la civetta dagli altari agli scongiuri

LA CIVETTA DAGLI ALTARI AGLI SCONGIURI
Presupposti scientifici
Gli animali in ogni tempo e luogo hanno svolto un ruolo considerevole
nella vita e nel pensiero dell'uomo. I rapporti tra uomo e animale infatti sono
molteplici, complessi e spesso ambigui: l'animale può essere risorsa, oggetto di
paura, vittima rituale, essere sacro, simbolo sociale; e, in seno ad una stessa
cultura, può essere amato, cacciato, consumato, venerato e idealizzato. Reale o
immaginario è comunque onnipresente nei miti, nelle leggende, credenze e
tradizioni umane e non può essere sottovalutata l'importanza fondamentale dei
legami materiali e spirituali che esso ha con l'uomo, come dimostrano certi
poteri soprannaturali di cui si credevano dotati certi animali, divenuti simboli o
emblemi, che persistono in associazioni ancora oggi attuali, per esempio:
aquila/immortalità, leone/forza, volpe/astuzia, civetta/saggezza, etc. D'altra
parte neanche il cristianesimo è privo di simboli animali, basti pensare alla
colomba, all'agnello e di certo questo simbolismo affonda in remote antichità.
Tuttavia gli uccelli, in particolare, era naturale che fossero considerati
dagli antichi messaggeri del volere degli dei, perché volando, possono trovarsi
più in alto degli uomini e più vicini agli dei del cielo (Omero, Odissea, XV-v.
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Le loro voci, i loro voli ed i loro movimenti venivano osservati con cura
ed imperava la convinzione che essi potessero predire le sorti degli uomini. Gli
scrittori greci e latini dell'età classica hanno tramandato molte osservazioni
preziose in merito e nell'età successiva gli uomini continuarono a considerare gli
uccelli, in particolare i rapaci, come vaticinatori delle loro sorti e delle
condizioni del tempo.
I rapaci, ad uno stadio originario della cultura, erano considerati totemici,
ad essi venivano conferite caratteristiche particolari, ed erano temuti in quanto
venerati.
Il totemismo costituisce uno stadio dell'evoluzione cui l'umanità è
passata, e dal quale si sviluppano sistemi religiosi più perfezionati; in ogni
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caso costituisce una delle forme possibili del rapporto ritualizzato dell'uomo
con la natura.
Per cercare le basi di certi miti nelle realtà del passato bisogna risalire alle
loro radici storiche, perché il mito è un prodotto della mentalità che a un certo
punto decade nel mondo popolare nel momento in cui avviene il passaggio da
una civiltà all'altra.
Seguendo le grandi fasi storiche ni tese naturalmente anche come fasi
economiche, secondo la scuola formalista, e cioè la prima fase, quella della
caccia e raccolta, la seconda fase, quella della agricoltura e quindi dell'allevamento, la terza fase, quella della navigazione, del commercio degli
scambi, ne deriva che, passando da una fase all'altra, questi animali totemici
perdono il loro primitivo significato e ne assumono un altro.
E questo è quanto avviene per la civetta, simbolo di saggezza, sacro alla
dea Atena, animale funzionale a quel tipo di società arcaica; poi evolvendosi la
società e legandosi ad altra economia, cambiando i costumi e le religioni, essa si
ripropone con una diversa funzione, anche perché nel frattempo la scienza e la
saggezza conoscono altri parametri; si sfaldano gli antichi elementi e la civetta
viene ridimensionata.
Se originariamente gli animali non erano dominabili da parte dell'uomo
si avvia poi, sia pure per gradi, un processo di domesticamento, per cui, ad un
certo punto compare, non a caso, la raffigurazione del cavallo alato,
considerato elemento legato al passaggio dalla fase della caccia a quella
dell'agricoltura.
Engels a questo riguardo scrive: "Il basso sviluppo economico del
periodo preistorico ha come integrazione, e talvolta come condizione e persino
come causa, una rappresentazione inesatta della natura". Da ciò deriva che uno
stesso motivo considerato nel tempo subisce una evoluzione (nel caso della
civetta una demitizzazione) per cui il motivo si trasforma in quanto calato in un
nuovo ambiente storico.
E' chiaro che una nuova economia introduce immagini nuove e queste
nuove forme creano anche nuove religioni. Quindi il cavallo alato subentra nella
nuova cultura quando gli uomini cominciano ad addomesticare gli animali.
La sostituzione dell'uccello col cavallo mostra chiaramente come il
nuovo animale assume le funzioni religiose dell'antico; ma questo cavallo
conserva in parte l'origine del mito al punto che presenta ali di uccello.
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In poche parole si verifica l'assimilazione di un animale con l'altro.
Il cavallo assume non solo gli attributi dell'uccello (le ali) ma anche le sue
funzioni e come animale totemico ha di conseguenza la sua forma magica.
Presso i popoli primitivi gli uccelli, soprattutto i rapaci e in modo
particolare l'aquila, si rappresentano come trasportatori di anime, per cui si
ritiene che quando l'uomo muore l'uccello trasporta l'anima nel regno dell'aldilà.
Questa credenza ha avuto un riflesso in Egitto, in Grecia e poi anche a
Roma, dove, quando morivano gli imperatori, si liberava un'aquila affinché
portasse in cielo l'anima del sovrano.
E' doveroso aggiungere che, nell'immagine degli angeli alati, abbiamo nel
cristianesimo gli ultimi residui di questa credenza.
Man mano che l'uomo si impossessa della natura e della produzione,
svanisce il carattere magico di questi animali, come conseguenza dei mutamenti
nella vita economica e nel regime sociale dei popoli.
Testimonianze
Testimonianze sulla civetta in campo mitologico, letterario, folklorico e
linguistico, dimostrano appunto il passaggio dalla sacralità alle fantasie
superstiziose di questa straordinaria abitatrice della notte, che indubbiamente ha
una natura misteriosa e spettrale a causa del suo silenzioso volo da fantasma,
dell'agghiacciante verso lamentoso, degli espressivi dischi facciali, e degli occhi
di fuoco, che provocano nell'uomo, orinai lontano dalla natura, un senso di
brivido.
Quella della civetta è una voce onomatopeica; uccello dell'ordine Striges,
(cui appartengono come è noto, anche i gufi, gli allocchi e i barbagianni), dalla
voce scientifica Athene noctua, vive di preferenza nelle macchie e nelle
campagne alberate in prossimità dell'abitato, ma si stabilisce anche sotto i tetti
dei casolari e, in città, sulle torri e sui vecchi edifici in genere. Rapaci di abitudini
notturne, si ciba di topi, di pipistrelli, e di piccoli insetti e per questo può dirsi
animale utile all'agricoltura; infatti la legge italiana sulla caccia ne vieta l'uccisione
in qualsiasi tempo e ne permette la cattura soltanto a scopo di zimbello.
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Infatti, avendo la facoltà di attirare a sé piccoli uccelli, la civetta può
essere addestrata molto bene a tale uso e viene adoperata specialmente per la
caccia alle allodole che durante il giorno volano eccitatissime nel luogo dove si
trova la civetta per una particolare idiosincrasia.
Buffa nel nome e nell'aspetto, per i suoi trascorsi leggendari e per le sue
mille sfaccettature simboliche, è stata amata e accettata da saggi e da
collezionisti, e, a partire dalla Grecia antica, per arrivare alle tradizioni dei
popoli nordici, in particolare degli anglosassoni, sino alle creazioni di Walt
Disney, i simboli di questo affascinante strigiforme si intersecano e si diramano
in un dedalo di significati diversi e tuttavia complementari.
Le civette sono animali saggi, come affermano i mitologi, e tendenzialmente solitari come sottolineano gli studiosi del comportamento animale;
amano la privacy, se ne stanno appartate e vedono dove noi uomini non siamo
in grado di vedere, cioè al buio.
La civetta però nella lingua italiana si identifica tanto con la signora della
notte che in quella dei salotti e diventa sia sinonimo di bello, grazioso, che di
ammiccamenti a causa del suo curioso contegno che fa pensare a movenze
adescatrici.
L'Athene noctua presenta infatti buffi atteggiamenti ma nello stesso
tempo è fiera e posata come un vecchio saggio; è un personaggio schivo, e
l'essere schivo è un carattere che ben si affianca alla saggezza; vive la maggior
parte del suo tempo in perfetta solitudine, a meditare, a scrutare nella notte e a
cacciare.
Tuttavia già nel 1494 il Poliziano intende con "civettare" l'arte dell'attirare
gli uomini attraverso moine; e ancora prima Giovanni Boccaccio adopera il
termine zimbello col significato figurato di lusinga, oltre che per denotare le
civette quali uccelli di richiamo.
Da ciò la derivazione del termine zimbellare, usato sia per indicare
l'adescamento con lusinghe, che la caccia con lo zimbello.
Le civette hanno quindi fama di seduttrici.
Nel De natura animalium di Claudio Eliano, scrittore romano del tardo
impero, a proposito delle civette si legge che queste sono simili alle donne
dedite a stregonerie e incantesimi, e che grazie a misteriosi artifici sono in grado
di attrarre gli altri uccelli. Il presupposto scientifico di Eliano è che la civetta,
con abile trasformismo, è in grado non solo di dare al proprio volto infinite
fogge, ma addirittura di mutarlo sino ad assumere le sembianze
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della preda prescelta, la quale ammaliata dalla metamorfosi, cade nelle grinfie
del rapace.
In Eliano dunque sono già perfettamente costituite quelle connessioni che
faranno della civetta una femmina incantatrice e della civetteria un'arte
maliziosa. D'altra parte si ritrovano tracce analoghe già nei miti greci: qui la dea
Calispo, figlia di Atlante, unica abitante dell'isola di Ogigia, dimorava in un
antro movimentato, tra l'altro, anche da gufi e civette, che erano, appunto, il
suo emblema. Ella tentò, come sappiamo, in tutti i modi di attrarre a sé il
naufrago Ulisse, prospettandogli un'esistenza dedita agli ozi e protetta dagli dei;
il concetto di civetteria quindi si andava già fatalmente affermando.
Per la civetta l'oscurità è solo una variante del giorno, nel corso della
notte, infatti, pare che a lei tutto sia concesso, anche scorgere certe minuzie, certi
particolari, che a noi non è dato di discernere.
Questi uccelli vedono la luce 192 milioni di anni fa, formandosi dalla
carcassa di piccoli dinosauri; 235 milioni di anni fa compaiono i primi
strigiformi; a quell'epoca infatti risalgono i più antichi fossili ritrovati con
caratteristiche ascrivibili all'ordine dei rapaci notturni. Il primo contatto
documentato tra l'essere umano e gli strigiformi si ha nel paleolitico. Infatti, lo
storico romeno delle religioni, Mircea Eliade, afferma che un certo Abbé Breuil
trovò sulle pareti della grotta dei Trois-Frères in Francia, un'incisione davvero
curiosa e cioè una figura che battezzata poi "grande stregone" ha la faccia di
gufo e il corpo di uomo.
E' chiara l'idea dei riti propiziatori per accattivarsi questo animale
considerato totemico al punto da associarlo all'individuo. Di questo parla
molto ampiamente l'antropologo inglese Frazer nel Ramo d'oro, uno studio sulla
magia e la religione che sa creare potenti suggestioni. Egli afferma che nella
tribù Wotjobaluk, nel Sud-Est dell'Australia, si credeva che la vita di un
Ngunungunut (pipistrello) fosse la vita di un uomo, e quella di Yartatgurk
(gufo) fosse la vita di una donna, e che ogni volta che fosse ucciso uno di questi
animali, si troncasse la vita di un essere umano; e quando ciò accadeva ogni
uomo e ogni donna della tribù temeva di essere la vittima, e ne derivavano lotte
feroci tra i due sessi. In queste lotte fra uomini e donne la vittoria era tutt'altro
che certa. Questa credenza diffusa nella maggior parte dell'Australia del
Sud-Est probabilmente si estendeva molto più in là ed anche tra alcune tribù di
Victoria il pipistrello appartiene
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agli uomini e per difenderlo essi arriverebbero quasi ad ammazzare la propria
moglie. Il gufo delle felci (Caprimuglio) appartiene alle donne, e, benché sia di
cattivo augurio e la notte le sue grida facciano paura, esse lo proteggono
gelosamente. Questa protezione non deriva da considerazioni egoistiche ma dal
fatto che ogni uomo e donna crede che non solo la propria vita ma anche
quella di tutti i suoi congiunti sia legata rispettivamente al pipistrello e al gufo.
Ma quando si suppone che la vita degli uomini sia contenuta in questi
animali è evidente che non si potranno più distinguere gli animali dagli uomini e
gli uomini dagli animali, tanto che, recita ancora Frazer "se la vita di mio fratello
è un pipistrello, il pipistrello diventa mio fratello". E allo stesso modo, "se
quella di mia sorella è in un gufo, il gufo è mia sorella e mia sorella è un gufo".
La fonte dei guai e della fortuna della civetta parte dal mito di Ascalafo,
figlio di Acheronte e di Orfne, cioè l'oscurità o la notte.
Acheronte, precipitato nell'inferno al tempo in cui i Titani
guerreggiavano contro Zeus, in questo luogo divenuto sua residenza, ebbe un
figlio, Ascalafo appunto. Costui incautamente rivelò a Zeus che Persefone, figlia
di Demetra, a dispetto del divieto emanato dal signore degli dei, aveva
mangiato sette chicchi di una melagranata, frutto considerato proibito.
Demetra indignata per la delazione trasformò Ascalafo in civetta,
pensando di fargli un dispetto, in realtà cominciò così la sua fortuna perché era
in grado di "vedere" nella notte. Così le civette diventano le fedelissime della
dea Atena e tengono ben aperti gli occhi per lei durante il riposo di questa.
Atena dunque affida alle civette la supervisione delle faccende notturne.
Infatti le strigi sono fornite di un occhio telescopico la cui struttura tubolare è
simile a quella dei nostri binocoli.
Ma anche nella simbologia cristiana la civetta vede nella notte più buia
poiché ha negli occhi una forza luminosa che dissolve le tenebre e secondo una
credenza della Francia meridionale e della Spagna questi rapaci alimentano la
loro fonte luminosa con l'olio delle lampade votive per cui vengono chiamati
succhialampade. E a questo proposito in Argentina si racconta ad opera di
Jsmael Moya, autore di un testo sulle superstizioni sud-americane che una
guaritrice vedeva le malattie e di conseguenza le curava, scrutando negli occhi
della sua civettina imbalsamata.
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Testimonianza ulteriore di questa chiaroveggenza sono gli stemmi
araldici della Gran Bretagna: L'effige di una civetta d'oro in campo verde
rappresenta l'uomo sapiente che vede le cose anche occulte in quanto saggio.
Oscurità, saggezza, luce e vita solitaria; queste le atmosfere e le
caratteristiche che da sempre accompagnano gli uccelli notturni e si intersecano
tra loro. L'oscurità infatti non può essere disgiunta dalla luce e questa è a sua
volta strettamente connessa con la visione che dà luogo alla saggezza. Ma la
saggezza è una dote che si conquista con fatica e non senza invidia.
Allora, dall'atmosfera solitaria in cui vivono le civette scaturisce la
potenza simbolica delle loro spiccate attitudini conoscitive, ma nello stesso
tempo hanno origine anche le più tenaci superstizioni circa le loro virtù
malefiche.
Senza dubbio esse passano la maggior parte della loro vita in aristocratica solitudine e le loro curiose abitudini ed il loro costumi hanno finito con
l'attribuire ad esse un'anima malinconica o addirittura demoniaca proprio
perché abitano spesso i cimiteri.
In certe zone dell'America del Sud bisogna fare gli scongiuri allorché si
incontrano in simili luoghi e allontanarsi subito pronunciando la formula "credo
in Dio e non in vos", allo scopo di evitare il maleficio e respingere il demonio
che ha le sembianze di questo animale.
Quindi la solitudine notturna di un luogo come il cimitero non giova
certo all'immagine della civetta. Per gli stessi motivi di solitudine e di privacy
essa è considerata in Europa, in Asia e in Africa alleata della stregoneria; del
resto anche in America, durante la civiltà pre-colombiana non gode di migliore
reputazione. L'atmosfera di oscurità che predilige e il suo verso dalle molte
tonalità inquietanti non mancano di stimolare i costumi più bizzarri. Nel
Paraguay, ad esempio, ogni qual volta risuonava il canto di una civetta, gli
Araucani si davano un gran da fare nel tentativo di scacciare i demoni.
Allo stesso modo gli Indios, nel sentire il canto cupo di questi uccelli,
ritenevano che coprire di insulti i poveri volatili bastasse per scacciare il male
che portavano con sé. Inoltre sempre a causa della sua predilezione per le
rovine, la civetta viene considerata segnale di imminente distruzione.
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Una antica leggenda spiega in altro modo l'emarginazione delle civette:
un tempo questo uccello era considerato soave cantore, ma ebbe la sventura di
assistere alla morte di Gesù e da allora il suo destino è stato quello di evitare la
luce del giorno e dalla sua gola non più canti ma versi lamentosi quali "cruz
cruz" che in spagnolo vuol dire croce.
Ma anche al tempo dei romani la fama della civetta non era certo
migliore. Plinio sottolinea che se per caso uno di questi uccelli entrava in
Campidoglio, bisognava sottoporsi a lavacri purtificatori per prevenire
eventuali sciagure e, sempre secondo i latini, Giulio Cesare avrebbe incontrato
la morte che tutti conosciamo perché un gufo, la sera precedente l'assassinio si è
affacciato alla sua camera; ugualmente dicasi per Aurelio Commodo, infatti
prima di morire un gufo era appollaiato nella sua stanza; e la stessa cosa
avvenne anche per Augusto ed Agrippa.
Sempre per le abitudini scontrose delle civette si dice che le loro grida,
che Eliano distingue in nove diverse tonalità, annuncino messaggi nefasti. Maria
Conte nelle Tradizioni popolari di Cerignola dice a questo proposito: "anche la
cuccuvascie col suo grido monotono e triste è lugubre messaggera di morte.
Come nelle altre parti di Italia, essa cova sul fabbricato di fronte a quello in cui
si trova il malato, al suo grido fa eco il pianto disperato dei parenti che,
facendosi il segno della croce ripetono: Biaite addò cove e maile addò cande"
(beato dove cova e male dove canta)". Là dove canta indica il luogo della
morte.
Giuseppe Gigli nelle Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in terra d'Otranto
tenta una spiegazione di ciò e dice: "cattivo augurio porta il canto della civetta;
questo uccello, nei nostri paesi chiamato comunemente uccello della morte,
annuncia che qualcuno della famiglia, sulla cui casa si poggia deve morire". C'è
o c'era, quando eravamo circondati di boschi un po' di ragione: le strigi
assalgono di notte le loro prede e le uccidono all'improvviso, quindi
presagiscono la morte.
Inoltre, come afferma Zingaropoli, in L'anima delle bestie, i gufi e gli
allocchi quando fanno una diversione in regioni e case insolite, indicano che ivi
devono morire uomini, perché questi uccelli amano i cadaveri e ne hanno il
presentimento; quindi tali uomini sono già cadaveri in partenza.
Nella pubblicazione Il Folklore italiano del 1932, apprendiamo": la civetta
è risaputo essere stata in ogni tempo uccello di cattivo augurio; eppure da un
autore, Valletta, nella Cicalata sul fascino volgarmente detto
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jettatura, si legge che erano di buon augurio "aves inauspicatae foribus affixae",
gli uccelli che si attaccavano alle porte e servivano a scacciare il malocchio.
In Animali e piante nella tradizione popolare di Giuseppe Calvia leggiamo alla
voce civetta: "quando canta sul tetto di una casa o in qualche sito dirimpetto è
segno di morte per qualche membro della famiglia. In Gallura il grido di
questo uccello maledetto, che voli in prossimità o sul tetto della abitazione,
dove in silenzio si riposa, incute forte spavento, poiché deve accadere o morte
naturale o assassinio o altra disgrazia. E se la strige passa in direzione di un
dormiente, costui si ammalerà di itterizia".
Bisogna ricordare ancora che nelle rappresentazioni del mondo infernale
c'è un posto per questo uccello, che nella poesia latina ha l'epiteto di feralis; ed
in alcune leggende popolari della Germania e della Scandinavia, la civetta è
considerata spirito dei boschi ed il costume di inchiodare nelle porte delle case
e delle fattorie le civette che si sono uccise, ubbidisce a queste idee.
A questo punto è opportuno smorzare i toni negativi che
accompagnano le civette e cercare invece di intravedere qualche atteggiamento
di benevolenza nei loro confronti riportando la testimonianza di Giuseppe
Gené che nel secolo scorso pubblicava un libro intitolato Dei pregiudizi popolari
intorno agli animali in cui condanna la barbara usanza diffusa in Europa di
inchiodare all'uscio di casa una civetta; uso che imperversava anche poiché si
riteneva che questi rapaci divorassero gli animali da cortile. Gené afferma che le
strigi non sono solo dannose, ma al contrario sono utilissime in quanto
mangiano i topi con maggiore abilità dei gatti ed inoltre cerca di spostare la
diceria che vede le civette messaggere di morte dal momento che cantano sul
tetto delle persone in fin di vita, osservando che nessuno si è mai preso la briga
di considerare i tetti della gente sana sui quali si posano e cantano questi volatili.
D'altra parte tutte le credenze popolari e le presunte ingerenze nefaste di questi
innocui, fieri, e bellissimi uccelli si poggiano su una base piuttosto vacillante,
mentre si può verificare l'opinione di Eliano circa la capacità metereopatica
delle civette. Eliano infatti era convinto che il canto della civetta col bel tempo
annunciasse un acquazzone, viceversa lo stesso canto in una giornata piovosa
annunciasse il sereno. E ne Gli animali nella meteorologia popolare degli antichi greci,
romani e bizantini di Demetrio Krekoukias è riportato che Teofrasto, Arato
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e Virgilio considerano le voci tranquille della civetta preannunzio del bel tempo,
invece Artemidoro, Plinio ed Avieno di cattivo tempo.
Infatti Virgilio nelle Georgiche (I, vv. 402-3) dice: "Solis et occasum
servans de culmine summo nequiquam seros exercet noctua cantus"
(osservando dall'alto di un tetto il tramonto del sole, senza motivo la civetta fa
sentire i canti vespertini"). E Plinio nella Naturalis Historia "Noctua in imbre
garrula, et sereno tempestate" (XVIII, 362) (cioè la civetta canta quando c'è
cattivo tempo e quando annuncia la tempesta al posto del sereno). Anche
secondo i Geoponici i continui gridi notturni della civetta sono segno di bel
tempo.
Ma il periodo più movimentato e di maggiore prosperità per la civetta
rimane quello dell'antica Grecia.
Come raccontano i mitologi, la dea greca Atena balzò dal cervello di
Zeus, bella e armata, brandendo una lancia d'oro zecchino. Protettrice delle arti
e delle scienze, dea della sapienza e della vittoria, seconda nella gerarchia di tutti
gli dei soltanto al supremo genitore, la bellicosa Atena rappresenta la luce
dell'intelligenza e della ragionevolezza.
Conosciuta dai latini col nome di Minerva, insegnò agli uomini a
navigare, a tessere, a filare e a tenere gli occhi bene aperti. E la civetta divenne il
suo animale preferito.
In quella straordinaria città della Grecia antica che era Atene, le civette.
ben viste e amate in quanto rappresentanti dalla dea, svolazzavano liberamente.
Tuttavia restavano uccelli notturni, ma il loro significato era molto diverso da
quello che avrebbero avuto presso i latini e che la tradizione cristiana avrebbe
poi trasportato fino ai giorni nostri.
Essi, proprio perché simboli di Atena, erano animali lunari, e la luna era
l'astro della conoscenza razionale opposta a quella intuitiva della luce solare.
Quindi con la dea greca la civetta diventa colei che sa distinguere le cose anche
nel buio della notte, che vede dove altri non vedono e i suoi grandi occhi sono
proprio come la luna che riflette la luce del sole ed il suo nome greco
testimonia appunto questa facoltà: glaux, civetta, significa infatti rilucente.
Rapidamente questo uccello diventò l'attributo principale della dea Atena e di
conseguenza l'espressione simbolica della città di Atene. In generale si preferisce
considerare il nome della città formato su quello della dea, perché il culto attico
di Atena sovrasta di gran lunga, per importanza e magnificenza quello che la
dea riceveva nelle altre regioni della Grecia.
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Quindi l'Attica è il paese favorito della dea, e Atene la città alla quale essa
elargisce tutti i suoi favori e tutti i suoi doni.
In questo periodo la civetta non è ancora presaga di sventure e il suo
grido è solo l'ammonimento che il saggio offre agli scellerati di questa terra.
Nell'antica Grecia un proverbio la dice lunga sulle strigi. "Portare le
civette ad Atene" era il proverbio dell'abbondanza, ma dall'abbondanza deriva
la ricchezza e così sulle monete ateniesi era raffigurata proprio la civetta ed il
suo nome divenne sinonimo di denaro. Infatti dalla fine del VI secolo a.C. in
poi compaiono nelle monete di Atene al recto la testa di Atena e al verso la
civetta con un ramo di olivo e le prime tre lettere del nome della città. Con
questo tipo di moneta, il tetradramma, siamo alle soglie della tirannide di
Pisistrato tanto che questa monetazione ateniese è considerata una creazione
della tirannide e la produzione di monete con la civetta andrebbe vista come un
deliberato atto politico; quindi al di là di una espressione ideologica essa fu un
atto ben calcolato di politica sociale ed economica. Dopo le guerre persiane, gli
Ateniesi, mantennero il tetradramma, con la testa di Atena al recto e la civetta e
l'ulivo al verso. Alla fine delle guerre, le monete ebbero una leggera
diminuizione di peso, ma i simboli non cambiarono.
Nel 483 a.C. quando le miniere del Laurio dettero improvvisamente un
largo gettito, di gran lunga superiore al passato, si coniarono nuove monete, del
valore di dieci dramme l'una e monete di due dramme; comunque in tutti i tipi
monetali, la testa arcaica di Atena e la civetta e l'ulivo sono sempre presenti;
l'unica variante le ali della civetta aperte o meno.
Michael Crawford in La moneta in Grecia e a Roma sostiene che monete
con le civette, dalle prime emissioni in poi, si trovano anche in Egitto e in
Levante nel IV secolo a.C. Secondo questo autore la monetazione ateniese della
civetta compare nel momento in cui compare anche Atene quale esportatrice
d'argento. L'Atene classica era, per una polis greca, relativamente industrializzata
e avanzata nel commercio; viveva in larga misura della esportazione di merci e
argento e della importazione di grano. Il fatto notevole è che l'origine di questa
attività può essere collegata con l'inizio della monetazione della civetta.
Ma anche sulle medaglie degli Ateniesi si vede spesso una civetta che
posa sopra un vaso, e secondo l'opinione di molti studiosi, i cittadini di
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Atene, vollero conservare con questo emblema la memoria dell'invenzione dei
vasi di terra. L'uccello è raffigurato anche su medaglie di altre città e
dappertutto sembra testimoniare la sapienza. A supporto di ciò bisogna
ricordare una medaglia di Costantino, in cui appare una civetta, accompagnata
dalla legenda: "Sapientia principis providentissimi".
Filostrato, nella vita di Apollonio, dice che anche gli Egizi rappresentavano, con il nome di Neith, Atena sottoforma di una civetta e adoravano e
onoravano a Saite la dea con un culto speciale.
Ma la civetta era attributo, oltre che di Atena anche del divino medico
Asclepio, figliolo della dea, che dalla madre aveva ereditato oltre la sapienza,
anche la passione per questo animale e forse per questa ragione gli indiani
Kiowa sono convinti che esista un rapporto tra medicina e civetta arrivando a
sostenere che i medici dopo la morte si trasformano in gufi.
Ed il gufo è anche uno dei più antichi simboli cinesi.
Uccello araldico, quindi, venerato in numerose località, non si può
dubitare che la sua origine sia pre-ellenica ed il suo legame con la saggezza, la
scienza, la prudenza e la vigilanza consolidato sia dalla tradizione cristiana, che
malgrado l'avversione agli animali notturni, assume la civetta a simbolo di
eternità e di immortalità dell'anima, e sia dalla tradizione medioevale in cui la
civetta risente dall'influsso del periodo greco; nei monasteri essa infatti viene
intesa come ideogramma della meditazione ed è considerata alla stregua del
monaco saggio immerso in profondi studi. Non a caso tanti ex-libris e
frontespizi scelgono la civetta appollaiata sui libri come emblema. La collana
"Les Belles Lettres" ne è un esempio.
E questo è il clou della difesa.
Ma alla civetta vengono attribuite anche virtù portentose per le
operazioni magiche. Una frittata delle sue uova guarisce dall'ubriachezza; il
cuore ed il suo piede destro posti su un dormiente gli faranno svelare tutti i
suoi segreti, il suo fegato, appeso ad un albero, è un potente richiamo per gli
uccelli. Dal Dizionario di scienze occulte di Pappalardo si ricava che varie parti del
suo corpo servono alle manipolazioni delle streghe ed il suo brodo è
considerato filtro base per i più efficaci sortilegi. D'altra parte Ovidio non
trascura di enumerare gli ingredienti della pozione diabolica preparata da
Medea ai danni di Esone: tra i più significativi, fanno comparsa un paio di
"malagurate ali di civetta" che evidentemente dovranno servire a rinfor202
zare la vista del vecchio Esone il quale, bevuto il filtro, ringiovanirà di una
quarantina d'anni. Le sue uova si rivelano ottima terapia contro numerosi
fastidi: la zuppa di uova cura l'epilessia, per rinforzare i capelli deboli l'uovo
deve essere applicato sotto forma di impacco.
Frazer riporta che, essendo la vista acuta caratteristica peculiare delle
civette, è evidente che tali animali possono trasmettere a chi li mangia la capacità
di vedere anche attraverso le più fitte nebbie. E Plinio ricorda che un uovo di
gufo somministrato a una persona ubriaca la riporta alla lucidità.
Filostrato addirittura sostiene che un solo uovo suscita completa avversione al vino. Per queste ragioni si comprende l'ostilità nutrita da Dioniso,
Dio del vino e della gioia, nei confronti delle nostre amiche. Anche Ovidio ne
era a conoscenza, visto che l'inimicizia ben traspare dalla storia di Alcitoe,
Leucippe e Arsippe. Le tre giovani e laboriose sorelle, infatti si rifiutano di
sospendere il lavoro per andare alle feste in onore di Dioniso, preferendo
piuttosto continuare la tessitura ed il ricamo; faccende queste, guarda caso,
proprio sacre ad Atena. Il dio offeso perché non gli vengono tributati i dovuti
onori, piomba come una furia sulle ragazze e le trasforma seduta stante negli
odiati animali; vale a dire gufo, civetta e barbagianni; mentre dai telai sbucano
miracolosamente grappoli d'uva.
Attraverso altre testimonianze, restando la notte intera ad occhi
spalancati, la civetta non farebbe altro che opporsi ad una categoria sociale che
la prende proprio come emblema, cioè quella dei ladri. Infatti Artimidoro nel
Onirocriticon afferma che essendo di giorno preda al torpore, sognarla di notte è
presagio di contatti con persone ladre o comunque portatrici di insidie.
Tant'è che ancora oggi in Inghilterra simboleggia l'attività del contrabbandiere. Poiché rappresenta anche la vigilanza, il vigile urbano a Bologna
viene soprannominato gufo e civetta in tutta Italia è detta l'auto della polizia che
fa la ronda, o durante la prima guerra mondiale la nave che veniva camuffata in
modo da non essere riconosciuta. Inoltre foglio-civetta è quello esposto dai
giornalai, cioè il sommario di un quotidiano o di un periodico appeso alle
edicole per attirare l'attenzione dei passanti; e notizia civetta è l'informazione
pubblicata per sondare le reazioni dell'opinione pubblica.
Questo perché la civetta, a causa dei suoi grandi occhi scintillanti e
prominenti, e a causa del suo capo che può rotare in modo tale che, con
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mossa fulminea, descrive un angolo di 270° diventa involontariamente un
grande comico che gira, volge, spinge in avanti, sposta lentamente, abbassa e
rialza la testa rannicchiandosi o raddrizzandosi allungando il cono.
Questi buffi gesti sono poi sottolineati dal gioco delle penne facciali per
cui presenta i più bizzarri tratti mimici al punto da sembrare vere e proprie
smorfie.
Si giustificano così per analogia le numerose locuzioni e derivazioni
Prima fra tutte proprio il termine "civetta" per intendere donna vanitosa
e leggera che ama attirare l'attenzione degli uomini con atti leziosi e poco
naturali al fine di farsi corteggiare. E quindi "civetteria".Un autore moderno la
paragona ad una donna simile alla dea Flora, dal portamento vivo e leggero,
dagli occhi che risplendono del seducente fuoco del desiderio, capelli che
ondeggiano a seconda degli ostinati capricci, la quale tiene in mano una sottile
reticella, tessuta di astuzie e stratagemmi, e la va agitando continuamente sopra
uno sciame di piccoli esseri, che in breve si vedono cadere ai suoi piedi,
nell'attitudine della collera, della schiavitù e della disperazione. Per estensione
civetteria significa anche insistenza per far notar aspetti caratteristici del proprio
essere o della propria attività.
Ma per civetta si intende anche un ballo greco, che si crede sia stato una
pantomima faceta. E per civettuolo, ciò che è allettante, aggraziato, ridente.
"Per gioco delle civette" gioco di ragazzi ove uno dei giocatori si pone al
centro e cerca di far cadere agli altri il berretto dal capo con una percossa. Questo gioco si fa a suon di musica e prende il nome dalla civetta perché essa
alza e abbassa la testa come appunto il giocatore che sta nel mezzo. "Fare a
civetta" vuol dire abbassare prontamente il capo, scansarsi con agilità per evitare
il colpo oppure spiare furtivamente con ansietà.
"Portare il capo a civetta" significa acconciarsi i capelli in modo vistoso,
e stravagante. Inoltre "civettare" significa letteralmente andare a caccia di uccelli
con la civetta e in senso figurato tentare di ottenere qualcosa con insidia e
inganno. E così "civettino" piccolo della civetta o anche uomo vanesio e
leggero e "civettone" grossa civetta oppure maturo dongiovanni. O ancora
"mangiare come le civette" cioè in fretta e furia senza masticare. E "tenere la
civetta per uccellare i pettirossi" detto che vuol significare guadagnare
ricorrendo ad espedienti.
Molti i riferimenti letterari riconducibili sempre a significati allegorici.
In Machiavelli: "civetta" or quell'amico, or questo, or quel parente".
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In Gozzano: "tu civettavi con sottili schemi, tu volevi piacermi,
signorina".
In Verga: "quella civetta di S. Agata! andava dicendo la Vespa con la
schiuma alla bocca, tanto ha detto e tanto ha fatto che ha mandato via dal
paese compar Alfio!".
Svevo: "avevo da fare con una fanciulla delle più semplici e fu a forza di
sognare che mi apparì quale una civetta delle più consumate".
Palazzeschi: "dì a questi signori che cosa fai delle tue giornate/digli che
sei tanto civetta/che tutto il giorno ti fai toletta".
Alvaro: "in una successione fantastica vedevo ora i particolari di questa
donna e di altre. La gelosa, la crudele, la timida, la civetta, si succedevano nelle
pose più bizzarre e più contorte". E ancora Giusti: "non date retta a certi dotti
barbagianni, a certi civettoni chiarissimi partigiani della solitudine e del
nottambulismo. Costoro, 99/100, amano il silenzio e le tenebre, perché hanno
muto il cuore e buia la testa".
Pascoli, nei Poemetti Conviviali: "Ma Gryllo avvinse con un laccio un piede
della civetta, e la facea sbalzare e svolazzare al caldo sole estivo...
Ma là, nel sole, molleggiò più goffa sul pugno a Gryllo, s'arruffò,
chiudendo aprendo gli occhi, la civetta, e i bimbi ridean più forte. Onde il
custode: "O Gryllo figlio di Gryllo, tu che sei più savio, dà retta. Sai: codesto
uccello è sacro alla Dea nostra, a cui tu canti l'inno movendo nudo coi
compagni nudi per la città. La nostra Dea sa tutto, ché gli occhi ha grigi, di
civetta, e vede con essi per l'oscurità del cielo..."
E dall'inconscie dita il filo uscì con un lieve urto a Gryllo: e il sacro
uccello della notte in alto si sollevò con muto volo d'ombra.
E i compagni del morto ed i fanciulli scosse un subito fremito, uno
strillo di sopra il tetto, Kikkabau... dall'alto, Kikkabau... di più alto, Kikkabau...
dal cielo azzurro dove ardean le stelle.
E disse alcuno, udendo il fausto grido della civetta: "Con fortuna
buona!".
Nievo: "Questa sfacciatella era la Pisana. Figuratevi! una civettuola di 12
anni non ancora matura, un'innamorata non da terra quattro spanne! " e poi
Montale: "dal verde immarcescibile della canfora, due note, un intervallo di
terza maggiore, il cucco, non la civetta, ti dissi".
Quasimodo: "Uccello raccolto/ la civetta rotea meditazione/, un'ellisse
melodica col becco/fuso e perfetto"/
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E così via, si potrebbe continuare.
Questo amico volante ha quindi mille risorse.
Dall'inconologia classica, dove fra l'altro rappresenta allegoricamente
anche l'astemio, concettualmente è di conforto, vigile, attento e infaticabile, in
positivo e in negativo, a infiniti valori con sfumature differenti al punto che il
mondo fantastico del mito e quello più duro della realtà appaiono
inestricabilmente intrecciati.
E, per concludere, alcuni versi di Baudelaire tratti dalla raccolta I fiori del
male.
"Sotto i tassi neri che li riparano, i gufi stanno allineati come tante divinità
esotiche, dardeggiano i loro occhi rossi. Meditano.
Staranno così senza muoversi fino all'ora malinconica in cui, allontanando il sole obliquo, le tenebre si stabiliranno.
Il loro atteggiamento insegna al saggio che in questo mondo egli deve
temere il tumulto e il movimento.
L'uomo, ebbro di un'ombra che passa, subisce sempre il castigo d'aver
voluto cambiare posto".
Maria Altobella Galasso
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