Review n. 2 – Italus Hortus 12 (4), 2005: 79 - 92 Trasformazione genetica delle piante da frutto: risultati, applicazioni e sperimentazione Bruno Mezzetti1* e Alessandra Gentile2** 1 Dipartimento di Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle Marche, Via Brecce Bianche, 60131 Ancona 2 Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari, Università di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania Ricevuto 29 luglio 2005; accettato 12 agosto 2005 Genetic transformation o f f r u i t crops: results, applications and research Abstract. The recent evolution of molecular biotechnology has promoted the development of new DNA recombinant technologies with important perspectives of application on agricultural systems and food industries, but at the same time opening a controversial discussion on their risks and benefits for the environment and the consumers. These novelties for the agriculture and food industries have induced European and National institutions to identify specific and restricted rules. Field trials are a prerequisite for the assessment of risks and benefits of any new genetically modified plants, and as a consequence, for market approval. Although the commercial production of transgenic annual crops is a reality, commercial genetically-engineered fruit trees are still far from common. At research level, for several fruit crops were achieved important results particularly for the improvement of disease resistance (fungi, bacteria, virus and insects, plant habitus control, fruit set and quality). In 10 years of GMOs field trial notification, a peculiarity of our country was the research activity carried out on many fruit (cherry, kiwi, strawberry, raspberry, olive, table grape). The future of genetic transformation as a tool for the breeding of fruit trees requires the development of genotype-independent procedures, based on the transformation of meristematic cells with high regeneration potential and/or the use of regeneration-promoting genes. Now we have the important need to implement research trial notifications in the EU countries and to create a National and European network for the larger and coordinated activities related to the assessment GM plants risk and benefits. Key words: genetically-engineered fruit trees, regeneration and transformation protocols, disease resistance, plant habitus, fruit quality, GMO rules. Introduzione Il miglioramento genetico delle piante arboree da frutto è spesso ostacolato da numerosi aspetti connessi alle caratteristiche biologiche riscontrabili in molte specie, tra le quali il lungo ciclo riproduttivo, la prolungata fase giovanile, l’elevata eterozigosi e la complessa biologia fiorale, che rendono particolarmente lungo e oneroso il perseguimento di obiettivi specifici attraverso le tecniche convenzionali, quali l’incrocio e la selezione. La trasformazione genetica presenta potenzialità enormi per la realizzazione di specifici programmi di miglioramento genetico, principalmente perché consente di superare molti dei limiti sopradescritti. Inoltre, dal momento che le specie arboree da frutto vengono propagate attraverso metodi di propagazione agamica, la diffusione di un valido clone transgenico può avvenire rapidamente dopo la sua costituzione. Le potenzialità della trasformazione genetica sono anche legate alla capacità di modificare geneticamente cultivar economicamente valide, spesso frutto di un lungo lavoro di selezione, ma che risultano non idonee per specifici caratteri (per esempio, la suscettibilità ad un patogeno). Accanto, tuttavia, alle potenzialità offerte, l’applicazione della trasformazione genetica, volta all’ottenimento e all’utilizzazione di organismi “migliorati” impiegabili in diversi settori produttivi, suscita dubbi e perplessità, solo raramente supportati da adeguate conoscenze scientifiche. La diffusione commerciale di varietà geneticamente modificate (GM) ha finora interessato solo alcune specie erbacee di ampio interesse agronomico (mais, soia e cotone), mentre per le piante da frutto l’utilizzo è sporadico. In questi ultimi anni la superficie mondiale dedicata alla coltivazione di piante GM ha visto un continuo incremento, superando nel 2004 i 70 milioni di ettari (http://www.isaaa.org/kc/). *[email protected] **[email protected] 79 Mezzetti e Gentile Con riferimento alle specie frutticole, la sola pianta da frutto GM coltivata (ora più del 50% della produzione mondiale) è la papaia (Carica papaya L.) resistente al PRSV (Papaya ringspot virus) (Alston, 2004, www.agibios.com). Nella consapevolezza che la problematica dell’accettazione delle piante transgeniche deve essere necessariamente legata ad una corretta analisi beneficio/rischio (Bassi et al., 2005) e che risulta difficile una trattazione onnicomprensiva delle recenti acquisizioni delle attività di ricerca, obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare alcuni risultati sin qui ottenuti nel settore della trasformazione genetica delle piante arboree da frutto, sottolineandone anche le problematiche specifiche relative alla loro costituzione. Verrà inoltre analizzata la situazione relativa alla normativa nazionale secondo l’impostazione definita da quella comunitaria, per il trasferimento, dal laboratorio al campo, delle ricerche su piante GM. I risultati della trasformazione genetica nelle specie da frutto L’applicazione delle tecniche di ingegneria genetica è già stata dimostrata in diverse specie da frutto. Molti lavori sono stati pubblicati sulla messa a punto di metodi e sul miglioramento dell’efficienza delle tecniche di trasformazione, utilizzando solo geni marcatori e riportando solo l’integrazione di geni con un putativo effetto positivo, ma senza fare una valutazione dell’effetto sulle piante trasformate in ambiente confinato e in campo. In questa sede si è pensato più opportuno riportare una descrizione sintetica dei risultati ottenuti da sperimentazioni su piante da frutto che hanno dimostrato il trasferimento di geni ed anche un loro effetto di interesse biologico e applicativo. Di seguito e nella tabella 1 vengono sintetizzati i risultati ottenuti per i caratteri di attuale maggiore interesse. Geni che conferiscono resistenza a stress biotici L’ottenimento di nuove varietà resistenti alle malattie, della pianta e del frutto, è il principale obiettivo di molti programmi di ricerca ed è considerata la strategia più interessante per una frutticoltura sempre più a basso impatto e con maggiori garanzie di qualità delle produzioni. A livello sperimentale sono già state dimostrate applicazioni per patogeni e parassiti che interessano le maggiori specie frutticole diffuse nelle nostre coltivazioni. • Resistenza a funghi. Il risultato più recente e di maggiore interesse è l’isolamento e il trasferimento in una varietà commerciale di melo 80 (‘Gala’) del gene HcrVf2, per indurre resistenza alla ticchiolatura, causata da Venturia inaequalis. Il gene impiegato è omologo ai geni di resistenza di Clamidosporum fulvum ed è originato dalla regione del gene Vf derivato dalla specie selvatica di Malus floribunda 821 (Belfanti et al., 2004). Tale risultato è di grande valenza perché consentirebbe una più facile accettabilità delle piante GM da parte dell’opinione pubblica, dal momento che non sono stati impiegati geni esogeni. Le prime valutazioni in serra hanno dimostrato l’effetto di questo gene nel determinare una maggiore tolleranza dei cloni GM ad infezioni con V. inaequalis. Sempre per la resistenza alla ticchiolatura in melo sono in sperimentazione anche linee transgeniche per il gene della puroindoline B (pinB) da frumento (Faize et al., 2004) e per i geni delle chitinasi isolati da Trichoderma spp. (Bolar et al., 2000; Faize et al., 2003). In quest’ultimo caso l’acquisizione di una certo livello di resistenza è stata accompagnata da una riduzione dello sviluppo delle piante (Bolar et al., 2000). In arancio dolce è stata indotta resistenza a Phytophthora citrophthora utilizzando geni che esprimono proteine antifungine e, precisamente, il gene per la proteina P23 di pomodoro (PR-5) simile all’osmotina. Il livello di resistenza ottenuto è stato assai diverso nelle linee transgeniche ottenute anche se per una di esse non sono stati riscontrati sintomi della malattia anche dopo 6 mesi dall’infezione (Fagoaga et al., 2001). Recentemente, sono state costituite linee transgeniche di limone per la resistenza a Phoma tracheiphila, agente del malsecco, utilizzando il gene per la chitinasi isolato da Trichoderma harzianum. Le linee ottenute hanno dimostrato un più elevato grado di tolleranza a P. tracheiphila e a Botrytis cinerea sia in vitro che in vivo (Gentile et al., 2004) senza manifestare alterazioni del fenotipo diversamente da quanto riscontrato in melo trasformato con lo stesso gene (Bolar et al., 2000). Il gene RCC2 che codifica per chitinasi è stato introdotto nella cv ‘Neo Muscat’ di vite (Yamamoto et al., 2000) e per lo stesso obiettivo geni che codificano per altri enzimi litici sono stati inseriti nella cv ‘Thompson seedless’ (Scorza et al., 1996). Altre varietà di vite da vino trasformate con geni che codificano proteine ad attività antimicrobica sono attualmente in fase di valutazione (Vidal et al., 2003). L’actinidia è stata trasformata con il gene della ß-1,3-endoglucanasi cDNA clonato in Piante da frutto transgeniche soia (Nakamura et al., 1999) e con un gene della stilbene sintasi di vite (Kobayashi et al., 2000). Le piante trasformate con il gene che sintetizza l’endoglucanasi si sono distinte per una maggiore tolleranza a B. cinerea, mentre le piante trasformate con il gene della vite hanno evidenziato una produzione di resveratrolo-glucoside di interesse per aumentare la qualità nutrizionale dei frutti. L’aumento della tolleranza a B. cinerea è stato ottenuto anche in fragola grazie all’espressione del gene thauI che ha determinato l’accumulo della thaumatin II. Gli stessi cloni thauI si sono distinti anche per l’aumento del contenuto in zucchero dei frutti (Schestibratov e Dolgov, in stampa). • Resistenza a batteri. Certamente, il batterio più dannoso e per il quale vengono sviluppati intensi programmi di miglioramento genetico per la costituzione di cultivar di melo e pero resistenti è l’agente causale del colpo di fuoco batterico, Erwinia amylovora. Meli e peri transgenici in grado di esprimere il peptide litico dell’attacina E hanno evidenziato una maggiore tolleranza alla malattia (Reynoird et al., 1999; Ko et al., 2000). La sperimentazione in campo per valutare una possibile resistenza a batteri e funghi è attualmente in atto in Olanda (B/NL/02/03) e Germania (B/DE/03/140). Sempre per la resistenza a E. amylovora risulta interessante l’approccio che prevede l’utilizzo di un diverso costrutto con il gene reporter uidA, sotto il controllo di promotori da tabacco che determinano una più elevata espressione del gene in risposta all’infezione del batterio (Malnoy et al., 2003). • Resistenza a virus. In genere, i successi nella trasformazione genetica delle piante per conferire resistenza ai virus, hanno fatto riferimento all’applicazione del concetto della resistenza indotta dal patogeno. Questa strategia si basa sull’introduzione e sull’espressione di sequenze virali che nella pianta possono interferire con il ciclo vitale dello stesso virus o di virus strettamente correlati, conferendo resistenza alle infezioni. Per quanto riguarda i virus delle piante da frutto, le emergenze principali riguardano la resistenza al virus della sharka (plum pox virusPPV) e al virus della tristezza (Citrus Tristeza Virus- CTV) che rappresentano, rispettivamente, la virosi più temuta per albicocco, pesco e susino e quella più pericolosa per gli agrumi. Per la resi- stenza a sharka, attualmente sono stati isolati diversi geni di interesse, ma purtroppo per le difficoltà che si hanno nel realizzare procedure complete di trasformazione e di rigenerazione delle drupacee, soprattutto del pesco, pochi sono ancora i dati disponibili che permettono di dimostrare un risultato efficace sull’intera pianta. Il primo risultato in cui è stato dimostrato un aumento della resistenza a sharka è stato ottenuto in piante di albicocco trasformate con il gene della coat protein (cpPPV) del virus, dove sono stati usati embrioni immaturi come tessuti per la rigenerazione delle piante transgeniche (Laimer da Camara Machado et al., 1992). Solo recentemente sono stati sviluppati per l’albicocco sistemi efficienti di rigenerazione anche da tessuti somatici, così da permettere anche la trasformazione di varietà commerciali (Petri et al. , 2004). In susino è in fase avanzata di studio un clone (C5) nel cui genoma sono integrate diverse copie del gene cpPPV e che si distingue per una elevata resistenza alla sharka (Ravelonandro et al., 1997). Questo clone è stato utilizzato anche come parentale di incroci e nelle progenie è stata dimostrata una segregazione mendeliana della resistenza introdotta con la manipolazione genica (Ravelonandro et al., 2002). Una strategia alternativa per aumentare la resistenza a sharka nelle drupacee sembra offerta da nuovi strumenti biotecnologici (SiRNAs o Harpin RNAs) che permettono di mediare la degradazione selettiva di RNA target. Su questo principio è stato preparato il gene ihprolC-PP197 che ha conferito una resistenza sistemica ad infezioni di PPV in Nicotiana benthamiana. Questo gene e/o simili costrutti potrebbero essere in grado di conferire la resistenza a PPV in piante da frutto (Pandolfini et al., 2003). Negli agrumi sono stati ottenuti risultati interessanti per la resistenza al virus della ‘tristeza’ (CTV) grazie all’utilizzo di geni derivati dal patogeno (Ghorbel et al., 2000; Dominguez et al., 2002) anche se il grado di resistenza ottenuto è stato parziale. Il primo lavoro per la resistenza a virus nella vite riguarda il trasferimento nella cv. “Thompson seedless” del gene per la proteina del capside del virus del mosaico del pomodoro (Scorza et al., 1996). Diverse varietà di vite sono poi state trasformate con il gene c p G F L V (grape fanleaf virus) (Gutoranov et al., 2001), ma ancora non si hanno risultati certi sul comportamento dei cloni transgenici ottenuti per quanto riguarda la tolleranza 81 Mezzetti e Gentile acquisita nei confronti di questa malattia, ora molto diffusa anche in Italia. Embrioni somatici di V. rupestris sono stati trasformati con il gene che codifica per la proteina che controlla la mobilità del virus GVA (grapevine virus A), ma il fenotipo di queste piante non è ancora stato valutato (Martinelli et al., 2002). La resistenza al virus della maculatura anulare della papaia (PRSV) è stata ottenuta mediante l’introduzione del gene che codifica per la proteina del capside del virus (Fitch et al., 1992; Lius et al., 1997), e due linee GM per questo gene sono già stata approvate per il consumo umano ed animale e quindi già ampiamente diffuse a livello commerciale. • Resistenza a insetti. Tra i geni per la resistenza insetti, il gene cryIA(c) isolato da Bacillus thu ringensis, è stato inserito in kaki dove ha consen tito di ottenere piante trasformate con una elevata capacità di controllare l’attacco di due lepidotteri (Tao et al., 1997). Questa strategia potrebbe essere estesa con successo anche in altre specie. Recentemente è stato dimostrato che l’integrazione del gene D 5 C 1, un gene artificiale con un’attività simile all’attacina E, è in grado di controllare anche l’infezione da Psylla piri, un insetto dannoso del pero (Puterka et al., 2002). Geni per il controllo dello sviluppo e della “perfor mance” della pianta La modificazione del bilancio ormonale delle piante da frutto è stata perseguita utilizzando diverse strategie anche se, certamente, quella che ha fatto registrare i risultati più significativi riguarda l’introduzione di geni del T-DNA di Agrobacterium rhizogenes e, in particolare, i geni rol A, B, C. Il gene rolB da A. rhizogenes è stato introdotto nel portinnesto di melo M26, dove ha determinato una riduzione degli internodi delle piante ed un miglioramento della radicazione delle talee (Welander et al., 1998; Zhu et al., 2001); queste piante sono attualmente in sperimentazione in campo in Svezia (B/SE04/1227). Analogo risultato è stato conseguito in un portinnesto di pero (Zhu et al., 2003). In ‘Calypso’, una varietà rifiorente di fragola (Fragaria x ananassa), è stato inserito il gene rolC da A. rhizogenes, che, per la sua particolare caratteristica di aumentare il metabolismo delle citochinine, ha prodotto un maggiore accestimento della pianta, corrispondente ad un aumento della produzione di frutti 82 che, anche se di pezzatura minore, presentano un aumento del contenuto in zuccheri; gli stessi cloni transgenici hanno anche manifestato una maggiore tolleranza a Phytophthora cactorum (Mezzetti et al., 2004a). Il gene rolC è stato utilizzato anche per ridurre la vigoria in portinnesti di pero (Bell et al., 1999). I diversi portinnesti di pero con i geni rol sono attualmente in sperimentazione in campo. L’insieme dei geni rolABC ha indotto un aumento della capacità di radicazione di piante di kiwi, associata ad un aumento della suscettibilità a Pseudomonas, probabilmente per l’elevata attività auxinica (Rugini et al., 1991; Balestra et al., 2001). I geni di A. rhizogenes sono stati inseriti anche nel portinnesto del ciliegio ‘Colt’ (P. avium x pseudocerasus) (Guitiérrez-Pesce et al., 1998), inducendo una più elevata capacità di radicazione delle talee anche in assenza di trattamenti con auxine esogene. Lo stesso risultato è stato ottenuto per altri portinnesti del ciliegio ‘Inmil’ (P.incisa x serrala) e Damil (P. dawyckensis) (Druart et al., 1998) trasformati con il gene che codifica la phosphinotricina acetyl transferase e selezionati su un substrato con l’erbicida ‘Basta’. Anche in noce, l’introduzione dei geni rol ABC ha determinato un minore sviluppo delle piante, un maggiore accestimento ed una maggiore capacità di radicazione (Vahadti et al., 2004). L’inserimento e l’integrazione dei geni rolABC in portinnesti di agrumi ha determinato la costituzione di piante con habitus vegetativo compatto (fig. 1), con una maggiore efficienza fotosintetica, un maggiore sviluppo dell’apparato radicale e una maggiore capacità antiossidante delle radici (Gentile et al., 2004b). Inoltre, studi condotti sulla composizione delle popolazioni microbiche dei suoli che ospitavano da un triennio gli apparati radicali dei cloni transgenici non hanno fatto registrare modificazioni nella popolazione dei batteri residenti (La Malfa et al., 2004). Un’altra strategia utilizzata per modificare lo sviluppo delle piante da frutto è stata l’inserimento dei geni che codificano per le proteine del fitocromo e, in particolare, fitocromo A e fitocromo B. Il gene del fitocromo A (phyA) di riso è stato inserito in ciliegio Colt (Negri et al., 1998) e i cloni transgenici ottenuti hanno manifestato una modificazione della estensione degli internodi, un incremento della ramificazione e una riduzione della dominanza apicale (Muleo e Iacona, 1998). Anche in agrumi, l’inserimento del gene del fitocromo B (phyB) di Arabidopsis thaliana ha consentito di ottenere piante con una modificazione della crescita (Distefano et al., 2004). Piante da frutto transgeniche Pandolfini et al., 2002), è stato introdotto in fragola, uva da tavola (fig. 2) e lampone (fig. 3), in cui si è evidenziato un effetto positivo sugli aspetti qualitativi e produttivi (Mezzetti et al., 2002, 2004b e 2005). Fig. 1 - Effetto nanizzante dei geni rolABC in piante innestate (a sinistra) e autoradicate (a destra) di citrange Troyer. Fig. 1 - Dwarfing effect caused by rolABC gene in grafted trees (left) and ownrooted (right) citrange Troyer plants. La lunga fase giovanile che contraddistingue gli alberi da frutto prolunga drasticamente il tempo necessario per valutare le caratteristiche dei frutti e rappresenta, pertanto, uno degli ostacoli maggiori nella realizzazione dei programmi di miglioramento genetico. Da Arabidopsis sono stati isolati diversi geni coinvolti nell’induzione della fioritura e, quando espressi in piante transgeniche determinano un anticipo della fioritura stessa. I geni LEAFY (LFY) o APE TALA1 (AP1) di Arabidopsis sono stati inseriti ed espressi in diverse specie anche assai distanti botanicamente, dimostrando la loro efficacia. Semenzali di agrumi, transgenici per tali geni, hanno evidenziato una riduzione della giovanilità ed un anticipo della fioritura (Pena et al., 2001). Le piante transgeniche hanno prodotto fiori normali e fertili da cui sono derivati frutti con semi. Queste caratteristiche sono risultate trasmissibili alle progenie, consentendo di avere alberi con un tempo di generazione di un anno da seme a seme. Le piante con il gene L F Y h a n n o mostrato un’alterazione nello sviluppo e crescita, mentre quelle con AP1 nella fase adulta sono risultate normali. Geni per il controllo dello sviluppo e qualità frutto Uno dei principali problemi della biologia fiorale di alcune specie da frutto è legato alla presenza di fattori di incompatibilità polline-pistillo. Recenti lavori su melo hanno evidenziato la possibilità di inibire l’espressione di geni del locus S nel pistillo così da superare i problemi di autoincompatibilità (Broothaerts et al., 2004; B/BE/03/VI). Il gene DefH9-iaaM che promuove il metabolismo auxinico nelle cellule placenta-ovulo, noto per essere in grado di produrre lo sviluppo partenocarpico di melanzane e pomodori (Rotino et al. , 1997; Fig. 2 - Grappoli della varietà di vite Silcora dal controllo (sinistra) e dal clone DefH9-iaaM (destra). Fig. 2 - Bunches of grape variety Silicora from control (left) plants and from DefH9-iaaM (right) clone. Fig. 3 - Esempio di fruttificazione di un tralcio del clone DefH9iaaM di Ruby, varietà di lampone rifiorente. Fig. 3 . Fruiting of the DefH9-iaaM clone of Ruby primo-cane raspberry variety. 83 Mezzetti e Gentile Aspetti tecnici della trasformazione genetica Il trasferimento di geni nelle piante da frutto viene principalmente effettuato utilizzando una tecnica di trasformazione mediata da Agrobacterium, anche se, alcune volte, viene impiegata una tecnica diretta quale il bombardamento con microproiettili, ad esempio per la papaya (Fitch et al., 1990). La modalità di trasferimento del DNA (mediato o diretto) è certamente molto importante ed è alla base del successo nell’ottenimento di piante transgeniche. Oltre ad un efficace metodo di trasformazione, è necessario disporre di un efficiente protocollo di rigenerazione in vitro a partire dai tessuti utilizzabili per la trasformazione e di un valido protocollo di selezione in grado di individuare i nuovi rigenerati con eventi di trasformazione stabili e omogenei. Nelle piante da frutto, in particolare, la frequente presenza di rigenerati chimerici (derivati da un processo di morfogenesi originato da più cellule non tutte geneticamente modificate) o di ‘escapes’ (rigenerazioni che non risentono del fattore di selezione), spesso rende il lavoro di selezione molto lungo e difficile da realizzare. Per quanto riguarda la tecnica di trasformazione genica mediata da Agrobacterium, sono già disponibili risultati che dimostrano una diversa virulenza dei ceppi batterici nei confronti di diverse specie da frutto (Cervera et al. , 1998a). Tra i vari ceppi di A g r o b a c t e r i u m solitamente utilizzati per produrre piante GM, i maggiori successi per le piante da frutto, anche in specie più difficili quali l’albicocco, il castagno e il mirtillo, sono stati ottenuti utilizzando il ceppo EHA105 (Petri et al., 2004; Corredoira et al., 2004; Song e Sink, 2004) e, soprattutto in passato, il ceppo LBA4401 (James et al., 1990). Nuovi ceppi in sperimentazione con un aumentato numero di copie dei geni virG sembrano indurre maggiore virulenza e quindi migliorare l’efficienza della trasformazione (Ghorbel et al., 2001). La virulenza dell’Agrobacterium può inoltre essere influenzata delle condizioni di incubazione durante l’infezione e dal periodo di co-coltura con il tessuto utilizzato per la trasformazione. In particolare, l’espressione dei geni vir può essere alterata dal pH, dalla temperatura e dalle condizioni osmotiche del substrato di co-coltura (Alt-Morbe et al., 1989). In natura, l’Agrobacterium infetta le piante laddove vi è una ferita da cui sono rilasciati composti fenolici. Per questo motivo, l’aggiunta nel substrato di co-coltura di composti fenolici, come l’aceto siringone (3’,5’dimethoxi-4’hydroyaceto-phenone), stimola la trascri84 zione dei geni vir di Agrobacterium (Stachel et al., 1985) e l’effetto positivo di questo composto è stato dimostrato per la trasformazione di diverse specie da frutto (Cervera et al., 1998b; James et al., 1993; Petri et al., 2004). Sebbene gli eventi di trasformazione generalmente aumentino all’aumentare del periodo di co-coltura è opportuno non superare i 3-4 giorni di contatto del batterio con i tessuti somatici al fine di evitare problemi nel controllo della contaminazione d e l l ’A g r o b a c t e r i u m durante la fase di selezione (Cervera et al., 1998a; Ainsley et al., 2002; Petri et al., 2004). Per molte specie arboree da frutto, il genotipo è il fattore determinante per il successo della trasformazione e il protocollo sviluppato per una cultivar risulta spesso non appropriato per altre della stessa specie. Tale concetto è ancora più esasperato se si considera che, anche nell’ambito dello stesso clone, l’efficienza del processo di trasformazione si modifica in funzione del tipo di tessuto impiegato; nelle specie in cui è stata conseguita la trasformazione genetica, questa ha infatti riguardato pochi genotipi, a volte anche di scarso interesse commerciale. Le attuali tecnologie sembrano ancora lontane dall’offrire procedure efficienti di trasformazione indipendenti dal genotipo. Le caratteristiche del genotipo riguardano sicuramente la specifica suscettibilità al meccanismo di infezione dell’Agrobacterium, ma ancor più determinante è la disponibilità di efficienti protocolli di rigenerazione da tessuto somatico. I protocolli di trasformazione che hanno portato a risultati di successo si basano su un’elevata efficienza di rigenerazione, prevalentemente per caulogenesi avventizia, di particolari tessuti somatici, come ad esempio la lamina fogliare da germogli in proliferazione in vitro e gli internodi. L’embriogenesi somatica trova applicazione solo in protocolli di trasformazione sviluppati per alcune specie, tra cui ad esempio la vite, spesso trasformata a partire da linee embriogenetiche originate da antere (Iocco et al., 2001). Le tecniche di coltivazione in vitro ma soprattutto il genotipo e il tipo di tessuto sono determinanti per lo sviluppo di protocolli con le più elevate frequenze di rigenerazione, indispensabili per la produzione di nuovi cloni transgenici. Ad esempio, nella fragola è stato riportato che genotipi con efficienze di rigenerazione da tessuti fogliari superiori al 90% (= % percentuale di foglie con rigenerazione) sono in grado di garantire risultati di trasformazione ripetibili e con frequenze anche vicino all’1%. Tale risultato si riduce per genotipi che si caratterizzano per efficienze di rigenerazione fino a circa il 60%, mentre si annulla Piante da frutto transgeniche completamente per i genotipi con efficienze inferiori (Landi e Mezzetti, in stampa). Il problema dell’efficienza di rigenerazione e quindi di trasformazione è ancora un fattore limitante per molte cultivar di diverse specie arboree da frutto, su cui diversi autori hanno comunque sviluppato esperienze di particolare rilevanza (Dolgov, 1999; Gentile et al., 2003; Petri et al., 2004; Pratesi et al., 2004). Tra queste, per l’importanza che assumono e per le difficoltà di applicazione del protocollo che fanno registrare, si devono certamente annoverare i mandarini e mandarino-simili e il pesco. Diversi autori hanno tentato la trasformazione di meristemi apicali da germogli in proliferazione in vitro (Ye et al., 1994; Druart et al., 1998), una tecnica considerata utile per risolvere il problema della rigenerazione e per trasformare più direttamente cultivar di maggiore interesse commerciale. Tuttavia, l’elevata mortalità e/o le difficoltà di controllo dell’infezione dell’Agrobacterium hanno limitato l’applicazione di questa tecnica a tutte le specie da frutto (Scorza et al., 1995). Recente è, invece, lo sviluppo di una nuova tecnica di rigenerazione, provata su vite (Mezzetti et al., 2002) ma utilizzabile anche in altre specie da frutto (Petri e Burgos, 2005), che si basa sull’ottenimento di tessuti con elevata competenza di rigenerazione (denominati ‘ammassi meristematici’); è, infatti, proprio l’elevato numero di cellule in divisione e differenziamento che li rende particolarmente idonei per la trasformazione con Agrobacterium. Nel complesso, gli esperimenti di trasformazione genetica delle specie arboree da frutto hanno utilizzato fondamentalmente tessuti giovanili o, comunque, soggetti a ringiovanimento in seguito alla micropropagazione, richiedendo, pertanto, un numero elevato di anni per la valutazione delle caratteristiche dei frutti (Giri et al., 2004). Per gli agrumi, sebbene la maggior parte dei lavori di trasformazione genetica abbia utilizzato internodi ottenuti da semenzali, la recente tecnica di utilizzo di internodi prelevati da piante già in fruttificazione e l’adozione del microinnesto delle gemme transgeniche su portinnesti vigorosi ha consentito di ridurre notevolmente i tempi per l’ottenimento e la valutazione di frutti di agrumi transgenici (Cervera et al., 1998b). In definitiva, il successo dell’intero processo di trasformazione genetica dipende, quindi, dalla disponibilità di un metodo di rigenerazione in vitro che consenta di disporre di cellule che siano, da un lato competenti alla trasformazione (cioè in grado di ricevere ed integrare il transgene), e dall’altro di moltiplicarsi e rigenerare strutture (embrioni o germogli avventizi) in grado di evolversi in piante complete. La selezione dei rigeneranti trasformati è l’ultimo passaggio critico dei protocolli di trasformazione. Il gene di interesse agronomico viene solitamente accostato ad un altro gene (marcatore) che serve per identificare, nella fase di rigenerazione, i nuovi individui che si originano da cellule che hanno subito l’evento di trasformazione. I geni marcatori più comunemente utilizzati per le piante da frutto sono il gene per la neomicina fosfotransferasi (nptII), che conferisce resistenza agli antibiotici aminoglicosidici (kanamicina), e il gene per la fosfinotricina acetil transferasi, che conferisce la resistenza all’erbicida fosfinotricina (Miki e McHugh, 2004). La preoccupazione che l’utilizzo dei geni marcatori antibiotici potrebbe causare rischi di trasferimento del carattere di resistenza attraverso gli alimenti, ha stimolato la realizzazione di diversi studi per sviluppare metodi alternativi di selezione, quali ad esempio, l’impiego del gene della green fluorescent protein (GFP), un marcatore vitale che consente di visualizzare nei tessuti sottoposti alla trasformazione e in condizioni di luce ultravioletta, le cellule che hanno subito l’evento di trasformazione genetica (Zuo et al., 2002). Recentemente è stata sviluppata una tecnica che permette di eliminare (“gene cleaning”) il gene marcatore non appena avvenuta la selezione delle piante transgeniche (Sreekala et al., 2005). Tuttavia, occorre sottolineare che il marcatore antibiotico nptII presenta alcune caratteristiche quali l’elevata efficienza nella fase critica della selezione (fondamentale per le frequenti situazioni chimeriche che si possono determinare durante il processo di rigenerazione e selezione), la facilità di analisi e l’assenza di effetti sul fenotipo, che lo rendono attualmente lo strumento molecolare più valido per il trasferimento di geni di interesse agronomico nelle piante da frutto (Zuo et al., 2002) Quest’affermazione non contrasta con le normative definite a livello Europeo. Infatti, la direttiva comunitaria 2001/18/CE, che disciplina la sperimentazione e commercializzazione degli OGM, prevede l’eliminazione dei geni marcatori antibiotici a livello commerciale entro 31 dicembre 2004 ed entro 31 dicembre 2008 per la sperimentazione, ma solo di quelli che possono avere effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente. Recentemente l’EFSA (l’organismo tecnico in materia della commissione Europea) ha poi fornito una classificazione degli antibiotici in 3 gruppi di rischio, distinguendoli secondo la loro frequenza di diffusione nelle popolazioni microbiche e importanza per l’uso clinico. Nel gruppo 1 sono classificati geni per la resistenza ad antibiotici che (a) sono già 85 Mezzetti e Gentile ampiamente diffusi nel suolo e nei batteri enterici e (b) conferiscono resistenza ad antibiotici che non hanno o hanno una rilevanza terapeutica minimale nella medicina umana e veterinaria. Il gene nptII e il gene hph che conferiscono resistenza all’igromicina sono assegnati a questo gruppo e, pertanto sono considerati marcatori di selezione che non danno problemi di sicurezza (‘safe for use as selectable markers’) (http://www. efsa.eu.int/science/gmo/gmo_opinions/384_en.html), in quanto la loro presenza nel genoma delle piante geneticamente modificate è giudicata insignificante rispetto alla loro già ampia diffusione nell’ambiente. Utilizzando i marcatori selettivi, il lavoro di selezione in vitro si considera terminato solo quando i putativi nuovi rigenerati GM sono in grado di proliferare e radicare in presenza del fattore di selezione ed in completa assenza di sintomi. Da questo momento inizia il lavoro di caratterizzazione molecolare fondamentale per la conferma e l’identificazione degli eventi di trasformazione. Di solito un’analisi preliminare con la PCR permette di dare una prima conferma molecolare dell’evento di trasformazione, identificando la presenza o meno del gene di interesse agronomico associato al marcatore. In seguito è fondamentale completare la caratterizzazione con l’analisi Southern blot (ibridazione con sonde dell’intero gene) che permette anche di individuare il numero di copie inserite nel genoma della pianta per entrambi i geni. Quest’ultima analisi è richiesta, secondo le normative vigenti, anche per le fasi successive di valutazione delle notifiche di sperimentazione ed eventuale commercializzazione. Ulteriori analisi vengono poi effettuate per verificare il livello di espressione del gene (ora prevalentemente per RT-PCR) considerato utile per meglio caratterizzare gli effetti sul fenotipo. La ricerca sulla pianta identificata come GM deve estendersi a sperimentazioni in serra, ma possibilmente anche in campo, utili per una corretta valutazione dei possibili benefici agronomici e produttivi, come anche su eventuali rischi per l’uomo e per l’ambiente. La normativa sulla sperimentazione delle piante geneticamente modificate L’attuale situazione regolamentare in materia d’immissione nell’ambiente (sperimentazione e commercializzazione) di organismi geneticamente modificati si identifica con un complicato quadro giuridico. Nel 2001, la Commissione Europea, nell’intento di offrire un approccio affidabile e sicuro sugli OGM, ha approvato un importante pacchetto legislativo che traccia un sistema di controlli e regole per la sperimentazione, il commercio e l’etichettatura di tali pro86 dotti allo scopo di regolarne la loro immissione in ambiente confinato ad uso sperimentale ma anche sul mercato, attraverso una specifica procedura di autorizzazione (direttiva 2001/18/CE). Nel nostro Paese la normativa nazionale di riferimento è stata aggiornata con la pubblicazione nella G.U.R.I. del Decreto Legislativo nr. 224, 8 luglio 2003, che ha recepito la dir. 2001/18/CE. Il D.Leg. 224 è stato poi completato dal recente D.Leg. nr. 5 (28/01/05), predisposto dal ministero dell’Agricoltura, che tende a garantire una possibile coesistenza tra coltivazioni GM e i sistemi di coltivazione tradizionali, rispetto alla quale le singole Regioni sono tenute, entro giugno 2006, ad aderire con la presentazione di un loro piano di coesistenza che deve prevedere, in primo luogo, l’identificazione di siti pubblici ufficiali dove poter attivare la sperimentazione. Il provvedimento normativo comunitario ed il corrispondente recepimento nazionale si articola in quattro parti: la parte A contiene le disposizioni principali, quella B regola l’immissione nell’ambiente - a scopi sperimentali - di organismi geneticamente modificati, la successiva parte C disciplina la relativa immissione in commercio, conseguente ad una decisione comunitaria; infine nella parte D sono contemplate le disposizioni finali, poi integrate con la richiesta per ogni notifica di specifici piani di sicurezza e di monitoraggio. La normativa nazionale non ha il solo scopo di proteggere la salute umana e l’ambiente dai potenziali rischi in caso di emissione sperimentale o immissione sul mercato di organismi transgenici, ma, quale elemento di novità non direttamente contemplato nella Direttiva 2001/18/CE, di tutelare l’agrobiodiversità, i prodotti tipici, biologici e di qualità. Inoltre, rispetto alla normativa nazionale di attuazione della precedente Direttiva, l’Autorità competente a cui è affidata la gestione del settore transgenico passa dal Ministero della Salute (a cui resta la competenza sui microrganismi transgenici) a quello dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, che coordina la Commissione Interministeriale di Valutazione (CIV) e che si identifica come l’organo tecnico che deve elaborare i pareri sulle notifiche (tipo B – sperimentazione e tipo C commercializzazione). Le notifiche per la sperimentazione di piante GM devono essere finalizzate ad una completa valutazione agronomica delle caratteristiche delle piante geneticamente modificate, non solo per i possibili rischi, ma soprattutto per i possibili benefici che possono derivare dalla coltivazione dei nuovi genotipi modificati per singoli geni e che possono determinare importanti miglioramenti quantitativi e qualitativi della produzione. Piante da frutto transgeniche Accettabilità e interesse delle piante da frutto GM per la nostra agricoltura L’applicazione delle tecnologie di modificazione genetica delle piante da frutto ha sollevato diverse preoccupazioni nell’opinione pubblica, tra le quali il rischio di diffusione di geni di resistenza ad antibiotici ed erbicidi ad altre specie non target, il rischio della diffusione a lunga distanza del polline per molti anni, il rischio di effetti negativi sulla biodiversità; in aggiunta a ciò, si avverte un generico timore per effetti non attesi. In generale, le problematiche che si dibattono comunemente sugli OGM riguardano la sicurezza per la salute dell’uomo, per l’ambiente e soprattutto per i sistemi agricoli locali. La possibilità di diffondere geni con il polline delle piante da frutto è una realtà che può interessare in modo diverso le varie specie o il tipo di pianta (chiaramente non è un problema per i portinnesti). Attualmente non ci sono possibilità concrete di controllare la dispersione di polline, se non la coltivazione in ambiente protetto. In definitiva, il rischio ambientale connesso alla diffusione di polline di piante GM dipende dalla diffusione negli ambienti circostanti di specie autoctone compatibili, cosa non molto frequente per molte specie frutticole; tale rischio deve essere posto al pari di quello che può derivare dall’introduzione di nuove specie esotiche (Gartland et al., 2003). Il ciclo poliannuale e la propagazione clonale, non per seme, già di fatto riduce comunque rispetto alle piante annuali il rischio di diffusione in ambiente di piante da frutto GM. La percezione di rischio che nel nostro paese viene al momento maggiormente diffusa sulle piante GM riguarda il danno che esse possono recare all’immagine delle nostre produzioni agricole di qualità e molto spesso riconosciute con marchi anche importanti. L’agricoltura del nostro Paese è da molti considerata incompatibile con la tipologia di agricoltura intensivaestensiva ora associata alla agricoltura OGM. Attualmente le coltivazioni GM vengono esclusivamente associate al lavoro di multinazionali straniere; sarebbe invece importante favorire anche nel nostro Paese lo studio delle biotecnologie vegetali con programmi finalizzati a risolvere problemi specifici della nostra agricoltura, e quindi per la salvaguardia o l’aumento della competitività dei nostri prodotti (Basso et al., 2003; Sansavini, 2003). Le piante da frutto in Italia presentano, ad esempio, delle problematiche prioritarie (si pensi alla suscettibilità a malattie) difficili da superare con le sole tecniche tradizionali di incrocio e selezione. Infine, anche per le piante da frutto, il maggiore problema di accettabilità si identifica con il potenziale conflitto con le coltivazioni biolo- giche. In questo caso non si tratta di rischi biologici per l’uomo o per l’ambiente, ma solo di rischi di tipo commerciale che i prodotti biologici possono avere se ‘contaminati’ dalle vicine coltivazioni GM. In quest’ambito gli studi sulla coesistenza tra questi due sistemi di produzione sono comunque di fondamentale importanza ed anche per questo le sperimentazioni di campo sarebbero necessarie per identificare i limiti di accettabilità e diffusione di questi due sistemi di coltivazione. Da sperimentazioni effettuate in diversi paesi europei sono già disponibili dati che hanno dimostrato la possibilità della coesistenza tra questi sistemi di coltivazione (http://www.agrsci.dk/gmcc03/gmcc_proceedings.pdf). Segnaliamo, infine, come di recente, sono state attivate nuove linee di ricerca che potrebbero, in un prossimo futuro, sciogliere alcune riserve nei confronti delle piante GM da parte dell’opinione pubblica. Tra queste si ricordano: • utilizzo di geni che sono originati da piante, a volte anche della stessa specie (omologhi), o da microrganismi (batteri) che hanno da sempre avuto un’interazione con queste piante (in molti casi comprendendo anche un naturale scambio di DNA, come è appunto noto per l’Agrobacterium); • rimozione del gene marcatore selezionabile nptII a posteriori, cioè dopo l’avvenuta rigenerazione completa della pianta transgenica (g e n e cleaning); • utilizzo di promotori tessuto-specifici che possono rendere esprimibile un determinato costrutto solo in un tessuto; • integrazione del transgene nel DNA cloroplastico in maniera da prevenire la sua diffusione nell’ambiente attraverso il polline. Conclusioni Dal 1998 in Italia come in Europa a causa delle varie discussioni e decisioni politiche il numero delle notifiche di sperimentazioni in campo ha subito una continua riduzione (Masciarelli et al., 2004) fino a limitarsi attualmente a soli due campi autorizzati, presso l’Università della Tuscia e presso l’Università Politecnica delle Marche e all’accettazione della richiesta di notifica da parte dell’Università di Catania. In generale, tale situazione è molto significativa del livello di carenza che si è creata nel nostro Paese sulle conoscenze necessarie per una valutazione coerente, su base scientifica, dei possibili rischi, benefici o meglio reale utilità delle piante GM per la 87 Mezzetti e Gentile Tab. 1 - Esempi di applicazione della trasformazione genica in piante da frutto. Tab. 1 - Applications of gene transfer techniques in fruit plants. Geni che conferiscono resistenza a stress biotici Specie Transgene Papaya (Caricapapaya) Lima Messicana (Citrus aurantifolia) Kiwi (Actinidia deliciosa) Arancio amaro (Citrus aurantium) Pompelmo (Citrus paradisi) Arancio dolce (Citrus sinensis) Limone (Citrus limon) Kaki (Dyospiros kaki) Noce comune (Juglans regia) Melo (Malus x domestica) Effetto Riferimento Cp-PRSV Resistenza a PRSV Cp-CTV Resistenza a CTV b-1,3-endoglucanase cDNA Tolleranza a Botrytis cinerea Cp-CTV Resistenza a CTV Cp-CTV, GNA Resistenza a CTV/Resistenza a insetti PR-5 Resistenza a Phytophthora citrophthora Endochitinasi Incremento attivita antifungina cryIA(c) Resistenza a insetti lepidotteri cryIA(c) Resistenza a Cydia pomonella Lius et al., 1997 Dominguez et al., 2002 Rugini et al., 1991 Ghorbel et al., 2000 Yang et al., 2000 Fagoaga et al., 2001 Gentile et al., 1997 Tao et al., 1997 Dandekar et al., 1998 Endochitinase ech42 and nag70 pinB HcrVf2 Rs-AFP2 and AMP1 attE Resistenza alla ticchiolatura “ “ “ Attività anticrobica e antifungina Resistenza al colpo di fuoco batterico (fire blight) Resistenza alla Sharka Bolar et al., 2000 Faize et al., 2003 Faize et al., 2004 Belfanti et al., 2004 De Bondt et al., 1999 Ko et al., 2000 Resistenza alla Sharka Resistenza al colpo di fuoco batterico (fire blight) Resistenza al colpo di fuoco batterico (fire blight) Resistenza a patogeni fungini Scorza et al., 1994 Puterka et al., 2002 Albicocco (Prunus armeniaca) Cp-PPV Susino europeo (Prunus domestica) Pyrus communis (Pero) Cp-PPV D5C1 Pero (Pyrus communis) attE Vite (Vitis vinifera) RCC 2 Laimer da Camara Machado et al., 1992 Reynord et al., 1999 Yamamoto et al., 2000 Geni per il controllo dello sviluppo e della “performance” della pianta Kiwi (Actinidia deliciosa) Citrange Troyer (Citrus sinensis x Poncirus trifoliata) Citrange Troyer (Citrus sinensis x Poncirus trifoliata) Vite (Vitis vinifera) Melo (Malus x domestica) Portinnesto di melo rol A, B, C Rol ABC Phytochrome B DefH9-iaaM S-gene silencing construct rol A Portinnesto di melo Rol B Portinnesto di pero Rol B Miglioramento radicazione Rugini et al., 1991 Riduzione taglia, aumento radicazione Gentile et al., 2004 a e b; La Malfa et al., 2004 Modificazione crescita della pianta Distefano et al., 2004 Sviluppo frutto e fertilità pianta Autofertilità Riduzione altezza pianta e lunghezza degli internodi Maggiore efficienza di radicazione, maggiore numero di radici, riduzione numero dei nodi Maggiore efficienza di radicazione Mezzetti et al., 2002 & 2004 Broothaerts et al., 2004 Zhu et al., 2001 Welander et al., 1998; Zhu et al., 2001 Zhu et al., 2003 Geni per il controllo dello sviluppo e qualità frutto Pompelmo (Citrus paradisi) Livelli maggiori di b-carotene Costa et al., 2002 Citrange Carrizo (Citrus sinensis x Poncirus trifoliata) Ciliegio (Prunus avium) Prunus incisa x serrula Geni coinvolti nella sintesi di carotene Leafy and Apetala1 Fase giovanile più breve Pena et al., 2001 Ri-T-DNA T-DNA (ipt) bar Gutiérrez-Pesce at al., 1998 Druart et al., 1998 Pero (Pyrus communis) Pero (Pyrus communis) rol B rol C Pesco (Prunus persica) T-DNA (ipt) Miglioramento radicazione Miglioramento radicazione Resistenza a ‘Basta’ Miglioramento radicazione Riduzione lunghezza internodi e altezza pianta Maggior vigore, minor radicazione 88 Zhu et al., 2003 Bell et al., 1999 Smigocki e Hammerschlag Piante da frutto transgeniche nostra agricoltura. A tale situazione è corrisposto un indebolimento nel sistema di valutazione e soprattutto di acquisizione e trasferimento delle competenze necessarie per l’applicazione corretta, competitiva e mirata alle esigenze della nostra agricoltura delle tecniche innovative di biologia molecolare e di ingegneria genetica. In questo scenario preoccupante, si può rilevare di positivo che, soprattutto a livello nazionale, i gruppi di lavoro sulla trasformazione hanno concentrato la loro attenzione su diverse specie di interesse per le produzioni orto-floro-frutticole (Masciarelli et al., 2004). I risultati rilevabili per le piante da frutto, in particolare, possono essere presi ad esempio su come queste tecniche molecolari rappresentino validi strumenti integrativi al ‘breeding’ tradizionale e su come deve essere affrontata una ricerca che comprende la produzione e sperimentazione su piante GM. L’accettabilità futura di piante e prodotti GM dipende solamente dalla continuità della ricerca che deve operare per migliorare le tecniche di trasformazione genetica, per individuare e sperimentare geni di interesse connessi alla risoluzione di problematiche specifiche dei nostri sistemi produttivi con la completa assenza di rischi per l’uomo e per l’ambiente. Tale aspetto è particolarmente importante per le specie arboree da frutto se si considerano la notevole complessità fisiologica della piante e il lungo ciclo delle coltivazioni, fattori che rendono più complessi i problemi connessi alla stabilità dell’espressione del transgene. I ricercatori hanno quindi la responsabilità di continuare le loro ricerche, anche con i pochi mezzi disponibili, perché solo con risultati scientifici e dimostrazioni applicative sarà possibile sviluppare un dibattito più coerente e concreto con l’opinione pubblica. Riassunto Sebbene la produzione commerciale di piante transgeniche di specie annuali sia una realtà, per le specie da frutto la produzione commerciale è invece ancora una prospettiva abbastanza lontana. La ricerca ha già però prodotto diversi risultati di interesse per le principali specie da frutto, in particolare per la resistenza a malattie (funghi, batteri, virus e insetti), la modificazione dell’habitus della piante e il miglioramento della qualità dei frutti. In 10 anni di sperimentazione in campo con OGM, il nostro paese si è distinto particolarmente per le ricerche sviluppate soprattutto per le specie da frutto (ciliegio, kiwi, fragola, lampone, olivo e uva da tavola). Il futuro della trasformazione genica per il miglioramento delle specie da frutto richiede lo sviluppo di protocolli di trasformazione genotipo indipendente, basati sulla trasformazione di cellule meristematiche con elevata efficienza rigenerativa. Attualmente vi è l’esigenza di incrementare le notifiche di sperimentazione in campo nel nostro paese e in Europa e di creare una rete Nazionale ed Europea sulla valutazione rischi e benefici delle piante da frutto GM. Parole chiave: piante da frutto GM, protocolli di rigenerazione e trasformazione, resistenza a malattie, habitus della piante, qualità frutto, normative OGM. Bibliografia AINSLEY P.J., C OLLINS G.G., S EDGLEY M., 2002. Factors affecting Agrobacterium-mediated gene transfer and the selection of transgenic calli in paper shell almond (Prunus dulcis Mill.). J. Hortic. Sci. Biotech., 76: 522–528. ALT-MORBE J., K UHLMANN H., S CHRODER J., 1989. Differences in induction of Ti-plamid virulence genes virG and virD and continued control of virD expression by four external factors. Mol. Plant-Microbe Interact., 2: 301–308. ALSTON J.M., 2004. Horticultural biotechnology faces significant economic and market barriers . California Agriculture, 58(2):80-88. 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