Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni Monachesimo europeo Mentre le invasioni barbariche rendevano drammatiche le condizioni di vita delle popolazioni dell'Impero Romano d'Occidente, andarono costituendosi e prendendo vigore diverse istituzioni ecclesiastiche e religiose, che presto si sarebbero rivelate forze costruttive di una nuova civiltà. Tra esse il monachesimo, nei secoli che vanno dal IV all'VIII, è forse la più importante. Il monachesimo europeo proviene dal Medio Oriente; infatti l'ascetismo religioso e la vita monastica non sono peculiari del cristianesimo, ma rappresentano forme in cui l'anima ha cercato in ogni tempo di tradurre la propria sete del divino. Nel IV secolo, in Egitto, in Palestina e in Siria, sulla scia di Antonio il Grande (Detto anche S. Antonio Abate, Egitto 251 circa-357) e di altri Padri del deserto, specialmente di san Paolo di Tebe, , si fecero sempre più numerosi coloro che abbandonavano completamente il mondo per vivere nella solitudine (eremos, da cui il termine di eremita, per indicare gli asceti viventi nel deserto) oppure per associarsi insieme in comunità o cenobi (dal termine greco coinobios, indicante vita in comune), onde ricercare una comunione più intensa con Dio ed innalzarsi verso la santità. In ambito cristiano, Antonio è considerato l'iniziatore della via eremitica e Pacomio di quella cenobitica. La produzione letteraria del mondo monastico cristiano d'Oriente, in ambienti pervasi da una così fervida tensione religiosa, fu caratterizzata dall'ascetismo. Il monachesimo degli albori si fonda sulla libertà individuale del monaco, che liberamente sceglie la vita solitaria. Ma ben presto si diffuse il sistema delle regole. La regola era posta dal maestro e aveva lo scopo di organizzare la vita comunitaria. I monaci nell'Europa Orientale si davano con fervore, che talora rasentava la frenesia, ad intense pratiche ascetiche (dal greco aschesis=esercizio), le quali univano alla preghiera ed alla meditazione ogni sorta di mortificazioni della carne, talora durissime o stravaganti addirittura, come l'astensione dal cibo, dal sonno o dal lavarsi per periodi più o meno lunghi, oppure l'infliggersi flagellazioni e torture. Tra questi, particolari furono gli stiliti e i dendriti che trascorrevano la loro vita rispettivamente su una colonna e su un albero. Il monachesimo rappresentò in sostanza una grande rivolta dello spirito autenticamente cristiano contro il pericolo di mondanizzazione della Chiesa. Come tale, esso costituì per secoli la grande riserva di forze spirituali della Chiesa ed ebbe importanza storica decisiva nello sviluppo della civiltà cristiana nel mondo mediterraneo. In Occidente Dopo il IV secolo il monachesimo cominciò a diffondersi in Occidente: Girolamo a Roma, Agostino in Africa, Severino nel Norico, Paolino a Nola, Martino e Giovanni Cassiano nella Gallia si fecero promotori dell'ideale monastico (sull'esempio di quello orientale) e monasteri famosi sorsero nel V secolo a Tours e ad Arles ad opera dei vescovi Cesario e Aureliano (autori d'importanti Regole). Cassiodoro, il ministro di Teodorico, fallita la sua politica di fusione tra Romani e Goti, abbandonò la corte gotica, si rifugiò nei suoi possedimenti nella natia Calabria e verso il 554 fondò un monastero a Vivarium, in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita. Montecassino A dare al monachesimo del cristianesimo cattolico la sua particolare fisionomia operosa, in confronto a quello del cristianesimo ortodosso, più portata alla contemplazione e all'ascetismo, fu 1 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni però un giovane, discendente da una famiglia della piccola nobiltà provinciale dell'Umbria: Benedetto da Norcia, vissuto a cavallo tra il V e il VI secolo. Ritiratosi a vita eremitica a Subiaco, Benedetto aveva visto crescere attorno a sé un gruppo di seguaci, insieme ai quali, trasferitosi successivamente nelle vicinanze di Cassino, aveva fondato il monastero di Montecassino (529), il più importante centro monastico dell'Occidente. In questo modo San Benedetto gettava le fondamenta della nuova società monastica, con la compilazione della sua Regola (534). La regola benedettina è informata tutta allo spirito pratico dell'antica Roma, fondendolo armonicamente con la spiritualità cristiana. Per Benedetto i monaci non debbono essere soltanto dei contemplanti: il loro motto dovrà essere “ora et labora” (prega e lavora). La regola fu scritta originariamente per il solo monastero di Montecassino, ma venne presto adottata come regola per eccellenza del monachesimo cattolico. Benedetto da Norcia, santo (Norcia 480 ca.-Montecassino dopo il 546). Fondatore dell’ordine benedettino e patriarca del monachesimo occidentale. Fu autore della Regola monastica che prescrive povertà, obbedienza e un fortissimo impegno di preghiera e di lavoro. Le scarse notizie storiche sulla sua vita provengono quasi esclusivamente dai Dialoghi di s. Gregorio Magno (libro II), scritti a scopo soprattutto di edificazione. Nato da nobile famiglia, studiò a Roma, che abbandonò per condurre vita solitaria sui monti di Enfide (od. Affile), già sede di altri asceti (tra cui il monaco Romano, che ispirò Benedetto). Chiamato a dirigere una comunità a Vicovaro, dovette abbandonarla per l’indisciplina dei monaci, rifugiandosi nella stretta valle dell’Aniene poco a monte di Subiaco (Sacro Speco); essendosi uniti a lui molti discepoli, eresse nella zona dodici monasteri, tenendo però presso di sé i prediletti Mauro e Placido. Contrastato da un prete sublacense, Fiorenzo, Benedetto decise di partire; raggiunta la via Latina, arrivò a Cassino e nel 528 ca., sul monte dove sorgeva un tempio pagano consacrato a Giove, eresse due oratori dedicati a s. Martino e a s. Giovanni Battista e un monastero, affiancato da un altro monastero femminile diretto dalla sorella, s. Scolastica. A Cassino ricevette la visita del re degli Ostrogoti Totila (546). La Regola benedettina, pilastro della vita monastica occidentale e frutto di esperienza personale a lungo maturata, fu probabilmente ispirata a un testo precedente. All’inizio non particolarmente diffusa, si impose grazie ai Carolingi, che la estesero a tutte le comunità monastiche del Sacro romano impero. Essa comprende un prologo e 73 capitoli ed è giunta in tre recensioni: l’autografo, portato a Roma nel 577, riportato a Montecassino nel 742 e trasferito a Teano nell’883, vi fu distrutto in un incendio (896): da esso si crede derivi la copia mandata dall’abate Teodemaro a Carlomagno (787) e da questa derivano un codice di S. Gallo e alcuni altri, tra cui quelli della cosiddetta «tradizione cassinese». Scolastica da Norcia, Santa (Norcia, 480 – Piumarola, 547) Sorella gemella di Benedetto da Norcia, Scolastica nacque a Norcia verso il 480. Secondo quanto riporta san Gregorio Magno nel secondo libro dei Dialoghi, all'età di dodici anni fu mandata a Roma assieme al fratello per compiere gli studi classici, ma entrambi restarono profondamente turbati per la vita dissoluta che vi si conduceva. Benedetto per primo decise di ritirarsi in eremitaggio. Scolastica, rimasta unica erede del ragguardevole patrimonio della famiglia, rifiutando ogni attaccamento ai beni terreni, chiese al padre di potersi dedicare alla vita religiosa entrando in un monastero vicino a Norcia. Il padre, pur soffrendo per la separazione dalla figlia, ricordandosi del voto fatto, accettò la sua decisione. Qualche anno dopo seguì il fratello a Subiaco e quando Benedetto fondò l'abbazia di Montecassino, volle seguirlo e ai piedi di Montecassino, a circa 7 km a sud dell'abbazia, fondò il monastero di Piumarola, dove assieme alle consorelle seguì la regola di San Benedetto dando origine al ramo femminile dell'Ordine Benedettino. 2 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni Della sua vita si conoscono solo poche vicende agiografiche narrate nel secondo Libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno, che però propongono soprattutto aneddoti ed esempi di santità prevalentemente in riferimento al fratello di santa Scolastica, definito una icona del monachesimo occidentale. Mentre il mondo occidentale è sconvolto dalle invasioni barbariche, i monasteri benedettini creano un nuovo tipo di società basata, anziché sul concetto romano della proprietà privata, su quello cristiano della solidarietà collettiva. I monaci coltivano le terre circostanti al monastero, o almeno le fanno coltivare dai propri coloni, difendendole dall'abbandono e dall'inselvatichimento. Attorno a loro si raggruppano in cerca di protezione famiglie coloniche, che trovano rifugio all'ombra del monastero. Il monastero diventa così il centro di un piccolo mondo economico auto-sufficiente; anche i prodotti artigianali o industriali necessari alla sua esistenza vengono prodotti al suo interno da monaci o da servi ministeriales, dipendenti dal monastero. Il sovrappiù della produzione viene posto in vendita; così, non di rado, attorno al monastero sorge anche un centro di scambi commerciali, un mercato, una fiera. L’epoca longobarda Proprio nel corso dell'VIII secolo si ebbe nell'economia dell'Italia longobarda un'accentuata tendenza alla formazione di estese proprietà fondiarie, concentrate nelle mani dei grandi signori laici o delle chiese. Parte cospicua di questa concentrazione della proprietà andò a vantaggio dei grandi monasteri benedettini, accrescendone l'importanza. In linea di principio, almeno, i beni degli enti religiosi erano inalienabili e gli abati dei monasteri spesso amministratori capaci. Ciò condusse alla diffusione di nuovi sistemi di conduzione dei fondi, che molto giovarono alla graduale ricostruzione della ricchezza fondiaria. Tra questi da citare i "contratti di livello" (così detto dal libellum - libretto - sul quale stavano scritti i patti del contratto), per cui un fondo veniva ceduto in uso ad un coltivatore, in cambio di un canone, per lo più in natura, o quelli di enfiteusi, per cui un fondo era ceduto per lunghissimo tempo ad un minimo canone annuale, a patto che il coltivatore v'introducesse delle migliorie. Così allo spopolamento dei secoli precedenti cominciò a subentrare una maggiore densità di coltivatori nelle campagne, unita ad una rinascita delle colture specializzate, come quella della vite e dell'olivo, in luogo del pascolo e della cerealicoltura estensiva. In mezzo ad un'età di sovrani analfabeti e di regresso della civiltà, nei monasteri benedettini gli amanuensi negli scriptoria, continuano a copiare le opere degli scrittori antichi cristiani e pagani. Nei monasteri convivono quindi pacificamente insieme romani e barbari, affratellati dalla comune fede e dalla comune obbedienza alla Regola. I monasteri benedettini costituiscono, per tutto il Medioevo, importanti centri di diffusione culturale. Accanto a quello sempre più importante di Montecassino, sorsero numerosi monasteri, fra cui emergono per importanza quelli di Nonantola (752) e Pomposa (primo insediamento VI-VII) nell'Emilia Romagna, Santa Giulia a Brescia (753), di Farfa nella Sabina (a partire dal VI; l'abbazia controllava 600 tra chiese e monasteri, 132 castelli o piazzeforti e 6 città fortificate, per un totale di più di 300 villaggi), di San Vincenzo al Volturno (731) nell'Italia meridionale, della Novalesa in Val di Susa (Piemonte) (726). Questi cenobi accolsero tra le loro mura tanti latini quanti barbari, favorendo la fusione dei due popoli, mantennero in vita le tradizioni culturali dell'antichità e del cristianesimo, favorendo la diffusione della civiltà romana tra i Longobardi. 3 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni Molto importanti, nell'àmbito del monachesimo, furono anche l'Abbazia di Melk in Austria, l'Abbazia di Fulda in Germania e il Mont Saint Michel in Francia. Le incursioni degli Ungari Verso la fine del IX secolo l’arrivo in massa dei Magiari (o Ungari) – popoli nomadi di stirpe ugrofinnica, proveniente dalla regione dei Monti Urali – sconvolse i confini orientali dell’Europa. Apparsi lungo il fiume Dnepr- che costituiva la via commerciale sulla quale viaggiavano le pellicce del Nord, nonché il miele e la cera delle foreste russe – gli Ungari si insediarono nelle pianure del medio Danubio; da lì, poi, riuscirono a compiere razzie in Germania, in Francia (anche a Parigi) e persino in Italia, per circa un secolo. Le loro incursioni – come raccontano le cronache si accompagnavano a carneficine e distruzioni. In Italia gli Ungari comparvero intorno all’899, ma in seguito penetrarono a più riprese nella penisola: nel 919 in Italia, divengono mercenari al soldo di re Berengario. Nel 924 misero a ferro e a fuoco Pavia e in altri momenti riuscirono a spingersi fino nel Lazio e nella Puglia. Le razzie ungare erano tanto più gravi perché concomitanti con quelle dei Saraceni da Sud e dei Vichinghi da Nord. Solo nel 955 Ottone I di Germania affrontò gli Ungari nella pianura di Lechfeld e li sconfisse. La battaglia di Lechfeld è stata spesso indicata come l’evento che pose fine alle scorrerie ungare; in realtà fu soprattutto la creazione di due “marche” a far rallentare e quindi definitivamente cessare le loro razzie: una delle due marche, detta “orientale” (Oest, “Est”) avrebbe dato origine all’odierna Austria (Oesterreich). Ripiegati in Pannonia, allora, gli Ungari vi si insediarono definitivamente e da loro la regione prese il nome di “Ungheria” . Nel 996/997 il capo ungano Vajk si convertì al cristianesimo per sposare una principessa bavara; nel 1000 venne incoronato re, cingendo una corona che gli era inviata in dono da papa Silvestro II e mutò il proprio nome in quello di “Stefano” (dal greco, “incoronato”); più tardi, nel 1083, sarebbe stato persino proclamato santo. Così gli Ungari entrarono a far parte del sistema politico europeo: ciò che era stato un pericolo divenne, in ultima analisi, un fattore di rafforzamento e il segno di una rinata vitalità del sistema politico della nuova Europa che si stava plasmando. Le incursioni saracene Dall'827 gli emiri aghlabidi di Kairuan, nell'odierna Tunisia, iniziarono la conquista della Sicilia che impiegò molto tempo ma che segnò l'apogeo del dominio saraceno nel Mediterraneo, per almeno due secoli. La conquista fu ultimata nel 902, grazie all'offensiva contro la resistenza bizantina, che aveva tagliato i rifornimenti conquistando Creta (827) e Malta (870). L'insediamento dei saraceni fu talora incoraggiato e sostenuto anche dai signori locali, come aiuto nelle dispute, come nel caso di Andrea, console di Napoli, che era vessato dal principe longobardo di Benevento Sicone e dopo essersi rivolto inutilmente a Ludovico il Pio chiese aiuto ai saraceni. L'intervento venne richiamato anche dal suo successore Sicardo, con le città di Amalfi, Sorrento e Gaeta che si associarono ai napoletani: i saraceni si comportarono con correttezza verso le città campane aiutandole a sconfiggere i beneventani e firmando accordi di pace e commercio. In cambio i napoletani soccorsero i saraceni durante l'assedio di Messina dell'843 e mantennero una complice neutralità quando caddero sotto il dominio islamico Punta Licosa e le isole di Ischia e Ponza. 4 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni Sempre i napoletani, per indebolire Benevento, avevano invitato i saraceni ad assalire Brindisi nell'838, dalla quale essi si estesero a Taranto e Bari, che diventò sede dell'omonimo emirato dall'840 all'871. I saraceni approfittavano ormai delle rivalità tra i poteri locali, facendo da padroni e mettendosi al servizio ormai anche degli stessi beneventani senza scrupoli. Nell'anno 840 Siconolfo, signore di Salerno, in lotta con Radalgiso (o Radelchi) e Landolfo signori di Benevento e Capua, chiamò in suo aiuto i Saraceni insediati nella colonia sotto la collina del Traetto, alle foci del Garigliano, spesso e volentieri assoldati dal duca di Napoli, Andrea II. Dopo sanguinose incursioni in alcune parti dell'Italia meridionale, i Saraceni trovarono modo di prosperare grazie alle loro razzie e al loro offrirsi come mercenari ai più diversi signori cristiani dell'epoca. Nell'843 i Saraceni si spinsero fino distruggere Fondi e Montecassino, arrivando a Ostia e risalendo il Tevere per giungere a Roma dove saccheggiarono (846) la basilica di San Pietro in Vaticano e quella di San Paolo fuori le mura a Roma. Il gesto spinse ad una reazione contro "lo nero periglio che vien dal mare" che non tardò. Un primo tentativo di cacciare i saraceni dall'Italia meridionale fu fatto nell'866-871 dall'imperatore e re Lodovico II, che, sceso in Italia con un esercito di Franchi, Burgundi e Provenzali, oltre alle truppe alleate di Papa Sergio II, del doge di Venezia, del duca di Spoleto e di quello di Napoli, riprese Benevento, Capua, Salerno, Bari, distruggendo Matera e Venosa. Truppe saracene ormai incontrollabili erano state assoldate da Adelchi, duca di Benevento: egli obbligò i baresi ad accettare la protezione del berbero Khalfun, al quale come pagamento fu promesso niente meno che il permesso di saccheggiare e incendiare alcuni edifici sacri nella zona, ma egli si spinse fino a radere al suolo la città di Capua. Ludovico, allora in Italia, riuscì a liberare Benevento dai mercenari e pacificare i principi longobardi, facendo da garante alla suddivisione del ducato nei due principati di Salerno e di Benevento e nella contea di Capua. La soluzione di compromesso non piacque a papa Leone IV, che proprio in quegli anni stava facendo cingere Roma con la "cinta leonina" di mura, a riprova del timore ancora vivo, quindi il pontefice patrocinò la formazione di una flotta campana che nell'849 batté i saraceni al largo di Ostia. Ludovico, nominato nel frattempo imperatore, si mosse verso Bari, supplicato anche dagli abati di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno. A Bari intanto regnava un emiro che si destreggiava tra i vari poteri locali, senza negare la concessione, dietro pagamento, di salvacondotti per i pellegrini che si volevano imbarcare per la Terra Santa. Egli proteggeva inoltre la dotta comunità ebraica di Oria. Scacciati una prima volta da Bari, un nucleo di essi trincerò presso il Monte Matino (il Mons matinus di Orazio) su un'altura che perciò prese il nome di Monte Saraceno sul Gargano. La campagna contro Bari fu lunga e tra varie trattative, alleanze e trattati si svolse dall'855 all'871, con la fase attiva di combattimento nei quattro anni tra l'867 e l'871. L'emiro Sadwan, che aveva anche saccheggiato il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano, ebbe il permesso di trascorrere la vita in dorata prigionia dall'amico Adelchi, principe di Benevento. Ma l'imperatore bizantino Basilio I vedeva di mal occhio l'intervento in Italia Meridionale dei Franchi, da secoli territorio di prerogativa bizantina: Basilio si alleò con Sadwan e fomentò una rivolta dei longobardi di Benevento, mentre un nuovo esercito saraceno di ventimila uomini, inviato da Kairouan, devastava Calabria e Campania. Nell'873 Ludovico tornò in Campania e sconfisse i saraceni. Restava dunque il porto saraceno di Taranto, dal quale si snodava un ricchissimo commercio di schiavi. Furono i bizantini a recuperare Taranto (876). Le scorrerie saracene nell'Adriatico non si conclusero tuttavia con la riconquista di Taranto, Nell'882, alleatisi di nuovo con i campani, distruggevano le abbazie di San Vincenzo e Montecassino, stabilendo un nido alla foce del Garigliano, (Traetto), dal quale tenevano sotto tiro 5 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni anche Roma: furono definitivamente cacciati solo nel 915, quando l'imperatrice bizantina Zoe Porfirogenita riuscì a mettere d'accordo le signorie italiane sulla necessità di cacciare i saraceni dalla penisola italiana e iniziava contro di loro una campagna che - grazie all'impegno di Berengario re d'Italia, di papa Giovanni X e dei duchi di Spoleto e Camerino - coglieva il frutto ripromesso. In realtà le scorrerie continuarono, infatti uno degli episodi più gravi sembra essere il nuovo sacco di Oria e Taranto avvenuto nel 925/926 Nel 970 tornarono di nuovo sul Gargano devastando luoghi (le due città di epoca romana Siponto e Matinum furono rase al suolo) atterrendo in stragi e rapine gli abitanti, i quali furono costretti a chiedere aiuto ad Ottone I. È su Monte Saraceno, dove stavano fortemente trincerati da anni, che i Saraceni furono sconfitti e scacciati dal luogo proprio dall'imperatore Ottone I. La Sardegna non era sfuggita alle incursioni saracene e nel 1016, dopo essere stata oggetto di scorribande di corsari, l'emiro Mujāhid al-ˁĀmirī di Denya (noto in italiano come Musetto), dalle Baleari, ne tentò l'occupazione senza riuscirci; nel 1022 altri saraceni effettuarono nuovi tentativi, sino a che nel 1052 i giudicati indigeni, alleatisi con i pisani ed i genovesi, dopo lunghi e sanguinosi combattimenti riuscirono a respingerne definitivamente gli assalti. Dalla Sicilia nel IX secolo gli arabi continuarono a saccheggiare le coste dell'Italia meridionale, stabilendo anche nuove, occasionali, teste di ponte, come a Agropoli o a Santa Severina, che, nonostante il fallimentare intervento dell'Imperatore Ottone II (del 982), durarono ancora per molto, venendo meno solo dopo il 1036, quando la morte dell'emiro siculo di al-Akhal portò a un'irreversibile polverizzazione del potere nell'isola. Dalla Sicilia furono cacciati nel 1071, dopo dieci anni di guerra, dai Normanni (vedi sotto). Per avvistare da lontano le navi corsare e poter dare per tempo l'allarme alle popolazioni indifese, sorsero in quegli anni sulle coste del Mediterraneo torri costiere e castelli, di cui ancora oggi è possibile vedere numerosi resti, spesso localmente chiamate col generico appellativo di torre saracena. La base in Provenza e le incursioni nell'Italia nord-occidentale In al-Andalus (Spagna), dopo l'accentramento del potere e le epurazioni condotte da al-Hakam ibn Hisham, alla fine del VII secolo si assistette a una recrudescenza delle rivolte e dei movimenti separatisti. Secondo Liutprando da Cremona, verso l'890, i saraceni andalusi sbarcarono in Provenza, ove venne fondato un emporio stabile, Frassineto. Da qui, i saraceni facevano scorrerie lungo le coste e zone adiacenti (fino a Marsiglia, Tolone e Nizza) e verso l'entroterra, spingendosi fino alle Alpi e alla pianura piemontese. Nel 906 saccheggiarono e distrussero l'Abbazia della Novalesa. Tra il 934 e il 935 corsari dell'Ifriqiya arrivarono a saccheggiare Genova. Liutprando dice che l'episodio che segnò un punto di non ritorno delle ostilità fu il rapimento, di un monaco, tra il 972 e il 973, preso per poter chiedere un riscatto: egli era san Maiolo, il potente abate di Cluny. Il suo salvataggio precipitò gli eventi: infatti già dal 971 l'aristocrazia provenzale, guidata da Guglielmo I di Provenza, stava organizzando un'azione militare contro Frassineto, che nell'autunno del 972 si compì con la distruzione dell'emporio islamico. Normanni I Normanni (da Nordmanni o Nordmaenner, ossia "Uomini del Nord") erano un popolo vichingo di origine danese e norvegese che diede il proprio nome alla Normandia, regione nel Nord della Francia. Discendevano dai pirati, guerrieri e conti norreni che dopo varie scorrerie su suolo francese 6 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni decisero di giurare fedeltà al re Carlo III dei Franchi occidentali in cambio di una vasta superficie territoriale nel Nord della Francia (allora territorio dei Franchi occidentali). Ultimamente però il termine Normanni viene utilizzato per descrivere tutte le popolazioni scandinave del periodo che va dal nono al dodicesimo secolo. Nonostante fossero in prevalenza contadini, si dimostrarono grandi navigatori. Il termine "Vichinghi", che è divenuto equivalente e sovrapponibile a Normanni, in realtà si riferisce a quella parte della popolazione che viveva nei fiordi (in norreno vik), da cui venivano avviate spedizioni piratesche o progetti di colonizzazione. Normanno è quindi un sostantivo collettivo che riunisce varie popolazioni dello Jutland e in parte della Scandinavia, che furono protagoniste di imprese diverse tra il IX e il XII secolo. I Danesi batterono soprattutto tra IX e X secolo la costa inglese del mare del Nord, mentre gli Svedesi erano dediti al commercio tra il mar Baltico e il mar Nero attraverso la rete fluviale dell'estrema Europa orientale: i guerrieri-mercanti svedesi (i vareghi), misti alle popolazioni slave e baltofinniche autoctone, contribuirono a costituire la civiltà dei Rus'; i norvegesi infine si dedicarono all'esplorazione dell'Oceano Glaciale Artico, grazie forse a un aumento delle temperature che rese possibile la navigazione nelle acque già ghiacciate, toccando tra X e XI secolo Islanda, Groenlandia e anche le coste del Labrador nell'attuale Canada. Dal norvegese dei coloni in Islanda nacque il norreno, la lingua letteraria delle grandi saghe nordiche. Territori normanni nel XII secolo 7 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni I Normanni, soprattutto quelli danesi, si dedicarono alle scorrerie a partire dall'inizio del IX secolo. Dotati di navi leggere senza ponte e senza remi, le drakkar cioè "dragoni", ornate da un serpente di mare intagliato sulla prua, batterono le coste della Francia, dell'Inghilterra fino alla penisola Iberica, all'Italia (i saccheggi di città come Luni e Fiesole) e alle isole del Mediterraneo occidentale, passando solo in secondo momento all'insediamento fisso. Inizialmente pagani e dediti alle razzie, in seguito allo stanziamento in Francia si convertirono al Cristianesimo e si dedicarono anche all'agricoltura. Ottimi guerrieri, specializzati nel combattimento a cavallo, utilizzavano principalmente la spada, indossavano una tunica in maglia di ferro, l'"usbergo", progressivamente scomparso con l'avvento dell'armatura a lamine, e un grande scudo a forma di mandorla. Venivano richiesti come mercenari perfino dall'Impero bizantino. La cultura normanna, come quella di molti altri popoli migratori, era particolarmente versatile e aperta al nuovo: per un certo periodo, questa caratteristica li portò a occupare territori europei tra loro eterogenei. Dopo l'insediamento in Normandia (910), nell'XI secolo si riversarono nell'Italia meridionale nel 1017 circa, in Inghilterra (1066), in Francia. Nel Sud Italia diedero luogo alla fondazione della Contea di Puglia con gli Altavilla e nel 1130 al regno di Sicilia. I Normanni in Italia meridionale Secondo una certa versione dei fatti (tramandata dal cronista Guglielmo di Puglia) negli anni 10151016, alcuni normanni giunti sul Gargano durante un pellegrinaggio al Santuario di San Michele Arcangelo (FG), sarebbero stati convinti dal ribelle anti-bizantino Melo di Bari e da papa Benedetto VIII ad arruolarsi nell'esercito di Melo, che intendeva sottrarre la Puglia al legittimo potere bizantino. L'invasione normanno-longobarda della Puglia non ebbe successo perché, a causa delle violenze inflitte alla popolazione, pochi abitanti locali soggetti alla dominazione bizantina decisero di sostenere gli invasori, i quali conobbero una disfatta per mano del catapano Basilio Boioannes nella battaglia di Canne del 1018. Negli anni successivi i Normanni arrivarono sempre in maggior numero nell'Italia meridionale chiamati come mercenari dalle varie potenze locali e nel 1030 ottennero il primo insediamento stabile con la contea di Aversa (CE) (ottenuta dal duca di Napoli Sergio IV). Ciò provocò un'ulteriore emigrazione di guerrieri normanni in Italia meridionale, che provocò un potenziamento tale da rendere possibile l’espulsione dei Bizantini dall'Italia. Nel 1038 scoppiò una nuova rivolta anti-bizantina in Puglia che nel 1040 assunse dimensioni preoccupanti, al punto da compromettere i domini bizantini nel sud Italia. Il longobardo Arduino, governatore della città bizantina di Melfi (PO), tentò di approfittare della rivolta, contattando i Normanni e invitandoli a invadere la Puglia per costruirsi un dominio personale nella regione. Nel 1040, gli abitanti di Melfi, convinti dal loro governatore Arduino, si sottomisero spontaneamente ai Normanni, mentre al contrario le città limitrofe, temendo i saccheggi dei Normanni, implorarono aiuto al catapano d'Italia, che in quel momento era in Sicilia per tentare di riconquistarla agli Arabi. Conscio della minaccia normanna, il catapano Michele Doceano la abbandonò per affrontare i Normanni, contribuendo così al fallimento della spedizione siciliana (guidata da Giorgio Maniace, poi caduto in disgrazia), ma l'esercito bizantino, superiore numericamente, subì tre sconfitte consecutive (Olivento (PO), Montemaggiore (FG) e Montepeloso MT)) che permisero ai Normanni di consolidare le loro conquiste, insignorendosi di Melfi e di tutta la regione dall'Ofanto fino a Matera. Nel settembre 1042 i Normanni di Melfi elessero loro conte Guglielmo d'Altavilla, detto "Braccio di Ferro". L'Impero bizantino era ormai in crisi e le efficienti istituzioni governative fiorite sotto Basilio II Bulgaroctono erano collassate in poco più di tre decenni. Bisanzio, che in Puglia era ancora in 8 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni possesso della Capitanata, della Terra d'Otranto e delle coste, inviò quasi subito rinforzi, sotto il comando di nuovo di Giorgio Maniace (1042), mentre i Normanni decisero di rendere inoffensivo l'ingombrante Arduino e scelsero come capo il fratello del principe di Benevento, Atenolfo. I Normanni erano disposti a diventare vassalli dell'Impero in cambio del riconoscimento delle loro conquiste, ma Bisanzio rifiutò e con Giorgio Maniace passò alla controffensiva: nell'aprile 1042 Maniace sbarcò a Taranto e riunì le forze a sua disposizione, mentre i Normanni si accordarono con il figlio di Melo, Argiro, chiedendogli di diventare loro capo. Argiro ottenne quindi dai Normanni il titolo di princeps et dux Italiae e con l'aiuto dei Normanni di Aversa e Melfi attaccarono le forze di Maniace a Taranto, costringendole a rinserrarsi dentro le mura della città. Dopo aver tentato invano di persuadere Maniace alla resa, i Normanni levarono l'assedio e andarono a sottomettere altre terre. Nel frattempo Maniace, uscito dalla città, punì duramente le città della Puglia che avevano osato collaborare con gli invasori, compiendo duri massacri a Matera e Monopoli. Nel frattempo a Costantinopoli diveniva imperatore Costantino IX Monomaco (1000-1055), che tentò di cambiare politica, richiamando Maniace e cercando di giungere a un compromesso con i ribelli guidati da Argiro. Dei messi imperiali proposero a Argiro di passare dalla parte dell'Impero con i suoi mercenari normanni: questi accettò e in cambio ottenne un titolo di corte bizantino ("antipato"). La sottomissione di Argiro era però giunta troppo tardi e solo pochi Normanni rimasero fedeli a Argiro, mentre la maggior parte nominarono un altro capo, mantennero le loro conquiste nella Puglia e negli anni successivi consolidarono le loro conquiste invadendo la terra d'Otranto e impossessandosi di Lecce. Nel 1047 ottennero il riconoscimento da parte dell'imperatore tedesco Enrico III di Franconia (dinastia salica) delle conquiste fatte fino in quel momento. Rinvigoriti dalla concessione, i Normanni si espansero pericolosamente in direzione della Calabria bizantina, impadronendosi nel 1048 di Bovino e di Troia. Nel 1050 i Bizantini decisero quindi di rimandare in Italia Argiro, stavolta con il titolo di "duca d'Italia, Calabria, Sicilia e Paflagonia". Argiro ebbe l'incarico di combattere i Normanni più con la diplomazia che con le armi, cercando di corrompere i capi normanni convincendoli a passare dalla parte dell'Impero oppure provocando discordie interne tra i Normanni. Questi tentativi non ebbero però successo e il duca bizantino decise quindi di chiedere aiuto a papa Leone IX, anch'egli minacciato dai Normanni. Il pontefice nel febbraio del 1053 riusciva a stabilire un accordo con Enrico III, assembrando un esercito e muovendosi alla volta del meridione in primavera. La battaglia di Civitate (1053) Ma sia i Bizantini che le forze imperiali-pontificie vennero sconfitte dai Normanni nella battaglia di Civitate il 18 giugno 1053. Lo stesso Leone veniva fatto prigioniero dai Normanni. Avendo fallito, Argiro venne richiamato a Costantinopoli, mentre i Normanni negli anni successivi consolidarono ulteriormente le loro conquiste, impadronendosi dei territori tra Taranto e Otranto (1056). Nel frattempo, condotti dal celebre Roberto il Guiscardo (giunto nel sud intorno al 1050), subentrato a Umfredo alla contea di Puglia, i Normanni invasero la Calabria bizantina, occupandola agevolmente in pochi anni. Molti centri calabresi decisero infatti di sottomettersi spontaneamente ai Normanni, mentre al contrario solo pochi resistettero e dovettero essere espugnati dopo lungo assedio. Nel 1059, con la resa di Reggio e di Squillace, i Normanni completarono la conquista della Calabria bizantina. 9 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni La svolta di Melfi: il papato riconosce i Normanni (1059) Per rafforzare la propria posizione, Niccolò II (il grande scisma d’oriente avviene nel 1054) strinse delle relazioni con le casate dei Normanni, ormai fermamente stabilitisi nell'Italia meridionale. La nuova alleanza venne sancita formalmente nel mese di agosto 1059 al Concilio di Melfi, dove Niccolò II fu accompagnato da Ildebrando di Soana (il futuro papa Gregorio VII, 1073-1085), dal cardinale Umberto di Silvacandida e dall'abate Desiderio di Montecassino (futuro Papa Vittore III, 1086-1087, successore di Gregorio VII). Dopo aver stipulato il Trattato di Melfi nel giugno 1059, nel successivo Concordato di Melfi il Papa investì solennemente Roberto il Guiscardo dei Ducati di Puglia, Calabria e Sicilia, e Riccardo d'Aversa del Principato di Capua, in cambio dei giuramenti di fedeltà e della promessa di assistenza nel sorvegliare i diritti della Chiesa. I primi frutti di questo accordo furono, in autunno, la presa (con l'aiuto normanno) del casale di Galeria (RM), dove l'antipapa Benedetto aveva trovato rifugio, e la fine della subordinazione del papato alla nobiltà romana. Si può anche leggere la descrizione che Amato, monaco di Montecassino, fa di Roberto il Guiscardo nella sua Historia Normannorum, presentandolo come un vero e proprio campione della Fede: «Questo duca fu dotato di ogni virtù e sorpassò in tutti i modi gli altri; perché era tanto umile che, quando stava tra la sua gente, non sembrava il signore ma uno dei suoi cavalieri. E non vi fu alcuno, fosse povero, donna, vedova o fanciullo, che non potesse rivolgersi a lui e manifestargli tutta la sua misera condizione. Era giudice giusto di quanti avevano a che fare con lui; e, giudicando secondo giustizia, distribuiva il perdono e la pietà. Onorò i Sovrani Pontefici e difese e conservò i loro possessi, e diede loro del suo. E riveriva Vescovi e abati, e temeva Cristo in coloro che ne sono i vicari. Non volle, come qualche principe, ricever servizio da questi prelati, ma s’inchinò a servirli. […] Ma chi potrà descriverne il gran cuore? Perché le minacce dell’Imperatore non gli incutevano spavento; le risoluzioni dei rivali non gli provocavano turbamento, né lo intimorivano i castelli ben muniti e forti. Le armi di tutti i suoi nemici non lo facevan fuggire; lui invece faceva paura a tutti e nessuno perturbava la sua prosperità e la sua buona fortuna. […] Un monaco del monastero di San Lupo, il quale monastero si trova dentro la città di Benevento, dopo il mattutino si trattenne in chiesa a dire le orazioni. E d’un tratto si addormentò. E vide in sogno due campi pieni di gente; e di questi campi, uno era molto grande, l’altro piccolo. E molto si meravigliò il monaco, e si chiese di dove venisse tanta gente. Allora venne a lui uno, e gli disse: “Queste sono le genti che la Maestà di Dio ha assoggettate a Roberto Guiscardo; e questo campo più grande è quello della gente che a lui deve essere sottoposta, ma ancora non lo è”. E poi si svegliò il monaco, e si meravigliò molto di questa visione». La reazione bizantina e la fine dell’impero nel meridione I tentativi di Isacco I Comneno (1005-1061) e Romano IV Diogene di ribaltare la situazione si rivelarono infruttuosi. La morte prematura del primo e la deposizione del secondo peggiorarono la situazione, permettendo ai Normanni di consolidare la loro conquista della Sicilia e dell'Italia. Nel 1060 Costantino X Ducas inviò nuove truppe nella penisola; queste riconquistarono in breve tempo Brindisi, Taranto, Oria, Otranto e si accinsero ad assediare Melfi. Tuttavia la controffensiva dei Normanni, pur impegnati nella conquista della Sicilia, non tardò ad arrivare: truppe furono inviate dalla Sicilia per recuperare le città sottratte dai Bizantini. I bizantini vennero sconfitti presso Brindisi e in breve tempo tutte le città vennero recuperate dai Normanni, nonostante l'imperatore 10 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni bizantino avesse cercato un'alleanza con l'imperatore tedesco Enrico IV e con l'antipapa Onorio II. Nel frattempo, con la conquista Normanna dell'Inghilterra, una grande quantità di popolazione sassone emigra in diverse parti dell'Europa, in particolare, molti di questi andranno a costituire insieme ad altri mercenari vichinghi e germani la Guardia Variaga i quali all'interno di essa, daranno un valido contributo alla causa in merito al conflitto bizantino contro i normanni e contro Slavi e Peceneghi nei Balcani. La situazione dell'Impero in Italia era quantomeno precaria, ma ribellioni scoppiate nella Puglia normanna distolsero i Normanni dalla conquista delle residue fortezze bizantine in Puglia, ritardando la loro caduta di qualche anno. I Bizantini non seppero approfittare pienamente della ribellione, anche se nel 1066 arrivarono nuovi rinforzi nella penisola che riuscirono nell'impresa di recuperare Brindisi, Taranto e Otranto. La decisione dei Normanni di abbandonare per il momento la campagna in Sicilia per concentrarsi nell'occupazione delle ultime città in mano bizantine compromise questi successi: già nel 1068 Roberto il Guiscardo cinse d'assedio Bari, che dopo un assedio di tre anni capitolò (1071); nello stesso anno capitolò anche Brindisi, segnando la fine della dominazione bizantina in Italia. 11 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni I Normanni in Sicilia La Sicilia su cui giunsero i Normanni, nel 1061, aveva rappresentato una sorta di modello tra le "province" che orbitavano intorno all'espansione araba del IX secolo. Essa, infatti, era stata conquistata in seguito al jihād promosso da Asad ibn al-Furāt nell'827, per quanto intorno al 1040 tanto la Sicilia islamica che i dominati musulmani sparsi nel Meridione d'Italia erano ormai entrati in crisi, soprattutto dopo il fallimento dell'offensiva contro la Calabria del 1031. Diretta conseguenza della disfatta araba in Calabria fu il tentativo bizantino di riconquistare l'isola. A portare avanti il progetto c'era Giorgio Maniace e i Normanni giunsero inizialmente al suo soldo: tra il 1037 e il 1045, la spedizione riuscì a giungere fino a Troina (EN). Fu a questo punto che vari capi militari arabi fondarono poteri autonomi, finché Ibn al-Thumna, rivale di Ibn al-Hawwās, emiro di Enna, non ricercò l'ausilio dei Normanni stanziati tra Puglia e Calabria. Quelli che egli considerava solo dei mercenari finiranno per prendere l'isola e fondare il futuro regno di Sicilia. Un primo sbarco normanno in Sicilia avvenne per iniziativa di Ruggero d'Altavilla, al quale, in accordo col fratello maggiore, venne affidata la maggiore responsabilità dell'impresa, dopo la vittoria sui Greci di Calabria. Questo primo sbarco comportò l'utilizzo di appena una sessantina di cavalieri. Dopo queste prove generali e forti dell’investitura papale, Roberto il Guiscardo (1025-1085) e il fratello minore Ruggero posero d'assedio Messina nel 1061 e lì stabilirono il loro quartier generale, provvedendo ad innalzare nuove fortificazioni. Nel 1063 nei pressi del fiume Cerami (un affluente del Salso) Ruggero sconfisse un esercito di arabi siciliani e africani, in cui cadde anche il Qaid di Palermo, Arcadio. Nel 1064, Ruggero, installando una serie di guarnigioni, si era già impossessato della Sicilia nordorientale. Dopo aver conquistato Cerami, Troina ed altre città, si impadronirono di Catania nel 1071 e di Palermo nel 1072. Erano ben armati, anche se scarsi di numero, e avevano l'appoggio della marina pisana. Il nuovo Stato Già con la conquista di Palermo vengono fissati i ruoli su cui si fonderanno i futuri rapporti di potere: i musulmani avrebbero conservato i propri giudici, mentre Roberto si attribuisce il titolo di malik, la parola che in arabo indica il re, come testimoniano i numerosi tarì d'oro, le monete da lui coniate. Nel portare a termine l'opera di conquista, il Gran Conte Ruggero si preoccupa di installare vescovi francesi nel territorio: l'alleanza con papa Urbano II ha condotto a quell'esperienza unica di privilegio concesso dal papa ai Normanni, investiti della sua fiducia nella scelta dei vescovi sull'isola, che fu l'Apostolica legazia. Diverso è il peso che viene dato alle diverse popolazioni: musulmani e cristiani di rito basiliano vengono iscritti nelle platee (cioè nelle liste contenenti un inventario dei possedimenti e degli abitanti relativi) come "villani": a loro non è concesso portare armi addosso e sono anche negati i diritti politici. Inoltre, devono pagare un canone sulla terra, che è divisa a parecchiate (corrispondenti ad una misura variabile, che va dai 14 ai 50 ettari). Da questa politica, risultano favoriti gli immigrati latini, in particolare i lombardi, provenienti per lo più dai territori della Marca Aleramica (Piemonte e Liguria). Ruggero I favorì la politica di ripopolamento dell'isola, complice il matrimonio con l'aleramica Adelasia del Vasto, con un copioso afflusso di genti provenienti dal Piemonte, allora chiamato Longobardia, soprattutto dal Monferrato, e con genti di origine pisana, franco-provenzale, bretone, normanna, inglese e con numerosi coloni provenienti da Campania, Puglia e Calabria. 12 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni Nel 1101, muore Ruggero. Nel 1112, in piena reggenza, sua moglie, Adelaide del Vasto (il cui matrimonio con Ruggero è il frutto dell'alleanza tra Normanni e Aleramici), insedia la capitale dell'isola a Palermo: i grandi feudi non vengono più ammessi e l'isola diviene una sorta di grande demanio a disposizione della regina (a lei, ad esempio, è riservata la caccia). I Normanni portarono il culto cristiano latino sull'isola. È però vero che l'occupazione normanna dell'isola si ammantò della veste di crociata anche per opportunità politica: fu nell'ottica della riconquista cristiana delle terre in mano agli infedeli che Ruggero pretese da papa Urbano II la legazia, sulla base della quale egli poté sovrintendere alla riorganizzazione del Cristianesimo isolano. Le prime sedi vescovili furono istituite agganciandosi ai più grossi centri esistenti. Bisogna anche sottolineare che Ruggero e Adelaide favorirono non poco l'istituzione e la costruzione di monasteri di rito greco, comunque sottomessi a vescovi latini, ma poi riuniti sotto l'autorità dell'archimandrita del Salvatore di Messina. La nascita del Regno di Sicilia Nel Natale del 1130, Ruggero II d'Altavilla (1095-1154) a Palermo cingeva la corona di re di Sicilia. Cominciava così un regno caratterizzato dalla convivenza di varie etnie e diverse fedi religiose, una specie di stato federale con un primo parlamento, creato nel 1129, e l'organizzazione del catasto secondo una moderna concezione. Fu creata anche la contea di Ragusa, affidata a Goffredo d'Altavilla. A Palermo Ruggero attrasse intorno a sé i migliori uomini di ogni etnia, come il famoso geografo arabo al-Idrisi (Idrīsī o Edrisi), lo storico Nilus Doxopatrius e altri eruditi. Il Re mantenne nel regno una completa tolleranza per tutte le fedi, razze e lingue. Egli fu servito da uomini di ogni nazionalità, come l'anglonormanno Thomas Brun nella Curia, il greco Christodoulos nella flotta e il bizantino Giorgio di Antiochia, che nel 1132 fu fatto amiratus amiratorum (in effetti comandante in capo). Ruggero rese la Sicilia la potenza dominante del Mediterraneo. Ruggero, che aveva unito al regno i territori dell'Italia meridionale, reprimendo diverse rivolte, espanse la sua influenza verso la sponda africana. Grazie ad una potente flotta, costituita sotto diversi ammiragli, effettuò una serie di conquiste sulla costa africana (1135 - 1153), che andavano da Tripoli (Libia) a Capo Bon (Tunisia) e Bona (Algeria). Ruggero II creò in quei due decenni un "Regno normanno d'Africa" che divenne un "protettorato" siciliano, sostenuto in parte dalla residua piccola comunità cristiana nel nord Africa. Ai due Ruggero, e al breve interregno di Simone, successe nel 1154 Guglielmo I (detto il Malo) e nel 1166 Guglielmo II (detto il Buono), i quali tentarono di opporsi alle mire dell'imperatore Federico Barbarossa, deciso ad annientare il Regno dei Normanni in Sicilia. Un matrimonio di stato fra Enrico VI, figlio dell'imperatore Federico Barbarossa, e Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, nel 1185 aprì la strada alla conquista sveva. In mezzo ci fu il regno di Tancredi di Sicilia (11891194) nipote di Ruggero II. Passaggio svevo Nel 1194, con la morte di Guglielmo III, re per pochi mesi, il regno passò a Enrico VI e Costanza con la morte del marito nel 1197, divenne regina di Sicilia fino alla morte nel 1198, quando il regno passò al figlio di 4 anni Federico II di Svevia, sotto la tutela papale. Federico visse a Palermo, con diversi tutori fino al 1208 quando quattordicenne assunse ufficialmente il potere. Nel 1212 pose la corona del regno di Sicilia sul capo del figlio di un anno Enrico VII (che era nato a Palermo) come coreggente e partì per la Germania per rivendicare la corona di imperatore del Sacro Romano 13 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e nuove invasioni Impero che ottenne due anni dopo. Federico seguì in prima persona le sorti del regno di Sicilia fino alla morte nel 1250 quando divenne reggente il figlio Manfredi di Sicilia. I rapporti con gli arabi La conquista normanna dell'isola non coincise con l'eliminazione dell'elemento musulmano, numericamente ancora consistente, malgrado le molte migrazioni verso il Maghreb, la Spagna musulmana e l'Egitto. I Normanni, sul piano politico, economico e giuridico, conservarono molti elementi dell'organizzazione musulmana, e la cultura islamica continuerà ancora a caratterizzare le vicende sociali e politiche almeno fino alla prima metà del XIII secolo. Molto influente è l'elemento arabo nell'architettura, come testimoniano a Palermo gli edifici di numerose chiese e soprattutto il palazzo reale normanno detto "la Zisa". Il dibattito tra gli studiosi è stato prevalentemente incentrato sull'entità e sulla stessa origine di questi apporti: Michele Amari, ipotizzando una comunità col passato islamico, sosteneva che i Normanni avessero a modello gli emiri Kalbiti; di recente, Jeremy Johns distingue tra l'eredità del passato islamico della Sicilia e specifici elementi nordafricani quali il dīwān, la firma reale, la scrittura reale, l'architettura e la decorazione dei palazzi importati dall'Egitto fatimide solo dopo l'istituzione del Regno nel 1130. Lo Stato normanno Lo Stato normanno fu una monarchia feudale, dove però l’autorità del sovrano si dimostrò capace di impedire ogni forza frazionatrice e di amalgamare invece i diversi gruppi etnici, realizzando una creazione politica unitaria che sopravvisse a tutte le vicende successive. La struttura amministrativa dello Stato normanno teneva infatti presenti le esigenze delle autonomie interne di città e feudi e quelle di un regno unitario. Il re era coadiuvato nel suo governo da una curia composta da fideles, incaricati dei più vari compiti amministrativi e giudiziari, dal cancelliere, preposto a un organismo burocratico efficiente, e dai giustizieri di corte, titolari di funzioni esclusivamente giurisdizionali. Il governo centrale era poi completato da uffici finanziari, competenti sia per le terre demaniali sia per quelle feudali (la dohana de secretis per la Sicilia e parte della Calabria, la dohana baronum per le rimanenti regioni continentali). L’ordinamento provinciale era composto da giustizieri e camerari preposti a circoscrizioni territoriali più ampie, da baiuli, preposti a distretti minori, e da funzionari cittadini: tutti questi ufficiali avevano anche competenze che in origine appartenevano alla iurisdictio dei feudi e dei comuni. In tal modo quest’ultima risultava limitata e perdeva gran parte del suo carattere centrifugo, divenendo, al contrario, un momento dell’intera amministrazione statale 14