TELESCOPI OTTICI Introduzione Prima del 1600 le osservazioni venivano fatte esclusivamente ad occhio nudo. L’invenzione del telescopio nel periodo seguente, o meglio, la sua applicazione alle osservazioni astronomiche, grazie a G. Galilei attorno al 1610, rivoluzionerà la ricerca astronomica. Anche se le future ricerche portarono allo sviluppo di sempre più innovativi sistemi di osservazione: • nel 1930 nasce la radioastronomia(LEZIONE RADIOTELESCOPI/Radiotelescopi.ppt) • nel 1950 sviluppo dell’astronomia spaziale le osservazioni con il telescopio rimangono le più importanti e comuni fonti di ricerca. Quindi nel tempo si è cercato di ottimizzare il sistema totale: • telescopio – rifrattore o riflettore • analizzatore – analizzatori di immagini, misuratori di flusso, spettrografi, ecc. • rivelatore – occhio, lastra fotografica, sistemi fotoelettrici (fotomoltiplicatori, ccd) Il tutto è finalizzato a due fondamentali modi di ricerca: 1. immagine - produzione diretta di immagini di campi stellari o singoli oggetti (stelle, galassie, nebulose) 2. fotometria (FOTOMETRIA.doc) - utilizzata per la misura di luminosità totale, spettro o flusso di una sorgente, che viene focalizzato all’interno di rivelatori o analizzatori (come, ad esempio, la fessura di uno spettrografo). L’uso del telescopio ha rivoluzionato l’astronomia per due importanti ragioni: • raccoglie più luce dell’occhio nudo • ha una migliore risoluzione angolare ma anche l’introduzione della fotografia, attorno al XIX secolo, ha notevolmente migliorato tale mondo permettendo, sia “registrazioni” permanenti delle osservazioni (come la creazione di cataloghi stellari e di cielo), sia l’integrazione nel tempo dell’osservazione su lastra fotografica, che permette di rivelare oggetti molto deboli. 1. Magnitudini limite Il sistema oggi usato per misurare la luminosità di una stella è basato sul metodo di Ipparco, risalente quindi al I secolo a.c., poi utilizzato da Tolomeo nel II secolo d.c. per scrivere il catalogo delle stelle visibili ad occhio nudo; in questo le stelle erano 1 divise in sei classi di magnitudine in ordine crescente al diminuire della luminosità, la scala delle magnitudini è infatti una scala inversa, ovvero:1 • 1° magnitudine – stelle più brillanti • 6° magnitudine – stelle più deboli. Successivamente, grazie a N. Pogson, si scoprì che la risposta dell’occhio alla luminosità è logaritmica, quindi differenze in magnitudine corrispondono ad un rapporto di flussi. Quantitativamente si definisce la scala di magnitudine come: mvis = -2.5log10Fvis + cost. Con: • Fvis = flusso per unità di superficie e di tempo (visuale) • 2.5 = fattore correttivo • cost. = fattore aggiuntivo2. Osservazioni: 1. La costante è fissata assegnando arbitrariamente m=6.55 per la λ dell’orsa minore, la cui vicinanza al polo nord celeste gli permette di avere una distanza zenitale circa costante3. 2. Per due stelle con: Δm = m1 – m2 = - 2.5 logF1/F2 = 5 => F2/F1 =100 con: F1 = flusso della stella 1 F2 = flusso della stella 2 3. A causa del segno meno nella definizione della magnitudine: • m>0 ⇒ oggetti deboli • m<0 ⇒ oggetti molto luminosi Esempio: Sirio, che ha una magnitudine msir=-1.4, è la stella più luminosa dell’emisfero australe (ad eccezione del sole ovviamente). Tornando al discorso iniziale, confrontiamo, quindi, le potenzialità di un telescopio con quelle dell’occhio. A partire dal fatto che l’occhio umano, in condizioni ottimali e perfettamente adattato al buio, riesce ad osservare una magnitudine limite mo≅6 e che la capacità di un obiettivo di raccogliere la luce è proporzionale alla sua area, ovvero a D2, avremo: Lt / L0 = At /A0 = Dt2/ D02 = Ft / F0 Dove: • Lt / 0 = luminosità rivelata dal telescopio / occhio 1 Il metodo si basa sull’assegnazione progressiva delle magnitudini a partire dalle prime stelle che compaiono al crepuscolo (stelle più brillanti di 1° mag.) e via via crescendo in ordine di apparizione al salire della notte. 2 Le ultime due voci sono poste per rendere tale definizione il più possibile simile alla catalogazione di Tolomeo. 3 La magnitudine decresce, in modo differente a seconda del colore della stella, con l’aumentare dell’angolo che questa forma con lo zenith, a causa dell’attenuazione dovuta all’atmosfera terrestre. 2 • A = area superficiale • F = flusso di radiazione raccolta • D = diametro del telescopio / occhio Quindi già per un piccolo telescopio, con Dt = 60mm e assumendo D0 = 6mm, si ha: At /A0 = 100 Questo è dunque in grado di rivelare differenze di magnitudine rispetto all’occhio di: Δm ≅ 2.5 log10(100) ≅ 5 ovvero stelle di circa 5 magnitudini più deboli! Non è tutto, la magnitudine limite di un qualunque telescopio può essere incrementata se si utilizza, invece dell’osservazione diretta, una lastra fotografica, una ccd o un qualunque altro rilevatore in grado di eseguire osservazioni integrate nel tempo. 2. Risoluzione angolare La luce di una stella raccolta da un telescopio a terra può essere considerata come un’onda piana, questa, diffratta dal bordo del telescopio, forma una figura di diffrazione circolare4, che è stata studiata, per la prima volta, dall’astronomo inglese Sir Gorge Airy, composta da un massimo centrale, in cui è concentrata l’84% della luce raccolta, e da una serie di anelli circolari concentrici, in assenza di aberrazioni, la cui intensità decresce rapidamente con l’ordine, sono così visibili solo pochi anelli. Il primo minimo è dato dal valore angolare di ϑ che annulla la funzione di Bessel del primo ordine e che corrisponde a: i. ϑ = 1.22 λ / D (arcsec) (5) • λ = lunghezza d’onda della luce incidente • D = apertura telescopio 4 Una sorgente puntiforme non produce un’ immagine puntiforme ma una figura di diffrazione circolare. La figura di diffrazione della luce bianca fino al primo ordine sarà quindi formata da un massimo centrale, in luce bianca, e una serie concentrica di anelli, dei quali il più esterno sarà rosso e il più interno blu, che formano il massimo di I ordine. 5 3 Il disco di Airy ricopre una grande importanza per i telescopi infatti le sue dimensioni pongono un limite alla risoluzione degli stessi; due sorgenti puntiformi sono risolte se i due dischi di Airy sono abbastanza separati, condizione nota come “criterio di Rayleigh”: due immagini puntiformi si possono considerare distinguibili se il massimo di una giace, almeno, sul minimo dell’altra. Come si nota dalla (i) tale risoluzione dipende dalle dimensioni del telescopio e viene chiamata risoluzione limitata in diffrazione. Ad esempio con λ ≅ 550nm, tipica lunghezza d’onda della luce visibile, si ha: • Per l’occhio con D0 ≅ 6mm ⇒ ϑ 0 ≅ 0.38’ • Per un piccolo telescopio con Dt ≅ 30cm ⇒ ϑ t ≅ 0.5” • Per il Keck (vedi a pagina 23) con Dk ≅ 10m ⇒ ϑ k ≅ 0.01” Questa è però solo una risoluzione teorica, infatti per telescopi sufficientemente grandi la risoluzione è limitata dal seeing; con questo termine si intende l’effetto di scintillazione dovuto all’atmosfera terrestre, la quale, con la sua turbolenza rende tremolante un’immagine altrimenti puntiforme al punto da limitare notevolmente la risoluzione da terra con ϑ s ≅ 0.5”, nelle migliori condizioni. Ovvero per un telescopio di apertura D>Ds, Ds ≅ 28cm avendo posto: ϑ s ≅ 138*1/Ds ≅ 0.5” con λ = 550nm il disco Airy risulta inferiore al disco di seeing e la risoluzione è limitata da quest’ultimo; quindi senza opportuni sistemi di correzione, come le ottiche adattive (on page 23) o osservazioni al di fuori dell’atmosfera (telescopio Hubble), il vantaggio dei grandi telescopi si riduce solo ad una capacità di raccogliere più radiazione, utile comunque per le osservazioni di oggetti molto deboli, ma senza alcun incremento in risoluzione angolare. 3. Ingrandimento Importante per tutti gli strumenti ottici sui quali si utilizza un oculare per le osservazioni; l’ingrandimento è definito dal rapporto tra la dimensione angolare dell’oggetto osservato tramite lo strumento e quella attraverso l’occhio nudo: 4 Ing. = ϑ s /ϑ 0 Ovvero Ing. = fob/foc ii. Con: • fob/oc ⇒ lunghezza focale dell’obiettivo/occhio La dimensione dell’immagine sul piano focale, per i telescopi, è più importante dell’ingrandimento perché riguarda l’accoppiamento tra strumento e rivelatore. La dimensione dell’immagine è: b = f * tgϑ 0 ≅ f *ϑ 0 approssimazione sempre valida per oggetti astronomici, ad esempio per il sole e per la luna, gli oggetti più estesi, ϑ0 ≅ 30’. Spesso si utilizza come parametro la scala del telescopio definita come: scala = ϑ 0/b = 1/f Osservando la (ii) si capisce perché i telescopi rifrattori dell’800 avevano focali molto lunghe essendo utilizzati per osservazioni dirette delle superfici planetarie. Al contrario i moderni telescopi riflettori hanno focali molto ridotte per un ottimale accoppiamento con i rivelatori che consiste nella ricerca del miglior compromesso tra l’ottenimento della massima luminosità di oggetti deboli e la loro risoluzione 6. 4. Intensità Fondamentale nei moderni telescopi è, come detto, l’intensità della radiazione raccolta, definita come: I = L/A Con: • L = potenza (erg/sec) • A = superficie (cm2) Più in dettaglio: 1. oggetti estesi (pianeti, galassie, nebulose,…) di dimensione angolare ϑ0 L ∝ Dt2 A ∝ b2 ∝ f2 ⇒ I (erg/cm2 * sec) = L/A ∝ Dt2/f2 6 Una focale eccessivamente corta comporterebbe che oggetti estesi come le galassie abbiano l’immagine in un solo pixel (per una ccd) e quindi non sarebbero risolti. 5 i. 2. oggetti puntiformi se l’immagine è quella di diffrazione dell’obiettivo: b = 1.22 λ /D *f quindi in generale: A ∝ f2/D2 << Δ pixel (risoluzione rilevatore) ⇒ I ∝ Dt2 ii. indipendentemente dalla focale a meno di problemi di risoluzione. Se l’immagine è quella di seeing: b = ϑs * f A = (ϑ s * f)2 ⇒ I ∝ D2/f2 Osservazione: Nelle precedenti formule ricorre il rapporto f/D, rapporto focale, solitamente indicato con f / numero, ad esempio f / 5 corrisponde a f / D = 5, piccoli rapporti focali producono per oggetti estesi immagini più luminose. 5. Aberrazioni Come è noto i telescopi sono fondamentalmente di due tipi: rifrattori (sistema di lenti) e riflessori (l’ottica principale composta da uno specchio). Sia gli specchi che le lenti sono soggetti però a “difetti”, che possiamo definire intrinseci, nella messa a fuoco di un punto. Tali difetti sono detti aberrazioni. La natura fisica di queste è semplicemente dovuta alle caratteristiche delle lenti e degli specchi, e della loro interazione con la radiazione elettromagnetica. A seguito dei vari calcoli sulle proprietà focali di un sistema ottico si osservò che, ad esempio, una sorgente puntiforme P, origine del fascio di luce, rifratta da un diottro, non ha un’immagine puntiforme; ovvero, della radiazione proveniente da P solo quella rifratta da una corona circolare di larghezza infinitesima fornisce un’immagine puntiforme di P. In generale un’immagine puntiforme fornita da una calotta non infinitesima risulta essere un insieme continuo di punti distribuiti generalmente su uno spazio tridimensionale. L’aberrazione dunque è connaturata col fenomeno della rifrazione (o riflessione). 6 Per tracciare una teoria elementare dell’aberrazione, sviluppiamo in serie di Mc Laurin il seno degli angoli che compaiono nelle formule fondamentali del diottro (ad esempio l’angolo tra la direzione del fascio incidente e l’asse ottico): sen α = α - α 3/3! + α 5/5! - α 7/7! + … per piccoli valori di α si ha la teoria al primo ordine, valida per piccole inclinazioni sull’asse ottico (per α molto piccolo si ha senα ≅ α) dei raggi incidenti, detti raggi parassiali, nota come approssimazione di Gauss. In questa approssimazione non si hanno problemi di focalizzazione, ne di aberrazioni, e tramite la quale si ricavano le varie grandezze caratteristiche dei vari sistemi ottici (lenti sottili, spesse,e specchi), quale, ad esempio, la lunghezza focale f . Non appena, però, il diametro delle ottiche o l’inclinazione de raggi superano il limite di Gauss, le aberrazioni divengono sensibili e non più trascurabili e si passa alla teoria al terzo ordine, ovvero si approssima: sen α ≅ α - α 3/3! In questo caso lo scostamento dall’approssimazione di Gauss, le aberrazioni, sono espresse da 5 somme dette somme di Seidel, o aberrazioni di Seidel7. Se fosse possibile azzerare tutte le somme si sarebbe costruito un sistema esente da aberrazioni. In generale, però, questo non è possibile ed è quindi d’uso considerarle separatamente, ad ogni somma corrisponde una particolare aberrazione, nell’ordine: I. Aberrazione di sfericità II. Coma III. Astigmatismo IV. Curvatura di campo V. Distorsione Vediamole nel particolare. I. Ab. di sfericità I raggi, paralleli all’asse ottico, ed incidenti sul diottro sferico, o lente o specchio, in punti lontani dall’asse più di quanto tolleri l’approssimazione di Gauss, sono rifratti, o riflessi,in modo da intersecare l’asse in punti più vicini al vertice del fuoco parassiale. La distanza tra il fuoco della corona circolare più esterna e quello parassiale misura l’aberrazione di sfericità longitudinale. L’immagine che si forma su di un piano normale all’asse a distanza pari al fuoco parassiale non sarà un punto, ma un cerchio il cui raggio misura l’aberrazione di sfericità trasversale. Soluzioni: 1) Lenti 7 Sono esclusivamente monocromatiche. 7 Dall’osservazione che questo difetto varia con la curvatura delle superfici a pari f e a pari indice di rifrazione, cioè varia quando la lente subisce una deformazione – bending – tale da lasciare inalterata la differenza 1/r1 – 1/r2 con: • r1, r2 = raggi di curvatura dei diottri della lente, il che significa che tale aberrazione dipende dalla quantità: q = (r2 + r1)/(r2 - r1) nota come coefficiente di forma; risulta che è possibile correggere l’a. di s. con una opportuna deformazione delle lenti di un doppietto/tripletto8 fino a minimizzare il problema. Solitamente si utilizza un sistema di due lenti coassiali di segno opposto e tali che l’aberrazione introdotta dall’una sia uguale e contraria a quella introdotta dall’altra, lasciando comunque che il sistema complessivo sia convergente. 2) Specchi Anche lo specchio sferico è soggetto a tale aberrazione che viene completamente eliminata con l’utilizzo di uno specchio paraboloico. II. Coma È la più importante delle aberrazioni fuori asse, dato che la deformazione cresce linearmente con l’angolo tra il fascio incidente e l’asse ottico, e prende il nome dalla forma a cometa che assume l’immagine di una sorgente puntiforme, appunto, fuori asse. I raggi paralleli che incidono obliquamente sulla lente, o sullo specchio (sferico o parabolico che sia), in prossimità del vertice danno come immagine un punto, mentre quelli che incidono in zone più lontane dal vertice danno per immagine cerchi di raggio sempre maggiore e centrati a distanza sempre più grande col crescere della distanza dall’asse, h, della zona marginale interessata. L’immagine di coma si forma considerando che il raggio passante per il vertice della lente (specchio) da immagine puntiforme mentre le infinite corone infinitesime della lente danno una successione continua di cerchi distanti ciascuno il doppio del proprio raggio dal vertice. Tale difetto cresce rapidamente con l’obliquità, limita, dunque 8 Sistema ottico composto da più lenti, permette di avere più “gradi di libertà” per la correzione di diverse aberrazioni. 8 fortemente il campo utile; se ne risente soprattutto per mappature (survey) del cielo, è invece ininfluente per spettroscopie e simili che richiedono immagini centrate. Soluzioni: 1) Lenti Anche la coma dipende fortemente dal coefficiente di forma e inoltre si annulla per un valore di q prossimo a quello di minimizzazione dell’aberrazione di sfericità; è possibile, quindi, costruire una lente, o un doppietto, esente da coma e con una minima aberrazione di sfericità. Un sistema ottico del genere è detto aplanatico. 2) Specchi La coma può essere minimizzata, a spese di una certa frazione di luce persa, con un attento design ottico o con lenti correttive; comunque questa, e la prossima aberrazione, non possono essere eliminate completamente negli specchi, e per molti telescopi il campo di vista utile può essere inferiore a 1°. 3) Telescopi Schmidt Vedi astigmatismo (3) below). III. Astigmatismo È anch’essa un a. fuori asse, la quale varia quadraticamente con l’angolo tra il fascio incidente e l’asse ottico, è quindi importante solo per immagini a largo campo. Fornisce come immagine della sorgente, a seconda della distanza dal vertice della lente (specchio), due segmenti perpendicolari tra loro detti: • Immagine sagittale ⇒ giacente sul piano contenente l’asse ottico • Immagine tangenziale ⇒ giacente sul piano normale al primo. Volendo raffigurare l’immagine a diverse distanze dal centro si può supporre di porre uno schermo ortogonale all’asse che si sposta verso la lente (specchio): la “macchiolina” quasi circolare diviene sempre più oblunga fino a ridursi ad un segmento per poi divenire un cerchietto di dimensioni minime (cerchio di minima confusione) ed infine nuovamente un segmento in direzione normale al primo. In molti casi il cerchio di minima confusione viene accettato come immagine della sorgente. 9 Soluzioni: 1) Lenti Il luogo delle immagini sagittale e tangenziale è costituito in generale da due superfici paraboloidiche con vertici nel fuoco parassiale, rispettivamente le superfici “s” e “t”. La distanza tra tali superfici, comprendendo anche la superficie del fuoco parassiale, varia con la distanza dall’asse e anche con la distanza fra le due lenti di un doppietto, non risente invece, quasi affatto, delle variazioni del coefficiente di forma delle lenti. Questa ab. può, dunque, essere notevolmente ridotta distanziando opportunamente le lenti, o inserendo in posizione opportuna uno o più diaframmi. Al limite è possibile rendere l’astigmatismo nullo ovunque, per una opportuna separazione delle lenti, per cui le tre superfici coincidono in un’unica superficie detta superficie di Petzval. 2) Specchi Vedere coma (2) above) 3) Telescopi Schmidt Sia la coma che l’astigmatismo sono corrette, con alcuni accorgimenti, su uno specifico tipo di telescopio, il telescopio Schmidt, che adotta una particolare configurazione ottica: in tali telescopi si utilizza un diaframma di apertura inferiore a quella dello specchio, che in questo caso è sferico, posto nel centro di curvatura di quest’ultimo, accorgimento, questo, che consente di eliminare coma e astigmatismo 10 perché in questo modo vengono “selezionati”, praticamente, solo i raggi passanti per il centro di curvatura e qualunque retta passante per tale centro è, in effetti, asse ottico. Si eliminano cosi le aberrazioni fuori asse, infatti le due superfici del fuoco sagittale e tangenziale sono quasi coincidenti su una superficie sferica, centrata nel centro di curvatura dello specchio e di raggio r/2. Tale immagine, evidentemente, è ancora affetta dall’ab. di sfericità che viene eliminata ponendo nel diaframma (quindi nel centro di curvatura) una lente asferica (detta lastra di Schmidt) che introduce nell’onda una deformazione pressoché uguale e contraria a quella introdotta dallo specchio. Questa lente introduce una lieve aberrazione cromatica (VI below) che però è praticamente impercettibile, le immagini risultano praticamente perfette in campi molto ampi9. Presentano però problemi per le loro dimensioni: essendo, infatti, la lastra correttrice nel centro di curvatura dello specchio la lunghezza del tubo deve essere almeno doppia di quella di un riflettore “parabolico” di uguale lunghezza focale. IV. Curvatura di campo I sistemi di lenti utilizzati per correggere l’astigmatismo producono “superfici a fuoco”, in generale, curve. Ad esempio la superficie di Petzval, che dà immagini corrette per astigmatismo, è paraboloidica, oppure, nei telescopi Schmidt, la superficie a fuoco è sferica; tali effetti determinano la successiva aberrazione nota come curvatura di campo. È un’aberrazione importante per rilevatori piatti, quali le ccd, ma non comporta problemi, ad esempio, per le lastre fotografiche che si possono curvare. Soluzioni: Si possono apportare diverse correzioni a seconda dei vari utilizzi a cui verranno sottoposti gli obiettivi: • Una scelta differente della correzione per l’astigmatismo, ovvero una diversa composizione del doppietto, può produrre superfici piane, anche ampie, in cui sono praticamente corrette le aberrazioni fuori asse, ma con una messa a fuoco non ottimale su tutta la superficie utilizzabile. • L’introduzione di diaframmi, che se opportunamente posti in un sistema ottico di due o più lenti, producono una deformazione delle superfici s e t, da rendere quasi accettabile l’aberrazione di astigmatismo, ed inoltre una superficie di 9 Tali telescopi per le loro caratteristiche sono utilizzati, in gran parte, per lavori di mappatura del cielo. 11 focalizzazione piatta. Un sistema ottico corretto in questo modo è detto anastigmatico. V. Distorsione È introdotta quando si ha un ingrandimento non costante al variare di ϕ, avendolo definito proporzionale al rapporto: iii. tg ϕ / tg ϕ’ con: • ϕ = angolo tra la direzione del fascio di luce incidente e l’asse ottico • ϕ’ = angolo tra il fascio uscente e l’asse ottico10. Tale aberrazione non si verifica per una lente sottile a meno che non si ponga un diaframma non a contatto. Se questo viene, però, utilizzato si ottengono le seguenti distorsioni: a) il diaframma è posto di fronte alla lente, rispetto al fascio incidente, allora il rapporto iii. decresce al crescere di ϕ, si ottiene una figura bombata, la così detta “distorsione a barile”. b) Se collocato posteriormente, l’immagine del campo risulta “concava”: “distorsione a cuscino”. c) Se il diaframma è a contatto non si ha distorsione. Soluzioni: poiché l’utilizzo di diaframmi è frequente per la riduzione dell’astigmatismo, molti obiettivi sono corretti per la distorsione con l’introduzione di un diaframma tra due elementi rifrangenti simmetrici; per la simmetria del sistema non può aversi distorsione. Un sistema ottico cosi corretto è detto ortoscopico. Fin qui sono state trattate, in maniera approssimativa, le cinque somme di Seidel per le correzioni al terzo ordine nello sviluppo del senα. Ma queste non sono le uniche aberrazioni che si possono “incontrare”, infatti ne esiste una sesta nota come aberrazione cromatica. VI. Aberrazione cromatica Si manifesta solo nei rifrattori e solo con luce non monocromatica. Questa aberrazione è dovuta al fatto che l’indice di rifrazione di un elemento è funzione della 10 Rispetto, ad esempio, ad un diaframma. 12 lunghezza d’onda; ciò significa, solitamente, che al crescere della lunghezza d’onda cresce la lunghezza focale della lente11. Ne risulta che se lo spettro di una radiazione è costituito da un ampio range di lunghezze d’onda si otterranno immagini alterate rispetto a quelle ottenute con radiazione monocromatica. Soluzioni12: La correzione, solo parziale, è effettuata tramite obiettivi acromatici ottenuti accoppiando, solitamente, due lenti di vetro diverso e quindi di indice di rifrazione differente. Generalmente si ha: • Una lente con indice di rifrazione minore, detta crown, per il particolare tipo di vetro a basso potere dispersivo, la quale dovrà essere fortemente convergente. • Una lente con indice di rifrazione maggiore, vetro noto come flint, che invece deve essere lievemente divergente. • La composizione delle due dovrà comunque, ovviamente, formare un doppietto convergente e la convenzione sulla divergenza/convergenza a seconda del tipo di vetro scaturisce dalle cosiddette condizioni di acromatizzazione. Queste sono dovute alla necessità di soddisfare due richieste, che non saranno trattate in questo testo, derivanti dalle regole dell’ottica, centrate sull’imporre che: 1. Il sistema sia “acromatizzato” rispetto a due lunghezze d’onda. 2. Il sistema ottico nell’insieme sia ancora convergente. • Dalle condizioni di acromatizzazione si ottiene una condizione solo su due dei quattro raggi di curvatura delle lenti. Questo permette di utilizzare i restanti due per minimizzare altre aberrazioni. Problema: L’acromatizzazione con due lenti, di diverso vetro, come visto, permette, comunque, di focalizzare sullo stesso punto dell’asse solo le radiazioni delle due lunghezze d’onda rispetto alle quali è stata effettuata tale operazione, ma le restanti frequenze spettrali hanno ancora fuochi diversi. Il sistema ottico ottenuto presenta una residua 11 Le sostanze trasparenti nella regione “visuale” dello spettro soddisfano, di regola, la relazione dn / dλ<0; tali sostanze si dicono a dispersione normale. Si avrà quindi che il “fuoco rosso” è più lungo del “fuoco violetto-blu”. 12 Ovviamente la correzione cromatica perfetta la si ottiene utilizzando uno specchio piuttosto che un sistema di lenti! 13 aberrazione cromatica per le lunghezze d’onda diverse dalle due per le quali è stato acromatizzato. Tale aberrazione residua prende il nome di spettro secondario ed è di notevole importanza negli obiettivi astronomici. Osservazione: Nelle condizioni di acromatismo non compaiono le distanze del “punto-oggetto” e del “punto-immagine” quindi un sistema acromatico è tale per qualunque distanza dei due (acromatismo stabile). Obiettivi astronomici: Accenniamo, qui, alcune caratteristiche delle correzioni, a questa aberrazione, che vengono effettuate sugli strumenti utilizzati in astronomia. Partendo, però, dalla considerazione che i grandi telescopi sono tutti riflettori, numerosi osservatori sono ancora dotati di telescopi rifrattori, che vengono usati per particolari osservazioni che richiedono piccolissimo campo, come misure di distanza angolare tra le componenti di una stella doppia (pochissimi secondi d’arco). Inoltre i rifrattori sono ancora largamente utilizzati per i piccoli telescopi per i quali è richiesto un piccolo campo d’osservazione così che è sufficiente che l’obiettivo sia corretto per l’aberrazione cromatica e per quella di sfericità. Le due lunghezze d’onda per le quali viene fatta l’acromatizzazione dipendono soprattutto dall’utilizzo che si deve fare del telescopio, solitamente: • Utilizzo non scientifico ⇒ si corregge per le righe H H , doppietto visuale. • Utilizzo scientifico ⇒ regione “violetto-blu”13, acromatizzazione astrografica Gli obiettivi astrografici possono essere, in generale, tripletti o quadrupletti e seppure sia possibile acromatizzare per tre colori, si preferisce comunque farlo solo per due e utilizzare i rimanenti raggi di curvatura, e distanze tra le lenti, per le altre aberrazioni. α β 6. Configurazioni ottiche dei telescopi I. Rifrattori Si hanno, fondamentalmente, due tipi di configurazioni per i telescopi rifrattori che focalizzano la luce per mezzo delle lenti: 1) Galileiana Utilizza una lente divergente e una convergente, la quale rende l’onda in uscita piana. 2) Kepleriana Due lenti convergenti, di cui la seconda ha la stessa funzione di quella divergente galileiana con il risultato di avere: • Rapporto focale più alto. • Immagine capovolta rispetto all’asse orizzontale. I telescopi rifrattori hanno rapporto focale tipicamente di f /15, molto elevato, quindi con il risultato di non essere adatti per la rilevazione di oggetti deboli (on page 6), in 13 L’ultravioletto è assorbito dal vetro delle lenti. Tale regione è importante perché per le osservazioni astronomiche si utilizzano soprattutto emulsioni fotografiche o ccd che in questa zona “lavorano” con la massima efficacia. 14 compenso hanno un ampio campo visivo che li rende ideali per una misura precisa per le posizioni di stelle, astrometria. • Pro Il vantaggio dato dalle lenti è che queste sono termicamente stabili, hanno bisogno di scarsa manutenzione, a patto che nel tempo l’allineamento delle lenti rimanga indisturbato. • Contro Il maggior problema dei rifrattori è, come visto, l’aberrazione cromatica che si aggiunge alle altre aberrazioni, comuni anche ai riflettori. L’altro grande problema dei rifrattori è la loro lunghezza e peso, le lenti di grande diametro sono molto pesanti, quindi rifrattori di grandi dimensioni hanno problemi: a) Meccanici, ovvero d’inerzia. b) Distorsione di immagini dovute al peso delle lenti che distorcono il tubo. c) Economici, una focale lunga richiede una grande cupola. II. Riflettori Sono composti fondamentalmente da uno specchio primario paraboloidale, in generale non sferico a causa dell’aberrazione di sfericità, che focalizza la radiazione incidente nel fuoco primario, e una serie di specchi secondari che portano il fuoco del fascio in diverse posizioni a seconda dell’utilizzo e della comodità, possiamo dunque affermare che per un telescopio si possono avere differenti lunghezze focali. Vediamo nello specifico i vari fuochi possibili: 1) Fuoco primario Come fondamentale richiesta per l’utilizzo di questo fuoco è che si deve avere un diametro del telescopio che sia sufficientemente grande da permettere che strumentazioni, rivelatori, o, in alcuni casi, lo stesso astronomo (come per il telescopio Hale di monte Palomar) siano poste direttamente nel fuoco senza ridurre troppo la quantità di radiazione raccolta. • Vantaggi a) È il miglior sistema per osservare oggetti deboli, per il fatto che non si hanno riflessioni secondarie e quindi ulteriori perdite di radiazione. b) Un altro vantaggio è che la lunghezza focale è la più corta possibile, quindi l’immagine è più concentrata quindi più intensa. c) a) e b) permettono di osservare gli oggetti più deboli. • Svantaggi a) Il più grande svantaggio è che il primo fuoco è il più difficile da raggiungere, essendo a diversi metri da terra, e non vi si possono montare apparecchiature eccessivamente grandi. b) Può capitare che le dimensioni, b, dell’immagine siano più piccole delle dimensioni Δpixel. Il teorema del componimento richiede che si devono avere 15 * Comment: Link almeno due registrazioni indipendenti di una grandezza fisica, se tutta la radiazione cade in un solo pixel si introduce l’indeterminazione … 2) Fuoco newtoniano Prende questo nome perché fu introdotto da Newton nel primo telescopio riflettore. Uno specchio piano (specchio secondario) è interposto tra il primario e il primo fuoco, con un angolo di 45° rispetto all’asse ottico. Il fuoco viene così portato a 90° sull’asse ottico in Fn. Il rapporto focale, f /, non cambia. Questa soluzione, però, non viene adottata per i grandi telescopi principalmente a causa della scarsa accessibilità del fuoco e per il fatto che una strumentazione montata in Fn produce, per il suo peso, un momento meccanico indesiderato. È invece una soluzione comune per i piccoli telescopi, come quelli amatoriali. 3) Fuoco Cassegrain È il più diffuso in tutti i telescopi, il fuoco viene portato dietro lo specchio primario per mezzo di uno specchio secondario che può essere iperboloidale, se il primario è paraboloidale, o asferico, se il primario è sferico (in entrambi i casi è corretta l’aberrazione di sfericità). Comunque sia, il secondario è convesso e quindi risulta maggiorato il rapporto focale, tipicamente f /15, la focalizzazione è garantita dalle proprietà di simmetria delle coniche, ovviamente lo specchio primario deve essere forato nel centro, situazione che non comporta problemi. Il punto di focalizzazione è, in questo caso, molto conveniente per le apparecchiature. Ci possono essere studi particolari (come la spettroscopia ad alta dispersione Reticolo.doc) che richiedono strumentazioni molto pesanti, o addirittura interi laboratori, ed è, ovviamente, sconveniente o addirittura impossibile montare il tutto sul telescopio, si ricorre così ad altri due fuochi che portano il fascio al di fuori dell’asse ottico in posizioni più convenienti: 4) Fuoco Nasmyth (per montature altazimutali (II below)) Il fascio del fuoco Cassegrain viene intercettato all’altezza dell’asse di rotazione altitudinale da uno specchio a 45° che deflette il fascio a 90° sull’asse in una posizione fissa che, se progettata adeguatamente, può ospitare anche un laboratorio (come nel caso del telescopio nazionale “Galileo”: Telescopio Nazionale Galileo TNG) 5) Fuoco Coude Il fascio del fuoco Cassegrain viene intercettato e, con una serie di specchi (anche 5), viene portato lontano al di fuori del telescopio in una posizione fissa, ad esempio, in un laboratorio posto al piano inferiore rispetto a quello della cupola. In questo modo la radiazione può essere analizzata per mezzo di strumentazioni che per la loro dimensione/peso non possono essere attaccate al telescopio. 16 * Comment: lettura impossibilitata sulle dispense Tipicamente il fuoco Coude viene utilizzato per la spettroscopia ad altissima risoluzione (vedi spettrografo CES del telescopio di 3.6m dell’ESO a La Silla14 http://www.ls.eso.org/) • Svantaggi Per questo tipo di fuoco c’è il problema delle perdite di radiazione per riflessione che possono essere anche molto severe ([coef. di riflessione]n. rif. = (0.8)5 ≅ 0.3) 6) Fibre ottiche In un approccio più moderno la radiazione raccolta dal telescopio al fuoco Cassegrain viene portata in una locazione fissa per mezzo di sistemi a fibre ottiche. In tal modo le perdite di radiazione per riflessione vengono molto ridotte (vedi spettrografo FEROS, ESO, FEROS on the MPG/ESO-2.20m Telescope). • pro a) Il maggior vantaggio dei riflettori rispetto agli altri è che questi non sono soggetti ad aberrazioni cromatiche. b) È anche possibile operare, con gli specchi, nell’ultravioletto, totalmente assorbito dalle lenti nei rifrattori15. c) I primi possono anche avere grandi aperture, cosa impossibile per i rifrattori a causa dei momenti meccanici indotti sul sistema dal peso delle lenti. • Contro a) Gli specchi, soprattutto i primari, risentono molto delle variazioni di temperatura e variano forma con essa, bisogna così controllare la temperatura nella cupola e cercare materiali il più possibile stabili al variare di questa. b) Lo specchio va costantemente ritrattato16 per mantenere la riflessività migliore. c) Ad eccezione dei telescopi Schmidt, i riflettori hanno lo svantaggio del piccolo campo utile, un riflettore paraboloidico ha un campo utile, di norma, di poche decine di primi d’arco; su estensioni maggiori coma e astigmatismo deformano eccessivamente l’immagine. 14 Poiché la strumentazione del CES è molto costosa è stato realizzato un telescopio ausiliare (CES auxiliary telescop “CAT”) che utilizza lo spettrografo quando esso non è impegnato col telescopio principale. 15 Vantaggio di cui non dispongono i telescopi Schmidt a causa della lente correttrice. 16 Gli elementi riflettenti sono molteplici e la loro funzionalità è dettata dal range dello spettro nel quale si vuole osservare (vedi figura) 17 Figura 1 - Schema della riflessività in funzione della lunghezza d'onda per oro, alluminio e argento. 18 7. Montature dei telescopi Si possono avere principalmente due tipi di montature: I. Montature equatoriali: • Controbilanciata: inglese, tedesca (non è adatta per i grandi telescopi) 19 • A forcella • A ferro di cavallo Questo tipo di montature ha problemi di flessione e torsione. II. Montature altazimutali17: • Problema: Seguire una stella attraverso lo zenith; la velocità di guida, attorno a quel punto, per compensare la rotazione terrestre, diventa formalmente infinita; la zona di cielo vicino allo zenith diviene quindi inaccessibile. III. Montature fisse o con movimento sul solo asse verticale. • Solo per misure di posizione stellare molto accurate. Montature Telescopi.ppt 8. Nuovi design per telescopi Durante l’evoluzione dei telescopi l’obiettivo fondamentale da raggiungere è stato massimizzare la quantità e la qualità delle informazioni raccolte. Per raggiungere tale scopo si sono percorse principalmente due strade: • Aperture sempre maggiori per raccogliere più luce. • Migliori rilevatori per ottimizzare l’utilizzo della luce raccolta. 17 adatta per i grandi telescopi solo grazie ai nuovi software infatti una montatura simile richiede, per gli spostamenti di puntamento, movimenti su entrambi gli assi. 20 Tale tragitto incontra grandi difficoltà sia a livello ingegneristico, sia, e soprattutto, a livello economico, dato che il costo di un telescopio cresce rapidamente al crescere del diametro di questo, si può stimare infatti, approssimativamente, che: costo ∝ D3 Siffatti problemi hanno portato, però, ad importanti evoluzioni tecnologiche sia sulla costruzione degli specchi, per avere grandi aperture a costi contenuti, sia sul perfezionamento delle ottiche, per poter raggiungere risoluzioni di pochi secondi d’arco, in generale impedite dal seeing atmosferico. L’evoluzione del design è proceduta attraverso tre diversi approcci: a) Per gli specchi primari L’obiettivo da raggiungere è ottenere larghi specchi che siano anche sottili. Una evoluzione in questo senso passa, in definitiva, per tre strade: 21 a) Spin-casting. È un metodo di costruzione del primario che utilizza il fatto che rispetto all’asse verticale, in un campo gravitazionale, la superficie di rotazione libera è un paraboloide. Quindi il vetro, allo stato liquido, viene fatto raffreddare molto lentamente in continua, lenta rotazione. In questo modo nasce uno specchio unico con una forma approssimativamente parabolica. b) Costruire un grande specchio non come un’unica superficie, bensì tramite l’unione di tante componenti esagonali, o triangolari, riunite insieme in un unico specchio. c) In unione alle prime due tecniche di costruzione viene aggiunto un sistema di supporto attivo a pistoncini che permette allo specchio di mantenere la sua forma costantemente, durante i vari movimenti del telescopio18, mediante un sistema di controllo computerizzato che mantiene l’immagine stabile e corretta, con una continua monitorizzazione di alcuni oggetti di riferimento situati nel campo osservato: • Ottiche attive19 Questo è il nome di tale sistema. Come detto consiste in un sistema di pistoncini che impongono un continuo “aggiustamento” della forma dello specchio primario, su un tempo scala di alcuni secondi, al fine di mantenere indeformata l’immagine del campo, o dell’oggetto celeste, che si sta seguendo. Le deformazioni dello specchio sono dovute, fondamentalmente, all’inerzia della rotazione e alla forza di gravità, e sono tanto maggiori quanto più sottile è lo specchio. Il sistema consente, quindi, l’utilizzo di specchi con un rapporto spessore su diametro molto ridotto, il che si traduce in una riduzione dei costi, ed anche permette l’utilizzo degli specchi composti del caso b). b) Tecniche di interferometria ottica Combinazione della luce proveniente da diversi piccoli telescopi a simulare un grande, unico, telescopio. Vediamone alcuni esempi: a) MMT; il “multi mirror telescope”; http://sculptor.as.arizona.edu/ È situato sul Monte Hopkins in Arizona. È formato da una composizione esagonale di sei telescopi da 1.8m di tipo Cassegrain con montatura altazimutale, produce immagini equivalenti a quelle di uno specchio di 4.5m, con una risoluzione inferiore a 0.5arcsec. L’immagine individuale di ogni specchio viene convogliata, tramite un sistema di specchi secondari, verso un unico fuoco, nel quale è posizionato un combinatore di flusso che fornisce l’immagine riunita finale. 18 19 Si vuole intendere i movimenti di “inseguimento” di un oggetto, compiuti dal telescopio, che transita nel cielo. Il Telescopio Nazionale Galileo - TNG nell’isola di La Palma, utilizza, tra l’altro, questo sistema di ottiche. 22 Il vantaggio è sia “meccanico” che economico; più specchi piccoli danno, infatti, meno problemi meccanici, vedi ad esempio una minore inerzia, e costano anche meno di uno grande. b) VLT; il “very large telescope”; http://www.eso.org/projects/vlt Posto sul Monte Paranal, è una estensione del concetto dell’MMT. É composto da quattro telescopi da 8.2m di tipo Cassegrain a montatura altazimutale. È possibile, sia usare ognuno di questi come singolo telescopio, sia utilizzarli tutti insieme come un unico specchio di 16.2m con un sistema di fuoco comune ad interferometria ottica. c) LBT; il “large binocular telescope”; http://medusa.as.arizona.edu/lbtwww/ Costruito e inaugurato recentemente dalla “University of Arizona” e da alcune associazioni italiane e tedesche, questo strumento sorge sul Mt. Graham in Arizona. È composto da due telescopi di 8.4m l’uno, entrambi, inoltre, si vengono a trovare su un’unica struttura, da qui il nome, con montatura altazimutale, il che facilita alcuni dei problemi dovuti alla tecnica dell’interferometria ottica. d) MMT del “Keck observatory”; http://www2.keck.hawaii.edu/ Situato alle Hawaii sul Vulcano Mauna Kea a 4160m di altitudine, ed è costruito con la tecnica del punto a)b) vista prima. È costituito da due riflettori di 10m identici, ognuno dei quali composto da 36 segmenti esagonali. I due telescopi sono separati di 85m e possono essere usati insieme come interferometri ottici; la forma esatta degli specchi è garantita da un sistema di ottiche attive, mentre l’immagine finale viene corretta anche dai disturbi atmosferici, ovvero dal seeing, tramite un sorprendente e innovativo sistema, quello delle ottiche adattive. Figura 2 – Keck Figura 3 – VLT • Ottiche adattive Utilizzano un sistema di controllo computerizzato simile a quello delle ottiche attive. In questo caso, però, le correzioni non riguardano le deformazioni meccaniche dello specchio, ma la compensazione dell’effetto del seeing. 23 Lo scopo del sistema è quello di ottenere un’immagine che sia il più possibile “vicina” alla figura di diffrazione di Airy, in modo da sfruttare al meglio la risoluzione teorica dello strumento (vedi cap. 2 risoluzione angolare) In questo caso il sistema deve avere un tempo di risposta molto inferiore rispetto alle ottiche attive, ovvero dell’ordine di 10-3secondi, anche per questo motivo non si può agire sullo specchio primario, ma vengono coinvolti uno o più specchi secondari. Osserviamo quindi i parametri del seeing che vengono rivelati per impostare le risposte delle ottiche adattive: • Parametro di Fried r0 Misura le deviazioni, o meglio le dimensioni delle componenti, del fronte d’onda; ricordiamo infatti che la radiazione luminosa proveniente da una stella, ad esempio, è, in effetti, un fronte d’onda piatto, l’azione dell’atmosfera terrestre è quindi quella di “frammentare” questo fronte il quale risulterà, a terra, non più piatto, bensì, spezzettato in elementi di dimensione media, appunto, r0. Dallo studio dell’immagine di seeing si è trovato che r0 ≅ 10-1m (100mm). Tenendo conto che gli effetti del seeing divengono severi quando le dimensioni angolari dell’oggetto celeste sono dell’ordine di ϑ ≅ 3” si può valutare la quota media alla quale la turbolenza ha luogo: r0 / ϑ = 10-1m / 3” * 206265 (“ / rad) ≅ 7 km • Indice di Strehl S Misura il rapporto di intensità tra il picco Is, dell’immagine di seeing, e quello Id, della figura di diffrazione di Airy20: S = Is / Id Normalmente senza correzioni si ha S ≅ 0.2. con le ottiche adattive è possibile innalzare S fino a valori dell’ordine di 0.6 ÷ 0.8 . • Tecniche adattive Se l’apertura del telescopio è sufficientemente piccola, dell’ordine di r0, l’obiettivo raccoglie una porzione di fronte d’onda che è piana, la cui inclinazione, tuttavia, cambia continuamente e repentinamente nel tempo. L’immagine di una sorgente puntiforme è, quindi, quella di Airy, ma la sua posizione è continuamente mutevole. Per un grande telescopio, invece, la porzione di fronte d’onda è corrugata e la figura di diffrazione va persa e sostituita da una distribuzione a campana molto larga. Tenendo conto di questo fatto si potrebbe pensare di realizzare dei grandi telescopi, del tipo degli MMT con il primario a tasselli, nei quali le dimensioni dei singoli 20 Questo significa che più alto è il valore di S e migliori saranno le immagini, ovvero le immagini di oggetti puntiformi saranno molto più prossime alla figura di diffrazione tipica. 24 tasselli siano minori di r0 e di correggere continuamente la posizione delle immagini di Airy per ognuno degli elementi, riportandole tutte sempre nello stesso punto. Tuttavia questa soluzione non è, nello stato attuale degli strumenti a disposizione, praticabile a causa dell’inerzia dei singoli tasselli che non permette correzioni con le frequenze richieste di circa 1000 Hz ( 21). I sistemi di compensazione della turbolenza atmosferica sono dunque costituiti dalle seguenti tre parti: 1. Sistema di campionamento del fronte d’onda 2. Sensore del fronte d’onda 3. Sistema di correzione 1. campionamento del fronte d’onda Il sistema che compie il campionamento del fronte d’onda è costituito da uno specchio particolarmente riflettente, semiriflettente, che devia verso il sensore il 10% della radiazione. In genere, specialmente se l’oggetto da osservare non è puntiforme, la radiazione da esaminare viene acquisita da una stella campione molto vicina all’oggetto stesso; questa stella deve essere all’interno della cosi detta “area isoplanatica”, cioè la regione entro la quale il fronte d’onda distorto rimane coerente. Questa regione è estremamente piccola, dell’ordine di qualche secondo d’arco. Per questo motivo non è necessario che lo specchio semiriflettente e lo specchio oscillante, il quale produce la correzione, siano particolarmente grandi. Per quanto riguarda la stella campione, va osservato che non è sempre facile trovare una stella sufficientemente luminosa cosi prossima all’oggetto come si vorrebbe, per questo, se non si può utilizzare la radiazione dell’oggetto stesso, si usa una “stella sintetica” ottenuta tramite la proiezione verso il cielo di un fascio laser, in generale alla lunghezza d’onda della riga D del sodio. Questa radiazione laser ha lo scopo di eccitare gli atomi Na nell’alta atmosfera ad una quota di circa 90 km e produce un’immagine puntiforme che, regolando la direzione del laser, può essere portata vicino quanto si vuole all’oggetto da osservare. Ci sono, però, due problemi: 1) L’effetto da 90 km non è lo stesso di quello prodotto da una radiazione che viene da fuori dell’atmosfera. 2) La stella artificiale non è soggetta al seeing parallattico, perché all’andata e al ritorno il raggio ha lo stesso cammino ottico e gli effetti si compensano. 2. Sensore del fronte d’onda o di Hartman È costituito da un’insieme bidimensionale di piccole lenti accoppiato ad una matrice di rivelatori; ciascuna lente produce un’immagine della stella campione al centro del corrispondente rivelatore. La distorsione del fronte d’onda piano, in un suo punto, produce una deviazione della corrispondente immagine dal centro del elemento rivelatore, la misura di tale 21 N.B.: la soluzione sarebbe vantaggiosa anche per il fatto che la figura di Airy in questo caso sarebbe visibile, fatto questo che renderebbe eliminabile la necessità di ricorrere a particolari stelle (naturali o artificiali) di confronto. 25 spostamento e la sua direzione genera il segnale che elaborato produce la correzione del fronte d’onda attraverso lo specchio o gli specchi ausiliari, o qualche altro sistema di correzione. 3. sistema di correzione come già detto può essere costituito da uno o più specchi ausiliari i quali vengono inclinati, o per particolari tipi, deformati attraverso trasduttori piezoelettrici. Figura 4 - Schema delle ottiche adattive (Keck) fine scritto da: Alessandro Carucci 26