DIARI DI VIAGGIO II PARTE dispensa relativa agli incontri del 2010 – 2011 – 2012 Il “viaggio” nell’immaginario collettivo è uno spostamento verso paesi lontani, magari esotici o avventurosi. Noi, attraverso gli incontri di Diari di Viaggio abbiamo visitato alcuni di questi paesi, lasciandoci affascinare dalla “diversità” o più semplicemente dalla “bellezza” in tutte le sue forme. Ecco quindi raccolti sotto il nome di “viaggi oltremare” i paesi presentati negli anni 2010, 2011, 2012. 1. 2. 3. 4. 5. C. Trovati in America, gli Stati Uniti, visitando il favoloso “Far West”, in Asia, la Thailandia in Asia, il Laos In Africa, l’Etiopia in Africa, il Madagascar. 1 1 - IL VIAGGIO NEL SUD-OVEST AMERICANO Questo viaggio è una limitata immersione in quella parte di territorio che venne chiamato “Far West”, patria di indiani, bisonti, carovane, cow-boys. Oggi vi ritroviamo territori parzialmente modernizzati che conservano panorami spettacolari, una natura eccezionale ed enormi città, quasi come contro altare. Sono questi due aspetti, le città dell’Ovest e gli immensi panorami, che incontriamo in questo viaggio, attraversando alcuni stati del sud-ovest: Calfornia, Arizona, Utah, Nevada., nomi altisonanti nella “leggenda del West” e dove si trovano città mitiche, sebbene per altre caratteristiche: Los Angeles, Las Vegas, San Francisco. Il primo approccio col suolo americano avviene con l’arrivo in California e, segnatamente, con lo sbarco nella città di Los Angeles, che merita una sosta. • California E' uno degli stati più grandi degli USA ed è chiamato il “Golden State”, lo stato dorato, lo stato d'oro, in ricordo del periodo della scoperta delle miniere d'oro, per cui esplose la “corsa all'oro” che, intorno alla metà del XIX secolo, ha attirato in California persone di tutte le specie: dalle famiglie in cerca di una terra in cui vivere e prosperare, a quelli che speravano in una fortuna immediata, a quelli disposti a rompersi la schiena scavando e filtrando terra su terra, agli avventurieri a cui tutto andava bene pur di far soldi. Così la California si è popolata. Ma forse nel “nickname”, il soprannome della California, si riflettono le ampie distese di pianori e colline che, nel corso dell'anno assumono un caldo colore dorato. A proposito delle miniere d'oro si pensa che quello scavato con i semplici mezzi a disposizione in quel tempo, sia una minima parte di quello presente nel sottosuolo, almeno secondo le stime e le proiezioni dei geologi. Comunque sia, i tempi della libera ricerca e di liberi scavi sono terminati. Ora l'oro della California è più simile a quello prodotto da Hollywood o dalla Silicon Valley (anche se quest'ultima è in declino a favore dell'India di Bangalore). Le città del West LOS ANGELES, fin dove si può esagerare? E’ la seconda città degli Stati Uniti, che si è sviluppata in orizzontale, e segnatamente in lunghezza, perché il territorio sismico non consente di costruire grattacieli e le colline la limitano ad est; perciò la città è larga circa 60 chilometri e lunga circa150 km. Una curiosità: il nome completo della città è El pueblo de la Iglesia de Nuestra Senora la Reina de Los Angeles de Porciuncola, ma è universalmente conosciuta come Los Angeles. L’insediamento originario avviene nel settembre 1781, da parte di coloni messicani, sulle sponde del fiume. Nel 1847 la California passa agli Stati C. Trovati 2 Uniti e il 4 aprile 1850, l’insediamento assume lo stato di città. Cinque mesi dopo la California diventa il 30° stato dell’Unione. Dalla scoperta del petrolio nel 1892, la città ebbe un enorme incremento. A Los Angeles tutto è esagerato, almeno nella Los Angeles in cui portano i turisti. Perché dico questo? Perché secondo il modo di vita e il metro di giudizio a cui siamo abituati, questa città ha degli aspetti incredibilmente oltre i nostri limiti. Secondo il racconto della guida una estensione così enorme è incontrollabile, quindi ci sono alcune zone o interi quartieri, che vivono di vita propria e che sono inaccessibili agli estranei; alcuni sono degradati, altri sono sovraffollati, altri sono violenti, altri semplicemente sono insofferenti al resto della città, quindi … qui non si entra e non solo i normali cittadini, ma anche la polizia. Ecco perché la visita di Los Angeles si limita ad alcune zone,.per cui, quando si parla di Los Angeles (e quando la si visita) si nominano Beverly Hills, Hollywood e, sulla costa, Santa Monica, Malibù; questi sono lo specchio della città “bene”, affollata di turisti, visitatori, uomini d'affari, politici. Delle altre zone non conosciamo nulla, neanche il nome. Beverly Hills. Cominciamo dal luogo ove siamo alloggiati. Dopo quello che abbiamo saputo sui quartieri della città siamo sistemati ovviamente nel quartiere bene per eccellenza. Non vorrete che ci facciamo una cattiva impressione della città? Quindi il nostro hotel è il Beverly Hilton Hotel, che detto così lascia abbastanza indifferenti. Poi scopriamo, dal racconto della guida, che qui, la settimana precedente alla nostra, ha alloggiato Barak Obama e famiglia, perché lo standard dell'hotel è appropriato a un presidente degli USA. Figuratevi i poveri clienti a cui venne impedito l'accesso alle camere, l'uso degli ascensori e di alcuni spazi dell'albergo durante i movimenti di cotanta famiglia. Beverly Hills è una lussuosa municipalità di Los Angeles con lussuose ville, lussuose costruzioni adibite al terziario, lussuosi giardini ben tenuti e strade percorse da lussuose auto, tra cui incede pomposamente una grande quantità di lussuose limousine. Qui è possibile ammirare una moltitudine di abitazioni in perfetto stile californiano, le quali dimostrano l'esclusività della vita e del luogo in cui si trovano, nonché il tenore della stessa certamente al di sopra della media americana. Beverly Hills è il luogo di residenza di molte star di Hollywood Il cuore della municipalità è Rodeo Drive. Questa strada deve il suo nome al fatto che agli inizi degli anni 50 era principalmente un sentiero dedicato al passaggio dei cavalli. Negli anni settanta divenne un quartiere commerciale fino a diventare, oggi, una delle zone più care al mondo. Questa strada, ma definirla strada è riduttivo, questo simbolo del lusso e del buon gusto è stato glorificato in numerosissimi film, cosicché è diventato l'oggetto del desiderio popolare, almeno come passeggiata, per poter dire: io l'ho visto, io ci sono stato. Rodeo Drive è effettivamente una magnifica strada, deliziosa nella sua protetta tranquillità, pulita, ordinata, con splendide costruzioni che la delimitano, con rigogliose palme, cespugli in fiore e curatissime aiuole. Sulla strada si affaccia il meglio del lusso mondiale: pensate ai grandi nomi, alle grandi firme dell'abbigliamento, della pelletteria, degli orologi e dei gioielli, qui ci sono tutti, in scintillanti negozi che si aprono in eleganti palazzetti a loro dedicati; non c'è l'affollamento del centro commerciale, ma c'è la silenziosa intimità di uno spazio riservato, quieto, protetto, che garantisce serenità durante la scelta di un C. Trovati 3 prodotto di alta qualità. Tutto è studiato per uno shopping di alto livello. Le costruzioni che costeggiano lo strada sono rigorosamente a un piano, in modo da rendere uniformemente gradevole la prospettiva, sono case e palazzetti scintillanti che trasudano eleganza e ricchezza, con colonne, vetrine elegantemente acconciate, ingressi suntuosi, centri di shopping di altissimo livello; nella strada non ci sono abitazioni e, curiosamente neppure banche (l'ostentazione del denaro è volgare), ma una fila ininterrotta di boutiques e atelier. A noi non resta che osservare dall'esterno. Una curiosità: qui, nel centro di Beverly Hills termina la più famosa strada di tutti gli Stati Uniti, la mitica Historical Route 66, la strada che attraversa tutti gli States da est a ovest e che negli anni della beat generation ha incarnato il sogno della libertà on the road, la strada come luogo di vita libera. Hollywood Boulevard. Questo è il secondo luogo immagine della città e, come dice il nome, è il simbolo dello spettacolo e del cinema. Una lunga ed ampia strada da cui si sale sulla collina su cui, tra gli alti alberi e la curata vegetazione che le nascondono alla vista, ci sono le ville di molte stars del cinema, fa entrare nel mondo dello spettacolo. Su questa via ci sono i grandi teatri di Hollywood. Cominciamo dal Graumont Chinese Theatre, una curiosa costruzione di stile vagamente cinese Ma il teatro deve la sua notorietà alla piazza antistante ove sono impresse nel cemento le impronte dei piedi e delle mani della grandi stelle cinematografiche di tutti i tempi. Qui c'è un imperdibile pellegrinaggio, imperdibile per i fans che qui, naso per terra, cercano le amate impronte del proprio attore/attrice preferito/a. Così capita che, guardando solo il cemento, ci si scontri, ma senza imprecazioni, anche questo fa parte del rito. Poco più avanti c'è il Kodak Theatre, il teatro in cui si svolge ogni febbraio la cerimonia della consegna degli Oscar, una imponente costruzione classica del '900; qui bisogna immaginare il famoso “red carpet”, il tappeto rosso, su cui sfilano le celebrità concedendosi all'ammirazione e alla glorificazione dei fans. Nel teatro non si entra, allora ci si accontenta dello scalone d'onore. Di fronte a questo teatro, sull'altro lato della strada, c'è il “the El Capitan Theatre”, una grande costruzione dedicata alla proiezione di film della Walt Disney, solo ed esclusivamente di questa casa produttrice. Ma il meglio è sulla strada. Il boulevard è affollato, un sacco di gente si muove lentamente scrutando il marciapiede. Siamo arrivati al “Hollywood Walk of Fame”, “la passeggiata hollywoodiana delle celebrità”. Sui marciapiedi, da ambo i lati, ci sono tantissime stelle rosa, sono 2400, ciascuna dedicata a un personaggio dello spettacolo, attori, registi, cantanti, … Qui si celebra il “rito”: consiste nel passeggiare senza troppi urti con gli altri pedoni, cercando sul terreno la stella dedicata al personaggio del cuore. Per alcuni sembra essere ragione di vita. Trovato l'oggetto della ricerca si scatenano i richiami, gli strilli di gioia, le fotografie. Il massimo è raggiunto quando vediamo un assembramento che muta continuamente nelle persone che lo compongono, ma non diminuisce mai di numero. Ci avviciniamo e capiamo tutto: la stella sull'asfalto è dedicata a Micheal Jackson e una turba di ragazze si spinge per conquistare il posto, sedute o sdraiate sul marciapiede in posa di abbraccio alla stella, si fanno fotografare a turno, tra gridolini ed esclamazioni di gioia. Questa sì che è passione da fan che supera la morte. Di fianco al Kodak Theatre si apre una piazza che, a noi abituati alle piazze medioevali o rinascimentali o ai sagrati delle cattedrali, sembra l'insieme di un incubo: immaginate una piazza circolare lastricata con marmo, con tavolini, C. Trovati 4 ombrelloni e palme, edicole per bibite e hot dogs, al centro una fontana a livello terra che sprizza acqua da numerosi getti; dalla piazza si accede a scintillanti negozi e alle balconate di un grande centro commerciale; poi … alcuni bianchissimi “gioielli architettonici danno lustro alla piazza”: ci sono due grandi bianche colonne panciute con il capitello bombato che sorregge un piedestallo adornato con sagome di leoni, ciascun piedestallo sorregge un bianco elefante rampante (questi sono animali che normalmente si trovano nei deserti americani!); la piazza è chiusa da un arco, bianco ovviamente, che costituisce un ponte sulla piazza, i piloni dell'arco sono decorati con figure e motivi che richiamano l'arte della Mesopotamia assiro-babilonese, anche la forma dell'arco è smussata in stile mesopotamico. In questa piazza gli architetti hanno raggruppato tutto quello che si può senza una logica, secondo una loro visione personale che rappresenta il meglio: cibo, shopping, relax, visoni esotiche di luoghi lontani. Sarà, ma Campo dei Miracoli è tutta un'altra cosa! Però sulle passerelle interne all'arco si gode la vista più famosa di Los Angeles: osserviamo una collina terrosa con cespugli che ricoprono le pendici, ma con una scritta a caratteri cubitali, HOLLYWOOD! il nome che è il sogno di generazioni di ragazze o ragazzi. Questa immagine è stata talmente riprodotta da identificare una città, un mondo, un possibile avvenire, quindi … è imperdibile!. Siamo sul Sunset Boulevard, il “Viale del Tramonto”, da cui a un certo punto, è possibile accedere alla collina di Hollywood dove molte stelle del cinema, e molti ricconi, hanno le loro ville, nascoste da cancelli, mura e alberi. Questo viale è lungo 39 km, dal centro di Los Angeles fino alla costa del Pacifico, e attraversa numerosi quartieri e municipalità ormai parte della grande L.A., tra cui Hollywood, West Hollywood, Beverly Hills, Bel Air. Durante il giorno è frequentatissimo il tratto chiamato “Guitar Row” (“La fila di chitarre”), nella zona di Hollywood; questo nome è dovuto al grande numero di negozi per strumenti musicali e attività legate al mondo della musica. Ma è la parte che va sotto il nome di “Sunset Strip”, a West Hollywood, che è il centro della vita notturna della città; è frequentato per i suoi locali notturni dove si può trovare buona musica di tutti i tipi; ci sono i mostri sacri del jazz, il meglio della musica country e western, il rock, la disco music e così via. Nel nostro percorso possiamo vedere come ciascun locale presenta già con la sua architettura il tipo di musica suonata: così il meglio del jazz si suona in una specie di capannone cadente (ma l'apparenza inganna); la musica country si trova in un locale che esibisce selle, mini diligenze e mini carri dei pionieri; il rock è pubblicizzato da una facciata ricoperta di chitarre, e avanti così. Il boulevard si completa con bar e ristoranti, con tante aiuole fiorite e con una piccola piazzetta che brilla nei colori dei tanti fiori che l'adornano e che ovviamente si chiama Sunset square. Ma Hollywood non sarebbe la mecca del cinema se non ci fossero gli Studios, cioè quei grandi spazi su cui si costruiscono i set cinematografici. Quindi è d'obbligo andarne a visitare uno dei più famosi: gli Universal Studios. Cominciamo da un ingresso scenografico fatto di fontane, di archi e di un monumento al cinema. Poi si entra in un altro mondo. Questo sito enorme è situato in una valle, di cui occupa un'abbondante parte. Si paga un biglietto giornaliero e per tutto questo tempo si vive in un immenso parco di divertimenti, perché la visita è organizzata in modo che, facendo riferimento a un determinato film, si gira nell'ambientazione del film o si partecipa ad azioni che riguardano il film, il tutto condito da effetti speciali, a sorpresa e da spettacoli a tema. Tutto questo è compreso nel biglietto di ingresso. A seconda di dove ti C. Trovati 5 giri, puoi entrare nei mondi del cinema: Shrek, la piazzetta francese, Waterworld, Jurassic Park, i Blues Brothers, il villaggio western … Il modo migliore per raccapezzarsi è quello di prendere il trenino che attraversa gli studios e che, in un'ora e mezza, presenta in modo complessivo il meglio, lasciando poi agli spettacoli dedicati il dettaglio del singolo film qui realizzato. Poi, per quanto lunga sia, la giornata non basta, perché ...QUESTA E' HOLLYWOOD!!! Che cosa rimane di importante? L'oceano! Allora ecco Santa Monica, una delle tante municipalità che fanno parte della grande Los Angeles, è una splendida località che si allunga pigramente sulle rive dell'oceano Pacifico. La sua immensa spiaggia è diventata il “posto di mare” più popolare di L. A. E' il posto popolare perché ci sono altre località, altre spiagge, una per tutte Malibù, ma questi sono quartieri e spiagge esclusivi, protetti e controllati, non accessibili a tutti, ma riservati ai residenti. Santa Monica è invece a disposizione di tutti. L'abitato è elegante, pulito, con grandi viali alberati, palme, aiuole fiorite, il tutto senza eccessi, e con un azzurro cielo sereno. Ma è la spiaggia che si impone. Una passerella pedonale protetta, scavalca la via trafficata e ci porta verso la spiaggia. Questa è molto profonda, con sabbia fine su cui è piacevole camminare per alcuni minuti, il tempo necessario per attraversarla e giungere sul bagnasciuga dove l'oceano, oggi, si frange con piccole onde che si susseguono incessantemente. Sulla spiaggia sono chiaramente visibili le postazioni dei bagnini, rese famose dalla serie americana “Baywatch”, quella dei bagnini “fusti” e delle bagnine “formose”. Ora però sono disabitate; non è stagione. Però, anche senza bagnini, posso raggiungere il bagnasciuga per farmi lambire i piedi dalle onde. I parchi nazionali Da Los Angeles mi muovo verso Phoenix attraverso le propaggini del “deserto di Sonora “, deserto che si allunga verso sud fino a raggiungere la sua più ampia estensione nel nord del Messico. Nella fascia californiana il territorio si presenta desertico grazie agli immensi spazi aperti punteggiati da cespugli impolverati e dominati da enormi catus: i cactus Saguaro. Immaginate il panorama. Una grande estensione di terreno desolato, senza apparenti segni di vita a parte un nero nastro di asfalto che si allunga, dritto come un fuso, fino a lontane colline violacee che chiudono l'ancor più lontano orizzonte. Il piattume è interrotto dai cactus saguaro, che spuntano dal terreno, isolati ed enormi, e che si susseguono irregolarmente, quasi distribuiti a caso da una enorme mano dispettosa. E' un panorama selvaggio e affascinante. Per il pernottamento arrivo a Phoenix e sono in Arizona. • Arizona E' uno stato del sud-ovest degli USA, che fa parte della storia della “conquista del West” del XIX secolo. E' uno stato prevalentemente desertico o semidesertico in cui le città sono “sputi nel deserto” nel senso che sono agglomerati che, anche quando sono grandi, sono poco più di un nonnulla nella vastità del territorio, dei meravigliosi deserti dell'Arizona. Oltre alle città, anzi più imponenti delle città, dal deserto emergono le rocce, erose dal tempo e dagli agenti atmosferici, isolate o composite a formare ammassi, forre, profonde valli contornate da bastioni di rocce che C. Trovati 6 qui si chiamano “canyons”. Rocce che cambiano colore durante le ore del giorno; rocce che hanno nomi affascinanti che promettono panorami mozzafiato, un esempio per tutti il “Grand Canyon”. Le città hanno nomi che evocano ricordi diversi dell'epopea della conquista del west, dei cow-boys e dei pellerossa: Phoenix, al limitare del deserto di Sonora, porta dell'Arizona; Flagstaff, porta verso il Grand Canyon; Tucson, città di frontiera dove finiva la legge; Yuma, il penitenziario del West. Tutte queste cose sono l'orgoglio dell'Arizona. Infatti, secondo la consuetudine americana, nella targa dello stato troneggiano l'immagine del cactus saguaro e il profilo che ricorda il Grand Canyon a definire visivamente quelle che sono sentite le caratteristiche dello stato. I parchi nazionali GRAND CANYON, LA MAESTOSA GRANDEZZA Siamo a poco più di 2000 m. di altitudine, sul bordo di una profonda spaccatura della crosta terrestre di dimensioni incredibili. Fino a 1600 metri di profondità, 446 km di lunghezza, 27 km di larghezza. Questo “taglio” nel Colorado Plateau, in parte segnato dal fiume Colorado, è lungo quasi 3000 km, ma solo una parte è il famoso Grand Canyon. Va da sé che di fronte a simili dimensioni l'essere su un “view point”, un punto panoramico, è piccola cosa che mi permette di vedere solo uno “scorcio”, ma impressionante. Sono sulla cima di una grande valle rocciosa di cui non si vede il fondo. Il lato su cui mi trovo precipita verso il fondo con pareti rocciose intersecate da cenge di diverse dimensioni e su cui si intravedono tracce di sentiero. La parete è un susseguirsi di rocce che emergono dal dirupo, che si slanciano verso l'alto, che formano archi. Un lungo canalone si allunga di fronte a me fino a sciogliersi nel grande solco centrale come un affluente che sbocca nel grande fiume. Di fronte a me, a una distanza che pare enorme, piramidi di roccia precedono scure fenditure e altissime pareti. Lo spettacolo è impressionante per la vastità degli spazi occupati dalle rocce, dai solchi, dai pendii. Il sole del pomeriggio rende vivi i colori rossicci e evidenzia, attraverso il gioco di ombre che va formandosi col passare del tempo, come il Grand Canyon sia un regno di forme rocciose impensabile. Lontano, come quinte di un enorme palco, file e file di piatte montagne si allineano, sfumando i loro colori dal rosso verso il viola, il blu e un regno di ombre. • Utah Il nome dello stato deriva dalla lingua degli indiani e significa “popolo delle montagne”. Infatti lo Utah è uno stato roccioso che è noto per la grande varietà del suo paesaggio naturale, dai deserti con dune di sabbia fino ai 4123 m. della cima più alta, nelle Montagne Rocciose. Il “meglio” si trova nella parte meridionale dello stato dove vento e pioggia hanno scavato le rocce di arenaria, roccia friabile, per milioni di anni e oggi si possono ammirare canyon, guglie, archi, pinnacoli, “butte” (le rocce emergenti tipiche del paesaggio del west), calanchi e mesas. Lo Utah è lo stato dei mormoni, gli appartenenti alla “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni”, che sono il 60% della popolazione. C. Trovati 7 I parchi nazionali MONUMENT VALLEY, LA FANTASIA AL POTERE Lasciata l’Arizona si entra nello Utah, avendo come prima meta la Monument Valley! La strada che conduce alla Moument Valley è famosa quasi quanto la località stessa: essa segue un percorso rettilineo in leggera discesa che dà al viaggiatore l'impressione di calarsi all'interno della valle. Percorrendo questa strada, la highway 167, arriviamo al “Visitor Center”, il punto di accesso al parco e il primo, impressionante punto panoramico. Da qui lo sguardo si perde su di un arida distesa polverosa rossiccia in cui emergono rossi picchi scolpiti, tormentati cumuli di rocce rosse, butte rosse, enormi mesas rosse. In questo ambiente il rosso è il colore dominante che unito al giallo dei sentieri, alle macchie marrone del terreno e al luminoso azzurro del cielo, forma una tavolozza di colori che è contemporaneamente contrastante e ben amalgamata. In effetti è facile dire “rosso”, ma c'è rosso e rosso e questa costante tonalità di fondo è di volta in volta intensa, bruciata, smorta, brillante, più tenue, scurita dalla profonda ombra prodotta dalla guglia, dal pinnacolo, dal canalone; ma non è finita, sul colore indefinito del terreno, tra il rosso e il bruno spicca la traccia gialla delle piste in terra battuta che attraversano la valle. A proposito, questa valle è un'immensa distesa, segnata dai complessi rocciosi, che si stende a perdita d'occhio fino a quando il rosso del piano si unisce all'azzurro del cielo. Questa è la terra della “nazione navajo”, una volta un semplice territorio desertico e inospitale, ora, grazie alla voglia di vedere ambienti affascinanti e alla diffusione del turismo, la terra si è trasformata in oro perché il grande afflusso di visitatori, giustamente regolamentato per preservare l'ambiente, fornisce al popolo navajo una sicura entrata di denaro. Infatti qui i Navajos sono padroni perché ufficialmente la zona fa parte della “Navajo Nation Reservation” ed è un “Tribal Park” con ingresso a pagamento; ovviamente gli introiti vanno ai Navajos e i camioncini fuoristrada che permettono di entrare e di girare nella valle sono guidati dai navajos. Sono padroni nella riserva, ma sottoposti alla legge federale che, dai tempi della “acqua di fuoco” che intontiva e ubriacava gli indiani, proibisce la vendita e il consumo di alcolici nella riserva. Perciò quando più tardi, nel corso del nostro giro, ci fermeremo per il pranzo preparato dai navajos, berremo solamente acqua, coca cola e caffé. • I Navajos Sono la tribù più numerosa dei “nativi d'America” e una delle più famose. Sono protagonisti di tante storie e avventure ambientate nel Far West, la più nota e seguita è la saga di Tex Willer o “Aquila della Notte”, il capo bianco dei navajos. Ma al di fuori della fantasia la tribù dei Navajos vive ancora nella riserva e ci sono luoghi in cui è possibile acquistare artigianato locale e gli oggetti lavorati dai navajos. Proseguo per la nostra meta, attraversando foreste di conifere. Poi, ai lati della strada, si fanno spazio tra gli abeti, grandi roccioni rossi. Ci sono punti panoramici da cui ammirare l'unione selvaggia dei rossi pinnacoli svettanti che fanno concorrenza allo slancio delle conifere, con il verde scuro di queste ultime; tutto sovrastato da un cielo azzurro profondo. Siamo nel Red Canyon. E' l'introduzione a ciò che vedremo: le pietre che si tramutano in sogno. C. Trovati 8 I parchi nazionali BRYCE CANYON, I MERLETTI DI ROCCIA E’ questo un luogo assolutamente fantastico, inimmaginabile prima di vederlo. Di fronte a me, che sono sul primo dei diversi punti panoramici che incontrerò nel mio cammino nel Bryce Canyon, a 2500m. circa di altezza, c'è un anfiteatro rosso che si apre su una valle: è un cerchio di guglie color fiamma punteggiato da guglie più minute bianchissime; un momento, sembrano minute per via della distanza e la maestosità dell'anfiteatro, ma in realtà sono alte e slanciate formazioni rocciose di bianco calcare che spiccano nel semicerchio eroso di rossa arenaria. L'erosione del vento, della sabbia, degli agenti atmosferici naturali, ha creato questo complesso fantastico. Cammino lungo il bordo della valle e il panorama cambia e diventa un immenso canalone, un canyon classico, che tra massicce pareti e vertiginosi pinnacoli sembra la soglia di un mondo segreto fatto di rocce rosse, di profondità nascoste da tenebrose ombre, di forre che affondano entro spaccature, di tracce di sentiero; è un mondo contorto, ma invitante, con un fascino misterioso e tenebroso. Quando giungo all'inizio di un sentiero che vi si infila, mi affaccio su una ripida discesa che chiama a scoprire dove è il fondo e che cosa aspetta alla fine del percorso. Il sentiero, il Navajo Trail Loop, è uno splendido percorso all’interno del parco tra le rocce, le forre, i pinnacoli, gli abeti e superbi scorci paesaggistici, che mi fa sentire parte di questa splendida natura. I parchi nazionali ZION NATIONAL PARK, FORESTE E GRANDI MONTAGNE Dopo una simpatica cena in un ristorante stile western e una notte di riposo si riparte. E' mattina quando la solita strada diritta mi conduce verso la nuova meta. Si sale verso la montagna, lungo una strada che si inerpica dolcemente tra foreste di conifere, rocce e lavori in corso che rallentano la marcia, senza peraltro bloccarci. Un buio tunnel mi fa uscire a metà parete di un fianco montuoso da cui si domina una valletta. Il tempo di percorrere un breve tratto poi la strada comincia a scendere fino al fondo del declivio. Da qui in avanti si corre in una bella valle tra pareti rocciose che a tratti diventano ripide. Poi la valle si apre mentre profili di alte montagne limitano l'orizzonte. I colori sono molteplici, passando dal grigio al marrone, al rosso al bianco, spesso in stratificazioni multicolori dovuti ai diversi minerali che col tempo si sono sciolti nelle rocce e che fanno assumere alle montagne i colori di una tavolozza. Un ampio anfiteatro sbarra la valle e al centro si trova il Centro Visitatori, messo strategicamente per far godere un vasto panorama, imponente, terrificante nell'esplosione dei colori delle rocce; l'anfiteatro domina la piccolezza del visitatore dall'alto delle vette bianchissime che sembrano fendere l'azzurro intenso del cielo. Una bandiera americana sventola sul pennone ma il silenzio non è rotto neanche dal fruscio del vento; c'è solo la silenziosa affascinante enormità della montagna, della serie di vette e pareti, che incombono sulla verde valle. E' lo Zion Nat'l Park. Riprendiamo la via e, lasciata la valle, siamo ancora una volta su una strada diritta che ci conduce nel Nevada. C. Trovati 9 • Nevada E' uno stato situato negli Stati Uniti occidentali. “Nevada” è un aggettivo che in spagnolo significa innevato, coperto di neve. Il nome deriva dalla catena montuosa della Sierra Nevada nell'ovest dello stato. Lo stato è un poco più piccolo dell'Italia ed è una regione prevalentemente montuosa che include pascoli semi aridi e deserti sabbiosi ed è lo stato più arido di tutti gli USA. La parte settentrionale e centrale dello stato sono in gran parte all'interno del deserto del Great Basin, mentre alcune aree meridionali appartengono al deserto del Mojave. La cima più alta dello stato è il Boundary Peak, con i suoi 4005 metri. La città più famosa dello stato è Las Vegas che, con oltre 2 milioni di abitanti, raccoglie la quasi totalità degli abitanti dello stato. L'enorme sviluppo della città è iniziato quando, nel 1931, il Nevada legalizzò il gioco d'azzardo con lo scopo di stimolare la crescita economica, in risposta alla Grande depressione dei primi anni trenta. Fu così che Las Vegas divenne, e oggi continua a rimanere, il centro mondiale del gioco d'azzardo. Le città LAS VEGAS, la città che non dorme mai Il nome deriva dallo spagnolo “i prati”, per via di pozzi d’acqua che tenevano in vita alcune aree verdi, mentre tutto intorno era deserto. Qui, nel maggio 1855, alcuni missionari mormoni costruirono un forte come stazione di posta per i viaggiatori. Col passare del tempo il forte divenne una stazione per le carovane verso il west e nel 1905, con la costruzione della ferrovia, divenne un villaggio ferroviario. In seguito, data la presenza dell’acqua e grazie alla legislazione dello stato del Nevada riguardo il gioco d’azzardo, esplose come il ” paradiso del gioco”. Las Vegas è, usando un termine colloquiale sempre più diffuso, un enorme “casino”. Curiosamente questa parola si può pronunciare in due modi cosicché si hanno due accezioni che, questa è la curiosità, si possono tranquillamente applicare alla città. Un significato di “casino” (quello colloquiale) è quello della confusione, di un miscuglio di luoghi e situazioni diversi tra loro che intersecandosi e sovrapponendosi fanno un insieme caotico e sfuggente. L'altro significato si ottiene cambiando l'accento: ”casinò”, alla francese, che indica il luogo dove si gioca d'azzardo. Las Vegas è l'insieme indistricabile di queste due accezioni e questo fa sì che la città possa essere dichiarata la “più pazza del mondo”. Non basta. Continuando con le iperboli posso dire che Las Vegas è un mostro. Un mostro costruito per giocare, in tutti i sensi. Le costruzioni, immense, enormi, sono fatte per accogliere 24 ore su 24 i giocatori ai classici giochi (americanizzati) del casinò, Le strade sono fatte per giocarci. Su di esse si affacciano hotel (con annesso casinò, un hotel un casinò) dalle dimensioni e dalle forme più strampalate: pensate a un immenso primo piano in cui scorre un canale su cui navigano gondole con il gondoliere cinese che canta “O sole mio”. Nella strada si gioca, perché passare nel giro di qualche centinaio di metri dalla Tour Eiffel al Ponte di Brooklin scivolando sotto una enorme Harley Davidson che spunta da una parete ad altezza di un primo piano, che cosa altro è? Se si vuole continuare a C. Trovati 10 giocare basta andare da una fontana sonora e luminosa a un vulcano che erutta fumo e fiamme, da un veliero pirata che assalta l'isola delle sirene al leone enorme della MGM che ruggisce alle torri del castello di Excalibur. Sulla strada si gioca con i colori e le luci che, qualsiasi siano le ore del giorno e della notte, rilucono, brillano, abbagliano. Ecco, questa è la sintesi dello “Strip”, il viale lungo circa sette chilometri su cui si allineano gli alberghi/casinò; le enormi costruzioni sono un tutt’uno di stanze per dormire e saloni per giocare; il tutto arricchito e completato da bar e ristoranti arredati nel modo più fantasioso e inverosimile, boutique e negozi; con la sala dove in pochi minuti e senza eccessive formalità ci si può sposare (la “wedding chapel”) e all'occorrenza divorziare; dove un fiume ininterrotto di persone sciama continuamente. Lo Strip è un viale super-moderno con costruzioni di vetro e acciaio, di forme avveniristiche, mischiate casualmente a riproduzioni, altamente tecnologiche e in scala corretta, dei luoghi più disparati del mondo, fatti per stupire, Allora si trovano allineati, senza una logica se non quella del totale utilizzo degli spazi, le Piramidi e il Canal Grande con il ponte di Rialto, il grattacielo tutto specchi che domina il massiccio leone della MGM di fronte al castello medioevale di Excalibur, la monorotaia con i vagoncini automatici e l'obelisco egizio e la Sfinge, l'immensa moto Harley Davidson che è sospesa sulla strada e la riproduzione della Tour Eiffel, il centro di Manhattan con i grattacieli, il ponte di Brooklin, la statua della Libertà e il vertiginoso ottovolante, la grande fontana luminosa e musicale (uno spettacolo ogni quarto d'ora) e i marmi e le statue romane del Caesar's Palace (non importa se nel mondo romano l'architetto folle ha inserito la sfinge egizia e la Nike, la greca Vittoria alata, tanto “tutta antichità è” e per le migliaia di persone che passano da un albergo all'altro, da un casino/casinò all'altro, con appesa al collo un'enorme bottiglia piena di … boh!, non importa capire, tanto è tutta roba vecchia). Per sostenere tutto questo è necessaria una buona dose di pazzia, il che ci porta alla concezione del tempo. Las Vegas, per rendere proficua questa città così strutturata, ha abolito il tempo. La città è “aperta, senza soluzione di continuità, 24 ore su 24”. Giorno o notte non fa differenza. Non a caso in tutti i casinò non ci sono né finestre, né orologi, che se fossero presenti darebbero il senso del tempo che scorre con l'alternarsi del buio e della luce e con il giro delle lancette. Così ogni momento è uguale al precedente e al successivo; c'è la stessa luce, c'è la stessa folla. Ci sono anche gli aiuti a passare qui tutto il tuo tempo: se vuoi puoi comparare il ticket per il buffet che ti da libero accesso al cibo per 24 ore, quando e quanto vuoi; così per alimentarti non devi neanche uscire! Il tempo non esiste a Las Vegas! Da questa città passo, attraversando il deserto, a un mondo ancor più allucinante, ma naturale e per questo più terrificante: la Valle della Morte. I parchi nazionali DEATH VALLEY, LA “VALLE DELLA MORTE” La Valle della Morte si chiama così perché, intorno alla metà del 1800, una carovana di pionieri rimase qui bloccata durante l'attraversamento del deserto: dopo fatiche e vicissitudini di estrema difficoltà, cibo e acqua finiti, animali morti, la carovana venne soccorsa e salvata, con una sola vittima; una, ma sufficiente a dare il nome alla valle:Valle della Morte, Death Valley. C. Trovati 11 La strada riporta in California, sì perché la Death Valley è appena oltre il confine del Nevada, in California appunto. Sto raggiungendo quest'arida depressione che tocca la maggiore profondità del continente americano, 85,5 metri sotto il livello del mare (battuta, a livello mondiale, solo dalla depressione del Mar Morto). La strada attraversa colline rocciose e grigiastre, senza un filo di vegetazione. Poi le colline divengono biancastre, sono più basse. perciò lasciano vedere una landa bianca, larga e lunga, chiusa in distanza, una lontana distanza, da una fila di colline bluastre, indefinite e tremolanti nel calore, anche se mi dicono che oggi non è particolarmente caldo perché la temperatura si aggira “solo” sui 37°C. La prima sosta è su una terrazza naturale che precipita verso la depressione. Le aride formazioni rocciose non hanno nulla a che vedere con le classiche montagne a cui siamo abituati; non sono rocce da scalare, ma dune pietrificate, tondeggianti, che si susseguono come onde di pietra; tracce bianchissime le avvolgono come ragnatele, sono sentieri? Sono strane erosioni? In un certo senso sono invitanti. Sono a Zabriskie Point, nome reso famoso dal film degli anni '60 del secolo scorso, che titola proprio Zabriskie Point; il film di Antonioni, regista del tormento dell'anima, non poteva scegliere luogo più appropriato. Il punto in cui siamo è affascinante nella sua selvaggia solitudine e nella sua desolazione. Da qui scendo lentamente fino a raggiunger il fondo della depressione. Qui c'è il cartello che fornisce i dati precisi del luogo BADWATER BASIN 282 feet/ 85.5 meters BELOW SEE LEVEL il “Bacino dell'acqua cattiva – 85.5 metri sotto il livello del mare”. Se mi giro e alzo gli occhi verso la grigiastra parete rocciosa che mi sovrasta e la risalgo, vedo a un certo punto una scritta bianca: SEA LEVEL, livello del mare. Allora è vero! Sono proprio in basso! Di fronte a me c'è una distesa bianchissima che si perde a vista d'occhio. E' una superficie di sale, solidificazione di antiche acque che, nel bordo della distesa vicino a noi, ancora oggi hanno trovato la via per formare piccole pozze azzurre a testimoniare la potenza della natura che è sempre pronta a fornire forme inspiegabili. Sono nella parte orientale del Deserto di Mojave, ancora in California. Il viaggio a semicerchio sta per chiudersi, ma senza fretta ci sono ancora chilometri e chilometri da percorrere. Ora sto correndo su una delle grandi strade americane di comunicazione, la Interstate 15. La denominazione della strada è tipicamente americana: se la strada attraversa diversi stati è una strada interstatale, Interstate appunto; se va da nord a sud è indicata da un numero dispari; viceversa se va da est a ovest è indicata con un numero pari. Come si vede non c'è spazio alla fantasia, ma è pura logica. Quando la Interstate 15 incrocia una strada perpendicolare (normalmente in questi grandi spazi le strade si incrociano ad angolo retto) i cartelli indicatori sono di una semplicità disarmante: uno indica “15 nord”, l'altro che indica il senso opposto dice “15 sud”. C. Trovati 12 • Sierra Nevada Anche se da questa catena montuosa ha preso il nome lo stato del Nevada, La Sierra Nevada si trova nella parte centro-occidentale della California, dove sto viaggiando. E' giunto il momento di lasciare il deserto e di salire in montagna. Il panorama cambia; diventa dolce, verde, di un verde vitale non più assalito dalla polvere; l'aria è più frizzante. Incontriamo lindi paesini con le case circondate da verdissimi prati, ben tenuti. Alti alberi ombreggiano le strade. Anche i nomi delle località hanno un altro suono, meno anonimo, legati all'ambiente o alla storia: Lone Pine (Pino solitario), Independence (Indipendenza), Big Pine (Grande Pino). Ritroviamo l'acqua, il lago, i boschi, le pinete. I parchi nazionali YOSEMITE NATIONAL PARK Ora la strada sale fino alle pendici del Tioga Peak (3513m), attraversando ampie pinete. Si costeggia l'azzurrissimo Tioga Lake bordato da alti pini; ancora un poco di salita e superiamo il Tioga Pass a quota 3031m. E siamo all'ingresso del parco, nel cuore della Sierra Nevada. Ora cominciamo a scendere, mentre il panorama mostra enormi roccioni di granito grigio che spuntano sopra la cime delle conifere. Continuiamo in questo ambiente per qualche tempo, scendendo lentamente, finché ci fermiamo sulle sponde di un lago con limpidissime acque azzurre, il Tenaya Lake. La giornata è splendida, limpida e luminosa; la temperatura, grazie al sole che splende, è gradevole. Da queste sponde incantate possiamo cominciare ad ammirare i grigi massicci di granito che emergono dallo Yosemite, incorniciati dalle alte conifere verdi. La visione del lontano Half Dome, una delle montagne più rappresentative del parco, è affascinante e invitante a continuare il percorso, per avvicinarsi.. Yosemite è un parco protetto e vigilato per cui c'è un ingresso sorvegliato, ove si paga l’entrata e un'uscita controllata. in cambio si hanno servizi utili: la mappa dettagliata del parco; i ranger che forniscono sicurezza e guida nelle visite; i veicoli per le visite guidate. Si trova a un'altezza compresa tra i 1500 e i 2000m. Yosemite è un parco che offre un ambiente incontaminato e preservato in cui il silenzio è sovrano; un silenzio che permette di sentire fischiare il vento, scrosciare l'acqua e trillare gli uccelli; un ambiente possente, selvaggio per alcuni aspetti, impressionante per altri, con dolci oasi verdi di ampi prati solcati dalle acqua del Merced river. La strada attraversa aree in cui le montagne hanno le pendici ricoperte di boschi fino a quando il granito si presenta possentemente arrogante sotto forma di vertiginose pareti, di imponenti ed altissimi blocchi che sembrano sfidare il passante, sfida che, a partire dagli anni '70, è stata raccolta da un numero sempre maggiore di scalatori, tanto che il parco divenne e rimane, il paradiso dell'arrampicata libera. Il parco offre altissime cascate, placide acque di torrenti che scorrono pigramente a fondo valle, verdissimi boschi con altissimi pini e un vastissimo, limpido, luminoso cielo azzurro che sovrasta un'ampia valle ricca di prati e ombrosi boschi. A poca distanza dal Centro Visitatori c’è il punto più famoso del parco: l’enorme roccione chiamato El Capitan, un impressionante blocco di granito che si C. Trovati 13 innalza dal sentiero fino al cielo, 400 metri di verticalità assoluta di una parete che sembra liscia come un uovo. Questo è il parco più vecchio degli Stati Uniti e ne ha visti di visitatori, ma continuerà a vederne perché la sua bellezza e la pace e la tranquillità che infonde nel visitatore rispettoso, sono una ricchezza inesauribile. La prossima meta è il Mariposa Grove, il bosco della farfalla. Arriviamo al pianoro dove si estende il bosco che non ha le farfalle svolazzanti, ma è formato da enormi alberi: le “sequoia”. Sono alberi giganteschi, che superano i 50 m. di altezza e che, alla base, richiede una dozzina di persone per abbracciare il tronco; hanno una vita lunghissima di centinaia e centinaia di anni, fino a raggiungere i duemila anni di età. E' con una sorta di riverenza che mi inoltro nel bosco e osservo questi giganti. Quando picchietto il tronco, lo trovo morbido, quasi spugnoso: quando raccolgo uno dei suoi frutti mi trovo in mano un ovoide a scaglie, grande proprio quanto un uovo; sembra un paradosso della natura che da un enorme albero fa nascere un piccolo frutto. Ecco, sono arrivato al re del bosco, il “Vecchio Grizzly”. E’ una sequoia di circa 2600 anni, circondata da un recinto per proteggerla dalle incursioni dei turisti. E' letteralmente alta fino al cielo, con un tronco enorme che richiede tanto tempo per girargli intorno. Mentre lo osservo, e fotografo mi viene da pensare che ha l'età di Roma, più o meno; mentre Roma secondo la leggenda veniva fondata, qui nella realtà nasceva questo albero che sarebbe passato indenne nei millenni fino a mostrarsi oggi in tutta la sua gigantesca maestosità. A conti fatti, questa sequoia è il migliore monumento naturale all'enormità. Poco distante c'è un'altra sequoia caratteristica, ma per un altro motivo. E' gigantesca anche questa, ovviamente, ma alla base del tronco è stato scavato un passaggio, come un buco nel tronco, in cui nel passato transitavano i carri che percorrevano il sentiero; ora è una meta favorita dei turisti. Le città SAN FRANCISCO, la perla dell’ovest La città fu fondata dagli spagnoli nel 1776, con il nome d La Mision de Nuestro Padre San Francisco de Asis. A partire dal 1845 le dimensioni iniziarono ad aumentare per via della rilevante immigrazione dei coloni, finché, con la “corsa all’oro” degli anni 1848-1849, l’insediamento divenne una vera e propria città che, sviluppandosi nella parte interna della baia, fornì un porto sicuro ai traffici marittimi con l’Oriente. Questo incrementò l’immigrazione specialmente cinese, tanto che a San Francisco c’è la più grande comunità cinese al di fuori della madre patria. San Francisco, Frisco per gli amici, è una città speciale che affascina e stimola le sensazioni. E' una città dell'ovest degli Stati Uniti, anzi è “la città” dell'ovest, ma “americana” non è, almeno nel senso comune della terminologia. E' una città europea, cinese, di mare; con un porto tradizionale per i pescatori; con due ponti enormi che attraversano la baia, di cui uno è il ponte più famoso al mondo: il Golden Gate Bridge. E se non basta, San Francisco è famosa per la sua vivacità culturale e il suo eclettismo architettonico. E' una città fatta di mille città. C'è la città degli affari, indicata all'americana come “downtown”, il centro importante, qui si va di fretta e impettiti con borse e C. Trovati 14 computer sotto il braccio, perché gli affari hanno il loro rituale. C'è la città dei “gay”, Castro, dove vive la più grande comunità gay americana e dove ci si muove lentamente, senza fretta, tra gioiosi super-palestrati che sorridono tenendosi per mano. C'è la città dei “cable cars“, i piccoli tram che, trainati da cavi, vanno su e giù lungo le ripide strade delle colline e sono diventati un altro simbolo di San Francisco. C'è la città della musica ove ci si può fermare ad ascoltare la musica delle orchestre jazz o i suoni inconsueti degli strumenti cinesi. C'è la città cinese, “Chinatown”, dove vive la comunità cinese più numerosa al di fuori dell'Asia, fatta di architetture esotiche, di luminarie, di negozi incredibili in America, di cibi orientali e di musiche dissonanti, ma tutto questo è l'armonia cinese. C'è la città italiana, o meglio il quartiere viste le dimensioni più ridotte, dove sul “Corso Cristoforo Colombo”, scritto così, in italiano, si aprono negozi e ristoranti con nomi italiani. C'è la città del mare dove, tra le lamentose e rauche grida dei leoni marini, ci si può ingozzare di granchi, aragoste, pesci diversi e, per risparmiare, di “fish and chips”. Visitiamo i punti celebri di Frisco. • Golden Gate Bridge San Francisco è costruita su una penisola che ad ovest è battuta dall'oceano Pacifico, mentre a est delimita la parte settentrionale della grande baia di San Francisco. La lingua di terra si interrompe a nord, dove l'oceano con un ampio canale si insinua nella baia interna. Qui si trova il simbolo di San Francisco, il Golden Gate Bridge, il grande ponte color rosso mattone che collega la punta della penisola di San Francisco con il continente a nord; due carreggiate con tre corsie ciascuna, per i veicoli e due marciapiedi laterali, permettono il passaggio, sorrette da enormi piloni a cui sono ancorati i cavi che sostengono la campata. Il ponte è la porta di ingresso alla città per tutto ciò che proviene via mare dal Pacifico, da qui il nome “Porta d'Oro”, Golden Gate. Beh! Il ponte merita la sua fama. Scavalca agilmente il braccio di mare, dando un'impressione di leggerezza e di forza allo stesso tempo. La campata sospesa, leggermente arcuata, è affascinante e invita a percorrerla lungo tutti gli oltre 2 chilometri, sospesi a oltre 60 metri sul livello del mare. E' come viaggiare nel blu, tra cielo e mare, con la leggerezza dei gabbiani che veleggiano sopra la baia. Quando si passa sotto gli oltre 200 metri delle torri, quando si vedono i cavi portanti, così piccoli dalla distanza, ma con un diametro di quasi un metro nella realtà, la leggerezza lascia il posto alla potenza dell'opera ingegneristica. Il Golden Gate Bridge è semplicemente bello! • Fisherman's Wharf Sono ora al Fisherman's Wharf, il molo del pescatore, che con il nome ricorda il luogo ove, nel passato, c'era il villaggio dei pescatori. Oggi è una delle principali mete turistiche della città. E' una grande area dove ci sono ancora i moli a cui si ormeggiano barchette, barche a vela, motoscafi, yacht, battelli, traghetti, navi storiche come un grande veliero o un sommergibile in mostra, reperto storico, dimora di gabbiani che sono pacificamente appollaiati sulla prua. Questo “molo” è il paradiso di luoghi di ristoro estremamente vari, per cui si va dai tricicli che offrono panini, agli snack, ai bar, alle tavole calde, fino ai ristoranti di diversa offerta (in qualità e prezzo); c'è solo l'imbarazzo della scelta. Ovviamente ci sono ampi spazi dove sedersi per gustare i cibi, tra questi il più apprezzato è il panino al granchio, seguito dal classico fish and chips. Poi ci sono i negozi e anche qui c'è solo l'imbarazzo della scelta, dal grande magazzino alla boutique. In qualsiasi ora del giorno e della sera il Fisherman's Wharf è pieno di gente che sciama apparentemente senza meta, per il solo gusto di esserci. C. Trovati 15 Il centro di Fisherman's Wharf è il “Pier 39”, il “molo 39”. questo è un'ampia banchina ricoperta da un tavolato di legno, che vuole riproporre la vecchia ambientazione, che come un enorme dito, si inoltra nella acqua. Qui c’è il meglio della città per lo svago e li ricordi turistici. Ci sono ampie terrazze da cui godersi il Golden Gate, da un lato, e i profili della città, dall'altro. .All'estremità del molo ci sono i leoni marini; una colonia schiamazzante di questi animali è annidata sulle banchine e intorno al piccolo faro; ci si accorge della loro presenza prima ancora di vederli grazie ai loro rauchi urli e all'odore pungente che li accompagna. Qui non si compera, si fotografa! • Attraverso la città Tra questi due capisaldi c’è il resto della città - Il Centro finanziario è il regno dei grattacieli, degli edifici che con la loro imponenza trasudano ricchezza. Qui domina la Transamerica Pyramid, che con la sua forma piramidale alta 260 m è praticamente visibile da tutta la città, ma è in buona compagnia di torri e palazzi. Questa zona è il centro della città, dove ci sono i grandi alberghi, le grandi vie commerciali, prima fra tutte Market Street la lunga e principale strada che attraversa tutta la zona centrale (ed è proprio all'incrocio con Market Street che è situato il nostro albergo); qui, negli slarghi a fianco di questa via, ci sono i capolinea dei Cable cars; sempre affacciata sulla strada c'è Union Square, la grande piazza che è un po' il cuore della città, è il luogo dello shopping, degli hotel più facoltosi e dei teatri più prestigiosi, sul grande spazio gli artisti mostrano le loro opera e sui marciapiedi si aprono negozi, eleganti boutique e saloni di bellezza. Da Market Street si dipartono le strade che attraversando Chinatown e valicando le colline, vanno verso il mare, verso il “molo del pescatore”. − Chinatown, è il quartiere dove vive la più grande concentrazione di cinesi fuori dal loro paese; qui le architetture e le insegne ricordano un altro mondo. I volti delle persone sono chiaramente orientali, le vetrine dei negozi, i ristoranti, i lampioni e le lanterne, i capannelli delle persone, le musiche che aleggiano, indicano la chiara origine cinese. Uno dei suoi simboli è la Porta del Drago, la porta di accesso al quartiere composta da tre arcate che sovrastano la strada e due leoni di pietra sul marciapiede, è come aprire una finestra sulla Cina, ma una finestra tranquilla, attraverso cui si vede gente con fattezze, e magari abiti, diverse, ma sostanzialmente integrate in questa città, di cui si sentono parte. − Poi c'è il quartiere italiano, Little Italy. Questo quartiere è celebre per la vivacità e l'atmosfera beatnik che qui regna dagli anni '60. E' il quartiere della musica jazz e blues, suonata nei numerosi locali notturni della zona. In Washington Square, ampia piazza con giardini circondata da ristoranti, sorge la Cattedrale di san Pietro e san Paolo, cattolica, che è il centro di aggregazione della comunità italiana. - Ricordo ancora Mission District, il primo insediamento abitativo nella baia, che deve il suo nome alla prima missione spagnola qui costruita nel 1791; ora ha una popolazione molto variegata sotto il profilo economico ed etnico, tanto da essere il simbolo della pacifica convivenza e tolleranza, vanto della città. Qui si trovano vie ricche di palazzine linde e ordinate in stile vittoriano: in una piazzetta sono allineate le “sette sorelle”, sette palazzine di puro stile vittoriano, di diverso color pastello, affiancate l'una all'altra cosicché creano uno sfondo colorato alla piazza. − Poi c'è la collina dove ha sede il municipio, un grandioso palazzo neoclassico preceduto, su un'enorme piazza, da una curiosa statua: la divinità indiana della trimurti. Poco lontano c'è la Grande cattedrale cattolica, dedicata a Santa Maria C. Trovati 16 Assunta, che si presenta nel suo ultimo rifacimento del 1962-1970. − Infine non posso dimenticare il “Cable car”. Questo è il classico tram di San Francisco che scavalca le colline. Sono solo due linee e ambedue arrivano a Fisherman's Wharf, a poca distanza l'una dall'altra. Il veicolo usato è piccolo e c'è un addetto che regola l'afflusso dei passeggeri; quando, a suo dire, il tram è pieno non fa salire più nessuno; si aspetta il prossimo e se anche questo è pieno ancora il prossimo. Ecco perché nelle ore di grande movimento, ai capolinea si forma la coda e salire lungo il percorso è un terno al lotto. Va detto tuttavia, che, pur essendo un regolare mezzo di trasporto, il suo uso è prevalentemente turistico. Il tram è una specie di funicolare, cioè per superare le salite e non precipitare incontrollato nelle discese, si aggancia a un cavo che regola il movimento trascinandolo o frenandolo sui binari. Il bello del percorso è assistere alle evoluzioni del manovratore per adattare la corsa alle caratteristiche del percorso. Da notare che il tram si ferma nel piccolo spazio pianeggiante ove una strada trasversale incrocia la salita (o la discesa), quindi in prossimità di questo spazio il manovratore comincia a scampanellare con energia per avvisare di lasciare libero il passaggio e non ingombrare l'incrocio. L'altra cosa bella è quella di sporgersi dai predellini per prendere aria durante la corsa, per vedere meglio il panorama e per gustare in modo ravvicinato l'incrocio con il tram che arriva in senso opposto. Per tutto questo vale la pena di fare un poco di coda! Questo e tanto di più è San Francisco! C. Trovati 17 2 - THAILANDIA La Thailandia è un nazione stupenda, ricca di arte, di bellezza, di sorrisi. A una più ridotta parte insulare, comunque famosa per la bellezza delle sue isole e dello splendido mare, risponde la parte continentale del territorio, la gran parte della Thailandia, dove la storia ha le sue radici visibile nei grandi siti archeologici, dove la religione ha i suoi luoghi sacri nei numerosi templi dorati, dove la popolazione si veste di colori a seconda dell'etnia di appartenenza. La Thailandia è un mondo affascinante per le sue mutevoli sfaccettature, ma soprattutto per la bellezza e la tranquilla accoglienza del suo popolo. Allora, se è un posto da non perdere, andiamoci! Cominciamo da Bangkok, la capitale, cuore e specchio della nazione. BANGKOK Per prima cosa bisogna affrontare il nome ufficiale: “Città degli angeli, grande città, dimora del Buddha di smeraldo, città inespugnabile del dio Indra, grande capitale del mondo che possiede le nove pietre preziose, città benedetta in cui abbondano immensi palazzi e che somiglia al paradiso in cui regnò il dio reincarnato, città donata da Indra e ricostruita da Vishnu”, ma già i Thai hanno abbreviato il nome in “Kruong Thep, Città degli angeli”, mentre gli occidentali la chiamano Bangkok, Città degli ulivi. Ora siamo pronti alle meraviglie che il nome contiene e non ci importa che ormai tutta questa sequela sia stata abbreviata in “Bangkok”, noi andiamo!. Bene! Siamo nella giusta condizione per entrare in un mondo che ha dell'incredibile tanto da essere quasi “il paese dei sogni”. Utilizzando il fiume Chao Phraya e facendo scavare un canale semicircolare, Rama I creò un'isola artificiale sulla quale fece costruire il Grand Palace e la cappella che doveva contenere il Buddha di Smeraldo. L'isola ricevette il nome di Rattanakosin, che significa “Dimora del Buddha di smeraldo”. Questa è la nostra meta. Siamo dentro i 260 ha di stupefacente bellezza che vanno sotto il nome di GRAND PALACE, per lungo tempo residenza dei re della Thailandia e ancor oggi sede degli avvenimento ufficiali dello stato nella parte del complesso riservata all'uso istituzionale. Il centro della visita e del pellegrinaggio della popolazione thai, è il WAT PHRA KEO, il santuario che accoglie al suo interno il BUDDHA DI SMERALDO (contrariamente al suo nome, questa statuetta di 66 cm di altezza, è scolpita in una blocco di nefrite). La statua fu collocata a Bangkok nel 1784 e divenne simbolo della dinastia reale Chakri ed è il simulacro più venerato del regno. Si racconta che venne trovata a Chiang Rai quando, all'inizio del XV secolo, il chedi del Wat Phra Keo venne distrutto da un fulmine facendo apparire dalle rovine la statuetta del Buddha; la statuetta, dopo alterne vicende che la portarono anche nel Laos, venne ripresa dai Thailandesi che la portarono a Bangkok. Intorno a questo luogo sacro si stende il complesso del Grand Palace, cioè un susseguirsi di giganteschi demoni a custodia degli edifici, creature e divinità mitologiche che proteggono e sorreggono i templi, poi edifici stupefacenti (templi e palazzi di varie fogge) i cui tetti sono adornati da C. Trovati 18 decorazioni simili a uccelli che separano il confine tra terra e cielo, con le pareti decorate con tessere di ceramica, smalti e specchi colorati, poi oro, tanto oro, che dà luce propria al complesso. Un lungo porticato si estende nel complesso completamente affrescato con raffigurazioni del poema Ramakien, allegoria del trionfo del bene sul male. Sulla sponda opposta del fiume Chao Phraya sorge il Wat Arun. Il “tempio dell'Alba” è uno dei simboli della città. Il tempio fu costruito nel periodo di Ayutthaya. Il suo prang, la grande torre principale alta 80 m, simboleggia il monte Meru e ha una forma che si ispira ai templi khmer. Migliaia di fiori di porcellana decorano le pareti e la torri del tempio e richiamano la vegetazione del Monte Meru. Poi c'è la città, affollata, con traffico intensissimo. Ha un clima che sa essere pessimo, molto caldo e molto umido; in certi periodi lo smog soffoca tutto e allora non resta che riparare nei centri commerciali, abbondanti e vastissimi, con l'aria condizionata. Quando arriva il monsone, in mezz'ora le strade si allagano, ma quando spiove e poi arriva il sole altrettanto rapidamente l'acqua se ne va lasciando chiazze di umido sulla strade. Ma nonostante tutto questo Bangkok è bella. Bella nell'insieme d'antico e moderno che si intreccia, partendo dagli storici alberghi sul fiume e sullo sfondo, lontano i nuovi grattacieli in vetro-cemento; bella lungo i klong, i canali della città vecchia dove la popolazione vive in case sulla palafitte a cui fanno da contro altare le strade sopraelevate e l'aerea metropolitana veloce; bella nel vivacissimo quartiere cinese con le sue architetture da “Paese di Mezzo” (la Cina) e le scritte inconfondibili sempre affollato a cui rispondono gli anonimi grandi centri commerciali, altrettanto affollati. Contrapposizioni che rendono Bangkok una città crogiolo di vita. Poi, per riposarsi dal caos cittadino, basta andare al palazzo Abanda Samakhom , un tempo dimora reale, ora museo testimone della grandezza del regno del Siam, con le sue immense sale di rappresentanza e il tesoro reale che include fantastici troni d'oro (p.s. non posso fornire immagini perché qui è rigorosamente vietato fotografare). E' una visita fatta in grande tranquillità e un tuffo nella grandezza prima di lasciare Bangkok. Ci dirigiamo a nord della capitale per visitare le località famose, ma lungo la strada abbiamo soste interessanti da effettuare. • La prima tappa è la visita del Bang Pa-In Palace, il palazzo reale d'estate. Tra prati verdissimi e splendidi laghetti sono disseminati diversi edifici, tra cui spicca il Aisawan Tippaya Asna, un padiglione sull'acqua tra i più interessanti esempi di architettura thai. Poi ci sono una torre di osservazione e palazzi in vari stili che rendono questo luogo l'ideale per il riposo. • Poi visitiamo il Wat Phanang Choeng, del 1324, che contiene una gigantesca statua di Buddha seduto; era il tempio preferito dai mercanti cinesi: Alla fine della visita ci coglie l'improvvisa pioggia monsonica, molto intensa e violenta; aspettiamo un poco, poi dobbiamo andare, quindi rimbocchiamo i calzoni ed entriamo nell'acqua fino alle caviglie per fare le decine di metri che ci separano dal nostro bus. Bene, dopo il primo assaggio, questo è il vero battesimo del monsone! C. Trovati 19 • AYUTTHAYA La prossima meta è Ayutthaya, ora un sito archeologico, ma che fu capitale del regno di U Tong, nel 1350. La città, circondata dalle acque di fiumi e canali diventò un'isola fortificata e uno dei più grandi centri commerciali e culturali dell'Asia sud-orientale, nel XVII secolo era più estesa e popolata di Londra o Parigi. Rimase sede del potere siamese fino al 1767. L'Ayutthaya Historica Park è il sito archeologico, esteso giacché nel XVIII secolo si contavano 1700 templi. Ora il luogo si presenta di grande interesse e di stupendo fascino, tra templi ancora luoghi di preghiera, statue dorate del Buddha e resti gloriosi di grande magnificenza. Dopo aver lasciato Ayutthaya ci aspetta un percorso di qualche centinaio di chilometri, che effettueremo in bus. La lunghezza sarà ricompensata dalle bellezze che incontreremo, che ci vengono anticipate come vere meraviglie. Vedremo. Siamo nelle pianure centrali e il viaggio prosegue tra risaie e acque dei fiumi. In questa parte del viaggio incontriamo i siti archeologici che indubbiamente sono il cuore della visita, ma anche villaggi e cittadine che contengono splendidi templi in cui il grande Buddha dorato è continuamente riverito dai fedeli; ciascuno di questi templi ha una sua collocazione ed ambientazione che lo rende unico, e da vedere! Come il “Tempio dei cristalli” che appare improvvisamente nella campagna; si entra e ci accoglie uno spettacolo stupefacente: il tempio ha una grande aula con tantissime colonne che la dividono in navate, ciascuna colonna è ricoperta da piccoli specchietti e pezzetti di vetro, basta la luce di una lampada perché tutto si illumini di mille riflessi e ci immerga in un mondo di cristallo luminescente e luminoso dove non sai da dove venga la luce, semplicemente c'è e ti avvolge! Magnifico! Così come è da vedere il “paese sull'acqua”, navigando sul fiume Sakaekrang; questo breve giro ci porta a contatto con la quotidiana vita dei pescatori, tra barche, reti, case su palafitte e templi che si specchiano nell'acqua. Poi continuiamo tra le risaie. • A Phitsanulok, una città che per cinquecento anni ha conosciuto un grande splendore visitiamo il tempio Wat Pura Sri Ratana Mahathat. Ci accoglie un tempio con un grande portico d'ingresso e sormontato da una guglia dorata di stile khmer. L'ampia aula ha un un colonnato che conduce alla Phra Buddha Chinaraj, una statua del Buddha venerata in tutta la Thailandia e meta di visite da parte dei fedeli di tutto il paese anche perché, dicono le guide, questa è la più bella statua di Buddha della Thailandia . • SUKHOTHAI Arriviamo in un posto importante: Sukhothai. Nel 1238 Bang Klang Thao fu consacrato re di Sukhothai (che significa “Alba della Felicita'”). Questo fu il primo regno indipendente thai. Nell'età d'oro del regno, tra il XIII e la fine del XIV secolo, il dominio si estendeva fino a Vientiane e Luang Prabang (Laos) e Pegu (Birmania) e fu caratterizzato dalla diffusione de buddhismo theravada che generò raffinate espressioni di arte buddhista. Il sito archeologico ha una dimensione notevole, di circa 70 km quadrati. Imponenti templi ben conservati rendono interessante la visita. • A poca distanza si trova Si Satchanalai, la “città dei vasai”, fondata verso la metà del XIII secolo e che fu la seconda città del regno Sukhothai. Il parco storico è immerso in una natura rigogliosa, ancora integra ed è una C. Trovati 20 sensazione magnifica vagare per questo ambiente dove, dietro ogni angolo, può apparire un monumento. Siamo arrivati nei territori del nord. Il paesaggio è diventato collinoso e coperto di boschi; negli spazi aperti ci sono le immancabili risaie; qui, grazie al clima sub tropicale, si possono fare fino a tre raccolti all'anno, perciò è possibile vedere campi appena seminati e campi allagati e campi con le piantine in via di maturazione. I villaggi che costeggiano la strada permettono la rapida visita ai mercati locali, semplici ma ricchi di frutta e verdura, cibo locale e soprattutto di sorrisi con cui le venditrici ci accolgono. Anche qui, lungo il percorso ci sono innumerevoli templi, molto frequentati dai fedeli. Ciascuno di questi templi ha una caratteristica locale che li rende insostituibili alla vita religiosa degli abitanti. CHIANG MAI Siamo a Chiang Mai, una delle due grandi mete dl nord. Situata tra i monti verdeggianti, la “rosa del nord” ha un patrimonio culturale straordinario. Fondata nel 1296 fu capitale culturale, religiosa e politica del regno Lan Na. Oggi è la terza città della nazione, con oltre 300.000 abitanti. Purtroppo sono rimasti pochi resti dei numerosi wat e delle bellezze del XIV-XV secolo. Sono comunque ancora visibili edifici Lan, caratterizzati dai Cho Fa, i particolari fregi architettonici sui tetti e le decorazioni a traforo sulle facciate. Alto 1061 m, il monte Doi Suthep domina Chiang Mai. Sulla cima sorge il Wat Phra That Doi Suthep, un complesso formato da edifici decorati e dal “chedi”, l'edificio reliquiario, protetto da una grata dorata e ricoperto d'oro. Costruito nella metà del XIV secolo è il più importante e frequentato della città. E' raggiungibile con una scalinata di 304 gradini, vigilata dei “naga”, tra il verde del fianco del monte, la leggenda narra che fu costruito dove l'elefante bianco, animale sacro, che trasportava le reliquie di un sant'uomo, dopo aver raggiunto il culmine del monte, non si mosse più e qui morì, a indicare la sacralità del posto. Proseguiamo il nostro viaggio attraverso le valli e le montagne del nord, lungo una strada sinuosa avvolta dal verde dei boschi. • Siamo a Mae Sa, la valle dei fiori e degli elefanti, dove visitiamo i vivai delle orchidee, in un mondo di fiori di tutte le dimensioni e di forme e colori stupefacenti. Poi passiamo al centro addestramento per elefanti e qui ci aspetta una “cavalcata a dorso di elefante” nella foresta, incluso il guado di un fiume che l'elefante ha affrontato pacificamente, mentre noi nutrivamo qualche apprensione, risultata esagerata; poi, imparato a convivere con il dondolio dell'animale, ci siamo lasciati trasportare su per brevi salite e giù per ripide discese; poi l'elefante andava ringraziato dandogli un piccolo fascio di pezzi di canna da zucchero che afferrava subito con la proboscide. Il cammino riprende verso est, verso Chian Rai, attraverso nuove colline. Nelle colline del nord vive il “popolo delle montagne” composto da numerose etnie diverse, ciascuna nel suo villaggio isolato, che dista parecchi chilometri da quello “vicino” per cui le etnie vivono la loro vita con le loro tradizioni e i loro riti; lo scambio avviene quando c'è il mercato e quando i turisti si fermano per osservarli; allora gli abitanti sciamo fuori dalle loro case con i piccoli oggetti di artigianato che offrono tra grandi sorrisi (e a prezzi irrisori), mentre noi siamo sommersi dalla marea di bambini che si accontentano di toccarci e di prenderci C. Trovati 21 per mano per accompagnarci nel villaggio; la strada asfaltata è quella su cui si affaccia il villaggio, all'interno le strade sono sterrate e a volte sono poco più di un sentiero ai cui lati ci sono le abitazioni in legno. In questi villaggi incontriamo la comunità degli “Jeen Hor” cinesi immigrati dallo Yunnan, poi gli yao, i Lisu, gli Akha. Nel villaggio Shan di Nasoi vivono le donne della tribù Padang, note come le “donne giraffa”, quelle “con il collo lungo” che con una serie di anelli al collo aggiunti progressivamente uno all'anno, allungano il collo in maniera impressionante. Un'altra caratteristica di questa area è l'abbondanza di acqua. I fiumi grandi e piccoli che nascono nelle colline e nelle altissime montagne himalayane, vedi il Mekong, scorrono placidamente ospitando sulle rive piccoli agglomerati di case, villaggi, cittadine. Poi c'è il cielo. Pensiamo a un cielo celeste e luminoso, con sbuffi bianchi di nuvole e che durante il giorno si copre di nere e tumultuose nubi monsoniche che rovesciano cascate d'acqua, poi quasi all'improvviso le nubi si spaccano in frange da cui i raggi del sole filtrano a colpire e illuminare zone sempre più ampie, meglio se fanno brillare le acqua del fiume. Siamo in Thailandia. Questo percorso tra dolci colline, piccoli villaggi, lungo strade che, anche per l'andamento tortuoso, invita a procedere senza fretta e ci porta a Chiang Rai. Questa città, meno nota e meno frequentata di Chiang Mai, deve la sua recente nomea alla vicinanza al famigerato “Triangolo d'oro”. CHIANG RAI − Ubicata nella regione più settentrionale della Thailandia, a 580 m di altezza, fu fondata nel 1262 in un luogo strategico, vicino al regno di Birmania, divenne un importante centro commerciale, per declinare lentamente a causa delle frequenti guerre tra Siam e Birmania. Il ricordo più interessante è il Wat Pura Singh, che secondo la leggenda, sembra essere stato la prima residenza del Buddha di Smeraldo. − Da Chiang Rai si parte per la visita del Triangolo d'oro, il punto di confluenza dei tre stati Birmania, Laos e Thailandia. Quest'area ha prodotto per anni circa la metà dell'oppio commerciato in tutto il mondo. Mae Sai è la città più settentrionale della Thailandia, sulle rive del fiume omonimo; il ponte che lo scavalca permette di entrare in Birmania. Il posto è splendido, tra monti e valli verdissime, tra acque lucenti. Più a sud Chiang Saen, antica capitale, ricorda la storia recente dalla zona con il Museo dell'oppio; è anche il luogo di imbarco per una gita sul Mekong, con sconfinamento “da clandestini” in un piccolo villaggio sulla sponda laotiana del fiume, noto per la produzione di whisky e grappa di riso che vengono imbottigliati insieme ad animaletti quali piccoli cobra, scorpioni, sanguisughe, bottiglie da cui stare alla larga se non per le immancabili fotografie. Ora non ci resta che raggiungere Chiang Khong, dove, quando i rapporti tra i due stati sono amichevoli, c'è il “ponte dell'amicizia” che permette il passaggio di confine. A proposito, questo “ponte” è un ferry che solcando il fiume porta sull'altra sponda a Ban Houeyxai, piccolo agglomerato di case e posto di confine nel Laos. Addio Thailandia! C. Trovati 22 3 - LAOS E' uno stato di 236.000 km quadrati, il cui territorio è costituito prevalentemente da montagne e altipiani. Su questo territorio vivono 6.000.000 di abitanti. Nel paese risiedono 47 diverse tribù, che fanno parte di tre principali gruppi: LAO LUM, il 69% degli abitanti, sono gli “abitanti delle terre basse” LAO SONG, gli “abitanti delle montagne”, di etnia tai, mong-yao o tibet-birmana LAO TEUNG o LAO KHANG, gli “abitanti degli altipiani”, piccole tribù del centrosud in gran parte di etnia mong-khmer. Il Laos è uno stato socialista, marxista-leninista. IL VIAGGIO Entriamo in Laos dal posto di confine thailandese Chiang Khong, da dove un paio di barche veloci traghettano noi ed i nostri bagagli sulla riva sinistra del Mekong, in territorio laotiano a Ban Huoeyxay. Le pratiche di frontiera richiedono qualche tempo, ma in un'oretta ce la caviamo e possiamo raggiungere il posto dove imbarcarci. Questa parte nord del Laos è montagna e foreste, sentieri a volte impervi che si perdono tra le valli e la vegetazione. Per quasi tutta la popolazione di questa area un robusto paio di gambe continua ad essere il mezzo di trasporto principale. Poiché temo che questa sia un'opzione impraticabile per noi, per scendere a sud, non resta che la via d'acqua: il Mekong, che funge da autostrada del nord, ma non solo, come vedremo, per quasi tutto il paese questo fiume è la più importante via di comunicazione. La meta è Luang Prabang, a due giorni di navigazione sul fiume; perciò tutti in barca! Abbiamo una barca privata assolutamente confortevole: è una barca lunga; nella parte anteriore, dopo la timoneria, ha il “solarium” e la zona riposo coperta, dotate di comode poltroncine; poi c'è la zona pranzo, anche questa coperta; poi nella parte posteriore oltre alla cucina, c'è l'abitazione della famiglia dei barcaioli, che sulla barca lavora e vive. La discesa del fiume è tranquilla; qui il Mekong è ampio e scorre pacifico; talvolta delle grosse rocce emergono e allora l'acqua, scorrendo intorno a loro, forma dei piccoli gorghi che non impensieriscono la navigazione. Il Mekong è lungo 4200 km., nasce nel Tibet e sfocia, dopo aver formato il rinomato “delta” nel sud Vietnam, nel Mar Cinese Meridionale. La giornata è magnifica, soleggiata e gradevolmente calda e trascorre tra la navigazione e la sosta in alcuni villaggi per incontrare gli abitanti che ci fanno invariabilmente una grande festa. In un villaggio, quando sanno che siamo italiani è una grande gioia; ci mostrano orgogliosi una fontanella al centro del villaggio e ci spiegano che il pozzo e la soprastante fontanella sono stati costruiti grazie al contributo dell'Unione Europea e noi, come suoi membri, meritiamo il loro grazie. A sera siamo a Pakbeng, l'unica importante stazione commerciale di quest'area, dove sbarchiamo per pernottare. Il secondo giorno è in parte la fotocopia del primo, ma facciamo due soste particolari. La prima a Ban Xang Hai, qui chiamato “Whisky Village”, dove gli abitanti distillano il riso producendo una bevanda alcolica chiamata lao-lao. La seconda, sulla sponda opposta del Mekong, è la visita alle grotte dei Buddha di Pak Ou, inizialmente un deposito di statue via via sostituite nel tempo, poi C. Trovati 23 diventato luogo di pellegrinaggio alle centinaia e centinaia di Buddha, tanto è vero che la grotta è chiamata “dei 1000 Buddha”. Infine siamo a Luang Prabang. LUANG PRABANG Città proclamata “Patrimonio dell'Umanità” dall'UNESCO, con circa 300 templi, situata in una valle stretta e circondata da splendide montagne verdi e solcata dai fiumi Mekong e Khan, Luang Prabang trasmette la tranquillità di un luogo remoto, non contaminato e delizioso, e si presenta elegante senza essere ricercata. Le origini della città si fanno risalire alla fine del VII d.C., con la conquista del territorio da parte del principe Thai KHUN LO. All'inizio dell'XI secolo fu capitale dei diversi regni locali che si succedettero nel tempo. Il XV secolo fu l'età dell'oro del regno. Quando avvenne l'annessione francese (seconda metà del XIX secolo) i francesi riconobbero Luang Prabang come residenza del re del Laos, fino al 1953, data in cui i francesi lasciarono l'Indocina. La città ha ereditato dal passato antichi templi dai tetti rossi ed edifici di architettura franco-indocinese. E' questo patrimonio di templi buddhisti theravada, case bottega franco-cinesi, verdi giardini e fiori coloratissimi che dona suggestioni deliziose e serene di tranquillità e fornisce a Luang Prabang un fascino difficilmente riscontrabile altrove. L'immagine classica della città è quella di file di monaci con le vesti color zafferano che scivolano silenziosi nel chiarore dell'alba lungo strade pulite con edifici coloniali color bianco e tetti rossi e palme ondeggianti. In un unico quadro è presente l'anima della città. I punti pricipali di visita sono: PHOU SI, la “collina Sacra” sulla cui cima c'è lo stupa dorato del Wat Pa Houak da cui si domina tutta la città; per contro, da buona parte della città è visibile la guglia; la cima si raggiunge con una scalinata di 328 gradini: il WAT XIANG THONG, il tempio più importante della città costruito nel 1560, caratteristico per il tetto spiovente che le ali spiegate di un uccello il PALAZZO REALE, costruito nel 1904 e trasformato in museo; contiene la statua Pha Bang, la più sacra immagine del Buddha del Laos (non fotografabile); il BANJEK, il quartiere con le tipiche case-negozio, di architettura francoindocinese, con il negozio a piano terra e l'abitazione al primo piano; poi gli innumerevoli altri templi, chi con monastero annesso, chi in un rigoglioso giardino e nei dintorni BAN THA PENE, idilliaco paesino sulla strada delle Cascate KOUANG SI, una suggestiva cascata a più livelli che scende per 60 m prima di gettarsi in un a serie di laghetti di un blu cristallino. Inoltre la visita non può mancare questi tre momenti: 1. la questua mattutina dei monaci, quando all'alba di ogni giorno escono avvolti nei mantelli zafferano e scalzi accettano il cibo che servirà per il pasto giornaliero; 2. il mercato mattutino dove i contadini vendono i loro prodotti, è un momento tipicamente laotiano dove i turisti sono sopportati, ma non sono cercati; 3. il mercato serale lungo la via principale chiusa al traffico; qui i turisti sono i ben venuti, specialmente se comprano scegliendo tra la varia oggettistica artigianale. C. Trovati 24 Come ultima cosa, dobbiamo ricordare gli splendidi tramonti sul Mekong che rendono d'oro il fiume mentre una pace assoluta scende sulla città. E' la ciliegina sulla torta da sogno che ha un nome: Luang prabang! Lasciamo la città e con un volo ci portiamo a Vientiane VIENTIANE Capitale al posto di Luang Prabang nel 1560. Il nome significa “Città del legno di sandalo”. Distrutta dai Siamesi nel XIX secolo e ricostruita dai Francesi nel 1867, venne da questi scelta come capitale di uno dei quattro protettorati dell'Indocina. Nel 1954, con la partenza dei Francesi, divenne la capitale del neonato stato del Laos. I luoghi della visita: WAT SISAKET, il più antico di Vientiane (1818): qui si svolgeva la cerimonia durante la quale i nobili laotiani giuravano fedeltà al re; il chiostro, coperto da un tetto a tegole circonda il sim affrescato (il sim è la costruzione più grandiosa che ospita le statue più venerate); HOW PA KAEW, ora museo, conservò per due secoli il Pa Kaew, la statua ddel Buddha di Smeraldo, fino alla riconquista da parte dei Siamesi; THAT LOUANG, il più importante edificio sacro della città e simbolo della nazione, ha una guglia dorata di 45 m che domina l'ampio spazio in cui si trova i tempio. Il tempio risale agli anni '30 ed è la ricostruzione di quello originale della metà del XVI secolo effettuata da re Setthathilat, la cui statua precede lo stupa. Forse il tempio e il monastero più popolare è il WAT SIMUANG, meta di moltissimi fedeli; il sim ospita il “pilastro di pietra sacro” che, secondo la tradizione è l'abitazione dello “spirito guardiano di Vientiane”. Una curiosità è la “PATOUXAI”, la “Porta della Vittoria”, che si ispira all'Arco di Trionfo parigino, costruita alla fine degli anni '50 in ricordo delle vittime di guerra che combatterono per il governo reale. A circa 80 km da Vientiane c'è il WAT PHABAT PHONSAN, noto soprattutto per l' “impronta del Buddha” , un'enorme nicchia di pietra che ha una vaga somiglianza con l'impronta di un piede. Nel complesso, dopo essere passati da Luang Prabang, Vientiane non rimane nel ricordo come una meraviglia laotiana; è una città che si sta muovendo verso un futuro indeterminato, con alcuni punti significativi e tante speranze. Allora, contenti di aver visto la capitale, la lasciamo senza rimpianti. Andiamo a sud e cambiamo panorami. Il nostro viaggio diventa prevalentemente paesaggistico: tra acque (il Mekong) e coltivazioni (risaie) spuntano villaggi e città che sono un contorno alla grande campagna che la fa da padrona. Qui fa da padrone il Mekong, che costeggiamo per lunghi tratti. E' l'arteria vitale del Laos del sud, insieme all'”autostrada” che percorriamo: la “nazionale 13” praticamente l'unico collegamento via terra a sud di Vientiane. Sul Mekong viaggiano merci e persone, battelli per i turisti e traghetti stracarichi di tutto. Sulla nazionale viaggiamo noi! Percorriamo un lungo nastro d'asfalto con poco traffico e, cosa sorprendente per le nostre abitudini, senza camion; questo la dice lunga sul livello di industrializzazione del paese; la mancanza di veicoli e di movimento di materie C. Trovati 25 prime e di prodotti finiti è l'evidenza che il Laos, al momento, ha una sola attività produttiva: l'agricoltura. Infatti la strada è affiancata da campi coltivati e da risaie. Il sud è un paese contadino, ma contadino vecchia maniera. Quando ci fermiamo nel pressi di un campo di riso in cui sono al lavoro tre donne e un uomo, vediamo che la raccolta è fatta a mano usando dei falcetti, il riso ammonticchiato in fasci viene trasportato a mano in grossi mucchi presso la casa colonica (una capanna di medie dimensioni); qui aspettano un carro e un grosso zebù che sta pascolando tra le stoppie. Arriviamo a SAVANNAKHET, il capoluogo di provincia più visitato del Sud, sia per l'importanza che ha come nodo stradale che per il patrimonio architettonico, costruzioni religiose e il centro con le case-negozio (il quartiere francese). Notevole è lo stupa buddhistaThat Ing Hang, molto venerato, che risale al XVI secolo; le decorazioni in stucco che ricoprono lo stupa sono rozze, ma affascinanti; da notare che le donne non possono entrare nel piccolo recinto che circonda lo stupa. Riprendiamo la nostra strada; nuove risaie con contadini che salutano ci fanno compagnia, poi arriviamo a PAKXE, una città sul Mekong. Pakxe è la città più grande del sud del Laos. Si impose circa un secolo fa come centro amministrativo francese, per poi diventare la più importante città mercato dell'area. Per questo il posto più importante della città è il grande “Mercato dell'Ovest”, un grande spazio coperto dove c'è di tutto, incluso i tipici ristoranti locali dove noi pranziamo nel “migliore”: tavoloni comuni, cucina a vista con pentoloni sui fornelli, da cui viene “pescato” il cibo; nonostante le apparenze dell'ambiente il cibo è buono ed è sano e l'ambiente è famigliare, informale, semplice e sollecito, cioè “questo è quello che passa il convento e siamo tutti sulla stessa barca”. Lasciamo questa città per imbarcarci su un traghetto. Inizia così il “nostro periodo sull'acqua” perché per un paio di giorni o saremo sull'acqua o saremo da essa circondati. Il traghetto in circa 1h30 di navigazione sul Mekong ci porta a Champasak, cittadina composta da un tranquillo insieme di una decina di piccoli villaggi, situata sulla sponda occidentale del fiume. Il traghetto è affollato di passeggeri (a parte noi, sono tutti laotiani che stanno attraversando il fiume) e di qualche camioncino carico di merce varia; il tempo di navigazione è abbastanza lungo, allora alcune donne depongono il bilanciere che trasportano sulle spalle, scoperchiano le ceste appese ed ecco il cibo per uno spuntino che viene rapidamente comprato e consumato dei viaggiatori. Dopo lo sbarco visitiamo un sito archeologico importante; si tratta di Wat Phu, il “Tempio della Montagna”, risalente al periodo pre-Angkor tra il Vi e il XII secolo; è uno dei complessi khmer più suggestivi al di fuori della Cambogia. E' un sito affascinante appollaiato sul fianco della montagna che domina Champasak, ormai coperto in buona parte dalla foresta; i templi di stile khmer emergono da un ambiente incontaminato (e non ancora sottoposto all'assalto di orde di turisti) e scenografico; visitato, come facciamo noi, quando si approssima il tramonto è un luogo fuori dal tempo, silenzioso ed affascinate. C. Trovati 26 Nell'estremo sud del Laos il corso del Mekong si frammenta un reticolo di rivoli e rivoletti di 14 chilometri di ampiezza. Noto con il nome SI PHAN DON, “le quattromila isole”, questo labirinto di isole, isolotti, rocce e banchi di sabbia, ha protetto le popolazioni locali che hanno continuato, non toccati dalle vicende storiche, la loro vita di pescatori praticamente indisturbati ( si è calcolato un pescato di 355 chili di pesce per famiglia all'anno). DON KHONG è l'isola più grande dell'arcipelago ed è la normale base di partenza per le escursioni nella zona. L'isola ha una serie di piccoli villaggi e di venerati templi buddhisti che la rendono interessante e piacevole. Ma indubbiamente è la navigazione nell'arcipelago il momento più intrigante. Si viaggia senza meta, seguendo il corso della corrente, scegliendo un canale piuttosto che un altro, tra profili di isole, canali tra rocce, palme ondeggianti al vento, ciuffi di vegetazione che emergono dalle acque, sotto un cielo che, risentendo ancora della coda del monsone, passa da un limpido celeste a un colore plumbeo all'orizzonte dove le nubi monsoniche son accumulate. Poi rientriamo per partire per un'altra meta. Ritorniamo sulla terraferma, la sponda orientale del Mekong, questa volta attraversando un piccolo braccio di fiume, in pochi minuti. Ci dirigiamo alle CASCATE di KHON PHAPHENG, le più imponenti del sud est asiatico; qui il Mekong precipita da un plateau di roccia; è una gran massa di acqua che compie un salto modesto, ma dopo il monsone ha una sua imponenza e la vista è piuttosto suggestiva. Ormai è tempo di tornare. Rientriamo a Pakxe per scavalcare il Mekong sul “Ponte giapponese” ed entrare in Thailandia a Ban Huang, da dove, via Bangkok, torniamo infine a casa! C. Trovati 27 4 - ETIOPIA L’Etiopia è un paese che domina l’Africa dall’alto di un altopiano di2500 metri, perché su questo altopiano c’è la sua storia millenaria. E’ situata nel “Corno d’Africa”,ciè la parte orientale del continente chesi spinge nell’oceano con una forma che può essere assimilata a un corno. Nel “Corno” ci sono altre nazione, l’Eritrea, Gibuti e la Somali, ma è l’Etiiopia che ha la più grande estensione Il territorio del paese ha una superficie di 1.128.221 km quadrati (quasi quattro volte l’Italia), che ne fa il nono paese d’Africa per estensione. Al centro-nord c’è il grande altopiano, con un’altezza media intorno ai 2500 m. A est c’è la Rift Valley, desertica con la grande depressione della Dancalia; in questa parte della Rift Valley sono state scoperte le più antiche tracce di presenza umana (il famoso scheletro dell’ominide femmina chiamato Lucy). La valle si allunga poi a sud, fino al Kenia e ai grandi laghi dell’Africa centrale, con la valle dell’Omo, in un territorio verde con laghi e foreste. Quindi mentre l’est è praticamente desertico e nel sud ci sono ancora tribù che seguono ritmi di vita e credenze ancestrali, è nell’altopiano che si è sviluppata la millenaria civiltà che ha fatto dell’Etiopia un crocevia fondamentale tra Africa ed Asia. La storia I primi documenti certi datano il 356 d.C. il periodo in cui il re axumita Ezana si convertì al cristianesimo e fece del suo regno uno dei più antichi regni cristiani e di Axum la “città sacra d’Etiopia”. Verso la metà del XII secolo l’antico villaggio di Roha diviene capitale e sotto l’imperatore Lalibela (1181-1221) ne prende il nome. A questo imperatore, il cui nome significa letteralmente “gli dei ti riconoscono re”, si deve la costruzione delle 11 straordinarie chiese intese a fornire l’immagine di una “Nuove Gerusalemme”. Nel 1686 re Fasilidas, stabilisce a Gondar la nuova capitale, che qui rimane per circa 200 anni. Infine, nell’ultimo decennio del XIX secolo, l’imperatore Menelik II pone termina all’usanza della “capitale itinerante nel paese” e fonda la nuova capitale in un prossimità del monte Enoto, a un’altezza di circo 2600 m., in un luogo più centrale e più ameno. La nuove città viene chiamata Addis Abeba, letteralmente “nuovo fiore”. Siamo nel 1887. Arriviamo a i tempi moderni e ci soffermiamo su quanto ci riguarda da vicino. Nel ventennio fascista il nuovo impero di Roma doveva trovare il “posto al sole”, cioè, come le altre potenze europee doveva avere le sue colonie in Africa. Gli occhi si puntarono sull’Etiopia e nel 1935 comincia l’avventura italiana Dall’Eritrea e dalla Somalia, già colonie italiane, inizia l’invasione con il conseguente abbandono dell’Etiopia del legittimo imperatore Haile Selassie.. L’avventura termina con la seconda guerra mondiale. Nel 1941 l’occupazione italiana ebbe termine dopo l’intervento inglese. In Etiopia ritorna Haile Selassie. Nel settembre 1974 un colpo do stato militare depone l’imperatore e l’Etiopia diviene una repubblica. Siamo ancora nel 1974 quando, il 30 novembre, una equipe di paleontologi trovò nel deserto della Dancalia il più antico scheletro di un antenato umanoide che venne chiamato Lucy, ispirandosi a una canzone dei Beatles che era suonata in quei momenti; nel 1979 il capo spedizione diede il nome ufficiale a questo scheletro fossile di ominide, ormai divenuto popolare: Australopithecus afarensis, in onore della popolazione afar che vie in quel luogo. Gli etiopi preferiscono chiamare il fossile dinquinesh, “sei meravigliosa”. C. Trovati 28 La leggenda La leggenda narra che ai tempi di re di Israele Salomone, nel 950 a.C., in Africa una giovane donna di nome Makeda sconfisse il serpente che teneva in schiavitù la città di Axum; per questo motivo suo padre divenne re e successivamente Makeda divenne la “Regina della terra di Saba”. Nell’antico libro conosciuto come Kebre Nagast, “La gloria dei Re”, si narra come Menelik I, figlio della regina di Saba e di re Salomone, dia origine alla dinastia dei re etiopi, una delle dinastie monarchiche più lunghe del mondo. La leggenda continua narrando come Menelik portò l’Arca dell’Alleanza da Gerusalemme ad Axum, dove viene tutt’ora custodita in una cappella a lei dedicata. Il viaggio Addis Abeba La capitale, situata a 2400 m di altezza si sviluppò su un agglomerato sorto lungo le carovaniere dell’altopiano dopo l’ampliamento operato da Menelik. La città offre al visitatore lo spettacolo di uno dei più grandi mercati d’Africa che si estende lungo ampie vie affollate di persone, asini, carretti e veicoli, che rendono difficile muoversi e piccoli vicoli stracolmi di merci per cui il transito è uno slalom continuo tra mucchi di merci, venditori seduti, compratori che trattano; perciò la guida ci dice che è altamente sconsigliato per noi avventurarsi a piedi nel mercato, non perché sia pericoloso in sé, ma perché una volta inoltratosi il difficile è uscirne dalla parte giusta. Vediamo e capiamo! L’altro luogo interessante è il Museo Nazionale dove c’è la copia dello “scheletro di Lucy”, cioè l’origina dell’uomo (al momento attuale delle conoscenze). Poi c’è la città con ampie strade e grandi piazze che introducono alla modernità, presentata da alti palazzi a vetri. Infine c’è la parte istituzionale con i palazzi governativi, le chiese egli edifici dell’Unione Africana di cui Addis Abeba è sede; sono tutte costruzioni “sensibili” e quindi è vietato fotografare. Il lago Tana e i monasteri copti Dopo la visita di Addis Abeba, in cui ritorneremo alla fine del viaggio per la celebrazione del Timkat, ci dirigiamo nel cuore dell’Etiopia. Le guide locali denominano il percorso che ci accingiamo ad effettuare il “Percorso della storia” per i luoghi che tocca e le memorie che ivi sono. L’altopiano, grazie alla difficoltà per raggiungerlo, quando ci si muoveva solo su strade e sentieri, fin dal medioevo è stato terra di rifugio di numerosi monaci e mistici, la cui memoria resta ancora oggi tra le montagne del nord. Qui la religione cristiana ortodossa copta si è radicata e non è stata mai insidiata dall’avanzata dell’Islam, perciò l’altopiano è rimasto il cuore religioso dell’Etiopia per oltre 1500 anni e continua ad esserlo. o o Da Addis Abeba giungiamo a Bahir Dar. Sulle rive del lago Tana, la città è sede di un importante mercato in cui noi turisti siamo oggetto dell’attenzione dei venditori e dei compratori, specialmente quando nella zona delle spezie paghiamo la nostra non abitudine agli odori intensi e penetranti starnutendo e tossendo, tra le risate dei locali. Da qui pariamo per le cascate Tis Isat, le grandi cascate del Nilo Azzurro. Il lago Tana è ritenuto la sorgente del Nilo Azzurro. L’antichissima leggenda racconta che il Nilo Azzurro scendeva dal cielo: erano le lacrime della dea Iside C. Trovati 29 o alla ricerca del suo amato sposo Osiride, ucciso dal fratello Seth, che, dopo essersi raccolte nel lago Tana originavano le piene del fiume. Le cascate sono ormai ridotte di portata dopo la costruzione di una diga. Comunque rimane il fascino del salto dell’acqua che da un largo bacino precipita in una stretta gola, meritando il nome Tis Isat, “acqua fumante”. Da questo punto il Nilo, scavando l’altopiano per più di 600 chilometri, arriva a Karthoum e si unisce al Nilo Bianco, formando il Nilo che attraversa l’Egitto. Dopo le cascate ci rechiamo al lago, perché è un contenitore di grandi bellezze artistiche. Il lago, situato a1840 m di altitudine ha una forma ovale di 75 km per 60 km. E’ punteggiato da 37 isole e isolotti su cui sono celati 20 monasteri, risalenti a un periodo compreso tra il XIII e il XVIII secolo, che testimoniano un’antica tradizione contemplativa; si racconta che qui sia stata nascosta l’Arca dell’Alleanza durante i periodi bui della storia etiope. E’ quindi un luogo di bellezza e di storia. Iniziamo l’escursione in battello sul lago Tana per raggiungere i monasteri. Le chiese che vedremo sono la parte più significativa del monastero e seguono un codice religioso-architettonico nella loro struttura: o la costruzione è composta da un portico che immette alla chiesa di forma per lo più circolare con tre ingressi: quello centrale riservato ai sacerdoti, i due laterali sono uno per gli uomini e l’altro per le donne, o lo spazio esterno, il portico e il primo spazio interno sono per il popolo, la parte centrale della costruzione è riservata ai sacerdoti e viene chiusa durante le celebrazioni riservando il “sancta santorum” al clero; o lo spazio sacro è il luogo dove viene conservata l’Arca dell’Alleanza, poiché ogni chiesa ne ha un simulacro; o le cerimonie devono essere guidate da almeno due sacerdoti e tre diaconi; o tre sono gli strumenti che accompagnano la salmodia:il bastone per definire il ritmo e l’intensità (utilizzato anche come appoggio, il tamburo e il sistro: o le chiese sono costruite con paglia e fango, quindi le pareti sono ricoperte di pelli su cui gli artisti hanno dipinto splendide storie della Bibbia, figure di santi, raffigurazioni di Cristo e della Madonna, con uno stile particolare, semplice ma sorprendente; o i dipinti hanno un loro codice: le figure sono rappresentate di fronte, manca la profondità e la prospettiva, le anime buone sono rappresentate di fronte, quelle cattive di profilo, i santi e le persone buone sono di colore chiaro mentre o demoni sono neri, gli angioletti quasi immancabili in ogni chiesa sono rappresentati solo con viso e ali, hanno sguardi rivolti a varie direzioni volendo esprimere che siamo sempre sotto il loro occhio vigile. Queste rappresentazioni ripetitive riescono ad essere comprese anche dalle persone che, non sapendo leggere e scrivere, non usano i libri ma intuiscono dalla pittura. Tanti sono i monasteri e tante sono le chiese, ricordo i più importanti 1 – Monastero di Narga Selassie –S.Trinità- si trova sull’isola di Dek, la più grande del lago, con la chiesa del 700, dagli interni completamente dipinti. E’ stata la prima che abbiamo visto, perciò la ricordiamo: per la sorpresa, per la bellezza inusuale, per la semplicità.. 2 - Chiesa Azwa Mariam - Santa Maria 3 - Chiesa Ura Kidane Meheret - La Parola del Perdono. Si trova sulla penisola di Zeghie ed è esempio significativo dell’arte medioevale etiope. E’ una delle più belle del lago Tana per l’interno completamente ricoperto da splendide tele dipinte. Vicino ad essa stanno costruendo il nuovo museo per valorizzare gli arredi, i libri, le croci etiopi. Lasciamo il lago e raggiungiamo Gondar, via terra con una strada tra le montagne: pochi chilometri, lungo tempo di percorrenza, ma almeno il panorama è bello. C. Trovati 30 • GONDAR La città è situata su una piatta dorsale circondata da una corona di monti elevati oltre i 3000 metri. Sede degli imperatori etiopici nei secoli XVII e XVIII, conserva di quel periodo le pittoresche rovine dei castelli imperiali ed alcune delle sue 44 chiese. Quando Fasiladas la elesse a sua capitale permanente nel1635, Gondar non era che un villaggio insignificante; divenne grandiosa con la costruzione della città murata in perfetto stile medioevale portoghese.. Il complesso dei castelli occupa circa 70.000 m/q 1° - Alem-Seghed Fasil’s Castle -1632-1667 E’il più grande, presenta influenze portoghesi ed indiane Si sviluppa su tre piani: il primo dedicato a cerimonie regali o religiose; poi c’è il balcone da cui il re parlava al popolo; il secondo con le camere da letto; il terzo con il grande terrazzo da cui controllare il territorio; da qui la visuale arrivava fino al lago Tana 2° - Adiam Seghed Iyasu’s Castle -1682-1706 Castello del figlio di re Fasil. E’più piccolo, piùbello; ha il tetto sfondato 3° - Birhan Seghed Kuregna Iysau Anditegie Mintiwab’s Castle 1730-1755 Il castello della Regina - non visitabile 4° - Messih-Seghed Bekafa’s Castle 1721- 1730 Abbinato alla Sala delle Feste era il posto delle stalle per i cavalli degli invitati Il complesso comprendeva inoltre: - L’Archivio - La Sala delle Feste - La sauna - La Biblioteca - Le gabbie dei leoni Questo complesso è il centro storico della città; per il resto Gondar è molto semplice, abbastanza piccola e tranquilla e con pochi altri punti di interesse. • Bagni di Fasilidas Pare fosse un castello costruito appena fuori città per il riposo del re; è un palazzo, circondato da un ampio parco, che si specchia magicamente nell’acqua calma della piscina rettangolare. In questo ambiente, oggi, si svolge la cerimonia del battesimo di purificazione che si effettua in occasione dell’Epifania copta: in questa occasione tutte le chiesa di Gondar e dintorni –in tutto 44- convergono qui recando la “copia” dell’Arca dell’Alleanza in processione, sacerdoti e fedeli. • Chiesa di Debra Berhan Selassie, “Monte della Luce della Trinità’” – XVII sec.Una delle più belle ed interessanti chiese etiopi. L’unica chiesa di Gondar non distrutta dai musulmani perché – dice la leggenda - era avvolta da un nugolo di api e non è stata vista. L’altra singolarità sta nel fatto che la chiesa è rettangolare. Sulla cima del tetto si eleva una lavorazione con 7 uova di struzzo simboleggiante i 7 sacramenti. L’interno è totalmente dipinto e in particolare il soffitto è completamente riempito di volti di angioletti che guardano i fedeli con i loro occhioni spalancati. E’uno dei capolavori delle chiese etiopi. Quando la visitiamo, all’interno abbiamo una sorpresa; assistiamo alla salmodia dei Sacerdoti e diaconi essendo la vigilia della Festa della Trinità; e’una cerimonia intensa e partecipata di canti rituali e liturgici accompagnati dai tamburi sacri, da tintinnare dei sistri e dal cadenzare dei bastoni. • Resti del Castello della Regina Mimtwab comprendente anche la chiesa personale e un battistero, che si trova alla periferia della città, inun luogo riparato e tranquillo. C. Trovati 31 Partiamo con un volo che per andare ad Axum passa prima per Lalibela (come dire che per fare Milano-Lodi bisogna prima passare da Bergamo), ma queste sono le linee aere etiopi! • AXUM La città fu capitale del più grande regno dell’antichità africana, Il regno axumita nacque qualche secolo prima di Cristo e raggiunse il massimo splendore intorno al III secolo d.C. Le colossali steli e le rovine dei palazzi danno un’idea della sua potenza. Qui è conservata secondo la tradizione etiope la mitica “Arca dell’Alleanza” contenente le originali “Tavole della Legge” consegnate da Yahweh a Mosè sul monte Sinai, poi rubate dal Tempio di Gerusalemme da Menelik, il primo imperatore di Etiopia, figlio della Regina di Saba e di Re Salomone. A motivo di questa presenza, ad Axum è vietata la costruzione di moschee o l’esposizione di simboli islamici. • Il Parco delle Steli Le steli indicavano il luogo delle tombe dei diversi personaggi: più il personaggio era potente più la stele era alta e lavorata e ad ogni riquadro di decoro (che si incrociava con altri grazie a raccordi detti “teste di scimmia”) corrispondeva una stanza funeraria sotterranea (9 riquadri, 9 stanze funerarie). Nel parco ci sono oltre 100 obelischi di tutte le altezze e le forme. La più alta è a terra, crollata: aveva un basamento piccolo in rapporto all’altezza (33 m.) ed ha ceduto; aveva 13 riquadri. Quelle che oggi svettano più alte sono due, affiancate: la prima, la meglio conservata e la più scolpita, è la stele che Mussolini aveva portato in Italia e che è stata restituita; la seconda, l’obelisco di Ezana vissuto nel IV secolo d.C. è alto 23 m ed è il monumento funebre del re, integra ma più semplice, è imbrigliata perché non cada. Le steli sono tutti blocchi unici che, si dice, siano arrivati fin qui grazie all’azione e protezione dell’Arca dell’Alleanza custodita nella chiesa di Santa Maria, a poca distanza dal parco delle steli. I luoghi sacri della città sono: • Chiesa di Maryam Sion (1960) voluta e fatta costruire da Haile Selassie , rotonda, moderna, conserva dei testi miniati su pelli di capra • Accanto, ma distinta e recintata, è situata la Cappella dell’ Arca custodita giorno e notte da un guardiano che qui risiede e non abbandona mai il luogo: egli ha il compito di impedire a chiunque l’accesso. Per questo motivo nessuno ha mai visto l’Arca e tanto meno le Tavole della Legge (quelle date da Dio a Mosè sul Sinai). Pare che, nel tempo,un ebreo abbia cercato di entrare per vedere, ma sia stato bloccato in tempo. • E’ visibile anche la antica CAPPELLA DELL’ARCA ma è visitabile sono dagli uomini. • Un museo raccoglie tutti i tesori legati ai riti copti. Gli altri luoghi della visita sono • la Piscina della regina di Saba • alla periferia della città, i resti del palazzo Dongour, costruito, si dice, sui resti del PALAZZO della Regina di Saba • a poca distanza, il CAMPO DI STELE (considerato il cimitero dei poveri) della Regina GUDIT (?) qui situata perché questa regina non era benvoluta • la necropoli di RE KALEB e del figlio GEBRE MESHEL è situata alla periferia della città e consiste in cunicoli e camere funerarie costruite con grosse pietre perfettamente levigate. • Sulla strada del ritorno sostiamo presso la stele, scoperta per caso, su cui sono trascritte le gesta del re Ezana in tre lingue: amarico antico (ge’ez); greco, ebraico antico. C. Trovati 32 Un volo, questa volta diretto, ci porta a Lalibela • LALIBELA La città sorge a 2600 m di altezza.. E’ una delle località più affascinanti del pianeta con le sue splendide chiese ipogee ed uno dei luoghi più sacri e più frequentati dell’Etiopia, meta di pellegrinaggi che si susseguono ininterrottamente dal XII secolo. Scoperta dagli europei nel 1520, rimasta sempre isolata a causa del difficile accesso che ne ha mantenuta intatta l’originalità e la bellezza. E’ situata in una verde conca che sembra nascondere la sue dodici chiese monolitiche scavate nella roccia. Sarebbero state costruite da Lalibela, imperatore della dinastia Zegue, intorno al 1225 e nell’arco di 23 anni, usando mano d’opera fornita, forse, da artigiani copti venuti dall’Egitto o da Gerusalemme. Ciascuna chiesa è ricavata da un unico blocco di gres rossastro, scavato all’interno e lavorato esternamente in modo da assumer forme di tetto, facciata, pareti, infine traforato per ottenere porte e finestre. Le chiese sono separate in due gruppi da un piccolo torrente che simboleggia il fiume Giordano della Palestina. Il gruppo nord-occidentale comprende sei chiese che sono scavate nel terreno; quello orientale ne comprende altre cinque che si sviluppano direttamente nel corpo della montagna; la dodicesima si trova isolata dalle altre ed è scavata nel terreno. • Il primo nucleo di chiese ne comprende 5 scavate in 23 anni 1° Casa della Madonnina : la più grande (protetta con un riparo decisamente antiestetico). In essa è conservata una Croce di 7 kg. d’oro donata dal re Lalibela alla Chiesa. La Croce tipica di Lalibela si compone di sei sfere a sinistra e sei a destra più una centrale, a simboleggiare Gesù e gli Apostoli. Lateralmente ornata di 4 ali d’angelo 2° Chiesa di Santa Maria, la più scolpita e affrescata. Al suo interno una “colonna sacra” che non si può toccare né “svelare” All’esterno un pozzo sacro in cui le donne sterili venivano immerse per tre volte 3° Casa della Croce , la più piccola 4° Casa della Vergine in ricordo delle 40 vergini ammazzate da Giuliano l’apostata nel IV secolo . E’ divisa in due parti. Notevole il dipinto di San Giorgio del XV secolo 5° Chiesa del Golgota comprende una parte, riservata solo agli uomini, con sculture di santi. Sembra che qui sotto sia stato sepolto re Lalibela • Il secondo nucleo di chiese comprende: 1° e 2° chiesa : San Gabriele e San Raffaele , collegate fra loro. Nella prima, caratteristico il quadro con la raffigurazione dell’Angelo Gabriele che salva dalla fornace cui erano destinate, le fanciulle che non avevano ceduto alla conversione islamica Nella seconda , il quadro con l’Angelo Raffaele che salva la chiesa copta 3° chiesa di San Marco rifatta dopo il crollo avvenuto nel XVII sec. Qui il Sacerdote ha accompagnato la nostra visita col suono del tamburo 4° chiesa dell’Emmanuele. Era destinata alla famiglia reale che qui pregava 5° chiesa san Libanos costruita dalla moglie di Lalibela in una notte, grazie all’aiuto degli angeli • staccata, rispetto a questi due complessi, c’è la chiesa di San Giorgio. Si narra che fu chiesta espressamente dal santo al re Lalibela : una chiesa dedicata a lui, e che lui stesso ha visitato. Sulla parete esterna sono rimaste infatti le orme degli zoccoli del cavallo con cui San Giorgio è sceso dal cielo. E’ una chiesa scavata in un solo monolite, è alta 13 metri C. Trovati 33 Monastero Naakute Laab sito fuori città si presenta formato da una serie di grotte. A motivo dell’acqua che scende dall’alto e che viene considerata santa, è méta anche per la gente che raccoglie l’acqua da ciotole di pietra che nel tempo sono state scavate proprio dall’acqua che dall’alto gocciolava. Il monastero conserva arredi sacri (corone, croci, pastorali,paramenti) e manoscritti miniati • • RITORNO A ADDIS ABEBA PER IL TIMKAT Il Timkat, l’Epifania copta, è forse la più importante festa religiosa dell’Etiopia. Cade, secondo il calendario lunare, in gennaio, qualche giorno dopo la nostra Epifania. Nel Timkat si celebra anche il battesimo di Gesù Cristo ed è questa cerimonia che occupa i due giorni dedicati alla ricorrenza. Il pomeriggio della vigilia i preti, addobbati con elaborate vesti e ombrelli finemente ricamati, escono in processione da tutte le chiese della città portando sul capo il Tabot tavole in legno o pietra ricoperto da vari strati di stoffa preziosa. Il Tabot rappresenta l’Arca dell’Alleanza contenente i 10 Comandamenti. I vari cortei, seguiti dai devoti, che manifestano la loro fede con balli e canti e lentamente raggiungono il grande spiazzo dove il giorno successivo si celebrerà la festa. Qui alla presenza della massima personalità religiosa della chiesa copta etiope, il patriarca Abuna Paulos, si allineano le Arche dell’Alleanza con accanto preti e diaconi con le rispettive croci. Si celebra la funzione religiosa con canti e litanie che si diffondono tutt’attorno; la funzione, con i suoi vari passaggi, dura tutta la notte. Al mattino c’è il culmine del Timkat: il ricordo del battesimo di Gesù con la benedizione dell’acqua con cui saranno aspersi tutti i fedeli. Infatti al termine della messa il patriarca seguito dagli altri religiosi benedice prima la piscina che ricorsa il fonte battesimale, poi immerge la propria croce nell’acqua e spruzza i circostanti. Mentre i sacerdoti benedicono la folla, che oramai raggiunge decine di migliaia di fedeli tenuti fuori dall’area del culto da un imponente servizio d’ordine, si terranno una ulteriore processione delle Arche dell’Alleanza giunte ieri ed altre funzioni che centinaia di preti e diaconi accompagneranno da canti al ritmo dei tamburi e sistri. C. Trovati 34 5 - MAGADASCAR E' la più grande isola africana con 587.041 km quadrati di superficie e la quarta isola nel mondo. Situata nell'oceano Indiano al largo della costa sud-orientale del continente, è separata dalla terraferma dal Canale di Mozambico che ha una larghezza compresa tra i 460 e i 950 km. Su questo territorio vivono 18 milioni di abitanti, di cui la metà dal punto di vista religioso è dedita ai culti tradizionali e locali, mentre il restante della popolazione pratica il cristianesimi, grosso divisa in parti uguali tra il cattolicesimo e il protestantesimo. La capitale dello stato è ANTANANARIVO, con circa 1.400.000 abitanti, situata sull'altopiano a 1250 m di altezza. Il carattere distintivo dell'isola è il colore rosso intenso del terreno, ricco di ferro; proprio per la grande presenza di questo tipo di terreni il Madagascar viene chiamato l' “Isola Rossa”. Nell'isola possiamo distinguere alcune zone con caratteristiche precise: il nord è collinare, coperto da foreste, umido e per questo è poco abitato; il centro è il cuore del paese, è un enorme altopiano tra i 1200 e i 1500 metri di altezza con un clima temperato dall'altitudine e qui vive la maggior parte della popolazione; Il sud è più desertico con grandi pianure alternate a foreste, adatto alle coltivazioni, con la popolazione concentrata in alcuni villaggi e nelle città importanti. Complessivamente questa conformazione fisico-orografica non favorisce un'agricoltura intensiva e, mancando importanti materie prime, non ci sono fabbriche e industrie. Quindi il paese è povero, molto povero e la gente dei villaggi lo dimostra. Attraversare il Madagascar significa fare un viaggio “naturalistico” attraverso foreste , savane, gruppi rocciosi, con un unico tipo di animale, il lemure, un po' il simbolo del paese. E' un viaggio in un' “altra Africa” completamente diversa dal continente. La prima cosa che salta all'occhio è la mancanza di quelli che siamo abituati a chiamare “animali africani”: niente leoni, elefanti, giraffe, bufali, zebre, ecc.; ci sono solo camaleonti e lemuri, tanti lemuri di tipi e specie diversi, ma solo lemuri. I lemuri sono delle “protoscimmie” la cui storia evolutiva rimane enigmatica: Sono endemici in Madagascar, unico paese in cui si trovano perché, negli altri paesi, ad essi subentrarono le scimmie e gli altri primati. La maggior parte di essi ha abitudini arboricore e notturne e si nutre principalmente di frutta e di insetti. C. Trovati 35 IL VIAGGIO Antananarivo Arriviamo ad Antananarivo, la capitale. La città è adagiata sul fianco di una altura che domina una fertile pianura. Non ha caratteristiche particolari se non il vivacissimo mercato che, specie nella parte floreale esplode in brillanti e variegati colori. Nel passato gli edifici della città erano costruiti con legno e giunchi; con l'introduzione della pietra e del mattone (fine del XIX secolo) la città venne ricostruita e ora presenta numerose strutture di stile europeo, compresi i palazzi reali, le chiese anglicana e cattolica, la residenza francese. La città è vivace, specie nelle aree del mercato, pulita e con un traffico ridotto, Salendo sulla collina a est, si gode un'ampia vista della città. Dalla capitale parte una strada asfaltata che si dirige verso sud: è la grande e unica strada di comunicazione tra l'altopiano centrale e i territori e le città del sud; perciò ci incamminiamo su questa strada. Una volta in viaggio il panorama cambia radicalmente. Incontriamo risaie in cui la cura del riso è ancora fatta a mano da donne, con i piedi immersi nell'acqua; lungo la strada ci sono le “fabbriche di mattoni crudi” con montagne di mattoni di fango, argilla e paglia messi ad asciugare e poi composti in mucchi riscaldati da un fuoco interno; la gente è vestita in modo dimesso e lungo la strada nei villaggi sono esposte le verdura prodotte dalla famiglia. E' un primo, forte impatto con la povertà del paese. Viene compensata, se così si può dire, da una natura rigogliosa e splendida, anticamera del primo parco nazionale che visitiamo. Dalla strada si dipartono altre strade, questa volta in terra battuta che conducono a lontani villaggi, nascosti dalle piante e dalla vegetazione rigogliosa. Poi la strada si inoltra tra dolci colline, mentre le chiare acqua dei torrente gorgogliano a valle. Poi altri villaggi sono sul bordo della strada, con le case di stile coloniale in mattoni che hanno grandi terrazze coperte su cui sono stesi i panni. Adesso è il momento del primo parco. Parco nazionale di Ronomafama Si trova a circa 60 km da Fianarantsoa e ha un clima tropicale umido. Copre una superficie di circa 40.000 ettari di foresta pluviale su un massiccio montagnoso, ad una altitudine compresa tra gli 800 e I 1200 m ed è ricco di sorgenti e cascate. Vivono 12 specie di lemuri. Noi facciamo una escursione nella foresta, In breve siamo fradici di sudore, sentiamo le foglie stormire quando i lemuri balzano da un albero all'altro, ma in quanto a vederli … alla prossima volta! Però gustiamo il percorso tra sentieri semi sommersi dalla vegetazione; siamo acompagnati dal mormorio delle limpide acque dei torrenti che costeggiamo apiù riprese. Prima di lasciare il parco incontriamo un villaggio di poche case, molto semplici, ai bordi di un piccolo bananeto; l'impressione che abbiamo ricevuto lungo la strada si rafforza: c'è aria di povertà, persone dall'aspetto dimesso che ci accolgono forse con curiosità, ma senza animosità. Non siamo proprio a nostro agio e quando è il momento ci allontaniamo volentieri. • Arriviamo a Fianarantsoa. La città situata a 1500 m di altitudine, è della prima metà del'800, quando la regina Ranavalona ne volle fare una “seconda capitale”, almeno nelle intenzioni, e in effetti l'urbanistica della città è ispirata a quella di Antananarivo C. Trovati 36 con una suddivisione in una città alta con una cattedrale egli edifici storici, una città media sede di uffici e banche, una città bassa polo commerciale e sede della stazione ferroviaria. Vista in distanza la città alta, sul culmine della collina sembra una cittadina bavarese con chiese e campanili che svettano, case alte e tetti acuti; su tutto spicca la cattedrale di Ambozontany. Proseguiamo e il panorama continua ad essere fatto da risaie, fabbriche di mattoni. Ci fermiamo in un villaggio affogato nella terra rossa perchè espone I suoi prodotti lungo la strada; si tratta di lavorazioni artigianali fatte con fili bianchissimi ottenute sfibrando foglie di agave; il contrasto rosso dell'ambiente e bianco dei lavori è impressionante; qui gli abitanti sono cordiali e sorridenti (sono commercianti e devono vendere!). Proseguiamo e a un certo punto accostiamo per lasciar passare una grossa mandria di zebù, condotta dai pastori, che con il loro lento e tranquillo passo si stanno dirigendo ad Antananarive; è la carne che alimenta la capitale! La mandria viene da Ambalavao, il grande mercato di bestiame della zona. Vi arrviamo in poco tempo, giusto in orario per osservare e camminare nel mercato, ancora in corso: un ampio spazio in terra battuta è affollato da grossi animali in attesa del compratore e pastori avvolti in teli colorati per proteggersi prima dall'umidità della notte (sono partiti con il bestiamo nella notte dai villaggi per esserre in tempo ad Ambalavao), ora dal sole. A lato si estende il mercato di generi alimentari e tessuti. Ripartiamo e attraversiamo una immensa distesa di erbe, piatta fino all'infinito: “tanto grande da non riuscire a vederne la fine”; è l'altopiano dell ' Horombè; la guida ci dice che è lungo una cinquantina di chilometri e noi dobbiamo percorrerla per arrivare al parco, nostra mete • Parco nazionale dell' Isalo Si trova a700 km da Anatananarivo ed ha un clima tropicale secco, che raggiunge i 35°. E' costituito da un grande massiccio roccioso eroso da profondi canyon, con numerosi corsi d'acqua che lo solcano. Le escursioni che facciamo ci fanno incontrare i lemuri, tanti lemuri, sugli alberi, saltellanti sul terreno con la coda lunghissima e gli enormi occhi che ti fissano intensamente, aspettandoti; ci lasciano avvicinare e poi tranquillamente se ne vanno, senza fretta. L'escursione nel parco è magnifica per la grandezza dell'ambiente, per I colori delle rocce che emergono dai cespugli o dalla distesa d'erba, per il magnifico cielo celeste, per le pozze di acqua limpida in cui ci si può bagnare. Il paesaggio è di rara bellezza, caratterizzato da montagne dai colori caldi e dalle forma più strane dovute all'erosione costante degli agenti atmosferici che si alternano atratti di savana. − Il sud Siamo di nuovo in cammino e siamo diretti decisamente a sud, sulla costa. In questo percorso incontriamo i baobab del Madagascar che sono completamente diversi da quelli del continente: sono altissimi fusti lisci e diritti, con un ciuffo di rami in cima. Attraversiamo altri vasti spazi in cui, talvolta, ci sono mandrie di zebù al pascolo e giovani pastori che giocano con I camaleonti, mostrandoceli orgogliosi. Arriviamo a Tulear, sulla costa sud occidentale. C. Trovati 37 Da qui ripartiamo l'indomani per raggiungere via mare Anakao e l'isoletta Nosy Ve, in uno splendido mare verde, azzurro, su cui si dondolano colorate barche di pescatori, con ampie spiagge ricche di grosse e belle conchiglie. All'orizzonte la spuma bianca delle onde indica la barriera corallina. Adesso con un breve volo ci trasferiamo sulla costa sud orientale a Fort Dauphin, Da qui partiamo per escursioni alla Baia di Locaro e lungo la costa. Dopo un viaggio di circa tre ore arriviamo all'ultimo parco, ma prima ricordiamo il magnifico percorso attraverso zone umide, caratterizzate da risaie, piantagioni di banane, che si alternano a zone aride, caratterizzate da piante grasse e spinose. Le foreste di questa zona sono dette “foreste spinose” perché formate da alberi i cui rami invece delle foglie hanno spine lunghe e dure. Attraversiamo ettari di piantagioni di sisal, un tipo di agave dalle cui foglie si ricava una fibra usata per corde e lavori di artigianato.. Siamo al parco. Riserva naturale di Berenty E' situata a sud ovest di Fort Duphin. Nonostante non abbia una grande estensione è una delle riserve più famose e importanti del Madagascar. Comprende una foresta di tamarindi ed è possibile vedere molti lemuri ed avvicinarli. Così facciamo nel nostro giro e quando i lemuri se ne vanno assumono una posizione eretta sulle gambe posteriori e se ne vanno con balzi laterali. Così facciamo anche noi, ce ne andiamo perchè il viaggio in Madagascar è finito! C. Trovati 38