L’universalità di Dio di Enrico Berti* L’ultima parte del discorso del Papa al mondo della cultura a Parigi spiega un concetto che i non credenti, o i credenti in altre religioni, non sempre comprendono, come risulta dal fatto che spesso lo contestano e ne fanno un argomento di critica contro il Cristianesimo: l’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui. Una critica che spesso si sente, o si legge, al Cristianesimo, in particolare alla Chiesa cattolica, è la seguente: i cristiani non si accontentano di professare la propria religione come una religione fra le altre, espressione di una cultura fra le altre, come si dovrebbe fare in una società pluralistica e democratica, dove ciascuno è libero di credere quello che vuole. Essi invece – secondo questa critica – pretendono che la loro fede possieda una verità valida per tutti, cioè una verità universale, violando in tal modo il principio del pluralismo e della tolleranza reciproca. In questa pretesa la mentalità cosiddetta “laica” vede l’espressione di una prepotenza, di un’arroganza, di una presunzione intollerabile. A questo proposito il Papa, nella parte finale del discorso sopra citato, afferma che per «i cristiani della Chiesa nascente» il Dio nel quale credevano «era il Dio di tutti», cioè costituiva una «risposta che riguardava tutti», e che «l’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti». A giustificazione di questo atteggiamento il Papa cita il discorso di san Paolo all’Areopago, definendolo «lo schema fondamentale dell’annuncio cristiano verso l’esterno». Paolo infatti “non annuncia dèi ignoti”, cioè dèi nuovi, appartenenti ad altre religioni, ma dichiara agli Ateniesi «quel Dio che voi adorate senza conoscerlo, quello io vi annuncio», cioè quel Dio «del quale noi siamo progenie, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto»1. Di solito i commentatori individuano in queste ultime parole una citazione dei Fenomeni di Arato di Soli, poeta stoico del III secolo a.C., e concludono che san Paolo si richiamava allo stoicismo per ingraziarsi i suoi ascoltatori, tra i quali vi erano dei filosofi stoici. Ma il riferimento di questa citazione e l’impostazione generale del discorso hanno un ben altro significato. Quello che Paolo annuncia agli Ateniesi è il cosiddetto “Dio dei filosofi”, come Joseph Ratzinger, prima ancora di essere Papa, ha scritto nella sua Introduzione al cristianesimo, che risale al 19682, e come aveva già detto nella sua prolusione da lui tenu- *Enrico Berti è Docente di Storia della Filosofia, Università degli Studi di Padova. 63 L’universalità di Dio di Enrico Berti ta all’Università di Bonn nel 1959, intitolata Il Dio della fede e il Dio dei filosofi, da lui stesso richiamata nel discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 (due anni esatti prima del discorso al mondo della cultura), cioè quando ormai era Papa Benedetto XVI3. L’espressione “Dio dei filosofi”, come è noto, è stata coniata da Pascal per contrapporre il Dio di Descartes, cioè il Dio orologiaio, che fabbrica un mondo capace poi di funzionare da sé, al “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe” e di “Gesù Cristo”, dunque è stata usata per lo più dai cristiani con significato spregiativo. Il Papa invece l’ha riabilitata, vedendo in essa l’indicazione di quel Dio universale, al quale è aperta la ragione umana, e che non si contrappone al Dio di Gesù Cristo, bensì ne costituisce il primo annuncio. L’interpretazione che il Papa dà del discorso agli Ateniesi è la stessa che è stata enunciata nell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, secondo la quale tale discorso costituisce lo sforzo “per individuare una base comune” su cui avviare l’annuncio del kerigma. L’enciclica recita infatti: «per farsi comprendere dai pagani, i primi cristiani non potevano nei loro discorsi rinviare soltanto a Mosè e ai profeti; dovevano anche far leva sulla conoscenza naturale di Dio […]. Poiché però tale conoscenza naturale, nella religione pagana, era scaduta in idolatria, l’Apostolo ritenne più saggio Il Papa afferma che collegare il suo discorso al pensiero dei filosofi, i quali fin dall’inizio aveper «i cristiani della vano opposto ai miti e ai culti misterici concetti più rispettosi della trascendenza divina»4. Chiesa nascente» Che san Paolo non si riferisse solo agli Stoici, ma intendesse il Dio nel quale riprendere il concetto di Dio elaborato dai più grandi filosofi greci, credevano «era il Platone e Aristotele – cioè quel concetto che essi avevano purificato dai Dio di tutti», limiti antropomorfici degli dèi della religione popolare greca e soprattutto da quella molteplicità che inevitabilmente ne impediva l’assolutezza – cioè costituiva una risulta in modo chiaro dal confronto fra il discorso agli Ateniesi e la sto«risposta che ria della precedente filosofia greca. La prima caratterizzazione che riguardava tutti». l’Apostolo offre di tale Dio è: «il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che vi si trova, signore com’è del cielo e della terra». L’idea che il mondo e tutto ciò che vi si trova sia opera di Dio è stata introdotta nella filosofia da Platone col Timeo ed è stata ripresa da Aristotele nel dialogo perduto Sulla filosofia, opere entrambe ben note a Filone di Alessandria, contemporaneo di Gesù e probabilmente conosciuto da san Paolo, grazie alla cultura ellenistica che questi possedeva5. Il fatto che i filosofi greci non avessero ancora l’idea di creazione dal nulla non ha alcuna importanza, perché anche tra i cristiani questa idea si chiarì solo a partire dal II secolo dopo Cristo. La seconda caratterizzazione introdotta da Paolo è che tale Dio «non abita in templi fatti dalla mano dell’uomo e non può essere servito da mani d’uomini, quasi avesse bisogno di qualche cosa, dando egli a tutti la vita, il respiro ad ogni cosa». Essa corrisponde perfettamente al concetto di Dio professato da Aristotele, il quale nel dialogo suddetto sosteneva che il tempio più adatto a Dio è il mondo intero, condannando come empia l’idea che questo sia stato fatto come gli oggetti prodotti dalle mani degli uomini, e altrove sosteneva che Dio non ha bisogno di nulla, perché da lui dipendono l’essere e la vita di tutte le cose. La terza caratterizzazione introdotta da san Paolo è che Dio ha fatto sì che l’umana progenie si 64 L’universalità di Dio di Enrico Berti distribuisse su tutta la terra, e «ha determinato l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio». Anche questa precisazione, che non sembra avere alcuna importanza ai fini dell’evangelizzazione, può essere invece un richiamo al dialogo di Aristotele Sulla filosofia, citato da Filone, dove si dice che Dio ha imposto al mondo un ordine che stabilisce l’alternarsi delle stagioni e la diversità tra le diverse regioni, cioè gli spazi, della terra. Infine la più famosa caratterizzazione di Dio nel discorso agli Ateniesi, è che «in lui abbiamo la vita, il movimento e l’essere, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: – noi siamo progenie di lui –». Questa è certamente una citazione di Arato, e dell’Inno a Zeus di Cleante di Asso, discepolo e successore dello stoico Zenone, ma è anche il risultato della fusione tra il concetto di Dio elaborato da Platone, quello elaborato da Aristotele e quello elaborato dagli Stoici, fusione che si riscontra anche in altri testi antichi, quali il trattato De mundo attribuito ad Aristotele, ma sicuramente a lui posteriore. Questo era precisamente il Dio dei filosofi, al quale san Paolo si richiama per mostrare agli Ateniesi, nella cui città i più grandi filosofi greci avevano operato, che questo è il Dio di cui egli sta loro parlando. Certo, dopo avere detto tutto questo, Paolo introduce l’annuncio specificamente cristiano, con le parole: «Dio fa oggi annunciare agli uomini tutti e dappertutto che facciano penitenza, avendo egli stabilito il giorno in cui giudicherà il mondo con giustizia per mezzo di un uomo da lui prescelto, dandone a tutti prova col resuscitarlo dai morti». Questo è l’annuncio del Cristo, del Dio fatto uomo, morto e resuscitato per salvare 65 L’universalità di Dio di Enrico Berti tutti gli uomini. Sentendo parlare di resurrezione – narra l’autore degli Atti – alcuni degli ascoltatori derisero Paolo, altri se ne andarono rinviando il seguito ad altra occasione, e alcuni invece si unirono a lui e credettero, tra i quali Dionigi detto l’Areopagita, una donna di nome Damaride e altri ancora. Spesso i commentatori vedono in questa conclusione uno scacco, un totale insuccesso del discorso di Paolo. Ma non è così: i Greci credevano nell’immortalità dell’anima, ma non nella resurrezione della carne, perché erano dualisti, troppo spiritualisti, quindi avevano difficoltà a credere in Cristo. Tuttavia alcuni credettero, dunque per loro il discorso di Paolo fu decisivo. Questa conclusione rappresenta perfettamente la situazione in cui si trovano gli uomini che con la propria ragione sono giunti a scoprire l’esistenza di Dio, come hanno saputo fare i grandi filosofi greci vissuti prima di Cristo. Alcuni si fermano a questo punto, perché la ragione, cioè la filosofia, è aperta alla fede, ma non costringe a credere. Altri invece compiono il passo ulteriore e credono. Ma il Dio in cui credono è lo stesso Dio a cui sono giunti con la ragione, non è un Dio diverso; è il Dio che tutti gli uomini possono ammettere, purché usino correttamente la propria ragione, è insomma il Dio universale, riconoscibile dalla ragione universale. Il fatto che poi egli si riveli agli uomini, anzi si faccia uomo per salvarli, non contrasta con la sua realtà di Dio assoluto ed eterno, riconosciuto dalla ragione, ma la rivela nel modo più pieno e completo. Il Papa, nella parte finale del discorso al mondo della cultura, spiega che un Dio soltanto pensato non è un Dio reale, perché un vero Dio non può non mostrarsi all’uomo. «La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui». Questa è la ragione per cui i cristiani non si accontentano di professare la propria fede all’interno della propria Chiesa, ma la annunciano a tutti: perché il Dio in cui credono non è un Dio soltanto di loro, ma è il Dio di tutti, quel Dio che la ragione umana, se usata correttamente e con umiltà, è in grado di riconoscere, come è provato dal fatto che egli è stato riconosciuto, sia pure soltanto in parte, dai grandi filosofi greci che non avevano mai conosciuto la Bibbia, la rivelazione giudaica o cristiana. In tal modo i cristiani non intendono imporre agli altri il proprio Dio, o la propria fede, o la propria morale, ma vogliono solo avvertire gli uomini che quel Dio a cui la loro stessa ragione può portare, si è anche rivelato. Ma si tratta sempre dello stesso Dio, che può essere chiamato Dio dei filosofi perché i filosofi greci lo hanno indicato come il vero Dio, superiore agli dèi della religione tradizionale greca, e tuttavia è il Dio di tutti. La nostra situazione di oggi – conclude il Papa nel suo discorso al mondo della cultura – è diversa da quella che Paolo incontrò ad Atene, ma anche assai analoga. Le nostre città non sono più piene di altari, ma la domanda di Dio da parte della ragione umana non è scomparsa. La sua scomparsa sarebbe «la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo». È curioso, infatti, che la cultura sedicente “laica” pretenda di seguire la ragione, anzi di riconoscere come unica fonte di conoscenza la ragione, e quindi di esaltarla, quando invece la riduce, la limita, la comprime entro i confini della conoscenza puramente scientifica, rinunciando a riconoscerne la capacità di andare oltre questi confini, cioè di essere autenti- 66 L’universalità di Dio di Enrico Berti camente meta-fisica. Il Dio dei filosofi è l’espressione di una più alta capacità della ragione, e il riconoscerlo non è segno di fideismo, o di eccessiva credulità, ma è al contrario il segno del più autentico razionalismo, cioè della più autentica esaltazione della ragione. Note e indicazioni bibliografiche 1 Atti degli Apostoli 17, 23-28. 2 J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2003, pp. 128-129. 3 La traduzione di tale prolusione, pubblicata dalla Marcianum Press a cura di H. Sonnemans, è stata ripresa anche nel quotidiano “La Repubblica” del 15 marzo 2007. 4 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, nn. 24 e 36. 5 Ho illustrato tutto ciò nel saggio Il “Dio dei filosofi” nel discorso di Paolo agli Ateniesi, in A. Ales Bello (a cura di), Pensare Dio a Gerusalemme. Filosofia e monoteismo a confronto, Roma, Pontificia Università Lateranense, 2000, pp. 47-57. 67