Tra scorrerie e nuove invasioni

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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e
nuove invasioni
Monachesimo europeo
Mentre le invasioni barbariche rendevano drammatiche le condizioni di vita delle popolazioni
dell'Impero Romano d'Occidente, andarono costituendosi e prendendo vigore diverse istituzioni
ecclesiastiche e religiose, che presto si sarebbero rivelate forze costruttive di una nuova civiltà. Tra
esse il monachesimo, nei secoli che vanno dal IV all'VIII, è forse la più importante.
Il monachesimo europeo proviene dal Medio Oriente; infatti l'ascetismo religioso e la vita
monastica non sono peculiari del cristianesimo, ma rappresentano forme in cui l'anima ha cercato in
ogni tempo di tradurre la propria sete del divino. Nel IV secolo, in Egitto, in Palestina e in Siria,
sulla scia di Antonio il Grande (Detto anche S. Antonio Abate, Egitto 251 circa-357) e di altri Padri
del deserto, specialmente di san Paolo di Tebe, , si fecero sempre più numerosi coloro che
abbandonavano completamente il mondo per vivere nella solitudine (eremos, da cui il termine di
eremita, per indicare gli asceti viventi nel deserto) oppure per associarsi insieme in comunità o
cenobi (dal termine greco coinobios, indicante vita in comune), onde ricercare una comunione più
intensa con Dio ed innalzarsi verso la santità. In ambito cristiano, Antonio è considerato l'iniziatore
della via eremitica e Pacomio di quella cenobitica.
La produzione letteraria del mondo monastico cristiano d'Oriente, in ambienti pervasi da una così
fervida tensione religiosa, fu caratterizzata dall'ascetismo.
Il monachesimo degli albori si fonda sulla libertà individuale del monaco, che liberamente sceglie la
vita solitaria. Ma ben presto si diffuse il sistema delle regole. La regola era posta dal maestro e
aveva lo scopo di organizzare la vita comunitaria.
I monaci nell'Europa Orientale si davano con fervore, che talora rasentava la frenesia, ad intense
pratiche ascetiche (dal greco aschesis=esercizio), le quali univano alla preghiera ed alla meditazione
ogni sorta di mortificazioni della carne, talora durissime o stravaganti addirittura, come l'astensione
dal cibo, dal sonno o dal lavarsi per periodi più o meno lunghi, oppure l'infliggersi flagellazioni e
torture. Tra questi, particolari furono gli stiliti e i dendriti che trascorrevano la loro vita
rispettivamente su una colonna e su un albero.
Il monachesimo rappresentò in sostanza una grande rivolta dello spirito autenticamente cristiano
contro il pericolo di mondanizzazione della Chiesa. Come tale, esso costituì per secoli la grande
riserva di forze spirituali della Chiesa ed ebbe importanza storica decisiva nello sviluppo della
civiltà cristiana nel mondo mediterraneo.
In Occidente
Dopo il IV secolo il monachesimo cominciò a diffondersi in Occidente: Girolamo a Roma,
Agostino in Africa, Severino nel Norico, Paolino a Nola, Martino e Giovanni Cassiano nella Gallia
si fecero promotori dell'ideale monastico (sull'esempio di quello orientale) e monasteri famosi
sorsero nel V secolo a Tours e ad Arles ad opera dei vescovi Cesario e Aureliano (autori
d'importanti Regole).
Cassiodoro, il ministro di Teodorico, fallita la sua politica di fusione tra Romani e Goti, abbandonò
la corte gotica, si rifugiò nei suoi possedimenti nella natia Calabria e verso il 554 fondò un
monastero a Vivarium, in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Montecassino
A dare al monachesimo del cristianesimo cattolico la sua particolare fisionomia operosa, in
confronto a quello del cristianesimo ortodosso, più portata alla contemplazione e all'ascetismo, fu
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nuove invasioni
però un giovane, discendente da una famiglia della piccola nobiltà provinciale dell'Umbria:
Benedetto da Norcia, vissuto a cavallo tra il V e il VI secolo. Ritiratosi a vita eremitica a Subiaco,
Benedetto aveva visto crescere attorno a sé un gruppo di seguaci, insieme ai quali, trasferitosi
successivamente nelle vicinanze di Cassino, aveva fondato il monastero di Montecassino (529), il
più importante centro monastico dell'Occidente. In questo modo San Benedetto gettava le
fondamenta della nuova società monastica, con la compilazione della sua Regola (534). La regola
benedettina è informata tutta allo spirito pratico dell'antica Roma, fondendolo armonicamente con la
spiritualità cristiana. Per Benedetto i monaci non debbono essere soltanto dei contemplanti: il loro
motto dovrà essere “ora et labora” (prega e lavora). La regola fu scritta originariamente per il solo
monastero di Montecassino, ma venne presto adottata come regola per eccellenza del monachesimo
cattolico.
Benedetto da Norcia, santo (Norcia 480 ca.-Montecassino dopo il 546).
Fondatore dell’ordine benedettino e patriarca del monachesimo occidentale. Fu autore della Regola
monastica che prescrive povertà, obbedienza e un fortissimo impegno di preghiera e di lavoro. Le
scarse notizie storiche sulla sua vita provengono quasi esclusivamente dai Dialoghi di s. Gregorio
Magno (libro II), scritti a scopo soprattutto di edificazione. Nato da nobile famiglia, studiò a Roma,
che abbandonò per condurre vita solitaria sui monti di Enfide (od. Affile), già sede di altri asceti (tra
cui il monaco Romano, che ispirò Benedetto). Chiamato a dirigere una comunità a Vicovaro,
dovette abbandonarla per l’indisciplina dei monaci, rifugiandosi nella stretta valle dell’Aniene poco
a monte di Subiaco (Sacro Speco); essendosi uniti a lui molti discepoli, eresse nella zona dodici
monasteri, tenendo però presso di sé i prediletti Mauro e Placido. Contrastato da un prete
sublacense, Fiorenzo, Benedetto decise di partire; raggiunta la via Latina, arrivò a Cassino e nel 528
ca., sul monte dove sorgeva un tempio pagano consacrato a Giove, eresse due oratori dedicati a s.
Martino e a s. Giovanni Battista e un monastero, affiancato da un altro monastero femminile diretto
dalla sorella, s. Scolastica. A Cassino ricevette la visita del re degli Ostrogoti Totila (546). La
Regola benedettina, pilastro della vita monastica occidentale e frutto di esperienza personale a
lungo maturata, fu probabilmente ispirata a un testo precedente. All’inizio non particolarmente
diffusa, si impose grazie ai Carolingi, che la estesero a tutte le comunità monastiche del Sacro
romano impero. Essa comprende un prologo e 73 capitoli ed è giunta in tre recensioni: l’autografo,
portato a Roma nel 577, riportato a Montecassino nel 742 e trasferito a Teano nell’883, vi fu
distrutto in un incendio (896): da esso si crede derivi la copia mandata dall’abate Teodemaro a
Carlomagno (787) e da questa derivano un codice di S. Gallo e alcuni altri, tra cui quelli della
cosiddetta «tradizione cassinese».
Scolastica da Norcia, Santa (Norcia, 480 – Piumarola, 547)
Sorella gemella di Benedetto da Norcia, Scolastica nacque a Norcia verso il 480. Secondo quanto
riporta san Gregorio Magno nel secondo libro dei Dialoghi, all'età di dodici anni fu mandata a
Roma assieme al fratello per compiere gli studi classici, ma entrambi restarono profondamente
turbati per la vita dissoluta che vi si conduceva. Benedetto per primo decise di ritirarsi in
eremitaggio. Scolastica, rimasta unica erede del ragguardevole patrimonio della famiglia, rifiutando
ogni attaccamento ai beni terreni, chiese al padre di potersi dedicare alla vita religiosa entrando in
un monastero vicino a Norcia. Il padre, pur soffrendo per la separazione dalla figlia, ricordandosi
del voto fatto, accettò la sua decisione. Qualche anno dopo seguì il fratello a Subiaco e quando
Benedetto fondò l'abbazia di Montecassino, volle seguirlo e ai piedi di Montecassino, a circa 7 km a
sud dell'abbazia, fondò il monastero di Piumarola, dove assieme alle consorelle seguì la regola di
San Benedetto dando origine al ramo femminile dell'Ordine Benedettino.
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nuove invasioni
Della sua vita si conoscono solo poche vicende agiografiche narrate nel secondo Libro dei Dialoghi
di san Gregorio Magno, che però propongono soprattutto aneddoti ed esempi di santità
prevalentemente in riferimento al fratello di santa Scolastica, definito una icona del monachesimo
occidentale.
Mentre il mondo occidentale è sconvolto dalle invasioni barbariche, i monasteri benedettini creano
un nuovo tipo di società basata, anziché sul concetto romano della proprietà privata, su quello
cristiano della solidarietà collettiva. I monaci coltivano le terre circostanti al monastero, o almeno le
fanno coltivare dai propri coloni, difendendole dall'abbandono e dall'inselvatichimento. Attorno a
loro si raggruppano in cerca di protezione famiglie coloniche, che trovano rifugio all'ombra del
monastero. Il monastero diventa così il centro di un piccolo mondo economico auto-sufficiente;
anche i prodotti artigianali o industriali necessari alla sua esistenza vengono prodotti al suo interno
da monaci o da servi ministeriales, dipendenti dal monastero. Il sovrappiù della produzione viene
posto in vendita; così, non di rado, attorno al monastero sorge anche un centro di scambi
commerciali, un mercato, una fiera.
L’epoca longobarda
Proprio nel corso dell'VIII secolo si ebbe nell'economia dell'Italia longobarda un'accentuata
tendenza alla formazione di estese proprietà fondiarie, concentrate nelle mani dei grandi signori
laici o delle chiese. Parte cospicua di questa concentrazione della proprietà andò a vantaggio dei
grandi monasteri benedettini, accrescendone l'importanza. In linea di principio, almeno, i beni degli
enti religiosi erano inalienabili e gli abati dei monasteri spesso amministratori capaci. Ciò condusse
alla diffusione di nuovi sistemi di conduzione dei fondi, che molto giovarono alla graduale
ricostruzione della ricchezza fondiaria. Tra questi da citare i "contratti di livello" (così detto dal
libellum - libretto - sul quale stavano scritti i patti del contratto), per cui un fondo veniva ceduto in
uso ad un coltivatore, in cambio di un canone, per lo più in natura, o quelli di enfiteusi, per cui un
fondo era ceduto per lunghissimo tempo ad un minimo canone annuale, a patto che il coltivatore
v'introducesse delle migliorie. Così allo spopolamento dei secoli precedenti cominciò a subentrare
una maggiore densità di coltivatori nelle campagne, unita ad una rinascita delle colture
specializzate, come quella della vite e dell'olivo, in luogo del pascolo e della cerealicoltura
estensiva.
In mezzo ad un'età di sovrani analfabeti e di regresso della civiltà, nei monasteri benedettini gli
amanuensi negli scriptoria, continuano a copiare le opere degli scrittori antichi cristiani e pagani.
Nei monasteri convivono quindi pacificamente insieme romani e barbari, affratellati dalla comune
fede e dalla comune obbedienza alla Regola. I monasteri benedettini costituiscono, per tutto il
Medioevo, importanti centri di diffusione culturale.
Accanto a quello sempre più importante di Montecassino, sorsero numerosi monasteri, fra cui
emergono per importanza quelli di Nonantola (752) e Pomposa (primo insediamento VI-VII)
nell'Emilia Romagna, Santa Giulia a Brescia (753), di Farfa nella Sabina (a partire dal VI; l'abbazia
controllava 600 tra chiese e monasteri, 132 castelli o piazzeforti e 6 città fortificate, per un totale di
più di 300 villaggi), di San Vincenzo al Volturno (731) nell'Italia meridionale, della Novalesa in
Val di Susa (Piemonte) (726). Questi cenobi accolsero tra le loro mura tanti latini quanti barbari,
favorendo la fusione dei due popoli, mantennero in vita le tradizioni culturali dell'antichità e del
cristianesimo, favorendo la diffusione della civiltà romana tra i Longobardi.
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nuove invasioni
Molto importanti, nell'àmbito del monachesimo, furono anche l'Abbazia di Melk in Austria,
l'Abbazia di Fulda in Germania e il Mont Saint Michel in Francia.
Le incursioni degli Ungari
Verso la fine del IX secolo l’arrivo in massa dei Magiari (o Ungari) – popoli nomadi di stirpe ugrofinnica, proveniente dalla regione dei Monti Urali – sconvolse i confini orientali dell’Europa.
Apparsi lungo il fiume Dnepr- che costituiva la via commerciale sulla quale viaggiavano le pellicce
del Nord, nonché il miele e la cera delle foreste russe – gli Ungari si insediarono nelle pianure del
medio Danubio; da lì, poi, riuscirono a compiere razzie in Germania, in Francia (anche a Parigi) e
persino in Italia, per circa un secolo. Le loro incursioni – come raccontano le cronache si
accompagnavano a carneficine e distruzioni.
In Italia gli Ungari comparvero intorno all’899, ma in seguito penetrarono a più riprese nella
penisola: nel 919 in Italia, divengono mercenari al soldo di re Berengario.
Nel 924 misero a ferro e a fuoco Pavia e in altri momenti riuscirono a spingersi fino nel Lazio e
nella Puglia.
Le razzie ungare erano tanto più gravi perché concomitanti con quelle dei Saraceni da Sud e dei
Vichinghi da Nord.
Solo nel 955 Ottone I di Germania affrontò gli Ungari nella pianura di Lechfeld e li sconfisse. La
battaglia di Lechfeld è stata spesso indicata come l’evento che pose fine alle scorrerie ungare; in
realtà fu soprattutto la creazione di due “marche” a far rallentare e quindi definitivamente cessare le
loro razzie: una delle due marche, detta “orientale” (Oest, “Est”) avrebbe dato origine all’odierna
Austria (Oesterreich). Ripiegati in Pannonia, allora, gli Ungari vi si insediarono definitivamente e
da loro la regione prese il nome di “Ungheria” .
Nel 996/997 il capo ungano Vajk si convertì al cristianesimo per sposare una principessa bavara;
nel 1000 venne incoronato re, cingendo una corona che gli era inviata in dono da papa Silvestro II e
mutò il proprio nome in quello di “Stefano” (dal greco, “incoronato”); più tardi, nel 1083, sarebbe
stato persino proclamato santo.
Così gli Ungari entrarono a far parte del sistema politico europeo: ciò che era stato un pericolo
divenne, in ultima analisi, un fattore di rafforzamento e il segno di una rinata vitalità del sistema
politico della nuova Europa che si stava plasmando.
Le incursioni saracene
Dall'827 gli emiri aghlabidi di Kairuan, nell'odierna Tunisia, iniziarono la conquista della Sicilia
che impiegò molto tempo ma che segnò l'apogeo del dominio saraceno nel Mediterraneo, per
almeno due secoli. La conquista fu ultimata nel 902, grazie all'offensiva contro la resistenza
bizantina, che aveva tagliato i rifornimenti conquistando Creta (827) e Malta (870).
L'insediamento dei saraceni fu talora incoraggiato e sostenuto anche dai signori locali, come aiuto
nelle dispute, come nel caso di Andrea, console di Napoli, che era vessato dal principe longobardo
di Benevento Sicone e dopo essersi rivolto inutilmente a Ludovico il Pio chiese aiuto ai saraceni.
L'intervento venne richiamato anche dal suo successore Sicardo, con le città di Amalfi, Sorrento e
Gaeta che si associarono ai napoletani: i saraceni si comportarono con correttezza verso le città
campane aiutandole a sconfiggere i beneventani e firmando accordi di pace e commercio. In cambio
i napoletani soccorsero i saraceni durante l'assedio di Messina dell'843 e mantennero una complice
neutralità quando caddero sotto il dominio islamico Punta Licosa e le isole di Ischia e Ponza.
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nuove invasioni
Sempre i napoletani, per indebolire Benevento, avevano invitato i saraceni ad assalire Brindisi
nell'838, dalla quale essi si estesero a Taranto e Bari, che diventò sede dell'omonimo emirato
dall'840 all'871.
I saraceni approfittavano ormai delle rivalità tra i poteri locali, facendo da padroni e mettendosi al
servizio ormai anche degli stessi beneventani senza scrupoli.
Nell'anno 840 Siconolfo, signore di Salerno, in lotta con Radalgiso (o Radelchi) e Landolfo signori
di Benevento e Capua, chiamò in suo aiuto i Saraceni insediati nella colonia sotto la collina del
Traetto, alle foci del Garigliano, spesso e volentieri assoldati dal duca di Napoli, Andrea II. Dopo
sanguinose incursioni in alcune parti dell'Italia meridionale, i Saraceni trovarono modo di
prosperare grazie alle loro razzie e al loro offrirsi come mercenari ai più diversi signori cristiani
dell'epoca.
Nell'843 i Saraceni si spinsero fino distruggere Fondi e Montecassino, arrivando a Ostia e risalendo
il Tevere per giungere a Roma dove saccheggiarono (846) la basilica di San Pietro in Vaticano e
quella di San Paolo fuori le mura a Roma.
Il gesto spinse ad una reazione contro "lo nero periglio che vien dal mare" che non tardò. Un primo
tentativo di cacciare i saraceni dall'Italia meridionale fu fatto nell'866-871 dall'imperatore e re
Lodovico II, che, sceso in Italia con un esercito di Franchi, Burgundi e Provenzali, oltre alle truppe
alleate di Papa Sergio II, del doge di Venezia, del duca di Spoleto e di quello di Napoli, riprese
Benevento, Capua, Salerno, Bari, distruggendo Matera e Venosa.
Truppe saracene ormai incontrollabili erano state assoldate da Adelchi, duca di Benevento: egli
obbligò i baresi ad accettare la protezione del berbero Khalfun, al quale come pagamento fu
promesso niente meno che il permesso di saccheggiare e incendiare alcuni edifici sacri nella zona,
ma egli si spinse fino a radere al suolo la città di Capua. Ludovico, allora in Italia, riuscì a liberare
Benevento dai mercenari e pacificare i principi longobardi, facendo da garante alla suddivisione del
ducato nei due principati di Salerno e di Benevento e nella contea di Capua.
La soluzione di compromesso non piacque a papa Leone IV, che proprio in quegli anni stava
facendo cingere Roma con la "cinta leonina" di mura, a riprova del timore ancora vivo, quindi il
pontefice patrocinò la formazione di una flotta campana che nell'849 batté i saraceni al largo di
Ostia. Ludovico, nominato nel frattempo imperatore, si mosse verso Bari, supplicato anche dagli
abati di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno. A Bari intanto regnava un emiro che si
destreggiava tra i vari poteri locali, senza negare la concessione, dietro pagamento, di salvacondotti
per i pellegrini che si volevano imbarcare per la Terra Santa. Egli proteggeva inoltre la dotta
comunità ebraica di Oria. Scacciati una prima volta da Bari, un nucleo di essi trincerò presso il
Monte Matino (il Mons matinus di Orazio) su un'altura che perciò prese il nome di Monte Saraceno
sul Gargano.
La campagna contro Bari fu lunga e tra varie trattative, alleanze e trattati si svolse dall'855 all'871,
con la fase attiva di combattimento nei quattro anni tra l'867 e l'871. L'emiro Sadwan, che aveva
anche saccheggiato il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano, ebbe il permesso di
trascorrere la vita in dorata prigionia dall'amico Adelchi, principe di Benevento. Ma l'imperatore
bizantino Basilio I vedeva di mal occhio l'intervento in Italia Meridionale dei Franchi, da secoli
territorio di prerogativa bizantina: Basilio si alleò con Sadwan e fomentò una rivolta dei longobardi
di Benevento, mentre un nuovo esercito saraceno di ventimila uomini, inviato da Kairouan,
devastava Calabria e Campania. Nell'873 Ludovico tornò in Campania e sconfisse i saraceni.
Restava dunque il porto saraceno di Taranto, dal quale si snodava un ricchissimo commercio di
schiavi. Furono i bizantini a recuperare Taranto (876). Le scorrerie saracene nell'Adriatico non si
conclusero tuttavia con la riconquista di Taranto,
Nell'882, alleatisi di nuovo con i campani, distruggevano le abbazie di San Vincenzo e
Montecassino, stabilendo un nido alla foce del Garigliano, (Traetto), dal quale tenevano sotto tiro
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nuove invasioni
anche Roma: furono definitivamente cacciati solo nel 915, quando l'imperatrice bizantina Zoe
Porfirogenita riuscì a mettere d'accordo le signorie italiane sulla necessità di cacciare i saraceni
dalla penisola italiana e iniziava contro di loro una campagna che - grazie all'impegno di Berengario
re d'Italia, di papa Giovanni X e dei duchi di Spoleto e Camerino - coglieva il frutto ripromesso.
In realtà le scorrerie continuarono, infatti uno degli episodi più gravi sembra essere il nuovo sacco
di Oria e Taranto avvenuto nel 925/926
Nel 970 tornarono di nuovo sul Gargano devastando luoghi (le due città di epoca romana Siponto e
Matinum furono rase al suolo) atterrendo in stragi e rapine gli abitanti, i quali furono costretti a
chiedere aiuto ad Ottone I. È su Monte Saraceno, dove stavano fortemente trincerati da anni, che i
Saraceni furono sconfitti e scacciati dal luogo proprio dall'imperatore Ottone I.
La Sardegna non era sfuggita alle incursioni saracene e nel 1016, dopo essere stata oggetto di
scorribande di corsari, l'emiro Mujāhid al-ˁĀmirī di Denya (noto in italiano come Musetto), dalle
Baleari, ne tentò l'occupazione senza riuscirci; nel 1022 altri saraceni effettuarono nuovi tentativi,
sino a che nel 1052 i giudicati indigeni, alleatisi con i pisani ed i genovesi, dopo lunghi e sanguinosi
combattimenti riuscirono a respingerne definitivamente gli assalti.
Dalla Sicilia nel IX secolo gli arabi continuarono a saccheggiare le coste dell'Italia meridionale,
stabilendo anche nuove, occasionali, teste di ponte, come a Agropoli o a Santa Severina, che,
nonostante il fallimentare intervento dell'Imperatore Ottone II (del 982), durarono ancora per molto,
venendo meno solo dopo il 1036, quando la morte dell'emiro siculo di al-Akhal portò a
un'irreversibile polverizzazione del potere nell'isola. Dalla Sicilia furono cacciati nel 1071, dopo
dieci anni di guerra, dai Normanni (vedi sotto).
Per avvistare da lontano le navi corsare e poter dare per tempo l'allarme alle popolazioni indifese,
sorsero in quegli anni sulle coste del Mediterraneo torri costiere e castelli, di cui ancora oggi è
possibile vedere numerosi resti, spesso localmente chiamate col generico appellativo di torre
saracena.
La base in Provenza e le incursioni nell'Italia nord-occidentale
In al-Andalus (Spagna), dopo l'accentramento del potere e le epurazioni condotte da al-Hakam ibn
Hisham, alla fine del VII secolo si assistette a una recrudescenza delle rivolte e dei movimenti
separatisti. Secondo Liutprando da Cremona, verso l'890, i saraceni andalusi sbarcarono in
Provenza, ove venne fondato un emporio stabile, Frassineto.
Da qui, i saraceni facevano scorrerie lungo le coste e zone adiacenti (fino a Marsiglia, Tolone e
Nizza) e verso l'entroterra, spingendosi fino alle Alpi e alla pianura piemontese.
Nel 906 saccheggiarono e distrussero l'Abbazia della Novalesa. Tra il 934 e il 935 corsari
dell'Ifriqiya arrivarono a saccheggiare Genova.
Liutprando dice che l'episodio che segnò un punto di non ritorno delle ostilità fu il rapimento, di un
monaco, tra il 972 e il 973, preso per poter chiedere un riscatto: egli era san Maiolo, il potente abate
di Cluny. Il suo salvataggio precipitò gli eventi: infatti già dal 971 l'aristocrazia provenzale, guidata
da Guglielmo I di Provenza, stava organizzando un'azione militare contro Frassineto, che
nell'autunno del 972 si compì con la distruzione dell'emporio islamico.
Normanni
I Normanni (da Nordmanni o Nordmaenner, ossia "Uomini del Nord") erano un popolo vichingo di
origine danese e norvegese che diede il proprio nome alla Normandia, regione nel Nord della
Francia. Discendevano dai pirati, guerrieri e conti norreni che dopo varie scorrerie su suolo francese
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decisero di giurare fedeltà al re Carlo III dei Franchi occidentali in cambio di una vasta superficie
territoriale nel Nord della Francia (allora territorio dei Franchi occidentali). Ultimamente però il
termine Normanni viene utilizzato per descrivere tutte le popolazioni scandinave del periodo che va
dal nono al dodicesimo secolo.
Nonostante fossero in prevalenza contadini, si dimostrarono grandi navigatori. Il termine
"Vichinghi", che è divenuto equivalente e sovrapponibile a Normanni, in realtà si riferisce a quella
parte della popolazione che viveva nei fiordi (in norreno vik), da cui venivano avviate spedizioni
piratesche o progetti di colonizzazione.
Normanno è quindi un sostantivo collettivo che riunisce varie popolazioni dello Jutland e in parte
della Scandinavia, che furono protagoniste di imprese diverse tra il IX e il XII secolo.
I Danesi batterono soprattutto tra IX e X secolo la costa inglese del mare del Nord, mentre gli
Svedesi erano dediti al commercio tra il mar Baltico e il mar Nero attraverso la rete fluviale
dell'estrema Europa orientale: i guerrieri-mercanti svedesi (i vareghi), misti alle popolazioni slave e
baltofinniche autoctone, contribuirono a costituire la civiltà dei Rus'; i norvegesi infine si
dedicarono all'esplorazione dell'Oceano Glaciale Artico, grazie forse a un aumento delle
temperature che rese possibile la navigazione nelle acque già ghiacciate, toccando tra X e XI secolo
Islanda, Groenlandia e anche le coste del Labrador nell'attuale Canada. Dal norvegese dei coloni in
Islanda nacque il norreno, la lingua letteraria delle grandi saghe nordiche.
Territori normanni nel XII secolo
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I Normanni, soprattutto quelli danesi, si dedicarono alle scorrerie a partire dall'inizio del IX secolo.
Dotati di navi leggere senza ponte e senza remi, le drakkar cioè "dragoni", ornate da un serpente di
mare intagliato sulla prua, batterono le coste della Francia, dell'Inghilterra fino alla penisola Iberica,
all'Italia (i saccheggi di città come Luni e Fiesole) e alle isole del Mediterraneo occidentale,
passando solo in secondo momento all'insediamento fisso. Inizialmente pagani e dediti alle razzie,
in seguito allo stanziamento in Francia si convertirono al Cristianesimo e si dedicarono anche
all'agricoltura. Ottimi guerrieri, specializzati nel combattimento a cavallo, utilizzavano
principalmente la spada, indossavano una tunica in maglia di ferro, l'"usbergo", progressivamente
scomparso con l'avvento dell'armatura a lamine, e un grande scudo a forma di mandorla. Venivano
richiesti come mercenari perfino dall'Impero bizantino.
La cultura normanna, come quella di molti altri popoli migratori, era particolarmente versatile e
aperta al nuovo: per un certo periodo, questa caratteristica li portò a occupare territori europei tra
loro eterogenei. Dopo l'insediamento in Normandia (910), nell'XI secolo si riversarono nell'Italia
meridionale nel 1017 circa, in Inghilterra (1066), in Francia. Nel Sud Italia diedero luogo alla
fondazione della Contea di Puglia con gli Altavilla e nel 1130 al regno di Sicilia.
I Normanni in Italia meridionale
Secondo una certa versione dei fatti (tramandata dal cronista Guglielmo di Puglia) negli anni 10151016, alcuni normanni giunti sul Gargano durante un pellegrinaggio al Santuario di San Michele
Arcangelo (FG), sarebbero stati convinti dal ribelle anti-bizantino Melo di Bari e da papa Benedetto
VIII ad arruolarsi nell'esercito di Melo, che intendeva sottrarre la Puglia al legittimo potere
bizantino. L'invasione normanno-longobarda della Puglia non ebbe successo perché, a causa delle
violenze inflitte alla popolazione, pochi abitanti locali soggetti alla dominazione bizantina decisero
di sostenere gli invasori, i quali conobbero una disfatta per mano del catapano Basilio Boioannes
nella battaglia di Canne del 1018.
Negli anni successivi i Normanni arrivarono sempre in maggior numero nell'Italia meridionale
chiamati come mercenari dalle varie potenze locali e nel 1030 ottennero il primo insediamento
stabile con la contea di Aversa (CE) (ottenuta dal duca di Napoli Sergio IV). Ciò provocò
un'ulteriore emigrazione di guerrieri normanni in Italia meridionale, che provocò un potenziamento
tale da rendere possibile l’espulsione dei Bizantini dall'Italia.
Nel 1038 scoppiò una nuova rivolta anti-bizantina in Puglia che nel 1040 assunse dimensioni
preoccupanti, al punto da compromettere i domini bizantini nel sud Italia. Il longobardo Arduino,
governatore della città bizantina di Melfi (PO), tentò di approfittare della rivolta, contattando i
Normanni e invitandoli a invadere la Puglia per costruirsi un dominio personale nella regione. Nel
1040, gli abitanti di Melfi, convinti dal loro governatore Arduino, si sottomisero spontaneamente ai
Normanni, mentre al contrario le città limitrofe, temendo i saccheggi dei Normanni, implorarono
aiuto al catapano d'Italia, che in quel momento era in Sicilia per tentare di riconquistarla agli Arabi.
Conscio della minaccia normanna, il catapano Michele Doceano la abbandonò per affrontare i
Normanni, contribuendo così al fallimento della spedizione siciliana (guidata da Giorgio Maniace,
poi caduto in disgrazia), ma l'esercito bizantino, superiore numericamente, subì tre sconfitte
consecutive (Olivento (PO), Montemaggiore (FG) e Montepeloso MT)) che permisero ai Normanni
di consolidare le loro conquiste, insignorendosi di Melfi e di tutta la regione dall'Ofanto fino a
Matera. Nel settembre 1042 i Normanni di Melfi elessero loro conte Guglielmo d'Altavilla, detto
"Braccio di Ferro".
L'Impero bizantino era ormai in crisi e le efficienti istituzioni governative fiorite sotto Basilio II
Bulgaroctono erano collassate in poco più di tre decenni. Bisanzio, che in Puglia era ancora in
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VII Lezione: tra scorrerie e
nuove invasioni
possesso della Capitanata, della Terra d'Otranto e delle coste, inviò quasi subito rinforzi, sotto il
comando di nuovo di Giorgio Maniace (1042), mentre i Normanni decisero di rendere inoffensivo
l'ingombrante Arduino e scelsero come capo il fratello del principe di Benevento, Atenolfo. I
Normanni erano disposti a diventare vassalli dell'Impero in cambio del riconoscimento delle loro
conquiste, ma Bisanzio rifiutò e con Giorgio Maniace passò alla controffensiva: nell'aprile 1042
Maniace sbarcò a Taranto e riunì le forze a sua disposizione, mentre i Normanni si accordarono con
il figlio di Melo, Argiro, chiedendogli di diventare loro capo. Argiro ottenne quindi dai Normanni il
titolo di princeps et dux Italiae e con l'aiuto dei Normanni di Aversa e Melfi attaccarono le forze di
Maniace a Taranto, costringendole a rinserrarsi dentro le mura della città. Dopo aver tentato invano
di persuadere Maniace alla resa, i Normanni levarono l'assedio e andarono a sottomettere altre terre.
Nel frattempo Maniace, uscito dalla città, punì duramente le città della Puglia che avevano osato
collaborare con gli invasori, compiendo duri massacri a Matera e Monopoli.
Nel frattempo a Costantinopoli diveniva imperatore Costantino IX Monomaco (1000-1055), che
tentò di cambiare politica, richiamando Maniace e cercando di giungere a un compromesso con i
ribelli guidati da Argiro. Dei messi imperiali proposero a Argiro di passare dalla parte dell'Impero
con i suoi mercenari normanni: questi accettò e in cambio ottenne un titolo di corte bizantino
("antipato"). La sottomissione di Argiro era però giunta troppo tardi e solo pochi Normanni
rimasero fedeli a Argiro, mentre la maggior parte nominarono un altro capo, mantennero le loro
conquiste nella Puglia e negli anni successivi consolidarono le loro conquiste invadendo la terra
d'Otranto e impossessandosi di Lecce.
Nel 1047 ottennero il riconoscimento da parte dell'imperatore tedesco Enrico III di Franconia
(dinastia salica) delle conquiste fatte fino in quel momento. Rinvigoriti dalla concessione, i
Normanni si espansero pericolosamente in direzione della Calabria bizantina, impadronendosi nel
1048 di Bovino e di Troia.
Nel 1050 i Bizantini decisero quindi di rimandare in Italia Argiro, stavolta con il titolo di "duca
d'Italia, Calabria, Sicilia e Paflagonia". Argiro ebbe l'incarico di combattere i Normanni più con la
diplomazia che con le armi, cercando di corrompere i capi normanni convincendoli a passare dalla
parte dell'Impero oppure provocando discordie interne tra i Normanni. Questi tentativi non ebbero
però successo e il duca bizantino decise quindi di chiedere aiuto a papa Leone IX, anch'egli
minacciato dai Normanni. Il pontefice nel febbraio del 1053 riusciva a stabilire un accordo con
Enrico III, assembrando un esercito e muovendosi alla volta del meridione in primavera.
La battaglia di Civitate (1053)
Ma sia i Bizantini che le forze imperiali-pontificie vennero sconfitte dai Normanni nella battaglia
di Civitate il 18 giugno 1053. Lo stesso Leone veniva fatto prigioniero dai Normanni. Avendo
fallito, Argiro venne richiamato a Costantinopoli, mentre i Normanni negli anni successivi
consolidarono ulteriormente le loro conquiste, impadronendosi dei territori tra Taranto e Otranto
(1056).
Nel frattempo, condotti dal celebre Roberto il Guiscardo (giunto nel sud intorno al 1050),
subentrato a Umfredo alla contea di Puglia, i Normanni invasero la Calabria bizantina, occupandola
agevolmente in pochi anni. Molti centri calabresi decisero infatti di sottomettersi spontaneamente ai
Normanni, mentre al contrario solo pochi resistettero e dovettero essere espugnati dopo lungo
assedio. Nel 1059, con la resa di Reggio e di Squillace, i Normanni completarono la conquista
della Calabria bizantina.
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nuove invasioni
La svolta di Melfi: il papato riconosce i Normanni (1059)
Per rafforzare la propria posizione, Niccolò II (il grande scisma d’oriente avviene nel 1054) strinse
delle relazioni con le casate dei Normanni, ormai fermamente stabilitisi nell'Italia meridionale. La
nuova alleanza venne sancita formalmente nel mese di agosto 1059 al Concilio di Melfi, dove
Niccolò II fu accompagnato da Ildebrando di Soana (il futuro papa Gregorio VII, 1073-1085), dal
cardinale Umberto di Silvacandida e dall'abate Desiderio di Montecassino (futuro Papa Vittore III,
1086-1087, successore di Gregorio VII).
Dopo aver stipulato il Trattato di Melfi nel giugno 1059, nel successivo Concordato di Melfi il Papa
investì solennemente Roberto il Guiscardo dei Ducati di Puglia, Calabria e Sicilia, e Riccardo
d'Aversa del Principato di Capua, in cambio dei giuramenti di fedeltà e della promessa di
assistenza nel sorvegliare i diritti della Chiesa. I primi frutti di questo accordo furono, in autunno, la
presa (con l'aiuto normanno) del casale di Galeria (RM), dove l'antipapa Benedetto aveva trovato
rifugio, e la fine della subordinazione del papato alla nobiltà romana.
Si può anche leggere la descrizione che Amato, monaco di Montecassino, fa di Roberto il
Guiscardo nella sua Historia Normannorum, presentandolo come un vero e proprio campione della
Fede: «Questo duca fu dotato di ogni virtù e sorpassò in tutti i modi gli altri; perché era tanto umile
che, quando stava tra la sua gente, non sembrava il signore ma uno dei suoi cavalieri. E non vi fu
alcuno, fosse povero, donna, vedova o fanciullo, che non potesse rivolgersi a lui e manifestargli
tutta la sua misera condizione. Era giudice giusto di quanti avevano a che fare con lui; e, giudicando
secondo giustizia, distribuiva il perdono e la pietà. Onorò i Sovrani Pontefici e difese e conservò i
loro possessi, e diede loro del suo. E riveriva Vescovi e abati, e temeva Cristo in coloro che ne sono
i vicari. Non volle, come qualche principe, ricever servizio da questi prelati, ma s’inchinò a servirli.
[…] Ma chi potrà descriverne il gran cuore? Perché le minacce dell’Imperatore non gli incutevano
spavento; le risoluzioni dei rivali non gli provocavano turbamento, né lo intimorivano i castelli ben
muniti e forti. Le armi di tutti i suoi nemici non lo facevan fuggire; lui invece faceva paura a tutti e
nessuno perturbava la sua prosperità e la sua buona fortuna.
[…] Un monaco del monastero di San Lupo, il quale monastero si trova dentro la città di
Benevento, dopo il mattutino si trattenne in chiesa a dire le orazioni. E d’un tratto si addormentò. E
vide in sogno due campi pieni di gente; e di questi campi, uno era molto grande, l’altro piccolo. E
molto si meravigliò il monaco, e si chiese di dove venisse tanta gente. Allora venne a lui uno, e gli
disse: “Queste sono le genti che la Maestà di Dio ha assoggettate a Roberto Guiscardo; e questo
campo più grande è quello della gente che a lui deve essere sottoposta, ma ancora non lo è”. E poi si
svegliò il monaco, e si meravigliò molto di questa visione».
La reazione bizantina e la fine dell’impero nel meridione
I tentativi di Isacco I Comneno (1005-1061) e Romano IV Diogene di ribaltare la situazione si
rivelarono infruttuosi. La morte prematura del primo e la deposizione del secondo peggiorarono la
situazione, permettendo ai Normanni di consolidare la loro conquista della Sicilia e dell'Italia. Nel
1060 Costantino X Ducas inviò nuove truppe nella penisola; queste riconquistarono in breve tempo
Brindisi, Taranto, Oria, Otranto e si accinsero ad assediare Melfi. Tuttavia la controffensiva dei
Normanni, pur impegnati nella conquista della Sicilia, non tardò ad arrivare: truppe furono inviate
dalla Sicilia per recuperare le città sottratte dai Bizantini. I bizantini vennero sconfitti presso
Brindisi e in breve tempo tutte le città vennero recuperate dai Normanni, nonostante l'imperatore
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nuove invasioni
bizantino avesse cercato un'alleanza con l'imperatore tedesco Enrico IV e con l'antipapa Onorio II.
Nel frattempo, con la conquista Normanna dell'Inghilterra, una grande quantità di popolazione
sassone emigra in diverse parti dell'Europa, in particolare, molti di questi andranno a costituire
insieme ad altri mercenari vichinghi e germani la Guardia Variaga i quali all'interno di essa,
daranno un valido contributo alla causa in merito al conflitto bizantino contro i normanni e contro
Slavi e Peceneghi nei Balcani.
La situazione dell'Impero in Italia era quantomeno precaria, ma ribellioni scoppiate nella Puglia
normanna distolsero i Normanni dalla conquista delle residue fortezze bizantine in Puglia,
ritardando la loro caduta di qualche anno. I Bizantini non seppero approfittare pienamente della
ribellione, anche se nel 1066 arrivarono nuovi rinforzi nella penisola che riuscirono nell'impresa di
recuperare Brindisi, Taranto e Otranto. La decisione dei Normanni di abbandonare per il momento
la campagna in Sicilia per concentrarsi nell'occupazione delle ultime città in mano bizantine
compromise questi successi: già nel 1068 Roberto il Guiscardo cinse d'assedio Bari, che dopo un
assedio di tre anni capitolò (1071); nello stesso anno capitolò anche Brindisi, segnando la fine
della dominazione bizantina in Italia.
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nuove invasioni
I Normanni in Sicilia
La Sicilia su cui giunsero i Normanni, nel 1061, aveva rappresentato una sorta di modello tra le
"province" che orbitavano intorno all'espansione araba del IX secolo. Essa, infatti, era stata
conquistata in seguito al jihād promosso da Asad ibn al-Furāt nell'827, per quanto intorno al 1040
tanto la Sicilia islamica che i dominati musulmani sparsi nel Meridione d'Italia erano ormai entrati
in crisi, soprattutto dopo il fallimento dell'offensiva contro la Calabria del 1031.
Diretta conseguenza della disfatta araba in Calabria fu il tentativo bizantino di riconquistare l'isola.
A portare avanti il progetto c'era Giorgio Maniace e i Normanni giunsero inizialmente al suo soldo:
tra il 1037 e il 1045, la spedizione riuscì a giungere fino a Troina (EN). Fu a questo punto che vari
capi militari arabi fondarono poteri autonomi, finché Ibn al-Thumna, rivale di Ibn al-Hawwās,
emiro di Enna, non ricercò l'ausilio dei Normanni stanziati tra Puglia e Calabria. Quelli che egli
considerava solo dei mercenari finiranno per prendere l'isola e fondare il futuro regno di Sicilia.
Un primo sbarco normanno in Sicilia avvenne per iniziativa di Ruggero d'Altavilla, al quale, in
accordo col fratello maggiore, venne affidata la maggiore responsabilità dell'impresa, dopo la
vittoria sui Greci di Calabria. Questo primo sbarco comportò l'utilizzo di appena una sessantina di
cavalieri.
Dopo queste prove generali e forti dell’investitura papale, Roberto il Guiscardo (1025-1085) e il
fratello minore Ruggero posero d'assedio Messina nel 1061 e lì stabilirono il loro quartier generale,
provvedendo ad innalzare nuove fortificazioni. Nel 1063 nei pressi del fiume Cerami (un affluente
del Salso) Ruggero sconfisse un esercito di arabi siciliani e africani, in cui cadde anche il Qaid di
Palermo, Arcadio.
Nel 1064, Ruggero, installando una serie di guarnigioni, si era già impossessato della Sicilia nordorientale. Dopo aver conquistato Cerami, Troina ed altre città, si impadronirono di Catania nel
1071 e di Palermo nel 1072. Erano ben armati, anche se scarsi di numero, e avevano l'appoggio
della marina pisana.
Il nuovo Stato
Già con la conquista di Palermo vengono fissati i ruoli su cui si fonderanno i futuri rapporti di
potere: i musulmani avrebbero conservato i propri giudici, mentre Roberto si attribuisce il titolo di
malik, la parola che in arabo indica il re, come testimoniano i numerosi tarì d'oro, le monete da lui
coniate. Nel portare a termine l'opera di conquista, il Gran Conte Ruggero si preoccupa di installare
vescovi francesi nel territorio: l'alleanza con papa Urbano II ha condotto a quell'esperienza unica di
privilegio concesso dal papa ai Normanni, investiti della sua fiducia nella scelta dei vescovi
sull'isola, che fu l'Apostolica legazia. Diverso è il peso che viene dato alle diverse popolazioni:
musulmani e cristiani di rito basiliano vengono iscritti nelle platee (cioè nelle liste contenenti un
inventario dei possedimenti e degli abitanti relativi) come "villani": a loro non è concesso portare
armi addosso e sono anche negati i diritti politici. Inoltre, devono pagare un canone sulla terra, che è
divisa a parecchiate (corrispondenti ad una misura variabile, che va dai 14 ai 50 ettari). Da questa
politica, risultano favoriti gli immigrati latini, in particolare i lombardi, provenienti per lo più dai
territori della Marca Aleramica (Piemonte e Liguria).
Ruggero I favorì la politica di ripopolamento dell'isola, complice il matrimonio con l'aleramica
Adelasia del Vasto, con un copioso afflusso di genti provenienti dal Piemonte, allora chiamato
Longobardia, soprattutto dal Monferrato, e con genti di origine pisana, franco-provenzale, bretone,
normanna, inglese e con numerosi coloni provenienti da Campania, Puglia e Calabria.
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Nel 1101, muore Ruggero. Nel 1112, in piena reggenza, sua moglie, Adelaide del Vasto (il cui
matrimonio con Ruggero è il frutto dell'alleanza tra Normanni e Aleramici), insedia la capitale
dell'isola a Palermo: i grandi feudi non vengono più ammessi e l'isola diviene una sorta di grande
demanio a disposizione della regina (a lei, ad esempio, è riservata la caccia).
I Normanni portarono il culto cristiano latino sull'isola. È però vero che l'occupazione normanna
dell'isola si ammantò della veste di crociata anche per opportunità politica: fu nell'ottica della
riconquista cristiana delle terre in mano agli infedeli che Ruggero pretese da papa Urbano II la
legazia, sulla base della quale egli poté sovrintendere alla riorganizzazione del Cristianesimo
isolano. Le prime sedi vescovili furono istituite agganciandosi ai più grossi centri esistenti. Bisogna
anche sottolineare che Ruggero e Adelaide favorirono non poco l'istituzione e la costruzione di
monasteri di rito greco, comunque sottomessi a vescovi latini, ma poi riuniti sotto l'autorità
dell'archimandrita del Salvatore di Messina.
La nascita del Regno di Sicilia
Nel Natale del 1130, Ruggero II d'Altavilla (1095-1154) a Palermo cingeva la corona di re di
Sicilia. Cominciava così un regno caratterizzato dalla convivenza di varie etnie e diverse fedi
religiose, una specie di stato federale con un primo parlamento, creato nel 1129, e l'organizzazione
del catasto secondo una moderna concezione. Fu creata anche la contea di Ragusa, affidata a
Goffredo d'Altavilla. A Palermo Ruggero attrasse intorno a sé i migliori uomini di ogni etnia, come
il famoso geografo arabo al-Idrisi (Idrīsī o Edrisi), lo storico Nilus Doxopatrius e altri eruditi. Il Re
mantenne nel regno una completa tolleranza per tutte le fedi, razze e lingue. Egli fu servito da
uomini di ogni nazionalità, come l'anglonormanno Thomas Brun nella Curia, il greco Christodoulos
nella flotta e il bizantino Giorgio di Antiochia, che nel 1132 fu fatto amiratus amiratorum (in effetti
comandante in capo).
Ruggero rese la Sicilia la potenza dominante del Mediterraneo.
Ruggero, che aveva unito al regno i territori dell'Italia meridionale, reprimendo diverse
rivolte, espanse la sua influenza verso la sponda africana. Grazie ad una potente flotta, costituita
sotto diversi ammiragli, effettuò una serie di conquiste sulla costa africana (1135 - 1153), che
andavano da Tripoli (Libia) a Capo Bon (Tunisia) e Bona (Algeria). Ruggero II creò in quei due
decenni un "Regno normanno d'Africa" che divenne un "protettorato" siciliano, sostenuto in parte
dalla residua piccola comunità cristiana nel nord Africa.
Ai due Ruggero, e al breve interregno di Simone, successe nel 1154 Guglielmo I (detto il Malo) e
nel 1166 Guglielmo II (detto il Buono), i quali tentarono di opporsi alle mire dell'imperatore
Federico Barbarossa, deciso ad annientare il Regno dei Normanni in Sicilia. Un matrimonio di stato
fra Enrico VI, figlio dell'imperatore Federico Barbarossa, e Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero
II, nel 1185 aprì la strada alla conquista sveva. In mezzo ci fu il regno di Tancredi di Sicilia (11891194) nipote di Ruggero II.
Passaggio svevo
Nel 1194, con la morte di Guglielmo III, re per pochi mesi, il regno passò a Enrico VI e Costanza
con la morte del marito nel 1197, divenne regina di Sicilia fino alla morte nel 1198, quando il regno
passò al figlio di 4 anni Federico II di Svevia, sotto la tutela papale. Federico visse a Palermo, con
diversi tutori fino al 1208 quando quattordicenne assunse ufficialmente il potere. Nel 1212 pose la
corona del regno di Sicilia sul capo del figlio di un anno Enrico VII (che era nato a Palermo) come
coreggente e partì per la Germania per rivendicare la corona di imperatore del Sacro Romano
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nuove invasioni
Impero che ottenne due anni dopo. Federico seguì in prima persona le sorti del regno di Sicilia fino
alla morte nel 1250 quando divenne reggente il figlio Manfredi di Sicilia.
I rapporti con gli arabi
La conquista normanna dell'isola non coincise con l'eliminazione dell'elemento musulmano,
numericamente ancora consistente, malgrado le molte migrazioni verso il Maghreb, la Spagna
musulmana e l'Egitto. I Normanni, sul piano politico, economico e giuridico, conservarono molti
elementi dell'organizzazione musulmana, e la cultura islamica continuerà ancora a caratterizzare le
vicende sociali e politiche almeno fino alla prima metà del XIII secolo. Molto influente è l'elemento
arabo nell'architettura, come testimoniano a Palermo gli edifici di numerose chiese e soprattutto il
palazzo reale normanno detto "la Zisa".
Il dibattito tra gli studiosi è stato prevalentemente incentrato sull'entità e sulla stessa origine di
questi apporti: Michele Amari, ipotizzando una comunità col passato islamico, sosteneva che i
Normanni avessero a modello gli emiri Kalbiti; di recente, Jeremy Johns distingue tra l'eredità del
passato islamico della Sicilia e specifici elementi nordafricani quali il dīwān, la firma reale, la
scrittura reale, l'architettura e la decorazione dei palazzi importati dall'Egitto fatimide solo dopo
l'istituzione del Regno nel 1130.
Lo Stato normanno
Lo Stato normanno fu una monarchia feudale, dove però l’autorità del sovrano si dimostrò capace di
impedire ogni forza frazionatrice e di amalgamare invece i diversi gruppi etnici, realizzando una
creazione politica unitaria che sopravvisse a tutte le vicende successive. La struttura amministrativa
dello Stato normanno teneva infatti presenti le esigenze delle autonomie interne di città e feudi e
quelle di un regno unitario. Il re era coadiuvato nel suo governo da una curia composta da fideles,
incaricati dei più vari compiti amministrativi e giudiziari, dal cancelliere, preposto a un organismo
burocratico efficiente, e dai giustizieri di corte, titolari di funzioni esclusivamente giurisdizionali. Il
governo centrale era poi completato da uffici finanziari, competenti sia per le terre demaniali sia per
quelle feudali (la dohana de secretis per la Sicilia e parte della Calabria, la dohana baronum per le
rimanenti regioni continentali). L’ordinamento provinciale era composto da giustizieri e camerari
preposti a circoscrizioni territoriali più ampie, da baiuli, preposti a distretti minori, e da funzionari
cittadini: tutti questi ufficiali avevano anche competenze che in origine appartenevano alla
iurisdictio dei feudi e dei comuni. In tal modo quest’ultima risultava limitata e perdeva gran
parte del suo carattere centrifugo, divenendo, al contrario, un momento dell’intera
amministrazione statale
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