Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sez

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Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sez. III quater, 7 febbraio 2008, Sent. n.
1088/2008
La normativa di settore che disciplina gli orari delle farmacie non è incompatibile con la c.d.
“liberalizzazione” della vendita presso gli esercizi commerciali di alcuni prodotti farmaceutici.
(Omissis)
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato il 12 febbraio 2007 e depositato il 19 successivo il dott. XXX titolare di farmacia
in Milano, ha impugnato gli atti indicati in epigrafe relativi agli orari di apertura delle farmacie, i quali
escludono che il decreto legge 223/06 convertito con modificazioni dalla legge 248/2006, nel
liberalizzare la vendita dei farmaci da banco e di automedicazione e di tutti i farmaci non soggetti a
prescrizione medica, abbia apportato modifiche agli orari di apertura e chiusura delle farmacie.
Premessa l’illustrazione delle diverse normative che regolano gli orari di apertura e chiusura degli
esercizi commerciali e delle farmacie, ed evidenziato come abbia comunicato al Comune di Milano, alla
ASL competente ed all’Ordine dei farmacisti la sua volontà di seguire l’orario degli esercizi commerciali
ex D.Lgs. n. 114/98 per la vendita dei prodotti farmaceutici “liberalizzati” ricevendo dall’Ordine dei
farmacisti invito ad attendere il parere del Ministero sull’argomento, parere poi giunto e recipito
dall’Ordine, qui impugnato, il ricorrente deduce:
1)
violazione degli artt.1 e 5 del D.L. n. 223/2006 come convertiti dalla legge n. 248/2006;
violazione degli artt. 11, 12 e 13 del D.lgs. n. 114/98 e della legge regionale Lombardia n. 21/2000;
violazione dei principi di legalità e tassatività e del principio di riserva di legge; eccesso di potere per
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, per illogicità ed irragionevolezza; violazione degli artt.
3 e 41 della Costituzione; eccesso di potere per disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta:
considerato che i prodotti farmaceutici da banco e di automedicazione e quelli non soggetti a
prescrizione medica possono ora essere venduti anche negli esercizi commerciali al dettaglio della
piccola, media e grande distribuzione e secondo gli orari di apertura e chiusura previsti per detti esercizi,
deve dedursi che per detti prodotti anche le farmacie possano rispettare gli orari degli esercizi
commerciali per una leale e pari concorrenza tra punti vendita tradizionali e quelli consentiti con la
nuova normativa; devono ritenersi abrogate eventuali normative incompatibili;
2)
violazione degli artt. 1 e 5 del D.L. n.223/2006 come convertito in l.n. 248/2006; degli artt. 11,
12 e 13 del D.lgs. n. 114/98; della legge regionale Lombardia n. 21/2000, sotto altro profilo:
contrariamente all’assunto del Ministero, la nuova normativa contiene disposizioni che riguardano
anche le farmacie, ed incide sull’orario di vendita delle stesse; indicazioni in tal senso si rinvengono
dagli atti parlamentari che evidenziano l’intendimento di eliminare i vincoli alla libertà d’iniziativa
economica privata; l’Autorità Garante per la concorrenza ed il Mercato, con nota del 1.2.2007 ha
invitato le regioni alla liberalizzazione degli orari delle farmacie tradizionali;
3)
eccesso di potere per perplessità; violazione dell’art. 5 cit e degli artt. 11, 12 13 e 22 del D.legs n.
114/98, dell’art. 10 della legge regionale Lombardia n. 21/2000; incompetenza assoluta: anche le note
dell’Ordine dei farmacisti e della Federazione dei farmacisti intimati sono illegittime per il recepimento
acritico delle posizioni ministeriali e devono essere annullate ove intese come atto interdittivo delle
iniziative del ricorrente; l’Ordine dei farmacisti è incompetente ad adottare tali atti.
Con motivi aggiunti notificati il giorno 11 aprile 2007 e depositati il 17 successivo è stata impugnata
anche la circolare ministeriale del 27 ottobre 2006, che il ricorrente assume conosciuta solo il 14 marzo
2007, sollevando l’ulteriore motivo di gravame di violazione del principio di trasparenza e buona
andamento nel comportamento dell’Ordine che non ha messo a conoscenza del ricorrente detta
circolare, già da tempo ad esso Ordine nota; ed ha quindi ribadito i motivi di censura dell’atto
introduttivo.
L’Ordine dei farmacisti delle province di Milano e Lodi e la Federazione degli Ordini dei farmacisti
italiani, costituitisi unitamente, hanno preliminarmente eccepito la tardività dell’impugnativa e
l’inammissibilità della stessa per la natura non provvedimentale degli atti impugnati, e quindi
l’infondatezza del ricorso, ribadendo la prevalenza della funzione pubblica delle farmacie, che sono
concessionarie di pubblico servizio, rispetto agli interessi privati commerciali; hanno evidenziato la
differenza sostanziale tra vendita di farmaci, anche non soggetti a prescrizione medica, ed altri prodotti
commerciali, che giustifica la diversità di regime giuridico degli orari e delle vendite; hanno sostenuto
che la legge n. 248/2006 ha fatto salva la disciplina di settore relativa alle farmacie.
Costituitesi le Amministrazioni statali intimate, hanno pure sostenuto l’inammissibilità del ricorso
avverso gli atti ministeriali impugnati, in quanto non aventi natura provvedimentale, oltre che per
tardività; ne hanno poi sostenuto l’infondatezza in quanto il decreto legge n.223/2006 si rivolge
chiaramente agli esercizi commerciali che possono vendere i prodotti farmaceutici liberalizzati durante
l’orario di apertura dell’esercizio commerciale; gli orari delle farmacie rispondono a diverse esigenze, di
natura pubblicistica, e non sono influenzati dal c.d. “decreto Bersani”.
Con memorie e note d’udienza il ricorrente ha ribadito le proprie tesi, sollevando formalmente
questione di costituzionalità dell’art. 5 commi 1 e 2 del D.L. n. 223/2006 convertito in legge n.
248/2006, per violazione degli artt. 3, 32, 41 e 97 Cost., nella ipotesi in cui detta normativa dovesse
essere interpretata nel senso indicato nelle circolari ministeriali impugnate: per ingiustificata disparità di
trattamento, lesione al diritto alla salute ed alla libertà d’iniziativa economica.
Anche l’Ordine dei farmacisti e la federazione dei farmacisti intimati hanno replicato con memoria alle
argomentazioni di parte ricorrente, insistendo per il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 19 dicembre 2007 la causa è stata spedita in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe un titolare di farmacia impugna atti ministeriali, dell’Ordine dei farmacisti e
della Federazione dei farmacisti riguardanti l’orario di vendita presso le farmacie dei farmaci da banco o
di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, la vendita dei quali
è stata consentita, con D.L. 223/2006 convertito in L. n. 248/2006, anche presso esercizi commerciali
al dettaglio della piccola, media e grande distribuzione.
1-Ad avviso del Collegio il ricorso è inammissibile per carenza di un interesse concreto ed attuale, non
rivestendo gli atti impugnati natura provvedimentale e non provocando quindi una lesione diretta ed
attuale alla posizione giuridica del ricorrente.
Infatti risultano impugnati i seguenti atti: 1) nota del ministero della Salute 7.12.2006 (doc. n. 1 del
ricorso); 2) nota 13.12.2006 della Federazione dei farmacisti italiani (doc. 2); 3) nota 2.11.2006
dell’Ordine dei farmacisti delle province di Milano e Lodi (doc. n. 3); 4) circolare della Federazione n.
6884 del 31.10.2006 (doc. n. 4); 5) nota del 13.10.2006 dell’Ordine dei farmacisti (doc. n. 5); 6) con i
motivi aggiunti: nota del Ministero della Salute 27.10.2006 (doc. 11).
Orbene, trattasi in tutti i casi di note o circolari interpretative del D.L. 223/2006, ovvero di lettere di
trasmissione
o di comunicazione di dette interpretazioni che non hanno alcuna natura
provvedimentale, ma di mera interpretazione della legge; solo l’atto di cui al punto 5) riguarda la sfera
giuridica del ricorrente, ma consiste in un semplice invito ad attendere l’interpretazione ministeriale
prima di adottare nuovi orari di apertura e chiusura della farmacia.
Nella fattispecie, come lo stesso ricorrente assume, trova infatti applicazione, nell’ambito del riparto
delle competenze normative tra Stato e Regioni, la legge regionale Lombardia del 3 aprile 2000 n. 21
(“Riordino della normativa sugli orari di apertura e sui turni di servizio delle farmacie della Regione
Lombardia e delega alle aziende sanitarie locali delle competenze amministrative in materia di
commercio all’ingrosso di medicinali ad uso umano”); in base all’art. 2 c. 1 di detta legge “Tutti i
provvedimenti riguardanti la disciplina in materia di apertura e chiusura delle farmacie, di cui alla
presente legge, sono adottati dal direttore generale di ciascuna Azienda sanitaria locale”.
E’ quindi il direttore generale della ASL competente che si assume la responsabilità di interpretare la
normativa di settore, avvalendosi ove lo ritenga anche di interpretazioni fornite da altri Organi, e di
adottare i provvedimenti amministrativi concreti che incidono sulla sfera giuridica dei farmacisti, per
quanto attiene agli orari di apertura e chiusura degli esercizi.
Nel caso in esame un tale provvedimento negativo non risulta adottato né quindi impugnato.
La funzione del Giudice, come noto, non è quella di fornire interpretazioni astratte della legge ma di
intervenire su casi concreti e specifici che producono una diretta lesione al ricorrente; cosa che nella
fattispecie non si è verificata.
2-In ogni caso il ricorso appare anche infondato.
Si assume in buona sostanza che, in base agli artt. 1 e 5 del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito in legge
4 agosto 2006 n. 248, la disciplina degli orari di vendita presso le farmacie dei prodotti farmaceutici c.d.
“liberalizzati”, e cioè farmaci da banco o di automedicazione e farmaci o prodotti non soggetti alla
prescrizione medica, sia mutata e debba essere conforme a quella degli esercizi commerciali presso i
quali è ora possibile vendere detti prodotti farmaceutici, applicando quindi la normativa di cui al
decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114.
Ad avviso del Collegio tale tesi è errata in quanto né in tali norme, né in altre del citato decreto legge, si
rintracciano disposizioni concernenti l’orario di apertura e chiusura delle farmacie.
Il ricorrente assume che il primo comma dell’art. 5 termina con l’espressione “ E’ abrogata ogni norma
incompatibile”.
Ma, a prescindere dal fatto che il primo comma introduce la novità della vendita di tali prodotti
farmaceutici negli esercizi commerciali, mentre è il secondo comma che disciplina l’orario di apertura
dell’esercizio commerciale, è evidente come la normativa di settore che disciplina gli orari delle farmacie
non è incompatibile con la c.d. “liberalizzazione” della vendita presso gli esercizi commerciali di alcuni
prodotti farmaceutici: si tratta all’evidenza di due questioni completamente diverse.
E’ d’altra parte logico e conseguente che la vendita di detti prodotti seguirà l’orario che normalmente
viene seguito dall’esercizio commerciale (ovvero dalla farmacia).
Il ricorrente assume poi che, se letta in questo modo, la normativa del d.l. 223/2006 sarebbe
incostituzionale per disparità di trattamento, violazione del diritto alla salute e del diritto alla libera
iniziativa imprenditoriale.
Ma, a prescindere dall’irrilevanza nella fattispecie della questione, ritenendo il Collegio che il ricorso sia
inammissibile, le censure d’incostituzionalità non appaiono condivisibili.
La disparità di trattamento non sussiste in quanto le situazioni giuridiche dei soggetti posti in raffronto
non sono equiparabili.
Come noto infatti la disciplina di vendita dei farmaci e la regolamentazione delle farmacie rispondono a
criteri prevalentemente pubblicistici, considerata la rilevanza che l’ordinamento attribuisce alla vendita
di tali prodotti per la salute pubblica; su un diverso piano ordinamentale è posta la disciplina del
commercio in generale, che si svolge in base a principi di più ampia libertà, seppure nell’ambito di leggi
“cornice”, funzionali ad un controllo esterno.
Ed infatti diverse sono le norme costituzionali di riferimento: l’art. 32 attribuisce alla Repubblica la
funzione di tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività,
attribuendo allo Stato ed all’ordinamento pubblicistico una funzione attiva e penetrante; l’art. 41 detta i
principi che costituiscono il limite “esterno” alla libertà dell’iniziativa economica.
Pertanto, anche ove alcune fattispecie possano avere elementi di contiguità, è chiaro che
l’interpretazione delle norme deve sempre richiamarsi ai principi, e la funzione prevalente e tipica
assorbe legittimamente la disciplina del caso di specie, ove non vi siano chiare ed esplicite norme di
deroga; norme che peraltro rientrano nella discrezionalità del Legislatore ove non contrastino, per la
specificità del caso, con i principi costituzionali e con gli interessi da questi tutelati.
Considerata la novità della questione, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sez. III quater,
respinge il ricorso in epigrafe in quanto inammissibile ed infondato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione terza quater – nelle
camere di consiglio del 19 dicembre 2007 e del 30 gennaio 2008.
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