Untitled - Regione Sicilia

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LA STORIA
Solunto, insieme a Mozia e a Panormo, è una delle tre città fondate dai Fenici in Sicilia fra l’VIII e il VII secolo a.C., nello stesso periodo in cui sulla costa
ionica aveva inizio la colonizzazione greca (fig.1).
Della città conosciamo il nome greco, ma di origine semitica, Soloeis, Solous,
che significa “la roccia”, e la sua traduzione latina Solus, Soluntum. L’originario
toponimo fenicio è invece forse riconoscibile nell’etnico “k f r”, “villaggio”, che
compare in esergo in emissioni monetarie in bronzo e argento della fine del V
sec. a.C. (fig.2)
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Purtroppo le notizie su Solunto fornite
dalle fonti storiche sono estremamente
scarse. Secondo Ecateo di Mileto, che ricorda solo Mozia e Solunto tra gli insediamenti fenici siciliani, il nome antico
Soloeis sarebbe derivato da quello di un
brigante sconfitto da Eracle nelle sue peregrinazioni occidentali, in un ciclo mitico
che collega le imprese dell’eroe greco,
assimilato al dio punico Melkart, alle tappe del viaggio condotto in Sicilia. Lo storico ateniese Tucidide (VI, 2, 6) narra invece che all’arrivo dei Greci i Fenici, i
quali fino ad allora avrebbero abitato le
isolette e i promontori della Sicilia, si ritirarono nelle tre città di Mozia, Solunto e
Panormo, fidando nell’alleanza con gli
indigeni e con gli Elimi, saldamente insediati nella cuspide occidentale dell’isola,
e nella vicinanza con Cartagine.
Come ci narra Diodoro Siculo (XIV, 5;
78.7), agli inizi del IV secolo il più antico
insediamento soluntino, che gli scavi più
recenti hanno localizzato sul promontorio di Sòlanto, venne saccheggiato e distrutto da Dionisio I di Siracusa, durante
la guerra scatenata dal tiranno siracusano contro l’elemento punico di Sicilia e
conclusasi con la conquista di Mozia nel
397 a.C.
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La ricostruzione della città sulle pendici del Monte Catalfano, avvenuta nel corso del IV secolo, è documentata sempre da Diodoro (XX, 64, 4), che richiama l’episodio delle truppe di Agatocle accolte a Solunto nel 307 a.C.
La fondazione del centro urbano si colloca pertanto tra il 367 a.C., data della stipula del trattato di pace tra Siracusa e le città puniche sconfitte, e il 307, quando nella nuova Solunto poterono acquartierarsi le milizie agatoclee reduci dalla
spedizione in Africa.
Nel 254 a.C., durante la prima guerra punica, Solunto si arrese ai Romani (Diodoro, XXIII, 187) e in seguito Cicerone la nomina tra le civitates decumanae che
subirono le vessazioni di Verre (Verr. II, 42;III, 103). L’ultima fonte storica relativa alla vita della città è un’epigrafe (C.I.L. 2, n.7736) dedicata dalla Respublica
Soluntinorum a Fulvia Plautilla moglie dell’imperatore Caracalla, databile tra il
202 e il 205 d.C., anno in cui Plautilla fu relegata in esilio a Lipari. Insieme ad alcune monete di Commodo (180-192 d.C.) l’iscrizione è una delle ultime testimonianze di vita della città, che sembra essere stata volontariamente abbandonata
dai suoi abitanti a partire dagli inizi III sec. d.C., in parallelo alla crescente ruralizzazione del territorio tipica dell’età tardoantica.
Il toponimo Soluntum è attestato in seguito sia nell’Itinerarium Antonini, fonte itineraria la cui prima redazione risale alla metà del III sec. d.C., sia nella più tarda Tabula Peutingeriana, che ricorda tale tappa lungo il percorso della strada
consolare (via Valeria) che in epoca romana univa Messina a Lilibeo attraversando tutta la costa settentrionale della Sicilia. Ancora nel VII sec. d.C. l’Anonimo Ravennate registra nella sua “Geografia” la località di Solantum, nome con il
quale in età moderna si identifica il promontorio.
Il periodo tardoromano e l’epoca arabo-normanna sono contraddistinti da un
vuoto pressocché totale di informazioni. Alcune monete di età bizantina e due
lucerne di epoca tardoromana recuperate presso Porticello alla fine dell’800
sembrano indicare una parziale frequentazione altomedievale alle pendici dell’antica città punico-romana.
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Secondo una suggestiva ipotesi di Michele Amari, che riproporrebbe il significativo “ritorno” del nucleo altomedievale sul luogo della originaria colonia fenicia ,
presso la tonnara di Sòlanto si potrebbe identificare il sito di As Sabikah (“la rete”), ricordato dal geografo arabo Edrisi tra il villaggio dell’Aspra e Trabia. E proprio il promontorio di Sòlanto, con la tonnara, il porticciolo e il castello, edificato
alla fine del XIV secolo, divenne in seguito il centro dell’omonima “baronia”, roccaforte dell’aristocrazia locale e perno della florida economia del territorio sino al
‘700.
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Storia degli scavi
Le rovine di Solunto ellenistica furono note al Fazello (XVI secolo) e ai viaggiatori settecenteschi ma divennero oggetto di scavi sistematici soltanto nella prima
metà dell’Ottocento.
L’interesse e la curiosità verso i resti della città ellenistica si intrecciarono con la
nascita delle ville settecentesche nella piana di Bagheria e nel territorio della antica baronia di Sòlanto e le prime notizie circa rinvenimenti occasionali nelle campagne flavesi si devono ad alcuni influenti personaggi della cultura borbonica del
tempo. È infatti Gabriele Castelli Lancillotto principe di Torremuzza, nominato
nel 1778 Regio Custode delle Antichità della Valle di Mazara e proprietario di una
villa signorile nella zona, ad informarci del rinvenimento delle prime “sepolture incavate nella pietra” nella “campagna sottoposta al Monte Catalfano che porta il
nome di Bagaria”.
Ma l’inizio della esplorazione scientifica a Solunto coincide con l’attività della
Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia e con la realizzazione degli sca-
vi intrapresi negli anni 1828-1835, principalmente per il recupero di sculture di
marmo e di bronzo tra le quali la nota statua dello Zeus-Baal Hammon. I documenti contabili della Commissione, i cui esponenti principali erano Giuseppe
Lanza principe di Trabia e Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco,
registrano le spese sostenute per recuperare alcune statue e diversi elementi architettonici e garantirne il trasporto al Museo di Palermo, dove ancora oggi tali
preziosi reperti sono esposti.
Agli stessi anni risale lo scavo effettuato dal Serradifalco nella parte alta della
collina, con il rinvenimento di alcuni sacelli e della nota scultura arcaica identificata come la rappresentazione della dea punica Astarte, anch’essa al Museo di
Palermo, che è stata a lungo ed erroneamente ritenuta proveniente dal sito di
Pizzo Cannita.
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Nel 1856-57 i lavori sul sito proseguirono sotto la direzione di
Gabriele de Spuches principe di Galati e interessarono l’area
compresa tra la via dell’agorà e la collina orientale; da questi
scavi proviene la già citata iscrizione latina con dedica a “Fulviae Plautillae Antonini Augusti Republica Soluntinorum D.D.”,
attribuita agli anni 202 - 205 d.C.
Nel 1863 nel sito operò Francesco Paolo Perez che mise in luce gli isolati abitativi posti nella parte centrale della città (insulae 1-4). Nell’ambito di tali ricerche, il Cavallari nel 1866 effettuò l’anastilosi (ricostruzione) di una porzione del peristilio di
una lussuosa casa a peristilio che venne arbitrariamente identificata col nome di “Ginnasio Romano” (fig. 3 a,b) da un’iscrizione greca con dedica a un ginnasiarca rinvenuta nelle vicinanze. Nel 1868-69 il prof. Giovanni Patricolo realizzò invece
lo scavo di un’altra casa a peristilio posta quasi alla sommità
del rilievo e vi recuperò i sei pannelli relativi a pitture parietali
in II stile pompeiano, decorate con festoni e maschere teatrali,
tuttora esposti al Museo di Palermo. Infine, nel 1875 gli scavi
continuarono ad opera di Antonino Salinas con il ritrovamento
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della porzione settentrionale di via dell’agorà e con un tratto della grande arteria
trasversale est-ovest, successivamente denominata via Ippodamo da Mileto
(fig.4). Oltre ad intervenire nell’area della città ellenistica, il Cavallari ed il Salinas
nel 1872 e nel 1876 compirono i primi scavi nella necropoli punica rinvenuta
presso la stazione ferroviaria di Santa Flavia.
Nel 1920 Ettore Gabrici effettuò alcuni limitati interventi nell’area orientale dell’agorà, mettendo in luce alcuni ambienti, con ricchi mosaici, di un grande edificio
in cui è forse da identificare una terma pubblica. Più ampie ricerche ripresero a
Solunto soltanto a partire dal 1951, con regolari campagne di scavo effettuate
per circa un ventennio dalla Soprintendenza alle Antichità della Sicilia occidentale e dirette dal Soprintendente Prof. Vincenzo Tusa. Sono state così interamente messe in luce vaste porzioni del tessuto urbano, con lo scavo integrale
del lato occidentale dell’agorà, del teatro e della terrazza superiore con vari edifici sacri; furono inoltre completate le indagini nelle insulae 5-18, rinvenendo svariate nuove porzioni dell’antico sistema viario. Benché gran parte della città antica resti ancora da esplorare, le ricerche scientifiche condotte nei secoli scorsi
hanno fatto sì che Solunto divenisse uno dei siti più importanti nel quadro dell’archeologia siciliana, in special modo per quanto riguarda la cultura abitativa di
età ellenistico-romana.
Solunto arcaica
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La localizzazione di Solunto arcaica ha costituito per
lungo tempo un vero e proprio enigma nella storia
degli studi fenicio-punici (fig. 5).
Poiché, infatti, gli scavi effettuati dal Tusa negli anni
1950-70 nella città ellenistica non avevano rivelato
alcuna testimonianza archeologica per il periodo anteriore alla metà del IV secolo a.C., in un primo tempo lo stesso studioso aveva avanzato l’ipotesi che
l’antico insediamento fenicio fosse da riconoscere
sul Pizzo Cannita, un rilievo posto sul corso del fiume Eleuterio, dal quale provengono due sarcofagi
antropoidi di tipo sidonio, databili ai primi decenni del
V sec. a.C. e oggi esposti al Museo di Palermo (fig.
6). Alla Solunto posta sul Pizzo Cannita veniva inoltre erroneamente riferita anche la scultura arcaica di
Astarte (metà del VI sec. a.C.) conservata a Palermo, che invece era stata rinvenuta dal Serradifalco
nel sacello posto sopra il teatro di Solunto, durante i
primi scavi effettuati in quella zona nel 1826.
La convinzione che il sito di Solunto arcaica fosse da ricercare nelle vicinanze di
quella ellenistica cominciò ad affacciarsi tra
gli studiosi negli anni 1972-1984, quando
sia lo scavo di un nuovo lembo della necropoli punica databile a partire dal VI sec.
a.C., sia il rinvenimento di resti di impianti
artigianali sulla punta del promontorio di Sòlanto, fecero convergere verso tale area gli
indizi più consistenti per l’identificazione
dell’insediamento fenicio. Secondo il tipico
modello coloniale fenicio che prediligeva le
penisole poco elevate sul mare o gli isolotti
vicini alla terraferma, come Mozia, il promontorio di Sòlanto si presenta infatti come
uno sperone alto circa 30 metri sulla costa;
a Sud il vallone dei torrenti Cefalà e Casteldaccia costituiva un’agile via di penetrazione verso l’entroterra .
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Basandosi su tale evidenza topografica, le ricerche
svolte dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo tra il 1992 e il 1997, oltre a portare alla luce un nuovo settore della necropoli punica di età arcaica e classica, hanno consentito di individuare distinti nuclei artigianali ed abitativi, posti a
Nord e a Sud della statale 113, in aree diverse del
promontorio di Sòlanto (contrada S. Cristoforo) (fig. 7).
Nel saggio aperto quasi al centro del pianoro, sono
stati rinvenuti livelli databili dalla fine del VII-inizi VI
sec. a.C. (coppe ioniche B1, kantharos di bucchero
etrusco) sino ai primi decenni del IV sec. a.C., e una
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piccola fornace bilobata della fine del V a.C., posta all’interno di una più ampia
area artigianale . Nel Saggio I è stata individuata un’imponente fornace ellenistica (fig. 8) costruita in una zona già occupata in epoca arcaica da altri forni destinati alla produzione ceramica. Nelle immediate vicinanze si sono rinvenute
grandi fosse di scarico, ricolme di frammenti, che riutilizzano cavità precedentemente scavate nella roccia, tra cui anche una piccola tomba a grotticella presumibilmente risalente all’antica età del bronzo.
Il principale interesse di questi saggi, i cui risultati sono piuttosto modesti
quanto al rinvenimento di strutture, consiste nel recupero di una grande quantità di materiale fenicio e greco d’importazione (figg. 9-10). Mentre la cronologia,
circoscritta tra la seconda metà del VII e il VI sec. a.C., consente per la prima vol-
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ta di disporre di un quadro di testimonianze concretamente riferibili al più antico
insediamento fenicio, d’altra parte il recupero di numerosi scarti di fornace relativi a tipi della ceramica fenicia arcaica documenta un’efficiente organizzazione
della più antica comunità coloniale, che risulta stabilmente insediata sul promontorio soluntino almeno dai decenni finali del VII secolo. La qualità del materiale d’importazione (ceramica greca ma anche prodotti di fabbriche indigene)
rinvenuta in associazione a forme tipiche del repertorio fenicio, lascia supporre
che gli originari contesti archeologici di provenienza, più ancora che a porzioni
dell’abitato arcaico, siano da riferire ad una necropoli e a un tofet dislocati nelle
vicinanze.
Alla prima potrebbe plausibilmente rimandare la cospicua presenza di importazioni
greche, tra cui sono soprattutto degne di
nota quelle corinzie; al secondo potrebbe
invece essere riferita la prevalenza di brocche a collo cilindrico, di coppe e di piatti fenici, talvolta con decorazione “red slip”.
Ad avvalorare l’ipotesi che il tofet di Solunto potesse trovarsi in antico lungo il margine settentrionale del promontorio, sono
inoltre i monumentali cippi, di cui uno del tipo “a trono” (fig. 11a-b), recuperati dallo
scavo degli strati di crollo della grande fornace ellenistica, nella cui costruzione furono probabilmente riutilizzati. Con l’avvio di
indagini sistematiche nel pianoro di S.Cristoforo si sono dunque raggiunti importanti
risultati per la conoscenza dell’insediamento arcaico, benché manchino tuttora dati
sufficienti a delineare la configurazione urbanistica dell’antica città fenicia.
Per quanto ancora esigua, l’evidenza archeologica riferibile a Solunto arcaica, letta
attraverso lo studio minuzioso dei materiali, sembrerebbe comunque riproporre una
situazione simile a quella di Mozia, dove
lungo la costa nord si susseguono quasi
senza soluzione di continuità aree di produzione artigianale, la necropoli arcaica e il
tofet.
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Cippo-trono da Solunto (disegno) e
Trono di Astarte (II sec. a.C.)
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La rete di rapporti intessuti dal nucleo fenicio sia con le popolazioni indigene dell’interno, attestate nelle vicine località di Pizzo Cannita, Monte Porcara,
Montagnola di Marineo (oggi identificata con la città sicana di Makella), sia con
la colonia greca di Himera, denota infine la vocazione prevalentemente commerciale della Solunto più antica (fig.12) e ripropone un modello di insediamento coloniale che presenta significative analogie topografiche con le fondazioni fenicie dell’Andalusia orientale (Morro de Mezquitilla, Almuñecar, Toscanos). L’insediamento coloniale appare infatti aperto sin dalle fasi più arcaiche a una molteplicità di rapporti socio-economici, e in tale contesto dinamico dovette giocare
un ruolo determinante la preoccupazione di assicurarsi una postazione strategica sulla costa tirrenica, che favorisse il controllo delle rotte nord-occidentali, sussidiarie al collegamento con Cartagine, con la Sardegna e con i porti etruschi, in
palese concorrenzialità con il contiguo commercio greco-calcidese.
Solunto ellenistica
Impianto urbanistico e infrastrutture
La città ellenistica, ricostruita sul declivio del Monte Catalfano dopo la distruzione dionigiana degli inizi del IV sec. a.C., occupa una posizione panoramica e si
dispone scenograficamente in terrazze digradanti secondo un impianto regolare
che viene definito di tipo “ippodameo”, dal nome dell’architetto greco Ippodamo
da Mileto, che teorizzò i principi dell’urbanistica ortogonale nel V sec. a.C. L’elemento più caratteristico dell’urbanistica ippodamea è costituito dalla divisione
razionale delle varie aree cittadine in rapporto alla funzione svolta; in tale pianificazione la modularità dello schema urbano e l’ortogonalità del sistema viario
costituiscono applicazioni altrettanto rigide. L’aderenza a questi canoni di progettazione urbana contraddistingue numerosi impianti sicelioti sorti ex novo o ricostruiti alla fine del V e nel corso del IV secolo, come accade a Morgantina, Tindari, Alesa, Taormina, Termini Imerese, con soluzioni formali che peraltro accomunano in una sorta di koiné architettonica le città della costa settentrionale divenute particolarmente fiorenti in epoca ellenistico-romana.
A Solunto (tavola fuori testo) la maglia urbana è disegnata dal reticolato viario nel
quale tre assi Nord-Sud (plateiai) - di cui il principale è la via dell’agorà - intersecano perpendicolarmente otto strade (stenopoi) est-ovest (via Ippodamo da
Mileto, via Cavallari, via Salinas, via Bagnera, via Ciauli, etc.), disposte in forte
pendenza sul declivio della collina. L’incrocio delle strade forma insulae larghe
40 m e lunghe 80 m, definite in base alla semplice proporzione 1:2 e suddivise
longitudinalmente da uno stretto canale per lo scorrimento e la canalizzazione
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delle acque meteoriche (ambitus), utile ad arieggiare anche gli ambienti più interni dei lotti d’abitazione. Malgrado l’impianto rifletta criteri di organizzazione
propri della cultura greca, sembra tuttavia che il progetto sia stato concepito e
realizzato sulla base dell’unità di misura punica, il cubito di m 0,515, nel clima di
fecondo scambio culturale che, nel Mediterraneo occidentale, coinvolge le principali città puniche, a partire da Cartagine e da Palermo. Con il suo complesso
urbanistico perfettamente leggibile, Solunto offre una delle documentazioni più
ricche e complete di edilizia privata d’epoca ellenistica finora venute alla luce in
Sicilia, e le sue insulae allungate presentano una sistemazione a terrazze che
richiama il modello di più note città greche dell’Asia Minore sorte anch’esse nel
IV secolo a.C., Priene e Pergamo.
L’accesso alla città, particolarmente impervio e agevole solo dal versante sudorientale, era garantito da alcune strade lastricate, di cui sussistono ancora alcuni ampi tratti, superstiti al taglio della moderna strada provinciale, conservati
presso i due padiglioni museali e al di sotto del belvedere panoramico .
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Del circuito della cinta muraria sono attualmente in vista brevi settori disposti
lungo il ciglio occidentale del rilievo. Qui
si seguono per circa 40 metri le fondazioni della cortina muraria, e si intravede
il perimetro di una torre quadrangolare di
avvistamento, posta in asse con la via
Salinas (tavola fuori testo).
Le strade, veri e propri elementi dell’arredo urbano, si distinguono per l’uso di
pregiati materiali di rivestimento, impiegati con una spiccata tendenza decorativa: tale è, ad esempio, la inconsueta pavimentazione in mattoni che contraddistingue la porzione terminale della via
dell’agorà e la piazza dell’agorà (fig.13).
La dedica di tale lastricato stradale da
parte dell’evergetes Asklapos (fig.14),
membro di una famiglia assai facoltosa
attestata a Solunto nel II sec. a.C., rappresenta così una tangibile prova di mecenatismo cittadino. Gli stenopoi secondari, tra cui emerge la via Ippodamo da
Mileto interamente messa in luce, sono
invece contraddistinti da rampe a gradini
realizzate con grandi lastre di arenaria,
che servivano a superare i notevoli dislivelli di quota delle balze collinari .
Sulla maglia stradale si innervava inoltre
il sistema idrico degli ambitus, nei quali si
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raccoglieva il surplus dell’acqua raccolta dalle numerose cisterne diffuse per tutto l’abitato. Questo ingegnoso e sofisticato sistema di approvvigionamento e
smaltimento dell’acqua piovana, che costituiva l’unica risorsa idrica di Solunto ellenistica, sembra essere stato tipico della cultura punica, così come a matrice
punica rimanda la tipologia delle varie cisterne di forma ovale ad angoli smussati
(“a bagnarola”), in tutto simili a quelle attestate a Kerkouane e a Cartagine.
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Il centro urbano: agorà, teatro,
bouleuterion
A Solunto la distinzione tra le aree abitative e le zone pubbliche è scandita
dalla dislocazione eccentrica di queste
ultime rispetto allo sviluppo della città
e all’asse viario principale di via dell’agorà, ed è da notare come questo elemento accomuni significativamente
Solunto ad altre città siceliote di età
tardoellenistica (Termini Imerese, Tindari, Alesa e Taormina). L’agorà, il teatro e il bouleuterion sono infatti raccolti in due grandi terrazze comunicanti
poste all’estremità nord della città e lo
spazio riservato a tali monumenti pubblici è pari a quello di 2 intere insulae
(fig. 15).
La grande piazza rettangolare dell’agorà (fig. 16), su cui si allineano le fondazioni di vari monumenti votivi, misura m 50 x 20 ed era originariamente
pavimentata in mattoni. Il lato lungo
occidentale della piazza è interamente
occupato da un portico a corpi laterali
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aggettanti (stoà a paraskenia) lungo il quale si susseguono nove esedre, aperte
verso il portico con due colonne in antis. Sullo stilobate (basamento) si ergevano le colonne del portico a tre lati ( a forma di “pi” greco). Diversi elementi architettonici giacenti nell’agorà sono da attribuire al portico, e la presenza di membrature riferibili sia ad un ordine dorico che ad un ordine ionico permettono di ipotizzare che la stoà fosse a due piani.
L’ultima esedra a nord (fig. 17) presenta una nicchia che fungeva da base per
due statue di bronzo e che conserva due epigrafi dedicatorie della metà del II
sec. a.C. (fig. 18) indirizzate rispettivamente agli anfipoli Apollonio e Aristone.
I personaggi menzionati appartenevano alla medesima famiglia e ricoprivano
importanti cariche religiose, essendo sacerdoti preposti al culto di Zeus Olimpio;
le dediche inoltre furono realizzate mentre membri della stessa famiglia rivestivano un altro importante incarico sacerdotale, quello di “hierothyta”.
L’agorà è infine delimitata, a Nord, da una grande cisterna pubblica (fig. 19), in
parte alimentata dalle acque incanalate nell’euripo che attraversa l’orchestra del
teatro, il cui impianto presenta notevoli affinità con un esempio di età romana a
Leptis Magna.
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All’estremità nord della stoà una scala a due rampe mette in comunicazione l’agorà con la terrazza del teatro.
La cavea del teatro sfrutta almeno in parte la naturale conformazione della collina; mentre la parte centrale della cavea (koilon) fu scavata nella roccia, le due
ali, e soprattutto quella settentrionale, furono dotate di alte sostruzioni che inglobarono i cospicui resti di case esistenti in tale zona prima che vi fosse edificato
il teatro (fig. 20), sorto nell’ambito di un imponente programma di riassetto edilizio della zona pubblica cui si deve probabilmente anche la sistemazione della
sottostante agorà con la creazione della stoà.
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La cavea teatrale, di forma semicircolare, presentava 22 file di sedili
(kerkides) ed era suddivisa in 7 cunei da 5 scalette radiali (klimakes);
così articolato, il teatro soluntino poteva contenere 1500-1600 spettatori.
Il muro perimetrale della cavea (analemma) ha l’andamento di un poligono di 13 lati ; l’orchestra circolare,del
diametro di m 10, presenta due successive fasi di pavimentazione, delle
quali la più recente è costituita da
uno spesso battuto in cocciopesto di
età romana. La skene (scena), di cui
oggi restano solo le fondazioni del
basamento di m 21,60 x m 2,20, è
stata ricostruita, grazie ad una analisi assai accurata degli elementi superstiti, nella sua originaria configurazione architettonica (fig. 21), con
gli avancorpi laterali (paraskenia)
obliqui che fiancheggiavano il proskenion.
Tale peculiare soluzione, che mirava
a migliorare la visibilità degli spettatori, è una caratteristica dell’architettura teatrale della Sicilia centro-occidentale e ricorre anche nel teatro di
Segesta e nella seconda fase costruttiva di quello di Iato.
L’edificio scenico risulta inoltre una struttura a due piani, contraddistinti dall’ordine dorico in quello inferiore e dall’ordine ionico nel superiore; il basamento del
logeion (palco) era costituito da un alto zoccolo, le cui estremità erano animate,
come nel teatro di Monte Iato, da figure di cariatidi di dimensioni ridotte.
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2,5
METRI
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0
A sinistra del teatro si trova il piccolo bouleuterion, edificio destinato ad accogliere le assemblee del consiglio cittadino e, talvolta, anche rappresentazioni
musicali (fig. 22). Nell’edificio, che misura m 11,15 x m 7,35, si può ricostruire
una cavea a 5 file di posti; per l’ingresso si ipotizzano due porte laterali che fiancheggiavano una parete dietro la quale era collocato il bema, il pulpito degli oratori. L’impianto trova stringenti analogie con la serie di bouleuteria ellenistici sorti ad Akrai, Segesta e Monte Iato tra il III e il II sec. a.C.
Alla destra del teatro, alla struttura della cavea si addossa un grande edificio
pubblico in cui è da riconoscere la palestra di un ginnasio (fig. 23). Il tipo edilizio
si caratterizza per il vasto peristilio, di cui restano soltanto i basamenti del colonnato, preceduto da un ampio vestibolo fiancheggiato da ambienti di servizio.
Sul peristilio si apre una grande esedra, posta nell’area occidentale del complesso, e tale sala era inoltre collegata tramite un piccolo corridoio ad un vasto
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ambiente a pianta circolare, una tholos nella
quale è possibile riconoscere un pyriaterion,
ovvero una sala destinata alla sauna, secca
o umida. Nel mondo greco-romano l’educazione fisica ed intellettuale dei giovani veniva
impartita nel ginnasio, al cui interno si distinguevano diverse parti funzionali: la palestra
vera e propria, cioè la grande corte rettangolare nella quale si svolgevano la lotta e le altre attività ginniche, le sale (esedre) destinate alle lezioni e alle riunioni, nonché gli ambienti relativi ai bagni, utilizzati sia per le
abluzioni con acqua fredda (loutron), sia per
i bagni caldi o la sauna (pyriaterion).
La grande palestra soluntina, che per la planimetria schematica ed essenziale è confrontabile con il ginnasio di Eretria, anch’esso
provvisto di tholos, e con la palestra del ginnasio di Epidauro, fu edificata vicino al teatro
secondo un modello urbanistico molto diffuso
nel mondo greco, che vede sorgere i ginnasi
all’interno di importanti aree pubbliche, generalmente in prossimità di grandi santuari o di
edifici teatrali.
Come avvenne per il teatro, anche la palestra
fu impiantata al di sopra di strutture abitative
di epoca più antica, i cui resti sono tuttora visibili sotto le imponenti fondazioni del peristilio centrale.
Le aree sacre
I luoghi di culto punici si distinguono nettamente dai templi greci e costituiscono
la più eloquente testimonianza della cultura punica degli antichi soluntini, al contrario di altre tipologie architettoniche più fortemente condizionate dalle tradizioni dell’architettura greca.
A Solunto i santuari principali sono dislocati nei pressi dell’agorà: l’edificio sacro
con altare a tre betili è posto lungo il fronte dell’insula che precede l’ingresso alla piazza pubblica (fig. 24), mentre il tempio a due navate sorge sulla terrazza al
di sopra del teatro.
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Il nucleo dell’area sacra con altare a tre
betili (fig. 25) è costituito da uno spazio
sacrificale all’aperto, di m. 2 x m 2,50, dietro il quale si ergono tre betili, stele verticali che simbolizzano la rappresentazione
aniconica della divinità, affiancati da una
vasca per la raccolta del sangue degli
animali offerti in sacrificio. A Nord di tale
vano segue un ambiente con una banchina perimetrale, utilizzata durante le cerimonie del culto. Le stanze retrostanti, che
sembrano far parte dello stesso santuario, formano un gruppo di nove ambienti
sistemati su due livelli intorno ad un cortile, nel quale sono stati rinvenuti oggetti
votivi ed ossa di animali. L’articolazione
planimetrica del complesso trova significative analogie con il santuario punico del
“Cappiddazzu” a Mozia e con l’area sacra
edificata sull’acropoli di Selinunte dopo la
conquista cartaginese del 409 a.C.
Nella zona a monte della terrazza del
teatro, dove si sviluppa un’estesa area
sacra di più spiccato carattere pubblico, si
trova un grande edificio sacro a due navate (fig. 26), una costruzione delle dimensioni di m 9,80 x 15,10 suddivisa internamente in due ambienti rettangolari,
che presentano nella parte posteriore nicchie e podi per statue.
Nella nicchia meridionale fu rinvenuta nel
1835 una statua maschile, ora al Museo
Archeologico “A. Salinas” di Palermo, con
la rappresentazione di Zeus- Baal Hammon assiso in trono (fig. 27). Un edificio
analogo, ma di dimensioni minori si trova
più a nord ed in preciso rapporto con l’asse del teatro; da esso proviene la statua
femminile, rinvenuta dal Serradifalco nel
1826, nella quale si riconosce la dea punica Astarte (fig. 28).
La scultura, anch’essa conservata al Museo di Palermo, è però databile ad età arcaica ed è quindi notevolmente più antica
del complesso nel quale fu recuperata.
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Edilizia privata: le case a peristilio
Per la ricchezza e la qualità degli apparati decorativi, l’edilizia privata costituisce
forse l’aspetto più importante dell’archeologia soluntina. Le abitazioni allineate
lungo la maggiore arteria cittadina, via dell’agorà, offrono infatti una varia esemplificazione del tipo della casa “a peristilio” ellenistica, organizzata intorno ad
una corte centrale colonnata e dotata di un piano superiore, di grandezza variabile tra i 400 e i 520 mq. Pitture parietali e mosaici pavimentali costituiscono forse la più ampia attestazione sinora venuta alla luce in Sicilia del repertorio di tradizione ellenistica in voga in epoca romana. Le dimore più ampie e lussuose
erano talora servite di vani destinati a riunire le funzioni di bagno e cucina in
un’unica zona della casa. In alcuni casi, inoltre, la presenza di ambienti circolari
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può forse essere interpretata come testimonianza dell’esistenza di laconica (bagni) privati, documentati di recente a Monte
Iato e in altre località del mondo antico .
Sul fronte dell’insula si susseguivano inoltre vari negozi (tabernae), costituiti da un unico locale aperto sulla via e da un
soppalco a mezzanino (pergula).
Le più significative case a peristilio soluntine si distribuiscono
lungo le strade principali e sulla via dell’agorà
Il c.d. “Ginnasio” , che prende nome dall’iscrizione con dedica ad un ginnasiarca rinvenuta nel 1865, è in realtà una lussuosa dimora privata disposta su tre livelli principali, di cui
quello aperto su via dell’agorà presentava 4 botteghe (fig. 29).
Il piano principale, cui si accede da via Cavallari, presenta vari ambienti raggruppati intorno ad un peristilio dorico con 4 colonne per lato; di fronte all’ingresso si trova un’ampia esedra,
arricchita da un bel pavimento a mosaico e pitture parietali della fase finale del II stile pompeiano. Il piano superiore, situato
circa m 5,70 sopra il livello residenziale, si estendeva su tutta
la superficie della casa. Il peristilio presentava un colonnato di
ordine dorico sormontato da un secondo ordine ionico. Con i
suoi tre livelli la facciata del “Ginnasio” raggiungeva sulla via
dell’agorà la ragguardevole altezza di 15 m .
Tra quelle soluntine, la “Casa di Leda” costituisce il complesso maggiormente rappresentativo sia per la ben conservata
architettura che per il ricco apparato decorativo (fig. 30). Anche in questo caso si tratta di una abitazione del tipo a peristilio, con portico ionico sia nell’ordine inferiore che nel piano superiore, caratterizzata da una pianta articolata su tre livelli. Al
piano inferiore si aprivano le botteghe dotate di mezzanino,
che prospettavano su via dell’agorà.
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Al livello residenziale, con ingresso da via Ippodamo di Mileto, sono disposti un’esedra affiancata
da due cubicula sul lato Nord e il
tablinum, riccamente decorato da
pitture, sul lato Ovest. Ai lati del
tablinum, due scale, simmetriche,
conducevano al piano superiore
e immettevano negli ambienti di
servizio (bagni e cucina), posti a
quota intermedia e dotati di un ingresso indipendente sulla strada.
L’intero piano nobile della casa è
ornato da una stesura unitaria di
mosaico monocromo bianco,
mentre uno dei cubicula conserva il noto emblema in vermiculatum con rappresentazione di sfera armillare (fig. 31), che per la
peculiarità del tema e dell’esecuzione è da ritenere un manufatto eseguito sul
posto da un artista alessandrino. Notevoli sono i resti di pitture parietali, attribuibili a diverse fasi decorative. A un momento di transizione tra il II e il III stile pompeiano si possono probabilmente attribuire le pitture del tablino, dove le figure
mitologiche di Leda con il cigno, degli Imenei e dei Dioscuri si stagliano come
statue all’interno di grandi pannelli delimitati da esili cornici.
Sempre nell’insula 6 si trova la “Casa del Cerchio a mosaico”, così chiamata
per la presenza nell’oecus di un pavimento in opus signinum decorato con un
grande rosone campito da un reticolato di rombi (figg. 32-33). Sia in questo ambiente che nell’attiguo grande tablino restano tracce di una decorazione parietale in stucco bianco di I stile, coevo alla stesura del pavimento in cocciopesto. In
una fase cronologicamente successiva tale decorazione venne sostituita con pitture della fase iniziale del II stile, di cui restano ampie testimonianze nelle cornici in stucco e nei festoni colorati su fondo giallo che ancora oggi si intravedono
sulle pareti. Malgrado il grado di elaborazione del repertorio decorativo pienamente ascrivibile al II e I sec. a.C., l’impianto architettonico della casa si distingue dalle altre lussuose dimore soluntine perché aderisce piuttosto ai modelli più
modesti e tradizionali della casa a cortile.
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Si segnala a tal riguardo l’articolazione planimetrica dei tre ambienti corrispondenti al
tablino, all’oecus e al vano porticato ad esso
antistante, poiché essa sembra riprodurre il
sistema della casa a prostàs greca nel modulo documentato a Priene nel IV sec. a.C.
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La “Casa delle maschere”, scavata quasi
interamente dal Patricolo nel 1868-69, è posta nella parte più alta della città (insula 11).
L’abitazione (fig. 34) si distribuisce su due livelli e i vani principali si snodano intorno al-
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l’ampio peristilio, ornato da un pavimento in scaglie irregolari di calcare
bianco alternate a frammenti di marmo colorato (scutulatum). Dai vani posti sulla terrazza orientale, ricavati ad
una quota più bassa e oggi adibiti ad
“ufficio scavi”, proviene inoltre la nota
serie di sei pannelli affrescati in II stile
pompeiano (figg. 35-36), ora esposti
al Museo Archeologico Regionale di
Palermo. Il ciclo, probabilmente il migliore esempio di pittura parietale di
epoca romana repubblicana sinora
venuto alla luce in Sicilia, riproduce, al
di sopra di un alto zoccolo a finto rivestimento marmoreo policromo, elaborati festoni di ghirlande e serti vegetali da cui pendono bende ricamate e
maschere teatrali, sia della commedia
che della tragedia. Per i modelli iconografici e per lo stile gli affreschi della
“casa delle maschere” presentano
puntuali confronti con le pitture della
Villa di P. Fannius Synistor a Boscoreale e della casa di Obellius Firmus a
Pompei, del I sec. a.C.
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La “Casa di Arpocrate” (fig. 37), sita nell’insula 5 lungo la via Ippodamo da Mileto,
trae il suo nome dal recupero di un piccolo
gruppo di bronzi, tra i quali spicca una bella
statuetta del dio Arpocrate, databile al I sec.
d.C., la cui presenza sembra documentare
anche a Solunto la diffusione di quei culti
egizi divenuti molto popolari nel mondo romano a partire dall’età augustea (fig. 38).
Come per le altre residenze soluntine, l’abitazione presenta un piccolo peristilio centrale a quattro colonne, con una semplice
pavimentazione in cocciopesto, sul quale si
aprono sia i vani di rappresentanza che le
stanze private (cubicula).
Sul lato settentrionale della casa oltre ai tre
ambienti contigui, dai quali proviene il deposito di bronzi, si notano una saletta da bagno e una cucina comunicanti. Un ingresso
indipendente immetteva su altri ambienti di
servizio o più probabilmente botteghe, poste all’estremità nord-occidentale della casa
e a quota leggermente superiore.
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Casa di Arpocrate. Cocciopesto decorato da un motivo a
rosone centrale (vano meridionale)
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All’estremità settentrionale della città, superata l’area pubblica dell’agorà, si trova la
“Casa delle ghirlande” (fig. 40), scavata
nel 1951-52 lungo la via Bagnera.
La casa deve il suo nome alla bella decorazione in III stile (fig. 41) che ne decora il
tablino, aperto sul lato meridionale del vasto peristilio ornato da un battuto di scaglie
con inserti di marmo colorato (scutulatum).
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Il piano nobile della residenza si sviluppa
tutto sullo stesso livello; oltre alla decorazione del tablino, contraddistinta dal minuto calligrafismo delle ghirlande sospese ad
esili tirsi a candelabro, tipici delle pitture di
III stile, il carattere augusteo dell’abitazione
si rivela pienamente nella decorazione pavimentale, che comprende battuti musivi
ispirati al raffinato bicromatismo degli inizi
dell’epoca imperiale (fig. 42).
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Le terme e il quartiere sud-orientale
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A Solunto un piccolo edificio termale occupa la terrazza triangolare posta nel
quartiere meridionale (fig. 43). All’impianto termale vero e proprio si accedeva da
una strada parallela a via dell’agorà (via delle terme), mentre nel livello inferiore
si trovavano probabilmente varie tabernae (botteghe), prospicienti la via di accesso alla città. Il complesso si sviluppa secondo un asse Nord-Sud, mentre i vari ambienti sono orientati in senso opposto per sfruttare meglio gli spazi esigui e
la tormentata orografia della collina. L’ingresso immetteva nell’apodyterium, ambiente rettangolare utilizzato come spogliatoio; segue un ampio frigidarium con
pavimento a mosaico, la sala in cui si svolgevano le abluzioni in acqua fredda.
Da qui, con un percorso obbligato, si raggiungeva la sala abisdata corrispondente al tepidarium e successivamente il calidarium, destinato ai bagni caldi.
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Il riscaldamento (hypocaustum ) di entrambe le sale era assicurato tramite la circolazione, sotto il pavimento sostenuto da pilastrini in terracotta (suspensurae),
dell’aria calda proveniente dalla vicina zona dei forni (fig. 44); all’estremità nord
dell’edificio era infine posto il laconicum, ambiente destinato alla sauna secca,
mentre in uno dei vani di servizio collocati in questa zona è riconoscibile un locale utilizzato per le unzioni e il massaggio, come rivela il mosaico con la rappresentazione di un vaso per unguenti databile al I sec. a.C. L’approvvigionamento idrico era assicurato dalle acque incanalate dagli ambitus che venivano
convogliate in tubature ricavate nello spessore dei muri portanti. La circolazione
all’interno dell’edificio si svolgeva passando da un ambiente al successivo, secondo uno schema noto, nel I sec. a.C., nelle terme Stabiane di Pompei e in
quelle coeve di Glanum. Nella prima fase d’impianto le terme soluntine si datano al I sec. a.C., ma rifacimenti successivi sono attestati, fra l’altro, dal secondo pavimento a mosaico del frigidarium, caratterizzato da un motivo di cerchi secanti in bianco e nero tipico del I sec. d.C.
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Il quartiere che si sviluppa nei pressi dell’edificio delle piccole terme si caratterizza per la presenza di case senza peristilio, certamente destinate ai ceti
meno abbienti, improntate a modelli di impianto architettonico molto modesto
(fig. 45). Lo schema riconoscibile nelle abitazioni soluntine è strettamente confrontabile con i tipi di abitazioni di IV e III sec. a.C. attestate nelle città puniche
di Cartagine e di Kerkouane. Generalmente più semplici rispetto alle coeve case greche, le abitazioni puniche si distinguono per il cortile accessibile tramite un
lungo corridoio laterale e un insieme assai differenziato di vani talvolta di dimensioni molto ridotte, il cui fulcro è costituito dal semplice cortile centrale fornito di
pozzo e cisterna. Questi tipi edilizi, che nel mondo punico durarono con minime
variazioni sino ad avanzata epoca romana - come mostrano i numerosi esempi
di età imperiale nelle città tripolitane di Sabratha e Leptis Magna - a Solunto sono attestati quasi esclusivamente nelle aree più periferiche della città.
Emerge così un contrasto stridente tra le sontuose case a peristilio delle classi
più ricche e totalmente ellenizzate, che mostrano la piena adesione ai modelli del
mondo greco, e le abitazioni ben più umili dei ceti artigianali e produttivi.
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La necropoli
La necropoli soluntina si estende sul costone calcarenitico che domina l’arenile
dell’Olivella, in contrada Campofranco; l’intera zona è oggi sottoposta a vincolo
archeologico. Alla necropoli punica sono finora complessivamente riferibili oltre
500 sepolture: 220 nell’area demaniale sita presso la stazione ferroviaria (fig.
46), altre 200 del nucleo di età arcaica e classica scavato fra il 1968 e il 1972, e
infine 71 tombe nel settore messo in luce nel 1993.
Il tipo funerario prevalente è quello della tomba a camera ipogeica con accesso da Est, ricavata nel banco roccioso e preceduta da uno spazioso dromos (corridoio d’ingresso) costituito in genere da 3 o 4 gradini. Nella cella, chiusa da un
lastrone monolitico talvolta sormontato da un cippo in pietra, è presente un letto
funebre risparmiato lungo la parete meridionale.
All’esterno, lungo il lato sud del dromos, è spesso ricavata una banchina utilizzata per il rituale
funerario o per accogliere altre sepolture. La tipologia delle tombe a camera non è documentata a Solunto prima della fine del VI sec. a.C. ,
ma si trattava di sepolture ad inumazione di tipo
“familiare” utilizzate per varie generazioni, sia in
età classica che fino ad epoca ellenistica (figg.
47-48).
Le tombe a cassa, con cuscino risparmiato nella roccia e copertura a lastre rettangolari, contengono sepolture individuali che sono risultate
tra le più antiche di questo settore della necropoli (fig. 49), come mostrano alcuni corredi con
materiale corinzio e coppe ioniche di tipo B2,
databili alla metà del VI sec. a.C. Una variante
del tipo precedente è caratterizzata dalla profondità dell’incavo roccioso e dalla presenza di
una “nicchia” laterale nella quale veniva adagiato il corpo del defunto.
Questo tipo di struttura funeraria, databile tra la
prima e la seconda metà del VI secolo a.C. in
base alla presenza di alcune forme del repertorio fenicio-punico arcaico, è stato talvolta riutilizzato in epoca ellenistica.
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L’Antiquarium
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Il 16 luglio 2003 è stato inaugurato il nuovo antiquarium di Solunto, realizzato con fondi della
Comunità Economica Europea. La struttura si
compone di due padiglioni espositivi: nel padiglione A sono presentati i dati relativi all’impianto urbanistico e all’architettura della città
ellenistica, e l’ampio apparato didattico è finalizzato a far da introduzione alla visita del complesso monumentale.
Tra i materiali esposti, si contano numerosi elementi architettonici, con parti dell’elevato della
scena del teatro e cornici provenienti dall’agorà, nonché una statua con il ritratto di Agrippina Maggiore, madre dell’imperatore Caligola,
ricostruita assemblando vari mutili frammenti.
Il padiglione B è invece interamente dedicato
alla documentazione riferibile ai nuovi scavi,
che hanno rivelato la localizzazione dell’insediamento fenicio, e alla “cultura materiale” della città punica, vista attraverso una prospettiva
di lunga durata che dall’età arcaica giunge ad
epoca romana imperiale.
Le prime sale accolgono, in ordine cronologico,
l’esposizione delle testimonianze riferibili al sito della più antica fondazione fenicia, scoperto
nell’ultimo decennio.
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Poiché tali aree archeologiche non sono ancora aperte alla pubblica fruizione, è stata approntata un’ampia scelta dei materiali e delle
problematiche scientifiche emerse con le
nuove indagini, tra le quali spiccano i dati relativi alla fiorente produzione ceramica locale.
Una particolare attenzione è dedicata alle testimonianze relative ai culti ed agli usi funerari, con l’esposizione di numerosi corredi di
età arcaica e classica (fig. 50).
Nutrita è inoltre la rassegna di materiali di età
ellenistica e romana riferibili alla seconda Solunto, presentati secondo le principali categorie tipologiche e cronologiche di riferimento.
Oltre alla cospicua documentazione relativa
alla vita quotidiana, tra i reperti più significativi spiccano la bella statua femminile in marmo greco insulare (fig. 52), nella quale è probabilmente da identificare il tipo della “musa
con rotulo”, della fine II sec. a.C., e i bei frammenti provenienti dal ciclo pittorico della casa
delle maschere (fig. 51).
Prima di guadagnare l’uscita, che ricalca il
tracciato di una delle antiche vie di accesso
alla città antica, la visita dell’antiquarium si
conclude con la piccola sala che accoglie una
selezione di reperti subacquei di varia epoca,
soprattutto anfore, recuperati nei fondali vicini alla costa, lungo il litorale di Porticello e
presso lo “scoglio della Formica”.
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Bibliografia essenziale di riferimento
A. Cutroni Tusa, A. Italia, D. Lima, V. Tusa, Solunto, Roma 1994 (con bibliografia precedente).
C. Greco, Note di topografia soluntina: saggi di scavo sul promontorio di Sòlanto, in
Kokalos XXXIX-XL,1993-94,pp.1165-1176
C.Greco, Nuovi elementi per l'identificazione di Solunto arcaica, in Wohnbauforschung
in Zentral-und Westsizilien, Zürich 1997, pp.97-111
C.Greco, La necropoli punica di Solunto, in Atti del IV Congresso Internazionale di Studi Fenicio-Punici (Cadice 4-8 ottobre 1995), Càdiz 2000, pp. 1319-1335
C. Greco, Pavimenti in opus signinum e tessellati geometrici da Solunto: una messa a
punto, in Atti del IV Colloquio dell'Associazione Italiana per lo studio e la conservazione del Mosaico (Palermo, 9-13 dicembre 1996), Palermo 1997, pp. 39-55
C. Greco, R.De Simone, C.Polizzi, V.Tardo, A.Termini, Materiali dalla necropoli punica di Soluto: studi preliminari, in Archeologia e Territorio (Beni Culturali - Palermo),
Palermo 1997, pp. 25-110.
A. Wiegand, Das Theater von Solunt. Eine besonderer Skenentyp des Spaethellenismus
auf Sizilien, Mainz a.R. 1997
M. Wolf, Die Häuser von Solunt, Mainz a.R. 2003.
Glossario
Agorà: piazza centrale dove si svolgeva la
vita politica e commerciale della polis greca.
Ambitus: canale di scarico delle acque piovane , posto lungo l’asse longitudinale dell’insula.
Analemma: muro di sostegno e di terrazzamento.
Anfipoli: sacerdoti preposti al mito di Zeus
Olimpio
Aniconica: v. betilo
Apodyterium: sala adibita a spogliatoio
nelle terme.
Betilo: stele verticale che simboleggia la
rappresentazione aniconica (non figurata)
della divinità.
Bouleuterion: edificio nel quale si riuniva il
consiglio cittadino (boulè) della città greca.
Calidarium: sala riscaldata delle terme con
vasca per le immersioni in acqua calda.
Cavea: gradinata (koilon) del teatro greco
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nella quale sono ricavate le file di sedili.
Cocciopesto (opus signinum): impasto costituito da frammenti di terracotta legati
con calce e sabbia, usato come rivestimento impermeabile di pavimenti e pareti.
Cubiculum: stanza da letto.
Emblema: riquadro figurato collocato al
centro di un pavimento a mosaico.
Esedra: sala di rappresentanza destinata
al ricevimento degli ospiti.
Esergo: nella moneta, settore inferiore del
campo, posto all’esterno della figurazione
Euripo: nel teatro, canale di scorrimento
delle acque piovane posto intorno all’orchestra.
Frigidarium: sala delle terme con piscina
per le immersioni in acqua fredda.
Ginnasio: luogo deputato all’educazione fisica e intellettuale dei giovani.
Insula: isolato abitativo delimitato da strade.
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Ipogeica: sotterranea (scavata sottoterra)
Laconicum: vano circolare utilizzato per i
bagni di vapore, ritenuto (da qui il nome) di
origine spartana.
Oecus: grande sala di soggiorno aperta
sul peristilio.
Paraskenia: ali laterali di un edificio, solitamente della scena del teatro o della stoà
nell’agorà.
Peristilio: portico colonnato posto nella
corte interna.
Plateia: strada urbana principale, caratterizzata dalle larghe proporzioni.
Proskenion: parte anteriore della scena
del teatro.
Prostàs: piccolo portico posto dinanzi all’ambiente principale (oikos) della casa
greca.
Red slip: tipi di ceramica arcaica fenicia
(VIII-VII sec. a.C.) con superficie a vernice
rossa.
Scena (skené): nel teatro, edificio posto oltre l’orchestra sul cui palco (logeion) si
svolgeva l’azione drammatica.
Sfera armillare: strumento astronomico (in
greco, krikos), inventato da Ipparco di Nicea nel II sec..a.C., al cui centro è il globo
terrestre circondato da anelli mobili che
rappresentano i circoli principali della terra
(equatore, meridiani, paralleli, circoli polari).
Sostruzioni: strutture edilizie facenti parte
delle fondazioni di un edificio.
Stenopos: strada urbana secondaria, caratterizzata dalla carreggiata ridotta .
Stoà: edificio costituito da un portico colonnato, posto nell’agorà.
Tablino (Tablinum): nella casa romana, sala aperta verso il peristilio, nella quale si ricevevano gli ospiti .
Tepidarium: nelle terme, sala mediamente
riscaldata posta tra il frigidarium e il calidarium
Tofet: il principale santuario fenicio-punico,
un’area cimiteriale infantile racchiusa in un
recinto sacro all’aperto
Vermicutatum: tecnica a minutissime tessere propria di riquadri figurati.
so p r inte nd e nza
soprintendenza
r e gione
g io ne siciliana
sicilia na
ddipar
ip a r tim eent
ntoo
s e r v iizio
se
zi o p eerr i b en
e nii aarr c he
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ultu r aallii e d aam
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