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06/06/2006 |
Economia di mercato
L'economia di mercato costituisce un sistema economico in cui i processi di scambio vengono regolati dai
Mercati tramite il meccanismo dei prezzi. Lo Stato ha il compito di stabilire condizioni-quadro tali da garantire
la Concorrenza tra gli operatori di mercato, limitando però il meno possibile la loro libertà di azione; inoltre
deve mettere a disposizione beni di pubblica utilità la cui fornitura da parte dei privati risulterebbe
antieconomica. L'esistenza del denaro (Economia monetaria), la Proprietà privata, l'autonomia dei soggetti
economici, la certezza del diritto, la trasparenza e una certa libertà di accesso al mercato costituiscono i
presupposti di un'economia di mercato (Capitalismo). Anche se l'economia di mercato allo stato puro,
caratterizzata dalla concorrenza perfetta, non ha mai potuto essere realizzata all'interno di un'economia
nazionale, questa utopia gioca tutt'oggi un ruolo importante nel dibattito socioeconomico e ideologico
(Politica economica).
In epoca preindustriale, l'accesso al mercato era controllato dalle corporazioni, che escludevano dal
commercio i beni prodotti al di fuori della loro sorveglianza. Pur contrarie ad affidare la determinazione dei
prezzi al meccanismo della concorrenza, esse non riuscirono a evitare talvolta l'affermazione delle forze di
mercato. L'opposizione alla concorrenza da parte delle corporazioni e di altre autorità pose il problema della
definizione dei prezzi delle merci e dei servizi, che non essendo determinati dal mercato dovevano essere
fissati per via amministrativa, come nell'Economia pianificata. Prima della rivoluzione industriale, gli importi
stabiliti venivano generalmente considerati come "giusto prezzo", da cui non ci si doveva discostare neanche
nei periodi di penuria o sovrabbondanza; ciò si fondava sull'idea che l'esercizio di un mestiere dovesse
permettere il mantenimento di una fam. Nell'età moderna, questo sistema risultò sempre più minacciato sia
dalle innovazioni tecniche, sia dall'industria a domicilio (Verlagssystem) sia dalla nascita di nuove categorie
professionali, che fin dall'inizio rifiutarono l'obbligo di iscrizione a una corporazione, come per esempio gli
stampatori. L'Illuminismo e la Rivoluzione franc. diedero ulteriori impulsi all'abolizione di tale obbligo.
Nonostante la Libertà di commercio e di industria sancita dall'Atto di mediazione, rimasero però ancora molti
ostacoli che impedivano agli acquirenti di valutare e scegliere fra beni concorrenti. Le numerose unità
monetarie e di misura differenti a seconda dei cant. rendevano praticamente impossibile il confronto
dell'offerta, inoltre le barriere doganali ostacolavano la circolazione delle merci tra i cant. Solo la Costituzione
fed. del 1848, che unificò i pesi, le misure e il servizio postale, abolì le dogane interne e attribuì alla Conf. la
politica economica esterna, creò le premesse per la concorrenza su scala nazionale e per la crescita
economica del Paese nella seconda metà del XIX sec.
In Svizzera le idee liberiste presero piede a partire dalla metà del XIX sec. (Liberalismo). Secondo Adam
Smith, il mercato libero da vincoli produce risultati economicamente ottimali per la società quando tutti i
soggetti economici perseguono il proprio tornaconto personale ("mano invisibile"). Smith prevedeva
esclusivamente l'esistenza di numerosi piccoli operatori, come in un grande mercato settimanale. Nel XIX sec.
all'interno dell'industria tessile sviz. la concorrenza in effetti funzionò prevalentemente in questo modo;
comunque si manifestarono anche tendenze in senso contrario. Stando allo storico dell'economia Alfred
Chandler, l'influenza sul mercato di poche grandi imprese è talmente grande da invalidare le premesse di
Adam Smith; queste ultime sono inoltre in grado di alterare il mercato a proprio favore con la loro "mano
visibile" (Monopoli). In Svizzera, in alcuni comparti economici questa tendenza si manifestò già nel corso del
XIX sec. Alcune branche del settore alimentare furono pressoché monopolizzate dalla rivalità fra le ditte
Nestlé e Anglo-Swiss, fino alla fusione tra queste ultime. Una situazione simile, fino a oggi invariata, si
riscontrava ad esempio anche nell'industria del cioccolato.
La moderna economia di mercato, affermatasi in simbiosi con l'Industrializzazione, dalle sue origini ha esteso
sempre più la propria influenza sulla vita dell'uomo, modificando tra l'altro schemi mentali e comportamentali,
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commercializzando le attività di svago, trasformando i beni culturali in oggetti di speculazione e asservendo
ampiamente la ricerca scientifica alle proprie esigenze. L'economia di mercato trasse la propria legittimazione
da una parte dai suoi tradizionali legami con la Democrazia, e dall'altra dalla dinamica innovativa insita in
essa. Tale dinamica, che fu all'origine della crescita del benessere, va anche messa in relazione con
l'espansionismo del periodo coloniale e con l'imperialismo culturale.
Dato che non tutti gli individui godono dello stesso grado di competitività (bambini, malati, ecc.), esponenti
della dottrina sociale cristiana denunciarono l'economia di mercato come disumana, mentre seguaci del
Marxismo ne misero in evidenza il carattere sfruttatore. Già poco dopo il suo avvento, di fatto diversi Stati
cercarono di limitarne gli eccessi, visto che gli svantaggi di un'economia di mercato senza vincoli rischiavano
di diventare troppo grandi per alcuni strati della pop. e anche per l'ordine sociale nel suo complesso. Per
ovviare a questi inconvenienti, la legge glaronese sulle fabbriche del 1864 limitò ad esempio - per la prima
volta in Europa - la durata della giornata lavorativa per gli adulti. Nel XX sec. l'estensione della legislazione
sociale portò progressivamente alla formazione dell'economia sociale di mercato (Stato sociale). Con l'ausilio
di leggi e ordinanze, lo Stato ha svolto una funzione regolatrice sul piano locale, cant. e nazionale, spesso in
contrasto con i meccanismi di mercato. Dagli anni 1930-40 si è diffusa la fiducia nella possibilità di indirizzare
l'economia di mercato grazie a provvedimenti statali. Gli strumenti di programmazione economica sviluppati
negli anni 1960-70, ispirati all'Economia keynesiana, avrebbero dovuto garantire una crescita uniforme, posti
di lavoro (programmi di Occupazione) e la stabilità monetaria (Politica monetaria) attraverso interventi che
limitavano il libero andamento del mercato. Data la struttura federalistica del Paese e le scarse risorse
finanziarie del governo centrale, in pratica però le possibilità per la Conf. di accrescere la domanda rimasero
estremamente limitate; interventi del genere ebbero ripercussioni concrete solo marginali e furono quindi
criticate come mere azioni simboliche. Gli Articoli sull'economia del 1947 continuarono a garantire il principio
della libertà di commercio e di industria sul piano costituzionale; negli anni successivi la necessità di controlli
statali unitamente alla fiducia nell'operato statale ridussero però la libertà d'azione necessaria al
funzionamento dell'economia di mercato. Vennero inoltre estesi i diritti di intervento della Conf., nel 1971 per
le questioni ecologiche, nel 1978 per quelle congiunturali e nel 1982 nel campo della sorveglianza dei prezzi.
Per quanto necessari, questi provvedimenti in linea di principio limitarono la libertà d'azione e quindi anche il
fondamento dell'economia di mercato.
Nell'ambito del Mercato del lavoro si delinearono precocemente tendenze al Corporativismo. La
contrapposizione tra capitale e lavoro, emersa con forza durante lo sciopero generale del 1918, si ridusse nel
corso di un lungo processo conclusosi dopo la seconda guerra mondiale. La collaborazione tra le parti sociali
costituì solo un aspetto di una rete sempre più fitta e solida di rapporti tra lo Stato e il mondo economico, in
cui le ass. di categoria e i sindacati svolgevano un ruolo di tramite. Questo sistema corporativistico,
completato nel secondo dopoguerra con l'adozione della "formula magica" per la composizione del Consiglio
fed., non era permeato dall'idea del libero mercato, ma da quella della cooperazione; i suoi attori inoltre non
erano (e non sono) contrari né agli strumenti di programmazione economica né ai Cartelli. Anche se fu
soprattutto la Politica agraria sviz. a essere caratterizzata da tali tendenze, anche altri settori beneficiarono di
cospicui aiuti da parte dello Stato (garanzia sui rischi all'esportazione, più tardi il decreto Bonny, ecc.). Pur
ponendo dei vincoli all'economia di mercato, proprio questo sistema fu alla base dei successi economici dal
secondo dopoguerra fino agli anni 1980-90, se non addirittura fino a oggi. Mentre per gli altri Stati sviluppati
gli anni 1970-80 furono un decennio di crisi, la Svizzera poté tornare alla piena occupazione. Anche lo Stato
sociale fino a quegli anni continuò a godere di ampi consensi. Le critiche nei confronti di quest'ultimo sono
aumentate solo a partire dagli anni 1980-90; i problemi maggiormente sollevati riguardavano il finanziamento
(Monetarismo) e la marea di ordinanze e regolamenti. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, i pionieri del
Neoliberalismo negli anni 1990-2000 hanno chiesto una deregolamentazione generalizzata e una riduzione
notevole dell'attività statale in tutti i settori economici, la diminuzione del prelievo fiscale, riprivatizzazioni, la
limitazione delle spese assistenziali ai "veri" bisognosi, un'ulteriore apertura del mercato interno e, non da
ultimo, un'ampia liberalizzazione del mercato del lavoro per dare nuovo dinamismo all'economia di mercato.
Ma intorno al 2000, in seguito a un calo dell'occupazione andato di pari passo con la crescita delle retribuzioni
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dei manager e con una serie di interventi straordinari (approvate anche da parlamentari borghesi di solito
favorevoli alla deregolamentazione), sono tornate a farsi sentire voci critiche nei confronti di un'ingenua
fiducia nel mercato.
Bibliografia
– AA. VV., Schweiz AG, 1990
– H. Letsch, «Lenkungsabgaben statt Ordnungspolitik? Systemwidriges, marktwirtschaftlich verpackt», in
Orientierungen zur Wirtschafts- und Gesellschaftspolitik, n. 1, 1990, 49-53
– W. Wittmann, «Das Soziale in der Marktwirtschaft», in Management Zeitschrift, 60, 1991, 89 sg.
– W. Wittmann, «Marktwirtschaft in der Schweiz?», in Management Zeitschrift, 61, 1992, 97 sg.
– P. Weidkuhn, Reizwort Marktwirtschaft, 1998
– K. Armingeon, «Wirtschafts- und Finanzpolitik der Schweiz», in Handbuch der Schweizer Politik, a cura di U.
Klöti et al., 1999, 725-766
– P. Rosanvallon, Le capitalisme utopique, 1999
– W. Wittmann, «Marktwirtschaft für den Arbeitsmarkt», in Management Zeitschrift, 60, 1999, 97 sg.
– P. Ulrich, Der entzauberte Markt, 2002
Autrice/Autore: Harm G. Schröter / vfe
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