Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche Sezione

FisioBrain, 20 Maggio 2007
www.fisiobrain.com
Lesioni muscolari nello sportivo: eziologia, diagnosi, monitoraggio ECG, trattamento
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche
Sezione di Ortopedia e Traumatologia
Università degli studi di Catania
Direttore: Prof G. Sessa
A. Rossitto, V. Gargano, S. Abela, F. Zappalà, G. Costanzo
La lesione muscolare è molto frequente in corso di attività sportiva, ma spesso essa è sottostimata dallo stesso
atleta, che prosegue infatti la sua attività senza richiedere una precoce valutazione medica ed accertamenti
mirati, per cui non viene adeguatamente trattata.
Conoscere la normale struttura e fisiologia del muscolo è necessario per comprendere il trattamento e la
prevenzione di queste lesioni.
Il muscolo scheletrico dell'uomo può essere considerato un motore in grado di trasformare l'energia chimica in
esso contenuta come adenosintrifosfato (ATP), in energia meccanica (lavoro), tramite l'azione sul sistema di
leve scheletriche; il lavoro così prodotto è utilizzato per controllare la postura e promuovere il moto del corpo o
delle sue parti rispetto all'ambiente esterno. Il tessuto muscolare, contraendosi attivamente, sviluppa una forza,
denominata tensione, che agisce lungo l'asse di trazione muscolare; tale forza si oppone al carico esterno,
ovvero alla forza esterna che prende il nome di resistenza. Sia la tensione muscolare che la resistenza variano,
anche notevolmente, durante il movimento, in particolare durante l'attività sportiva.
Bisogna altresì ricordare che il muscolo non può essere concepito come un organo estrapolato dall'apparato
locomotore ed indipendente dai complessi meccanismi di controllo motorio, ma piuttosto come la risultante di
una complessa integrazione di stimoli sensoriali (propriocettivi, tattili, vestibolari e visivi), automatismi motori
(dal semplice riflesso miotattico, ai più elaborati riflessi posturali, fino ai complessi automatismi connessi
all'esecuzione di particolari gesti ginnico-sportivi), uniti alla componente volontaria (motivazionale) del gesto
motorio.
Una lesione muscolare può prodursi per svariati motivi, la cui comprensione non può prescindere dalla
conoscenza della biomeccanica, della fisiologia dell'apparato locomotore, dalla conoscenza della fisiopatologia
delle lesioni traumatiche e dei concetti fondamentali dell'allenamento sportivo.
Su queste basi si fonda il trattamento medico e riabilitativo delle lesioni muscolari.
EZIOLOGIA E PATOGENESI DELLE LESIONI MUSCOLARI
CONDIZIONI PREDISPONENTI GENERALI
Difetti di allenamento e di flessibilità
L'allenamento determina numerose modificazioni a carico dell'apparato locomotore, che si traducono in una
migliore efficienza del gesto atletico ed in una maggior resistenza alla fatica. Il deficit d'allenamento può
consistere in una carenza di preparazione atletica generale, e ciò comporta quindi uno stato di affaticamento
precoce (spesso localizzato in particolare ai gruppi muscolari o ai muscoli più sollecitati), oppure in una
mancanza d'abitudine a svolgere un determinato tipo di movimento (o perché non lo si è ancora acquisito,
oppure dopo una pausa dall'attività sportiva). Nel secondo caso, è un deficit di destrezza, di coordinazione e di
equilibrata attivazione della muscolatura agonista ed antagonista a determinare l'errore di esecuzione del gesto
tecnico, e ciò può produrre la lesione muscolare. Anche un riscaldamento prima della gara o della seduta di
allenamento, può essere annoverato tra i deficit di allenamento: un insufficiente riscaldamento compromette
l'adeguato funzionamento dell'apparato locomotore, mantiene elevata la viscosità muscolare e tendinea,
pregiudica la coordinazione e comporta un precoce intervento del metabolismo anaerobico, con un aumento del
debito d'ossigeno.
Un particolare aspetto del deficit di allenamento riguarda la flessibilità. Un'insufficiente flessibilità comporta un
eccessivo stiramento dell'unita muscolo-tendinea che diventa evidente negli esercizi di velocità, che necessitano
di ampie escursioni articolari, da percorrere velocemente. La flessibilità inoltre può essere compromessa dalla
fatica che tende ad indurre una maggior rigidità muscolare.
La fatica
La fatica può essere definita come l'incapacità di mantenere nel tempo una determinata prestazione.Tale
incapacità deriva in parte dall'impossibilità di risintetizzare l'ATP alla stessa velocità con cui viene utilizzato per
fornire energia per gli esercizi intensi, ed in parte all'accumulo di lattato. Attualmente si ritiene che la lesione
muscolare (distrattiva) si verifichi in seguito alla rottura dei ponti tra i filamenti delle proteine contrattili del
muscolo, actina e miosina. Tale evento può verifìcarsi per una sollecitazione sopramassimale (over-use o
superallenamento) che agisce su di un muscolo integro, oppure per uno stimolo più modesto, in caso di
diminuita resistenza delle fibre muscolari.
Condizioni in cui si svolge il lavoro muscolare
Fattori favorenti e rilevanti nella genesi delle lesioni muscolari possono essere anche le condizioni atmosferiche.
Soprattutto il freddo, che determina una vasocostrizione, e quindi una minore irrorazione muscolare ed un
minore apporto energetico con conseguente precoce insorgenza della fatica (maggiormente più grave in soggetti
non adeguatamente allenati), ma anche il clima caldo-umido, che determina una perdita profusa di liquidi e di
elettroliti che possono avere importanti effetti sui meccanismi fisiologici di regolazione della contrazione
muscolare, giocano un ruolo notevolmente considerevole. Inoltre anche lo stato del terreno (fango, ghiaccio),
cui non si è abituati, può favorire fenomeni di incoordinazione motoria che predispongono alla lesione
muscolare.
Velocità del movimento
Un fattore predisponente sembra essere in tutti i casi la velocità elevata del movimento ed in particolare la
rapidità di accelerazione, determinata spesso dalla imprevedibilità d'azione (scatti, bruschi cambiamenti di
direzione). Spesso si è osservato che le lesioni muscolari si producono negli atleti ipertrofici, ricchi di fibre
muscolari rapide, e comunque nei muscoli che presentano un'elevata percentuale di fibre rapide. Tali muscoli
sono in genere più superficiali ed hanno la caratteristica di essere bi- o pluri-articolari (bicipite, quadricipite,
tricipite). Inoltre, un muscolo rapido utilizza prevalentemente il metabolismo anaerobico e quindi più facilmente
affaticabile.
CONDIZIONI PREDISPONENTI INDIVIDUALI
Flogosi tissutale
Notevole importanza nella predisposizione alle lesioni muscolari è attribuita anche ai fenomeni flogistici. È
stato infatti osservato che le lesioni muscolari si verificano con una certa frequenza in atleti che tornavano
all'agonismo dopo un'assenza, anche breve, per malattia infettiva batterica, virale (tonsilliti, ascessi dentari,
influenza, o altro), in tali casi si produrrebbero nel muscolo alterazioni metaboliche legate alla diminuzione
dell'ATP o del glicogeno, all'aumento dei radicali liberi, oppure allo scadimento della forma fisica e
conseguente maggiore affaticamento generale e distrettuale.
Squilibri muscolari
Gli squilibri muscolari possono essere a carico: 1) di gruppi muscolari antagonisti; 2) di gruppi muscolari
sinergici; 3) di gruppi muscolari controlaterali omologhi. Tali squilibri possono riguardare: la forza concentrica,
la forza eccentrica, il rapporto tra forza eccentrica e concentrica (nell'ambito di uno stesso gruppo muscolare o
di gruppi muscolari antagonisti). Lo squilibrio muscolare, inoltre, può riguardare le capacità di esprimere forza
massima, oppure la resistenza e quindi l'affaticabilità.
Età
Una delle condizioni che predispongono alle lesioni muscolari da trauma indiretto, è sicuramente l'età. Ad
esempio le lesioni parziali dei muscoli del polpaccio sono assai rare prima dei 35 armi, ma successivamente
diventano abbastanza frequenti negli sport che richiedono cambi improvvisi di direzione (squash, tennis, ecc-).
Tali lesioni sono spesso accompagnate da notevole emorragia intramuscolare. L'età determina modificazioni del
tessuto muscolare, nell'ambito del quale le unità motorie subiscono un riarrangiamento, che consiste nella
reinnervazione delle fibre muscolari nelle quali il processo di invecchiamento ha determinato la denervazione.
Le unità motorie superstiti risultano quindi costituite da un maggior numero di fibre muscolari, con conseguente
maggior difficoltà a graduare l'intensità della forza.
CONDIZIONI DETERMINANTI ED IPOTESI EZIOPATOGENETICHE
Dal punto di vista patogenetico, il trauma contusivo (trauma diretto) determina la lesione di un numero di fibre
direttamente proporzionale all'entità del trauma e nella sola area di applicazione della forza traumatica, come
dimostrato anche sperimentalmente. È noto che il trauma contusivo diretto lede le fibre muscolari più profonde
adiacenti al piano osseo. Infatti, si può ipotizzare che superficialmente la pressione venga trasmessa ai vari strati
muscolari come attraverso compartimenti fluidi, mentre la trasmissione dell'onda pressoria si interrompe
profondamente a livello del piano osseo e lo strato muscolare adiacente viene compresso sulla struttura ossea e
quindi danneggiato. Questo fatto spiega il motivo per cui le contusioni vengono spesso sottostimate, in quanto la
lesione è profonda ed il versamento ematico non appare in superficie. Inoltre il danno tissutale è inversamente
proporzionale al grado di contrazione muscolare al momento dell'impatto perché, in condizioni di rilasciamento
muscolare, è maggiore l'intensità dell'onda pressoria che arriva al piano muscolare profondo ed al piano
scheletrico; il danno tissutale, come detto, è invece comunque direttamente proporzionale all'entità della forza
applicata ed alla vascolarizzazione muscolare, intesa come flusso ematico al momento del trauma; Negli atleti la
sede più frequente di contusione muscolare è la coscia, ed in particolare il quadricipite (vasto esterno). Per
quanto riguarda la patogenesi delle distrazioni muscolari (traumi indiretti), si farà riferimento, a scopo
esemplificativo, alle lesioni dei muscoli ischiocrurali, che sono in assoluto i più frequentemente coinvolti nella
patologia traumatica sportiva, in particolare nell'atletica leggera. Essi sono muscoli biarticolari, infatti si
inseriscono a livello prossimale al bacino e distale alla gamba agendo di conseguenza su anca e ginocchio e
risultando così fondamentali nella corsa. La lesione può, quindi avvenire in due momenti della corsa: nella fase
di decelerazione quando la gamba è in estensione (prima della fase di appoggio); oppure nella fase di spinta
quando gli ischiocrurali diventano da stabilizzatori, coadiuvatori nella estensione del ginocchio. Nella fase di
decelerazione la lesione può conseguire ad un troppo accentuato ed improvviso allungamento passivo degli
ischiocrurali, oppure ad un'eccessiva contrazione degli antagonisti, quando le resistenze da attrito alla
distensione passiva degli agonisti, diventano eccessive. Nella fase di spinta, la lesione può determinarsi
allorquando i muscoli ischiocrurali si contraggono rapidamente da una situazione di completo rilasciamento ed
incontrano la resistenza di attrito determinata dal loro repentino cambiamento di forma e lunghezza.
Medesimi meccanismi si verificano nei calciatori quando eseguono degli scatti, cercano di colpire (calcio a
vuoto) o stoppare il pallone sollevando in maniera abnorme l'arto inferiore a ginocchio esteso (errore tecnicotattico): in questo caso il muscolo più frequentemente interessato è il bicipite femorale, spesso in associazione a
lesioni muscolari del semimembranoso e semitendinoso; questa lesione in particolare viene definita con il
termine di “Hamstrings Sindrome” (lesione muscolare localizzata al compartimento posteriore di coscia).
La grande frequenza di lesioni in questa sede può dipendere, oltre che dai fattori biomeccanici, anche dalla
particolare innervazione degli ischiocrurali: infatti il ramo tibiale del nervo sciatico innerva i muscoli
semitendinoso, semimembranoso ed il capo lungo del bicipite femorale, mentre il capo breve del bicipite è
innervato dal ramo peroneo dello sciatico; questa diversa innervazione rende il capo breve del bicipite un
muscolo completamente separato e ciò è considerato "un fattore coinvolto nell'eziologia della lesione
muscolare" come descritto da De Lee e Drez.
ANATOMIA PATOLOGICA DELLE LESIONI MUSCOLARI
Nel danno muscolare, secondo un criterio anatomo-patologico ed in relazione alla componente tissutale lesa, si
possono considerare tre tipi di danno riguardanti:
1) lesione delle fibrocellule muscolari senza danno della matrice extracellulare, dell'irrorazione ematica e della
innervazione;
2) lesione delle giunzioni neuromuscolari (denervazione), che determinano la degenerazione delle
fibre muscolari, pur lasciando intatta la matrice extracellulare e l'irrorazione ematica;
3) lesione del tessuto muscolare e connettivale (secondo un trauma diretto o indiretto), con distruzione delle
fibre e della matrice extracellulare e perdita di irrorazione ematica ed innervazione.
Quando si verificano lesioni muscolari senza discontinuità, come accade in seguito a traumi di tipo contusivo
che danneggiano il tessuto muscolare, ma non ledono le strutture connettivali di supporto che circondano le
miocellule (guaine endomisiali), si avrà una rigenerazione detta isomorfica cioè con restituito ad integrum del
muscolo leso. La rigenerazione isomorfica avviene attraverso la produzione di nuove fibre muscolari: l)per
mitosi di mioblasti presenti nell'area della lesione e sopravvissuti ad essa; 2)per "l'invasione" nel tessuto
lesionato da parte di propaggini cellulari, provenienti dalle zone periferiche rimaste vitali, che formano nuove
fibre muscolari. Le nuove fibre muscolari si accrescono ad una velocità di circa 1,5 cm al giorno. La
reinnervazione riprende dagli assoni che invadono le zone necrotiche già dalle prime settimane, riformando le
placche motrici- II ruolo dell'innervazione è importante, poiché consente la maturazione della nuova fibra striata
e la sua differenziazione morfologica ed istologica tra fibre rapide e fibre lente. Lo spessore delle fìbrocellule si
completa nell'arco di 3 mesi: il quadro anatomico finale è quello di un muscolo normale. Quanto è stato appena
descritto, si può far corrispondere al caso in cui sia la matrice extracellulare che l'irrorazione ematica rimangono
intatte. Il quadro anatomo-patologico di più frequente riscontro pratico e clinico nelle lesioni da traumatologia
dello sport, è quello in cui il trauma, sia diretto che indiretto, comporta rottura di singole miofibre e/o
l'interruzione e la separazione di un numero variabile di fibre muscolari (fascicoli), e la rottura del tessuto
connettivale di sostegno. Di conseguenza vengono ad essere interessati i vasi ematici, in primo luogo i capillari,
quindi i vasi venosi e, in caso di trauma di maggiore entità, le arteriole. II versamento ematico, che
inevitabilmente si diffonde nel tessuto muscolare, può essere cospicuo e proporzionale all'entità della lesione
tissutale (e quindi vascolare) ed al flusso ematico. La lesione da trauma distrattivo può avvenire in qualsiasi
punto del ventre muscolare, ma, come si è constatato sperimentalmente, la sede maggiormente coinvolta è la
giunzione mio-tendinea. In realtà la lesione si produce nel muscolo in prossimità della giunzione muscolotendinea, raramente sembra essere localizzata proprio nella giunzione. La minor resistenza di questa zona
sarebbe imputabile ad una variazione delle proprietà elastiche nei punti in cui le fibre tendinee si frammettono
agli elementi. miofibrillari. La variazione delle caratteristiche fisiche del tessuto crea un “locus minoris
resistentiae” tra il tessuto muscolare ed il tendine, che di per sé è più solido ed in estensibile. In questa zona, la
struttura del tessuto di transizione non sarebbe sufficientemente elastica, ne abbastanza compatta da resistere ad
un'abnorme sollecitazione. II trauma contusivo, invece, pur potendo colpire una parte qualsiasi del muscolo,
interessa prevalentemente il ventre muscolare, che risulta più sporgente e, quindi, maggiormente esposto a
traumi di origine estema. Nelle lesioni muscolari con discontinuità, per via dell'interruzione delle fibre i
monconi muscolari si retraggono e, nel punto della lesione, si forma uno spazio che viene occupato da un
ematoma. Dai margini dei monconi retratti le fibrocellule muscolari rigenerate non troveranno le strutture
endomisiali integre. Di conseguenza, la rigenerazione avverrà in modo disordinato ed andrà ad occupare gli
spazi connettivali formatisi ad opera dei fìbroblasti. Si costituirà, quindi, una zona fibrosa di transizione, che
collega le estremità muscolari interrotte. Tale quadro rappresenta la rigenerazione anisomorfica che darà origine
poi ad una cicatrice fibrosa permanente.
Il versamento può rimanere nel ventre muscolare se l'epimisio è intatto (ematoma intramuscolare), diffondersi
invece al di fuori di esso in caso di lesione dell'epimisio (ematoma intermuscolare), o essere misto. L'ematoma è
definito come una raccolta patologica di sangue, generalmente di natura traumatica, al di fuori del letto
vascolare: Nel campo della patologia muscolare le dimensioni possono essere molto variabili e sono influenzate
da diversi fattori: entità e tipo di trauma, sede, quantità e qualità dei tessuti interessati, resistenza offerta dai
tessuti (che determina la possibilità di espansione del versamento), quantità di irrorazione ematica del muscolo
in quel momento (dipendente dall'entità dell'esercizio fisico e dalla vascolarizzazione della regione), capacità
coagulative del paziente, possibilità di interessamento di grossi vasi, soprattutto venosi, terapia instaurata e
rapidità di attuazione della stessa. L'ematoma intramuscolare, rimanendo localizzato all'interno del muscolo
(non si superficializza e viene di solito assorbito più lentamente), comporta un incremento della pressione in
loco, che limita un ulteriore stravaso ematico, ma può diastasare i monconi muscolari, ritardando ed ostacolando
il processo rigenerativo. Inoltre, sia l'ematoma che l'edema interstiziale che compare nelle regioni periferiche del
versamento ematico, determinando un incremento della pressione intratissutale, provocano un'ischemia locale
con possibilità di necrosi mioneurale, quale si riscontra nella sindrome compartimentale. Negli ematomi
intermuscolari ed in quelli misti, il versamento ematico si diffonde in senso distale per gravita, anche nel tessuto
sottocutaneo, affiorando in superfici in una o più sedi distanti dalla lesione. Ciò comporta una riduzione della
pressione nella sede della lesione, con possibilità di un prolungato sangumamento.
Conseguenza immediata della lesione vascolare e del versamento ematico risulta essere quindi uno stato
d'ischemia del tessuto muscolare privato della propria irrorazione.
L'ematoma misto è una conseguenza più grave poiché si sviluppa sia all'interno de! muscolo che al suo esterno.
L'ematoma ha diverse possibilità evolutive, a loro volta dipendenti da numerose variabili. L'evoluzione ottimale
più favorevole consiste nel completo riassorbimento dell'ematoma, nella ristrutturazione del tessuto muscolare
danneggiato, e quindi nel completo recupero funzionale che si esprime nella capacità dell'atleta di produrre un
lavoro muscolare equivalente a quello sviluppato prima dell'evento traumatico. Ecco quindi l'importanza di una
terapia adeguata in grado di favorire le fasi di guarigione in maniera tale che si discostino il meno possibile da
questo modello ideale.
Oltre alla formazione dell'ematoma, molti autori descrivono già in una prima fase una precoce reazione
infiammatoria, come dimostrato anche sperimentalmente su animali, sia con traumi contusivi che distrattivi.
L'intensità della reazione infiammatoria risulta essere correlata al tipo di trattamento sperimentale utilizzato per
indurre la lesione; essa è più marcata nei muscoli mobilizzati precocemente dopo il trauma e si risolve più
rapidamente con formazione di una maggiore quantità di tessuto cicatriziale rispetto ai muscoli immobilizzati.
La flogosi post-traumatica appare inoltre più intensa negli animali da esperimento in giovane età. Essa presenta i
caratteri della flogosi siero-fibrinosa ed è contraddistinta da vasodilatazione marcata ed iperemia della rete
vasale circostante la lesione con passaggio di plasma e di leucociti, per diapedesi, nel tessuto ischemico. In una
fase immediatamente successiva alla reazione infiammatoria, si verifica da un lato la moltiplicazione di elementi
fibroblastici e di cellule infiammatorie quali macrofagi e cellule plurinucleate, dall'altro la lisi delle fibre.
È da rilevare che la comparsa dei macrofagi e di cellule plurinucleate risulta tanto più precoce quanto meno
compromessa dal trauma è la rete vascolare. In animali da esperimento questa seconda fase può iniziare a partire
da 48 ore dopo la lesione.
Il processo rigenerativo segue una direzione centripeta, parallelamente all'avanzare delle neogittate vascolari, e
si accompagna anche ad una più o meno intensa attività fibroblastica, alla reinnervazione del neotessuto con il
ristabilirsi delle giunzioni neuromuscolari ed a modifiche qualitative e quantitative dei glicosamminoglicani
della matrice extracellulare.
Le variabili interdipendenti che giocano un ruolo importante nelle fasi riparative sono:
l'entità del danno muscolare ed entità e sede del versamento;
il tipo specifico di lesione anatomo-patologica;
la precocità e completezza della rivascolarizzazione;
il trattamento;
l'età del soggetto.
Fra le conseguenze negative di una sfavorevole evoluzione consideriamo:
la formazione di falde liquido (complicanza precoce);
la fibrosi cicatriziale;
la cisti siero-ematica;
la miosite ossificante
le calcificazioni.
DIAGNOSI
Momento fondamentale è la diagnosi di tali lesioni muscolari che, come detto, se giudicate di "minore entità",
possono decorrere misconosciute sino alla comparsa di un evento maggiormente lesivo, Ecco dunque la
necessità di una valutazione clinica e funzionale prima e dopo gli allenamenti.
ESAME CLINICO
L'esame clinico non può prescindere innanzitutto dalla raccolta dei dati anamnestici che permettono
già di indirizzare verso un meccanismo traumatico di tipo intrinseco o estrinseco. Successivamente
la presenza o meno di dolore, segni cutanei ed altri, rilevati con la visita, potranno ulteriormente
condurre verso un tipo specifico di lesione.
1) Contusione
I segni clinici sono legati alla sede di impatto, all'entità del trauma, ma oltre al dato anamnestico bisogna
ricercare la presenza di segni cutanei quali escoriazioni, ecchimosi, ecc. All’esame clinico si può evidenziare
una tumefazione nella sede di lesione, dovuta all'edema interstiziale ed allo stravaso emorragico oppure, quando
lo stravaso è di notevole entità, un ematoma può raccogliersi in sede sottofasciale o sottocutanea, producendo
una sacca fluttuante ed alterando il normale aspetto della zona sede della lesione. Se l'ematoma è profondo, la
tumefazione ha consistenza duro-elastica. Nei casi lievi, il corpo muscolare risulta edematoso ma integro, ed il
dolore può insorgere dopo un periodo di latenza, permettendo il proseguimento dell'attività. Nei traumi più gravi
il ventre muscolare può lacerarsi con retrazione dei capi di lesione, e formazione di uno spazio libero che viene
occupato dall'ematoma. In tal caso, il dolore è immediato, spontaneo, presente anche a riposo, aggravato dalla
palpazione locale e dalla contrazione attiva, la quale può esacerbarlo al punto da rendere impossibile la
percezione del sottostante solco. Nei giorni successivi si possono notare sulla cute le colorazioni ecchimotiche
sia in sede di lesione, sia a distanza, per spostamento e superficializzazione dell'ematoma lungo i piani di
clivaggio.
Ricordiamo che l'ematoma, che appare scuro nei primi giorni, tende ad acquistare un colore più chiaro, verde e
quindi giallo,nei giorni successivi per trasformazione dell'emoglobina in biliverdina quindi in bilirubina.
Scansione longitudinale del muscolo grande adduttore. Lesione di 3° tipo (contusione), I grado, in giovane
calciatore di 20 anni in seguito a traumatismo diretto (scontro).
Il ventre muscolare appare diffusamente ipoecogeno per l’edema e la soffusione emorragica, senza evidenza
di interruzione della tipica struttura fibrillare iperecogena.
Scansione longitudinale del muscolo retto femorale. Lesione di 3° tipo (contusione), III grado, in calciatore professionista
di 23 anni.
Completa interruzione del pattern fibrillare con formazione di un’ampia area anecogena (ematoma) a margini
lobulati, nel contesto del ventre muscolare lesionato, che appare di dimensioni aumentate e ad ecostruttura diffusamente
ipoecogena per la concomitante presenza di edema e aree di soffusione emorragica. Non si associa rottura della guaina.
2) Contrattura
In caso di contrattura, il dato anamnestico fondamentale è rappresentato dal fatto che l'atleta lamenta dolore,
anche di grado elevato, che coinvolge tutto il muscolo. La sintomatologia algica compare tardivamente, alcune
ore o, addirittura, il giorno dopo la cessazione dell'attività fisica. La sintomatologia dolorosa viene riferita
all'interno del ventre muscolare. All'esame obiettivo, il muscolo risulta diffusamente dolente alla palpazione; il
dolore non presenta un'elettiva localizzazione, risulta del tutto assente a riposo e compare, con elevata intensità,
durante la contrazione muscolare contro resistenza. Il soggetto può presentare un'importante impotenza
funzionale, cui di solito si associa un aumento di volume del muscolo, con frequente ipertono muscolare. Alla
palpazione il muscolo non presenta tumefazioni, né ecchimosi immediate o tardive. Nella contrattura, il danno si
realizza soltanto a livello ultrastrutturale, senza apprezzabili lacerazioni delle fibre.
Inoltre, il muscolo appare francamente ipoestensibile. La sintomatologia dolorosa regredisce in alcuni giorni, la
prognosi è assolutamente favorevole, sebbene una ripresa troppo precoce dell'attività può predisporre a lesioni
muscolari anche gravi.
Scansione longitudinale del muscolo bicipite femorale. Lesione di 2° tipo, III grado in giovane calciatore di 20 anni.
Rottura completa del muscolo con presenza di un’ampia area anecogena (ematoma) a carico del capo breve, a
margini sfumati, con rinforzo di parete posteriore. La guaina muscolare appare conservata. L’ecografia in fase di
contrazione determina retrazione del moncone prossimale con comparsa di salienza nella sede della rottura riconoscibile
anche all’esame obiettivo.
3) Stiramento
Nel caso di stiramento muscolare, viene riferita la comparsa di dolore acuto durante l'esecuzione di un
movimento compiuto velocemente. Spesso l'intensità del dolore inizialmente non è tale da determinare
un'impotenza funzionale completa ed immediata. Tuttavia, continuando l'attività, la sensazione di fastidio
muscolare, di impaccio, di disagio aumenta sino a costringere il soggetto ad interrompere la prestazione fisica. Il
fascio muscolare interessato dalla lesione è ben identificabile ed appare come una zona palpatoriamente
ipertonica e dolente. Il dolore, presente anche a riposo, viene esacerbato da ogni tentativo di contrazione o
allungamento del muscolo interessato. L'impotenza funzionale antalgica presenta una durata variabile, e
solitamente si ha il ritorno ad una normale funzionalità entro 3-4 giorni. La ripresa dell'attività sportiva deve
però essere graduale, completandosi non prima di 10-15 giorni.
4) Strappo
Lo strappo muscolare provoca un dolore istantaneo, improvviso, violento e ben individuabile dal soggetto, con
immediata impotenza funzionale. Spesso, nei casi più gravi, lo strappo è accompagnato da un rumore di
schiocco udibile anche a breve distanza, percepito come la lacerazione di una corda o di un elastico. L'esame
clinico è raramente in grado di stabilire la reale entità della lesione. Nei casi di minor gravità (strappo muscolare
di primo grado), se la fascia superficiale resta integra, lo stravaso ematico è situato all'interno del muscolo e
l'ecchimosi può non essere visibile. In tal modo, una lesione di entità minima o localizzata in profondità, può
essere di difficile individuazione. D'altra parte, nelle lesioni più ampie e superficiali, la diagnosi clinica è
agevolata dal rilievo di un'evidente discontinuità palpatoria. In caso di rottura dell'epimisio, lo stravaso ematico
diviene intermuscolare e l'ecchimosi può comparire più o meno tardivamente nelle zone declivi. Nei casi di
maggior gravità (strappo muscolare di terzo grado) si producono una tumefazione ed un solco palpabile,
colmato da una raccolta fluttuante, che successivamente, per parziale coagulazione, darà luogo ad un reperto
palpatorio di crepitio. In questi casi. Io stravaso è sempre cospicuo e l'ecchimosi compare precocemente nella
sede stessa della lesione, per poi diffondersi alle sedi declivi, con perdita del tono del muscolo interessato.
Occorre ricordare che la lesione parziale o totale del muscolo può interessare il ventre o l'inserzione
miotendinea con coinvolgimento dell'aponeurosi. Il dolore spontaneo tende comunque a regredire entro i primi
4-5 giorni, ma può persistere sino anche alla dodicesima giornata ed oltre, specie se evocato dalla contrazione
volontaria e dallo stiramento del muscolo.
Scansione longitudinale del muscolo retto addominale. Lesione 2° tipo (strappo), I grado, in giovane
atleta di 22 anni con pregressa rottura dello stesso muscolo.
Nella sede della nuova lesione si evidenziano aloni ipoecogeni di ampiezza variabile e lieve disorganizzazione
strutturale, secondari all’edema ed alla soffusione emorragica. L’area iperecogena adiacente,
a margini irregolari, è da riferire ad esiti fibrotici della pregressa lesione.
Scansione longitudinale del muscolo bicipite femorale. Lesione muscolare di 2° tipo (strappo), II grado,
in calciatore professionista di 21 anni.
Il capo lungo del muscolo bicipite femorale appare di dimensioni aumentate, ad ecostruttura maggiormente
ipoecogena, con parziale interruzione della trama fibrillare iperecogena e presenza di alcune
aree ipo-anecogene da riferire a piccoli ematomi intramuscolari a livello della rottura parziale. La guaina
muscolare appare integra.
ESAME STRUMENTALE
L'iter diagnostico iniziato con l'anamnesi e l'esame clinico, prosegue con l'esecuzione di alcune indagini
strumentali scelte a seconda delle caratteristiche e dell'evoluzione nel tempo della lesione. Tra le varie indagini
l'ecografia costituisce certamente l'esame strumentale più accreditato ed utilizzato. Ha il vantaggio di essere una
tecnica valida per la sua rapidità nell'esecuzione, per la sua accuratezza nella risoluzione spaziale, per la
possibilità di confronto tra il dato clinico e l'immagine, È inoltre frequentemente accettata tra i pazienti sia per la
facilità e la comodità esecutive che per l'assenza di effetti collaterali (può essere utilizzata nei bambini e nelle
gravide). Risulta ormai ampiamente utilizzata per i bassi costi di esercizio rispetto ad altre metodiche di
indagine strumentale, consente infatti di monitorare la lesione nel tempo e di definire un adeguato programma
terapeutico; viene utilizzata poi come guida per procedure terapeutiche quali il drenaggio di un ematoma, un
prelievo bioptico o un'infiltrazione medicamentosa. Tra i suoi limiti ricordiamo la difficoltà nel definire le
strutture intra-articolari (ad es. i menischi), ma soprattutto la sua stretta dipendenza dall'operatore. L'indagine
Ecografica si basa sull'emissione di un fascio di ultrasuoni che esplora una sezione anatomica secondo una
frequenza caratteristica della sonda impiegata (per lo studio dei muscoli si utilizzano trasduttori di tipo lineare
con frequenze variabili dai 5 ai 7,5 Mhz) e consente di ottenere un'immagine registrando la riflessione
dell'energia acustica sulle interfacce che separano mezzi di diversa impedenza acustica. L'immagine ottenuta si
basa sulle proprietà dei diversi tessuti di riflettere il fascio ultrasonoro e di produrre echi la cui ampiezza è in
funzione della variazione di impedenza acustica. Sul monitor ciascun punto della scansione apparirà tanto più
brillante quanto più alta è l'energia retrodiffusa della struttura corrispondente. Per questo la debole energia
acustica che attraversa le strutture ossee o calcifiche viene totalmente assorbita determinando immagini tipo
strie brillanti (iperecogene) corrispondenti al profilo estremo della struttura. Viceversa formazioni liquide
vengono totalmente attraversate senza assorbimento e l'immagine che ne deriva sarà priva di echi (anecogena) e
cioè apparirà nera sul monitor. Tra queste due immagini esiste una vasta gamma di intensità di brillanza, tale da
consentire una rappresentazione piuttosto fedele delle caratteristiche istologiche del tessuto. Le principali
scansioni con cui si esplora il muscolo interessato sono sul piano assiale e su quello longitudinale, ma
fondamentale per una corretta visualizzazione delle strutture fibrillari e connettivali è mantenere la sonda
perpendicolare al piano muscolare in esame, al fine di non creare artefatti (aree di iper- o ipoecogenicità). Si
possono inoltre valutare questi tessuti sia in una fase statica che durante una prova dinamica (contrazioni attive
o passive), per meglio evidenziare o confermare la lesione. L' applicazione della metodica Ecocolordoppler
fornisce la possibilità di uno studio flussimetrico ed emodinamico delle strutture vascolari. In relazione a quanto
detto, l'ecografia trova ottima applicazione nella patologia traumatica muscolare, quale momento successivo
all'esame clinico, Essa, soprattutto in caso di traumi di minore entità che non determinano un evidente
sovvertimento strutturale, costituisce la guida per interpretare anche minime modificazioni del quadro
ecotomografico normale. Il muscolo appare delimitato da una stria iperecogena (epimisio); perimisio ed
endomisio sono evidenziabili anch'essi come linee iperecogene che si approfondano verso il piano osseo,
suddividendo il muscolo in fasci di vario ordine o in logge che possono contenere muscoli diversi, generalmente
più voluminosi i superficiali e più sottili quelli profondi. Nelle scansioni sui piani sagittali è perfettamente
riproducibile la tipica disposizione anatomica delle fibre muscolari, come muscoli pennati o semipennati, che è
costituita da una serie di linee iperecogene parallele, che mantengono il loro ordine sia in fase statica che
durante la prova dinamica. Nelle scansioni assiali, l'aspetto ecografico del muscolo appare granuloso e
puntiforme su di un fondo ipoecogeno. Talvolta si può apprezzare una sottile linea ipoecogena fra le guaine
connettivali iperecogene di due masse muscolari voluminose e contigue, che rappresenta il piano di clivaggio su
cui scorrono i muscoli durante le loro fasi di contrazione e di rilassamento. II margine osseo è dimostrabile
quale regolare linea di iperecogenicità. Un altro importante aspetto da tenere in considerazione nella valutazione
ecografica della patologia traumatica muscolare, è la variabilità dell'immagine che si ottiene in rapporto alla
distanza temporale dal trauma. Spesso nelle fasi precoci (24-48 ore dal trauma) e specialmente nei traumi di
minore entità, l'esame può risultare negativo, e solo attraverso un controllo successivo si potranno identificare le
lesioni che si manifestano tardivamente e che presentano imbibizione edematosa o piccolo versamento ematico,
come nella semplice contusione senza lesioni anatomiche (lesione di I grado); la contusione media o grave
(lesione di II o III grado) può mostrare, all'ecografia, un aspetto eterogeneo: ipoecogeno diffuso con
tumefazione delle fibre muscolari e aponeurosi sollevata per l'edema miofibrillare, un aspetto emorragico
diffuso o un ematoma franco. Nel caso della contrattura muscolare, dove non sono presenti soluzioni di
continuità delle fibre o alterazioni morfologiche importanti, l'unico reperto incostante rilevabile con l'ecografia è
costituito da un lieve allargamento delle fibre che rendono omogeneamente più brillante (iperecogeno) l'intero
ventre muscolare. Nel caso in cui, seppur senza rottura di fibre, e quindi senza sensibili alterazioni
dell'ecostruttura muscolare, si sia prodotto uno stiramento muscolare, il tratto di muscolo interessato è ben
localizzabile dal paziente e ben identificabile all'obiettività clinica. Tale zona viene spesso individuata
all'esplorazione ecografica come una piccola area iperecogena, ben delimitata, espressione di imbibizione
edematosa e di sofferenza muscolare. Altre volte, specialmente quando l'indagine viene eseguita tardivamente,
questa area può presentarsi ipoecogena rispetto al tessuto circostante, ed è possibile dimostrare una discontinuità
delle fibre muscolari in quel punto, con la presenza di microemorragie. Nel caso di strappo muscolare,
l'identificazione della lesione con l'ecografia risulta molto più agevole. Nello strappo di I grado l'ecografia, in
fase iniziale, mostra per lo più aspetti simili a quelli dello stiramento, che si traducono in un'iperecogenicità
localizzata, che però sottende ad un'irregolarità delle eco, dovuta al versamento e al sovvertimento strutturale
del muscolo nel punto di lesione. In fase successiva (3°-4° giornata) il reperto incostante della presenza di aree
ipo-o anecogene più o meno piccole all'interno del focolaio di lesione o in posizione più declive, depone per la
presenza di uno stravaso emorragico. Ciò contribuisce a rendere l'immagine disomogenea ed a far perdere il
tipico aspetto "pettinato" del muscolo normale. Nel caso di strappo di II grado, il sovvertimento strutturale
ipoecogeno appare più evidente, coinvolgendo un numero maggiore di fibrocellule muscolari rispetto alla
lesione di I grado. Si associano raccolte ematiche con rinforzo di parete posteriore circondate da edema
interstiziale delle fibre, interrotte o scompaginate.Il versamento emorragico intra- o inter-muscotare può
raccogliersi a "falda" tra due ventri muscolari e assumere dimensioni notevoli. Come già detto, nel caso delle
lesioni da strappo di II grado la diagnosi fondamentale dell'entità della lesione, ovvero del numero di fibre
coinvolte, viene data dallo studio ecografico, che, dopo un esame clinico non perfettamente dirimente ai fini di
un corretto trattamento riabilitativo, permette di porre un adeguato inquadramento clinico, terapeutico e
prognostico. Lo strappo di III grado, per la sua stessa vastità e per l'abbondanza dell'ematoma, non pone di
solito dubbi diagnostici: si apprezza a monte e a valle la retrazione dei due monconi muscolari che appaiono più
ecogeni per affastellamento di fibre le une sulle altre, nel tratto intermedio vi è una vasta zona ipo- o anecogena
per la presenza dell'ematoma. E tipica l'immagine a "batacchio di campana" che si viene a formare nel muscolo
in contrazione (le fibre retratte contrastano perfettamente con l'ematoma sottostante). L'ecografia consente anche
di seguire l'evoluzione immediata e a distanza delle lesioni, mediante immagini successive. Si è detto che nelle
prime ore dal trauma il quadro ecografico può essere negativo o caratterizzato da un'iperecogenicità localizzata.
In questa fase risulta difficile quantificare la lesione e determinare la presenza o meno di stravasi emorragici. A
circa 48-72 ore di distanza dal trauma, la raccolta ematica si rivela come un' area anecogena contenente, talora,
eco irregolari dovuti alla presenza di piccoli frammenti di tessuto muscolare o di coaguli. In questa fase risulta
più agevole la definizione delle strutture interessate e la quantificazione del danno muscolare. Successivamente,
mano a mano che si instaurano i fenomeni riparativi, si ha una progressiva riduzione dell'area anecogena ed una
demarcazione dei limiti della raccolta, che progressivamente diminuisce di volume, regredendo gradualmente
come avviene di solito nei casi ad evoluzione favorevole. La comparsa di connettivo neoformato e l'evoluzione
verso una cicatrice fibrosa si evidenziano già tra la 15° e la 30° giornata dalla lesione, sotto forma di un'area
iperecogena che costituisce un reperto ormai stabilizzato nel tempo. In alcuni casi l'iter diagnostico si avvale di
altre metodiche d'indagine, oltre all'ecografia, per meglio definire le caratteristiche e la localizzazione della
lesione, ma anche per escludere la presenza di patologie associate o di ulteriori complicanze (radiografia
tradizionale, T.A.C,, R.M.N.). La Risonanza Magnetica Nucleare, nonostante i costi assai elevati, risulta
particolarmente indicata per il rilevamento di eventuali focolai emorragici in fase acuta, per lo studio di muscoli
profondi e difficilmente accessibili mediante l'ecografia, quali l'ileopsoas o i muscoli più profondi della loggia
posteriore della gamba, oppure per una migliore definizione anatomica in caso di strutture a carattere espansivo.
Per contro, si ritiene che l'ecografia resti l'indagine d'elezione per la localizzazione di aree di fibrosi cicatriziale
post-traumatiche ed il loro conseguente monitoraggio, a costi sempre contenuti.
TRATTAMENTO DELLE LESIONI MUSOLARI
Il trattamento delle lesioni muscolari è volto al recupero della forza e dell’estensibilità del muscolo: essa è molto
importante per la riparazione e per la prevenzione di una recidiva, in quanto un muscolo corto e rigido è più
suscettibile agli strappi.
Giorni 1-5 dopo la lesione
Per i primi 3-5 giorni dopo la lesione, l’obiettivo del trattamento è il controllo dell’emorragia, della tumefazione
e del dolore. In questa fase viene utilizzato il programma “RICE” (riposo, ghiaccio [ice], compressione,
elevazione).
Qualsiasi arco di movimento (ROM) viene aumentato con cautela e gli esercizi per la forza vengono proposti
con gradualità fino al ritorno all’attività. Possono essere necessari da molti giorni a settimane, a seconda della
gravità della lesione, del livello di competizione e delle attività previste
per l’atleta. I due processi contrastanti che il medico deve gestire sono la rigenerazione muscolare e la
produzione di tessuto connettivale.
L’obiettivo è di massimizzare la rigenerazione muscolare e ridurre al minimo la formazione di tessuto
connettivale denso e rigido.
• Riposo
E’ stato dimostrato che un periodo relativamente breve di immobilizzazione è utile per limitare la formazione di
tessuto connettivale cicatriziale nel sito della lesione. La durata ideale dell’immobilizzazione non è chiara, ma la
letteratura in genere raccomanda meno di 1 settimana.
Le mobilizzazioni controllate (guidate dal sintomo dolore) hanno inizio dopo 1-5 giorni di immobilizzazione:in
tal modo si favoriscono una migliore rigenerazione e un miglior allineamento delle fibre muscolari lese.
In laboratorio si è visto che il muscolo colpito torna a essere in grado di assorbire le forze abituali dopo 7 giorni:
prima è più suscettibile alle recidive. Nella fase acuta nei pazienti con una lesione di II e III grado va consigliato
il riposo a letto, ma l’immobilizzazione completa è sconsigliata.
La mobilizzazione precoce è importante,ma deve essere progressiva e controllata.
• Ghiaccio [ice].
Il ghiaccio deve essere applicato immediatamente per diminuire l’infiammazione e l’edema.
L’effetto fisiologico del ghiaccio è utile per il processo di guarigione e permette un più precoce ritorno
all’attività. Il ghiaccio deve essere applicato sui muscoli avvolto in una borsa di plastica e posto direttamente
sulla parte muscolare lesa con un bendaggio. Di solito, lo si mantiene in posizione per 20-30 minuti e lo si
riapplica 2-4 volte al giorno o ogni 2 ore per le prime 48-72 ore.
• Compressione.
Viene applicata una lieve compressione con un bendaggio applicato alla coscia. Non esistono studi che
confermino l’efficacia del bendaggio isolato nel trattamento delle lesioni muscolari.
• Elevazione.
Per ridurre l’edema e favorire il ritorno dei fluidi verso il cuore, il soggetto deve tenere l’arto sollevato al di
sopra del cuore, 2-3 volte al giorno appena è possibile.
• Farmaci antinfiammatori.
L’unica controversia sull’uso di questi farmaci riguarda i tempi di somministrazione.
Alcuni autori raccomandano di usare di questi farmaci fin dall’inizio e di sospenderli dopo 3-5 giorni. Altre
ricerche indicano che l’uso di antinfiammatori interferisce con la chemiotassi cellulare necessaria per la
formazione di nuove cellule muscolari, per cui vi potrebbe essere un’inibizione della risposta rigenerativa.
Questi studi suggeriscono di posticipare la somministrazione
di antinfiammatori al 2° o 4° giorno dopo l’infortunio. Riteniamo più opportuno usare i farmaci antinfiammatori
a partire dal 3° giorno e sospendendoli al 6° dopo l’infortunio.
Trattamento generale e obiettivi della riabilitazione
Il trattamento è volto al recupero della forza e dell’estensibilità delle unità muscolari.
Anche nel primo periodo dopo la lesione l’attenzione è rivolta a iniziare una leggera attività muscolare per
prevenire l’atrofia e promuovere la guarigione.
Poiché la mobilità inizialmente è inficiata dal dolore, all’inizio è meglio usare esercizi isometrici, usando
contrazioni isometriche submassimali (ad es., 2-3 serie di 5 ripetizioni, 5 secondi di contrazione, con 15-20° di
incremento).
Bisogna prestare attenzione a limitare la tensione muscolare per evitare il rischio di recidive.
Con il miglioramento della mobilità e del dolore, gli esercizi isometrici vengono sostituiti con esercizi isotonici
con pesi leggeri, incrementabili di 0,5 kg al giorno.
Questo programma prevede l’uso di contrazioni concentriche senza dolore. L’attività eccentrica deve essere
evitata per prevenire un eccesso di tensione nell’unità muscolare.
Quando il paziente non manifesta più dolore durante il programma di rinforzo da posizione prona, si dà inizio a
esercizi isocinetici ad alta velocità e bassa resistenza. Vengono usate macchine che richiedono solo contrazioni
concentriche. Gli esercizi isocinetici vengono incrementati secondo tolleranza fino a includere esercizi a più alta
resistenza e più bassa velocità.
Per il condizionamento aerobico vengono utilizzati gli esercizi per gli arti inferiori e per la parte superiore del
corpo.
Quando il paziente cammina normalmente con minimo dolore e una buona forza muscolare, si applica un
programma di cammino su percorsi con una progressione da cammino a jogging.
Per ottenere informazioni sulla forza, sulla simmetria della forza e sul grado di deficit residuo nella forza degli
ischiocrurali vengono usati i test isocinetici. La decisione finale è basata sui parametri clinici e sul progresso
dell’atleta nelle attività funzionali.
Stretching dopo la lesione
Lo stretching per evitare la perdita di estensibilità è una parte importante del trattamento della lesione. Uno
stretching attivo cauto viene utilizzato inizialmente per arrivare poi a uno stretching passivo statico fino a dove
concesso dal dolore. Worrell (1994) ha enfatizzato l’utilità dello stretching e minimizzato il vantaggio offerto
dalle tecniche propriocettive di neurofacilitazione muscolare (PNF) rispetto allo stretching statico;altri operatori
preferiscono invece le tecniche di PNF per guadagnare e mantenere l’estensibilità.
TERAPIA FISICA
Il trattamento dovrà quindi essere integrato con trattamenti fisici per la prevenzione delle aderenze,per
minimizzare i tempi di guarigione anatomica e per favorire il recupero funzionale.
IONOFORESI – svolge un ruolo molto importante per la somministrazione di farmaci antinfiammatori,
analgesici, isoorientanti e fibrinolitica (5-15 mA per 15-30 minuti)
ULTRASUONOTERAPIA – che facilita la rimozione dei cataboliti ( 5-3 Watt/Cm2 per 10-15 minuti)
MAGNETOTERAPIA – migliora la vascolarizzazione
IDROMASSAGGIO E MASSOTERAPIA – dapprima lontano dal focolaio e comunque non prima di 15 giorni
dall’evento acuto,successivamente anche sul focolaio cicatriziale,per favorire un migliore rimodellamento del
tessuto durante la riparazione.
DR. ANTONINO ROSSITTO, DR. VALERIO GARGANO, DR. SALVATORE ABELA, DR. FABIO ZAPPALÀ,
D.SSA GIORGIA COSTANZO.
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