racconto di Eugenio Enria II A LM

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Eugenio Enria
BARTOLOMEO
UN EROE SCONOSCIUTO
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AristotelEdizioni
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3
Indice
Prologo
pagina 4
Capitolo Primo
pagina 5
Capitolo Secondo
pagina 6
Capitolo Terzo
pagina 8
Capitolo Quarto
pagina 10
Capitolo Quinto
pagina 12
Capitolo Sesto
pagina 14
Capitolo Settimo
pagina 16
Capitolo Ottavo
pagina 18
Epilogo
pagina 19
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Prologo
La guerra di Troia fu una delle più rinomate, sanguinose, ma soprattutto famose
battaglie della storia.
Tutti conoscono le vicende di Ettore domatore di cavalli e di Achille piè veloce. Tutti
sanno anche dell'astuto Ulisse, del re Priamo e di Paride, suo figlio, istigatore della
guerra.
Ma solo a pochi è giunta all'orecchio la storia di Bartolomeo, un ragazzo impetuoso,
testardo, orgoglioso, ma sopra ad ogni cosa di buon cuore.
In questo libro saranno narrate le sue gesta memorabili e il suo pericoloso viaggio alla
ricerca della conoscenza di se stesso….
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Capitolo Primo
Bartolomeo non riusciva a vedere le persone soffrire e tanto meno le persone a lui più
care.
Crebbe forte e robusto abituato ai lavori più pesanti e faticosi. All'età di soli 12 anni
rimase orfano con due sorelle più piccole e una casa da tenere in piedi. Si può dire che
Bartolomeo imparò l'arte dell'arrangiarsi meglio di chiunque al mondo.
Durante il giorno andava a lavorare alla grande città di Atene come schiavo, ma per
fortuna sua era impiegato da un uomo con grande interesse per la cultura e le arti, il
che gli garantiva uno stipendio adeguato ed una bassa dose di frustate. Il padrone di
Bartolomeo si chiamava Aristotele, anche lui in giovane età, mostrava già grandi
interessi per la Filosofia. Si può dire che Bartolomeo sia stato fortunato ad avere il
futuro grande filosofo come padrone, ma secondo alcuni era stato Destino, il Dio che
sta al di sopra di Tutto, persino degli altri Dei.
Bartolomeo passò così gli anni della sua giovane età, lavorando per Aristotele e
ascoltando i suoi grandi pensieri, ma per lui non era abbastanza... infatti il grande sogno
di Bartolomeo era quello di andare in guerra ed essere ricoperto di gloria dopo ogni
battaglia vinta; voleva diventare generale del grande esercito greco e della sua
imponente flotta, voleva oltrepassare i confini del Mondo, arrivare alle popolazioni più
lontane per dare loro una cultura. Voleva essere ricordato.
Però c'erano delle complicazioni: all'età di 18 anni Bartolomeo non aveva ancora
toccato un'arma, ma non ne fece un dramma; lui diceva che la più grande arma era la
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parola, che, se usata con intelligenza ed attenzione, poteva sciogliere i cuori più duri.
Un giorno, mentre lavorava, Aristotele gli disse:”Nei tuoi occhi si vede che il tuo destino
non è qui, giovane Bartolomeo, ma tra i grandi eroi e quindi ti lascio la decisione di
andartene o di restare, ma sappi che hai un grande cuore ed un'intelligenza elevata:
fanne buon uso.”
Bartolomeo finì la giornata lavorativa e poi se ne tornò nella sua umile casa dalle sue
sorelle. Le due sorelle di Bartolomeo si occupavano delle faccende domestiche e
preparavano il cibo da quando la madre ed il padre erano stati uccisi da una banda di
briganti. Il giovane annunciò alle sorelle la sua scelta:” Sorelle mie, siete state la
migliore compagnia che si possa desiderare in questi lunghi anni, ma per me è venuto il
momento di prendere la mia strada. Ormai siete in età adulta e ve la saprete cavare. Vi
lascio tutti i miei averi e mi dispiace davvero di dovermene andare, ma non è più qui il
mio posto. Addio dunque, ma vi prometto che sarò sempre con voi.”
Le due sorelle lo pregarono di rimanere, ma Bartolomeo non sentì ragioni e la notte
stessa partì.
Capitolo Secondo
Camminò ininterrottamente fino al mattino, quando si fermò in una locanda nei pressi
della cittadina di Argos. Dormì un giorno e una notte e la mattina seguente uscì dalla
locanda pagando l'oste e ringraziando. Camminò ancora per alcuni giorni fino ad
arrivare alla grande e maestosa città di Sparta dove, per caso, passò nell’agorà, nella
quale l'oligarchia spartana stava decidendo le sorti di un poveretto, forse un ladruncolo
da strapazzo, a sentire dalle voci.
Fatto sta che Bartolomeo, per aiutare qualsiasi persona in difficoltà, era disposto a
mettere a rischio la sua vita… ma quella volta esagerò. Gli uomini dell'oligarchia
decisero infatti di uccidere il malcapitato ladruncolo. Lo legarono ad un palo e il boia
stava per lanciare la prima freccia, quando Bartolomeo urlò nel silenzio totale:”Fermi
tutti!” Poi andò avanti gonfiando il petto e cercando di assumere un'aria solenne.
Tutti lo fissarono con occhi sbalorditi, ma il ragazzo non si fece intimorire e continuò ad
avanzare. Dopo aver percorso circa 100 metri tra la folla che si apriva al suo passaggio,
si fermò al centro dell'agorà.
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Iniziò il discorso:”Ebbene miei cari fratelli spartani, giungo da Atene per annunciarvi che
in questo giorno, da oggi sacro al grande Zeus, tutte le condanne a morte verranno
sospese, perciò lasciate libero quell'uomo e io stesso lo porterò ad Atene domani, per
fargli ricevere la punizione che deve ricevere. Ora vi dico di rallegrarvi, cari fratelli, e
festeggiate se non desiderate che l'incandescente folgore di Zeus cada su di voi.”
Bartolomeo andò a prendere il giustiziato e imboccò la strada verso Atene
accompagnato da un corteo di applausi.
Quando lui e il povero ladruncolo furono abbastanza lontani dalla città e dalla bolgia,
Bartolomeo lo liberò. Il prigioniero lo fissò. Non aveva un viso incredulo, lo fissava con
un volto senza emozioni, un'espressione impassibile. Bartolomeo ricambiava con
un'aria che stava a significare: “ma manco mi ringrazi?”
Quel gioco di sguardi durò un po', fino a quando il giovane ateniese si stufò.
“Come ti chiami?” Chiese al ladruncolo. Quello non rispose, ma continuò a fissarlo con
la medesima espressione che aveva anche acquistato un goccio di menefreghismo.
Allora lì le cose si misero male: infatti Bartolomeo era sì di buon cuore, ma non
sopportava il fatto di aver appena salvato una persona da morte certa e non essere
neppure ringraziato. Solo dopo qualche secondo capì: il giustiziato era convinto che
Bartolomeo fosse una specie di giudice ateniese e per questo il ragazzo invitò il ladro a
sedersi sotto un albero (ovviamente il giustiziato non disse una parola) e gli spiegò la
sua storia. Dopo quella spiegazione così precisa ed accurata, l'uomo salvato non
mosse un muscolo e l'espressione verso Bartolomeo rimase immutata. Questo per
l'ateniese fu troppo. Iniziò a gridare e ad imprecare nel nome di tutti gli Dei e volgeva
insulti al ladruncolo, ma quest'ultimo non fece una piega.
Bartolomeo si fermò e lo fisso con occhi neri di furore ma l'uomo... fermo come una
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roccia. Dopo circa un minuto di quello sguardo infuocato dell'ateniese e della reazione
impassibile dell'altro, quest'ultimo aprì lentamente la bocca. Quello che Bartolomeo vide
fu per lui scioccante. Il ladruncolo non aveva la lingua. Probabilmente gli era stata
tagliata dagli oligarchi, perché aveva detto qualche eresia contro il governo o contro gli
Dei. Ora a Bartolomeo tornarono i conti. L'uomo non poteva proferire neanche una
parola, poteva solo emettere dei suoni senza senso. L'ateniese decise così di chiamarlo
Vocale, perché “A”, “E”, “O”, “I”, “U” erano gli unici suoni che riusciva a produrre.
All'uomo il nome piacque (lo manifestò con un sorriso).
Capitolo Terzo
Bartolomeo lo guardò: Vocale era discretamente alto e robusto, dei lunghi capelli neri gli
cadevano incolti sulla schiena, aveva gli occhi scuri e profondi come l'Ade. Fisicamente
assomigliava a Bartolomeo, tranne che per i capelli corti e castani dell'ateniese e per gli
occhi, che mutavano a seconda del tempo dal grigio all'azzurro al verde. I due si
incamminarono assieme verso est con l'intenzione di andare a conoscere i popoli
barbari dell'Asia. Si narrava che quelle popolazioni fossero sanguinarie e senza rispetto
della vita umana, ma, per la maggior parte delle volte, chi partiva verso l'Asia non ne
faceva ritorno. Alcuni narravano che là gli uomini trovavano belle donne, altri che
venivano trucidati dalle tribù barbare e altri ancora dicevano che morivano durante
l'insidioso viaggio.
Bartolomeo era a conoscenza di queste voci, ma non ci diede troppo peso. Partirono
intorno alle tre di pomeriggio con il sole alto nel cielo. L’ateniese si stupì della forza
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fisica del suo nuovo amico, che, non pativa affatto il caldo ed il sole, nonostante fosse
vestito solo di un panno attorno alla vita, mentre lui faticava ad andare avanti.
Camminarono a lungo, quando Bartolomeo propose a Vocale di fermarsi nei pressi
della città di Olympia. L'amico fece cenno di andare avanti. Nonostante l'ateniese fosse
sfinito accettò la proposta di Vocale e continuarono il loro cammino tutta la notte. Era la
Luna ad illuminare i loro passi. Durante il viaggio Bartolomeo si chiese il perché avesse
accettato di proseguire il percorso senza soste, ma c'era qualcosa in Vocale che lo
rassicurava, come se avesse già attraversato tutte le strade esistenti, come se fosse
arrivato dove nessuno aveva mai osato posare il proprio pensiero. Questa era la
sensazione che emanava Vocale... una sicurezza indescrivibile.
Il sole iniziava a fare capolino dietro i monti del Peloponneso e il caldo aumentava.
Nonostante ciò i due camminarono fino alle undici di mattina. A quel punto Vocale si
fermò di colpo e fece segno a Bartolomeo di un albero. L'ateniese e il muto si
fermarono tutto il giorno sotto quell'albero spostandosi attorno ad esso per cercare
l'ombra ogni volta che il sole cambiava posizione. Poltrirono beati e iniziarono a
prepararsi per la partenza non prima delle otto di sera.
Mentre, durante il giorno, si sentivano i più svariati rumori, al calar del sole, quando già i
due erano in marcia, un silenzio tombale cadeva nella piccola vallata: non più un
uccellino che cinguettava, non più i rumori dello strusciare delle foglie degli alberi...
insomma, niente, niente più si muoveva o parlava, tutto immobile. Silenzio. Perfino i
nostri due viaggiatori camminavano per le larghe mulattiere senza emettere suoni.
Quella notte Bartolomeo si sentì come non si sentiva da tempo, una sensazione gli
saliva su dalla pancia poi fino in gola e gli dava sollievo. Bartolomeo chiese a Vocale di
fermarsi un attimo e pregò il dio Ermes, protettore dei viaggiatori, per il clemente viaggio
trascorso fino a quel momento. Finita la preghiera ripartirono e continuarono il loro
viaggio verso l'Asia.
Il sole iniziò a sorgere nuovamente e il cielo era di un azzurro molto intenso, non si
vedeva nemmeno una nuvola e sembrava fosse una giornata più calda delle altre. Solo
allora Bartolomeo capì il motivo per il quale Vocale volesse viaggiare di notte: per
evitare l'afa del giorno. Quella volta si fermarono in una città di nome Delfi,
attraversando un tratto di mare, dove ristorarono in una locanda molto modesta. Dopo
aver sia mangiato che riposato sorse un problema concreto: nessuno dei due aveva
denaro con sé.
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Bartolomeo provò a contrattare con il locandiere, ma quest'ultimo non ascoltò ragioni. Ai
due non restò altro che offrire un giorno di lavoro nella locanda per ripagare il debito.
Quel burbero oste fece fare loro di tutto: dar da mangiare agli animali, lavare i tavoli e
perfino riparare un buco nel soffitto. Avevano ripagato il debito, ma avevano perso una
notte di marcia e un giorno di riposo. Quella notte, nonostante entrambi fossero molto
stanchi, partirono comunque ma procedendo a passo più lento. Avrebbero dovuto
passare un colle, ma per la stanchezza si fermarono prima. Si addormentarono come
dei sassi e dormirono fino alle quattro del pomeriggio del giorno dopo.
Capitolo Quarto
Bartolomeo si svegliò di colpo. Vocale era sparito. L'ateniese, ancora addormentato,
non capì al volo la situazione e rimase ancora sdraiato, senza troppa coscienza. Ad un
tratto la sua mente tornò lucida e si svegliò di scatto. Nessuna traccia di Vocale da
nessuna parte.
Subito Bartolomeo temette il peggio, ma ciò che pensava era assai lontano dalla realtà.
Infatti Vocale non era morto, ma poteva capitargli molto di peggio se Bartolomeo non
trovava una soluzione rapida ed astuta. Camminò per miglia senza più Vocale davanti a
lui: sperduto in quelle aride lande, con la fissa idea in testa della morte del suoi amico. Il
sole cocente, la sete ed il caldo stavano facendo barcollare il giovane che, ad un certo
punto, non si resse più sulle gambe e cadde nella polvere. Dato che il sentiero era in
discesa ruzzolò per qualche metro finché non andò a sbattere contro un recipiente.
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Con il grande aiuto degli dei, Bartolomeo trovò la forza di alzarsi, ma appena ci provò
ricadde su se stesso. La sua testa pulsava e nella ricaduta si tagliò una gamba con una
pietra. Si girò e si trovò quel recipiente contro il quale era andato a sbattere. Con la
forza della curiosità lo prese in mano e muovendolo leggermente scoprì che dentro
c'era dell'acqua. Senza indugio bevve tutta la borraccia che gli diede l'energia per
proseguire. Più avanti ancora fu un altro recipiente ad ostacolare il suo cammino. Aprì
anche questo e dentro ci trovò del sale. Di colpo si ricordò di quando viveva ancora ad
Atene e andava a lavorare da Aristotele. Il filosofo gli spiegava, oltre che la storia anche
la geografia. Diceva spesso che sui confini orientali della Grecia si insediavano tribù
che vivevano del contrabbando del sale e dell'acqua tra la Grecia e i paesi asiatici.
Infatti potevano essere stati proprio questi contrabbandieri ad aver rapito Vocale;
Bartolomeo, però, non capì il perché avessero catturato solo Vocale e non lui. Svuotò la
testa da questi pensieri e cercò una soluzione per riuscire a liberare l'amico. Tutte le
idee che gli vennero in mente erano molto complesse e difficili da portare a termine,
dato che aveva una gamba praticamente inagibile; allora, scoraggiato, si sedette su una
roccia e si soffermò a pensare. Pensava alle avventure trascorse fino ad allora con
Vocale, ma anche alle sue sorelle che ora erano da sole ad Atene, ai suoi genitori
perduti. Sollevò la testa, che fino ad allora era stata tra le mani, rivolta verso il basso, e,
in lontananza,iniziò a scorgere la figura di un carro che attraversava tutta la valle a gran
velocità.
Pensò che fosse proprio quello il carro di contrabbandieri, ma non era così. Inseguì quel
carro per giorni, usando come riferimento le pesanti impronte che lasciavano le ruote.
Dopo alcuni giorni di un inseguimento molto faticoso, a causa della gamba, arrivò nella
cittadina di Therma, dove riposò e fece rifornimento d'acqua, dato che aveva bevuto
tutte le borracce che il carro aveva perso lungo il tragitto. Si soffermò ad osservare
quanto fossero diverse le città orientali rispetto a quelle greche. Mentre era tra i suoi
pensieri sentì un forte rumore di zoccoli e ruote sulla pietra. Si girò verso il rumore e si
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stupì di ciò che vide: il carro che aveva seguito per tutti quei giorni. Senza volerlo gli
aveva tagliato la strada, quando era andato verso la città; il carro aveva seguito la
strada più lunga per arrivare nel medesimo posto.
Capitolo Quinto
Bartolomeo si finse indifferente all'arrivo di quel carro, mentre nella sua testa studiava
un modo per liberare Vocale, nonostante non avesse la sicurezza che fosse lì dentro.
Gli venne l'idea più semplice, ma anche quella più pericolosa: andare a vedere. Doveva
però non rivelare le sue intenzioni. Si ricordò di quando era ancora bambino e andava a
vedere le commedie al teatro con i genitori, gli piaceva molto osservare come gli attori
si calavano nella parte e recitavano. In quel caso doveva fare più o meno la stessa
cosa.
Cercò
nella
propria
testa
chi
poteva
fingersi
per
avvicinare
i
contrabbandieri:mostrarsi uno di loro.
Camuffando in qualche modo la voce chiese a colui che guidava il carro di mostrargli il
padrone, perché doveva parlargli di affari. Il cocchiere lo fece entrare senza indugio nel
carro e gli indicò il capo, o meglio, la capa dei contrabbandieri. Subito Bartolomeo non
credette che una ragazza così di bell'aspetto come quella potesse fare un lavoro così
sporco, ma tornò subito in sé e avanzò verso di lei.
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Bartolomeo iniziò parlare del sale e degli schiavi. La ragazza parlava molto bene il
greco perché, vivendo di contrabbando, conosceva molte lingue. Facendo l'indifferente
iniziò a chiedere quanti schiavi avesse e di mostraglieli. Lei glieli mostrò, ma tra quelli
Bartolomeo non riconobbe Vocale. L'ateniese si rassegnò all'idea che l'amico muto
fosse morto. Continuò a fingersi un contrabbandiere fino a sera, quando riuscì a trovare
una scusa valida per andarsene. La ragazza capo di quella carovana lo fermò e gli
disse:”Straniero, abbiamo trascorso tutto il giorno a parlare di affari, ma non sappiamo i
nomi l'uno dell'altra; io sono Zara.” Il ragazzo non seppe cosa fare: doveva dire il suo
vero nome oppure inventarsene uno sul momento? Temeva che se avesse rivelato la
sua identità i contrabbandieri gli avrebbero fatto del male ma, dato che all'interno del
carro c'erano solo più lui e Zara, raccontò alla contrabbandiera la verità e tutta la sua
storia. Alla fine della spiegazione la ragazza non disse niente per alcuni secondi, che a
Bartolomeo parvero interminabili, poi pronunciò una frase che fece rimanere di stucco
Bartolomeo:” Sei ancora giovane e per questo non ti ucciderò, ma voglio sapere il
perché hai rischiato due volte la vita per quel ragazzo che non ti ha mai né aiutato, né
dato dei soldi e neppure prestato servigi, ma tu l'hai aiutato nonostante non lo
conoscessi. Qualsiasi sia la tua decisione, sappi che ho intenzione di sostenerti: mi
sono stancata di questa vita fasulla, che passo scarrozzando di qua e di là trasportando
sale e acqua, è sì vero che si guadagna molto, ma preferirei vivere una vita da povera
ma onesta, piuttosto che continuare a imbrogliare le persone.” Bartolomeo rise e le
spiegò il suo amore per la giustizia e le raccontò ciò che Aristotele gli insegnava, che
bisognava rispettare tutte le culture diverse dalla propria e tollerare, anzi accogliere, le
differenze che portano le altre popolazioni. Zara osservava parlare Bartolomeo con i
suoi due bellissimi occhi color nocciola e la faccia stupita: non aveva mai sentito
nessuno parlare del rispetto delle idee altrui e questo la convinse ancora di più ad
aiutare il giovane ateniese nella sua impresa. Parlarono a lungo e per la maggior parte
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del tempo la ragazza stava zitta, ascoltando il suo nuovo amico narrare di tutte le terre
che aveva attraversato, delle culture che aveva incontrato e delle sue esperienze,
intervenendo solo qualche volta per fare domande. Dopo circa tre ore che Bartolomeo e
Zara erano restati da soli nel carro, gli altri contrabbandieri si insospettirono ed
entrarono. Non crebbero ai loro occhi nel vedere la loro, fino ad allora agguerrita
padrona, parlare di cultura con la persona che avevano creduto uno di loro. Quaranta
uomini grandi e grossi ammutoliti davanti ad una scena così semplice.
Capitolo Sesto
I due non si erano accorti di non essere più soli e continuarono i loro discorsi. Un
coraggioso tra gli uomini si schiarì la voce e Bartolomeo e Zara si girarono verso i
contrabbandieri. Subito la ragazza si alzò e balbettò qualcosa imbarazzata, poi si prese
coraggio ed annunciò ai suoi uomini la sua decisione. Dapprima, come prevedibile, tutti
contestarono, allora, per Zara, fu il momento di fare il capo. Piantò un urlo di quelli che
se li senti te li ricordi e nel carro calò un silenzio tombale. La ragazza si schiarì la voce e
continuò il discorso. Questa volta nessuno osò più contestare. Zara, a quanto pare, usò
le parole giuste perché, finito il discorso, tutti i suoi uomini erano d'accordo con lei.
Dunque era deciso: quella sera si partiva alla ricerca di Vocale. Bartolomeo si sistemò
nel carro con Zara, mentre gli altri uomini se ne procurarono altri, e,dato che era
destinato ad essere un viaggio lungo, li riempirono di provviste. Partirono quella notte
andando verso est. Bartolomeo chiese a Zara come avrebbero fatto a trovare Vocale,
non sapendo come avesse fatto a scomparire e come avrebbero recuperato le sue
tracce. Questa volta fu Zara a spiegare a Bartolomeo tante cose. Gli disse che nella
zona in cui si trovavano passavano spesso per il contrabbando e avevano già sentito
cose simili. La maggior parte delle volte erano stati indifferenti verso quei fatti, poi
scoprirono che era scomparso uno dei contrabbandieri più ricchi con la rispettiva
carovana e i rispettivi schiavi. Si erano informati nelle città e tra la gente di quegli
avvenimenti e tutti avevano risposto la stessa identica cosa:”Predoni.”
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Era una cosa sensata dato che tutte le sparizioni erano state di uomini adulti e
muscolosi che sarebbero diventati perfetti schiavi. Bartolomeo, però, continuava a non
capire: chi erano questi predoni di cui parlava Zara e perché queste voci non erano
giunte all'orecchio attento di Aristotele? Il detto che ad ogni domanda c'è una risposta è
vero, infatti la ragazza la conosceva.
Zara gli disse che i predoni erano più semplicemente dei mercanti di schiavi che
rapivano persone, saccheggiavano città, per trovare appunto uomini al loro servizio.
Erano uomini molto rozzi a cui interessava solo il profitto materiale. Solo allora
Bartolomeo capì e non fece più domande. Viaggiarono tranquillamente durante tutta la
notte fino ad arrivare ad un'altra cittadina. Qui fecero riposare le bestie e fecero scorta
d'acqua. Ripartirono nel tardo pomeriggio dopo aver chiesto alle persone del posto se
avessero visto dei carri carichi di schiavi. Nessuno aveva notato niente di strano, quindi
proseguirono il percorso. Fu di nuovo un viaggio tranquillo e Bartolomeo scoprì dove
erano diretti. Si stavano recando nel Libano dove, secondo Zara, i predoni vendevano
gli schiavi ai ricchi fenici. Il loro viaggio lungo tutta l'Asia minore passò tranquillo tranne
che per qualche temporale un po' troppo forte e qualche malattia tra gli uomini di Zara.
Viaggiarono per alcune settimane percorrendo le strade che Zara e i suoi uomini
avevano già attraversato in precedenza. Stavano salendo per una mulattiera di sassi e
già da qualche giorno vedevano il mare.
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Bartolomeo provò molta gioia a quella visione dopo tutti quegli anni e si commosse a tal
punto che pianse. Anche gli altri membri della carovana furono contenti di rivedere il
mare dopo tutte quelle settimane trascorse in terre aride. Ognuno era ai suoi pensieri
tranquillo e beato, quando, in lontananza, si sentirono forti grida.
Capitolo Settimo
Non erano grida di disperazione, ma di incitamento. La carovana si fermò per scoprire
da dove provenissero quei rumori. Con una percentuale di felicità ed una percentuale di
paura trovarono quello che avevano cercato per tutto quel tempo: i predoni, con la loro
carovana di schiavi, stavano lentamente avanzando in direzione del mare. Erano in
quest'ordine: due predoni a cavallo, forse i più vecchi e i più esperti, erano a capo della
carovana; dietro di loro una lunghissima fila indiana di schiavi tutti legati fra loro.
Accanto a quest'ultima c'erano alcuni uomini, sempre a cavallo, per controllare che tutti
rimanessero al proprio posto. Dietro a tutti, per ultimo c'era un carro (pareva un unico
carro, ma in realtà erano tutti carri legati l'uno con l'altro) che doveva essere pieno di
provviste. Zara chiamò tutti i suoi uomini. Disse:”Uomini, è arrivato il momento di
mostrare il nostro valore. Oggi scenderemo in battaglia non solo per salvare gli schiavi
presenti in quella carovana, bensì per salvare quelli che quei predoni cattureranno se
falliamo. Dovremo essere forti non solo per muovere le nostre spade, ma anche forti
d'animo perché non è detto che quei predoni non verranno poi a rapire le nostre
famiglie e saccheggiare le nostre città. Combattete fino alla morte, se necessario, ma
difendete la vostra idea.” Fu un discorso fenomenale perché motivò tutti gli uomini.
Detto ciò pianificarono l'imboscata. Zara disse:”Non sembrano troppi, ma a nostro
discapito sono professionisti e meglio attrezzati di noi. Però useremo l'effetto sorpresa:
non ci divideremo, ma andremo verso di loro in diagonale, senza farci vedere, tagliando
loro la strada. Aspetterete il mio segnale e li attaccheremo da dietro. Preparatevi alla
battaglia.”Bartolomeo e Zara andarono dai loro stessi schiavi di contrabbando e li
liberarono dicendo che potevano raggiungere a piedi la città più vicina. Nessuno però
volle andarsene senza prima aiutare i loro liberatori, perciò si unirono anche loro alla
battaglia. Contando gli schiavi erano arrivati in totale a un esercito di 100 uomini. Tutto
era pronto per l'imboscata. Non tutti erano ben armati; c'era chi era provvisto solo di un
bastone e chi di uno scudo, ma tutti erano determinati a vincere ed era quello che
contava. Partirono a passo svelto nella direzione prestabilita. L'erba alta aiutava questa
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operazione. Arrivati circa a 100 metri dalla carovana di predoni, sotto segno di Zara si
coricarono e procedettero strisciando. La strada era separata dalla sterpaglia da una
specie di fosso dove tutti gli uomini si nascosero. Tutti guardavano Zara che teneva la
mano leggermente alzata: quando l'avrebbe mossa sarebbero dovuti partire all'attacco.
Bartolomeo si era armato con una pesante clava e non vedeva l'ora di dimostrare il suo
valore durante la battaglia. La mano di Zara si mosse. 100 uomini di tutte le taglie si
scaraventarono sull'ultimo carro della carovana rendendolo inoffensivo senza troppa
difficoltà. I predoni a cavallo, colti di sorpresa furono sopraffatti nelle prime file. Quelli
più avanti ebbero tempo di prepararsi. Solo allora lasciarono gli schiavi incustoditi. Nella
foga della battaglia Zara si avvicinò a Bartolomeo e gli disse di guidare un gruppo di
uomini a liberare gli schiavi; lui riuscì a portarsene dietro venti e aggirarono la battaglia.
Ovviamente i predoni non se ne accorsero, quindi l'operazione fu più semplice.
Bartolomeo e gli altri li liberarono e anche questi diedero una mano nella battaglia. Il
ragazzo riconobbe subito Vocale e l'abbracciò. I due assieme fecero strage di nemici,
anche grazie alla loro struttura fisica. Vocale combatteva a mani nude mandando forti
calci e pugni, mentre l'ateniese menava forti colpi con la clava. Vinsero la battaglia
quella sera stessa.
Mangiarono e brindarono alla loro vittoria in una città in riva al mare. Tantissime
persone erano state salvate quel giorno e tutti erano fieri. Le perdite furono minime e
questo fu un motivo in più per festeggiare. Il giorno dopo si salutarono ed ognuno
riprese la propria strada.
I saluti più difficili furono tra Zara e i suoi fedeli compagni ai quali scappò qualche
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lacrima. Infatti Zara aveva deciso di tornare ad Atene con Vocale e Bartolomeo.
Capitolo Ottavo
Per l'ateniese quella sera non erano finite le sorprese. Due signori di mezza età gli si
avvicinarono: un uomo e una donna. Questi due lo abbracciarono. Il ragazzo era
confuso: notava in quelle due persone qualcosa di famigliare. Poi capì. I suoi genitori,
quelli che lui credeva morti, in realtà erano stati rapiti da quei predoni. Bartolomeo
scoppiò a piangere, come i genitori. I tre si sedettero ad un tavolo e si raccontarono
tutto ciò che avevano trascorso in quegli anni. Rimasero lì a parlare tutta la notte. Il
giorno dopo salparono per Atene: Bartolomeo, suo padre e sua madre, Zara e Vocale.
Giunti ad Atene per prima cosa si recarono a casa di Bartolomeo dove le sue due
sorelle stavano facendo il bucato. Anche quest'ultime non credettero ai loro occhi nel
vedere i genitori.
Per alcuni anni vissero tutti in quella casa in serenità fino a quando Vocale e Zara si
sposarono ed andarono a vivere per conto loro. In seguito anche Bartolomeo si sposò,
con Euridice, una ragazza ateniese e andarono a vivere con le sorelle anch'esse
maritate e con i genitori in una casa più grande.
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Epilogo
Questa è la storia di Bartolomeo, un eroe come tanti altri, solo da alcuni ricordato; mi
sovviene quando quel giovinetto lavorava da me tutti i giorni, quando era ancora un
ragazzino. È stato proprio caro a venire dopo tutto questo tempo da me, per
raccontarmi la sua storia. Lui me l'ha narrata a voce e così io l'ho riscritta. Ho addirittura
deciso di lasciarmi nel testo in terza persona, rivelando la mia identità solo alla fine, per
rendere più autentico questo racconto.
Questa è sicuramente la mia storia preferita.
Dopo il suo ritorno,ho rivisto Bartolomeo solo più una volta: lo vidi allontanarsi verso il
tramonto con Euridice, l'amico Vocale e la sposa di quest'ultimo Zara, verso chissà quali
altre avventure.
Aristotele, Atene 325 a.C.
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