Lezione di Farmacologia del 21/03/03

Lezione di Farmacologia del 21/03/03
Nel corso della lezione precedente abbiamo parlato di efficacia definendola,a livello
molecolare,come interazione ligando-recettore.Vediamo ora come un ligando possa essere definito
sulla base del risultato dell’interazione farmaco-recettore, vale a dire agonista e antagonista
recettoriale,specificando che questi termini hanno significato diverso se usciamo dal concetto di
interazione farmaco-recettore. Partiamo dal concetto di agonismo,definizione IUPHAR:
•
AGONISTA: (1)farmaco che si lega a recettori e ne modifica la frazione che si trova nella
forma attiva,dando come conseguenza una risposta biologica. Convenzionalmente,gli
agonisti aumentano tale frazione,gli agonisti inversi la riducono.
Gli agonisti possono legarsi ad un recettore allo stesso sito utilizzato dall’agonista endogeno
o,meno comunemente,interagendo con una regione diversa del recettore.
E’ una definizione che fa riferimento alla popolazione di recettori e quindi supera il discorso
teorico”il farmaco - il recettore”,e facendo riferimento alla popolazione di recettori nella
cellula,tessuto od organo bersaglio,ne definisce anche uno stato di fatto,ovvero che una popolazione
di recettori non è semplicemente inerte,in attesa dell’arrivo di un legame esogeno o endogeno ma
una popolazione di recettori è un’insieme di proteine con loro attività spontanea e che di
conseguenza in un determinato momento possono essere definite come avere un livello medio di
attività dipendente dalla frazione dei loro componenti che in quel momento sta svolgendo
un’attività,ovvero sta trasmettendo un segnale alla cellula che di conseguenza sta svolgendo delle
reazioni metaboliche dipendenti da quel tipo di recettore.E’ la definizione più corretta anche dal
punto di vista del substrato biologico su cui il farmaco agisce.Accessoriamente vengono inserite
altre definizioni,come quella di agonismo allosterico e coagonismo.Ricordarsi che un singolo
recettore può avere più siti di legame con diverse sostanze in grado di modularne la
funzione :quando queste sono capaci,attraverso il loro legame,di portare una attivazione del recettore
si chiamano agonisti o coagonisti (concetto importante per alcuni complessi recettoriali come quelli
per l’acido glutammico).Quando i ligandi invece non sono in grado di attivare di per se stessi un
recettore ma sono in grado di modificare l’azione dell’agonista sono definiti modulatori(concetto di
allostericità).
Si parla di agonista completo e di agonista parziale:
•
•
AGONISTA COMPLETO: (2)farmaco in grado di indur re la risposta massima di cui un
tessuto è capace.Un agonista a elevata efficacia,tale che ogni interazione farmaco – recettore
causa uno stimolo tale da rendere possibile una risposta completa.
AGONISTA PARZIALE: agonista con bassa efficacia,tale che anche quando tutti i
recettori in un tessuto sono occupati lo stimolo che ne consegue è insufficiente a generare
una risposta completa.
L’efficacia di un agonista,di conseguenza il fatto che possa essere completo o parziale,è in funzione
sia delle caratteristiche del ligando sia del tessuto/cellula su cui sta agendo.Un ligando che si
comporta da agonista completo in un determinato tessuto può agire da agonista parziale in un altro
tessuto o può non essere in grado di evocare alcun tipo di risposta in un terzo tessuto.Questo è in
funzione dell’efficacia intrinseca del ligando ma in parte anche dell’assetto recettoriale del
tessuto,ad esempio il numero di recettori disponibili,la solidità dell’accoppiamento tra recettori e
sistemi di trasduzione del segnale.E’ dato per scontato che l’intensità di risposta sia dipendente
dalla quantità di ligando presente in quanto la concentrazione di ligando e di recettore presente
costituiscono i due componenti di una reazione chimica reversibile che da origine al complesso
ligando-recettore in un equilibrio dinamico che dipende da interazioni di natura non
covalente(anche se abbiamo alcuni esempi di farmaci che si legano covalentemente al loro
recettore;solitamente questo tipo di legame si riscontra in ambito tossicologico,in questa maniera
l’unità farmaco – recettore non può essere riciclata per nuove azioni).
L’intensità di risposta dipende dalla quantità di complessi farmaco-recettore che si formano i
quali a loro volta sono in funzione della frazione rispetto al totale dei recettori disponibili che si
lega al farmaco la quale è in funzione della concentrazione del ligando e del recettore e dell’affinità
del ligando per il recettore che in ultima analisi determinano la reazione che porta all’equilibrio con
una certa costante di associazione e dissociazione.,il cui rapporto dà una costante di equilibrio
proporzionale all’affinità del ligando per il recettore.
In farmacologia il concetto di affinità è molto importante perché poi sulla base della
quantificazione dell’attività di un farmaco per un recettore ,sia con curve concentrazione – risposta
sia curve di legame recettoriale,definisce la tenacia con cui un ligando si lega al suo recettore . Il
”tropismo” di un farmaco per il suo bersaglio si basa più che altro sul fatto che un farmaco possa
essere definito selettivo ma non specifico.
La selettività si basa sull’affinità di un farmaco per un determinato bersaglio rispetto ad altri: tanto
più un farmaco è affine ad un bersaglio rispetto ad altri e tanto più si legherà prima per
concentrazioni più basse al bersaglio stesso. L’affinità è la tenacia di legame che in prima battuta
non ha niente a che fare con l’efficacia ovvero con la capacità di evocare risposta; l’efficacia invece
dipende da come in conseguenza di questo legame si modifica la conformazione della struttura
tridimensionale del complesso farmaco – recettore e come questa modificazione si trasmette al
sistema di trasduzione del segnale. Sintetizzando:
• AFFINITA’: determina il legame
• EFFICACIA: determina la natura della risposta
La specificità invece non si dà nel caso dell’azione di un farmaco su un determinato bersaglio
proprio perché essa implicherebbe un’azione esclusiva,nel senso mirata soltanto su un determinato
bersaglio,cosa che in realtà non è perché data una sufficiente concentrazione può manifestarsi una
tendenza all’interazione anche con bersagli nei confronti dei quali l’attività è inferiore.
Ricordarsi di definire l’azione di un farmaco come selettiva nei confronti di un determinato
bersaglio in quanto quello specifico farmaco si comporta da ligando con una maggiore affinità verso
quel bersaglio.Ad esempio,la tropina è definita antagonista dei recettori muscarinici in quanto ha
una selettività per questi recettori che sono la prima struttura alla quale la tropina si lega già per
concentrazioni molto basse,cosi’ basse da non mostrare un’apprezzabile affinità per altri tipi di
strutture;se si sale con le concentrazioni,ovviamente aumenterà la frazione dei recettori muscarinici
legati alla tropina ma si inizierà anche ad andare in un intervallo di concentrazioni in cui si
manifesteranno anche affinità per altri tipi di strutture,quali ad esempio i canali del sodio:a quel
punto si dice che si è persa la selettività di azione,proprio perché inizia un’azione biologicamente
rilevante a livello di altri bersagli.La tropina è poi un’antagonista perché conseguentemente al
legame di per se stessa non modifica lo stato funzionale dei recettori cui si lega,ovvero essa si lega
ma non induce alcuna modificazione conformazionale tale da indurre una risposta che sia positiva o
negativa,cioè di attivazione o disattivazione del recettore stesso. L’efficacia è 0 e di conseguenza la
tropina può essere definita antagonista recettoriale;però poiché si lega occupa un posto che
avrebbe potuto essere libero e finchè dura il legame,che è reversibile,in equilibrio complessivo,ma
in un determinato istante una certa quota di recettori risulta occupata in nuovi legami con la
tropina,questa quota è sottratta alla quantità totale di recettori disponibili per la risposta
biologica.Allora in presenza di un agonista è come se di fatto la quantità totale dei recettori presenti
fosse inferiore.La risposta funzionale è proporzionale alla quantità dei recettori occupati
dall’agonista,se la quantità totale è inferiore per quanto agonista ci mettiamo non riusciamo ad
evocare la stessa risposta che avevamo nell’assenza dell’antagonista.
Definiamo ora il concetto di antagonista:
•
ANTAGONISTA: (3)farmaco che riduce l’azione di un altro farmaco,di solito un agonista.
Ha efficacia nulla e per l’azione può essere quindi definito in senso negativo:di per se stesso
non ha alcun effetto e di conseguenza si definisce funzionalmente rispetto alla capacità che
possiede di interferire con l’azione di altri farmaci.Molti ant agonisti agiscono sul medesimo
recettore su cui agiscono gli agonisti.
Si definiscono diverse forme di antagonismo,rispetto a questo definizione più aggiornata:il termine
antagonismo(4) ,in senso farmacologico(tra farmaci,cioè la capacità di un farmaco di ridurre
l’effetto di un altro farmaco),può non essere soltanto di natura recettoriale,ma anche non
recettoriale. Vediamo i meccanismi di natura non recettoriale(5) per ritornare poi all’interazione
farmaco – recettore:
• Antagonismo chimico: (5)quando esiste una reazione chimica diretta tra il cosiddetto
antagonista e il farmaco che viene bloccato.Esempi pratici dal punto di vista
clinico:patologie del metabolismo che portano ad accumulo di metalli,rame e ferro..esistono
sostanze che agiscono da chelanti,ovvero chelano i metalli in circolo,niente a che fare con
un’azione di tipo recettoriale(sono antagonisti chimici delle sostanze che chelano).Un altro
esempio è quello dato dagli antiacidi,usati per stati ipersecretivi gastrici,sono sostanze come
magnesio idrossido e alluminio idrossido in grado di reagire chimicamente con l’HCl
secreto dalla parete gastrica e danno una reazione di neutralizzazione(quindi antagonisti
chimici della secrezione acida gastrica).
• Antagonismo funzionale o fisiologico: ad esempio a livello del sistema orto- e
parasimpatico di diversi organi viscerali,un agonista del sistema ortosimpatico potrà essere
considerato un’antagonista funzionale di un agonista esogeno o endogeno del sistema
parasimpatico.Questo tipo di antagonismo produce un effetto biologico in opposizione alla
sostanza che subisce l’azione dell’antagonista.
• Antagonismo farmacocinetico:l’antagonista effettivamente riduce la concentrazione
dell’agonista al sito d’azione.Su questo punto si tornerà per definirlo dal punto di vista dei
fenomeni farmacocinetici coinvolti,soprattutto parlando del metabolismo dei farmaci,visto
come la capacità di determinati farmaci di indurre il metabolismo,soprattutto a livello
epatico,nel senso di aumentare l’espressione degli enzimi coinvolti ne lla biotrasformazione
di altri farmaci avendo come risultato finale quello di aumentare l’efficienza delle reazioni
di biotrasformazione stesse,aumentando la velocità di eliminazione,in questo modo dal
punto di vista farmaco-cinetico a parità di dose avremo un minore tempo di permanenza del
farmaco nell’organismo a concentrazioni mediamente anche minori.Meno farmaco
nell’organismo per meno tempo quindi minore intensità dell’effetto e minore durata…anche
questa è una forma di antagonismo.
• Antagonismo indiretto:il farmaco antagonista non agisce direttamente sul recettore ma
agisce per esempio bloccando la via di trasduzione del segnale.
Torniamo ora al discorso dell’interazione recettoriale,bisogna qui operare una distinzione
importante,ci sono due aspetti ne l caso dell’azione dell’antagonista con il legame dell’agonista
sul recettore:1)se esiste una competizione diretta tra agonista ed antagonista per lo stesso sito di
legame(es.di due persone che competono per la stessa sedia);2)se il legame dell’antagonista con
il sito è reversibile o irreversibile.Sulla base di queste due considerazioni le diverse forme di
antagonismo recettoriale si suddividono in antagonismo competitivo e antagonismo non
competitivo,suddivisi entrambi in reversibile ed irreversibile.(6)
Questo da un punto di vista pratico ha una lieve rilevanza,tuttavia in farmacologia di base un
antagonista competitivo reversibile si comporta in maniera molto diversa nell’interferire con
l’azione di un agonista rispetto all’azione di un antagonista non competitivo o di un antagonista
competitivo non reversibile,perché da un punto di vista non soltanto teorico,per esempio
considerando un’antagonista competitivo (cioè competizione per lo stesso sito di legame) , la
competizione può essere risolta a livello della cosiddetta azione di massa .Es.della competizione
per la stessa sedia:in un 1vs1 vince il più “grosso”,intendendo con questo termine il ligando che
ha maggiore affinità per il sito di legame;però se il più “grosso” è da solo e si trova intorno tre
più “piccoli” potrebbe anche vedersi costretto a cedere il posto…a livello molecolare significa
che se noi aumentiamo la concentrazione della specie che è stata spiazzata dal legame,possiamo
ri-spiazzare l’occupante e rioccupare quel posto,a condizione di ave re la possibilità di
competere (cioè il ligando non deve essere “incollato alla sedia”,cioè legame covalente).Da un
punto di vista grafico vediamo qual è la conseguenza di questo tipo di interazione
competitiva,ritornando allo studio della curva concentrazione – risposta di cui si è parlato nella
lezione precedente:
n.b. qui va inserito il primo grafico della lezione
Si esprime l’intensità di risposta in termini di % di efficacia(in ordinata) in funzione della
concentrazione di agonista,espresso in Log base 10 (in ascissa).Ipotizzando di avere a che fare
con un agonista che in questo modello sperimentale X si comporti da agonista completo,avremo
così una curva concentrazione – risposta che inizierà a livello della minima concentrazione
efficace e che tendenzialmente avrà un andamento ad S italica,tendenzialmente rettilinea nella
parte centrale.La curva è costruita per esempio mettendo concentrazioni diverse dell’agonista.Il
processo in realtà è opposto e non si parte dalla curva,ovvero si studia l’ effetto medio di singole
concentrazioni crescenti di agonista fino a riunire tutti i punti sperimentalmente trovati ed a
trovare una curva anche esprimibile dal punto di vista matematico.Se ripetiamo lo stesso
esperimento in presenza di una concentrazione fissa di antagonista potremmo trovare che la
concentrazione 1,che precedentemente mi determinava una minima risposta peraltro
apprezzabile ora non mi determina alcuna risposta,a 10 che prima dava una risposta abbastanza
consistente in questo caso dà una risposta molto più bassa e così via,per arrivare ad una risposta
massimale sono costretto ad andare a concentrazioni molto più elevate. Risultato:la curva
concentrazione – risposta è stata spostata verso un intervallo complessivo di concentrazione
efficace che è più alto,ovvero ho bisogno di una quantità maggiore di farmaco per ottenere
lo stesso effetto che ottenevo in precedenza con quantità minori,questo perché la quantità
maggiore è dettata dalla necessità che ha l’agonista di competere con l’antagonista per
riconquistare una quota di recettori che se fosse stata libera avrebbe potuto essere occupata.Il
problema si sblocca a livello dell’affinità relativa tra agonista ed antagonista per lo stesso sito
recettoriale.Nei modelli più semplici,in vitro,si classifica un‘antagonista come competitivo per
esempio attraverso una valutazione funzionale in cui si osserva che la presenza di
concentrazioni crescenti di antagonista è in grado di spostare progressivamente verso destra la
curva concentrazione – risposta dell’agonista.
La presenza di un antagonismo competitivo tra due farmaci può anche essere indicato nella loro
posologia: in alcuni casi l’antagonismo viene effettivamente ricercato per bloccare l’azione
complessiva di un farmaco,un esempio è dato dai farmaci ansiolitici,i più importanti dei quali
oggi si comportano da co-agonisti,o più esattamente da modulatori positivi,di un
neurotrasmettitore che è il GABA,principale sostanza ad azione inbitoria a livello del SNC:la
prima scelta di questo tipo di farmaci è oggi costituita dalla classe delle benzodiazepine che si
comporta da modulatore positivo dell’azione del GABA sul suo recettore neuronale classificato
come A (il recettore GABA-A).Le benzodiazepine agiscono quindi a livello di questo recettore,
modulando positivamente l’azione inibitoria.Sono abbastanza ben tollerate,il sovradosaggio è
possibile in questi casi e dà una certa depressione a livello del SNC ma non è mai una
depressione seria se assunta da sola e non con altri depressori del SNC quali ad esempio
l’alcol(con rischio di interazione per sommatoria degli effetti al SNC);possono dare depressione
e forte sonnolenza,in ogni caso esiste la possibilità a fronte di un sovradosaggio di intervenire
con un antagonista recettoriale delle benzodiazepine che esplica la sua azione spiazzando le
benzodiazepine dal sito di sequestro,evidentemente è un utilizzo voluto.Altrettanto la tropina
(come antagonista muscarinico) che ha tutta una serie di impieghi tra i quali quello di essere
anche antidoto nell’intossicazione da sostanze che agiscono da colino -mimetici,ovvero mimano
l’azione dell’acetil-colina o aumentano l’azione della stessa.Tipiche sostanze di interesse
tossicologico che esplicano la loro azione attraverso un aumento dell’attività colinergica sono
per esempio gli insetticidi che possiedono alcune sostanze capaci di inibire un particolare
enzima,l’acetil-colina esterasi,che si occupa nelle sinapsi colinergiche di interrompere l’azione
dell’acetil-colina;questa si dice essere una maniera indiretta di aumentare l’attività dell’acetilcolina,un colino mimetico indiretto inibitore dell’acetilcolina-esterasi,perché l’acetil-colina in
questo modo non viene così rapidamente degradata e continua la sua azione oltre il tempo
fisiologico:il risultato pratico è l’aumento dell’intensità dell’azione dell’aceti-colina sia a livello
centrale che periferico nelle sinapsi colinergiche,non solo di tipo muscarinico.Anche i gas
nervini sono inibitori della colin-esterasi,la differenza con gli insetticidi è legata al fatto che gli
inibitori presenti in questi ultimi per uso domestico sono reversibili a bassa attività,mentre per
avere effetti più nocivi si utilizzano molecole accuratamente selezionate per essere degli
inibitori ad alta affinità,che di conseguenza agiscono a concentrazioni più basse,che si legano in
maniera irreversibile.Risultato pratico:danno molto maggiore,l’organismo deve essere sostenuto
nelle funzioni vitali.La tropina utilizzata come antidoto è suggerita proprio per interrompere
l’azione dell’acetil-colina.Tra i casi in cui vi sono controindicazioni nell’uso contemporaneo di
alcuni farmaci per i loro effetti,un esempio è dato dai farmaci utilizzati nel trattamento della
malattia di Parkinson rispetto ad alcuni farmaci utilizzati per il trattamento di malattie
psichiatriche .La malattia di Parkinson è una malattia neurologica,un disturbo neurodegenerativo,ovvero una degenerazione di determinate aree cerebrali:è un disturbo a livello
delle vie extra-piramidali perché la parte di SNC che degenera è uno dei nuclei che a livello
centrale,nella base dell’encefalo,ove ci sono alcuni nuclei di neuroni definiti gangli della base i
quali si trovano sulla via extra-piramidale e costituiscono dei relay di controllo e di
coordinamento dell’impulso extra-piramidale,che controlla i nostri movimenti somatici di natura
automatica,il coordinamento del movimento.La degenerazione a questo livello determina
un’incoordinazione extra-piramidale che poi clinicamente si manifesta con i segni tipici della
malattia.Le aree che degenerano contengono neuroni di natura dopaminergica,l’input
neurochimico che viene a mancare nella malattia è quindi di tipo dopaminergico!Allora questi
neuroni degenerano,viene a mancare la dopamina che va a finire su altri neuroni,per esempio di
natura colinergica ,che possiedono recettori dopaminergici che restano lì senza trasmettere
segnale.Il trattamento della malattia di Parkinson è prevalentemente sintomatico-sostitutivo (non
c’è ad ora un trattamento farmacologico in grado di bloccare o invertire la degenerazione),
manca la dopamina endogena e come si interviene allora?Si potrebbe ipotizzare di dare
direttamente la dopamina,ma bisogna ricordarsi che questa sostanza non attraversa la barriera
emato-cefalica (come diversi altri farmaci) e quindi non arriva a livello del SNC. In via teorica
si può somministrare una sostanza che agisca da precursore della dopamina (trattamento
sostitutivo),la dopa che attraversa la barriera emato-cefalica,ma questo discorso non ci interessa
più di tanto.Sulla base della farmacologia recettoriale invece i farmaci che in questo momento
per l’efficacia clinica che dimostrano sono la prima scelta nel trattamento della via di Parkinson
sono della classe degli agonisti per i recettori della dopamina, in grado cioè di stimolare quei
recettori che non sono più attivati dalla dopamina endogena che manca.Per quel che riguarda la
clinica psichiatrica invece vi sono alcune basi neuro- fisiopatologiche che indicano l’aumento
dell’attività dopaminergica a livello di alcune aree cerebrali,per es. a livello della corteccia prefrontale ove sono presenti recettori dopaminergici (anche per la serotonina),che non sono
quindi un’esclusiva dei gangli della base,e si vede clinicamente e sperimentalmente che uno
degli effetti indesiderati nel trattamento con farmaci anti-Parkinson,sia del tipo agonisti
dopaminergici che precursori della dopamina (la levodopa ad esempio),è un aumento
dell’attività dopaminergica a livello anche della corteccia pre-frontale,con risultato clinico di
manifestazioni distrofiche, allucinatorie sino a vere e proprie psicosi. Bisogna ricordare che la
somministrazione di un farmaco da una parte mima la quantità endogena che manca,ma non
soltanto a livello del suo sito d’azione,che nel caso della malattia di Parkinson sono i gangli
della base,ma quando si assume la compressa contenente quei 20mg di un certo agonista
dopaminergico questi,una volta disciolti in tutto l’organismo,servono a far raggiungere a livello
dei gangli della base una concentrazione tale da stimolare i recettori dopaminergici,ma più o
meno la stessa concentrazione è raggiunta in altri distretti,tra cui la corteccia pre- frontale dove
quindi ci sarà un’ulteriore stimolazione di recettori dopaminergici.Questo lungo discorso si
correla col fatto che in psichiatria invece uno dei principali presidi terapeutici per il trattamento
delle psicosi sono invece farmaci che inibiscono l’attività dopaminergica, antagonisti recettoriali
della dopamina,categoria dei neurolettici che hanno una certa affinità per tanti diversi recettori
ma l’affinità maggiore e soprattutto l’azione cui è dovuto il loro principale effetto clinico è
dovuta alla loro capacità di agire da antagonisti per i recettori dopaminergici .Ecco allora la
controindicazione relativa all’uso di antagonisti dopaminergici nella malattia di Parkinson.
Altro esempio è dato dai farmaci attivi sul cuore e gli antiasmatici.Sia sul cuore che muscolatura
liscia dei bronchi sono presenti recettori per la noradrenalina di tipo beta,la cui stimolazione a
livello bronchiale porta alla broncodilatazione per il rilasciamento della muscolatura liscia
(impiego clinico antiasmatico);a livello del cuore i recettori beta-adrenergici mediano l’effetto
della noradrenalina,può essere quindi utile utilizzare degli antagonisti beta-adrenergici sul cuore
per ridurre la frequenza cardiaca,come i beta-bloccanti utili per ridurre la componente cardiaca
della pressione arteriosa (cioè un uso dei beta-bloccanti come anti- ipertensivi),controindicazione
relativa all’uso di questa categoria di anti- ipertensivi nei soggetti asmatici come anti-asmatico
nei soggetti ipertesi.
Dopo questi esempi torniamo all’antagonismo non competitivo,nel quale,tornando al precedente
esempio della sedia,questa una volta occupata non può essere recuperata,come risultato pratico
non c’è più la possibilità da parte dell’agonista di arrivare al 100% della risposta massima,la
curva concentrazione – risposta non solamente si sposterà verso destra ma sarà anche
tendenzialmente più schiacciata,si riduce la potenza ma anche l’efficacia massima.
Grafico cartesiano
dell’antagonismo non comp.
Dalla curva concentrazione – risposta come sappiamo si possono ricavare alcune
informazioni,una è l’efficacia farmacologia intesa appunto come capacità di raggiungere
l’effetto massimo o una frazione dell’effetto massimo,l’altra informazione che si può ricavare è
quella legata all’intervallo di concentrazioni che si dimostrano efficaci,si può infatti avere la
stessa efficacia farmacologia da parte di due farmaci differenti,cioè raggiungere lo stesso livello
di risposta massima,ma per esempio un farmaco la può raggiungere per un certo intervallo di
concentrazioni mentre un altro farmaco la stessa efficacia la raggiunge per un intervallo di
concentrazioni maggiore.Allora si dice che questi due farmaci non differiscono per quel che
riguarda l’intensità di risposta ma differiscono per l’intervallo di concentrazioni a livello del
quale riescono ad evocare una risposta,definiscono cioè per un parametro che in farmacologia
viene definito potenza.
Grafico potenza e definizione
Se un farmaco riesce ad evocare una risposta molto intensa esso si dice essere un farmaco molto
efficace.Se poi riesce a farlo anche per concentrazioni molto basse allora si può anche dire che sia
molto potente.La potenza è una funzione più o meno correlabile all’affinità del farmaco per il
recettore,tanto più un farmaco è affine tanto più rischia di essere potente.Come il concetto di
affinità ed efficacia intrinseca sono relativame nte disgiunti,così il concetto di potenza ed efficacia
farmacologia,ci sono farmaci molto potenti ma poco efficaci e viceversa.Nei grafici di curve
concentrazione – risposta se abbiamo a che fare sempre con lo stesso sistema recettoriale la
pendenza della curva è sempre la stessa,quindi quando in farmacologia sperimentale troviamo due
curve che hanno la stessa pendenza possiamo ipotizzare che la risposta che osserviamo sia evocata
con lo stesso meccanismo.
Tornando alla potenza quindi un farmaco A si dice più potente di un farmaco B,con la stessa
funzione,perché il suo intervallo di concentrazione a livello del quale riesce ad evocare risposta è
minore.Solitamente la potenza non è così importante.La potenza può essere intesa come rapporto
risposta/concentrazione ,la potenza è un concetto che unisce la risposta con l’intervallo di
concentrazione nel quale la risposta stessa si manifesta,tanto è vero che come parametri quantitativi
per definire la potenza di un farmaco si prende più o meno arbitrariamente una concentrazione che
evoca un particolare livello di risposta,come per esempio la ED50,cioè dose in grado di evocare il
50% della risposta massima.Si può osservare il seguente grafico:
Questo tipo di misure si ritrovano soprattutto in studi sperimentali dove si deve costruire una curva
concentrazione – risposta completa,molto più difficilmente queste curve si possono costruire su
base clinica.Ciò che è veramente critico per un farmaco è l’efficacia,la potenza è relativamente
meno critica a cond izione che la dose maggiore non mi faccia perdere la selettività d’azione.Se io
con una dose maggiore ottengo la stessa intensità di risposta senza interferire con altri sistemi,che il
farmaco sia più o meno potente interessa relativamente poco.La potenza è più interessante per
riuscire a quantificare la selettività di un farmaco.Se un farmaco evoca una certa risposta in un
determinato intervallo di concentrazione e un’altra risposta diversa in un altro intervallo,si può
trovare che un determinato farmaco è più potente nei confronti dell’effetto A rispetto all’effetto B e
quindi possiede un grado di selettività verso l’effetto A rispetto al B che è anche quantificabile
attraverso un rapporto tra potenza su A/potenza su B,per esempio è 10 volte più selettivo per
l’effetto A rispetto a B quando quando l’effetto A è evocato a concentrazioni 10 volte inferiori
rispetto all’effetto B. Un esempio pratico lo vediamo nello schema seguente:
(9)
Questo grafico è un riassunto delle diverse potenze manifestate dalla iombina,farmaco classificato
come antagonista dei recettori alfa2-adrenergici,ha diversi usi eterogenei ma il più importante
riguarda i casi clinici di disfunzioni erettili su base vascolare perché il blocco dei recettori alfa2adrenergici ha un’azione di vasocostrizione ed è quindi in grado di agire a livello dei plessi
cavernosi;in termini di attività valutata attraverso la potenza che la iombina manifesta sui recettori
alfa2-adrenergici si vede che è la più elevata,la iombina mostra l’affinità maggio re per questi
recettori (il grafico mostra i dati ricavati dallo studio dell’interazione diretta della iombina con i
recettori),per concentrazioni così basse come 10 nanomolare,la iombina è già in grado di occupare il
50% dei recettori alfa2-adrenergici disponibili,ma non interagisce solo con questi,se la
concentrazione diventa abbastanza alta,per esempio soltanto di 10 volte maggiore,la iombina
comincia anche ad interagire con i recettori della serotonina e così via come si può vedere dal
grafico. A concentrazioni particolarmente alte comincia anche ad interferire con sistemi enzimatici
come le monoamino-ossidasi e le colinesterasi (dei quali diventa un bloccante) che sono impiegati
nella degradazione dell’acetilcolina e della noradrenalina e quindi da antagonista dei recettori
adrenergici si trasforma addirittura in un agente adrenergico indiretto.Quindi si vede come per
concentrazioni elevate potremmo assistere per paradosso a degli effetti simpatico-mimetici indiretti
in contrapposizione agli effetti simpatico- litici legati alla sua azione di antagonista dei recettori
alfa2-adrenergici.
Il seguente è un altro grafico altro tipo di farmaco (?) della stessa categoria della iombina,un
antidepressivo che agisce inibendo la ricaptazione della noradrenalina a livello dei recettori
adrenergici,ma in realtà l’azione per cui mostra maggiore potenza,la struttura verso cui ha maggiore
affinità è sui recettori dell’istamina di tipo 1 nei confronti dei quali agisce da blocco:questo effetto
si manifesta a concentrazioni 10 volte inferiori rispetto quelle per cui si ha un blocco della
ricaptazione di noradrenalina che poi è l’effetto di rilevanza clinica. L’assunzione di
antistaminici,usati per esempio nelle sindromi allergiche,porta sonnolenza,tantè che qualche medico
più o meno impropriamente utilizza gli antistaminici come blandi sedativi.Questo farmaco oltre a
essere antagonista per i recettori dell’istamina e inibitore della ricaptazione delle catecolamine a
concentrazioni più elevate riesce poi a bloccare recettori alfa2,alfa1,muscarinici.
Schermata 10
Questo tipo di considerazioni è possibile farle sulla base dello studio della curva concentrazione –
risposta ed è possibile così definire la potenza relativa di un farmaco nei confronti di diversi target,
sulla base della quale si può definire la finestra di selettività.Tornando all’esempio della
iombina,essa è un’antagonista dei recettori alfa2-adrenergici con una finestra di selettività che è di
un ordine di potenza 10,ovvero ha una selettività di 10 volte nei confronti di questo target rispetto a
quello immediatamente successivo.Quindi il concetto di selettività non è disgiunto da una
quantificazione della selettività stessa.
Torniamo alla definizione IUPHAR di potenza:
Schermata con la def.di potenza
Gergalmente il termine potenza è talvolta utilizzato anche per indicare l’effetto massimo ottenibile
che invece è sempre meglio definire con il termine efficacia per evitare ambiguità.La potenza lega
l’attività di un farmaco con l’intervallo di dose – concentrazione nel quale si manifesta l’attività
stessa,ed è utile per fare paragoni tra effetti diversi dello stesso farmaco oppure tra farmaci
diversi sullo stesso effetto.Si quantifica abbiamo detto attraverso parametri come la ED50
soprattutto negli studi di base,nel contesto clinico invece si può esprimere diversamente,per
esempio con la quantificazione di una dose in grado di ottenere una certa intensità di effetto ritenuto
clinicamente rilevante.Un esempio è dato dal confronto morfina – aspirina,con la prima (molto più
potente)che riduce la sensazione dolorifica (effetto clinico) per concentrazioni molto più basse
rispetto alla seconda.
Si parla anche della LD50,storicamente uno dei primi tentativi di quantificare la potenza di una
sostanza a partire da studi tossicologici e tuttora utilizzata in questo campo,in farmacologia si
utilizza nei primi studi sulle molecole da utilizzare per capire se il loro livello di tossicità sia
sufficientemente basso da poter essere poi utilizzata clinicamente.Si usa per valutare il potenziale
tossico della sostanza.Ci sono diversi parametri per valutare la tossicità:
q Acuta
q Sub-acuta
q Cronica
q Sub-cronica
Il più immediato è la tossicità acuta,che si ha per somministrazione di una singola dose di una
sostanza,gli altri invece sono conseguenti all’esposizione più o meno prolungate alla sostanza
tossica stessa.Nella tossicità acuta il parametro principale è dato dalla letalità,ovvero la quantità di
sostanza in grado di uccidere l’organismo esposto alla sostanza stessa.Di seguito le definizioni di
ED50 e LD50:
Gli effetti farmacologici possono essere graduabili d’intensità o possono essere del tipo “tutto o
nulla”:la prima di queste due forme di risposta è definita graduale,la seconda quantale.Le risposte
graduali possono peraltro essere trasformate in quantali.Mentre la curva concentrazione – risposta
per un effetto graduale è semplicemente la misurazione dell’intensità di risposta per ogni singola
concentrazione,nel caso di un effetto solo quantale la misurazione dell’intensità di un effetto diventa
la misurazione della frequenza con la quale a quel livello di dose quel determinato effetto si
manifesta nella popolazione esposta.Diventa una curva di frequenza di distribuzione,ad una data
concentrazione risponde una certa percentuale di soggetti esposti sino alla concentrazione in cui
risponde il 100% dei soggetti.
(Andrea M.)