INSEGNAMENTO DI
STORIA MODERNA
LEZIONE III
“L’UNIFICAZIONE DEL MONDO”
PROF. DANIELE CASANOVA
Storia Moderna
Lezione III
Indice
1
Portogallo e Spagna: storie parallele ------------------------------------------------------------------ 3
2
La scoperta dell’America -------------------------------------------------------------------------------- 5
3
La via portoghese alle Indie ----------------------------------------------------------------------------- 8
4
La prima circumnavigazione della Terra ---------------------------------------------------------- 10
5
L’impero coloniale spagnolo -------------------------------------------------------------------------- 11
6
La nascita di un mercato mondiale ------------------------------------------------------------------ 14
7
Cronologia ------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 17
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1 Portogallo e Spagna: storie parallele
Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo nuove terre e nuovi popoli entrano a far
parte dell’universo mentale e materiale delle popolazioni europee. La scoperta di Colombo del
continente americano, le esplorazioni portoghesi delle coste atlantiche dell’Africa e le
spedizioni in India saranno l’inizio di un’epoca che si concluderà solo nel XIX secolo, quando
con le esplorazioni alle sorgenti del Nilo, del Congo e verso il polo artico e antartico, nessun
luogo sulle carte geografiche figurerà più con la denominazione terra incognita.
Gli europei, varcando i limiti geografici entro cui avevano operato nei millenni
precedenti, posero le premesse per attivare nuove e più intense relazioni con l’Asia e con
l’Africa e per europeizzare prima il continente americano e poi l’Oceania. I viaggi di
esplorazione che portarono alla scoperta di un nuovo continente e ampliarono le conoscenze
geografiche europee, furono possibili per la convergenza di una serie di elementi di diversa
natura: economici, militari, tecnici politici e culturali. Si pensi ad esempio ai progressi tecnici
conseguiti nella costruzione delle navi che resero possibile la realizzazione della caravella, un
imbarcazione a tre alberi messa a punto intorno al 1430, agile e maneggevole, ma allo stesso
tempo capace di affrontare le traversate atlantiche; oppure, sul versante politico ed
economico, alla formazione degli Stati assoluti, i quali erano gli unici che potevano
programmare massicci investimenti di capitale in imprese i cui risultati non erano
immediatamente remunerativi.
Le ragioni che spinsero spagnoli e portoghesi alle esplorazioni furono diverse,
innanzitutto la ricerca di una via commerciale marittima con l’Oriente per approvvigionarsi
alla fonte delle spezie e di altri prodotti e così infrangere la mediazione araba e il monopolio
veneziano, poi la forte domanda di metalli preziosi, oro e argento, e, infine, l’impulso
evangelizzatore che si era sviluppato nel corso delle crociate e della Reconquista cattolica dei
territori musulmani nella penisola iberica.
Lo smercio delle spezie in Europa costituiva una tra le maggiori fonti di ricchezza per
alcune città mediterranee ed in particolare per Venezia che aveva stabilito una sorta di
monopolio su alcuni prodotti orientali quali lo zucchero di canna, la cannella, il pepe, l’aloe,
lo zenzero, i chiodi di garofano, ecc. Strappare dalle mani dei Veneziani il monopolio delle
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spezie divenne una delle preoccupazioni centrali della politica dei paesi europei che si
affacciavano sull’Atlantico e che potevano sperare di raggiungere direttamente per mare i
paesi di produzione delle spezie. Queste ultime provenivano dall’India e dall’estremo Oriente,
caricate sulle navi dei commercianti arabi erano trasportate sino ai porti del Mar Rosso. Di lì
per mezzo di carovane, venivano trasportate a dorso di cammello fino ad Alessandria ed ai
porti della Siria, dove venivano caricate dai Veneziani, che ne curavano lo smercio in Europa.
La ricerca della diretta comunicazione con i paesi produttori delle spezie, cioè della cosiddetta
via delle Indie, soprattutto dopo la presa turca di Costantinopoli (1453), divenne uno dei
problemi principali della politica economica europea.
Un posto di assoluta preminenza per la ricerca della via delle Indie spetta al
Portogallo. Sotto la dinastia degli Aviz, navigatori portoghesi iniziarono ad avventurarsi
nell’Atlantico, non di rado avvalendosi della collaborazione di capitani di mare veneziani e
genovesi. L’idea che guidava i portoghesi nella ricerca della via delle Indie era che queste
potessero essere raggiunte rapidamente aggirando il continente africano che allora veniva
considerato assai meno esteso verso sud. Il fatto che la costa occidentale africana fosse più
lunga di quanto avessero previsto i cartografi lusitani, rese necessaria una serie di spedizioni
che impiegarono poco meno di un secolo per raggiungere l’obiettivo.
La ricerca portoghese della via delle Indie ebbe un carattere sistematico solo dopo
l’attivo interesse del terzogenito del re Giovanni I, il principe Enrico il Navigatore (13941460) che fondò a Capo S. Vincenzo, una località a sud del Portogallo, la prima scuola di
navigazione europea e fornì le risorse necessarie per avventurarsi in mare aperto. Dopo il
Capo Bojador, i portoghesi nel 1460 avevano raggiunto le isole di Capo Verde e le coste del
Gambia e della Guinea, dove prelevavano schiavi, avorio, oro, cardamomo, olio di palma e
spezie. Fu solo nel 1487 che Bartolomeo Diaz per la prima volta raggiungeva il Capo
Tormentoso, la punta meridionale dell’Asia, ribattezzato dal re portoghese,Giovanni II, Capo
di Buona Speranza.
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2 La scoperta dell’America
Mentre i portoghesi cercavano il passaggio attorno all’Africa per raggiungere le Indie,
il genovese Cristoforo Colombo (1450-1506), un tessitore emigrato in Portogallo per conto di
una casa commerciale di Genova, dopo aver navigato sulle coste della Guinea maturò un
progetto ancora più audace: compiere un viaggio per mare in direzione diametralmente
opposta a quello percorso per terra da Marco Polo. Persuaso della sfericità della Terra,
probabilmente, dalle intuizioni del geografo umanista fiorentino Paolo Toscanelli, l’ipotesi di
Colombo, sostanzialmente corretta, si basava su di una percezione della circonferenza della
Terra più piccola di quella reale, cosa evidente nel mappamondo di Martin Behaim, un
astronomo di origine tedesca emigrato in Portogallo, per cui la distanza tra Europa e Asia,
facendo rotta verso occidente, era calcolata in maniera notevolmente inferiore rispetto a quella
reale, e ciò rendeva il percorso accessibile alle caravelle.
Il progetto di ricercare una via per l’Oriente navigando ad ovest fu esposto nella prima
metà degli anni Ottanta da Colombo al sovrano portoghese che diede però parere negativo, in
quanto più interessato al proseguimento delle esplorazioni lungo la rotta africana. Dopo aver
cercato, invano, un finanziamento presso la corte ispanica, francese e inglese, il navigatore
genovese si rivolse nuovamente alla monarchia spagnola, che dopo la vittoria contro i mori di
Granada (1492), concedeva a Colombo le risorse necessarie per realizzare il progetto di
raggiungere le Indie per la via di occidente. Prima di partire, Colombo si assicurò il titolo di
ammiraglio del mare Oceano e si fece riconoscere dai sovrani spagnoli un decimo delle
imposte e un ottavo sugli eventuali utili derivati dalla scoperta. Partito il 3 agosto 1492 da
Palos, nei pressi di Cadice, con tre caravelle e 88 uomini di equipaggio, dopo oltre due mesi
di navigazione, sospinto dagli alisei, il 12 ottobre, raggiunse una terra da lui chiamata San
Salvador, una piccola isola dell’arcipelago delle Bahamas. Le isole dove sbarcò furono
chiamate Indie occidentali e alle popolazioni fu dato il nome di indiani, ma la terra toccata da
Colombo era il primo lembo di un territorio sino ad allora ignoto agli europei. Quello che più
tardi sarebbe stato chiamato America. Convinto di essere sbarcato sulle coste del Giappone, di
cui aveva parlato Marco Polo, Colombo proseguì la sua navigazione sperando di arrivare alle
coste della Cina o dell’India. Raggiunse così una vasta isola che chiamò Hispaniola (Haiti).
Da Hispaniola, dopo aver trovato modeste quantità di oro, nel 1493 fece ritorno a Palos, dove
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al suo arrivo fu accolto con onori trionfali dalla comunità mercantile e dalla stessa regina,
tanto che dopo pochi mesi era già pronto per una seconda spedizione con 17 navi.
L’impressione destata dalla prima spedizione di Colombo fu enorme. La sua
corrispondenza con i reali di Spagna, che annunciava la scoperta, fu diffusa in tutta Europa e
anche chi non sapeva leggere poteva vedere le raffigurazioni di popolazioni nude, belle e
accoglienti sulle rive delle isole verdeggianti. Iniziarono così a circolare intensamente sul
nuovo mondo scoperto da Colombo tutta una serie di storie visionarie e favolose.
La seconda spedizione di Colombo, partita da Cadice nel settembre del 1493, si
prefigurava come un tentativo di colonizzare Hispaniola, al suo seguito vi erano circa 1500
uomini, tra cui marinai, soldati, artigiani contadini e sacerdoti. L’obiettivo era dunque di
fondare una colonia, sfruttare per conto del re di Spagna le risorse agricole, minerarie e
convertire gli indigeni. Colombo sosteneva di essere il profeta mandato da Dio a riunire il
mondo sotto un’unica fede, e tale visione missionaria fu incoraggiata dai re cattolici, che si
affrettarono, al fine di evangelizzare le popolazioni americane e per legittimare sul piano
diplomatico la conquista iberica sulle nuove terre scoperte, di richiedere al papa Alessandro
VI l’emanazione della bolla Inter coetera (1493), con la quale, così come aveva fatto Niccolò
V nel 1452 per giustificare le conquiste portoghesi in Africa, si riconosceva alla Spagna il
legittimo possesso delle terre scoperte e da scoprire e si concedeva il patronato regio sulle
istituzioni ecclesiastiche da creare. A fondamento di tali concessioni, che giustificavano da un
lato la rapina e la sopraffazione e dall’altro l’eventualità di difendere con le armi i nuovi
territori dalle mire dei mercanti e dei sovrani degli altri paesi europei, stava il compito
affidato dal papa alle monarchie iberiche di convertire i pagani alla vera fede. Praticamente la
cristianizzazione e il conseguente apparato ecclesiastico, posto sotto il controllo dell’autorità
regia, furono utilizzati come lo strumento di copertura dello sfruttamento coloniale e per
giustificare la brutale sopraffazione degli indios.
Per dirimere i contrasti tra Spagna e Portogallo, sorti dopo la scoperta dell’America, si
dovette ricorrere ancora all’arbitrato della Chiesa. Alessandro VI tracciò una linea di
demarcazione tra spagnoli e portoghesi per delimitare le rispettive zone d’azione, che fu
ratificata nel Trattato di Tordesillas (1494) col quale veniva fissato un limite di 100 miglia a
ovest delle isole di Capo Verde. Le terre scoperte aldilà di questo limite sarebbero toccate agli
spagnoli, quelle aldiquà di esse ai portoghesi, ma successivamente questi ultimi ottennero di
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portare questo limite a 370 miglia. Fu così che i portoghesi iniziarono a colonizzare il Brasile,
dove nel 1549 installarono a Bahia un loro viceré.
Mentre i portoghesi aumentavano gli sforzi per raggiungere le Indie attraverso la via
aperta da Bartolomeo Diaz, altre spedizioni spagnole sempre sotto il comando di Cristoforo
Colombo furono effettuate con la speranza di raggiungere il regno del Catay, la Cina, perfino
il re d’Inghilterra, Enrico VII inviava una flotta al comando del veneziano Giovanni Caboto a
tentare di raggiungere le Indie, percorrendo una rotta più settentrionale di quella di Colombo.
Nel 1497 Caboto partito da Bristol raggiunse le coste di Terranova e anche in questo caso le
terre scoperte non offrivano né l’oro e né le spezie.
La terza spedizione di Colombo, nel 1498, approdò sulla terraferma, alla foce
dell’Orinoco, nell’attuale Venezuela,dove trovò grossi quantitativi di oro e di perle. Tuttavia
la sua cattiva amministrazione dei territori coloniali provocò gravi disordini e Colombo fu
arrestato e ricondotto in Spagna. Il perdurante favore della regina Isabella gli permise di
organizzare un quarto viaggio, che non ebbe una particolare fortuna, per cui quando morì nel
1506, Colombo era in povertà dimenticato da tutti.
Ai viaggi di Colombo, che sino alla sua morte continuò ad esplorare vanamente i
Caraibi nella speranza di trovare qualcosa che assomigliasse al favoloso Oriente, se ne
aggiunsero altri che mettevano in luce nuovi tratti della costa del nuovo continente. Nel 1500
un fortunale colse il navigatore portoghese Alvarez Cabral, mentre faceva il giro dell’Africa
per raggiungere l’India, la tempesta trascinò le sue navi verso occidente spingendole sulle
coste di una terra sconosciuta su cui cresceva il pernambuco (in portoghese pau brazil), un
albero dal legno di colore rosso brace. Fu questa contingenza del tutto fortuita che condusse
alla scoperta del Brasile, così denominato da quel colore rosso brace che caratterizzava la
vegetazione delle regioni litoranee. Intorno al 1502 un esperto navigatore fiorentino,
esplorava le coste dell’America meridionale e si convinse, al contrario di Colombo, che le
terre recentemente scoperte appartenessero non già all’Asia ma ad un nuovo continente fino
ad allora ignoto. La lettera in cui descriveva questa scoperta, tradotta in latino col titolo
Mundus Novus, si diffuse in tutt’Europa. Fu il geografo tedesco Martin Waldseemuller, che in
una carta del 1507 chiamò per la prima volta America, dal nome di Amerigo Vespucci, il
Nuovo Mondo.
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3 La via portoghese alle Indie
Pochi anni dopo il Trattato di Tordesillas, una spedizione portoghese al comando di
Vasco de Gama, partita nel 1497 da Lisbona, doppiava il Capo di Buona Speranza e
raggiungeva nella primavera del 1498 il porto indiano di Calicut sulle coste del Malabar,
regione meridionale dell’India. Questa volta quella che si apriva alla bramosia di ricchezza
dei navigatori portoghesi era la tanto ambita via delle Indie. Le navi di Vasco de Gama e degli
altri navigatori portoghesi che si affrettarono a seguirlo nella nuova rotta tornarono cariche di
spezie. Le ripercussioni di questo avvenimento si rivelarono di una tale portata da
rivoluzionare in particolar modo la geografia economica dell’Europa e del Mediterraneo. Ad
appena cinque anni dalla spedizione di Vasco de Gama, dodici navi all’anno salpavano
regolarmente da Lisbona per l’Oriente.
In Asia la presenza di una civiltà millenaria e di una forte organizzazione
commerciale, fece assumere all’espansione portoghese un carattere ben diverso da quello che
prenderà la conquista spagnola. L’obiettivo dei lusitani, forti dell’appoggio finanziario e
tecnico dei mercanti fiamminghi, italiani, olandesi e inglesi, mirava alla creazione di un
monopolio sui manufatti e sulle spezie orientali. Le flotte portoghesi riuscirono a intercettare
e annientare il commercio degli arabi che solevano trasportare le spezie in Egitto,
affondandone le navi e distruggendone gli scali indiani. In virtù della loro superiorità
tecnologica e militare, i portoghesi impiantarono lungo la rotta che andava da Lisbona alle
Indie una fitta rete di basi commerciali, presidiate militarmente, attraverso le quali riuscirono
a commercializzare le spezie e le droghe indiane, e l’oro, l’avorio, l’ebano, il grano, il pesce e
gli schiavi provenienti dalla costa occidentale africana, una vasta gamma di beni che andava
dalla seta al salnitro, dalle pietre preziose alle perle. Centro promotore delle attività
economiche dei domini divenne la Casa da India che coordinava tutta la politica marinara e
coloniale e controllava tutte le merci provenienti d’oltremare.
La concorrenza dei prodotti portoghesi, sebbene determinasse una notevole riduzione
dei prezzi delle spezie asiatiche sui mercati europei, in quanto il loro costo era quattro o
cinque volte inferiore a quello praticato da Venezia, per tutto il Cinquecento non diminuì il
tradizionale afflusso dei prodotti orientali nel Mediterraneo. Se da una parte l’espansione
portoghese costituì una grave minaccia per i traffici marittimi della Repubblica di Venezia,
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dall’altra comportò uno spostamento delle correnti commerciali dalle vie marittime a quelle
terrestri. Il controllo delle flotte lusitane dello stretto di Bab al Mandam (1509), che collega il
Mar Rosso al golfo di Aden, e dello stretto di Hormuz nel golfo Persico (1515), dirottò i
traffici commerciali verso l’antica via della seta che andava da Samarcanda ad Aleppo.
L’impossibilità dei portoghesi a intercettare questi flussi influì anche sugli sviluppi della loro
presenza in Asia. La vasta rete commerciale lusitana nell’Oceano Indiano, che si estendeva
dall’arcipelago delle Molucche in Indonesia sino alle coste meridionali dell’Africa orientale,
con al centro il porto di Goa, “la capitale portoghese d’oriente”, favorì un commercio
interasiatico che sopravanzò per importanza quello con l’Europa e fece dei lusitani i principali
intermediari negli scambi asiatici, tanto che nel giro di pochi anni, scalzarono da quel mercato
gli arabi che per lungo tempo avevano detenuto quel monopolio e riuscirono a creare un
grande emporio commerciale in Cina a Macao, da dove spinsero i loro traffici sino alle isole
del Giappone.
Fu così creato il primo impero coloniale e commerciale dell’Europa moderna,
mantenuto grazie alla superiorità militare e tecnologica, in cui il commercio si alternava con il
saccheggio e la guerra. Il primo governatore dell’India, Alfonso de Albuquerque (1509-1515),
aveva progettato, tra l’altro, di deviare il corso del fiume Nilo e distruggere così l’Egitto e il
suo commercio, di conquistare la Mecca e scambiarla con Gerusalemme.
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4 La prima circumnavigazione della Terra
Il successo dei portoghesi alimentava l’invidia degli spagnoli che non potevano
rassegnarsi a pensare che la via del Ponente aperta da Colombo non fosse di alcuna utilità per
raggiungere la bramata terra dell’Especeria, il paese favoloso delle spezie.
Nel 1513 un avventuriero spagnolo Vasco Nuňez de Balboa attraversò l’istmo di
Panama e toccò il Pacifico. A questo punto, per raggiungere le tanto desiderate terre indiane,
così come avevano fatto i portoghesi in direzione inversa sulle coste africane, si trattava di
costeggiare l’America orientale, toccarne l’estremità meridionale e attraversare l’oceano visto
dal Balboa sino ad arrivare in India. Sei anni dopo, nel 1519, un portoghese passato al
servizio della Spagna, Ferdinando Magellano, si avviò a tentare l’impresa. Partito con 5 navi
e un equipaggio di 270 uomini, tra cui l’italiano Antonio Pigafetta che terrà il diario della
spedizione e ne stenderà la storia avventurosa, dopo aver disceso la costa orientale americana
fino all’estremo sud, nel 1520 scoprì il passaggio a sud ovest che fu detto appunto Stretto di
Magellano. Tra stenti e pericoli le navi spagnole si avventurarono nelle acque di quell’oceano
sconosciuto agli occidentali che per tutto il periodo della navigazione, in direzione nord-ovest,
rimase calmo e per questo fu denominato Oceano Pacifico. Risalite le coste occidentali
dell’America meridionale, se ne distaccarono e con un estenuante navigazione durata circa sei
mesi, il 27 aprile 1521 giunse a Sebu nelle Filippine, dove Magellano insieme ad altri 40
uomini fu ucciso dagli indigeni. I portoghesi cercarono in seguito di arrestare i suoi compagni
mentre si dirigevano verso l’Europa. Soltanto 18 uomini imbarcati sull’unica nave superstite,
riuscivano nel 1522 a fare ritorno a Sanlùcar de Barrameda, tra cui il Pigafetta, autore della
celebre Relazione del primo viaggio intorno al mondo (1525), in cui narrò il suo viaggio
intorno al mondo e descrisse, per la prima volta, le terre e i popoli che le abitavano.
Era la prima circumnavigazione del globo, che diede all’Europa un’idea della vera
dimensione degli oceani. I geografi ne fecero subito tesoro come appare dalla carta disegnata
da Schoner nel 1523. Frattanto altre spedizioni, spagnole, inglesi e francesi, cominciarono a
ricercare in maniera infruttuosa un passaggio a nord ovest. Una spedizione inglese, alla
ricerca di un passaggio a nord est, nel 1553 scoprì il mar Bianco e i mercanti inglesi
adottarono la nuova rotta oceanica per la Russia.
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5 L’impero coloniale spagnolo
L’America spagnola - ma sarebbe il caso di dire l’America castigliana, visto che gli
unici a beneficiare dell’avventura coloniale furono gli abitanti di quella regione e i
possedimenti americani erano legati al Regno di Castiglia e non di Aragona - fu denominata
Regno delle Indie ed equiparata, almeno formalmente, agli altri Regni della Corona, per cui le
istituzioni di governo furono create uguali nella forma a quelle degli altri domini europei.
Tuttavia, la prima istituzione creata dai sovrani spagnoli all’inizio dell’impresa americana fu
la Casa de Contrataciòn di Siviglia nel 1503, che si occupava di organizzare il commercio e
l’invio delle navi, elargire autorizzazioni e riscuotere le tasse sulle merci. La monarchia,
impegnata in quegli anni nello scacchiere europeo e mediterraneo, poteva sentirsi appagata
dai carichi di oro e di argento che nel frattempo iniziavano ad affluire dall’America con la
Flotas de Indias e dal quinto che le era dovuto sulle merci trasportate a Siviglia, terminal dei
prodotti coloniali e sede dal 1524, oltreché de la Casa de Contrataciòn, anche del Consiglio
delle Indie, un organismo che esercitava un potere legislativo e amministrativo sui territori
americani.
Mentre i portoghesi colonizzavano il Brasile senza incontrare nessuna civiltà
complessa, gli spagnoli, conclusa la fase delle esplorazioni, attuarono sulle terre appena
scoperte una vera e propria guerra di conquista distruggendo civiltà millenarie e depredandole
delle ingenti ricchezze. Ad attrarre la cupidigia degli Spagnoli e a mostrare i meccanismi della
conquista furono le civiltà dell’America centrale e centro-meridionale. I cosiddetti
conquistadores, generalmente appartenenti alla piccola nobiltà castigliana (hidalgos) o ai ceti
popolari, artigiani e contadini, con una certa esperienza militare, si sostituirono agli
esploratori e si avventurarono nelle nuove terre con lo stesso spirito di crociata rivolto contro i
mori alla ricerca di gloria e potere. La prospettiva di arricchirsi velocemente e godersi le
ricchezze in Europa, il costante miraggio dell’oro e la consapevolezza della superiorità della
propria forza, della propria religione e della propria civiltà, furono alla base dell’avventura
coloniale ispanica. Avvezzi, come i portoghesi, alle lunghe guerre contro i musulmani, non
arretrarono davanti a nessuna atrocità contro le popolazioni indigene, chiamate indios per
effetto dell’errore di Colombo. Nel 1519 un hidalgo castigliano Hermàn Cortès, inviato dal
governatore di Cuba a esplorare il Messico, sbarcato sulla costa dello Yucatan con 1.600
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soldati, 11 navi, 16 cavalli e 16 pezzi di artiglieria, soggiogò e sterminò la civiltà azteca del
Messico e sulle rovine dell’antica capitale fondò Città del Messico. Analoga sorte, qualche
anno dopo, toccò all’impero Maya e a quello Inca, che si estendeva dall’attuale Perù sino in
Cile. Quest’ultima impresa fu organizzata in Spagna da due avventurieri Diego de Almagro e
Francisco Pizzarro, i quali nel 1533 s’impadronirono della capitale, Cuzco, e nel 1535
fondarono la città di Lima, che divenne il centro del nuovo potere spagnolo. Alla metà del
XVI secolo l’America spagnola era divisa in due grandi viceregni, del Messico (Nuova
Spagna) e del Perù (Nuova Castiglia), con 22 vescovati e con una Università ciascuno.
Il continente americano, data l’assenza di una grande potenza che potesse contrastare
l’avanzata spagnola e di un’organizzazione politica e mercantile come quella asiatica, divenne
quindi una facile preda per i conquistadores, i quali forti della concessione garantita dal papa
ai loro sovrani sulle nuove terre scoperte, vi imposero la propria lingua, la religione e il loro
modo di vivere su una popolazione disarmata, primitiva e pacifica. Attratti dalle immense
ricchezze del Nuovo Mondo, soprattutto dopo la scoperta nel 1545 dei ricchi giacimenti di
argento a Potosi in Bolivia, gli spagnoli in breve tempo assoggettarono le popolazioni
indigene e avviarono una sanguinosa quanto incontrollata conquista dei territori,
accompagnata dallo sfruttamento sistematico delle miniere di oro e d’argento. Proprio per
limitare i poteri dei conquistadores furono creati degli organismi collegiali, le Audencias, che
si occupavano dell’amministrazione giudiziaria e civile. I diritti di proprietà e di sfruttamento
delle risorse erano concessi dal sovrano a titolo di affidamento provvisorio oppure quale
compenso per i servigi resi alla Corona. Nacque così l’istituto dell’Encomienda (1503), una
forma di rapporto di tipo feudale regolata da leggi severe che prevedeva, tra l’altro,
l’asservimento degl’indios.
Il trattamento disumano cui erano sottoposti gli indios, ben presto suscitò reazioni di
sdegno in Europa e tra gli stessi Spagnoli. A loro difesa si pose il padre domenicano
Bartolomeo de Las Casas (1474-1566), detto “l’Apostolo delle Indie”, un ex conquistadores,
figlio di un compagno di viaggio di Colombo, convertitosi nel 1512. Las Casas, sebbene cercò
di far assimilare il cristianesimo e la cultura europea alle popolazioni americane, dedicò il
resto della sua vita a denunciare lo sfruttamento e le atrocità commesse dagli spagnoli ai
danni degli indios e ne difese i diritti contro il loro asservimento ai coloni iberici. I suoi scritti,
soprattutto la Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie (1552) se da una parte
segnarono in negativo la conquista, tanto da contribuire alla diffusione in tutta Europa della
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“leggenda nera” sulla dominazione spagnola, dall’altra contribuirono a influenzare le
ordinanze sulle Indie emanate da Filippo II nel 1573, che prescrivevano di trattare gli indiani
con umanità e di usare la persuasione al posto della violenza.
Al momento della conquista gli abitanti del Messico erano circa 30 milioni, nel 1568 il
loro numero si era ridotto a meno di 3 milioni e nel 1608 a poco più di un milione. Le cause di
quello che possiamo considerare un vero e proprio genocidio si possono individuare non solo
sui ritmi di vita e di lavoro imposto dai colonizzatori, sullo sfruttamento delle popolazioni
locali, ma soprattutto dall’incontro tra indios ed europei. Alla potenza distruttrice delle armi,
infatti, si aggiunse quella molto più pericolosa delle malattie, in quanto gli indigeni non
avevano nessuna difesa immunitaria contro i nuovi agenti patogeni portati dagli europei,
come il morbillo, il vaiolo e perfino l’influenza. Infine, un’ulteriore causa che determinò il
massacro degli indios fu la cosiddetta “paralisi culturale” che colpì gli amerindi. Di fronte alle
sventure di cui erano vittime e viste le differenze con gli spagnoli, ritennero questi ultimi
degli esseri divini e non umani, e a migliaia si lasciarono morire.
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Lezione III
6 La nascita di un mercato mondiale
Dopo la scoperta dei ricchissimi giacimenti di argento del Potosì, nell’attuale Bolivia,
e la contemporanea creazione di nuove e più progredite tecniche estrattive, la produzione
americana di oro e argento fece un balzo subitaneo e portentoso anche per l’impiego come
minatori di indios e di nuovi schiavi provenienti dall’Africa. Dopo la metà del secolo si
calcola che ogni anno furono inviate in Spagna dall’America circa 250.000 quintali d’argento
e 5.000 d’oro. Le ricchezze del Potosì e delle altre miniere americane finanziarono i progetti
espansionistici dei sovrani spagnoli sino alla pace di Westfalia (1648).
L’apertura delle rotte oceaniche comportò la nascita di un mercato mondiale, da cui
l’Europa trasse nuova energia per organizzare le più aggressive forme di capitalismo.
Nel quadro degli scambi internazionali non si ebbero a registrare soltanto radicali
trasformazioni nei circuiti commerciali, ma anche importanti novità nelle colture di vari
continenti. Si verificò infatti una vasta acculturazione fra l’uno e l’altro, agevolata dal fatto
che i traffici europei si situavano a cavallo di zone molto diverse. Tra gli animali di notevole
utilità economica si diffuse soltanto il tacchino che si estese rapidamente in Spagna, mentre
nel Nuovo Mondo furono portati i bovini, i cavalli e i maiali. Dalle terre americane furono
importate il mais, le patate dolci, i pomodori, i fagiolini, la cassava o manioca, una pianta
arbustiva con cui si ricavano farine e fecole ad alto potere calorico. Ad esempio il mais,
portato da Colombo, nel Seicento veniva coltivato nelle regioni montane e umide della
Spagna e del Portogallo settentrionale. Sostituendovi la segale e il miglio, esso modificò
profondamente le diete contadine, come avvenne poi anche nel Veneto a partire dagli ultimi
decenni del secolo. Il mais raggiunse presto anche il mondo ottomano e dei coltivatori
portoghesi lo fecero crescere a Zanzibar sin dal 1634. Pure la patata dolce fu introdotta in
Spagna da Colombo. Di uso assai comune in Italia e in Spagna già prima della fine del
Cinquecento, il suo uso massiccio in Europa fu impiegato dagli irlandesi, diventando il
principale alimento delle classi povere. Attraverso la Spagna e il Portogallo penetrò in Europa
anche il tabacco, un prodotto che si differenziò dagli altri per il fatto che suscitò da un lato
una vera e propria moda e dall’altro una viva reazione. Esso ebbe una grande fortuna nel
mondo ottomano ed in Persia. Nel 1674 in Francia la sua coltivazione e la vendita divennero
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monopolio di Stato, anche se in seguito fu appaltato. Il cioccolato, come bevanda pregiata si
diffuse all’inizio del Seicento in Spagna e da lì passò in Italia e al resto d’Europa.
Dall’Europa agli altri continenti venne trapiantato lo zucchero che finì poi col
prosperarvi tanto da mettere in crisi la produzione originaria. Nel Quattrocento i portoghesi lo
avevano acclimatato dalla Sicilia a Madera e gli spagnoli nelle Canarie: di là Colombo portò
la canna a Hispaniola. Venezia era stata fra Quattro e Cinquecento il principale centro di
raffinazione, successivamente lo era divenuto Anversa e nel Seicento Amsterdam, dove
veniva lavorato la maggior parte dello zucchero delle colonie inglesi e francesi dei Caraibi.
Originario dell’Etiopia come prodotto, il caffè come bevanda fu soprattutto un’invenzione
araba, già diffusa in Medio oriente ai primi del secolo XVI, il suo consumo attecchì
nell’impero ottomano. Furono i francesi ad acclimatarlo in Martinica.
Infine tra le conseguenze delle scoperte geografiche sulla società europea vi figura la
nascita di un dibattito culturale che ebbe notevoli conseguenze per la storia e la coscienza
europea. La cultura occidentale si misurò per la prima volta con l’alterità, e in alcuni ambienti
iniziò una seria riflessione che non riguardava solo il mito del “buon selvaggio” e della
necessità o meno di sfruttarlo, ma avviò una seria riflessione contro il dogmatismo della
civiltà occidentale.
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7 Cronologia
1487 Bartolomeo Diaz doppia il Capo di Buona Speranza.
1492 Crisotoforo Colombo attraversa l’Atlantico in cerca delle Indie e raggiunge
l’isola di San Salvador nell’arcipelago delle Bahamas.
1494 Trattato di Tordesillas, portoghesi e spagnoli trovano un accordo per la
spartizione del mondo. Colombo esplora Cuba convinto che si tratti della Cina meridionale.
1497 Giovanni Caboto raggiunge le coste del Labrador e la baia di Hudson.
1498 Vasco de Gama raggiunge il porto di Calicut in India. Terzo viaggio di Colombo.
1500 Alvarez Cabral raggiunge le coste del Brasile.
1501 Colombo parte per il suo ultimo viaggio in America.
1502 Amerigo Vespucci esplora le coste dell’America meridionale.
1503 La Casa de Contrataciòn di Siviglia assume il monopolio del commercio con il
nuovo mondo.
1507 Il geografo tedesco Martin Waldseemuller attribuisce il nome di America al
nuovo continente (dal nome di Amerigo Vespucci).
1513 Nunez di Balboa scopre l’Oceano Pacifico.
1519-22 Viaggio di Ferdinando Magellano e prima circumnavigazione della Terra.
Hernan Cortés inizia la conquista dell’impero azteco nel Messico centrale.
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Bibliografia
P. Chaunu, La conquista e l’esplorazione di nuovi mondi (XVI secolo), Mursia,
Milano, 1977.
G. Abbattista, L’espansione europea in Asia, secc. 15-18, Carrocci, Roma,
2002.
T. Todorov, La conquista dell’America: il problema dell’altro, Einaudi,
Torino, 1984.
N. Wachtel, La visione dei vinti: gli indios del Perù di fronte alla conquista
spagnola, Einaudi, Torino, 1977.
J. H. Elliott, Il vecchio e il nuovo mondo, Il Saggiatore, Milano, 1985.
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