricoperto da splendide tele dipinte. Vicino ad
essa stanno costruendo il nuovo museo per valorizzare gli arredi, i libri, le croci etiopi.
Lasciamo il lago e raggiungiamo Gondar, via terra con una strada tra le montagne:
pochi chilometri, lungo tempo di percorrenza, ma almeno il panorama è bello.
C. Trovati
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• GONDAR
La città è situata su una piatta dorsale circondata da una corona di monti elevati oltre i
3000 metri. Sede degli imperatori etiopici nei secoli XVII e XVIII, conserva di quel
periodo le pittoresche rovine dei castelli imperiali ed alcune delle sue 44 chiese.
Quando Fasiladas la elesse a sua capitale permanente nel1635, Gondar non era che
un villaggio insignificante; divenne grandiosa con la costruzione della città murata in
perfetto stile medioevale portoghese..
Il complesso dei castelli occupa circa 70.000 m/q
1° - Alem-Seghed Fasil’s Castle -1632-1667
E’il più grande, presenta influenze portoghesi ed indiane
Si sviluppa su tre piani: il primo dedicato a cerimonie regali o religiose; poi c’è il
balcone da cui il re parlava al popolo; il secondo con le camere da letto; il terzo
con il grande terrazzo da cui controllare il territorio; da qui la visuale arrivava fino
al lago Tana
2° - Adiam Seghed Iyasu’s Castle -1682-1706
Castello del figlio di re Fasil. E’più piccolo, piùbello; ha il tetto sfondato
3° - Birhan Seghed Kuregna Iysau Anditegie Mintiwab’s Castle 1730-1755
Il castello della Regina - non visitabile
4° - Messih-Seghed Bekafa’s Castle 1721- 1730
Abbinato alla Sala delle Feste era il posto delle stalle per i cavalli degli invitati
Il complesso comprendeva inoltre:
- L’Archivio
- La Sala delle Feste
- La sauna
- La Biblioteca
- Le gabbie dei leoni
Questo complesso è il centro storico della città; per il resto Gondar è molto semplice,
abbastanza piccola e tranquilla e con pochi altri punti di interesse.
• Bagni di Fasilidas
Pare fosse un castello costruito appena fuori città per il riposo del re; è un
palazzo, circondato da un ampio parco, che si specchia magicamente
nell’acqua calma della piscina rettangolare. In questo ambiente, oggi, si svolge
la cerimonia del battesimo di purificazione che si effettua in occasione
dell’Epifania copta: in questa occasione tutte le chiesa di Gondar e dintorni –in
tutto 44- convergono qui recando la “copia” dell’Arca dell’Alleanza in
processione, sacerdoti e fedeli.
• Chiesa di Debra Berhan Selassie, “Monte della Luce della Trinità’” – XVII
sec.Una delle più belle ed interessanti chiese etiopi. L’unica chiesa di Gondar non
distrutta dai musulmani perché – dice la leggenda - era avvolta da un nugolo
di api e non è stata vista. L’altra singolarità sta nel fatto che la chiesa è
rettangolare. Sulla cima del tetto si eleva una lavorazione con 7 uova di struzzo
simboleggiante i 7 sacramenti. L’interno è totalmente dipinto e in particolare il
soffitto è completamente riempito di volti di angioletti che guardano i fedeli con i
loro occhioni spalancati. E’uno dei capolavori delle chiese etiopi. Quando la
visitiamo, all’interno abbiamo una sorpresa; assistiamo alla salmodia dei
Sacerdoti e diaconi essendo la vigilia della Festa della Trinità; e’una cerimonia
intensa e partecipata di canti rituali e liturgici accompagnati dai tamburi sacri,
da tintinnare dei sistri e dal cadenzare dei bastoni.
• Resti del Castello della Regina Mimtwab comprendente anche la chiesa
personale e un battistero, che si trova alla periferia della città, inun luogo
riparato e tranquillo.
C. Trovati
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Partiamo con un volo che per andare ad Axum passa prima per Lalibela (come dire
che per fare Milano-Lodi bisogna prima passare da Bergamo), ma queste sono le linee
aere etiopi!
• AXUM
La città fu capitale del più grande regno dell’antichità africana, Il regno axumita nacque
qualche secolo prima di Cristo e raggiunse il massimo splendore intorno al III secolo
d.C. Le colossali steli e le rovine dei palazzi danno un’idea della sua potenza. Qui è
conservata secondo la tradizione etiope la mitica “Arca dell’Alleanza” contenente le
originali “Tavole della Legge” consegnate da Yahweh a Mosè sul monte Sinai, poi
rubate dal Tempio di Gerusalemme da Menelik, il primo imperatore di Etiopia, figlio
della Regina di Saba e di Re Salomone. A motivo di questa presenza, ad Axum è
vietata la costruzione di moschee o l’esposizione di simboli islamici.
•
Il Parco delle Steli
Le steli indicavano il luogo delle tombe dei diversi personaggi: più il
personaggio era potente più la stele era alta e lavorata e ad ogni riquadro di
decoro (che si incrociava con altri grazie a raccordi detti “teste di scimmia”)
corrispondeva una stanza funeraria sotterranea (9 riquadri, 9 stanze funerarie).
Nel parco ci sono oltre 100 obelischi di tutte le altezze e le forme. La più alta è
a terra, crollata: aveva un basamento piccolo in rapporto all’altezza (33 m.) ed
ha ceduto; aveva 13 riquadri. Quelle che oggi svettano più alte sono due,
affiancate: la prima, la meglio conservata e la più scolpita, è la stele che
Mussolini aveva portato in Italia e che è stata restituita; la seconda, l’obelisco di
Ezana vissuto nel IV secolo d.C. è alto 23 m ed è il monumento funebre del re,
integra ma più semplice, è imbrigliata perché non cada. Le steli sono tutti
blocchi unici che, si dice, siano arrivati fin qui grazie all’azione e protezione
dell’Arca dell’Alleanza custodita nella chiesa di Santa Maria, a poca distanza
dal parco delle steli.
I luoghi sacri della città sono:
• Chiesa di Maryam Sion (1960) voluta e fatta costruire da Haile Selassie ,
rotonda, moderna, conserva dei testi miniati su pelli di capra
• Accanto, ma distinta e recintata, è situata la Cappella dell’ Arca custodita
giorno e notte da un guardiano che qui risiede e non abbandona mai il luogo:
egli ha il compito di impedire a chiunque l’accesso. Per questo motivo nessuno
ha mai visto l’Arca e tanto meno le Tavole della Legge (quelle date da Dio a
Mosè sul Sinai). Pare che, nel tempo,un ebreo abbia cercato di entrare per
vedere, ma sia stato bloccato in tempo.
• E’ visibile anche la antica CAPPELLA DELL’ARCA ma è visitabile sono dagli
uomini.
• Un museo raccoglie tutti i tesori legati ai riti copti.
Gli altri luoghi della visita sono
• la Piscina della regina di Saba
• alla periferia della città, i resti del palazzo Dongour, costruito, si dice, sui resti
del PALAZZO della Regina di Saba
• a poca distanza, il CAMPO DI STELE (considerato il cimitero dei poveri) della
Regina GUDIT (?) qui situata perché questa regina non era benvoluta
• la necropoli di RE KALEB e del figlio GEBRE MESHEL è situata alla periferia
della città e consiste in cunicoli e camere funerarie costruite con grosse pietre
perfettamente levigate.
• Sulla strada del ritorno sostiamo presso la stele, scoperta per caso, su cui
sono trascritte le gesta del re Ezana in tre lingue: amarico antico (ge’ez);
greco, ebraico antico.
C. Trovati
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Un volo, questa volta diretto, ci porta a Lalibela
• LALIBELA
La città sorge a 2600 m di altezza.. E’ una delle località più affascinanti del pianeta con
le sue splendide chiese ipogee ed uno dei luoghi più sacri e più frequentati dell’Etiopia,
meta di pellegrinaggi che si susseguono ininterrottamente dal XII secolo.
Scoperta dagli europei nel 1520, rimasta sempre isolata a causa del difficile accesso
che ne ha mantenuta intatta l’originalità e la bellezza. E’ situata in una verde conca
che sembra nascondere la sue dodici chiese monolitiche scavate nella roccia.
Sarebbero state costruite da Lalibela, imperatore della dinastia Zegue, intorno al 1225
e nell’arco di 23 anni, usando mano d’opera fornita, forse, da artigiani copti venuti
dall’Egitto o da Gerusalemme. Ciascuna chiesa è ricavata da un unico blocco di gres
rossastro, scavato all’interno e lavorato esternamente in modo da assumer forme di
tetto, facciata, pareti, infine traforato per ottenere porte e finestre.
Le chiese sono separate in due gruppi da un piccolo torrente che simboleggia il fiume
Giordano della Palestina. Il gruppo nord-occidentale comprende sei chiese che sono
scavate nel terreno; quello orientale ne comprende altre cinque che si sviluppano
direttamente nel corpo della montagna; la dodicesima si trova isolata dalle altre ed è
scavata nel terreno.
• Il primo nucleo di chiese ne comprende 5 scavate in 23 anni
1° Casa della Madonnina : la più grande (protetta con un riparo decisamente
antiestetico).
In essa è conservata una Croce di 7 kg. d’oro donata dal re Lalibela alla Chiesa.
La Croce tipica di Lalibela si compone di sei sfere a sinistra e sei a destra più una
centrale, a simboleggiare Gesù e gli Apostoli. Lateralmente ornata di 4 ali d’angelo
2° Chiesa di Santa Maria, la più scolpita e affrescata. Al suo interno una “colonna
sacra” che non si può toccare né “svelare”
All’esterno un pozzo sacro in cui le donne sterili venivano immerse per tre volte
3° Casa della Croce , la più piccola
4° Casa della Vergine in ricordo delle 40 vergini ammazzate da Giuliano l’apostata
nel IV secolo .
E’ divisa in due parti. Notevole il dipinto di San Giorgio del XV secolo
5° Chiesa del Golgota comprende una parte, riservata solo agli uomini, con sculture
di santi. Sembra che qui sotto sia stato sepolto re Lalibela
• Il secondo nucleo di chiese comprende:
1° e 2° chiesa : San Gabriele e San Raffaele , collegate fra loro.
Nella prima, caratteristico il quadro con la raffigurazione dell’Angelo Gabriele che salva
dalla fornace cui erano destinate, le fanciulle che non avevano ceduto alla conversione
islamica
Nella seconda , il quadro con l’Angelo Raffaele che salva la chiesa copta
3° chiesa di San Marco rifatta dopo il crollo avvenuto nel XVII sec. Qui il Sacerdote
ha accompagnato la nostra visita col suono del tamburo
4° chiesa dell’Emmanuele. Era destinata alla famiglia reale che qui pregava
5° chiesa san Libanos costruita dalla moglie di Lalibela in una notte, grazie all’aiuto
degli angeli
• staccata, rispetto a questi due complessi, c’è la chiesa di San Giorgio.
Si narra che fu chiesta espressamente dal santo al re Lalibela : una chiesa dedicata a
lui, e che lui stesso ha visitato. Sulla parete esterna sono rimaste infatti le orme degli
zoccoli del cavallo con cui San Giorgio è sceso dal cielo.
E’ una chiesa scavata in un solo monolite, è alta 13 metri
C. Trovati
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Monastero Naakute Laab sito fuori città si presenta formato da una serie di
grotte.
A motivo dell’acqua che scende dall’alto e che viene considerata santa, è méta anche
per la gente che raccoglie l’acqua da ciotole di pietra che nel tempo sono state
scavate proprio dall’acqua che dall’alto gocciolava.
Il monastero conserva arredi sacri (corone, croci, pastorali,paramenti) e manoscritti
miniati
•
• RITORNO A ADDIS ABEBA PER IL TIMKAT
Il Timkat, l’Epifania copta, è forse la più importante festa religiosa dell’Etiopia. Cade,
secondo il calendario lunare, in gennaio, qualche giorno dopo la nostra Epifania. Nel
Timkat si celebra anche il battesimo di Gesù Cristo ed è questa cerimonia che occupa
i due giorni dedicati alla ricorrenza.
Il pomeriggio della vigilia i preti, addobbati con elaborate vesti e ombrelli finemente
ricamati, escono in processione da tutte le chiese della città portando sul capo il Tabot
tavole in legno o pietra ricoperto da vari strati di stoffa preziosa. Il Tabot rappresenta
l’Arca dell’Alleanza contenente i 10 Comandamenti. I vari cortei, seguiti dai devoti, che
manifestano la loro fede con balli e canti e lentamente raggiungono il grande spiazzo
dove il giorno successivo si celebrerà la festa. Qui alla presenza della massima
personalità religiosa della chiesa copta etiope, il patriarca Abuna Paulos, si allineano
le Arche dell’Alleanza con accanto preti e diaconi con le rispettive croci. Si celebra la
funzione religiosa con canti e litanie che si diffondono tutt’attorno; la funzione, con i
suoi vari passaggi, dura tutta la notte.
Al mattino c’è il culmine del Timkat: il ricordo del battesimo di Gesù con la benedizione
dell’acqua con cui saranno aspersi tutti i fedeli. Infatti al termine della messa il
patriarca seguito dagli altri religiosi benedice prima la piscina che ricorsa il fonte
battesimale, poi immerge la propria croce nell’acqua e spruzza i circostanti.
Mentre i sacerdoti benedicono la folla, che oramai raggiunge decine di migliaia di
fedeli tenuti fuori dall’area del culto da un imponente servizio d’ordine, si terranno una
ulteriore processione delle Arche dell’Alleanza giunte ieri ed altre funzioni che
centinaia di preti e diaconi accompagneranno da canti al ritmo dei tamburi e sistri.
C. Trovati
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5 - MAGADASCAR
E' la più grande isola africana con 587.041 km quadrati di superficie e la quarta
isola nel mondo. Situata nell'oceano Indiano al largo della costa sud-orientale
del continente, è separata dalla terraferma dal Canale di Mozambico che ha
una larghezza compresa tra i 460 e i 950 km.
Su questo territorio vivono 18 milioni di abitanti, di cui la metà dal punto di vista
religioso è dedita ai culti tradizionali e locali, mentre il restante della
popolazione pratica il cristianesimi, grosso divisa in parti uguali tra il
cattolicesimo e il protestantesimo.
La capitale dello stato è ANTANANARIVO, con circa 1.400.000 abitanti, situata
sull'altopiano a 1250 m di altezza.
Il carattere distintivo dell'isola è il colore rosso intenso del terreno, ricco di
ferro; proprio per la grande presenza di questo tipo di terreni il Madagascar
viene chiamato l' “Isola Rossa”.
Nell'isola possiamo distinguere alcune zone con caratteristiche precise: il nord
è collinare, coperto da foreste, umido e per questo è poco abitato; il centro è il
cuore del paese, è un enorme altopiano tra i 1200 e i 1500 metri di altezza con
un clima temperato dall'altitudine e qui vive la maggior parte della popolazione;
Il sud è più desertico con grandi pianure alternate a foreste, adatto alle
coltivazioni, con la popolazione concentrata in alcuni villaggi e nelle città
importanti. Complessivamente questa conformazione fisico-orografica non
favorisce un'agricoltura intensiva e, mancando importanti materie prime, non ci
sono fabbriche e industrie. Quindi il paese è povero, molto povero e la gente
dei villaggi lo dimostra.
Attraversare il Madagascar significa fare un viaggio “naturalistico” attraverso
foreste , savane, gruppi rocciosi, con un unico tipo di animale, il lemure, un po'
il simbolo del paese. E' un viaggio in un' “altra Africa” completamente diversa
dal continente. La prima cosa che salta all'occhio è la mancanza di quelli che
siamo abituati a chiamare “animali africani”: niente leoni, elefanti, giraffe, bufali,
zebre, ecc.; ci sono solo camaleonti e lemuri, tanti lemuri di tipi e specie diversi,
ma solo lemuri.
I lemuri sono delle “protoscimmie” la cui storia evolutiva rimane
enigmatica: Sono endemici in Madagascar, unico paese in cui si trovano
perché, negli altri paesi, ad essi subentrarono le scimmie e gli altri
primati. La maggior parte di essi ha abitudini arboricore e notturne e si
nutre principalmente di frutta e di insetti.
C. Trovati
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IL VIAGGIO
Antananarivo
Arriviamo ad Antananarivo, la capitale. La città è adagiata sul fianco di una
altura che domina una fertile pianura. Non ha caratteristiche particolari se non il
vivacissimo mercato che, specie nella parte floreale esplode in brillanti e
variegati colori. Nel passato gli edifici della città erano costruiti con legno e
giunchi; con l'introduzione della pietra e del mattone (fine del XIX secolo) la
città venne ricostruita e ora presenta numerose strutture di stile europeo,
compresi i palazzi reali, le chiese anglicana e cattolica, la residenza francese.
La città è vivace, specie nelle aree del mercato, pulita e con un traffico ridotto,
Salendo sulla collina a est, si gode un'ampia vista della città.
Dalla capitale parte una strada asfaltata che si dirige verso sud: è la grande e
unica strada di comunicazione tra l'altopiano centrale e i territori e le città del
sud; perciò ci incamminiamo su questa strada.
Una volta in viaggio il panorama cambia radicalmente. Incontriamo risaie in cui
la cura del riso è ancora fatta a mano da donne, con i piedi immersi nell'acqua;
lungo la strada ci sono le “fabbriche di mattoni crudi” con montagne di mattoni
di fango, argilla e paglia messi ad asciugare e poi composti in mucchi riscaldati
da un fuoco interno; la gente è vestita in modo dimesso e lungo la strada nei
villaggi sono esposte le verdura prodotte dalla famiglia. E' un primo, forte
impatto con la povertà del paese. Viene compensata, se così si può dire, da
una natura rigogliosa e splendida, anticamera del primo parco nazionale che
visitiamo.
Dalla strada si dipartono altre strade, questa volta in terra battuta che
conducono a lontani villaggi, nascosti dalle piante e dalla vegetazione
rigogliosa. Poi la strada si inoltra tra dolci colline, mentre le chiare acqua dei
torrente gorgogliano a valle. Poi altri villaggi sono sul bordo della strada, con le
case di stile coloniale in mattoni che hanno grandi terrazze coperte su cui sono
stesi i panni.
Adesso è il momento del primo parco.
Parco nazionale di Ronomafama
Si trova a circa 60 km da Fianarantsoa e ha un clima tropicale umido.
Copre una superficie di circa 40.000 ettari di foresta pluviale su un massiccio
montagnoso, ad una altitudine compresa tra gli 800 e I 1200 m ed è ricco di
sorgenti e cascate. Vivono 12 specie di lemuri.
Noi facciamo una escursione nella foresta, In breve siamo fradici di sudore,
sentiamo le foglie stormire quando i lemuri balzano da un albero all'altro, ma in
quanto a vederli … alla prossima volta! Però gustiamo il percorso tra sentieri
semi sommersi dalla vegetazione; siamo acompagnati dal mormorio delle
limpide acque dei torrenti che costeggiamo apiù riprese. Prima di lasciare il
parco incontriamo un villaggio di poche case, molto semplici, ai bordi di un
piccolo bananeto; l'impressione che abbiamo ricevuto lungo la strada si
rafforza: c'è aria di povertà, persone dall'aspetto dimesso che ci accolgono
forse con curiosità, ma senza animosità. Non siamo proprio a nostro agio e
quando è il momento ci allontaniamo volentieri.
• Arriviamo a Fianarantsoa.
La città situata a 1500 m di altitudine, è della prima metà del'800, quando la
regina Ranavalona ne volle fare una “seconda capitale”, almeno nelle
intenzioni, e in effetti l'urbanistica della città è ispirata a quella di Antananarivo
C. Trovati
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con una suddivisione in una città alta con una cattedrale egli edifici storici, una
città media sede di uffici e banche, una città bassa polo commerciale e sede
della stazione ferroviaria. Vista in distanza la città alta, sul culmine della collina
sembra una cittadina bavarese con chiese e campanili che svettano, case alte
e tetti acuti; su tutto spicca la cattedrale di Ambozontany.
Proseguiamo e il panorama continua ad essere fatto da risaie, fabbriche di
mattoni. Ci fermiamo in un villaggio affogato nella terra rossa perchè espone I
suoi prodotti lungo la strada; si tratta di lavorazioni artigianali fatte con fili
bianchissimi ottenute sfibrando foglie di agave; il contrasto rosso dell'ambiente
e bianco dei lavori è impressionante; qui gli abitanti sono cordiali e sorridenti
(sono commercianti e devono vendere!).
Proseguiamo e a un certo punto accostiamo per lasciar passare una grossa
mandria di zebù, condotta dai pastori, che con il loro lento e tranquillo passo si
stanno dirigendo ad Antananarive; è la carne che alimenta la capitale!
La mandria viene da Ambalavao, il grande mercato di bestiame della zona. Vi
arrviamo in poco tempo, giusto in orario per osservare e camminare nel
mercato, ancora in corso: un ampio spazio in terra battuta è affollato da grossi
animali in attesa del compratore e pastori avvolti in teli colorati per proteggersi
prima dall'umidità della notte (sono partiti con il bestiamo nella notte dai
villaggi per esserre in tempo ad Ambalavao), ora dal sole. A lato si estende il
mercato di generi alimentari e tessuti.
Ripartiamo e attraversiamo una immensa distesa di erbe, piatta fino all'infinito:
“tanto grande da non riuscire a vederne la fine”; è l'altopiano dell ' Horombè; la
guida ci dice che è lungo una cinquantina di chilometri e noi dobbiamo
percorrerla per arrivare al parco, nostra mete
• Parco nazionale dell' Isalo
Si trova a700 km da Anatananarivo ed ha un clima tropicale secco, che
raggiunge i 35°. E' costituito da un grande massiccio roccioso eroso da profondi
canyon, con numerosi corsi d'acqua che lo solcano. Le escursioni che facciamo
ci fanno incontrare i lemuri, tanti lemuri, sugli alberi, saltellanti sul terreno con la
coda lunghissima e gli enormi occhi che ti fissano intensamente, aspettandoti;
ci lasciano avvicinare e poi tranquillamente se ne vanno, senza fretta.
L'escursione nel parco è magnifica per la grandezza dell'ambiente, per I colori
delle rocce che emergono dai cespugli o dalla distesa d'erba, per il magnifico
cielo celeste, per le pozze di acqua limpida in cui ci si può bagnare. Il
paesaggio è di rara bellezza, caratterizzato da montagne dai colori caldi e dalle
forma più strane dovute all'erosione costante degli agenti atmosferici che si
alternano atratti di savana.
− Il sud
Siamo di nuovo in cammino e siamo diretti decisamente a sud, sulla costa.
In questo percorso incontriamo i baobab del Madagascar che sono
completamente diversi da quelli del continente: sono altissimi fusti lisci e diritti,
con un ciuffo di rami in cima.
Attraversiamo altri vasti spazi in cui, talvolta, ci sono mandrie di zebù al
pascolo e giovani pastori che giocano con I camaleonti, mostrandoceli
orgogliosi.
Arriviamo a Tulear, sulla costa sud occidentale.
C. Trovati
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Da qui ripartiamo l'indomani per raggiungere via mare Anakao e l'isoletta Nosy Ve, in
uno splendido mare verde, azzurro, su cui si dondolano colorate barche di pescatori,
con ampie spiagge ricche di grosse e belle conchiglie. All'orizzonte la spuma bianca
delle onde indica la barriera corallina.
Adesso con un breve volo ci trasferiamo sulla costa sud orientale a Fort
Dauphin, Da qui partiamo per escursioni alla Baia di Locaro e lungo la costa.
Dopo un viaggio di circa tre ore arriviamo all'ultimo parco, ma prima ricordiamo
il magnifico percorso attraverso zone umide, caratterizzate da risaie,
piantagioni di banane, che si alternano a zone aride, caratterizzate da piante
grasse e spinose. Le foreste di questa zona sono dette “foreste spinose”
perché formate da alberi i cui rami invece delle foglie hanno spine lunghe e
dure. Attraversiamo ettari di piantagioni di sisal, un tipo di agave dalle cui foglie
si ricava una fibra usata per corde e lavori di artigianato..
Siamo al parco.
Riserva naturale di Berenty
E' situata a sud ovest di Fort Duphin. Nonostante non abbia una grande
estensione è una delle riserve più famose e importanti del Madagascar.
Comprende una foresta di tamarindi ed è possibile vedere molti lemuri ed
avvicinarli. Così facciamo nel nostro giro e quando i lemuri se ne vanno
assumono una posizione eretta sulle gambe posteriori e se ne vanno con balzi
laterali.
Così facciamo anche noi, ce ne andiamo perchè il viaggio in Madagascar è
finito!
C. Trovati
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