DNA ricombinante e Biotecnologie (ingegneria genetica) prof. Paolo Marchesi …..siete pregati di non divulgare questo materiale senza il consenso dell’autore, grazie….. Figura 1 Photoshop o Biotecnologia ? Premessa: la complessità dell’espressione dei geni. Una nuova visione della genetica mendeliana Abbiamo già parlato del controllo dell’espressione dei geni e dei meccanismi che ne controllano l’espressione. A questo punto però potremmo approfondire il significato delle leggi di Mendel: che cosa sono in realtà gli alleli dominanti e recessivi ? Una teoria, oggi molto accreditata, sostiene che le forme alleliche compaiono in seguito a mutazioni di uno dei due locus sugli omologhi. La situazione di partenza prima della mutazione potrebbe essere una di queste due: 1) Due loci identici sui due omologhi che ospitano due geni permanentemente inespressi 2) Due loci identici sui due omologhi che ospitano due geni entrambi normalmente espressi Nel primo caso (A) si tratterebbe di zone di DNA inutili. Teoricamente potrebbero anche codificare una proteina ma ciò non avviene. La cellula non avrà quindi le eventuali proteine codificate dal quel gene potenziale e , conseguentemente, nemmeno il fenotipo corrispondente. Nel secondo caso (B) la cellula produce le proteine previste dal gene. Essendo presente in forma identica sui due cromosomi il quantitativo di proteine prodotte risulta raddoppiato: è un tipo di amplificazione genica. Se accade una mutazione in uno dei due loci potremmo avere: 1) Nel primo caso (A) una mutazione potrebbe rendere il gene attivo (ad esempio potrebbe rendere una certa zona del locus capace di interagire con fattori di trascrizione, proteine rimodellanti ecc.). Ora quel locus potrebbe produrre una proteina (quindi un nuovo fenotipo) che prima della mutazione non era presente. Se la mutazione viene trasmessa alle generazioni successive quella nuova forma allelica sarà la forma dominante. 2) Nel secondo caso (B) una mutazione potrebbe semplicemente disattivare uno dei due geni. In questo caso il gene mutato diverrebbe la forma allelica recessiva. L’allele non mutato potrebbe costituire la forma dominante se il quantitativo di proteina prodotta è comunque sufficiente a garantire la piena espressione del fenotipo mentre potrebbe dar luogo a dominanza incompleta se il quantitativo prodotto non fosse sufficiente. 3) Sempre nel secondo caso (B) la mutazione potrebbe lasciare i due geni entrambi attivi ma il gene mutato produrrebbe una proteina diversa da quella originaria. Se le proteine prodotte non interagiscono fra di loro si potrebbe avere un caso di codominanza. Nel caso di interazioni fra la nuova proteina e la vecchia avrebbe luogo una casistica ulteriormente complicata ma sempre con effetti riconducibili alle varianti sopra riportate. Lo sviluppo delle strutture anatomiche nel regno animale. Nel percorso evolutivo del regno animale si nota la comparsa di alcune caratteristiche fondamentali quali ad esempio: la simmetria la ripetitività o la similitudine di alcune zone corporee lungo l’asse antero-posteriore (es. metameria, ben evidente negli stadi embrionali) Ma come possono essere spiegati questi eventi a livello genetico ? in primo luogo occorre tenere presente che nel DNA eucariote possono esistere più copie di uno stesso gene (amplificazione genica). In alcuni casi interi box genici sono replicati lungo l’asse del cromosoma (per spiegare come questo sia potuto avvenire vedi trasposoni complessi) e questo comporterebbe la ripetizione dei fenotipi corrispondenti (fonte wikipedia/omeobox/mutazioni).Negli animali metamerici l’evoluzione procede da organismi con metameri praticamente uguali (es anellidi) verso altri organismi con metameri ben differenziati (es. insetti). Questo è spiegabile con diversi processi che potrebbero influenzare l’espressione dei geni quali: 1) mutazioni di alcuni geni delle varie copie (porta alla differenziazione dei metameri) 2) splicing alternativo degli RNA prodotti in funzione della posizione del segmento corporeo (ad esempio la formazione delle ossa del carpo/metacarpo/falangi) 3) Inespressione di alcuni dei geni del gruppo, sempre in funzione della posizione del segmento 4) Geni non replicati ma che vengono espressi solo in alcuni metameri (es. ghiandole escretorie degli anellidi). La simmetria sarebbe invece controllata da un ridotto gruppo di geni in grado di determinare, in ciascun segmento corporeo una parte destra e una parte sinistra del segmento. In pratica lo sviluppo dei gruppi cellulari in ciascun lato del corpo sarebbe riferito agli assi cefalo/caudale e dorso/ventrale (es, se pensiamo alle mani aperte col palmo avanti, il pollice si forma nella parte più distale rispetto all’asse cefalo/caudale, la base è verso la parte dorsale e si sviluppa in direzione ventrale). I geni HOX e gli HOMEOBOX. Nello sviluppo degli embrioni di moltissimi animali (uomo compreso) intervengono alcuni geni in grado di determinare le caratteristiche anatomiche di varie parti del corpo (morfogeni). Lo sviluppo del corpo sembra però seguire un ordine “gerarchico” con geni che codificano i fattori di trascrizioni di altri gruppo di geni. Un gruppo importante di geni di questo tipo sono i geni HOX1. Questi geni sono accomunati dal fatto di possedere sempre una sottoregione uguale in tutti, chiamata HOMEOBOX formata da 180 paia di basi2. Questa sequenza codifica una sequenza di 60 AA che è comune quindi a tutti i geni HOX. I geni HOX comunque producono dei fattori di trascrizione in grado di attivare i diversi morfogeni nell’embrione. Pertanto i geni HOX controllano, in qualità di geni selettori, l'espressione dei geni bersaglio (geni target, altrimenti detti geni realizza tori). 1 Esistono anche altre famiglie geniche con la stessa funzione es PAX, ZnF e altri. Alcuni autori includono anche questi geni nell’insieme HOX anche se non hanno la sottoregione HOMEOBOX 2 La presenza di una regione uguale in molte specie animali molto diverse fra di loro sta ad indicare che questi geni sono comparsi molto presto nella filogenesi degli animali La manipolazione del genoma Dopo aver compreso i meccanismi che stanno alla base dell’espressione dei geni e dopo aver scoperto le caratteristiche della sintesi proteica e l’universalità del codice genetico, l’uomo ha iniziato a manipolare questi meccanismi nel tentativo di ricavarne qualcosa di interessante. Le principali modalità di intervento sono: 1) Inattivazione di geni (knockout) o attivazione di geni normalmente spenti (knockin) 2) Trapianto di geni da un organismo all’altro. 3) Ricerca di sequenze geniche, sequenziamento del DNA e genoteche 4) Creazione di copie multiple di DNA 5) Impronta genetica del DNA Il Knock out genico (geni knock out) Figura 2 Topo knockout (da wikipedia) e gemello “normale” Con questo termine si intende semplicemente l’inattivazione di un gene. Questo può avvenire con diverse modalità: 1) Interruzione di un gene con dna estraneo. Questo può avvenire attraverso l’utilizzo di virus (spesso a loro volta modificati per renderli innocui) oppure con l’uso di trasposoni. L’azione operata dai trasposoni può essere reversibile (il gene può essere riattivato) mentre in altri casi il knockout genico è permanente. La foto delle pannocchie di mais ad inizio capitolo documenta gli effetti dei trasposoni sull’attivazione/disattivazione di geni che pigmentano la buccia del chicco 2) Sostituzione di un gene con modalità taglia/incolla. In questo caso è necessario preparare una copia del gene per poi taglincollarlo sul dna. Gli strumenti principalmente utilizzati sono dei vettori per dna verso il nucleo quali virus (sfruttando la trasduzione) , elettroporazione (aumento della permeabilità delle membrane con scariche elettriche) e particle gun (letteralmente, “sparo di particelle” ) ovvero l’utilizzo di micro proiettili in oro/platino su cui vengono depositate copie di geni, lanciati ad alta velocità verso il nucleo, microiniezioni (aghi microscopici), liposomi (sferule a doppio strato fosfolipidico contenenti acqua e DNA all’interno) Una volta presente il gene nel nucleo si interviene con tecniche di ricombinazione omologa sito specifica. In pratica vengono utilizzati gli stessi enzimi del crossing over (per gli eucarioti) o della trasformazione batterica (nei procarioti). Sono importanti le sequenze di inizio/fine che identificano il gene. La sostituzione “mirata” del gene è detta anche gene targeting. Per quanto riguguarda il knockin genico, si tratta semplicemente del processo opposto volto a riattivare dei geni “spenti”. Per questa modalità le tecniche utilizzate sono essenzialmente quelle al punto 2 prima descritto. Tecniche di Knockout e Knockin sono usate anche in medicina per la cura di malattie genetiche la dove sia possibile intervenire sulla malattia silenziando o attivando dei geni (es. oncogeni e geni oncosopressori) Il trapianto di geni fra organismi. Con queste modalità si ha l’aggiunta di geni oppure la sostituzione di un gene con uno proveniente da un altro organismo. Prendiamo in considerazione tre casi: 1) Aggiunta di un gene procariote ad un altro procariote 2) Aggiunta di un gene eucariote ad un procariote 3) Aggiunta di un gene eucariote ad un altro eucariote 4) Aggiunta di geni da procariote ad un eucariote Caso 1: geni da procariote a procariote. Occorre individuare la sequenza genica da estrarre (vedi oltre paragrafo sequenziamento). Questa viene poi tagliata grazie a specifici enzimi di restrizione (chiamati anche nucleasi di restrizione) a taglio asimmetrico. Questi enzimi sono altamente sitospecifici cioè agiscono su precise sequenze. Questo è possibile perché i geni sono preceduti e seguiti da sequenze ripetitive (molto comuni negli eucarioti, meno comuni ma presenti anche nei procarioti) Il taglio asimmetrico (vedi figura) fa si che si creino delle estremità “spaiate” dette estremità coesive. Il frammento genico con estremità coesive tenderà a richiudersi su se stesso e a formare un plasmidio. A questo punto il plasmidio può essere trasferito in un batterio differente. Questi potrà includerlo attraverso i normali processi di inclusione del dna plasmidico tipici della coniugazione batterica. Oltre che la semplice aggiunta di geni, processi di questo tipo possono servire anche alla sostituzioni di geni simili se le sequenze sito specifiche dei geni sono uguali (vedi ricombinazione omologa). Tecniche di questo tipo sono già molto in uso per creare ceppi batterici specializzati in alcune attività utili all’uomo come ad esempio, il risanamento degli ambienti inquinati. Molti batteri possiedono la capacità di metabolizzare diverse sostanze dannose per l’ambiente (plastica, petrolio, DDT, diossina e molti altri inquinanti chimici) e di ridurle a sostanze semplici come la CO2 o composti azotati non particolarmente dannosi per l’ambiente. Spesso però questi batteri non hanno la capacità di vivere in quell’ambiente (per questioni di clima, ossigeno, salinità delle acque ecc. ecc). Diventa così interessante il trasferimento delle caratteristiche metaboliche da batteri specializzati, normalmente viventi in altri ambienti (alloctoni) verso quelli normalmente presenti in quell’ambiente (autoctoni) o viceversa il trasferimento di fattori di resistenza dai batteri autoctoni verso gli alloctoni specializzati. Sistemi di questo tipo sono largamente impiegati per il biorisanamento da inquinamento petrolifero. Caso 2: geni da eucariote a procariote. Rispetto al caso precedente possono esserci difficoltà maggiori in fase di estrazione del gene dal genoma poiché il semplice taglio di una parte del dna eucariotico non sempre è funzionale dato che i geni eucaristici contengono gli introni. Per saltare questo passaggio occorre isolare direttamente l’RNA corrispondente ad una certa proteina prodotta (in fase di sintesi di quella proteina il suo RNA potrebbe essere presente in molte copie) quindi dal RNA si ricava il DNA corrispondente attraverso l’uso della trascrittasi inversa per creare il filamento di dna singolo. Quindi si interviene con le DNA polimerasi per creare il filamento complementare. In molti casi sono necessarie ulteriori rielaborazioni per rendere in DNA pienamente compatibile (es. metilazioni). Una volta ricavato il DNA (che non contiene introni dato che deriva dall’RNA maturo) occorre inserirlo in un plasmidio batterico già esistente: per farlo basta tagliare il plasmidio con enzimi di restrizione (in alcuni casi eliminando il gene presente nel plasmidio e in altri casi no) quindi ricucirlo grazie all’uso di ligasi. Una volta pronto il plasmide questo può essere portato all’interno del batterio. I processi di inclusione del plasmidio sono gli stessi del caso 1. Con queste tecniche è possibile creare ceppi batterici in grado di produrre enzimi e proteine eucariotiche utili all’uomo come ad esempio: La produzione di farmaci quale l’insulina e l’ormone della crescita umani Sostanze di notevole interesse industriale come la rennina (il caglio) molto importante nell’industria casearia, l’acido citrico, enzimi utilizzati nella lavorazione dei tessuti (effetto stone washed dei jeans) e molto altro ancora. Caso 3 geni da eucariote a eucariote: in questo caso ci sono due aspetti aggiuntivi da considerare: la presenza della membrana nucleare e il fatto che il gene, una volta incluso, venga poi espresso. In merito al primo aspetto è importante la scelta del vettore (virus, elettroporesi, microiniezioni, liposomi, particle gun). Oltre che la capacità di superare sia la membrana cellulare che quella nucleare, la scelta del vettore è influenzata anche da altri fattori, come la presenza della parete, il numero di cellule che devono essere modificate ecc. Ad esempio un vettore come la microiniezione risulta un metodo semplice ed economico ma poco adatto se occorre intervenire contemporaneamente su molte cellule. Per quanto riguarda l’espressione del gene diventa importante aggiungere al gene le giuste sequenze promotrici e collocarlo in punti del DNA che vengano despiralizzati dalle proteine rimodellanti (vedi espressione dei geni). Questo aspetto non rappresenta un problema se il gene nuovo va a sostituirne un altro ma lo diventa nel caso il gene venga effettivamente aggiunto. La creazione del frammento genico dell’organismo donatore può avvenire sia per trascrizione inversa dell’RNA che per semplice taglio attraverso enzimi di restrizione del suo DNA. In questo secondo caso si dovrà verificare che la maturazione del trascritto primario di RNA avvenga poi correttamente. Una volta giunto nel nucleo il DNA viene incluso sfruttando ancora tecniche di ricombinazione omologa oppure semplicemente inserito nel cromosoma attraverso l’uso di enzimi di restrizione sito specifici e di ligasi. Tecniche di questo tipo sono state utilizzate per creare organismi OGM in campo agroalimentare. Ad esempio: Salmoni OGM a crescita molto rapida sostituendo il gene che codifica l’ormone della crescita con quello di un’altra specie (la crescita dei salmoni si arresta in lunghi periodi dell’anno in funzione della temperatura e dei cicli notte/di mentre quella dell’altro pesce no) Varietà di riso resistente ad attacchi batterici (aggiungendo il gene di una varietà di riso selvatico resistente) Varietà di riso irrigabili con l’acqua salmastra (aggiungendo il gene che neutralizza il sale di una pianta alofita) Varietà di piante resistenti ai pesticidi: in questo modo le coltivazioni possono essere trattate con pesticidi in grado di eliminare le erbe infestanti ma non le piante coltivate. Figura 3 a) confronto fra salmoni OGM e non OGM b) pianta di tabacco luminescente per aggiunta del gene Luciferasi. la manipolazione in questo caso fu solo a scopo dimostrativo. Caso 4 geni da procariote a eucariote: In questo caso sono presenti i problemi già incontrati nei casi precedenti (taglio di un gene dal DNA procariotico, trasporto nel nucleo, inserimento e controllo dell’espressione genica). Per far fronte alle carenze di vitamina A, molto frequenti in popolazioni che si nutrono quasi esclusivamente di riso, è stata prodotta una varietà di riso (Golden Rice) ricca di Beta Carotene (il precursore della vitamina A) impiantando nel riso un gene di narciso (un pianta giallo/arancione) oppure di mais e un gene di un batterio del suolo (ewinia). Altro utilizzo del trasferimento eucariote/procariote è quello connesso alla realizzazione di genoteche (banche di geni). Come verrà spiegato nel prossimo paragrafo. Ricerca di sequenze geniche, sequenziamento del DNA e genoteche Le attività di sequenziamento sono importanti sia per conoscere la posizione e la sequenza dei geni. I metodi più diffusi usano dei sistemi chimici per l’analisi del DNA dopo che questo è stato marcato con isotopi radioattivi e ridotto in brevi frammenti usando sempre enzimi di restrizione. Altro aspetto, per certi aspetti simile, riguarda la possibilità di sapere se una certa sequenza sia presente o meno in un DNA. Ad esempio, nella diagnosi di malattie genetiche, se è nota la proteina che causa una certa malattia, è possibile risalire all’RNA corrispondente. Poi è possibile con opportune tecniche, verificare se il segmento di RNA corrispondente alla proteina, sia in grado o meno di legarsi al DNA (formazione di un ibrido DNA/RNA). In caso affermativo il gene che causa la malattia risulta presente. Una volta individuati i geni di un organismo, se si rende necessario renderli prontamente disponibili, è possibile realizzare una genoteca (una banche di geni). In pratica singoli geni di DNA eucariote vengono isolati e trapiantati in ceppi batterici vivi. I geni possono essere costituiti da “frammenti” di DNA originario oppure da DNA complementare (cDNA) ottenuto per retrotrascrizione. Questi geni non verranno mai espressi (mancano i fattori di trascrizione) ma sarà possibile in qualsiasi momento “estrarre” una copia del gene dal ceppo batterico poiché nella riproduzione i batteri replicheranno, oltre al proprio DNA anche il gene impiantato. Le genoteche consistono quindi in numerosi ambienti di coltura batterica ciascuno dei quali custodisce un determinato gene. Creazione di copie multiple di DNA Spesso è necessario effettuare numerose copie di frammenti di DNA. Esistono fondamentalmente due metodi, la clonazione del DNA (lungo e costoso) e la PCR (Polymerase Chain Reaction). Quest’ultima è rapida ed economica ma comporta la conoscenza di sequenze iniziali e finali del DNA. Per la realizzazione della PCR occorre predisporre una o più provette contenenti una soluzione salina in acqua ad un opportuno pH, a cui si aggiungono, una sola volta ad inizio operazione, i seguenti “ingredienti”: 1) il segmento da duplicare, anche in piccolissime quantità. Brevi segmenti (segmenti primer o inneschi) di RNA (o anche di DNA in alcuni casi) complementari alla parte iniziale di ciascuno dei due filamenti del DNA (del lato 3’ di ciascuno dei due). Tali segmenti non devono mai essere più brevi di 16 basi, in genere sono lunghi poche decine di basi. Per questo motivo è necessaria la conoscenza delle sequenze iniziali. 2) Quantitativi opportuni di nucleotidi liberi (A,T,C,G). 3) Un enzima Taq Polimerasi. Si tratta della DNA polimerasi di un batterio (Thermus aquaticus) in grado di resistere anche a temperature vicine all’ebollizione dell’acqua Operativamente la PCR viene realizzata mettendo la provetta all’interno di un semplice dispositivo chiamato Termociclatore. Questi ripeterà in sequenza le seguenti operazioni 1) La provetta viene portata ad una temperatura tale da denaturare il DNA e separare i due filamenti. In genere 95 C° (fase di denaturazione) 2) La temperatura viene abbassata (in genere fino a 55 C°) in modo da permettere ai primer di attaccarsi alle due estremità dei due filamenti separati (fase di inanellamento). 3) Una volta attaccato il primer, la Taq. DNA polimerasi potrà attaccarsi al filamento incompleto e completarlo in direzione 35. Entrambi i filamenti vengono così duplicati. 4) Al termine del ciclo il numero di filamenti è raddoppiato rispetto a quello iniziale. Il ciclo riparte dal punto 1 e si ripete numerose volte. Dopo N cicli il numero di copie sarà 2N volte quello iniziale. Impronta genetica del DNA In alcuni casi è necessario verificare il grado di similitudine fra DNA. Occorre tenere presente due principi guida: 1) Se due campioni di DNA provengono dalla stessa persona sono identici (con affidabilità superiore alle impronte digitali o al riconoscimento fotografico) tanto che si parla di impronta digitale genetica (DNA fingerprinting) 2) Tanto più due individui sono filogeneticamente vicini, tanto più i loro DNA saranno simili con diverse zone uguali Per spiegare la tecnica del fingerprintig supponiamo di applicarla ad un caso forense: sulla scena di un crimine viene rinvenuto un campione di DNA del potenziale assassino (es. unghie della vittima, saliva sui vestiti, capelli, sudore sull’impugnatura dell’arma ecc. ecc) e occorre confrontarlo con tre persone sospettate. Per farlo si utilizza appunto la tecnica del DNA fingerprinting, che consiste nelle seguenti fasi: 1) Fase preliminare:il campione di dna viene riprodotto in numerose copie con la tecnica PCR , sia perche l’esame necessita di numerose copie del filamento sia perché è importante avere sempre il DNA originario per eventuali future controprove. 2) Vengono preparate 4 provette contenenti una soluzione acquosa: una con il DNA della scena del crimine e una ciascuno con il DNA dei sospettati. 3) Viene preparato un mix di enzimi di restrizione. 4) Vengono aggiunte poche gocce dello stesso mix a ciascuna provetta: trattandosi di DNA diversi, verranno tagliati in punti diversi dagli enzimi di restrizione:si formeranno frammenti di DNA di lunghezza diversa. 5) A questo punto si utilizza una camera (o piastra) per elettroforesi. La camera è un dispositivo elettrico formato da due zone a carica opposta separate da un gel di Agarosio. Il Gel è suddivisibile in corsie e ad inizio di ciascuna corsia viene scavato un pozzetto dove viene aggiunta un po di soluzione del DNA delle provette. Ciascuna provetta avrà la propria corsia. 6) La camera viene “accesa” e si vengono a creare due zone a carica opposta. Poiché il DNA ha un eccesso di cariche negative (dovute ai gruppi fosfato) tenderà a migrare verso il polo opposto (+) 7) Poiché i frammenti di DNA hanno lunghezze diverse, quelli più brevi e leggeri si muoveranno con maggior velocità. Quando, dopo un certo tempo, l’alimentazione viene interrotta, i frammenti di uguale lunghezza (ricordare che il dna era in molte copie) si depositeranno in una ristretta zona della corsia formando delle “bande . 8) Le bande possono essere trasferite su carta (con metodi chimici o fotografici) per una analisi più agevole. Se due DNA sono identici formeranno la stessa sequenza di bande perché saranno tagliati in segmenti di lunghezza corrispondente. La tecnica del fingerprinting è utilizzata soprattutto in ambito giudiziario. Una variante di questa tecnica, permette anche di confrontare dei DNA parentali perché intere sezioni di DNA saranno comuni ai soggetti imparentati. Più è stretto il legame, maggiori saranno le similitudini. Oltre che l’ambito giudiziario (vedi caso Yara Gambirasio), la compatibilità parentale è utilizzata nei test di paternità/maternità, nello studio genetico delle popolazioni, in archeologia, in zoologia (affinità fra specie). In questo caso il test viene effettuato soprattutto sul dna mitocondriale Biotecnologie non ricombinanti La clonazione di un mammifero Negli ultimi anni sono state messe a punto delle tecniche per effettuare la clonazione di un organismo evoluto (es. un mammifero). Molto noto è il caso della pecora Dolly che verrà qui utilizzato a titolo di esempio. Il principio su cui si basa la clonazione è abbastanza semplice: una cellula uovo (quindi con la superficie compatibile con l’ambiente uterino) viene privata del nucleo (N) che viene poi sostituito con un nucleo 2N di una cellula staminale tratta da un organismo adulto. Questa nuova cellula si svilupperà come se fosse un uovo fecondato ma non essendoci stata la meiosi (avviene nella formazione dei gameti, non nelle cellule somatiche) il DNA della cellula staminale sarà lo stesso di tutte le cellule somatiche dell’organismo donatore della cellula staminale Dal punto di vista pratico sembra interessante la possibilità di clonare animali particolarmente predisposti per alcuni attività, es. i cavalli da corsa. Gli organismi chimera Nel dicembre 1954 il chirurgo statunitense Joseph E. Murray eseguì il primo trapianto di organi umani prelevando un rene da un donatore per trapiantarlo sul suo gemello affetto da una grave malattia renale. Pochi anni dopo, sempre in dicembre ma nel 1967, il chirurgo Christiaan Barnard effettuò il primo trapianto di cuore. Negli anni successivi la chirurgia ha compiuto passi da gigante nella chirurgia dei trapianti: cuore, reni, fegato, pancreas, cornea, midollo osseo, pelle e persino arti. Ma davanti a questi progressi si pone un importante ostacolo: la compatibilità fra tessuti è molto difficile. Se infatti un tessuto estraneo non viene riconosciuto come appartenente al corpo, le cellule del sistema immunitario tenteranno di distruggere le cellule dell’organo trapiantato creando il fenomeno del rigetto. Nel caso del primo trapianto, trattandosi di gemelli omozigoti, il problema non sussisteva dato che si trattava di due individui geneticamente identici. Oggi l’unica soluzione per superare l’ostacolo della compatibilità è quella di cercare fra un numero elevato di donatori nella speranza di trovare l’organo compatibile. La ricerca sta cercando però altre strade come quella di far crescere organi umani direttamente su animali. Questa metodologia prevede la formazione di un organismo chimerico ovvero una portatore di linee cellulari di due specie diverse. Questa tecnica si baserebbe sui seguenti passaggi: 1) Sull’embrione animale si silenziano i geni che porterebbero allo sviluppo di un organo (esempio pancreas) 2) Si lascia sviluppare l’embrione animale fino allo stadio precedente agli abbozzi del pancreas (stadio di blastocisti) 3) Nella blastocisti animale vengono iniettate cellule staminali umane. Il queste cellule il gene del pancreas è attivo. 4) Si impianta l’embrione chimerico in una madre (animale) surrogata fino al completo sviluppo: Nascerà così un animale chimera portatore di un organo umano disponi bile per un eventuale trapianto.