fertilità e gravidanza in donne affette da tumore al seno

FERTILITÀ E GRAVIDANZA
IN DONNE AFFETTE
DA TUMORE AL SENO
Rispondono gli esperti alle tue domande
Indice
Premesse, Francesca Merzagora
Introduzione
I parte: Gravidanza e tumore al seno, Fedro Peccatori
II parte: Fertilità e tumore al seno, Lucia Del Mastro
Glossario
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Premesse
a cura di Francesca Merzagora
Presidente O.N.Da
Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna
Da sempre O.N.Da, come Osservatorio dedicato alla promozione e tutela della
salute femminile, è impegnato sul fronte del tumore mammario, che rappresenta
la neoplasia più frequente nelle donne e che, ancora oggi, nonostante il significativo miglioramento della prognosi ottenuto grazie alla diagnosi precoce e alle nuove
terapie, costituisce la prima causa di morte per tumore nel sesso femminile.
In questo specifico ambito, il lavoro di O.N.Da si focalizza sul raggiungimento di due
obiettivi fondamentali: aumentare l’informazione e la consapevolezza da parte delle
donne, in particolare sull’importanza della prevenzione - che rappresenta l’arma di
difesa più efficace - e migliorare la qualità e l’accessibilità dei servizi di prevenzione,
diagnosi e cura in senologia oncologica.
L’incremento del numero di nuove diagnosi di tumore mammario in età fertile, il
miglioramento della prognosi oncologica, il progressivo spostamento in avanti dell’età
materna alla prima gravidanza, hanno portato a far emergere nuove e complesse
problematiche sulle quali le donne hanno molti interrogativi e timori: cosa succede
quando un tumore mammario viene diagnosticato in gravidanza, quali sono gli effetti
delle cure anti-tumorali su una gravidanza in corso o futura, quali sono i danni prodotti
dalle terapie oncologiche sulla fertilità, è possibile preservare la fertilità?
Si tratta di tematiche molto delicate in cui al desiderio di maternità, si contrappone
la difficile e dolorosa esperienza di una malattia che segna profondamente la donna,
minandone femminilità e progettualità.
Con l’aiuto di due autorevoli specialisti oncologi esperti del settore, Lucia Del
Mastro e Fedro Peccatori, prendendo spunto dalle numerose domande che sono
state inviate nel corso della diretta web “Fertilità e gravidanza in donne affette da tumore al seno” (disponibile sul nostro sito nella sezione Oncologia della
videogallery, http://www.ondaosservatorio.it/videogallery.php), abbiamo realizzato questa pubblicazione con l’intento di dare un semplice e utile supporto
informativo alle pazienti. Resta comunque imprescindibile la condivisione di tutti
questi delicati aspetti con il proprio oncologo curante e con il ginecologo per una
pianificazione personalizzata delle cure oncologiche e degli eventuali trattamenti da
avviare per preservare la fertilità.
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Introduzione
•
Il carcinoma mammario rappresenta il tumore più frequentemente diagnosticato
nelle donne di età inferiore a quarant’anni.
•
L’età materna alla prima gravidanza si è progressivamente spostata in avanti, tanto che le stime parlano di una percentuale di gravidanze in donne
ultra-trentacinquenni pari al 25% nel 2025 (contro il 12% rilevato agli inizi degli
anni Novanta).
•
La diagnosi precoce e i successi terapeutici raggiunti grazie al continuo
avanzamento della ricerca hanno contributo a migliorare sensibilmente la
prognosi oncologica delle pazienti, incrementando in misura significativa il tasso
di sopravvivenza.
Ecco perché fertilità e gravidanza in donne affette da tumore al seno sono diventate
tematiche di grande interesse ed attualità che meritano, da parte degli specialisti
oncologi, particolare sensibilità, attenzione e competenza. Si tratta di aspetti su
cui la donna deve essere sempre correttamente informata in modo da poter compiere con consapevolezza le proprie scelte prima dell’avviamento del programma
terapeutico anti-tumorale.
L’opuscolo si articola in due parti:
“Gravidanza e tumore al seno” che tratta le problematiche correlate alla diagnosi
di tumore alla mammella formulata durante la gravidanza nonché il tema della gravidanza a seguito di tumore mammario.
“Fertilità e tumore mammario” che spiega i danni prodotti dalla chemioterapia
sulla fertilità e le possibili strategie per preservarla.
Al termine di ciascuna sezione, è riportato un box in cui sono stati evidenziati i messaggi più importanti che emergono dall’intervista con lo specialista.
Per facilitare la lettura è stato inserito in appendice un glossario in cui sono spiegati
i termini evidenziati nel testo in colore rosa.
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I parte:
Gravidanza e tumore al seno
Risponde alle domande Fedro Peccatori,
Direttore Unità di Fertilità
e Procreazione in Oncologia
Istituto Europeo di Oncologia di Milano
a. Diagnosi di tumore mammario in gravidanza
È vero che si sta registrando un incremento dei casi di tumori mammari diagnosticati in gravidanza?
I dati riportati dalla letteratura scientifica sul tema evidenziano un incremento significativo: negli ultimi trent’anni il numero di donne a cui è stato diagnosticato un
tumore mammario in gravidanza è raddoppiato.
Per dare una stima che definisca le dimensioni del fenomeno in Italia, se sono circa
500.000 le donne che partoriscono ogni anno, 150-200 sono i casi attesi di tumori
diagnosticati in gravidanza.
Quali sono le cause di questo incremento?
Non siamo in grado di dare una spiegazione certa a questo fenomeno, ma senza dubbio giocano un ruolo importante due fattori di cui abbiamo esperienza diretta nella
nostra pratica clinica quotidiana e che trovano conferma nelle casistiche riportate
dalla letteratura: primo, le donne tendono ad avere figli in età più tardiva rispetto al
passato; secondo, i tumori in età fertile e in particolare proprio quelli che colpiscono
la mammella, sono in aumento.
Quali sono gli effetti di una gravidanza in corso sulla prognosi del
tumore?
A lungo si è discusso se la gravidanza potesse in qualche modo modificare la presentazione clinica del tumore mammario o influire sulla sua biologia. La gravidanza,
infatti, è il periodo in cui si modifica profondamente l’assetto ormonale femminile:
estrogeni, progesterone e altri ormoni prodotti da ovaio e placenta aumentano in
modo importante e poiché il tumore della mammella nel 60% dei casi è ormono-responsivo, si è pensato che ci potesse essere una relazione anche peggiorativa. Su
tale aspetto sono state fatte diverse ricerche che hanno dato risultati confortanti.
Anche noi abbiamo condotto uno studio caso-controllo su un’ampia casistica, mettendo a confronto due gruppi di pazienti oncologiche in gravidanza e non, con caratteristiche analoghe di presentazione della malattia: le analisi anatomopatologiche
non hanno evidenziato alcuna differenza in termini di caratteristiche biologiche e
aggressività tra le pazienti gravide e non.
Possiamo quindi affermare che la gravidanza di per sé non peggiora la prognosi materna.
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Lo stato di gravidanza può rendere più difficile la diagnosi di tumore mammario?
Ciò può accadere anzitutto perché, trattandosi di donne giovani, magari non ci
si pensa. Poi c’è anche da considerare il fatto che durante la gravidanza la ghiandola mammaria modifica il proprio aspetto e la propria struttura, divenendo più
voluminosa e nodulare. Si tratta di modificazioni fisiologiche (naturali) “di preparazione” all’allattamento, ma che possono mascherare il tumore, ritardando la diagnosi.
Questo spiega perché i tumori in gravidanza abbiano una prognosi peggiore: il problema non è legato a un effetto peggiorativo delle caratteristiche biologiche del
tumore a causa dello stato gravidico, ma al fatto che il tumore viene riconosciuto in
stadi più avanzati di malattia.
Lo stato di gravidanza limita le possibilità diagnostiche?
Tutte le formazioni di dubbio significato e tutti i noduli mammari meritano di essere
sempre indagati e approfonditi, indipendentemente dallo stato gravidico.
Le procedure comunemente utilizzate per la diagnosi di tumore mammario, come
ecografia e biopsia in anestesia locale, possono essere effettuate in tutta sicurezza,
dunque non hanno alcuna controindicazione in gravidanza (la stessa ecografia viene
utilizzata di routine per monitorare lo sviluppo embrionale e l’accrescimento fetale
nel corso della gestazione).
Anche la mammografia, che
si basa sull’impiego di radiazioni ionizzanti, non ha
alcuna controindicazione in
quanto le dosi irradiate sono
molto basse, tali da non produrre effetti dannosi sul feto.
Solo alcuni esami di stadiazione, come TAC e scintigrafia ossea, sono controindicati
nelle donne gravide.
Dunque il fatto che sia in
corso una gravidanza non
esclude la necessità di fare
tutto ciò che si deve per inquadrare correttamente dal punto di vista diagnostico
la problematica; ciò consente di intervenire tempestivamente e di curare al meglio
la donna.
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Come viene gestito il programma terapeutico per carcinoma
mammario in gravidanza?
L’età gestazionale (la settimana della gravidanza) in cui viene formulata la diagnosi
influisce in modo importante sulle condotte terapeutiche che verranno adottate ma
anche sulle possibili decisioni che prenderà la donna.
Per quanto riguarda la chirurgia, un intervento chirurgico può essere eseguito nella
maggior parte dei casi nel corso di tutta la gestazione senza compromissione del
benessere fetale. Ovviamente, se la gravidanza è vicina al termine, è opportuno rimandare l’operazione a dopo il parto.
La chemioterapia è assolutamente controindicata nel primo trimestre della gravidanza (quindi fino alla conclusione della dodicesima settimana) in quanto embriotossica.
Dopo il primo trimestre, la chemioterapia può essere effettuata poiché, come evidenziano gli studi condotti in merito, non causa effetti collaterali sul feto: il rischio
di malformazioni congenite in queste donne è equiparabile a quello stimato per la
popolazione generale.
La radioterapia può essere fatta con modalità particolari in gravidanza, ma in genere
viene differita dopo il parto, qualora ritenuta necessaria al completamento del trattamento antitumorale chirurgico e farmacologico.
La terapia ormonale e la terapia immunologica con anticorpi monoclonali anti-HER2
sono invece controindicate per tutta la durata della gravidanza, perché entrambe
associate a gravi malformazioni fetali, indipendentemente dall’epoca gestazionale
di assunzione.
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b. Gravidanza dopo tumore mammario
Quanto tempo devo aspettare, dalla fine della chemioterapia, per
pianificare una gravidanza?
Come già detto, i farmaci chemioterapici possono essere somministrati in gravidanza
esclusivamente nel secondo e terzo trimestre. Tuttavia il loro impiego in una donna
giovane che non ha ancora avuto figli impone la pianificazione di una gravidanza
futura. Se si programma una gravidanza dopo la chemioterapia, è raccomandabile attendere almeno un anno dalla fine del trattamento. Durante la chemioterapia, infatti,
l’attività ovarica viene alterata e in particolare gli ovociti possono subire danni a livello del loro patrimonio genetico, responsabili di un elevato tasso di malformazioni.
Una pregressa chemioterapia può determinare danni nel nascituro
in gravidanze successive?
Trascorso un anno, possiamo stare assolutamente tranquilli che non ci sono rischi:
dopo dodici mesi dalla fine della chemioterapia, il tasso di malformazioni congenite
in donne sottoposte a chemioterapia per tumore mammario è identico a quello
della popolazione generale.
Si tratta comunque di gravidanze che devono essere seguite con maggiore attenzione, ma più per gli effetti della chemioterapia sulla mamma che per quelli attesi sul
feto.
Nel caso di terapia ormonale quanto è necessario aspettare per
ricercare una gravidanza?
Per quanto riguarda il trattamento ormonale, questo non ha effetto genotossico,
pertanto è necessario aspettare meno tempo rispetto alla chemioterapia. In pratica
è opportuno attendere che l’emivita del farmaco sia superata e che dunque non
siano più dosabili livelli di farmaco nel sangue. Per il tamoxifene, che è il farmaco
maggiormente usato per la terapia ormonale in donne giovani con tumore mammario, tale periodo corrisponde a circa tre mesi.
Le donne che durante la terapia ormonale hanno assunto terapia con analoghi LH-RH
per preservare la fertilità non riprendono a mestruare immediatamente con la stessa
tempistica: la ripresa dall’attività mestruale dipende, infatti, dall’età della paziente e
dall’eventuale chemioterapia prima del trattamento ormonale. La media di ripresa
del ciclo mestruale, soprattutto per donne giovani, è di 5 mesi (3-6 mesi). Se la donna
è più avanti negli anni il rischio di un’amenorrea permanente, cioè di mancata ripresa
del ciclo quale conseguenza della tossicità della chemioterapia, è più elevato.
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Ho 41 anni, sono stata sottoposta a mastectomia per carcinoma
mammario e mi è stata prescritta terapia ormonale per cinque
anni. Posso pensare a pianificare la gravidanza prima del termine
della terapia? Quali sono i possibili rischi correlati alla sospensione del trattamento?
Si tratta di una situazione che ricorre frequentemente nella pratica clinica. Ciò perché, se da un lato, più ci si avvicina ai quarant’anni e più alta è l’incidenza del tumore mammario, dall’altro l’età materna si sta progressivamente spostando in avanti.
Così, tante pazienti quarantenni che non hanno figli si pongono il problema di dover
aspettare un periodo così lungo, considerato che avere un figlio dopo i quarant’anni
anni diventa più difficile anche solo da un punto di vista riproduttivo (la fertilità
comincia a ridursi velocemente).
Si discute quindi se i cinque anni siano indispensabili. I dati disponibili documentano che cinque anni sono un tempo adeguato (eventualmente da ampliare nel caso
di pazienti ad alto rischio) ma non è stata fino ad oggi indagata la possibilità di
interrompere il trattamento per poi riprenderlo e concludere il quinquennio di terapia dopo la fine della gravidanza e l’eventuale allattamento. Per questo, insieme
con altri centri internazionali, abbiamo stilato un protocollo per valutare in modo
scientifico gli eventi gravidici e oncologici in pazienti giovani con tumore mammario
ormono-responsivo che interrompono dopo 18-30 mesi la terapia ormonale per la
ricerca di prole.
Molte donne decidono di sospendere la terapia ormonale prima dei cinque anni. La
raccomandazione è che la terapia con tamoxifene sia ripresa al termine della gravidanza e dell’allattamento, poiché la durata del trattamento è riconosciuta come
importante fattore protettivo.
La gravidanza può influire su un’eventuale ripresa della malattia?
Ancora oggi persiste il dubbio che in una donna curata per tumore alla mammella, la
gravidanza possa determinare, aumentando i livelli ormonali circolanti di estrogeni e
progesterone, un peggioramento della prognosi oncologica (riaccensione della malattia). In realtà i dati forniti dalla letteratura documentano il contrario: la gravidanza
dopo tumore mammario non aumenta il rischio oncologico, addirittura alcuni studi
evidenziano una riduzione di tale rischio, come se la gravidanza avesse un effetto
protettivo.
Possiamo quindi affermare con tranquillità che una gravidanza dopo tumore mammario non peggiora la prognosi oncologica. Un nostro studio pubblicato nel 2013 su
un’importante rivista di oncologia (Journal of Clinical Oncology), che è stato condotto su un campione molto numeroso, mettendo a confronto pazienti oncologi-
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che che hanno avuto e non una gravidanza dopo il tumore, ha documentato la stessa
identica sopravvivenza tra i due gruppi.
La gravidanza ha un effetto protettivo nel caso di tumore ormono-responsivo?
Non possiamo con certezza attribuire un effetto protettivo alla gravidanza nel caso
di tumori che esprimono un alto numero di recettori ormonali. Di contro, però, possiamo affermare con certezza che non ci sono effetti svantaggiosi: i dati forniti dalla
letteratura scientifica non evidenziano un aumento del rischio oncologico in queste
pazienti.
Posso allattare al seno anche dopo aver subito un intervento di
chirurgico alla mammella per carcinoma?
L’allattamento è un complemento naturale alla gravidanza, desiderato da molte
donne. Non ci sono controindicazioni all’allattamento al seno in donne operate
per tumore mammario. Dopo mastectomia si può ovviamente contare su una sola
mammella. Dopo un intervento di quadrantectomia seguito da radioterapia, la
mammella operata e irradiata produce meno latte, ma l’altra mammella è sufficiente anche per un allattamento esclusivo (cioè senza aggiunta di latte artificiale).
L’allattamento in queste donne non comporta un aumento del rischio di complicanze locali, soprattutto se viene seguito con attenzione a partire dalle fasi iniziali che
sono le più critiche (la donna deve imparare ad attaccare il neonato correttamente
al capezzolo e a svuotare bene la mammella per evitare ingorghi). Le donne che
riescono ad allattare, al di là degli
indiscutibili benefici
per il bambino, traggono un vantaggio
per se stesse, recuperando un’esperienza
completa di maternità che è molto importante in considerazione del vissuto di
malattia, percepito
come grave perdita
della propria femminilità.
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Qual è il ruolo dell’interruzione volontaria di gravidanza, laddove
venga formulata diagnosi di tumore mammario?
Dobbiamo distinguere due situazioni.
Quando la diagnosi di tumore mammario è formulata durante la gravidanza, la donna
deve essere adeguatamente informata sulle possibili alternative terapeutiche e sostenuta in modo da poter decidere consapevolmente e responsabilmente.
Altro caso sono le interruzioni di gravidanza spesso consigliate dai medici quando la
gravidanza viene diagnostica dopo un tumore mammario, magari a distanza di alcuni
anni dalla diagnosi oncologica. Ciò non ha alcun fondamento scientifico: la gravidanza non peggiora la prognosi oncologica, come detto, e nemmeno l’interruzione di
gravidanza la migliora, né in donne che hanno avuto una storia pregressa di tumore
mammario e neppure quando la diagnosi di tumore è concomitante alla gravidanza.
Pertanto la decisione spetta esclusivamente alla donna, ma l’interruzione volontaria
di gravidanza non può essere considerata una scelta terapeutica che possa in qualche
modo garantire un vantaggio dal punto di vista oncologico.
Lo stato di gravidanza non influisce sulle caratteristiche biologiche e sulla prognosi
dei tumori mammari diagnosticati nel corso della gestazione.
Le modificazioni strutturali della ghiandola mammaria che si verificano nel corso
della gravidanza possono mascherare il tumore e rendere più difficile la diagnosi
precoce.
Lo stato di gravidanza non rappresenta mai un valido presupposto per rinunciare a
un approfondimento diagnostico nel caso di noduli sospetti: ecografia, mammografia e biopsia non hanno controindicazioni.
Le cure oncologiche devono essere pianificate in base all’epoca gestazionale.
Gravidanze successive al tumore mammario non aumentano il rischio di ripresa
della malattia.
I trattamenti anti-tumorali non comportano aumentati rischi di malformazioni
congenite in gravidanze future.
Le donne operate al seno possono allattare.
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II parte:
Fertilità e tumore al seno
Risponde alle domande Lucia Del Mastro,
Direttore U.O.S. Terapie Innovative
A.O.U San Martino di Genova
Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro
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Perché si parla sempre più frequentemente del problema della
preservazione della fertilità nelle donne giovani candidate a chemioterapia per carcinoma mammario?
Anzitutto l’età materna alla prima gravidanza, soprattutto nei paesi occidentali, si è
spostata in avanti e questo comporta che sempre più frequentemente gli oncologi
si trovano in situazioni in cui devono trattare giovani pazienti che non hanno ancora
avuto figli ma desiderose di avere una gravidanza dopo il completamento del programma terapeutico. Secondariamente, l’evidenza offerta dalle numerose ricerche
sul campo che una gravidanza dopo diagnosi di tumore alla mammella non peggiora
la prognosi oncologica ha spazzato via dubbi e timori che, in passato, portavano a
ritenere la gravidanza addirittura controindicata in queste pazienti.
Al giorno d’oggi non si può dunque più trascurare questo problema ed, infatti, le
maggiori Società scientifiche (ASCO e AIOM) si sono attivate per sensibilizzare
gli oncologi sull’importanza di informare le giovani pazienti sugli effetti tossici
dei trattamenti antitumorali e sulle opzioni attualmente disponibili per preservare
la fertilità.
La chemioterapia è una delle opzioni usualmente impiegate nel
trattamento del carcinoma mammario. Quali sono i suoi effetti
sulla fertilità femminile?
La chemioterapia prevede l’impiego di farmaci “sistemici” che non colpiscono in
modo selettivo le cellule tumorali, ma bersagliano anche i tessuti sani, tra cui il tessuto ovarico. A tale livello la chemioterapia comporta una riduzione della riserva
ovarica.
Cosa s’intende per riserva ovarica?
Rappresenta il patrimonio follicolare, cioè il
numero di follicoli (strutture ovariche che
contengono l’ovocita, la cellula femminile del concepimento) presenti in ovaio. In
sostanza, dalla riserva ovarica dipende la
capacità ovulatoria (capacità delle ovaie
di produrre ovociti maturi, pronti per la fecondazione da parte dello spermatozoo) e
quindi il potenziale di fertilità.
La fisiologica riduzione della capacità ovu-
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latoria che si verifica con il trascorrere degli anni è essenzialmente dovuta al declino
quantitativo e qualitativo dei follicoli ovarici. In particolari condizioni, il patrimonio
follicolare può essere ridotto o danneggiato anche in donne giovani; per esempio, in
caso d’interventi di chirurgia pelvica che prevedono l’asportazione di tessuto ovarico, o di familiarità positiva per menopausa precoce o di pregressi trattamenti antitumorali per tumori maligni.
Tutte le chemioterapie hanno questa complicanza?
Tutti i chemioterapici possono danneggiare le ovaie, ma l’entità del danno in termini
di effetto tossico varia a seconda del trattamento (tipo di farmaco, dosaggi) e delle
caratteristiche individuali (prima fra tutte l’età).
Alcuni farmaci quali gli agenti alchilanti come la ciclofosfamide, che viene comunemente impiegata nei tumori della mammella, sono altamente tossici a livello dell’ovaio.
Altri, come il methotrexate e il fluorouracile (che però sono meno utilizzati nella
patologia mammaria) hanno effetti tossici minori a livello ovarico.
Non ancora ben chiari sono gli effetti di un’altra categoria di farmaci, ampiamente
utilizzati per il trattamento del tumore della mammella, i taxani; presumibilmente
anch’essi hanno un effetto tossico a livello ovarico e sono quindi potenzialmente
responsabili di una riduzione della capacità di mantenere il proprio potenziale di
fertilità.
Quali sono i fattori correlati alla paziente, al di là delle caratteristiche specifiche dei farmaci chemioterapici, che possono ulteriormente interferire con la fertilità?
Come l’età d’ingresso in menopausa non è la stessa per tutte le donne, variando in
relazione a fattori individuali, anche genetici, così l’effetto tossico della chemioterapia a livello delle ovaie - quindi il rischio che una chemioterapia possa indurre una
menopausa precoce - è diverso da una paziente all’altra.
Uno dei fattori più importanti è senza dubbio l’età: tanto più la donna è vicina da un
punto di vista anagrafico alla sua menopausa fisiologica, maggiore è il rischio che la
chemioterapia acceleri il raggiungimento della menopausa stessa. Dunque nelle donne molto giovani è difficile che ci sia una perdita irreversibile della funzione ovarica
a seguito di una chemioterapia; quello che invece può verificarsi è un anticipo della
menopausa. Oltre all’età, anche i fattori genetici entrano in gioco nel determinare
un differente impatto della chemioterapia in termini di entità del danno ovarico e
dunque di induzione o meno di menopausa precoce.
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Come si può preservare la fertilità?
Diverse sono le strategie disponibili
e la scelta dipende da più fattori: caratteristiche biologiche e stadiazione
del tumore, tipologia delle terapie
anti-tumorali sistemiche prospettate, tempo di attesa disponibile prima
di avviare le cure, età della paziente,
presenza di un partner.
Il congelamento (crioconservazione)
di embrioni, che è la tecnica storicamente più utilizzata e più efficace
per la preservazione della fertilità, è
consentito nel nostro Paese secondo
la normativa vigente (Legge 40/04
“Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita”) solo in limitati specifici casi.
Il congelamento degli ovociti è una tecnica simile a quella fatta per gli embrioni ma,
in tal caso, ci si ferma prima della fertilizzazione in vitro dell’ovocita; dunque quando
la donna decide di avere una gravidanza, l’ovocita viene scongelato e fertilizzato in
vitro con successivo trasferimento dell’embrione in utero. Questa tecnica, proprio in
virtù degli effetti restrittivi della menzionata Legge 40 in ordine alla possibilità di accedere al congelamento di embrioni, si è sviluppata in modo importante nel nostro
Paese per cui i centri italiani specializzati in tecniche di procreazione medicalmente
assistita vantano grandissima esperienza in merito.
È importante sottolineare che queste tecniche, prevedendo la necessità di
effettuare la stimolazione ovarica, possono essere prese in considerazione solo
quando è possibile posticipare l’inizio delle terapie anti-tumorali. Per massimizzare
le percentuali di successo con la fecondazione in vitro è, infatti, necessario disporre
di un buon numero di ovuli di buona qualità in previsione della procedura di prelievo.
Noi abbiamo sperimentato un’altra tecnica basata sull’impiego di un farmaco,
l’analogo LH-RH, che in pratica mette a riposo le ovaie: somministrato prima e durante la chemioterapia, è in grado di ridurne la tossicità a livello delle ovaie. Gli
studi condotti sino ad ora hanno, infatti, documentato che il farmaco diminuisce
l’incidenza di amenorrea (perdita dell’attività mestruale) nelle donne sottoposte al
trattamento combinato (chemioterapia + analogo) rispetto alle pazienti che hanno
fatto la chemioterapia da sola.
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Quali sono i vantaggi della terapia a base di analoghi?
Anzitutto si tratta di un metodo farmacologico e dunque non invasivo, che risulta
molto più semplice rispetto alla tradizionale crioconservazione degli ovociti, tecnica
che implica la stimolazione ovarica, il prelievo degli ovociti e il successivo congelamento.
Il farmaco, invece, è somministrato per via intramuscolare, non richiede una
preparazione particolare e non presuppone la stimolazione ovarica, non ritardando
così l’inizio della chemioterapia.
Le due tecniche non sono comunque mutualmente esclusive ma posso essere utilizzate insieme per aumentare la probabilità che la donna preservi la propria funzionalità ovarica, una volta terminati i trattamenti chemioterapici.
Le tecniche che richiedono una stimolazione ormonale dell’ovaio
possono trovare indicazione anche in caso di carcinoma mammario ormono-sensibile?
I dati disponibili indicano che la stimolazione dell’ovaio per ottenere gli ovociti da
prelevare prima dell’inizio della chemioterapia non determina un aumento del rischio di ricadute nelle donne con tumore mammario, comprese le pazienti con tumore ormono-sensibile.
La crioconservazione degli ovociti è pertanto oggi considerata la tecnica standard
offribile alle donne con carcinoma mammario, anche quando il tumore esprime recettori ormonali.
Preservare la funzione ovarica significa preservare la fertilità?
No, non sono la stessa cosa: non necessariamente chi preserva la funzione ovarica
con mantenimento della normale attività mestruale è fertile. La preservazione della
funzione ovarica è dunque il presupposto necessario ma non sufficiente per mantenere la fertilità, che dipende da tanti altri fattori.
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Dunque la ripresa di attività mestruale dopo la fine della chemioterapia, non consente di escludere danni ovarici conseguenti al
trattamento?
La ripresa di un ciclo mestruale regolare dopo la terapia non presuppone la ricorrenza di un’ovulazione efficace. Parimenti, l’assenza di ciclo mestruale non necessariamente indica la mancanza di ovulazione.
Che cosa s’intende per counselling riproduttivo?
Si tratta di una consulenza specialistica che dovrebbe sempre essere proposta alle
giovani pazienti oncologiche, subito dopo la diagnosi e la successiva stadiazione della malattia quando vengono pianificate le cure, così da avere il tempo necessario per
informarle adeguatamente sugli effetti tossici della chemioterapia a livello ovarico e
condividere le migliori strategie di preservazione della fertilità.
Spesso succede che nell’urgenza di iniziare le terapie oncologiche, l’aspetto della
fertilità venga trascurato. È invece fondamentale discuterne una volta completato
l’iter diagnostico, per una pianificazione più strategica ed efficace delle cure che
tenga conto anche della qualità di vita a lungo termine delle pazienti, ivi compreso
il desiderio di una progettualità genitoriale.
Chi fornisce tale consulenza?
Questo è un compito che spetta all’oncologo: quando illustra alla paziente il programma terapeutico anti-tumorale da affrontare e i potenziali effetti collaterali,
deve anche spiegare la potenziale perdita della funzione ovarica causata dalla
chemioterapia, offrendo la
possibilità di accedere alle
varie tecniche di preservazione della fertilità.
La tecnica basata sulla
crioconservazione degli
ovociti presuppone una sinergica collaborazione tra
l’oncologo e il ginecologo
esperto di procreazione
medicalmente assistita in
modo che la paziente pos-
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sa essere indirizzata a centri specializzati di riferimento e accedere ai relativi servizi
senza eccessiva perdita di tempo.
Dove posso trovare informazioni affidabili sul problema della
fertilità in corso di carcinoma mammario?
È importare fare sempre riferimento a fonti che garantiscano la scientificità delle
informazioni contenute. Una di queste è il sito internet dell’AIMAC (www.aimac.it),
dove è possibile consultare e scaricare un opuscolo informativo realizzato in collaborazione con esperti del settore in questo ambito. Nell’opuscolo è inoltre riportato
l’elenco dei centri cui è possibile rivolgersi per avere una consulenza sulla possibilità
di accedere a programmi di preservazione della fertilità.
I trattamenti antitumorali che vengono somministrati per via sistemica, come la
chemioterapia, possono compromettere anche permanentemente la fertilità.
La tossicità dei chemioterapici a livello ovarico dipende da diversi fattori, tra cui
principalmente tipologia del farmaco ed età della paziente.
Le strategie di preservazione della fertilità comprendono sia tecniche di congelamento, quali la criopreservazione degli ovociti, che tecniche basate sulla protezione
farmacologica delle ovaie attraverso l’impiego degli analoghi LH-RH.
L’oncologo deve sempre fornire alle giovani pazienti una consulenza specialistica
sugli aspetti che riguardano la tossicità delle cure antitumorali sulla fertilità prima di
avviare il programma terapeutico.
Risulta cruciale la sinergica collaborazione tra gli specialisti coinvolti, oncologo e ginecologo, per una pianificazione personalizzata ed efficace delle terapie
antitumorali e delle strategie di preservazione della fertilità.
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Glossario
AIMAC: Associazione Italiana dei Malati di Cancro
AIOM: Associazione Italiana di Oncologia medica
ASCO: American Society of Clinical Oncology
Chemioterapia: trattamento sistemico che si basa sulla somministrazione di farmaci
che agiscono su tessuti ad alta attività di replicazione, come quelli tumorali
Effetto genotossico: danno al patrimonio genetico cellulare (DNA)
Embrione: prodotto del concepimento, derivato dall’unione dei gameti femminile
(ovocita) e maschile (spermatozoo)
Embriotossica: tossicità associata a un tasso elevato di malformazioni fetali per gli
effetti dannosi prodotti sullo sviluppo dell’embrione
Esami di stadiazione: comprendono tutte le indagini diagnostiche anatomo-patologiche e strumentali che definiscono lo stato di avanzamento della malattia. La
stadiazione del tumore consente di definirne la prognosi (più è avanzato lo “stadio”
del tumore, peggiore sarà la prognosi) e viene utilizzata per la pianificazione degli
interventi terapeutici
Mastectomia: asportazione chirurgica totale della mammella
Ormono-responsivo: sono così definiti i tumori della mammella che presentano sulla superficie cellulare recettori per ormoni che ne stimolano la crescita. Tale caratteristica viene “sfruttata” a fini terapeutici (v. Terapia ormonale)
Ovociti: sono le cellule uovo prodotte dall’ovaio deputate alla riproduzione: l’unione
con gli spermatozoi porta al concepimento
Quadrantectomia: asportazione chirurgica parziale della mammella
Radioterapia: terapia anti-tumorale che utilizza radiazioni ionizzanti per danneggiare
il patrimonio genetico delle cellule malate in modo da bloccarne la replicazione
Terapia ormonale: in molti casi i tumori della mammella sono ormoni-dipendenti
(anche detti ormono-responsivi o ormono-sensibili), cioè presentano sulla superficie
cellulare recettori per estrogeni e/o progesterone. Le terapie oncologiche su base
ormonale “sfruttano” questa caratteristica, agendo proprio a tale livello
Terapia immunologica con anticorpi monoclonali anti-HER2: gli anticorpi monoclonali sono farmaci a bersaglio, in grado di “aggredire” in modo specifico le cellule tumorali. La selettività di azione consente di esercitare l’azione farmacologica esclusivamente sui tessuti tumorali, limitando al massimo gli effetti collaterali sistemici. La
terapia con anticorpo anti-HER2 trova indicazione nei casi in cui il tumore presenta
alti livelli di HER-2, proteina presente sulla superficie delle cellule tumorali e in grado
di stimolare la loro moltiplicazione
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