ESCHILO Eschilo nacque intorno al 525 a. C. a Eleusi. Fu oplita

ESCHILO
Eschilo nacque intorno al 525 a. C. a Eleusi. Fu oplita durante le guerre persiane e il suo
primo agone, in cui si posizionò terzo, risale probabilmente al suo 25° anno di età. La sua prima
vittoria fu nel 484 a. C. A fine anni Settanta andò in Sicilia per un breve soggiorno, invitato alla
corte di Siracusa. Tornò ad Atene per un decennio, al termine del quale ripartì per la Sicilia per
motivi ignoti. Morì a Gela nel 456 a. C. circa. L’importanza del poeta fu tale che lo stato offrì
incentivi a chi rimettesse in scena i suoi drammi (nel 386 fu previsto anche per Sofocle ed
Euripide).
Secondo la tradizione produsse tra le 70 e le 90 opere e conseguì 12 vittorie (più altre 16
postume). Solo sette tragedie ci sono giunte complete: Persiani, Sette contro Tebe, Supplici, la
trilogia Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi) e il Prometeo incatenato. I suoi drammi
satireschi sono andati perduti, ma era apprezzato anche per questo genere. Autore e attore delle sue
opere, introdusse il secondo attore consentendo una maggior articolazione nella trama; tramite il
dialogo, poi, esponeva e confrontava diverse ideologie. Grande spazio era dedicato anche al coro.
Eschilo scriveva trilogie, o anche tetralogie, basate su uno stesso mito. Figura centrale è l’eroe col
suo passato e il suo futuro, la sua famiglia nelle varie generazioni che consente una visione ampia
del destino di ciascuno inserito in un disegno che va oltre l’individuo. Il singolo viene punito per il
principio dell’ereditarietà della colpa, ma allo stesso tempo attira su di sé la punizione commettendo
il peccato di hýbris o disobbedendo agli dèi: insomma, c’è libero arbitrio ma il soggetto farà degli
errori perché il suo destino ha stabilito che così sarà. Le colpe non si tramandano all’infinito perché
è possibile stabilire un ordine che sistemi tutto. La sofferenza non è fine a se stessa perché è il punto
di partenza affinché l’uomo capisca che Zeus è garante di giustizia.
Nel 472 a. C. Eschilo vince le Grandi Dionise con una trilogia probabilmente slegata.
L’unica opera salva di questo progetto è i Persiani, che narra della battaglia navale di Salamina di 8
anni prima. Ambientata presso la corte persiana di Susa, l’opera presenta la madre di Serse e vedova
di Dario, Atossa, che aspetta il figlio e viene informata della sua caduta; al rientro in patria il
guerriero ammette di aver rovinato la propria patria e la propria stirpe. Focalizzando l’attenzione sul
popolo persiano, Eschilo rappresenta il momento della vittoria come causa di dolore per gli
sconfitti. Inscenare la battaglia che aveva arrecato morti anche ai Greci guardandola da un punto di
vista ribaltato permetteva di coinvolgere con meno emotività il pubblico, a cui mancava la
protezione e il distacco di una vicenda lontana. Il popolo protagonista è descritto comunque
secondo le idee tipiche elleniche e parla di se stesso come di “barbari”.
Sette contro Tebe è la tragedia conclusiva della trilogia legata vincitrice delle Grandi
Dionise del 467 a. C. Affronta il tema della colpa tramandata di generazione in generazione con la
saga mitica di Edipo, di cui qui si vedono i figli. Polinice attacca la città di Tebe, difesa dal fratello
Eteocle: moriranno entrambi nello scontro finale. Protagonista del dramma è Eteocle, presente sulla
scena per quasi l’intero dramma, mentre Polinice compare come cadavere in chiusura. Lo schema è
ripetitivo: Eteocle presenta per ognuna delle sette porte (lui custodisce l’ultima) il guerriero che si
deve battere e il messaggio di morte di ogni insegna; il Coro risponde con un commento augurale. Il
ritmo cadenzato contribuisce ad aumentare la tensione. La colpa di Edipo si abbatte inesorabile su
Eteocle, nonostante esso sia un giusto regnante.
Una tetralogia (comprensiva del dramma satiresco) è dedicata alle figlia di Danao. Fa parte
di essa le Supplici (tra il 466 e il 459). Il Coro è formato dalle Danaidi, che aprono la scena e hanno
un ruolo preponderante all’interno della tragedia, come era tipico delle rappresentazioni arcaiche.
Le Danaidi fuggono ad Argo per non dover sposare i cugini figli di Egitto: il matrimonio viene qui
presentato come una violenza alla donna e la fuga delle sorelle dà inizio alle vicende. Pelagso, il re
presso il quale cercano rifugio, deve consultare i propri cittadini poiché aiutarle è una decisione che
coinvolge la collettività: potrebbe causare una guerra, ma rifiutare un appoggio alle giovani
attirerebbe l’ira divina. Alla fine Argo accoglie le ragazze e caccia gli aspiranti mariti.
L’Orestea è l’unica trilogia giuntaci completa: nel 458 a. C. fu rappresentata con le tragedie
Agamennone, Coefore ed Eumenidi più il dramma satiresco Proteo, che vinsero il primo premio.
Nell’Agamennone si parte da una situazione delittuosa del passato: Atreo che aveva fatto mangiare
in un banchetto i propri figli al fratello Tieste e Agamennone che aveva sacrificato la figlia Ifigenia
per il buon esito della guerra di Troia. Agamennone viene ucciso dalla moglie Clitennestra e
dall’amante Egisto, e a sua volta lei verrà uccisa dal figlio Oreste. I personaggi si interrogano sulla
giustizia delle varie azioni ma Eschilo ritiene che la vendetta, la violenza che genera violenza, va
comunque punita. Le Coefore sono ambientate dieci anni dopo, sempre presso la reggia di Argo
dove ora sorge la tomba di Agamennone, richiamo e monito della vendetta che si consumerà.
Giunge Oreste per vendicare il padre, annunciando sotto false vesti la morte di Clitennestra a lei
stessa. Uccide prima Egisto e poi la propria madre, che invano cerca di muoverlo a pietà. Oreste ed
Elettra, i due fratelli, si incontrano dopo essere stati cresciuti separati: entrambi vogliono vendicare
la morte del padre e si riconoscono grazie a degli inequivocabili segni fisici, espediente letterario
che ne vuole esaltare il legame. L’esodo preannuncia il terzo momento della tetralogia. Le Eumenidi
si aprono con un prologo in cui il dio Apollo descrive gli eventi. Oreste si risveglia presso il
santuario di Apollo, ad Argo, circondato dalle Erinni e fugge ad Atene dove prega la dea, la quale
gli concederà di essere giudicato da un tribunale di ateniesi. La prima parte del dramma si concentra
sulle vicende di Oreste mentre è nella seconda che spiccano gli elementi politici e religiosi. Le
locazioni di Argo e Atene sono del patto antispartano tra le due città. Presso la città di Atene la
stirpe che si tramanda vendette e spargimenti di sangue può finalmente trovare la pace e il momento
finale è celebrativo della polis e dei suoi cittadini.
Prometeo incatenato, messo in scena intorno alla metà del V secolo a. C., sembrerebbe far
parte del filone di opere dedicate al titano che comprende Prometeo liberato e forse Prometeo
portatore di fuoco. Il titano è posto su un’altura che ne vuole evidenziare il totale isolamento. Egli
ammette la sua colpa e la volontà che ha avuto nel compierla, il Coro riconosce che Zeus è spietato
ma va rispettato perché è il nuovo re dell’Olimpo. Ma Prometeo non è in una posizione di totale
svantaggio, perché egli conosce una profezia, lui solo, che decreta la fine del regno di Zeus. Tra i
due si crea così un dilemma, un’antitesi insuperabile all’interno di questo dramma, che vede
Prometeo protagonista e Zeus antagonista, presentato in accezione negativa.