Relazione semestrale relativa alla ricerca dal titolo: “ Sviluppo di una procedura diagnostica per la leucodistrofia metacromatica e la xadrenoleucodistrofia” Il lavoro di sviluppo di questa ricerca si compone della messa a punto dei test analitici per due importanti patologie che hanno in comune una progressiva degenerazione della guaina mielinica con la conseguente perdita della capacità di condurre lo stimolo attraverso le fibre nervose. X-Adrenoleucodistrofia (X-ALD): questa patologia appartiene ad un gruppo di malattie che fanno capo a problemi di funzionamento di un organulo cellulare, il perossisoma e quindi vengono raggruppate come malattie perossisomiali. Nel perossisoma viene avviata la degradazione degli acidi grassi a catena molto lunga, in seguito alla quale questi vengono poi trasferiti al mitocondrio dove il metabolismo prosegue riducendo progressivamente la catena carboniosa. I problemi legati al funzionamento del perossisoma possono essere di varia natura: dalla completa mancanza dell’organulo, dovuta ad una incapacità dell’assemblaggio dell’organulo stesso o ad un deficit operativo degli enzimi coinvolti nei vari processi, non ultimo, quelli legati al meccanismo di ingresso degli acidi grassi nel perossisoma. Nella XALD la proteina responsabile dell’ingresso degli acidi grassi a catena lunga nel perossisoma non è funzionante e i vari acidi grassi, non potendo entrare, non possono essere degradati. L’accumulo di queste molecole e una loro inclusione nelle membrane cellulari ne provoca la disorganizzazione e la progressiva degenerazione, in particolare della guaina mielinica. L’approccio utilizzato nelle procedure diagnostiche di questa malattia è quindi legato alla quantificazione degli acidi grassi a catena molto lunga durante il loro accumulo, che ovviamente, più precocemente viene evidenziato e più efficaci saranno i trattamenti scelti. La presenza degli acidi grassi a catena lunga legati alla carnitina nello spot di sangue è un parametro valutato in vari programmi di screening, ma la loro rivelazione impone l’uso di strumenti ad alta sensibilità, data la loro bassa concentrazione; inoltre per problemi di interferenza con componenti della matrice, viene eseguita, in alcuni centri del mondo, una apposita separazione cromatografica. Davanti a queste problematiche abbiamo deciso di sviluppare una procedura di separazione specifica per le acilcarnitine con una catena di atomi di carbonio superiore a 18 (C20, C22, C24, C26, C28), quelle con un doppio legame (C20:1, C22:1, C24:1, C26:1 e C28:1) e quelle con due gruppi acidi (C16DC e C18DC). Per la messa a punto delle condizioni cromatografiche e di massa abbiamo utilizzato uno standard di C23 acilcarnitina. Per la separazione cromatografica abbiamo scelto una colonna funzionalizzata con una catena di atomi di carbonio più corta di quelle normalmente utilizzate (le C18), cioè una C8, di ridotte dimensioni (5 cm), ma con una ottima risoluzione (solid core). La scelta dei solventi è stata piuttosto complessa che ci ha spinto a preferire come fase organica una miscela acetone/metanolo 15/85 (v/v) per avere una buona separazione e picchi stretti. Per compensare la scarsa concentrazione di queste molecole ai fini della rivelazione, abbiamo deciso di utilizzare una procedura di derivatizzazione, con la quale si premia il gruppo carico positivamente nella molecola, neutralizzando il gruppo carico negativamente e aumentando il segnale in ionizzazione positiva. Questo comporta però un allungamento dei tempi di preparazione del campione. Il campione, costituito da una goccia di sangue depositata su carta bibula (DBS o dried blood spot) viene quindi: • Punzonato fino ad ottenere un cerchietto del diametro di 3.2 mm contenente circa 3 µL di sangue intero • estratto con 300 µL di metanolo, contenete lo standard C23 acilcarnitina alla concentrazione 0.01 µM, per 25 min a 37°C • l’estratto viene trasferito in un pozzetto pulito e portato a secco sotto flusso di azoto a 50°C • derivatizzato con 75 µL di butanolo in HCl a 65°C per 25 min • riportato a secco e ripreso con 200 µL di miscela metanolo acqua, 90/10 (v/v) e iniettato 1 µL Il risultato ottenuto è quello riportato in figura 1, dove si vede che all’aumentare del numero di atomi di carbonio aumenta il tempo di ritenzione e questo ci aiuta, fissando il C23, a identificarli anche rispetto agli interferenti. A questo punto diventa importante valutare quali siano i valori normali di queste molecole e vedere se ci sono differenze tra questi valori e quelli patologici. Per una maggiore precisione conviene valutare questi valori per fasce di età pertanto la seconda fase del progetto prevedrà la raccolta di campioni su bambini neonati, di età fino a 3 mesi, tra 3 mesi e 3 anni e maggiori di 3 anni; verranno arruolati almeno 100 bambini per ogni classe di età. A questo punto, data una significativa numerosità sarà possibile valutare se tutte le molecole scelte come biomarcatori diagnostici sono significative oppure se sarà conveniente quantificarne solo alcune. Figura 1. Campione positivo X-ALD Adrenoleucodistrofia Metacromatica (MLD): questa patologia, anche se conduce sempre ad una progressiva demielinizzazione delle fibre nervose, ha caratteristiche diverse rispetto alla X-ALD in quanto l’enzima che deve degradare i sulfatidi, l’arilsulfatasi A, presente nei lisosomi, non è funzionante. I sulfatidi sono sulfolipidi presenti preferenzialmente nel sistema nervoso centrale e sono sfingolipidi specifici per la guaina mielinica, ma il loro accumulo crea una forma di inibizione per la crescita degli assoni, con degenerazione della guaina mielinica. I sulfatidi rappresentano un gruppo di molecole in cui su una struttura di base (la sfingosina) vengono inserite catene carboniose con diverso numero di atomi di carbonio, con presenza di doppi legami o con gruppi funzionali come ossidrili (OH). A questo si aggiunge uno zucchero e il solfato. Quindi un sulfatide C16:0 OH indica un sulfatide che contiene una catena di 16 atomi di carbonio, senza doppi legami e con un gruppo OH. L’approccio analitico per la diagnosi di questa malattia segue due vie principali, cioè la rivelazione e quantificazione dei sulfatidi, sia come specie singole che come somma oppure la valutazione dell’attività enzimatica dell’arisulfatasi A, in particolare sui leucociti. Dati di letteratura dimostrano che la quantificazione dei sulfatidi è particolarmente significativa in urina, ma di poco aiuto nello spot di sangue; inoltre la valutazione della attività enzimatica su spot non sia stata mai effettuata. Nel nostro centro, negli ultimi anni sono stati messi a punto diversi metodi basati sull’attività di enzimi fissati sullo spot di sangue e abbiamo deciso di percorrere questa via anche nel caso della MLD. Partendo dalla letteratura, in cui si lavora con mix di leucociti, abbiamo estratto le condizioni di reazione ed il cocktail di reazione per l’arisulfatasi A ed abbiamo provato a stendere un protocollo di lavoro. Sono stati acquistati gli standard puri di alcune delle molecole di interesse, per la messa a punto della reazione enzimatica e del metodo di analisi, nello specifico l’octadecanoil sulfatide (il substrato), il C18 β−glucosil ceramide (analogo del prodotto, che è il C18 β−galattosil ceramide, non disponibile sul mercato) e l’N-octadecanoil – D35- psicosina, perdeuterata da usare come standard interno. Ciascuna di queste molecole è stata infusa separatamente per selezionare le migliori condizioni di ionizzazione e frammentazione MS/MS e quindi iniettata in HPLC, al fine di ottenere una separazione accettabile tra substrato e prodotto della reazione enzimatica. Sono state testate diverse colonne con varie fasi mobili e la più appropriata è risultata una colonna C8, 50 x 2 mm, 2,7 µm, con metanolo e ammonio formiato 10 mM e acqua con acido formico 0,1%. La separazione in isocratica al 93% di fase organica consente di ottenere picchi separati alla base per le molecole di interesse, di mantenere un tempo di analisi di circa 3 minuti e una buona sensibilità, con picchi di larghezza alla base inferiore ai 10 secondi. L’uso di fasi mobili composte da percentuali superiori di organico migliora la sensibilità, perché produce un picco più stretto, ma a scapito della risoluzione. La messa a punto delle condizioni per la reazione enzimatica risulta più complessa, in quanto vari sono le fasi e i componenti su cui agire: • cocktail di reazione, composto da acetato di sodio 0,08 mol/L a pH 4,5, manganese cloruro 0,033 mol/L e sodio taurodeossicolato a 2,08 g/L, a cui viene aggiunto il substrato a 6,20 µmol/L • tempo di incubazione, 1,2,4,6 ore e overnight • numero di punzonature da utilizzare • volumi dei solventi • eventuale estrazione con solvente Abbiamo iniziato con una punzonatura del DBS analogamente alla procedura descritta per la X-ALD; allo spot sono stati aggiunti 30 µL di cocktail di estrazione per 1 ora di incubazione, al termine la reazione viene bloccata con 200 µL di metanolo, agitato su vortex, centrifugato e iniettato nel sistema HPLC-MS/MS. In queste condizioni il segnale del prodotto è molto basso, visibile, ma dopo poche iniezioni la presenza dei sali del cocktail di reazione provoca una precipitazione che manda in sovrappressione il sistema fino a bloccarlo: diventa indispensabile eliminare i sali prima dell’iniezione, con una estrazione con organico. In questo caso, dopo alcune prove di solventi scegliamo l’etilacetato (150 µL) che aggiungiamo dopo aver fermato la reazione con 50 µL di metanolo per estrarre substrato e prodotto e lasciare il più possibile i sali nella fase acquosa restante. Prelevato il solvente organico dopo centrifugazione, si porta a secco e si riprende in fase mobile pronta per l’iniezione di 1 µL. L’analisi della soluzione cocktail con substrato non mostra nessun segnale in corrispondenza del prodotto, mentre uno spot estratto senza substrato non produce alcun segnale, risultando completamente bianco. Una iniezione di solvente dopo la miscela cocktail di reazione non mostra effetti memoria, ma il campione normale non presenta un segnale abbastanza intenso del prodotto che si dovrebbe essere formato dal substrato incubato con l’enzima funzionante. Sono stati fatti dei test con campioni di sangue molto freschi, nella ipotesi supportata dalla letteratura di una scarsa stabilità della sulfatasi; tuttavia contrariamente all’atteso il prodotto non si è formato in quantità maggiore. Con l’obiettivo comunque di avere un maggiore segnale analitico, abbiamo deciso di usare due punzonature raddoppiando quindi la quantità di enzima ma mantenendo gli stessi volumi dei reagenti, e di iniettare in LC-MS/MS 5 µL, invece di uno. In queste condizioni i segnali sono molto più intensi e quindi proviamo ad utilizzare anche degli spot di individui affetti. Purtroppo il segnale del prodotto ottenuto attraverso questa procedura è stato rivelabile e ben visibile anche nei campioni “positivi”, dove invece l’attività enzimatica della ASA sarebbe dovuta essere prossima a zero. Abbiamo provato a modificare le condizioni di reazione, sfruttando anche il metodo basato sui linfociti per valutare questa attività, (che esegue il test per 17 ore a 0 gradi centigradi), ma senza nessuna differenza. L’insuccesso di questo primo esperimento è probabilmente dovuto al fatto che nelle cellule l’enzima ASA è presente sotto forma di più isoenzimi. E’ ipotizzabile che il substrato utilizzato per la reazione in vitro venga metabolizzato da più isoenzimi producendo prodotto anche in assenza della forma enzimatica tipica della MLD. All’inizio del 2016 è stato pubblicato un lavoro in cui vengono analizzati i sulfatidi utilizzando come preparazione del campione un approccio molto simile a quanto appena descritto. Da qui l’idea di ricercare i sulfatidi nei campioni precedentemente preparati. I campioni, sono risultati molto più complessi del previsto e anche di quanto riportato in letteratura, il che ci ha costretti a effettuare una serie di test per stabilire con esattezza quali fossero i picchi di interesse. Questa difficoltà nell’individuare i segnali di interesse nasce dal fatto che l’analisi in MS/MS segue un segnale che noi consideriamo significativo perché originato dalla molecola che stiamo studiando. Se il segnale scelto non è univocamente legato alla molecola in esame e nel campione sono presenti altre molecole, che per la loro struttura producono lo stesso segnale, non siamo in grado di individuare quale dei picchi presenti rappresenta il nostro target. Il primo passo per distinguere questi segnali è valutare quale di essi proviene da una molecola che possiede un gruppo solfato, cioè un sulfatide e questo può essere fatto operando in spettrometria di massa in ioni negativi. Solo le molecole che contengono un fosfato durante il processo di frammentazione libereranno questa parte di molecola, producendo un segnale a m/z 97. Questo nuovo esperimento ci ha permesso di stabilire con maggiore confidenza quali fossero i marker utili per la diagnosi e sulla base di questo sono stati iniettati campioni di controllo e campioni positivi per evidenziare quantitativamente le differenze. Le aree dei composti: C16:0, C16:0 OH, C16:1, C18:0 OH, C22:0 e C24:1 sono risultate più alte nei campioni positivi MLD rispetto ai controlli sia singolarmente che come somma. Una volta stabiliti quali sono i picchi di interesse, vogliamo cercare di capire quali sono le molecole che originano i segnali che vediamo nel cromatogramma, assieme ai sulfatidi. La spettrometria di massa è la tecnica che può fornire un alto livello di informazioni strutturali sulle molecole in esame a condizione che l’insieme delle informazioni che si ottengono sia sufficientemente ampio e significativo da dare abbastanza indizi per fare dei tentativi di identificazione. In questo caso la parte di molecola “visibile” (la sfingosina) è comune a tantissimi composti presenti nell’organismo e le informazioni legate alle porzioni che le differenziano si perdono durante il processo di analisi. Un indizio ulteriore può derivare dal comportamento cromatografico, cioè da come si comportano durante la separazione dei diversi composti, che si realizza sfruttando le proprietà chimico fisiche delle molecole. In base a questo molecole con strutture simili possono avere comportamento simile. Data la struttura di base uguale per tutti e dato che il tempo necessario ad ogni molecola per attraversare il sistema di separazione (tempo di ritenzione) è funzione dell’interazione con la colonna cromatografica apolare anche della parte variabile della molecola, possiamo ipotizzare per i segnali che vediamo nei tracciati assieme ai sulfatidi, quale sia la lunghezza della catena carboniosa. Conoscendo anche la massa della molecola intera, possiamo provare a calcolare quale possa essere la struttura complessiva. Cercare di identificare queste molecole assume una certa importanza perché abbiamo notato che una volta separate dai segnali dei sulfatidi, sono potenzialmente utili per differenziare sani da malati. Per esempio, lo ione 862, da una valutazione come quella indicata sopra potrebbe appartenere ad una molecola che possiede oltre alla struttura comune della sfingosina, una catena di 16 atomi di carbonio e un monosaccaride al posto del solfato, cioè un lattosil ceramide. Quindi osservando il cromatogramma generato dalla frammentazione 862 a 264 si osservano due picchi, il primo un C16:0 lattosil ceramide e il secondo un C22:1 sulfatide. Il minore tempo di ritenzione del primo picco, sarebbe compatibile sia con la catena laterale più corta e sia con la polarità del lattosio. Eseguendo delle misure in MS/MS su questo ione si osserva la perdita del frammento corrispondente al lattosio (- 342). Possiamo provare a verificare se questa ipotesi relativa al tempo di ritenzione viene suffragata dall’iniezione di una molecola nota, lo standard del 3-Sulfo C17:0 Galattosil Ceramide che oltre a valutare correttamente i tempi di ritenzione, dovrebbe stabilire l’ordine di eluizione. Infatti lo standard di sulfatide C17:0 ha confermato che i picchi considerati in precedenza non erano sulfatidi, perché presentavano un tempo di ritenzione inferiore rispetto allo standard e questo rendeva ancora più possibile l’ipotesi sopra descritta e cioè che i composti in questione fossero lattosil ceramidi, precursori dei sulfatidi (HMDB). Nel caso dei segnali relativi allo ione 862, uno si presenta prima del tempo di ritenzione dello standard (il lattosil ceramide C16:0) e l’altro compare dopo (il sulfatide C22:1). Nei campioni di spot di sangue è possibile vedere una serie di molecole che rappresentano i sulfatidi, confermati sia in cromatografia, che attraverso diversi approcci in spettrometria di massa, da usare come marker della MLD. Sono state evidenziate altre