L’astrofisica ad altissime energie Alessandro De Angelis, Mosè Mariotti e Massimo Persic Grazie a nuovi strumenti, da qualche anno riusciamo a osservare l’immagine dell’Universo ad altissime energie. Questa possibilità ha aperto un nuovo settore dell’astronomia: è ora possibile fotografare l’universo violento nel quale la gravità al lavoro in condizioni estreme genera processi elettromagnetici ”duri” e processi nucleari e subnucleari. La percezione del mondo che ci circonda avviene attraverso i nostri sensi, eventualmente mediati da strumenti in grado di misurare quantitativamente grandezze fisiche legate a ciò che vogliamo studiare. Conoscere significa interagire con il soggetto del nostro studio, e l’indagine cognitiva avviene attraverso l’analisi dei “messaggeri” che trasportano informazioni dall’oggetto in esame. Vedere, cioè osservare una cosa o un processo, è dunque un’azione che svolgiamo automaticamente dimenticandoci spesso che si tratta di una analisi a posteriori di messaggeri (prevalentemente la luce in questo caso) che trasportano rilevanti informazioni. L’Astronomia e più in generale l’Astrofisica sono scienze che studiano corpi a grande distanza: per queste discipline esistono messaggeri “privilegiati” che sono le onde elettromagnetiche (ovvero fotoni, quanti di luce) di diversa energia (che nella parte visibile corrisponde al colore). La bontà di questi messaggeri identifica in tre importanti proprietà: a) i fotoni non hanno massa b) i fotoni non hanno carica c) i fotoni interagiscono secondo leggi ben note. Queste proprietà sono fondamentali: in base alle leggi fisiche oggi accettate permettono alle onde elettromagnetiche di portare informazioni quasi inalterate dalla sorgente perché si propagano nello spazio quasi indistubate (c); mantengono la cronologia degli eventi – cosa molto importante – perchè tutti i fotoni viaggiano alla stessa velocità (a), e si propagano nello stesso identico modo seguendo le geodetiche dello spazio-tempo (a+b). Altri messaggeri come ad esempio i raggi cosmici (protoni, nuclei, neutroni, elettroni.. etc) sono meno adatti essendo massivi e carichi (quindi curvano nei campi magnetici interstellari perdendo la correlazione con la direzione della sorgente) oppure instabili, ovvero decadono. Con questi ultimi messaggeri diventa molto difficile risalire alla sorgente e studiarne le proprietà. In maniera simile ai fotoni, e potenzialmente altrettanto importanti in astrofisica, abbiamo messaggeri neutrini e le onde gravitazionali: purtroppo i rivelatori attuali di questi ultimi messaggeri non sono ancora sufficientemente sensibili da poter essere utilizzati per lo studio dei corpi celesti. L’astronomia e l’astrofisica classiche si occupano di radiazione termica dall'universo. Gli oggetti più caldi però, come le stelle di neutroni, emettono radiazione nella gamma di 1 circa 103 - 104 elettronVolt (eV), circa mille volte più energetica della luce visibile. Sappiamo, tuttavia, che i fenomeni non-termici che coinvolgono energie molto più alte svolgono un ruolo importante nella dinamica dell'universo. La prima prova di tali fenomeni è venuta con la scoperta dei raggi cosmici da parte dei fisici Victor Hess e Domenico Pacini nel 1912. Nel 1938, il francese Pierre Auger osservò interazioni di particelle di energie dell’ordine di 1015 eV con l’atmosfera; queste interazioni producono cascate di particelle dette sciami. Per dare un’idea di tali energie, 109 eV (1 GeV) è all’incirca l’energia necessaria a creare un protone in base alla nota relazione E=mc2. 1 TeV corrisponde a 1000 GeV: una particella di 1 TeV può creare circa 1000 protoni. Oggi abbiamo rivelato particelle di energie di 1020 eV (1 joule) e oltre. Va detto poi che la fisica delle alte energie è nata come fisica dei raggi cosmici [1]: nei primi decenni del secolo scorso, non appena si scoprì che particelle di altissima energia arrivano dal cosmo, gli studiosi di fisica fondamentale avviarono campagne di studi in atmosfera e costruirono centri di rivelazione sulle montagne, in particolare nelle Alpi. Alle origini la fisica delle particelle si poteva dunque definire, con un termine moderno, “astroparticellare”. Solo in seguito i fisici impararono a produrre in laboratorio particelle di altissima energia mediante gli acceleratori. Negli ultimi dieci anni si è assistito però a un rallentamento nel progresso degli acceleratori, in corrispondenza ad un’esplosione dei costi di costruzione. In parallelo strumenti di rivelazione sempre più sofisticati consentono di rivelare particelle, e in particolare fotoni, provenienti da acceleratori cosmici. Ciò ha una doppia valenza, consentendo il progresso nell’indagine astronomica e in quella legata alla fisica fondamentale. In particolare, l’indagine astrofisica fornisce una possibilità di studiare fenomeni a scale di energia superiori anche di diversi ordini di grandezza rispetto a quelli raggiungibili con la produzione di particelle nei laboratori terrestri. I raggi cosmici arrivano sulla Terra a energie fino a un miliardo di TeV circa. Energie di circa 10 TeV verranno raggiunte nell’acceleratore LHC del CERN. Lo spettro (numero di raggi incidenti per unità di energia, per unità di tempo, per unità di superficie) dei raggi cosmici primari è ben descritto da una legge a potenza di tipo E-α con α circa uguale a 2.7 per valori dell'energia inferiori a circa 1000 TeV. Per valori superiori dell'energia si ha un irripidimento, con α che diviene pari a circa 3. Il punto in cui tale cambio di pendenza ha luogo viene denominato ginocchio. Una frazione compresa tra l’un per cento e l’un per mille dei raggi cosmici è costituita da particelle elettromagnetiche, o fotoni. Per quanto riguarda i fotoni cosmici, l’energia più alta finora rivelata è circa 100 TeV. I fotoni in banda gamma (detti anche storicamente “raggi gamma”) possono venire definiti come quanti di luce di alta energia [2], più precisamente di energia maggiore di quella relativa all’annichilazione della coppia elettrone/positrone, 511 keV. Così come l’emissione in banda ottica è caratteristica di sorgenti come le stelle, a temperature superficiali dell’ordine di qualche migliaio di gradi, ed è spiegabile con fenomeni termici, la radiazione X, che ha energie migliaia di volte più alte di quelle della luce visibile, è caratteristica di interazioni elettromagnetiche all’interno delle sorgenti; lo spettro dei raggi gamma parte da energie centinaia di migliaia di volte superiori a quelle dei fotoni visibili all’occhio umano, e l’emissione 2 gamma può essere spiegata da particolari processi elettromagnetici, e da processi ancora più duri come quelli tipici delle interazioni forti o nucleari. Alla base dell’emissione di alte energie c’è il motore dell’universo, l’energia gravitazionale. Parte di questa energia è convertita in radiazione elettromagnetica, attraverso processi come la radiazione di sincrotrone, che può generare fotoni X in seguito all’accelerazione di elettroni in campi magnetici sufficientemente forti, presenti ad esempio in acceleratori relativamente rari ma potenti come i residui stellari compatti e i nuclei galattici attivi. Questi fotoni di sincrotrone possono a loro volta interagire con gli stessi elettroni genitori, e “rimbalzare” con energie ancora più alte, fino all’ordine del migliaio di GeV, ossia del TeV, e oltre. Tale meccanismo (detto meccanismo SSC, SelfSynchrotron Compton) è stato visto al lavoro sia in sorgenti galattiche sia in sorgenti extragalattiche. Una sorgente importante di radiazione a energie ancora più alte, oltre le decine di TeV, sembra poter essere legata all'esplosione di supernove in un ambiente ricco di gas interstellare (soprattutto idrogeno). L'onda d'urto generata dall'esplosione comprime violentemente il gas e accelera i nuclei d’idrogeno, protoni, che potrebbero ricollidere con il gas diffuso nell'ambiente circostante la stella. Questa reazione porta presumibilmente alla produzione di mesoni neutri, che decadono in fotoni gamma in tempi dell’ordine di 10-16 secondi. In generale la radiazione delle sorgenti gamma in funzione dell’energia E ha uno spettro di intensità decrescente come E-, con l’indice spettrale tipicamente compreso tra 2 e 3. È importante sottolineare il “salto di qualità” dal meccanismo SSC, che spiega l’emissione di fotoni gamma in base a soli processi elettromagnetici, al meccanismo adronico, che apre una finestra che arriva ad energie fino al centinaio di milioni di TeV. I raggi gamma di altissime energie (VHE) si fanno partire convenzionalmente da un’energia fra i 10 e i 100 GeV. Nei collassi gravitazionali che avvengono nei centri delle galassie, dove grandi quantità di materia sono divorate, vengono prodotti raggi gamma con energie anche mille miliardi di volte più grandi della luce visibile. Un fenomeno spettacolare (e relativamente frequente: si ritiene che avvenga nell’universo con cadenza almeno giornaliera, e i satelliti ne rivelano l’occorrenza un centinaio di volte all’anno) è quello dei “lampi gamma” o GRB (Gamma Ray Bursts): per pochi secondi una sorgente emette un’energia gamma confrontabile con quella dell’Universo intero. Fortunatamente per la nostra salute, l’atmosfera assorbe molto bene questo tipo di radiazione, consentendo l’esistenza degli esseri viventi sulla superficie terrestre; allo stesso tempo, però, questo schermo rende molto difficile l’osservazione dei raggi gamma. La tecnologia necessaria per la loro rivelazione è stata sviluppata solo negli ultimi anni, seguendo due distinte metodologie di osservazione: da terra, con l’impiego di grandi rivelatori Čerenkov (specchi focalizzati), e dall’esterno dell’atmosfera, mediante appositi strumenti montati su satelliti [3]. Si ritiene che gli acceleratori cosmici accelerino soprattutto le particelle cariche, quali gli elettroni e gli ioni. L'accelerazione può essere un processo “one shot”, in cui le particelle sono accelerate nei campi elettrici enormi generati, per esempio, nelle stelle di neutroni, o condotta attraverso un aumento lento ma continuo dell'energia della particella. Nelle esplosioni di supernova, per esempio, le particelle possono rimbalzare fra i campi 3 magnetici, guadagnare ogni volta una piccola quantità di energia e dopo 10000 anni o più fuoriuscire dalla zona di accelerazione con altissima energia. In ogni caso i modelli di accelerazione prevedono la produzione copiosa di fotoni, in particolare raggi gamma. Raggi gamma sono prodotti, per esempio, quando un protone è accelerato nell'onda d’urto di una SNR; tali protoni possono generare cascate adroniche nelle quali vengono prodotti mesoni neutri che decadono in coppie di fotoni gamma. Se il meccanismo primario di accelerazione coinvolge elettroni di alta energia, questi elettroni possono generare fotoni mediante il meccanismo cosiddetto della radiazione di frenamento (bremsstrahlung), o emettere radiazione di sincrotrone nei campi magnetici locali; questi elettroni possono a loro volte accelerare mediante il cosiddetto effetto Compton inverso (IC) che nell’ulteriore interazione con un elettrone li fa emergere come raggi gamma ad alta energia. Confrontati alle particelle cariche, che sono i prodotti principali degli acceleratori cosmici, i raggi gamma presentano il vantaggio notevole di propagarsi lungo geodetiche (linee rette) attraverso l'universo. Le particelle cariche sono invece deviate dai campi magnetici galattici e intergalattici, e le deviazioni sono così grandi che le informazioni indicanti la loro provenienza sono perdute. A conferma di ciò basti pensare che finora non è mai stata localizzata la provenienza di un raggio cosmico carico. Anche un debole campo come quello della nostra galassia (circa 10-10 T) basta a far sì che l’informazione sulla provenienza di un protone di 300 milioni di GeV dal centro della nostra galassia venga perduta. I raggi gamma rilevati su terra invece puntano verso le loro fonti e vengono usati per localizzarle e studiarle. L’energia dei raggi gamma è collegata all’energia dei genitori, e la morfologia dell’emissione gamma alla dinamica della generazione. Come rivelare i raggi gamma? Contrariamente alla luce visibile i fotoni gamma non si possono riflettere su superfici o venire concentrati con sistemi ottici su rivelatori. Si comportano più verosimilmente come proiettili energetici e la loro rivelazione deve essere effettuata con gli strumenti e le metodologie tipiche della fisica subnucleare. Inoltre, poiché i raggi gamma non riescono ad attraversare immutati l’atmosfera terrestre, per evidenziarli si devono collocare i rivelatori fuori dall’atmosfera stessa, e dunque porli su satellite, o costruire rivelatori in grado di rivelare le particelle secondarie prodotte dal gamma quando viene assorbito dall’atmosfera. Un raggio gamma proveniente dallo spazio interagisce con le molecole dell’atmosfera e si trasforma in una coppia elettrone-positrone. Queste particelle cariche nel loro cammino in aria emettono fotoni attraverso un meccanismo detto di bremsstrahlung (radiazione di frenamento). I gamma secondari si trasformano a loro volta in coppie elettrone-positrone e si viene così a formare un cascata di elettroni, positroni e gamma; tale cascata è detta sciame elettromagnetico. Le particelle che si formano nello sciame viaggiano nell’atmosfera a velocità confrontabili con la velocità della luce, e si sparpagliano lateralmente fino a distanze di qualche centinaio di metri. 4 Come detto all’inizio, tuttavia, dallo spazio non arrivano solo fotoni gamma, ma anche, dal centinaio al migliaio di volte più numerosi, particelle sensibili all’interazione forte (adroni), come i protoni e altri nuclei atomici carichi. Interagendo con i nuclei atomici nell’atmosfera gli adroni possono produrre particelle cariche e neutre, come pioni e mesoni K, che a loro volta interagiscono. Si viene a formare pertanto uno sciame adronico non molto diverso dallo sciame elettromagnetico prima descritto, a parte la maggior presenza di leptoni (analoghi agli elettroni, ma di massa circa duecento volte maggiore) nonché la diversa distribuzione laterale e la densità delle particelle presenti. Il numero di particelle cariche prodotte da un tipico sciame elettromagnetico di altissima energia ha un massimo ad altezze di 5-10 km sul livello del mare, ed è trascurabile al livello del mare. Per questo se vogliamo osservare i raggi gamma con rivelatori di particelle sensibili agli elettroni e ai positroni dello sciame (tecnica degli Extensive Air Shower detectors, EAS) dobbiamo posizionare i nostri strumenti a quote piuttosto elevate. Anche in questo caso, le soglie minime di energia rivelabile sono piuttosto alte e con sensibilità bassa, sicché gli esperimenti EAS non promettono di rivelare nuove sorgenti con le tecnologie e le dimensioni attuali (la rivelazione di una sorgente forte come la nebulosa del Granchio con questa tecnica richiede tipicamente tempi di osservazione di una decina di giorni), a meno che non esistano transienti d’intensità molto più grande di quelle finora misurate. Due grandi esperimenti EAS per la rivelazione di raggi gamma sono attualmente operativi: l’italo-cinese Argo nel Tibet e l’americano Milagro (in fase di chiusura) nel New Mexico. La tecnica che negli ultimi due-tre anni si è dimostrata vincente per l’astrofisica gamma è la tecnica IACT (Imaging Air Čerenkov Telescopes), che sfrutta l’emissione di luce da parte delle particelle cariche in uno sciame. Negli sciami, sia elettromagnetici sia adronici, le particelle cariche possono viaggiare a velocità superiori a quella della luce in atmosfera (ricordiamo che questo non viola la teoria della relatività, in quanto la velocità della luce nell’atmosfera è c/n, dove n è l’indice di rifrazione ed è maggiore dell’unità). In questi casi emettono un lampo di luce, detta luce Čerenkov dal nome dello scopritore del fenomeno, premio Nobel per la Fisica nel 1958 per questa scoperta. Il lampo Čerenkov è l’analogo ottico del “bang” supersonico per le onde sonore. È emesso in un cono di ampiezza di circa un grado rispetto alla direzione della particella che lo genera, e viaggia verso il suolo insieme alle altre particelle dello sciame; questa luce è in gran parte visibile, e nella banda del visibile l’emissione è più intensa nella regione del blu. I rivelatori IACT riflettono con la loro grande superficie ottica il debole lampo di luce Čerenkov su un sensore a matrice di fotomoltiplicatori posto nel piano focale del telescopio; quindi le informazioni sui pixel che hanno ricevuto segnale vengono digitalizzate. In questo modo il raggio gamma viene fotografato come se fosse una specie di stella cadente il cui lampo dura solo 2-3 nanosecondi (miliardesimi di secondo); la fotografia è registrata su un sistema di computer e immagazzinata per l’analisi dei dati. La diversa geometria degli sciami elettromagnetici e adronici consente una classificazione su base statistica della natura della particella che ha generato il lampo di luce. 5 Le tecniche di analisi dei dati ancora oggi usate nei telescopi Čerenkov furono introdotte dai fisici del telescopio Whipple in Arizona, un telescopio di 10 metri di diametro che nel 1989 scoprì la prima sorgente gamma, la nebulosa del Granchio, una sorgente che viene ancor oggi usata come “candela” standard per l’astrofisica gamma. Tale sorgente, resto di una supernova la cui esplosione nel 1054 fu registrata da astronomi dell’epoca, è la sorgente gamma stabile più luminosa nella Galassia. Whipple scoprì in seguito due sorgenti gamma extragalattiche, le galassie Markarian 421 e Markarian 501. Quattro grandi telescopi Čerenkov (detti dagli astrofisici “i grandi 4”) sono attualmente operativi, due nell’emisfero settentrionale e due nell’emisfero meridionale: H.E.S.S. in Namibia (operativo dal 2003), MAGIC nell’isola canaria di La Palma (operativo dal 2004), CANGAROO III in Australia (operativo dal 2004), e VERITAS in Arizona (operativo dal 2006) . Il rivelatore MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Čerenkov telescope [4,5]), frutto di una collaborazione internazionale con partner principali in Italia, Germania e Spagna, si trova sull’isola di La Palma (Canarie) ed è attivo dal 2004. Per l’Italia collaborano a MAGIC l’INFN, l’INAF e le università di Padova, omo, Siena e Udine. Con i suoi 17 metri di diametro MAGIC è attualmente il telescopio gamma dotato del più grande specchio al mondo. La superficie riflettente è costituita da quasi 1000 specchi quadrati di alluminio a curvatura variabile per ottenere un profilo parabolico (la tecnologia è stata sviluppata appositamente in Italia) e serve per raccogliere la luce Čerenkov prodotta dallo sciame e focalizzarla su una matrice di fotomoltiplicatori (camera) posta nel piano focale dello specchio. Il segnale così ottenuto, della durata di qualche nanosecondo appena, viene registrato ed analizzato, permettendo di ricostruire una “fotografia” che identifica il raggio gamma (o di altro tipo) all’origine dello sciame. MAGIC ha anche un’altra notevole proprietà, legata alla leggerezza della struttura in fibra di carbonio e al sistema di controllo attivo degli specchi: è la sua velocità di posizionamento, che permette di puntare il telescopio verso un punto preciso del cielo in poche decine di secondi, osservando così anche fenomeni altamente variabili nel tempo e di breve durata. Per sfruttare al meglio tale caratteristica, MAGIC è in costante contatto con la rete di satelliti GCN, che comunica a terra in tempo reale l’arrivo di un GRB. Ciò ha permesso nel 2005, per la prima volta al mondo, di osservare un GRB per circa 30 secondi simultaneamente al satellite con sufficiente sensibilità ad alta energia. Se lo studio dei raggi gamma da terra sfrutta in vari modi gli sciami secondari prodotti nell’atmosfera, i telescopi su satellite si basano su una diversa tecnologia, sviluppata negli scorsi decenni per gli esperimenti agli acceleratori: la conversione dei fotoni gamma di alta energia in coppie di elettroni e positroni viene indotta in sottili fogli di materiale assorbente (tungsteno o piombo) alternati a strati di materiale sensibile al passaggio delle cariche (scintillatore o silicio). Il piccolo sciame (generalmente solo una coppia elettrone-antielettrone) così prodotto viene tracciato all’interno di un rivelatore compatto, che consente di ricostruire la direzione del raggio gamma incidente, quindi raccolto da un “calorimetro elettromagnetico” che permette di misurarne l’energia. AGILE (Astrorivelatore Gamma a Immagini Leggero [6]) è primo rivelatore al silicio per raggi gamma: una missione scientifica dell’ASI tutta italiana in collaborazione 6 tra i gruppi IASF-INAF di Bologna, Milano e Roma e le sezioni INFN di Roma e Trieste. Il lancio di questo piccolo satellite è avvenuto il 23 aprile 2007 dal Satish Dhawan Space Centre in India. I primi risultati di AGILE sono andati al di là di ogni aspettativa: in un paio di mesi AGILE ha già realizzato l’imaging di sorgenti come Vela. Le prestazioni e osservazioni di AGILE servono anche come importante banco di prova per le missioni successive, tra le quali GLAST [7,8] occupa un posto di prima importanza. L’osservatorio spaziale GLAST (Gamma ray Large Area Space Telescope) nasce da una collaborazione tra Stati Uniti, Italia, Francia, Svezia e Giappone. Il satellite verrà messo in orbita dalla NASA all’inizio del 2008; a bordo vi saranno due strumenti, il Large Area Telescope (LAT) ed il Gamma-ray Burst Monitor (GBM), che permetteranno di studiare i raggi gamma da un'energia di circa 10 keV fino a oltre i 300 GeV, un valore mai raggiunto da altri rivelatori: per le sue caratteristiche innovative, la missione è destinata a fornire contributi fondamentali allo sviluppo dell’astronomia gamma. Per l’Italia partecipano i gruppi di Bari, Perugia, Padova, Pisa, Trieste e Udine, responsabili dello sviluppo e nella costruzione del LAT e di parte del software (simulazione ed event display). Il LAT è formato da 16 torri di strip di silicio alternate a fogli di tungsteno per il tracciamento dei raggi gamma, seguite da un calorimetro in cristalli di ioduro di cesio per la misura dell’energia depositata dagli elettroni. L’intero rivelatore, schermato da una copertura di scintillatore per identificare e ridurre il fondo nel segnale dovuto a raggi cosmici di altro tipo, ha un peso di circa 3 tonnellate, e un consumo di meno di 600 W. In ogni caso i rivelatori su satellite sono limitati nella banda delle alte energie dal fatto che non è pensabile realizzare superfici attive di più di uno o due metri quadrati; poiché tipicamente il flusso decade esponenzialmente, risulta difficile con strumenti su satelliti ottenere flussi apprezzabili oltre il centinaio di GeV (anche se una piccola coda di sensibilità di GLAST fra i 100 e i 300 GeV sarà utilissima per effettuare misure simultanee con i rivelatori a terra). L’astrofisica gamma ad altissima energia è quindi principalmente riservata ai rivelatori Čerenkov (e sperablmente in futuro a grandi rivelatori EAS). I risultati L’astrofisica ad altissime energie è una scienza in esplosione. Il lavoro pionieristico svolto dal telescopio Whipple, operativo in Arizona dal 1996, ha iniziato l’astrofisica gamma ad altissime energie portando alle prime scoperte di sorgenti che emettono in tale banda: la nebulosa del Granchio e il nucleo galattico attivo (AGN) Markarian 421. A seguire, la prima generazione di grandi telescopi Čerenkov, che comprendeva CAT (1996-2003) nei Pirenei, CANGAROO (1992-2001) in Australia e HEGRA (1993-2002) a La Palma, dimostrò e ampliò il potenziale di scoperta del nuovo campo scoprendo alcune nuove sorgenti galattiche ed extragalattiche (come i blazar, un tipo di AGN). Successivamente, grazie all’abbassamento delle energie di soglia, al miglioramento delle sensitività strumentali, alla costruzione di rivelatori ad ampio campo, e a strutture meccaniche più leggere, i ‘quattro grandi’ telescopi descritti nella sezione precedente hanno portato l’astrofisica VHE a maturità. 7 Negli ultimi cinque anni il numero di sorgenti di altissima energia è più che decuplicato, essendo ormai arrivato a superare la settantina, con una frequenza di nuove scoperte di una-due sorgenti al mese; in una mappa celeste cominciano a disegnarsi il piano galattico e gli emettitori extragalattici. Recentemente sono state scoperte anche nuove classi di emettitori gamma. Dalla Fig.13 si vede che il cielo gamma VHE è popolato soprattutto in corrispondenza del piano galattico. Ciò non dovrebbe stupire. La vicinanza gioca un ruolo fondamentale nel definire l’abbondanza delle sorgenti osservate: quindi ci si aspetta di riuscire a vedere tutte le sorgenti VHE – perlomeno fino a una certa luminosità minima – che appartengono alla nostra Galassia, e di vederle ammassate proprio nel piano galattico, dove si trovano la stragrande maggioranza delle sue stelle. Esternamente alla Galassia si osservano essenzialmente galassie brillanti nella banda gamma VHE, perlopiù AGN. Oltre che dell’effetto geometrico di diluizione del flusso con la distanza, gli oggetti lontani soffrono di un altro effetto di attenuazione del flusso, dovuto alla bassa trasparenza dell’universo ai raggi gamma VHE a causa dell’interazione di questi con la “nebbia” di fotoni infrarossi dovuti all’emissione delle popolazioni stellari delle galassie, che porta alla formazione di coppie elettrone/positrone e che risulta, per l’osservatore, in una riduzione netta del flusso. Quindi la distribuzione nel cielo delle sorgenti gamma VHE è necessariamente anisotropica. Che tipo di sorgenti emettono ad altissime energie? Cominciamo a guardare all’interno della nostra Galassia. In una fondamentale esplorazione sistematica del piano Galattico in banda VHE, il telescopio H.E.S.S. (situato nell’emisfero sud) ha scoperto una quindicina di sorgenti precedentemente sconosciute ad altre frequenze. Altre sorgenti galattiche, accessibili dall’emisfero settentrionale, sono state successivamente osservate con il telescopio MAGIC. Come controparti di tali sorgenti galattiche sono stati proposti resti di supernova (supernova remnants, SNR), pulsar associate a nubi di vento relativistico (pulsar wind nebulae, PWN), e stelle binarie nelle quali un nucleo centrale massiccio, ad esempio un buco nero, si accresce a spese di una stella orbitante. Qualunque sia in dettaglio la loro natura, è praticamente certo che le sorgenti galattiche VHE siano riconducibili alle tappe finali dell’evoluzione di stelle di grande massa e luminosità e di breve vita. Quindi, queste sorgenti sono traccianti dell’attività attuale di formazione stellare. Lo studio dei SNR riveste particolare interesse in quanto da molto tempo si pensa che i raggi cosmici galattici siano prodotti ai fronti d’urto di associati alle esplosioni di supernova attraverso il meccanismo dell’accelerazione diffusiva. Se i raggi gamma osservati nei SNR risultassero generati attraverso il canale adronico, allora sarebbe dimostrato che le supernovae possono accelerare protoni e nuclei fino a energie dell’ordine del ginocchio dello spettro dei raggi cosmici (la fisica dei processi adronici ci dice che le particelle primarie hanno energie uno-due ordini di grandezza superiori a quelle dei fotoni rivelati alla fine delle cascate). Tuttavia, partendo da una porzione di spettro gamma misurato nella relativamente ristretta banda di energia disponibile attualmente (una decade circa), è difficile separare la componente adronica da quella leptonica prevista dai modelli, e quindi trarre una conclusione ferma; i dati sembrano comunque preferire l’esistenza di una componente adronico, e quindi accreditare le supernovae come sito di accelerazione di raggi cosmici. Le misure nella banda da 0.1 a 8 100 GeV, che saranno forniti dai telescopi orbitanti AGILE e GLAST, saranno importanti per risolvere questo enigma. Un’altra classe di emettitori galattici per i quali si ritiene che lo studio della banda VHE sia particolarmente importante sono le pulsar. Le PWN – cioè pulsars che mostrano una prominente emissione nell’interazione con una circostante nube di gas – attualmente sono la classe più popolata di sorgenti galattiche gamma identificate. L’emissione VHE- delle PWN è probabilmente di origine leptonica. Un’altra classe interessantissima di sorgenti galattiche è costituita dai sistemi binari che emettono a energie dell’ordine del TeV. Sia nelle SNR sia nelle PWN l’accelerazione delle particelle avviene sulla scala del parsec negli urti che avvengono nelle interazioni del materiale espulso dall’esplosione di SN o dal vento della pulsar con il mezzo interstellare. Le cosiddette binarie TeV, rivelate dalla presente generazione di IACT, sono un tipo di acceleratori molto più compatti. Questi sistemi contengono un oggetto massiccio – una stella di neutroni o un buco nero – che cattura materia fuoriuscente da una compagna stellare: questi oggetti si possono quindi classificare come binarie X emittenti (anche) nella banda VHE-. Quattro sono le TVB scoperte finora. Infine, parlando di sorgenti galattiche va descritto lo sforzo sperimentale fatto per misurare l’emissione dal centro della galassia e per catturarne l’immagine. Recentemente le H.E.S.S. e MAGIC hanno rivelato una spettacolare emissione di fotoni gamma di altissima energia dalle vicinanze del buco nero nel centro galattico. Fra le sorgenti extragalattiche, la maggior parte delle rivelazioni da strumenti IACT riguardano un particolare sottoinsieme di AGN chiamati blazar. La caduta di materia nei buchi neri supermassicci che risiedono nei nuclei della maggior parte delle galassie produce l'attività spettacolare osservata negli AGN. Il paradigma corrente degli AGN include un motore centrale, molto probabilmente un buco nero supermassiccio (milioni di volte più del sole), circondato da un disco di accrescimento e da nubi in moto rapido. In circa il 10% degli AGN la materia che cade nel buco nero accende potenti getti collimati che fuoriescono in versi opposti, a velocità relativistiche. Se un getto relativistico è osservato a un angolo piccolo rispetto alla linea di vista, l'emissione del getto osservata è amplificata di un fattore relativistico, con amplificazione della luminosità di due-tre ordini di grandezza, e domina l'emissione osservata. Tali sorgenti, dotate di getto e di un orientamento peculiare, sono denominate blazar. Date le brevi scale temporali di variabilità osservate (la loro luminosità VHE può variare di un fattore due anche in uno-due minuti), si è concluso che i motori dei blazar sono molto compatti. Le distribuzioni spettrali di energia (SED) dei blazar sono caratterizzate generalmente da due larghi picchi nelle bande, rispettivamente, IR/X e GeV-TeV. Analisi di SED di blazar hanno suggerito che: (i) oggetti di alta/bassa luminosità hanno entrambi i picchi a frequenze più basse/alte (e sono denominati, rispettivamente, LBLs e HBLs); (ii) il rapporto di luminosità fra il picco ad alta e quello a bassa frequenza aumenta con la luminosità; (iii) alle più alte luminosità l'emissione gamma domina la luminosità totale. 9 L'interpretazione tradizionale degli spettri dei blazar è basata sul modello SSC. La componente con picco nella banda IR/X è interpretata come radiazione di sincrotrone, quella con picco nella banda 100 MeV — 100 GeV come IC. I dati di VHE sono di importanza cruciale per confermare il modello di SSC. Le osservazioni dei blazar sono state una delle prime priorità per l’astrofisica VHE. A tutt’oggi, le rivelazioni certe di blazar in banda TeV includono una ventina di oggetti. (Un ulteriore AGN non-blazar, M87, è stato pure rivelato.) All’incirca un nuovo blazar viene scoperto ogni mese. Un aspetto ulteriore dell’emissione TeV da blazar è che essa può essere usata come sonda della radiazione intergalattica di fondo (IBL), cioè la luce integrata delle popolazioni stellari delle galassie. I fotoni di TeV emessi da un blazar interagiscono con i fotoni di IBL e hanno un’alta probabilità di essere assorbiti via produzione di coppie. Qualunque sia il profilo intrinseco all’emissione, dopo avere attraversato lo spazio riempito dall’IBL, uno spettro blazar raggiungerà l'osservatore distorto dall’assorbimento. Questo effetto, che è più forte per gli oggetti più distanti, rende opaco l’universo a una certa distanza che diventa sempre più piccola all’aumentare dell’energia, fino a diventare confrontabile con il raggio della Via Lattea a un migliaio di TeV. Infine, si spera di poter misurare l’emissione VHE dei lampi gamma. In una generale confusione del quadro teorico, le osservazioni VHE dei GRB possono fornire vincoli ai modelli. Un numero sempre maggiore di GRB è osservato ad altissime energie grazie agli allarmi forniti dal satellite Swift, anch’esso in parte italiano. Nessun segnale sopra i 20 GeV è stato finora osservato, anche a causa del fatto che le distanze degli oggetti che finora hanno fornito un allarme erano così alte da rendere difficile l’osservazione, a causa dell’orizzonte cosmologico ridotto; ci sono però speranze di un risultato positivo da un momento all’altro. Vogliamo infine spendere qualche parola sui risultati che potrebbero avere impatto sulla fisica fondamentale: l’astrofisica VHE consente di testare la fisica in condizioni estreme, spesso oltre quanto possibile con gli acceleratori. Uno degli argomenti più “caldi” a questo proposito è la ricerca di materia oscura. Si ritiene che la maggior parte della materia dell’universo appartenga a una forma che non è quella a noi usuale. La maggior parte delle teorie sulla materia oscura, tenuto anche conto dei dati sperimentali, predilige come candidato idoneo a spiegare le osservazioni astrofisiche una nuova particella pesante neutra (di massa dell’ordine del centinaio di GeV) che interagisce debolmente con la materia ordinaria; tale particella viene chiamata WIMP, Weak Interacting Massive Particle. Le teorie supersimmetriche offrono “gratis” un candidato naturale per la WIMP, il cosiddetto neutralino. Due WIMP incontrandosi possono annichilarsi generando energia –caratteristica delle particelle cosiddette di Majorana, ipotizzate dal famoso fisico siciliano misteriosamente scomparso nel 1938. L’annichilazione di WIMP è osservabile dai rivelatori di raggi gamma, in quanto gran parte dell’energia prodotta si presenta sotto forma di fotoni gamma con energie confrontabili a quelle della WIMP, e caratteristiche che consentirebbero di distinguerli dal fondo astrofisico. Non si può escludere che il segnale rivelato in provenienza dal 10 centro galattico sia la prima evidenza di annichilazione di materia oscura, anche se questa regione è ricca di emettitori gamma di natura astrofisica, che potrebbero generare fotoni gamma con le stesse caratteristiche di quelli osservati. La massa della particella che potrebbe spiegare un segnale come quello osservato è dell’ordine della decina di TeV, quindi più alto di quello preferito dai modelli attuali. Un altro settore d’importanza fondamentale è la verifica dell’indipendenza della velocità della luce dall’energie. La teoria della relatività postula che la velocità della luce sia costante, e in particolare indipendente dall’energia dei fotoni; in scenari di teorie di gravità quantistica tale postulato potrebbe non essere ammissibile, e ad altissime energie e grandi distanze si potrebbero rivelare effetti con esso incompatibili. Anche in questo caso l’astrofisica VHE è in prima linea, e sono allo studio segnali promettenti che vengono dallo studio del tempo di arrivo dei fotoni di diversa energia provenienti dai flare degli AGN: è possibile che la teoria della relatività speciale sia vicina a cadere (si veda il riquadro). Il futuro I prossimi saranno ricchissimi di risultati per l’astrofisica gamma, che promette di essere la chiave per le scoperte fondamentali del prossimo decennio. Un secondo telescopio MAGIC è in costruzione a circa 80 metri di distanza dal primo per consentire una visione stereoscopica; l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e le università italiane consorziate sono responsabili dell’ottica (per la quale verrà usata una tecnologia ancora più avanzata rispetto a quella del primo telescopio, sempre legata all’industria italiana, e che si giova di un importante contributo da parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, INAF) e di parte dell’elettronica e del sistema di acquisizione e trattamento in linea dei dati. L’ottica innovativa usa specchi più grandi (1m2) e più leggeri di quelli attualmente usati. Il secondo telescopio, chiamato MAGIC 2, raddoppierà la sensibilità e migliorerà la precisione di imaging fino a consentire di risolvere particolari all’interno degli emettitori gamma galattici. L’inaugurazione è stata fissata per il 19 Settembre 2008, e il lavoro ferve; con questa scadenza MAGIC potrà giovarsi della sinergia con GLAST e AGILE. Da parte sua H.E.S.S. ha iniziato la costruzione di quello che, con i suoi 28 metri di diametro, sarà il più grande telescopio gamma al mondo, scalzando il primato di MAGIC. Questo nuovo telescopio sarà inaugurato nel 2009 e sarà l’elemento principale del sistema multitelescopio H.E.S.S. 2. In seguito le collaborazioni MAGIC e H.E.S.S. si uniranno per costruire due gigantesche matrici di telescopi, chiamate Čerenkov Telescope Array (CTA), la cui sensibilità dovrebbe superare di oltre un ordine di grandezza quella di MAGIC e di H.E.S.S.. Per questa nuova impresa la tecnologia scelta è simile a quella utilizzata attualmente, che verrà replicata su decine di strumenti in due siti, uno per emisfero. L’Italia ha già avuto la responsabilità dell’ottica per questo progetto. Nel progetto CTA si spera anche di introdurre nuove tecnologie che potrebbero cambiare il concetto stesso di telescopio: ancora una volta l’Italia, in particolare con il gruppo INAF di Palermo, è all’avanguardia nelle ricerche in questo campo. 11 Negli anni successivi al 20102015 le informazioni raccolte dai telescopi gamma potrebbero aprire la strada ai grandi rivelatori di neutrini cosmici (ICECUBE al polo sud e un rivelatore marino in costruzione nel mediterraneo) e di onde gravitazionali (il sistema di satelliti NASA chiamato LISA). Bibliografia [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] B. Rossi, “I raggi cosmici”, Einaudi 1971 NASA, sito web “Imagine the Universe: Gamma Rays” F. Aharonian, “The Very-High-Energy Gamma-Ray Sky”, Science 315 (2006) 70 A. De Angelis e L. Peruzzo, “Le magie del telescopio MAGIC”, Le Scienze, Aprile 2007 Sito MAGIC http://magic.fisica.uniud.it Sito AGILE http://agile.rm.iasf.cnr.it/ Sito GLAST http://glast.gsfc.nasa.gov/ (con una bella brochure scientifica); W. Atwood et al., `` Una finestra sull'universo estremo’’, Le Scienze, Febbraio 2008. Sito GLAST Italia http://glast.pi.infn.it/ (con una buona sezione di outreach) J. Albert et al. (The MAGIC Collaboration), Science 312 (2006) 1771 12 1 particella per m2 al secondo 1 particella per m2 all’anno 1 particella per km2 all’anno Fig. 1. Lo spettro di energia dei raggi cosmici. 13 Fig. 2. Lo spettro elettromagnetico. Sono mostrate anche le altitudini fino a cui le varie frequenze emesse da sorgenti celesti riescono a penetrare nell’atmosfera terrestre (es., il radio e la luce visibile riescono a raggiungere il suolo), mentre raggi X e gamma, e larga parte dell’infrarosso sono fermati nell’alta atmosfera. I raggi gamma cosmici di altissime energie possono venire rivelati a terra in modo indiretto mediate la luce Cerenkov emessa dalla loro interazione con l’atmosfera terrestre. 14 Fig. 3. Schema del meccanismo SSC. Fig. 4. Schematizzazione di uno sciame elettromagnetico. La scala tipica per le biforcazioni è la lunghezza di radiazione X0 (circa 300 m per l’aria al livello del mare). 15 Fig. 5. Il cono di luce Čerenkov e la sua immagine nella camera focale di un telescopio IACT. Fig. 6. Il telescopio MAGIC, un rivelatore per raggi gamma di tipo IACT. 16 Fig. 7. I “grandi 4”, i maggiori telescopi IACT attualmente in funzione: H.E.S.S., MAGIC, CANGAROO III e VERITAS. Fig. 8. Il telescopio Veritas. Fig. 9.a Fig. 9.b Fig.9.a. Un particolare dello specchio parabolico composto di MAGIC. Fig.9.b. L’immagine del segnale di un raggio gamma ricostruita dal rivelatore MAGIC. 17 Fig. 10. La rete GCN della NASA, che funge da sistema di allerta per l’arrivo dei GRB. Fig. 11.a Fig. 11.b Fig. 11.a. Uno schema di AGILE, un innovativo rivelatore per raggi gamma. Fig. 11.b. L’integrazione di AGILE sul satellite che lo ha portato in orbita. 18 Fig. 12. Il satellite GLAST. Fig. 13. Mappa (in coordinate galattiche) delle sorgenti gamma di altissima energia. 19 Fig. 14: A sinistra l’immagine gamma del Centro della Galassia (GC) ripresa da MAGIC; è visibile la regione del buco nero. A destra lo spettro di energia dei fotoni rivelati da MAGIC e H.E.S.S., confrontato con un’ipotesi di WIMP supersimmetrica di massa 14 TeV. 20 Fig. 15. La sequenza dei blazar, ordinata secondo la luminosità radio. Le sorgenti più luminose tendono ad avere i due picchi spostati verso frequenze inferiori (cioè, verso sinistra), mentre quelle meno luminose tendono ad averli spostati verso frequenze superiori (cioè, verso destra). 21 Fig. 16. L’orizzonte cosmologico in funzione dell’energia del fotone. Tutte le quantità sono espresse in logaritmi decimali. L’orizzonte si avvicina molto velocemente al crescere dell’energia del fotone, fino a diventare approssimativamente di 140mila anni luce (z=0.01) all’energia di 20 TeV. Fig. 17. Il telescopio MAGIC è sullo sfondo, e in primo piano il suo gemello in costruzione. 22 Fig. 18. L’array di telescopi H.E.S.S. con un fotomontaggio del nuovo grande telescopio che darà origine a H.E.S.S. 2. Fig. 19. Sensibilità dei principali rivelatori gamma, definita come minima intensità rivelabile in 50 ore per gli IACT e in un anno per Glast. 23