UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE MORFOLOGICHE, EIDOLOGICHE E CLINICHE SEZIONE DI RADIOLOGIA Presidente: Chiar.mo Prof. F. CALLIADA PRODUZIONE DI RADIOISOTOPI MEDIANTE CICLOTRONE Relatore: Dr. Paolo Montagna Dip. di Fisica Nucleare e Teorica CORSO DI LAUREA IN TECNICHE DI RADIOLOGIA MEDICA PER IMMAGINI E RADIOTERAPIA Tesi di laurea di Luca Depaoli Matricola n. 330196/51 Anno Accademico 2006/07 -1- Introduzione L’utilizzo dei radioisotopi in Medicina Nucleare, sia per le tecniche diagnostiche – in particolare la PET – sia per la radioterapia, sta assumendo negli anni sempre maggiore importanza. Sono molti gli isotopi radioattivi utilizzati, e molte le loro applicazioni, così come sono ormai ben noti i principi fisici e biologici che regolano il loro utilizzo medico. In questo ambito estremamente vasto, in questa tesi presentiamo uno degli aspetti attualmente più rilevanti: la produzione di radioisotopi mediante ciclotroni. E’ questa una tecnica oggi estremamente diffusa, che si tende a portare sempre più vicino ai centri ospedalieri dove gli isotopi vengono utilizzati, in quanto spesso essi hanno tempi di emivita estremamente bassi, dell’ordine di ore o minuti, e quindi diventa fondamentale disporre quotidianamente di tali preparati minimizzando costi e tempi di produzione. A Pavia è stato recentemente inaugurato, nel luglio 2007, un ciclotrone da 18 MeV, installato presso il LENA (Laboratorio di Energia Nucleare Applicata) dell’Università di Pavia, che prevede di assicurare appunto la produzione giornaliera di radioisotopi, inizialmente Fluoro-18 e Azoto-13, poi anche altri, per gli utilizzi medici delle strutture ospedaliere pavesi. In questa tesi, dopo una sintetica esposizione delle proprietà fisiche dei radioisotopi e dei loro decadimenti radioattivi (cap.1), vengono presentati i principali tipi di radiofarmaci e il loro utilizzo medico, sia nelle metodologie diagnostiche, sia nelle principali indicazioni cliniche (cap.2), ponendo particolare attenzione al Fluoro-18, normalmente utilizzato sotto forma di FDG (fluoro-desossiglucosio) nelle consuete indagini tomoscintigrafiche. Vengono poi descritti (cap.3) i principi di funzionamento dei ciclotroni, macchine acceleratrici che fin dagli anni ’30 hanno permesso di disporre su vasta scala di fasci di particelle con cui attivare le necessarie reazioni nucleari, e infine (cap.4) viene descritto il nuovo ciclotrone di Pavia, con le specifiche tecniche e le metodologie di utilizzo che lo renderanno tra breve estremamente utile agli scopi prefissati. -2- 1. I radionuclidi Prima di addentrarci nelle problematiche relative alla produzione di radionuclidi, richiamiamo brevemente – limitandoci ad alcuni aspetti importanti ai nostri scopi - alcune nozioni, note dai corsi di Fisica e Radioattività, sui radioisotopi, i loro decadimenti, il loro impiego in Medicina nucleare. Per maggiori dettagli su questi argomenti, qui solo sinteticamente accennati, si veda ad es. [Aga88] 1.1 Nuclei stabili e instabili Gli atomi, come è noto, sono costituiti da un nucleo centrale, a sua volta composto di protoni e neutroni, e da elettroni orbitanti attorno al nucleo. Il nucleo atomico è identificato dal numero atomico Z (numero dei protoni) e dal numero di massa A (numero totale di nucleoni: protoni più neutroni). Ogni nucleo possiede una carica positiva uguale al numero dei protoni che lo costituiscono; tante cariche positive confinate in uno spazio così ristretto (le dimensioni nucleari sono dell’ordine di 10-13 - 10-12 cm) risentono di una forte repulsione elettrostatica, che viene bilanciata solo tramite l’interazione nucleare forte fra protoni e neutroni: più è elevato il numero atomico Z, più aumenta il rapporto neutroni/protoni necessario per il bilanciamento energetico. I vari elementi presentano diversi isotopi, cioè nuclei con uguale numero di protoni ma diverso numero di neutroni; molti di questi isotopi sono instabili, possiedono cioè un numero di neutroni o troppo elevato o troppo basso rispetto a quello necessario per raggiungere il minimo energetico che caratterizza i nuclei della fascia di stabilità. Tutti i nuclidi con numero atomico superiore a 83 sono instabili. Nella figura qui accanto viene rappresentata la cosiddetta “valle dei nuclei”: sono cioè illustrati i nuclidi stabili e instabili al variare del numero di protoni Z e del numero di neutroni N = A-Z. Un nuclide instabile, soggetto a trasformazioni nucleari (decadimenti) con emissione di radioattività, è detto radionuclide. I radionuclidi con uguali A e Z, ma che si trovano in differenti stati di eccitazione del nucleo, sono detti isomeri. Il processo di decadimento fra stati eccitati dello stesso nuclide costituisce una transizione isomerica (IT, isomeric transition). Nella maggior parte dei casi gli stati eccitati sono a -3- breve vita, cioè le transizioni isomeriche avvengono, virtualmente, contemporaneamente al decadimento. Quando ciò non si verifica, ossia quando lo stato eccitato ha una vita media lunga, il nuclide figlio si considera in uno stato metastabile e viene indicato col soprascritto m. Il termine “vita lunga” è arbitrario e dipende dalla scala di tempi considerata. Di norma vengono definiti metastabili gli isomeri eccitati con una emivita superiore al millisecondo. Il 99 Tc e 99m Tc rappresentano un esempio di nuclidi isomeri, differendo unicamente per il fatto che 99mTc si trova in uno stato nucleare eccitato rispetto a 99Tc. 119mSn, 99mTc sono esempi di radionuclidi in uno stato metastabile con tempi di emivita molto lunghi, 250 giorni e 6 ore rispettivamente. Il loro lungo emiperiodo ne consente la separazione chimica dal nuclide genitore, potendosi così, in pratica, disporre di un radionuclide gamma emittente puro, caratteristica quest'ultima molto importante nell'impiego degli isotopi radioattivi come radiofarmaci in Medicina Nucleare. Nel campo dei radiofarmaci, per ragioni di ordine pratico, si considera sufficientemente lunga una emivita dell'ordine delle decine di secondi almeno. Per sorgente radioattiva si intende qualsiasi insieme di nuclidi radioattivi che, a causa delle trasformazioni nucleari cui sono sottoposti, emettono radiazioni. Una sorgente di radiazioni non è necessariamente una sorgente radioattiva, in quanto la radiazione può non implicare una trasformazione nucleare. Un tipico esempio possono essere una macchina radiogena per radioterapia impiegante 60 Co (sorgente radioattiva e sorgente di radiazioni) e una macchina per raggi X, sorgente di radiazioni, ma non impiegante radioisotopi. L’attività, cioè il numero di decadimenti che avvengono nell’unità di tempo, di una sorgente radioattiva si misura, nel SI, in becquerel (Bq): un becquerel è uguale ad un decadimento al secondo (1 Bq = 1 s-1). Poiché il becquerel è un’unità molto piccola, nell’uso comune si utilizza quasi sempre un’unità pratica, il curie, corrispondente all’attività di 1 g di radio, che equivale a 3.7·1010 Bq. 1.2 Elementi radioattivi naturali e artificiali In natura esistono diversi radioisotopi, con tempi di emivita che variano da alcuni miliardi di anni a pochi secondi [ES82]. Questi elementi radioattivi naturali si possono suddividere in due classi, in base alla loro origine: a) radionuclidi primordiali: elementi con emivita sufficientemente lunga da essere tuttora presenti nella crosta terrestre, compresi tutti i radionuclidi da essi discendenti: 238 U, 40 K, 232 Th, radionuclidi con emivita molto lunga, 222Rn, 214Bi, radionuclidi a breve vita, ma generati continuamente dal decadimento dell'elemento capostipite (238U in questo caso). Un elemento capostipite, assieme ai suoi discendenti fino all'elemento stabile, costituisce una famiglia radioattiva, ed esistono tre famiglie radioattive naturali. -4- b) radionuclidi cosmogenici: radioisotopi generati da reazioni nucleari fra la radiazione cosmica, costituita da particelle nucleari con elevata energia e provenienti dallo spazio extraterrestre, e gli elementi stabili; esempio il 14C, generato nella reazione fra un neutrone e un nucleo di 14N, il 7Be, 3H, 22 Na. Ma in laboratorio possono essere prodotti elementi radioattivi artificiali: sono quegli elementi prodotti attraverso reazioni nucleari, in cui un nucleo bersaglio viene esposto ad un fascio di particelle che possono essere neutroni, protoni, particelle alfa ecc., o reazioni di fissione, in cui un nucleo pesante, 235 U ad esempio, si rompe in frammenti più piccoli. Il 60Co, per esempio, si può produrre per reazione fra neutroni e il 59Co, isotopo stabile del cobalto. Le principali fonti di radionuclidi sono i reattori nucleari (reazioni di fissione e cattura neutronica) e gli acceleratori di particelle che hanno consentito la produzione di radioisotopi a basso costo, per impieghi che spaziano dalla meccanica, alla chimica, alla biologia e alla medicina, solo per citare alcuni campi di utilizzo. Fra i nuclidi artificiali presenti nell'ambiente, un posto preminente è occupato dagli elementi radioattivi rilasciati dalle esplosioni nucleari sperimentali nell'atmosfera, soprattutto negli anni dal 1945 al 1965, e dagli incidenti alle centrali nucleari, in particolare Chernobyl (1986). 1.3 Decadimenti radioattivi I nuclidi instabili tendono a portarsi entro la fascia di stabilità modificando il rapporto neutroni/protoni: quelli con eccesso neutronico tenderanno a diminuirlo, quelli con difetto neutronico ad aumentarlo [PRSZ95]. In questi processi i nuclidi utilizzano una o più delle seguenti trasformazioni nucleari: • decadimento alfa • decadimento beta negativo • decadimento beta positivo • cattura elettronica (E.C.) • fissione spontanea (S.F.) Quando un radionuclide decade, dà origine ad un nuclide figlio che, se è instabile, decade a sua volta formando un nuovo nuclide figlio, e così via. La catena di decadimenti prosegue fino alla formazione di un nuclide stabile; l’insieme dei nuclidi che danno luogo ad una catena di decadimenti viene detto famiglia radioattiva. Analizziamo ora brevemente, senza entrare in dettagli, queste tipologie di decadimento. -5- 1.3.1 Decadimento alfa Il decadimento alfa interessa, salvo rare eccezioni, solo gli elementi pesanti (Z > 83; indicativamente, A>150). Una particella alfa è costituita da due protoni e due neutroni, cioè da un nucleo di 4He2+. Un generico elemento AZX che subisce un decadimento alfa avrà quindi come nuclide figlio un elemento A-4 Z-2Y con numero di massa A-4, numero atomico Z-2, numero di neutroni N-2, e nel processo verranno espulsi due elettroni e una particella alfa. Un esempio di decadimento alfa è mostrato dall’equazione 238 92U → 23490Th + 42He2+. L’energia associata ad un’emissione alfa cade all’incirca in un intervallo compreso tra 1 e 7 MeV. La particella alfa emessa ha, quindi, una energia ben precisa, caratteristica del nuclide emittente, cosicché gli spettri alfa mostrano picchi energetici stretti in zone ben definite, prevedibili in base al particolare processo avvenuto. La misura di tale energia può essere quindi utilizzata per identificare il radionuclide emittente (a differenza, come vedremo, di quanto accade nel decadimento beta). Spesso la transizione alfa porta ad uno stato eccitato del nuclide figlio, che può successivamente raggiungere lo stato fondamentale emettendo il surplus di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica, che prende il nome di radiazione gamma. 1.3.2 Decadimento beta I processi di decadimento che interessano nuclei con pochi o troppi neutroni e conducono a elementi che modificano il numero atomico Z ma non il numero di massa A vengono globalmente classificati come decadimenti beta. Essi possono essere di tre tipi: • decadimento beta-, • decadimento beta+, • cattura elettronica (detta anche cattura K). Decadimento betaIl decadimento beta- è caratteristico dei radionuclidi che presentano un eccesso di neutroni e consiste nella conversione di un neutrone in un protone con emissione di un elettrone: n → p + e− + ν Quindi un generico elemento AZX si trasformerà in un altro elemento AZ+1Y: ad es. 31H 32He + e- + ν. -6- Nell’equazione, ν rappresenta un antineutrino, cioè l’antiparticella del neutrino. Neutrino ed antineutrino sono privi di carica e hanno massa nulla (la questione di una eventuale piccolissima massa dei neutrini è tuttora molto dibattuta in Fisica); la loro presenza in questo tipo di trasformazioni nucleari è necessaria in quanto sperimentalmente si verifica che l’elettrone emesso esce con energia cinetica non sempre identica ma variabile; pertanto, per la conservazione dell’energia, deve esserci una ulteriore particella che si “porta via” l’energia mancante. Per questo motivo, come già accennato, in un decadimento beta non è possibile risalire alradionuclide emittente misurando l’energia associata al processo, poiché essa non corrisponde al dislivello energetico fra i due nuclidi, essendo distribuita fra particella beta e neutrino o antineutrino. Anche i decadimenti beta- possono condurre a nuclidi figli in uno stato eccitato, con conseguente emissione di radiazioni gamma. Decadimento beta+ Contrariamente al precedente, il decadimento beta+ consiste nella trasformazione di un protone in un neutrone, che si verifica in nuclidi con difetto neutronico; la trasformazione avviene con emissione di un elettrone positivo (positrone, particella di antimateria non presente nella materia ordinaria) e di un neutrino: p → n + e+ + ν Quindi un generico elemento AZX si trasformerà in un altro elemento AZ-1Y: ad es. 116C 115B + e+ + ν. Si noti che questo processo non avviene per un protone libero, in quanto esso non ha massa sufficiente per trasformarsi nel più pesante neutrone: infatti, come noto, il protone è assolutamente stabile. Il neutrone libero invece decade in protone con vita media di circa 17 minuti. Il positrone emesso va incontro ad annichilazione con un elettrone della materia ordinaria, producendo due fotoni di energia 511 keV ciascuno, corrispondenti alla somma delle due masse delle particelle che annichilano. Questa proprietà rende i radionuclidi che decadono ß+ particolarmente interessanti per applicazioni in radiodiagnostica, proprio per la facilità e la precisione di rivelazione dei due fotoni emessi nell’annichilazione. Per quanto riguarda le considerazioni energetiche, tutto avviene in perfetta analogia a quanto già dichiarato per il decadimento beta-. Cattura elettronica (K) Il processo di cattura elettronica (E.C., Electronic Capture) è del tutto analogo a quello beta positivo: un nuclide con difetto neutronico trasforma un protone in un neutrone. In questo caso, però, la trasformazione avviene mediante la cattura di un elettrone, di solito dal guscio più interno, il cosiddetto -7- guscio K e, con minore probabilità, dagli altri gusci, L, M...(per questo motivo spesso la cattura elettronica viene chiamata cattura K): p+ + e - → n + ν Anche qui è necessaria la presenza del neutrino, per le stesse ragioni esposte in precedenza. Il decadimento beta+ e la cattura elettronica conducono allo stesso nuclide figlio, e spesso i due modi di decadimento si verificano contemporaneamente per lo stesso isotopo. Così, ad esempio, 22 Na decade in 22Ne per il 90% dei casi con emissione di positroni, e nel 10% tramite EC. Una importante particolarità della cattura elettronica è il fatto che l’elettrone catturato dal nucleo lascia un vuoto nel guscio più interno, e tale vuoto viene riempito da elettroni più esterni con emissione di raggi X a energie ben definite, corrispondenti proprio alle differenze energetiche tra gli orbitali atomici. 1.3.3 Fissione spontanea Il processo di fissione spontanea consiste nella rottura di un nucleo pesante in due nuclei leggeri. Questo tipo di trasformazione è possibile, dal punto di vista energetico, solo per elementi con numero di massa molto elevato. Si tratta, in ogni caso, di una reazione molto lenta per elementi con A < 240, i quali utilizzano preferibilmente il decadimento alfa; il processo acquista importanza per nuclidi con valori di A > 240 e diviene significativo per alcuni nuclei transuranici artificiali. -8- 2. I radionuclidi in Medicina Nucleare La Medicina nucleare è un’importante branca della Diagnostica per immagini e a sua volta comprende la medicina nucleare convenzionale, che utilizza radiofarmaci marcati con radionuclidi γ−emittenti; la tomografia a emissione di positroni (PET), che impiega radiofarmaci marcati con radionuclidi + β -emittenti. La medicina nucleare convenzionale comprende esami planari (scintigrafie) ed esami tomoscintigrafici (SPET). La PET permette l’effettuazione di esami tomografici segmentari e totali corporei. Mentre la Radiodiagnostica consente di acquisire informazioni molto precise di tipo anatomico, le indagini medico-nucleari forniscono informazioni di tipo prevalentemente funzionale e metabolico, contribuendo alla diagnosi, alla prognosi ed alle scelte terapeutiche. Nel seguito, faremo un sintetico cenno a tali metodi di indagine, rimandando per maggiori dettagli a testi specialistici (si veda ad es. [GSS]), e soffermandoci in particolare sull’utilizzo dei radioisotopi emittenti (i cosiddetti radiofarmaci) nelle varie situazioni diagnostiche e terapeutiche. 2.1 I radiofarmaci Le tecniche scintigrafiche e tomoscintigrafiche consistono essenzialmente nello studio della distribuzione in vivo di radiofarmaci, rappresentati da composti a differente comportamento biologico marcati con isotopi gammaemittenti o da radionuclidi come tali. I radiofarmaci sono generalmente somministrati per via endovenosa e si comportano come traccianti all'interno dell'organismo in esame. Le prime applicazioni della tecnica scintigrafica comportavano l'impiego esclusivamente di radionuclidi a lunga emivita fisica, come ad esempio lo 131 I, la cui produzione con ciclotrone poteva quindi avvenire anche a distanza del luogo di utilizzazione [KHL97]. La disponibilità di radionuclidi a breve emivita è stata resa possibile dall'introduzione di generatori, costituiti da un radionuclide “capostipite”, a vita relativamente lunga, che decade in un altro a vita breve, estraibile con un semplice procedimento di eluizione. Il generatore maggiormente impiegato è il generatore Molibdeno-99 / Tecnezio-99m. I principali tipi di radiofarmaci sono: -9- radionuclidi impiegati come tali, in diverse formulazioni chimiche: ioduro di sodio; 123 I ioduro di sodio; 111 99m Tc pertecnetato; 131 I 67 In cloruro; Ga citrato; molecole chimiche a differente comportamento biologico, fornite sotto forma di kit in flaconi liofilizzati già marcate o più frequentemente da marcare con un radionuclide, generalmente il 99mTc; anticorpi monoclonali o loro frammenti, già marcati o da marcare generalmente con 111In cloruro, 99m Tc, 131I; radiofarmaci come ad es. il 18 FDG che utilizzano radionuclidi β+-emittenti a vita media breve prodotti da ciclotrone e utilizzati per la PET (18F, 13N, 11C, 15O). I diversi radiofarmaci impiegati hanno ciascuno peculiari caratteristiche di comportamento biologico e di cinetica. Gli isotopi dello iodio (131I e 123I) entrano nel metabolismo degli ioduri, per cui vengono captati attivamente dal tessuto tiroideo ed eliminati prevalentemente per via urinaria. Il 99m Tc pertecnetato, che è un radioalogeno, ha un comportamento analogo in quanto si fissa intensamente a livello del tessuto tiroideo ed anche in corrispondenza delle ghiandole salivari e della mucosa gastrica, per cui trova tuttora impiego come tale nella scintigrafia tiroidea, nella scintigrafia delle ghiandole salivari e nella scintigrafia per la ricerca di mucosa gastrica ectopica. Il radiotecnezio è utilizzato inoltre per la marcatura di numerose molecole chimiche, per cui attualmente gli esami scintigrafici con impiego del 99m Tc rappresentano complessivamente oltre il 90% del totale degli esami effettuati presso un servizio di Medicina Nucleare. Il 67Ga è un tracciante cellulare, che si fissa a livello del citoplasma, per cui viene impiegato per dimostrare la presenza di tessuto tumorale ed anche di processi infiammatori. Dei radioisotopi prodotti da ciclotrone, e in particolare del 18 F e del 13 N, parleremo più diffusamente tra poco, descrivendone la loro produzione nei ciclotroni e il loro utilizzo nella PET. I differenti radionuclidi sono prodotti attraverso reazioni nucleari, bombardando molecole bersaglio (target) con fasci di particelle accelerate nei ciclotroni; la quantità della produzione dipende sia dall'energia del fascio corpuscolare incidente - e quindi dalle caratteristiche del ciclotrone -, sia dalla quantità del materiale bombardato. Nel grafico sono rappresentate le relative curve di decadimento per i radioisotopi a vita media breve, a confronto con quella assai più lunga del 99mTc. -10- 2.2 Le indagini medico-nucleari Nella diagnostica medico-nucleare convenzionale [KHL97] si impiegano strumenti che sono rivelatori di radiazioni gamma e che consentono pertanto di fornire immagini che documentano la distribuzione nell’organismo di un radiofarmaco marcato con radionuclidi gammaemittenti, somministrato al paziente generalmente per via endovenosa. Le indagini medico nucleari convenzionali di tipo planare (scintigrafie) forniscono una rappresentazione bidimensionale di quella che è in realtà una distribuzione su tre dimensioni del radiofarmaco impiegato. I radiofarmaci utilizzati nelle diverse metodiche medico-nucleari assai raramente si distribuiscono esclusivamente nell'organo in esame, ma in percentuale più o meno rilevante sono presenti anche in strutture adiacenti e nel compartimento vascolare, determinando il cosiddetto background. Si comprende pertanto come la sovrapposizione di più piani, tipica della tecnica planare, possa comportare effetti di mascheramento di reperti potenzialmente patologici, soprattutto se di limitata estensione, e possa rendere difficile una corretta distinzione di strutture contigue. Per ovviare a questo inconveniente, si fa ricorso nel caso di indagini riguardanti organi o strutture di una certa dimensione alla acquisizione di molteplici proiezioni per meglio valutare i diversi profili ed i piani profondi. Le tecniche tomoscintigrafiche, di introduzione relativamente recente nella pratica clinica, hanno come scopo fondamentale la creazione di sezioni transassiali, coronali e sagittali dell'organo in esame, così da eliminare la radioattività sopra e sottostante, e ottenere immagini caratterizzate da maggior risoluzione e contrasto. Le tecniche tomoscintigrafiche, inizialmente indicate con la sigla ECT (Emission Computed Tomography), sono definite di emissione, poiché è il paziente che emette le radiazioni gamma che vengono registrate e trasformate in immagini, e si differenziano dalle tecniche tomografiche radiologiche, che sono di trasmissione, poiché è il rivelatore che è anche sorgente del fascio radiante. In relazione alle caratteristiche fisiche dei radionuclidi impiegati, le tecniche ECT si distinguono in tomografia per emissione di fotone singolo o SPET (Single Photon Emission Tomography), che utilizza radionuclidi γ-emittenti, e tomografia per emissione di positroni o PET (Positron Emission Tomography), in cui sono impiegati radionuclidi β+-emittenti. Descriviamo ora brevemente queste due note tecniche, senza entrare in dettagli e limitandoci soprattutto a quanto concerne l’utilizzo in esse dei radiofarmaci. -11- 2.2.1 SPET: tomografia a emissione di fotone singolo SPECT è la sigla di Single Photon Emission Computed Tomography, tomografia computerizzata a emissione di singolo positrone, moderna tecnica di immagine utilizzata per la diagnostica di diversi organi. Essa è particolarmente utile nello studio delle patologie celebrali. La SPECT sfrutta una gamma camera o rilevatore a scintillazione (si veda un esempio in figura) che trasforma le radiazioni emesse dagli isotopi radioattivi somministrati al paziente in emissioni luminose. I segnali registrati dalla gamma camera vengono elaborati da un computer per la ricostruzione dell’immagine, secondo piani frontali, assiali e coronali con un effetto tomografico paragonabile a quello della TAC. La tomografia per emissione di fotone singolo ha trovato una vasta applicazione per una serie di fattori favorevoli. Essa prevede l'utilizzazione di radionuclidi γ-emittenti normalmente impiegati nelle più comuni tecniche scintigrafiche planari e quindi già disponibili presso i centri di medicina nucleare. Inoltre, negli ultimi anni sono stati sintetizzate e commercializzate nuove molecole, marcabili con 99m Tc ed idonee a consentire studi di flusso regionale a livello miocardico e cerebrale, e traccianti immunologici e recettoriali marcati con 123 I o 111 In, che hanno ampliato le possibilità di applicazione della tecnica SPET in campo oncologico. A ciò si deve aggiungere la rapida evoluzione tecnologica della strumentazione, che ha permesso di disporre di gammacamere di efficienza più elevata e soprattutto a più testate, a costi relativamente contenuti. Tutto ciò ha determinato un notevole miglioramento qualitativo degli esami tomoscintigrafici con possibilità di ottenere sezioni transassiali, coronali e sagittali di elevata risoluzione e contemporaneamente di ridurre i tempi di acquisizione. 2.2.2 PET: tomografia a emissione di positroni PET è la sigla di Positron Emission Tomography, tomografia a emissione di positroni, metodo radiologico che mira all’ottenimento di immagini nitide con l’utilizzo di radioisotopi emettitori di positroni. Nella PET vengono utilizzati radionuclidi emittenti di positroni (particelle β+), cioè di particelle di massa pari agli elettroni e carica elettrica positiva, che dopo aver percorso un brevissimo tratto nella materia si annichilano, reagendo con un elettrone atomico orbitale, con emissione di due -12- fotoni γ in direzione opposta, con energia ciascuno di 511 keV, fra loro in coincidenza: proprio la rivelazione di tale coincidenza spazio-temporale nell’emissione dei fotoni permette di ottenere informazioni precise e dettagliate sull’avvenuta annichilazione. La PET può essere utilizzata per lo studio del metabolismo delle cellule cerebrali, oltre che in campo cardiologico e oncologico (per esempio per la diagnosi differenziale tra benignità e malignità nel caso di un nodulo solitario polmonare). Rispetto alle metodiche di diagnostica per immagini (ecografia, radiologia tradizionale, Tac e RMN) che possono fornire una valutazione morfologica degli organi e apparati, con la PET si ottengono informazioni quantitative e qualitative sulla fisiologia e la biologia dei tessuti permettendone un’analisi di tipo funzionale. I radionuclidi più comunemente impiegati (11C, 15 O, 13 N) hanno un'emivita molto breve, dell'ordine di pochi minuti, e pertanto devono essere prodotti nella sede stessa della loro utilizzazione mediante ciclotroni [HR85]. Si tratta di radioisotopi di elementi particolarmente abbondanti in natura, che possono marcare pertanto composti organici, i quali, mantenendo invariate le loro caratteristiche stechiometriche, non subiscono variazioni per quanto concerne sia le proprietà biologiche, sia il comportamento metabolico. Le molecole marcate con isotopi β+-emittenti consentono pertanto di valutare quantitativamente il flusso distrettuale ed anche diverse funzioni metaboliche tessutali ed in particolare il consumo di ossigeno ed il tasso di utilizzazione di substrati come il glucosio, gli acidi grassi e gli aminoacidi. Poichè la collimazione dei fotoni avviene elettronicamente e quindi non è necessario impiegare collimatori, come avviene nella SPET, i tomografi PET sono caratterizzati da un'elevata efficienza di conteggio e risoluzione spaziale, che nei sistemi più moderni raggiunge i 4-5 mm. La ricostruzione delle sezioni tomografiche della PET viene ottenuta con algoritmi analoghi a quelli utilizzati nella SPET; in più, nella PET è possibile eseguire una correzione per l'attenuazione molto precisa, facendo riferimento ad un'immagine di trasmissione, e quindi di ottenere dati di tipo quantitativo. Uno dei principali radiofarmaci PET comprendono in particolare è l'ammonia marcata con 13N, radionuclide con emivita di 10 minuti. L'ammonia 13N, dopo iniezione endovenosa, circola sotto forma di ione ammonia nel sangue, da dove viene rapidamente estratto per localizzarsi soprattutto a livello del tessuto cerebrale e miocardico in proporzione al flusso ematico regionale. Un altro tracciante utilizzato per studi di perfusione miocardica è il 82Rb, prodotto da generatore, che ha un'emivita di 75 secondi. Essendo un catione monovalente analogo del potassio, penetra nei -13- miociti attraverso la pompa sodio-potassio e la sua fissazione in corrispondenza del tessuto miocardico è proporzionale al flusso coronarico distrettuale. L'acqua marcata con 15O, radionuclide con emivita di due minuti, è utilizzata come indicatore di flusso nello studio della perfusione cerebrale. Fra i radiocomposti metabolici quello maggiormente impiegato è il fluoro-desossi-glucosio marcato con 18F (18F FDG), che dopo iniezione endovenosa viene fosforilato a FDG-6-fosfato, il quale non va incontro a glicolisi e rimane quindi intrappolato a livello cellulare per diverse ore. Poichè il glucosio rappresenta la principale sorgente di energia per il tessuto miocardico in condizioni di ischemia severa, il 18 F FDG è divenuto il tracciante di elezione per lo studio del metabolismo miocardico con PET, allo scopo di valutare la presenza di tessuto vitale in territori miocardici da sottoporre a procedure di rivascolarizzazione coronarica. Il 18 F FDG è stato utilizzato anche nello studio del metabolismo cerebrale ed in particolare per individuare aree focali di ridotto metabolismo nell'epilessia parziale complessa e zone di ridotto metabolismo corticale nelle demenze di Alzheimer. Nel settore oncologico, infine, gli studi PET con 18 F FDG presentano un notevole interesse, poichè la valutazione del metabolismo tessutale è in grado di individuare il grado di malignità di una neoplasia e di migliorare la stadiazione di gran parte dei tumori solidi e dei linfomi maligni rispetto alle tecniche di diagnostica convenzionale (ecografia, TC e RM). 2.3 Metodi di impiego e indicazioni cliniche Diamo ora una breve rassegna, in relazione alle differenti patologie, dei principali metodi di indagine medico-nucleare con utilizzo di radiofarmaci e delle relative indicazioni cliniche [GSS]. 2.3.1 Apparato respiratorio a) Metodi di indagine Scintigrafia polmonare perfusionale La scintigrafia polmonare perfusionale è un esame di semplice e rapida esecuzione che richiede la somministrazione per via e.v. di macroaggregati di albumina marcati con 99m Tc per via endovenosa (111-185 MBq; 3-5 mCi). I macroaggregati marcati hanno un diametro compreso fra 10 e 40 µm, per cui si distribuiscono uniformemente nel circolo polmonare e si arrestano in corrispondenza delle arteriole pre-capillari. -14- L’esame, che ha una durata complessiva di 15 minuti, permette una visualizzazione della distribuzione dei macroaggregati marcati a livello dei lobi e dei diversi segmenti polmonari e quindi una precisa localizzazione di eventuali alterazioni della perfusione polmonare. Poiché i macroaggregati si arrestano in corrispondenza delle arteriole pre-capillari non vi è radioattività a livello del cuore e dei grossi vasi mediastinici. Scintigrafia polmonare ventilatoria La scintigrafia polmonare ventilatoria viene attualmente eseguita somministrando per via inalatoria mediante un circuito chiuso particelle molto piccole, delle dimensioni di circa 0,12 µm, marcate con tecnezio, che si ottengono mediante il riscaldamento di 99m Tc pertecnetato (40 mCi) introdotto in un fornelletto contenente grafite, con raggiungimento di una temperatura di 2500 oC in atmosfera di Argon puro. Queste particelle, inalate dal paziente con una respirazione il più possibile tranquilla e regolare per un periodo breve di 2-3 minuti, si distribuiscono uniformemente. Scintigrafia mediastino-polmonare con 67Ga citrato Il 67 Ga citrato, che è un tracciante cellulare, viene utilizzato per studiare i linfomi maligni ed alcuni processi granulomatosi fra cui in particolare la sarcoidosi. b) Principali indicazioni cliniche Embolia polmonare L’embolia polmonare è un’affezione difficilmente diagnosticabile in base ai dati clinici. Un preciso giudizio diagnostico riveste tuttavia un’importanza fondamentale e la scintigrafia polmonare perfusionale può essere impiegata come esame di prima istanza. Valutazione semi-quantitativa della perfusione e della ventilazione polmonare globale e segmentarla nei pazienti candidati a terapia chirurgica La scintigrafia polmonare perfusionale e ventilatoria vengono utilizzate per una valutazione della perfusione e o della ventilazione di ciascun polmone o di singoli segmenti polmonari prima di procedere ad interventi di pneumonectomia o di lobectomia. Le immagini acquisite vengono elaborate così da calcolare la ripartizione della radioattività fra i due polmoni e fra singoli segmenti polmonari. Facendo riferimento ai dati forniti dalle prove di funzionalità respiratoria è possibile ricavare una stima attendibile del contributo funzionale fornito da ciascun polmone e dai differenti segmenti polmonari. Interstiziopatie polmonari -15- Le Interstiziopatie polmonari sono un gruppo di disordini cronico-evolutivi del polmone ad eziologia conosciuta e non che coivolgono I'intero organo e sono caratterizzate da infiammazione e fibrosi. Nella sua forma evolutiva il processo e caratteristicamente accompagnato da fibrosi con produzione in eccesso di tessuto connettivo che può coinvolgere sia la parete alveolare sia gli spazi aerei respiratori. 2.3.2 Apparato urinario a) Metodi di indagine Scintigrafia renale sequenziale La scintigrafia renale sequenziale prevede l'impiego di radiofarmaci a rapida escrezione, eliminati per filtrazione glomerulare (DTPA 99mTc) e/o per secrezione tubulare (MAG 3 99mTc). Questa indagine fornisce informazioni di tipo prevalentemente funzionale ed in particolare consente, in modo semplice ed incruento, una valutazione di tipo quantitativo della funzionalità renale separata, nonchè una valutazione dell'escrezione dell'indicatore radioattivo attraverso le vie escretrici. Oltre che in condizioni basali, la scintigrafia renale sequenziale viene effettuata con test farmacologici L’elaborazione delle immagini permette la creazione di curve radioattività-tempo (renogrammi). Dall'analisi dei renogrammi è possibile calcolare con grande rapidità numerosi indici funzionali. b) Principali indicazioni cliniche Ipertensione reno-vascolare Essa è un’ipertensione arteriosa secondaria a seguito di una stenosi mono o bilaterale dell'arteria renale con conseguente iperproduzione di renina da parte del rene che riceve una minore irrorazione. La scintigrafia con captopril è utile per valutare stenosi dell'arteria renale funzionalmente significative. 2.3.3 Apparato scheletrico a) Metodi di indagine Scintigrafia scheletrica -16- La medicina nucleare conserva un ruolo importante nello studio di alcune alterazioni ossee ed in particolare delle lesioni ossee metastatiche. La scintigrafia scheletrica comprende più frequentemente lo studio dell'intero scheletro ed in tal caso viene definita come scintigrafia scheletrica totale corporea o total body, mentre talvolta può riguardare la valutazione solo o anche di singoli segmenti ossei e viene indicata come scintigrafia scheletrica segmentaria. La scintigrafia scheletrica consente, soprattutto con la strumentazione più recente, di ottenere una buona rappresentazione anche morfologica delle strutture scheletriche. Essa fornisce tuttavia informazioni prevalentemente di tipo funzionale, evidenziando eventuali zone con aumentata attività osteoblastica, espressione di una reazione all'esistenza di una alterazione strutturale ossea di qualsiasi natura. La segnalazione, quindi, di una o più aree di aumentata concentrazione radioattiva è un elemento semeiologico di elevata sensibilità nell'indicare la presenza di una lesione ossea, ma di assai scarsa specificità, poichè qualunque tipo di alterazione ossea, sia essa neoplastica, infiammatoria o degenerativa, determina una reazione osteoblastica di intensità variabile nel tessuto sano peri-lesionale e di conseguenza l'accumulo patologico del radiofarmaco osteotropo. Il radiofarmaco più frequentemente utilizzato è il metilen-difosfonato (MDP) marcato con 99mTc. Nel soggetto senza alterazioni della funzionalità renale viene raggiunto un rapporto ottimale fra attività ossea ed attività circolante dopo circa tre ore dalla somministrazione del radiofarmaco. Scintigrafia scheletrica total body Al paziente, al quale non viene richiesta alcuna particolare preparazione, vengono iniettati per via endovenosa 740-925 MBq (20-25 mCi) di difosfonato marcato con 99m Tc. Nei bambini si iniettano dosi di 8 MBq /Kg di peso corporeo. Poichè il radiofarmaco presenta una discreta clearance per via renale, il paziente dopo l'iniezione deve bere abbondantemente e svuotare la vescica prima dell'esecuzione dell'indagine, così da ridurre ulteriormente il sia pure modesto assorbimento di dose radiante, favorire il raggiungimento del più soddisfacente rapporto segnale/fondo e consentire un'ottimale esplorazione anche delle strutture ossee del bacino. b) Principali indicazioni cliniche Lesioni neoplastiche metastatiche L'indicazione principale della scintigrafia scheletrica totale corporea è certamente la ricerca di localizzazioni metastatiche in fase di stadiazione e soprattutto di follow-up di alcuni tumori solidi osteotropi, quali i carcinomi della mammella, della prostata, del rene e dei polmoni -17- Le lesioni ossee metastatiche si presentano come aree intensamente iperattive raramente uniche e più spesso multiple. L'accumulo del radiocomposto non si verifica nel contesto del tessuto tumorale, ma nel tessuto osseo peri-tumorale essendo espressione di una reazione osteoblastica reattiva. La scintigrafia scheletrica ha una sensibilità molto elevata nella segnalazione di alterazioni ossee metastatiche e la dimostrazione scintigrafica precede di settimane e talvolta di mesi la dimostrabilità radiologica, che richiede una riduzione del contenuto calcico di almeno il 50 %. 2.3.4 Ghiandole endocrine Scintigrafia tiroidea La scintigrafia è utilizzata nello studio della patologia tiroidea e soprattutto della patologia nodulare tiroidea, nell'ambito di una diagnostica integrata comprendente l'ecotomografia e l'esame citologico mediante aspirazione con ago sottile. L'indagine scintigrafica permette di valutare sede, morfologia e dimensioni della ghiandola, nonchè le caratteristiche funzionali del parenchima tiroideo e di eventuali lesioni nodulari. Lo 131I non viene da circa vent’anni più utilizzato per l'effettuazione della scintigrafia tiroidea per le sue sfavorevoli caratteristiche fisiche. La sua emissione γ di elevata energia (364 keV) non consente di ottenere immagini di buona qualità con gammacamera, mentre la sua lunga emivita (8 giorni) e l'emissione β associata comportano assorbimenti di dose non trascurabili. L'impiego dello 131 I è attualmente limitato a livello diagnostico alla ricerca di metastasi nei pazienti operati di tiroidectomia totale per carcinoma differeziato tiroideo. Lo 123I presenta caratteristiche fisiche più favorevoli (emivita di 13 ore; emissione gamma di 160 keV). Le difficoltà di approvvigionamento ed il costo elevato ne hanno tuttavia molto limitata l'utilizzazione. Il radiocomposto di scelta per l'effettuazione della scintigrafia tiroidea è pertanto il 99m Tc pertecnetato, che, analogamente ad altri anioni monovalenti si fissa elettivamente a livello delle cellule tiroidee, è sempre disponibile e a costi molto contenuti e comporta un assorbimento di dose trascurabile, cento volte più basso rispetto a quello dello 131I. Scintigrafia surrenalica corticale e scintigrafia surrenalica midollare Per quanto riguarda invece le ghiandole surrenali, i radiofarmaci utilizzati differiscono a seconda che si debba studiare la parte corticale o la parte midollare. Il radiocomposto per lo studio della componente corticale è rappresentato dal colesterolo marcato con 131 I. Inizialmente è stato utilizzato lo 131I 19-iodo-colesterolo, a cui è stato successivamente preferito lo 131I 6-beta-iodometil-norcolesterolo, che ha il vantaggio di una maggior fissazione a livello corticale. -18- Il colesterolo marcato si fissa elettivamente in corrispondenza dei surreni, in quanto esso rappresenta la molecola di base per la sintesi degli ormoni steroidei corticali. Il radiocomposto impiegato per lo studio della parte midollare dei surreni è rappresentato dalla meta-iodo-benzil-guanidina (MIBG), marcata con 123I. 2.3.5 Patologie infiammatorie e infettive Nello studio dei processi infiammatori i problemi diagnostici possono riguardare la localizzazione di un processo infiammatorio a sede ignota o la valutazione dello stato di attività di un processo infiammatorio, di cui si conosce già sede ed estensione. In queste situazioni le indagini medico-nucleari, ed in particolare la scintigrafia con leucociti marcati con scansione di tutto il corpo, sono in grado in molti casi di evidenziare la sede del focolaio infiammatorio, consentendo quindi di utilizzare in modo mirato le tecniche di imaging più opportune. Scintigrafia con 67Ga citrato Il 67 Ga citrato è un tracciante cellulare, che si fissa quindi, con meccanismi non esattamente conosciuti, in corrispondenza di tutti i tessuti ricchi di cellule e con particolare intensità a livello del tessuto neoplastico vitale e del tessuto sede di flogosi. Il 67Ga citrato viene iniettato per via e.v. alle dosi di 185 MBq (5 mCi) e le acquisizioni sono effettuate a distanza di 48-72 ore dalla somministrazione del radiocomposto. La presenza di un processo flogistico si può manifestare con un'area unica di accumulo del radiocomposto, circoscritta o talvolta di notevole estensione, con aree multiple iperattive o anche con una accentuazione della concentrazione radioattiva di entità variabile a carattere diffuso. 2.3.4 Patologie di tipo oncologico Nell'ambito dell'oncologia la medicina nucleare svolge un ruolo importante nella stadiazione dei tumori solidi e dei linfomi maligni. Anche in questo caso si procede con una Scintigrafia con Gallio-67 citrato. Come abbiamo appena detto, il 67 Ga citrato è un tracciante cellulare, che iniettato per via e.v. viene veicolato nel plasma dalla transferrina e si va a fissare, con meccanismi non completamente chiariti, a livello di organuli citoplasmatici. In passato il radiogallio è stato utilizzato nello studio di numerosi tumori epiteliali, mentre attualmente viene impiegato in campo oncologico pressoché esclusivamente nei casi di linfoma, soprattutto a localizzazione mediastinica. Scintigrafia con meta-iodo-benzil-guanidina (MIBG) 131I o 123I -19- Le indicazioni della scintigrafia con MIBG 123 I in campo oncologico riguardano il feocromocitoma, il neuroblastoma ed il paraganglioma maligno, che presentano nella maggior parte dei casi una fissazione particolarmente intensa dell'indicatore radioattivo. PET con fluoro-desossi-glucosio 18F (18F FDG) Le indagini PET, che inizialmente sono state indirizzate prevalentemente verso obbiettivi di sperimentazione e di ricerca, hanno trovato da alcuni anni una collocazione sempre più ampia nell'ambito delle applicazioni diagnostiche utili nella pratica clinica e numerosi studi ne hanno definitivamente dimostrato l'accuratezza diagnostica e l'efficacia clinica. I principali campi di applicazione della PET si possono individuare, allo stato attuale delle conoscenze, nell'ambito della diagnostica cerebrale, cardiaca e soprattutto oncologica. In ambito oncologico sono stati utilizzati studi total body con impiego della 11C metionina (MET) per lo studio del metabolismo proteico e soprattutto del fluorodesossiglucosio marcato con 18 F (18F FDG) per lo studio del metabolismo glucidico. Il glucosio è una delle principali sorgenti energetiche ed è ben noto che nel tessuto tumorale si osserva un significativo incremento della utilizzazione del glucosio. In particolare il FDG penetra attraverso la membrana cellulare nelle cellule e viene quindi intrappolato nella sede dell'accumulo, in quanto viene fosforilato dall'enzima esochinasi a FDG-6P. Gli studi PET con 18 F FDG sono risultati di grande utilità nella dimostrazione della natura neoplastica di una lesione, nella determinazione del grado di malignità del tessuto neoplastico e nella corretta stadiazione del tumore, che soprattutto in fase pre-operatoria consente una più precisa scelta del trattamento terapeutico e di evitare inutili interventi chirurgici. La possibilità di riconoscere la presenza di tessuto neoplastico vitale nell'ambito di una massa residua in parte fibro-necrotica è essenziale nella valutazione della risposta alla terapia e nella dimostrazione di una ripresa di malattia nella fase di follow-up. Di notevole interesse risulta inoltre la possibilità di ottenere informazioni sulle caratteristiche biologiche del tumore, che possono migliorare le procedure terapeutiche ed in particolare la scelta e la precoce valutazione degli effetti del trattamento chemioterapico o del trattamento radioterapico e contribuire ad una più precisa valutazione prognostica. Per la notevole importanza della PET con 18 F FDG, e poiché il 18F è il principale isotopo prodotto nei ciclotroni oggetto di questa tesi, analizziamo con maggior dettaglio le sue proprietà. -20- 2.4 Il fluoro 18 e il suo utilizzo clinico I principali radionuclidi prodotti dal ciclotrone ad uso medico nella PET : Sono più di 1000 i radionuclidi che possono essere prodotti artificialmente in un ciclotrone, ma solo alcuni sono adatti per essere utilizzati in Medicina Nucleare in virtù delle loro proprietà fisiche e chimiche. I criteri di scelta dei radionuclidi impiegati nella PET sono: - proprietà biochimiche che li rendano adatti ad essere incorporati in un farmaco, senza alterarne le caratteristiche biologiche; - emivita breve (compatibile con la durata prevista per l’esame), per ridurre la dose di radiazioni al paziente; - emissione di soli raggi gamma; - emissione di raggi gamma di energia abbastanza elevata da evitare attenuazione eccessiva da parte del corpo del paziente ma anche abbastanza bassa per facilitare la produzione dell’immagine (energia intorno a 150 keV). La dose di radiazioni al paziente dipende dal tempo di dimezzamento effettivo dell’isotopo, dal tipo e dall’energia di radiazione emessa della radiazione. Dal punto di vista protezionistico i radionuclidi preferibili sarebbero quelli con un tempo di dimezzamento molto breve (<1h ). Ma poiché bisogna considerare la durata dell’esame e talvolta anche il trasporto e il periodo di stoccaggio del radionuclide, nuclidi con una vita media estremamente breve non sono indicati per un uso di routine. (Ovviamente quando il radionuclide può essere prodotto sul posto utilizzando un acceleratore di particelle o un generatore non ci sono problemi relativi al trasporto o allo stoccaggio) I radionuclidi usati nella PET sono sostanze con un eccesso di protoni, energeticamente instabili, che tendono spontaneamente a decadere per acquisire una maggiore stabilità energetica nucleare emettendo positroni. I positroni vengono emessi con un’energia cinetica di variabile e tale da percorrere un tratto di pochi millimetri. Dissipata l’energia cinetica e raggiunta la condizione di riposo, un positrone interagisce con un elettrone della materia: l’effetto è la scomparsa della massa delle due particelle (annichilazione) e, per il principio di conservazione dell’energia, la formazione di due fotoni di 511 KeV (l’energia di 511 KeV di ciascun fotone è equivalente alla massa di riposo di un elettrone o di un positrone). I due fotoni, si dipartono dal punto di annichilazione con velocità uguale (ed uguale a quella della luce) e direzione opposta (180°), formando così una retta definita “linea di annichilazione”. -21- I due fotoni di annichilazione raggiungono il tomografo colpendo quasi contemporaneamente una coppia di rilevatori diametralmente opposti e collegati ad un circuito elettrico di coincidenza computerizzato. Quando un fotone colpisce il cristallo contenuto nel rilevatore questo emette luce attraverso il fenomeno della scintillazione; la luce viene amplificata da un fotomoltiplicatore e convertita in segnale elettrico. Quando il sistema registra due cariche elettriche in un intervallo di tempo di 5-20 nanosecondi (“intervallo di coincidenza”) codifica un evento di annichilazione. La linea che unisce i due rilevatori opposti è detta “linea di coincidenza”; essa coincide con la linea di annichilazione e passa per il punto di annichilazione. I radionuclidi vengono prodotti artificialmente mediante uso di un acceleratore lineare di particelle, il ciclotrone. I principali radionuclidi disponibili oggi per gli studi PET sono 18F, 14O,15O, 11C, 13N (quest’ultimo anch’esso prodotto dal ciclotrone installato a Pavia ed utilizzato per marcare l'ammonia N-13, che dopo iniezione endovenosa, circola sotto forma di ione ammonia nel sangue, da dove viene rapidamente estratto per localizzarsi soprattutto a livello del tessuto cerebrale e miocardico in proporzione al flusso ematico regionale); sono usati anche nuclidi β+ emittenti del Cu, Zn, K, Br, Rb, I, P, Fe, Ga e altri. Il radionuclide è utilizzato per marcare una sostanza e consente di misurare in vivo una variabile fisiologica connessa con la cinetica o la dinamica della sostanza marcata. Si presuppone quindi la conoscenza della cinetica e della dinamica della sostanza che deve essere marcata: i radionuclidi determinano variazioni modeste e correggibili della cinetica (“Isotope Effect”), ma non modificano le proprietà fisiologiche o biochimiche della sostanza da marcare. L’introduzione dei radionuclidi all’interno del nostro organismo può avvenire sia per endovena (15O;18Fluoro-2-deossi-D-glucosio) sia per via inalatoria (15C), a seconda delle proprietà cinetiche e fisiche della sostanza marcata. 2.4.1 Il 18F FDG Il [18F]Fluorodeossiglucosio è un tracciante emittente β+ analogo del glucosio. Ha la proprietà di seguire in parte il comportamento del glucosio: ma, mentre il glucosio-6-fosfato (G-6-P) viene metabolizzato seguendo la catena glicolitica, il fluorodeossiglucosio-6-fosfato ([18F]FDG-6-P) non viene metabolizzato ulteriormente non essendo un substrato per la isomerasi, successivo enzima della sequenza glicolitica. In altre parole, il [18F]FDG segue la cinetica del glucosio all’inizio del processo metabolico ma poi, sotto forma di [18F]FDG-6-P, viene intrappolato nel tessuto non potendo essere ulteriormente metabolizzato. Tale comportamento permette la misura della quantità di 18F accumulata nel tempo nel tessuto considerato. Nel 1977 Sokoloff [SK77] mette a punto il classico modello a tre compartimenti che dal 1979 verrà poi usato per quantificare le immagini PET di [18F]FDG. L’articolo è una pietra miliare nel campo della quantificazione PET favorendone sostanzialmente il rapido sviluppo, -22- in generale, come strumento non invasivo per lo studio del cervello e, nello specifico, come metodica di quantificazione di processi fisiologici che fino a quel momento non era mai stato possibile misurare in vivo nell’uomo. Le equazioni che descrivono il modello del [18F]FDG sono: & ( t ) = k C ( t ) − ( k + k )C ( t ) C e 1 p 2 3 e C e (0) = 0 & (t) = k C (t ) C m 3 e C m (0) = 0 dove Cp (1) rappresenta la concentrazione plasmatica del 18FDG, C e la concentrazione tessutale del 18FDG e C m la concentrazione tessutale del 18FDG-6-P. L’equazione di misura è: C( t ) = (1 − Vb )(C e ( t ) + C m ( t )) + Vb C b ( t ) (2) dove C( t ) è la concentrazione di [18F] all’interno della regione tessutale esaminata, C b ( t ) è la concentrazione nel sangue intero e Vb è un termine necessario per tener conto della presenza del volume vascolare all’interno delle ROI (Regioni di Interesse) esaminate. Dalla stima dei parametri del modello del 18FDG si passa poi, utilizzando le equazioni del modello del glucosio in stato stazionario, alla stima della velocità di utilizzazione del glucosio, attraverso la seguente formula: Ri = dove k 1k 3 C pg k 2 + k 3 LC C pg (3) è la concentrazione plasmatica di glucosio (mg/dl) e LC è la cosidetta Lumped Constant, nota da esperimenti indipendenti, che rende conto del fatto che il [18F]FDG non è un tracciante ideale ma un analogo del glucosio (Fig. 2). Il modello (1) ha tra le sue assunzioni quella di omogeneità del tessuto. La facilità con cui, nelle ROI cerebrali, si riscontra la presenza di almeno due tessuti, quali la materia bianca e la grigia che hanno caratteristiche diverse di perfusione e velocità di metabolizzazione, hanno portato nel 1992 Schmidt [SCM92] a proporre un modello matematico che tenesse conto della possibile composizione eterogenea del tessuto cerebrale. Il tessuto è considerato composto da n sottoregioni tessutali omogenee, ognuna di esse descritta dal modello (1), mentre il compartimento plasmatico è considerato omogeneo. Il modello è troppo complesso per poter essere identificato ma possono essere introdotti dei parametri tempo varianti : C& e ( t ) = k1C p ( t ) − (k 2 ( t ) + k 3 ( t )) Ce ( t ) Ce (0) = 0 C& m ( t ) = k 3 ( t ) Ce ( t ) C m (0) = 0 -23- (4) dove k 2 ( t ) rappresenta il parametro di trasferimento del 18FDG dal tessuto eterogeneo al plasma e k 3 ( t ) il parametro di fosforilazione (addizione dei gruppi PO4) del 18FDG nel tessuto eterogeneo e infine Ce e C m le medie pesate della concentrazione di 18FDG e di 18FDG-6-P nel tessuto eterogeneo. Per l’identificazione del modello (4), si associa ai parametri tempo-varianti k 2 ( t ) e k 3 ( t ) una descrizione parametrica, ad es. esponenziale: k 2 ( t ) = k 2 (1 + αe − βt ) k 3 ( t ) = k 3 (1 + αe − βt ) (5) Identificato il modello, si può calcolare la velocità di utilizzazione del glucosio come: Ri = k1k 3 C pg k 2 + k 3 LC 2.5 Produzione e utilizzo ospedaliero dei radioisotopi I moderni impianti di produzione di isotopi consistono spesso in un compatto ciclotrone per la produzione di ioni H con un’energia compresa fra i 10 ed i 30 MeV; i radioisotopi prodotti per applicazioni mediche sono utilizzati nell’ambito della medicina nucleare per effettuare delle diagnosi. Contrariamente agli studi con i raggi X dove si possono ottenere solo informazioni statiche, l’utilizzo di metodiche di medicina nucleare (ad esempio la PET) [FH] permette di avere informazioni sulla funzionalità degli organi ed apparati. Le molecole marcate ed i radioisotopi che vengono utilizzati devono rispondere a determinate caratteristiche: a) non devono esserci decadimenti β. b) Tempo di emivita breve. c) L’energia delle emissione γ deve essere compresa in un range fra i 100 ed i 300 KeV. Queste caratteristiche permettono di ottenere la massima accuratezza nella diagnosi e di dare la minima dose al paziente. La produzione dei radioisotopi usati in medicina nucleare può essere fatta utilizzando bersagli solidi, liquidi e gassosi. -24- 2.5.1 I bersagli La scelta del materiale con cui costruire il bersaglio dipende dallo specifico processo di produzione del nucleotide; benché una regola generale non esista, vi sono alcuni aspetti comuni che devono essere considerati riguardanti il bersaglio come: l’attivazione, la contaminazione, la corrosione ed il raffreddamento [HMQ87]. Questi parametri dipendono dal tipo di particelle incidenti, dall’energia del fascio, dalla corrente del fascio e dal materiale di cui è il bersaglio è costituito. Si dovrebbe utilizzare i seguenti criteri generali: • Spessore compreso fra 1―200 µm. • Alta resistenza meccanica. • Buona conducibilità termica. • Alto punto di fusione. • Resistenza chimica all’ossidazione. Dopo l’irraggiamento l’isotopo prodotto si trova ancora nella matrice bersaglio (solido) o all’interno del recipiente bersaglio (gas o liquido). In entrambi i casi l’attività deve essere trasferita dalla stazione di irraggiamento in una camera calda per ulteriori processi. Questo trasferimento deve avvenire in completa sicurezza, in maniera affidabile, spesso velocemente e può essere fatto sia manualmente che automaticamente. Per motivi legati alla radioprotezione e per la sicurezza dei lavoratori si predilige un trasferimento automatico. I sistemi di trasporto più comunemente usati sono dispositivi trasportatori (se si utilizzano dei bersagli solidi) e tubazioni (se si utilizzano dei bersagli liquidi o gassosi) [PSS83]. 2.5.2 L’automazione Per la produzione di routine (spesso giornaliera), un sistema computerizzato controllato da un microprocessore è assolutamente necessario e la possibilità di poter lavorare sia in modalità automatica che semi-automatica garantisce un’elevata affidabilità del processo produttivo insieme ad un costante controllo della qualità. Inoltre l’utilizzo di comandi a distanza per maneggiare il bersaglio, permette di evitare un assorbimento troppo elevato di dose da parte del personale. Per quanto riguarda i radioisotopi prodotti dai ciclotroni per utilizzo medicale si possono individuare delle caratteristiche comuni per la produzione di questo tipo di radionuclidi: • Energia dei protoni compresa fra i 10 ed i 30 MeV. • Isotopi arricchiti per il materiale bersaglio. • Recupero del materiale bersaglio. • Utilizzabilità commerciale. -25- Tabella riassuntiva dei più comuni radioisotopi prodotti per uso medico: Radioisotopo Tempo di Emivita Reazione nucleare (ore) Energia di Bombardamento (MeV) Gallio-67 78.3 Zn-68→67Ga 25 Brominio-77 57 Kr-78→Br-77 30 Rubidio-81 4.6 Kr-82→Rb-81 30 Indio-111 67.2 Cd-112→In111 22 Iodio-123 13.2 Xe-124→123I 30 Tallio-201 73.1 Tl-203→Tl-201 20 Fluoro-18 1.8 O-18→F-18 18 Azoto-13 0.2 O-16→13N 18 -26- 3. Il ciclotrone 3.1 Principi fisici e proprietà Il ciclotrone è un acceleratore circolare che sfrutta il fatto che una particella carica in presenza di un campo magnetico è soggetta alla forza di Lorentz, [CA92] e descrive una traiettoria circolare con una frequenza di rivoluzione che dipende solo dall’intensità del campo magnetico e dalla massa e dalla carica della particella stessa; finché gli effetti relativistici si possono trascurare, si può considerare tale frequenza indipendente dall’impulso della particella. Se si sottopone la particella ad un’accelerazione mediante l’azione di sistemi a radiofrequenza (RF), la variazione dell’impulso (classicamente, il vettore quantità di moto p = mv) implica l’aumento del raggio di curvatura della traiettoria: il percorso non è più circolare, ma ha la caratteristica forma a spirale. Negli anni ‘30 E.O. Lawrence ebbe l’idea [RR82] di sfruttare questo fenomeno per produrre fasci energetici di particelle e, con M.S. Livingston, realizzò il primo ciclotrone, con una configurazione rimasta ancor oggi sostanzialmente invariata. 3.1.1 Il ciclotrone classico. La configurazione del ciclotrone classico è quella ideata da Lawrence e Livingstone nel 1930. La forza di Lorentz alla quale è sottoposta una particella di massa m e carica q in presenza del solo campo magnetico B è data dal prodotto vettoriale: F = qv x B (si veda l’illustrazione in figura). Il lavoro L = F·s compiuto dalla forza sulla particella è nullo, perché essa è perpendicolare alla velocità e quindi allo spostamento: la particella non varia la sua energia cinetica e si muove su un piano ortogonale alla direzione del campo magnetico. Vale quindi l’uguaglianza fra la forza magnetica e la forza centripeta: F = qvB = mv²/r. Da questa relazione si può quindi ricavare il raggio r della circonferenza descritta dalla particella in base al valore del campo magnetico applicato: r = mv/qB -27- Si vede quindi che per accelerare particelle pesanti (alta massa m) a energie elevate (alta velocità v) servono ciclotroni di grandi dimensioni (alto raggio r); per mantenere sufficientemente limitate le dimensioni spaziali, è necessario applicare un elevato – e costoso! – campo magnetico B. La particella percorre la circonferenza con un periodo T = 2πr/v = 2πm/qB: si osservi che il periodo non cambia se m e B restano costanti. Le particelle cariche da accelerare possono essere prodotte da una sorgente interna o iniettate dall’esterno con particolari linee di trasporto al centro della macchina, dove è presente il campo magnetico prodotto da un elettromagnete, che costringe le particelle su circolare. Il una gap traiettoria centrale è delimitato da due elettrodi (detti Dee, perché nei primi ciclotroni avevano una forma simile alla lettera D; si veda la figura) ai quali è applicata una differenza di potenziale alternata, regolata in modo che si inverta ogni mezzo periodo. La fase della tensione è regolata in modo che, in prossimità del gap, la particella positiva incontri l’elettrodo carico negativamente, che l’attrae e l’accelera. Superato il gap, la particella accelerata continua a muoversi nel dee sottoposta solo all’azione del campo magnetico e percorre una semicirconferenza con un raggio maggiore, perché ha acquistato velocità. Ciò si ripete ogni T/2: l’aumento della velocità causa l’aumento del raggio della traiettoria e la particella descrive all’interno della macchina una spirale. Occorre osservare che alla base del corretto funzionamento dell’acceleratore vi è la sincronizzazione tra campo elettrico e campo magnetico. Nei ciclotroni classici, l’aumento dell’energia della particella è limitato dal verificarsi degli effetti relativistici: la crescita dell’energia in una particella con una velocità prossima a quella della luce induce un aumento della massa della particella stessa, e per questo oltre un certo limite si perde -28- l’isosincronismo. Questo inconveniente è risolvibile variando col tempo la frequenza dell’oscillatore, come nel sincrotrone, oppure applicando un campo magnetico B costante nel tempo e dipendente dal raggio dell’orbita della particella, come nei ciclotroni isocroni più moderni. 3.1.2 Il sincrociclotrone. Nel sincrociclotrone [PP84], il limite di energia presente nel ciclotrone classico è superato variando la frequenza di accelerazione e modulandola in funzione dell’aumento di energia della particella. Ciò si realizza inserendo nel circuito elettrico della macchina un elemento che abbassa la frequenza dell’oscillatore e permette di mantenere in fase sia il voltaggio sia il fascio. Lo svantaggio maggiore di questo acceleratore è che l’intensità della corrente prodotta è bassa. Infatti, i ciclotroni forniscono un fascio pulsato con una frequenza dell’ordine dei 5-70 MHz (onda continua) e con un duty (rapporto fra l’intervallo di tempo in cui il fascio è accettato ed accelerato ed il periodo della frequenza di accelerazione) dell’ordine di 0,1-0,4; invece, nel sincrociclotrone il fascio è frazionato sia a causa della frequenza di accelerazione, sia a causa della periodicità con cui la frequenza varia nell’intervallo necessario a mantenere l’isosincronismo di rivoluzione: solo quando il pacchetto di particelle accelerato è portato ad alte energie, l’oscillatore può tornare alla frequenza di partenza per accelerare un nuovo pacchetto. Questa operazione richiede un tempo dell’ordine di 10-2 secondi ed il duty factor si riduce a 0,001, con una notevole riduzione dell’intensità del fascio. 3.1.3 Il ciclotrone AVF o isocrono. I ciclotroni AVF (Azimuthally Varing Field) hanno una frequenza di accelerazione costante, mentre l’isocronismo si ottiene variando il campo magnetico in funzione del raggio della traiettoria della particella. Si producono fasci energetici come quelli del sincrociclotrone, ma più intensi, perché frammentati in una serie infinita di impulsi di frequenza dell’ordine dei 5-10 MHz. In particolare, il campo magnetico aumenta radialmente: ciò riduce l’effetto di focalizzazione verticale, fenomeno che si può contrastare variando l’intensità del campo anche azimutalmente, cioè introducendo la focalizzazione a settori o di Thomas. Questo metodo sfrutta il rapporto tra i valori assunti dal campo magnetico nei diversi settori della macchina ed è alla base del funzionamento dei ciclotroni moderni. -29- 3.1.4 Il ciclotrone superconduttore. Nella maggior parte dei ciclotroni, il campo magnetico è prodotto da magneti e bobine a temperatura ambiente e può raggiungere un’intensità massima di 2 Tesla; è quindi necessario disporre di una macchina con raggio tanto più grande quanto più è elevata l’energia del fascio da produrre. Nei ciclotroni superconduttori, il campo magnetico è alimentato con bobine superconduttrici: si producono campi con un’intensità di 4-5 Tesla riducendo le dimensioni del magnete di un fattore 4-5. 3.1.5 Il sincrotrone. Approssimativamente, la massa di ferro necessaria per creare il campo magnetico all’interno dell’acceleratore cresce con il cubo del diametro del polo [RR82]: questa relazione costituisce un limite economico per le macchine finora descritte nel caso in cui si vogliano ottenere fasci molto energetici, perché il loro costo di realizzazione sarebbe molto alto. Per la produzione di fasci di alta energia si utilizzano i sincrotroni. In queste macchine, le particelle non hanno una traiettoria a spirale, ma ruotano in orbite di raggio costante in presenza di un campo magnetico variabile, che aumenta nel tempo con la loro velocità (ricordiamo che r = mv/qB). Si raggiungono così energie fino a 100 volte più grandi di quelle permesse dagli altri acceleratori. I sincrotroni sono costituiti da un insieme di magneti disposti su una circonferenza di raggio opportuno: risulta evidente il risparmio economico, in quanto non è necessario applicare un campo magnetico nell’intera area della circonferenza. Le particelle vengono accelerate lungo una traiettoria costante: si aumenta la frequenza dell’oscillatore in sincronia con la variazione della velocità degli ioni. In particolare, si accelerano pacchetti di particelle: dopo l’accelerazione di un pacchetto è necessario riportare il campo magnetico e la frequenza ai valori iniziali prima di poter accelerare un nuovo pacchetto. Come già visto nei sincrociclotroni, queste sono operazioni che richiedono tempi relativamente lunghi, che incidono sull’intensità dei fasci prodotti e che richiedono complessi sistemi di controllo. Tabella: somiglianze e differenze tra i vari tipi di acceleratori circolari Ciclotroni a frequenza fissa Ciclotroni a frequenza modulata Sincrotroni Campo magnetico Costante Costante Aumenta Raggio dell’orbita Aumenta Aumenta Costante Frequenza dell’oscillatore Costante Diminuisce Aumenta -30- 3.2 Iniezione ed estrazione del fascio L’iniezione e l’estrazione del fascio nei ciclotroni possono essere realizzate in diversi modi. La scelta dei sistemi più adatti dipende sia dalla macchina sia dalle caratteristiche del fascio; bisogna curare con attenzione questi sistemi perché è in fase di iniezione e di estrazione che si verifica la maggior perdita di intensità del fascio. 3.2.1 L’iniezione Il sistema di iniezione dipende essenzialmente dal tipo di sorgente adoperata per la creazione del fascio. Nei primi ciclotroni si utilizzavano delle sorgenti interne, poste al centro della macchina, ma ciò limitava enormemente le capacità delle macchine e le energie raggiungibili. Negli acceleratori moderni, il fascio è prodotto esternamente e spesso, quando è iniettato nella macchina,è gia stato accelerato da altri dispositivi. L’iniezione dipende anche dalle caratteristiche delle particelle utilizzate: particelle cariche richiedono accorgimenti differenti da quelle neutre ed anche il rapporto carica-massa influisce sulla dinamica dell’iniezione. I sistemi di iniezione si possono distinguere in: a) sistemi di iniezione di fasci neutri; b) sistemi di iniezione radiale; c) sistemi di iniezione assiale. Iniezione di fasci neutri Per limitare gli effetti del campo elettrico e di quello magnetico sulla dinamica di ingresso, si possono iniettare nel ciclotrone fasci di particelle neutre con un’energia iniziale appropriata. Un metodo per l’accelerazione di fasci neutri è quello ideato dal gruppo Keller del CERN: una sorgente polarizzata posta sul piano mediano del ciclotrone produce degli atomi neutri che vengono polarizzati per bombardamento elettronico; in questo modo si ottengono dei fasci di bassa energia, detti thermal velocity beam. -31- Iniezione radiale In alcuni sistemi di accelerazione, il fascio è prodotto da sorgenti esterne e, talvolta, giunge al ciclotrone già preaccelerato da altri acceleratori, come i Linac. I sistemi di iniezione radiale consentono di trasportare il fascio all’interno del ciclotrone conservandone le caratteristiche; l’iniezione avviene con dei deflettori elettrostatici e si può realizzare sia nei ciclotroni a settori separati sia in quelli compatti. Si veda in figura uno schema di un ciclotrone con iniezione radiale Iniezione assiale Il trasporto del fascio prodotto da una sorgente esterna fino al centro del ciclotrone può avvenire mediante linee di iniezione verticali provenienti sia dall’alto che dal basso; in prossimità del piano mediano la traiettoria deve curvare di 90°, in modo da raggiungere la posizione di inizio della fase di accelerazione. Questa tipologia di sistemi è oggi la più utilizzata. Ancora, si veda nella figura a fianco uno schema di ciclotrone con iniezione assiale. 3.2.2 L’estrazione L’estrazione del fascio è una delle fasi più complesse del processo di accelerazione e dipende soprattutto dalle caratteristiche del fascio estratto. I metodi di estrazione più utilizzati sono: • estrazione mediante deflettori elettrostatici; • estrazione per stripping. -32- Estrazione mediante deflettori elettrostatici Storicamente, è questo il primo metodo di estrazione messo a punto e sfrutta l’azione di deflettori elettrostatici che guidano il fascio fuori dal ciclotrone. Quando le particelle raggiungono l’energia finale, si trovano in orbita nella regione più esterna della macchina: qui viene posto un deflettore elettrostatico, che produce un campo elettrico radiale diretto verso l’interno. La forza dovuta alla presenza del campo elettrico spinge le particelle cariche positivamente verso l’esterno: pertanto il raggio di curvatura aumenta e le particelle sono deflesse fuori dall’acceleratore. Il deflettore è costituito da due elettrodi incurvati ed ha una struttura simile ad un condensatore cilindrico; l’elettrodo interno è a massa, quello esterno è invece ad una tensione opportuna. Il maggior inconveniente di questo sistema è che parte del fascio colpisce l’elettrodo interno: ciò riduce l’efficienza di estrazione e causa l’attivazione dell’elettrodo e di altre componenti del sistema. Affinché l’efficienza di estrazione sia migliore (con conseguente riduzione del fenomeno di attivazione), è necessario che le orbite siano ben separate. Per migliorare l’efficienza di estrazione, bisogna fare in modo che il raggio di estrazione del ciclotrone sia grande ed il guadagno di energia per ogni giro sia alto. Nei ciclotroni in cui la separazione delle orbite non è abbastanza grande, si interviene sulla dinamica del fascio con perturbazioni magnetiche (risonanze): questo permette di aumentare leggermente il gap fra le orbite. Nella figura si vede uno schema dell’estrazione mediante deflessione elettrostatica. Estrazione per stripping Questo metodo è utilizzabile solo per le particelle accelerate che hanno ancora qualche elettrone legato: pertanto non è possibile applicarlo per estrarre protoni e ioni positivi completamente ionizzati, come ad es. 6+ 12C . In prossimità del raggio di estrazione, si posiziona un foglio di carbonio di spessore 50 – 200 µg/cm². Quando il fascio attraversa il foglio, le particelle -33- accelerate perdono gli elettroni: cambia così il rapporto carica/massa degli ioni e di conseguenza il raggio di curvatura della traiettoria, che esce dall’acceleratore. L’efficienza di questo sistema di estrazione è molto alta, talvolta raggiunge anche il 100%, anche per fasci di intensità elevata; l’attivazione dei componenti è piccola e quindi è possibile modificare le componenti dell’acceleratore in poco tempo. Inoltre, si può variare l’energia del fascio in uscita semplicemente variando la posizione del foglio di carbonio o anche ottenere due fasci di energie diverse contemporaneamente. I vantaggi di questo sistema fanno sì che sia il metodo più utilizzato nei ciclotroni che accelerano ioni H per applicazioni medicali e per la produzione di radioisotopi. Nella figura si vede uno schema dell’estrazione per stripping di un fascio di ioni H. 3.3 I ciclotroni commerciali. Subito dopo l’avvento del ciclotrone AVF si incominciò ad avere un utilizzo commerciale ed industriale dei ciclotroni per applicazioni specifiche, soprattutto in medicina per la produzione di radioisotopi e per la terapia del cancro. Negli anni 60 molte aziende si cercarono di inserirsi in questo mercato (per esempio AEG, Philips, Scanditronix, the Cyclotron Corporation, Thompson- CSF/CGR). Circa quindici anni più tardi tuttavia molte di queste aziende ridussero o fermarono i loro sforzi nello sviluppo e nella commercializzazione dei ciclotroni poiché si rivelarono necessari investimenti in campi di ricerca correlati ai ciclotroni come per esempio nella radiochimica, nello sviluppo di tomografi ad emissione di positroni (PET) e studi sulla fattibilità di terapie anticancro utilizzando neutroni oppure particelle cariche. Oggi il numero di piccoli ciclotroni, dedicati ad uso commerciale e medico, cresce rapidamente. La lista delle aziende produttrici contiene molti nuovi nomi come CTI PET Systems/Siemens, IBA, EBCO, Oxford Instruments ecc ecc. Molti ospedali oggi sembrano essere pronti per installare un proprio ciclotrone. Tutte queste apparecchiature sono ottimizzate per il loro uso specifico e sono state costruite nella maniera più semplice e rese di facile utilizzo per gli operatori. -34- 4. Il ciclotrone di Pavia presso il L.E.N.A. Il 9 luglio 2007, alla presenza del Rettore dell’Università degli Studi di Pavia, Angiolino Stella, e del Presidente della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, Aldo Poli, è stato inaugurato presso il L.E.N.A. (Laboratorio Energia Nucleare Applicata) l’impianto per la produzione di radioisotopi per uso medicale. Analizziamo ora la genesi e le principali caratteristiche del nuovo ciclotrone di Pavia. Esso appartiene al modello Cyclone 18/9: è realizzato dalla ditta IBA sulla base della tecnologia “Deep Valley” e accelera ioni negativi con un’efficienza di estrazione vicina al 100% [IBA]. 4.1 Caratteristiche del progetto. Nel corso del 2003 era stato presentato un progetto per l’installazione di un ciclotrone a Pavia che può essere utilizzato per la produzione di vari tipi di isotopi per utilizzo medico e per la ricerca scientifica. Le dimensioni e la configurazione del bunker/ciclotrone sono tali da permettere la successiva installazione di più linee per l’estrazione di fasci esterni. Lo spessore delle pareti del bunker supera i 2.10 m di spessore di calcestruzzo, per schermare i neutroni prodotti durante il funzionamento dell’acceleratore. I bersagli che è possibile utilizzare sono 8 e possono essere direttamente montati sulla macchina; inizialmente si prevede l’installazione di 3 bersagli operativi: due per il Fluoro-18 (uno di piccolo volume, 0,4 ml, ed uno di grande volume, 2 ml) ed uno per l’Azoto-13, tutti allo stato liquido. Successivamente sarà possibile anche aggiungere i bersagli allo stato gassoso per l’Ossigeno-15, Carbonio-11 e ancora Fluoro-18; le rimanenti porte potranno essere utilizzate nel futuro per aggiungere ulteriori bersagli dedicati alla PET o a bersagli allo stato solido come lo Iodio-124. Ogni notte verranno prodotti i radioisotopi necessari al funzionamento del reparto (di prossima apertura) di Medicina Nucleare del Policlinico San Matteo di Pavia in modo che essi siano immediatamente disponibili per l’inizio della giornata lavorativa; si utilizzerà per l’attività clinica il già citato Fluoro-18 e per l’attività di ricerca, sempre in ambito medico/clinico, l’Azoto-13. -35- Inizialmente è previsto il trasporto dei radioisotopi attraverso l’uso di un contenitore schermato che verrà trasportato “manualmente” dal LENA al reparto (si veda la foto pagina precedente); in un momento successivo si creerà un collegamento diretto tramite l’utilizzo di un sistema pneumatico ad aria compressa che prevede l’invio dei contenitori con i radioisotopi attraverso dei tubi spinti appunto da aria ad alta pressione. 4.2 Il sistema di bersagli. Il ciclotrone di Pavia accelera ioni negativi con un’efficienza di estrazione vicina al 100% [IBA]. Nell’accelerazione di ioni negativi (H- o D-) la massima corrente garantita per gli ioni idrogeno è di 80 µA, per i deutoni è di 40 µA. Per entrambe le particelle è possibile utilizzare il doppio fascio, cioè bombardare due bersagli contemporaneamente, con la possibilità di modificare il bilanciamento della corrente tra i due bersagli. L’irraggiamento simultaneo di due bersagli è disponibile nella configurazione di base di tutti i ciclotroni IBA; questo permette di produrre due diversi isotopi nello stesso momento, oppure di raddoppiare la produzione di un solo isotopo bombardando due bersagli identici. La corrente può essere opportunamente bilanciata fra i due target, da un minimo del 10% ad un massimo del 90% del totale. 4.2.1 Produzione di 18F Il Fluoro-18 viene prodotto attraverso la reazione nucleare 18 O + p 18F + n utilizzando come bersaglio acqua arricchita con 18O che viene bombardata con protoni. Per la produzione di 18 F, da cui sintetizzare FDG, vi sono tre tipi di bersagli, uno di piccolo volume (0,45 ml), uno di medio volume (1,0 ml) ed uno di grande volume (2,0 ml) che possono essere montati sul Cyclone 18/9. I bersagli sono realizzati in argento, in titanio e in niobio. La resa dei bersagli in titanio è inferiore a quella dei bersagli in argento a causa della minore conducibilità termica del titanio che non permette di raggiungere i massimi valori di corrente. Il bersaglio in niobio permette di ottenere le stesse prestazioni di quello in argento eliminando l’inconveniente del rilascio di articolato all’interno del corpo del bersaglio stesso. Il bersaglio di piccolo volume consente di produrre, in un’ora di irraggiamento con il ciclotrone da 18 MeV, una quantità di FDG sufficiente per il funzionamento giornaliero di due tomografi PET in parallelo con un grande risparmio sul consumo di acqua arricchita. Nella tabella qui sotto, si vedono le quantità di 18F e FDG ottenibili con i diversi volumi con un irraggiamento di una o due ore. -36- Ciclotrone 18 MeV Volume del target 18 0,45 ml @ 15 µA 1000 mCi 500 mCi 1,0 ml @ 22 µA 1600 mCi 800 mCi 2,0 ml @ 40 µA 3000 mCi 1500 mCi 0,45 ml @ 15 µA 1600 mCi 800 mCi 1,0 ml @ 22 µA 2600 mCi 1300 mCi T=120m 2,0 ml @ 40 µA 5000 mCi 1500 mCi F FDG T=60m Passando al doppio bombardamento, sempre con la stessa corrente per ciascun bersaglio, le rese raddoppiano quasi esattamente. In realtà si ha una diminuzione del 10% del valore globale (9 Ci anziché 10 Ci di 18F con i bersagli a grande volume) perché la focalizzazione del fascio quando si utilizzano due bersagli non riesce ad essere altrettanto perfetta che con l’uso di un singolo target. Le finestre dei bersagli sono raffreddate con un flusso di elio. L’elio viene fatto circolare in un circuito chiuso che include un compressore ed uno scambiatore di calore. Il materiale usato e lo spessore di ciascuna finestra dipendono dal tipo di target. 4.2.2 Produzione di 13N L’azoto-13 viene prodotto attraverso la reazione nucleare 16 O + p 13N + α utilizzando come bersaglio ossigeno naturale che viene bombardato con protoni. Nel target si forma direttamente ammonia eliminando così la necessità di successivi moduli di sintesi. Le finestre dei bersagli sono raffreddate con un flusso di elio, analogamente a quanto visto per il fluoro-18. I bersagli sono simili a quelli di grande volume utilizzati per il 18 F. Nelle tabelle sottostanti sono sintetizzate le principali caratteristiche di tale metodologia. Dimensioni esterne dei bersagli Lunghezza: 85 mm; Diametro: 64 mm Volume irraggiato 1,7 ml Volume totale del bersaglio < 2 ml Materiale del target Alluminio Materiale da bombardare Acqua naturale (5 mMol di Etanolo) Materiale della finestra Havar alloy -37- Spessore della finestra 25 microns Pressione riempimento target 20 bar Raffreddamento del target Acqua a temperatura ambiente Particelle del fascio Protoni Tasso di produzione di 13N con bombardamento di un singolo bersaglio: Energia del fascio 18 MeV Energia effettiva sul bersaglio 16 MeV Resa alla saturazione 38 mCi/µA Attività dopo 15 minuti di irraggiamento > 400 mCi Forma chimica dopo l’irraggiamento NH3 4.2.3 Altri sistemi di bersagli Con le 8 porte di uscita il Cyclone 18/9 offre un alto livello di flessibilità in termini del numero di bersagli pronti per la produzione e di bersagli disponibili come back-up. Il ciclotrone è stato progettato per garantire la massima flessibilità nello sviluppo del target; i bersagli sono distribuiti radialmente attorno al ciclotrone e le porte sono sufficientemente grandi da permettere l’installazione di target costruiti ad hoc dagli utilizzatori, di sistemi per l’estrazione del fascio e di bersagli solidi. E’ possibile collegare alle porte alcune linee per estrarre il fascio e portarlo su target posizionati a qualche metro dalla macchina o in stanze adiacenti. Nel caso di un problema su una delle porte durante l’irraggiamento, un bersaglio di back-up può essere immediamente attivato e la produzione può continuare; il cambio del bersaglio è un’operazione completamente automatica ed occorrono pochi minuti per iniziare una nuova produzione con un target diverso includendo il tempo necessario per il condizionamento del target stesso (riempimento, raffreddamento ecc.) e l’ottimizzazione del fascio sul bersaglio. Alla fine dell’irraggiamento, il radioisotopo viene automaticamente trasferito nei moduli di sintesi. -38- 4.3 Le parti principali del ciclotrone 4.3.1 Sorgente di ioni Il sistema Cyclone è dotato di due sorgenti PIG a catodo freddo, una per la produzione di ioni H e l’altra per la produzione di deutoni. Entrambe le sorgenti creano un arco elettrico di 500 mA con 800 V di potenziale. Le sorgenti sono collocate nelle due “valli” che non ospitano gli elettrodi “Dee” di accelerazione. Con il Cyclone passare dal fascio di protoni a quello di deutoni richiede meno di qualche minuto (inclusa l’ottimizzazione del fascio sul bersaglio). L’operazione è completamente automatica essendo pilotata dal sistema di controllo senza necessità di interventi da parte dell’operatore. 4.3.2 Sistema magnetico Il campo magnetico esterno è molto basso, infatti scende sotto i 5 Gauss all’interno del locale ciclotrone; in questo modo è possibile evitare problemi e anomalie dovuti a disturbi da campi magnetici. La tecnologia dei ciclotroni a polo compatto prevede che la distanza tra i due poli dell’acceleratore sia tale da permettere l’alloggiamento degli elettrodi di accelerazione (la cui altezza è sempre superiore ai 3 cm). Nel Cyclone 18/9 si utilizza la tecnologia “Deep Valley” che combina quattro settori di acciaio e quattro valli per ciascun polo. Il gap è di soli 3 cm tra i settori e di 120 cm tra le valli. Nelle valli vengono alloggiati tutti i sottosistemi principali come gli elettrodi accelerazione (i Dees) e le sorgenti di ioni. Il campo magnetico risulta di 1,90 Tesla nei settori, e di 0,35 Tesla nelle valli; il campo medio è di 1,30 Tesla. Questa soluzione migliora l’efficienza complessiva del ciclotrone, diminuisce la richiesta globale di energia per il funzionamento del sistema e offre altri vantaggi quali: • Grande focalizzazione del fascio; l’elevato gradiente di campo magnetico nel piano di accelerazione tra le zone con campo elevato (i settori) e quelle con basso campo (le valli) determinano un effetto di focalizzazione del fascio nel piano ortogonale alla direzione di propagazione del fascio. • Distanza ridotta fra i settori; la riduzione del gap fra i poli (3 cm) permette di utilizzare un numero inferiore di ampere-spire negli avvolgimenti primari per ottenere lo stesso valore di campo magnetico, riducendo così la richiesta di energia elettrica del magnete, inferiore ai 15 KW. • Riduzione dell’attività residua; la maggior parte dei sotto-sistemi (per esempio gli elettrodi di accelerazione) non sono posizionati nel piano di accelerazione ma nelle valli e sono così protetti dalle perdite del fascio. -39- • Bassa impedenza capacitiva degli elettrodi dees; quando gli elettrodi a radiofrequenza sono posizionati tra i poli, l’impedenza capacitiva globale del sistema è alquanto elevata. La perdita di corrente a radiofrequenza e la dissipazione che ne consegue hanno quindi valori rilevanti. Nel Cyclone, gli elettrodi di accelerazione (dees) ampi solo 30° sono interamente posizionati nelle valli riducendo così l’accoppiamento capacitivo del sistema. La potenza di radiofrequenza dissipata ha perciò valore valori molto bassi contribuendo a ridurre il surriscaldamento del ciclotrone. • Bassi costi di esercizio; la struttura magnetica del ciclotrone riduce significativamente la potenza totale richiesta dal sistema rispetto rispetto ai ciclotroni a polo compatto permettendo un notevole risparmio sui costi di gestione. Questo significa minore consumo di energia elettrica e minori esigenze sul sistema di raffreddamento. Il consumo totale durante il bombardamento risulta inferiore a 42 KW. Tabella dei consumi del ciclotrone: MAGNETE < 15 KW RADIOFREQUENZA < 15 KW POMPE A VUOTO < 6 KW SISTEMA DI RAFFREDDAMENTO < 5 KW SORGENTE < 1 KW 4.3.3 Utilizzo di un piano di accelerazione orizzontale Nel Cyclone 18/9 si utilizza un piano di accelerazione orizzontale che porta ad ottenere i seguenti vantaggi: • Esposizione minima del personale durante l’attività di manutenzione; nei ciclotroni con piano di accelerazione verticale i targets non possono essere posizionati ad uguale distanza gli uni dagli altri nel piano mediano, ma devono essere raggruppati in una sola zona, mentre i bersagli usati in questo tipo di ciclotrone non sono raggruppati con il vantaggio che ciascun target è parzialmente schermato dalla struttura stessa della macchina. Ciò permette un facile accesso ed una più semplice manutenzione ai bersagli anche immediatamente dopo l’irraggiamento, minimizzando l’esposizione del personale che quando lavora su un qualsiasi bersaglio è sempre lontano da altri target eventualmente attivati. Quando i bersagli sono raggruppati da una sola parte del ciclotrone, lavorando su uno dei target, non è possibile evitare l’irraggiamento proveniente dagli altri. Inoltre, durante la manutenzione all’interno di una macchina verticale il personale ha facilmente accesso a tutti i sottosistemi ma è anche completamente esposto in tutto il corpo all’attività residua di tutte le parti della macchina -40- eventualmente attivate. Al contrario, nei sistemi Cyclone il personale è protetto dalle radiazioni dalla struttura stessa del giogo del ciclotrone: grazie alla forma circolare del giogo il personale ha facile accesso con le mani a tutti i sottosistemi della macchina senza essere esposto al piano mediano (ad esempio durante la sostituzione dei sistemi di estrazione) • Target esterni; le caratteristiche di questo ciclotrone consentono di adattare facilmente altri bersagli a ciascuna delle otto porte di uscita o di collegare una o più linee esterne per il trasporto del fascio. Possono essere utilizzate 3 tipi di linee esterne, una estremamente corta per posizionare il bersaglio nelle adiacenze del giogo del ciclotrone, una lunga 1,5 metri ed una di 6 metri di lunghezza per arrivare ed irraggiare un target posto in un altro bunker adiacente alla camera del ciclotrone. • Miglior livello di vuoto; nei ciclotroni verticali non c’è un accesso diretto per il pompaggio al piano mediano di accelerazione e le pompe a vuoto sono posizionate di fianco alla macchina. Nei ciclotroni a struttura orizzontale, il vuoto è più omogeneo nel piano di accelerazione in quanto la conducibilità del vuoto e l’efficienza del pompaggio sono estremamente elevate grazie alle pompe a diffusione che hanno accesso diretto al piano mediano. Nel Cyclone 18/9 le pompe sono 4 e sono montate sotto il ciclotrone. 4.3.4 Sistema a radiofrequenza Il sistema a radiofrequenza (RF) genera il campo elettrico che estrae le particelle dalla sorgente ed accelera gli ioni attraverso i Dees. Tramite la RF le particelle acquisiscono energia ad ogni rivoluzione fino a raggiungere il raggio di estrazione. Il sistema consiste di una cavità risonante a RF all’interno della camera a vuoto del ciclotrone, un meccanismo di sintonizzazione della cavità, un generatore di radiofrequenza di 15 KW di potenza ed un rack di controllo per la radiofrequenza. Il generatore di RF da 15 KW alimenta la cavità risonante attraverso un cavo coassiale da 50 Ohm. L’energia del campo a RF è accoppiata induttivamente alla cavità dove due elettrodi (dees) sono fissati da un lato da due sostegni verticali di rame che sono risonanti ad un quarto della lunghezza d’onda. I Dees, ampi 30°, sono posizionati in due valli opposte e collegati tra loro al centro del piano di accelerazione. I piani di ciascun dee presentano sopra e sotto una struttura aperta per favorire il pompaggio del vuoto. Le cavità risonanti di rame sono posizionate interamente nelle valli. Il rack dedicato controlla il generatore di RF a 15 KW e contiene il cristallo oscillatore e tutti i circuiti necessari per controllare la sintonizzazione della cavità risonante. Per sintonizzare la cavità, si utilizza la piastra di un condensatore che viene posizionata nella cavità stessa per ottenere la frequenza di risonanza. I due elettrodi Dees lavorano alla stessa frequenza sia per accelerare protoni che deutoni evitando così la necessità di sintonizzare l’amplificatore a RF passando da un tipo di particelle all’altro. Il sistema a RF è inoltre completamente automatico e include tutti i necessari interlock di sicurezza. -41- 4.3.5 Sistema di estrazione Di fronte a ciascuno degli otto bersagli è posizionato un sistema fisso dedicato di estrattori, ciascuno dotato di due “stripper foils”. Perciò ogni bersaglio è completamente indipendente, con il suo proprio sistema di estrazione, due lamine di carbonio ed un sistema dedicato di raffreddamento. Ciò rappresenta un enorme vantaggio: nel caso si presenti un problema su un sistema di estrazione solo un target non è più operativo. Se il sistema di estrazione fosse condiviso da più bersagli (come avviene spesso nei ciclotroni), tutti i target sarebbero inutilizzabili in caso di un problema sul sistema stesso. Inoltre la funzionalità del doppio bombardamento (dual beam) non sarebbe in ogni caso più disponibile. Per ottenere la massima affidabilità i bersagli ed i sistemi di estrazione sono fissati nelle posizioni ottimali. La posizione di ciascun sistema di estrazione è ottimizzata per permettere la trasmissione completa del fascio incidente sul volume del materiale bersaglio e non deve essere aggiustata ogni volta che si seleziona un nuovo target. Non ci sono parti meccaniche in movimento (né sistemi di scambio di bersagli, né sistemi di estrazioni mobili) necessarie per spostare la produzione da un target all’altro. L’utilizzo di parti meccaniche in movimento rende il sistema meno affidabile in quanto se si presentasse un problema di estrazione tutta la produzione sarebbe sospesa. 4.3.6 Diagnostica del fascio Il controllo del fascio viene eseguito tramite misure di intensità in diverse posizioni lungo il cammino del fascio stesso. Queste misure sono trasmesse al sistema di controllo costituito da un sensore collocato in un punto nel quale il raggio dell’orbita di rivoluzione delle particelle è di 10 cm (questo è utilizzato per la misura del fascio all’interno del piano di accelerazione). Si effettua inoltre una misura dell’intensità attraverso le lamine di estrazione, in questo caso la misura dell’intensità del fascio che colpisce il sistema di estrazione è ricavata dalla misura dell’intensità di corrente di elettroni strappati dagli ioni H o D. Questi elettroni terminano la loro corsa sul supporto dei “stripper foils”. Il valore della misura viene diviso per due (ciascun ione trasporta due elettroni) ed è automaticamente trasferito al sistema di controllo. 4.3.7 Sistema a vuoto Il vuoto è estremamente importante in un acceleratore di ioni negativi: valori di vuoto più elevati significano un minore rischio di strappare accidentalmente gli elettroni dalle particelle in movimento e di conseguenza un’accelerazione più efficiente e minore attivazione dei componenti del ciclotrone. -42- Il valore del vuoto raggiungibile all’interno del Cyclone 18/9 è di circa 1.1⋅10-6 mbar. Un livello di vuoto di 1.1⋅10-5 mbar è raggiungibile in 30 minuti di pompaggio partendo da una situazione in cui la camera a vuoto è riempita di azoto secco a pressione atmosferica (venting). Dopo due ore di pompaggio si raggiunge il livello di vuoto specificato per poter accendere il fascio. -43- 4.3.8 Sistema di raffreddamento Il circuito di raffreddamento raccoglie il calore dissipato dal ciclotrone, il calore generato dagli alimentatori raffreddati ad acqua all’interno del “power supply room” ed il calore estratto dai bersagli per rilasciarlo nel circuito di raffreddamento dell’utilizzatore. L’acqua di raffreddamento circola attraverso e grazie ad un condizionatore; oltre a far circolare l’acqua, l’unità di raffreddamento primaria rilascia il calore estratto dal sistema al circuito di raffreddamento dell’utilizzatore, attraverso uno scambiatore di calore. Questo trasferimento di calore è controllato in modo da mantenere la temperatura dell’acqua di raffreddamento entro limiti prefissati. Il condizionatore ha anche la funzione di deionizzare l’acqua di raffreddamento per assicurare che la sua conducibilità elettrica rimanga tanto bassa da impedire flussi di corrente fra le diverse parti del ciclotrone attraverso il circuito stesso. La temperatura di riferimento per l’acqua può essere selezionata sul controller della sonda di temperatura posizionato nel power supply room. 4.3.9 Sistema di controllo Il sistema di controllo del Cyclone è progettato in modo da risultare semplice per l’operatore; il software di controllo infatti consente operazioni intuitive, tramite mouse, anche a personale con scarsa esperienza di ciclotroni. Tutte le operazioni di routine sono prese in carico dal software, inclusa la gestione del campo magnetico, delle sorgenti, della RF, del vuoto e dei target. Questo software si interfaccia con PLC industriali molto affidabili che sono in grado di utilizzare sia linguaggi di programmazione semplici che evoluti. Il codice del PLC è completamente scritto in Step 7. Il sistema di controllo è orientato all’utilizzatore. L’interfaccia utente consiste in un’applicazione a finestre che utilizza il mouse per muoversi tra le varie sezioni dello schermo e per selezionare i comandi. Il sistema è gestito attraverso menù grafici autoesplicativi che rappresentano gli aspetti essenziali del ciclotrone e dei processi chimici coinvolti. Nella figura è mostrata una videata del software di controllo. -44- 4.3.10 Sistemi di sicurezza Il sistema di controllo del ciclotrone è integrato con il sistema di sicurezza del sito BSS (Build Safety System) dove arrivano tutti i segnali relativi ai sensori ed agli attuatori posizionati nel bunker e nei laboratori. L’impianto è inoltre dotato di un sistema di monitoraggio ambientale della radioattività e di controllo dell’attività degli effluenti aeriformi al camino. Il bombardamento può iniziare solo se tutti i segnali raccolti dal BBS sono positivi (chiusura porte, presenza di personale, livello di radiazioni ambientali, ventilazione corretta ecc.). Il software di controllo permette di eseguire tutte le operazioni in modo automatico. 4.4 Riassunto delle caratteristiche Tutte le caratteristiche del ciclotrone descritte finora sono riassunte nella seguente tabella che racchiude le specifiche di sistema del Cyclone 18/9 [IBA02]: Fascio: Ioni estratti: H+, D+ accelerati: H, D Energia protoni: 18 MeV deutoni: 9 MeV Intensità estratta protoni: 80 µA deutoni: 35 µA Numero di porte per i bersagli 8 Fasci estratti contemporaneamente 2 Consumo di corrente: In stand-by < 10 KW Fascio sul bersaglio < 50 KW Struttura magnetica: Numero di settori 4 Angolo dei settori 54° - 58° Intensità campo magnetico principale 1,3 Tesla -45- Corrente alternata nei coils 20 KW Peso del ferro 20 Tonnellate Peso del rame 2 Tonnellate Sistema a Radio Frequenza: Potenza totale della RF 10 KW Numero di Dees 2 Angolo dei Dees 30° Modalità armoniche protoni: 2 deutoni: 4 Frequenza 42 MHZ Voltaggio del Dee 32 KW Potenza dissipata RF per Dee: 3 KW acc. Fascio: 2 KW Sorgente di ioni: Tipo di sorgente catodo freddo P.I.G. Potenza dell’arco 0,8 KW Dimensioni esterne: Diametro esterno del magnete 2m Altezza totale chiuso 2,22 m Altezza totale aperto 2,87 Le immagini che seguono rappresentano il ciclotrone di Pavia, così come è già attualmente posizionato e attivo nel bunker del LENA. -46- Due aperture dalle quali viene estratto il F-18 dopo il bombardamento dei volumi bersaglio La cappa di manipolazione dove il radioisotopo prodotto viene stoccato in appositi contenitori -47- A sinistra la manipolazione del radioisotopo; a destra lo strumento per la misurazione dell’attività -48- Conclusioni In questa tesi si è presentata nelle sue linee generali la tecnica di produzione di radioisotopi a utilizzo medico, in particolare per la PET, mediante ciclotrone. L’utilizzo dei radioisotopi in ambiente ospedaliero sta diventando sempre più frequente e importante, e sempre maggiori diventano quindi le esigenze di disporre dei relativi radiofarmaci, che – oltre ai noti problemi di sicurezza a causa della radioattività – richiedono anche una continua, quotidiana preparazione, in quanto spesso i radioisotopi in essi contenuti hanno tempi di emivita molto bassi (ad es. il Fluoro-18, forse il più comune tra essi, si dimezza in meno di due ore). La produzione di questi radioisotopi avviene generalmente per attivazione nucleare, in reattori o acceleratori di particelle, in particolare i ciclotroni; diventa quindi sempre più urgente e importante, per minimizzare tempi e costi delle procedure diagnostiche e terapeutiche, disporre di tali strumenti nelle immediate vicinanze dei centri ospedalieri. Dopo una rassegna sull’utilizzo medico dei radioisotopi e sui principi fisici della loro produzione nei ciclotroni, in questo lavoro si è presentato il nuovo ciclotrone installato presso il LENA (Laboratorio di Energia Nucleare Applicata) dell’Università di Pavia, che è stato recentemente inaugurato nell’estate 2007 e permetterà di produrre quotidianamente la necessaria quantità di radioisotopi, inizialmente Fluoro-18 e Azoto-13, ad uso delle strutture ospedaliere pavesi. -49- Bibliografia [Aga88] G.Agati, Introduzione alla Fisica Radiologica, ed. Libreria Cortina, Torino (1988) [CA92] Cyclotrones & Applications, Vancouver World Scientific, 1992 [ES82] Emilio Segrè: Nuclei e particelle, Bologna, Zanichelli, 1982 [FH] F. Helus, Radionuclydes Production Vol I + II, CRC Press , Florida, U.S.A. [GSS] Gemmell H.G., Sharp P.F., Smith F.W.: MEDICINA NUCLEARE 2° edizione CIC Edizioni Internazionali, 2000. [HMQ87] F. Helus and S.A. McQuarrie, proceedings of the 2nd workshop on Targetry and Target Chemistry, Heidelberg, 1987 [HR85] F. Helus and T.J. Ruth, proceedings of the 1st workshop on Targetry and Target Chemistry, Heidelberg, 1985 [IBA] Relazione Tecnica di Ion Beam Applications S.A., Louvain-la-Neuve, Belgium [IBA02] Allegato: Cyclone 18/9 PET Compound System di Ion Beam Applications S.A., Louvain-la-Neuve, Belgium. [JL81] J Lamb, Commercial production of radioisotopes for nuclear medicine, IEEE Trans. Nucl. Science, 1981 [KHL97] K.H. Lieser, NUCLEAR AND RADIOCHEMISTRY: FUNDAMENTALS AND APPLICATIONS, VCH, New York (1997) [PP84] Piragino, Pisent: Fisica generale e sperimentale, Vol II, Padova, Piccin, 1984 [PRSZ95] Povh, Rith, Scholtz, Zetsche: Particels and Nuclei, Berlin, Sprinter, 1995 -50- [PSS83] G Pinto, M. Straatman, D. Schyler, S. Curtis and G.O. Hendry, Target systems for radioisotope production, IEEE Trans. Nucl. Science, 1983 [RR82] Robert R. Wilson, Raphael Littauer : Acceleratori di particelle, macchine della fisica nucleare, Bologna, Zanichelli, 1982 [SK77] Sokoloff L, Reivich M, Kennedy C, Des Rosiers MH, Patlak CS, Pettigrew KD, Sakurada O, Shinohara M. J Neurochem 1977;28:897-916. [SCM92] Schmidt K, Lucignani G, Moresco RM, Rizzo G, Gilardi MC, Messa C, Colombo F, Fazio F, Sokoloff L. Errors introduced by tissue heterogeneity in estimation of local cerebral glucose utilization with current kinetic models of the [18F]fluorodeoxyglucose method. J Cereb Blood Flow Metab 1992; 12: 823-834. -51- Indice Introduzione.......................................................................................................... 2 1. I radionuclidi .................................................................................................... 3 1.1 Nuclei stabili e instabili..................................................................................................... 3 1.2 Elementi radioattivi naturali e artificiali ............................................................................ 4 1.3 Decadimenti radioattivi..................................................................................................... 5 1.3.1 Decadimento alfa ....................................................................................................... 6 1.3.2 Decadimento beta....................................................................................................... 6 1.3.3 Fissione spontanea ..................................................................................................... 8 2. I radionuclidi in Medicina Nucleare................................................................ 9 2.1 I radiofarmaci ................................................................................................................... 9 2.2 Le indagini medico-nucleari............................................................................................ 11 2.2.1 SPET: tomografia a emissione di fotone singolo ...................................................... 12 2.2.2 PET: tomografia a emissione di positroni ................................................................. 12 2.3 Metodi di impiego e indicazioni cliniche......................................................................... 14 2.3.1 Apparato respiratorio ............................................................................................... 14 2.3.2 Apparato urinario ..................................................................................................... 16 2.3.3 Apparato scheletrico ................................................................................................ 16 2.3.4 Ghiandole endocrine ................................................................................................ 18 2.3.5 Patologie infiammatorie e infettive........................................................................... 19 2.3.4 Patologie di tipo oncologico ..................................................................................... 19 2.4 Il fluoro 18 e il suo utilizzo clinico.................................................................................. 21 2.4.1 Il 18F FDG................................................................................................................ 22 2.5 Produzione e utilizzo ospedaliero dei radioisotopi.......................................................... 24 2.5.1 I bersagli...................................................................................................................... 25 2.5.2 L’automazione ......................................................................................................... 25 3. Il ciclotrone ..................................................................................................... 27 3.1 Principi fisici e proprietà................................................................................................. 27 3.1.1 Il ciclotrone classico................................................................................................. 27 3.1.2 Il sincrociclotrone. ................................................................................................... 29 3.1.3 Il ciclotrone AVF o isocrono. ................................................................................... 29 3.1.4 Il ciclotrone superconduttore. ................................................................................... 30 -52- 3.1.5 Il sincrotrone............................................................................................................ 30 3.2 Iniezione ed estrazione del fascio.................................................................................... 31 3.2.1 L’iniezione............................................................................................................... 31 3.2.2 L’estrazione ............................................................................................................. 32 3.3 I ciclotroni commerciali .................................................................................................. 34 4. Il ciclotrone di Pavia presso il L.E.N.A.......................................................... 35 4.1 Caratteristiche del progetto ............................................................................................. 35 4.2 Il sistema di bersagli. ...................................................................................................... 36 4.2.1 Produzione di 18F ..................................................................................................... 36 4.2.2 Produzione di 13N..................................................................................................... 37 4.2.3 Altri sistemi di bersagli ............................................................................................ 38 4.3 Le parti principali del ciclotrone ..................................................................................... 39 4.3.1 Sorgente di ioni........................................................................................................ 39 4.3.2 Sistema magnetico ................................................................................................... 39 4.3.3 Utilizzo di un piano di accelerazione orizzontale...................................................... 40 4.3.4 Sistema a radiofrequenza.......................................................................................... 41 4.3.5 Sistema di estrazione................................................................................................ 42 4.3.6 Diagnostica del fascio .............................................................................................. 42 4.3.7 Sistema a vuoto........................................................................................................ 42 4.3.8 Sistema di raffreddamento........................................................................................ 44 4.3.9 Sistema di controllo ................................................................................................. 44 4.3.10 Sistemi di sicurezza................................................................................................ 45 4.4 Riassunto delle caratteristiche ......................................................................................... 45 Conclusioni.......................................................................................................... 49 Bibliografia ......................................................................................................... 50 -53-