La Filosofia della Poesia di Omero - a cura di Domenico Turco Risalire agli albori del pensiero greco implica indubbiamente una riscoperta di quegli aspetti tradizionali, talvolta di carattere esoterico, che precedettero di gran lunga la fase ormai storica in cui l'interrogazione e la discussione cominciarono ad assumere una valenza chiaramente e coerentemente filosofica. È indispensabile quindi riferirsi fare a quelle matrici culturali primordiali che prepararono l'avvento della filosofia, e che sono i presupposti speculativi dell'atteggiamento dialettico, lo stesso interrogarsi sull' interrogazione originaria come categoria dello spirito, il puro tì estì (che cos'è) e l' archè (“il principio”) di tutto ciò che del tutto è “parte” integrante e significativa… Il discrimine tra il pensiero della Tradizione e la filosofia sarà la consapevolezza della creazione di un genere letterario alternativo, che solo occasionalmente farà uso del linguaggio poetico ma a fini del tutto differenti e a volte in aperta contrapposizione al retroterra della più remota grecità, come nel caso dei “fisiologi” della Ionia (Talete, Anassimandro, Anassimene). La filosofia, come categoria letteraria sui generis, non intenderà più darsi obiettivi di carattere estetico o pedagogico, ma conoscitivo, tentando quasi un'identificazione totale con il problema dell'origine della realtà, che tanto appassionò i primi filosofi. Ma già a livello dell' epos greco, con Omero quale presunto e forse mai esistito autore dell'Iliade e dell'Odissea, è presente una rilevante anticipazione di contenuti definibili a vario titolo come filosofici. Nei poemi omerici emerge, ad esempio, quel ruolo didattico del dialogo interpersonale e della dialettica, tipico del pensiero greco maturo, e ravvisabile nelle infinite diramazioni del testo e nella morfologia del discorso narrativo, come nella funzione polisemica della parola, indice di una idea filosofica forte . In altri termini, la poesia epica di Omero si caratterizza per una estrema sublimazione del pensiero (dialettico) nelle categorie proprie del mito. Può sembrare paradossale, ma la Filosofia, che mosse i primi passi volta al superamento della tradizione, trovò un fondamento orientativo del conoscere nell'epos omerico come scrittura mitopoietica radicata nella spiritualità greca. I poemi omerici accordavano dei modelli di vita e pensiero davvero paradigmatici, pur nell'inevitabile tensione fantastica produttrice di credulità popolare e debolezza intellettuale, in molti casi, ma che svolgeva un ruolo significativo, soprattutto nel dare delle coordinate concettuali destinate a fruttificare con la prima de-mitizzazione, propedeutica alla nascita della filosofia e poi della dialettica come prospettiva autonoma, eppure interna allo speculativo. L'epica di Omero è governato da una immaginazione fervida, a tratti inverosimile, ma mai grottesca e surreale come nelle opere letterarie coeve, ispirata com'è ad un progetto di euritmia , limite e misura , successivamente assunti a criteri di base del pensiero greco. In particolare, sembra che queste idee produrranno di più sul piano della meta-fisica, dalla più debole per contenuti(come nel caso dei filosofi della Ionia) alla più complessa(come nel caso delle grandi sintesi di Platone ed Aristotele). È chiaro che il termine “metafisica” va inteso, almeno fino a Platone – che ne assume i concetti nella sinossi (“visione complessiva”) pur non usando ovviamente questa parola – e ad Aristotele, che coniò l'espressione come sinonimo di un superamento della physis , o natura, che può comunque riguardare la scoperta di un principio anteriore, originario e superiore (l' archè ) a fondamento del reale. In Omero ciò che suscita attenzione, in chiave di pre-filosofica, è la volontà di offrire una motivazione giustificabile all'evento narrato, o, meglio, alla congerie di eventi che formano la narrazione, contribuendo a rintracciare le cause recondite che rendono possibile una determinata situazione. La dialettica di vicissitudini e personaggi, nei drammi affollati e convulsi che l'Iliade e l'Odissea vengono a rappresentare, è sempre sorvegliata da un meccanismo razionale, nonostante la sostanziale inattendibilità, e talvolta l'incoerenza, delle diverse trame. Qualsiasi accadimento raccontato nel testo non è mai casuale, c'è come una regia occulta che manovra i fatti al fine di garantire lo sviluppo interno della fabula , dell'intreccio narrativo, oltre che dei propri temi-guida variati quasi all'infinito. Con la sua viva tensione speculativa, la poesia omerica autorizza a parlare di una filosofia implicita e persino di una prassi dell'interpretazione allo stato originario, evidente in quell' Inno ad Hermes che, celebrando il dio del linguaggio e della saggezza, segna in qualche modo la nascita simbolica dell'Ermeneutica come pensiero dell'intermediazione tra vivi e morti, uomini e dèi, cielo e terra… Qualsiasi interrogazione di senso sulla nascita dell'Ermeneutica antica, infatti, non può prescindere da un'opera di Omero, l'Inno ad Hermes, all'interno del quale, nonostante l'uso di una terminologia squisitamente mitologica, sono presenti diversi motivi interpretabili in chiave ermeneutica.La figura di Hermes si pone nel solco di una tradizione che lo correla alla nascita di una parte rilevante del pensiero filosofico odierno, cioè la prospettiva ermeneutica. Se è vero che bisogna affidarsi a classificazioni storicamente attendibili, ciò non implica l'esclusione di altre esplorazioni che possano dare veste nuova a vicissitudini millenarie. Come ritiene il Boeckh, c'è innanzitutto identità di radice tra il nome del mitico postino degli dei, Hermes, e il termine hermeneia , base del moderno “ermeneutica”, dall'espressione hermeneutikè techne , “tecnica dell'interpretazione”. Per cui, nel ricondursi all'Hermes di Omero ci si può riferire al sorgere della filosofia nella sua versione ermeneuticistica, nonostante una certa possibilità di rischio sia insita in qualsiasi anticipazione. È chiaro che l'autore dell'Inno a Hermes avesse un intento differente: celebrare il protettore dei poeti e il massimo comunicatore (anche letterario) presso l'Olimpo. Ma qual è il collegamento tra Hermes e l'ermeneutica, e cosa c'entra quest'ultima con la categoria professionale dei poeti? E i poeti, che cosa possono offrire alle ricostruzioni storiografiche che intendono fornire un quadro esauriente per la storia, o, meglio, la protostoria, della prospettiva ermeneutica? Procediamo con ordine. In primo luogo l' hermeneutes non era affatto un filosofo, o un uomo di scienza, per quanto informe fosse la scienza-tecnica nel mondo antico. Non si trattava neanche di saggi alla maniera orientale, ossia persone ispirate da una Forza extramondana. L'ermeneuta, nella cultura greca, era un personaggio intermedio, votato non casualmente alla doppiezza, portavoce di un caratteristico demonismo intellettuale capace di assimilarlo alla figura-simbolo di Hermes, da un lato dio come gli altri, dall'altro tramite tra i vari hermeneutes e gli dei. E l'inno di Omero contribuisce a creare l'immagine normativa di Hermes, sin dal momento aurorale del suo ingresso nel mondo, che lo individua come una divinità alquanto sconcertante e sui generis . Scrive Omero: … quando fu attuato il disegno del grande Zeus e per lei la decima luna si stabilì nel cielo il dio portò alla luce il fanciullo, e la sua opera fu palese; allora generò un figlio dalle molte arti, dalla mente sottile, predone, ladro di buoi, ispiratore di sogni, vigile nella notte, che sta in agguato alle porte… Nato all'aurora, a mezzogiorno suonava la lira, dopo il tramonto rubò la vacche di Apollo arciere, nel giorno in cui lo generò Maia veneranda… Egli quando balzò fuori dal grembo immortale della madre, non giacque a lungo inerte nella sacra culla… Da questo passo, in verità piuttosto esteso, si ricavano diversi attributi che ritroviamo tracciando il profilo dell'autentico hermeneutès . L'ermeneuta, e quindi il filosofo che ne è proiezione, pratica molte arti , ha mente sottile e - come Hermes - ha a che fare con i sogni, dal momento che li usa specialmente per interpretarli, mentre Hermes li ispira, in quanto creatore di segni. Ma vediamo più nel dettaglio chi erano, questi hermeneutes , in un senso, che è naturaliter pre-filosofico, cioè profondamente legato alla filosofia, sia pure in una nuance esclusivamente storica e genealogica, quasi una prolessi metaforica del pensiero occidentale nell'età della sua lunga gestazione demiurgica. 3. L'opera degli Ermeneuti e la loro situazione presso i Greci. Assimilati alla sapienza di oracoli e veggenti, presso i Greci, gli hermeneutès sembravano trascendere da una compiuta visione filosofica del mondo, data la fisionomia mitica e pre-filosofica della mantica, delle arti divinatorie. Interpretare segni era interpretare, soprattutto, i segni premonitori del futuro, attraverso la lettura del volo degli uccelli e l'osservazione delle viscere degli animali. Anche il canto e la poesia rientravano nell'ermeneutica: il poeta, tale per ispirazione divina, era messaggero degli dei, fratello minore di - Hermes - e - suo - sottoposto. Kerenyi riscontra l'esistenza in Platone di due termini diversi, aventi un'origine comune: hermeneutès (la figura dell'interprete) ed hermeneus (figura dell'interprete in circostanze diverse). La categoria degli “interpreti” (exèghetai) curava le prescrizioni della religione. Gli hermeneis sono mediatori, come i poeti, come i demoni che collegano i comuni mortali con gli dei della grecità. Platone coglie una parentela tra l'ermeneutica, attività di mediazione che coinvolge un po' tutti gli ambiti umani e sovrumani, e - la - mimetica, - o - tecnica - dell'imitazione. Sia l'ermeneuta che il mimetico operano con categorie tratte dalla comunicazione linguistica, anche comprendente esperienze cognitive di base, se è vero che il filosofo considera sullo stesso piano pensiero, opinione, e fantasia, in quanto risultano congeneri al discorso e come tali non immuni - dal - possibile virus - dell'errore. Inoltre, ermeneutica e mimetica rappresentano una riproduzione di secondo livello: l'artefice copia gli oggetti di natura, a sua volta modelli dell'idea, l'ermeneuta trasporta un senso che gli è sconosciuto. L'ermeneutica, parte integrante della cultura prefilosofica, non può non avere origine che nell'Inno omerico a Hermes, che per la prima volta mette tra parentesi il mito per concentrarsi sulla de-mitizzazione, che è lo stesso della ermeneutica, la quale inizia da una condizione di conoscenza per l' hermeneutes , sacerdote officiante i riti linguistici per nome e per conto del messaggero Hermes, il quale non è, se non incidentalmente, mythos : è in realtà l'ipostasi di qualsiasi espressione linguistica e di pensiero, profezia in maschera di quella cultura finalmente filosofica, anticipazione e segno dello speculativo, che perverrà a maturazione solo con l'estrema, radicalizzante demitizzazione dei fisiologi della Ionia, che, asseriva giustamente Aristotele, furono i primi metafisici, i primi, veri e propri filosofi. 4. Le gesta di Hermes e le origini di hermeneutikè . Di Hermes si può parlare, sempre che non si prescinda dalla narrazione omerica, che ne incornicia i tratti che saranno poi tradizione archetipica nella ritrazione del fanciullo che il dio portò alla luce. Il dio Hermes nasce in Arcadia da Maia, figlia del titano Atlante, e da Zeus, di cui trasporta in ogni dove i decreti. L'Inno tramanda che il dio, ancora fanciullo, sia stato l'inventore del primo strumento musicale, una lira con sette corde, ottenuta dalle viscere e dalla corazza di una tartaruga. Tale lira fu poi barattata con Apollo in cambio di una mandria, già rubata da Hermes stesso. Così si spiegano gli appellativi di guardiano di armenti( nomos ) e di dio patrono dei ladri. Fabbricò, primo fra tutti, la zampogna, data ad Apollo per averne la contropartita di una verga con due serpi aggrovigliate, che rientrano nel suo corredo abituale, assieme ai sandali e al copricapo alati. Araldo di una divinità solare come Apollo, Hermes ha in comune con lui anche l'interesse per il canto e la poesia, nel mondo greco profondamente collegate ad una teoria dell'ispirazione come annuncio. Senza Omero forse non potremmo cogliere l'importanza di Hermes, al di là dell'apparente tonalità epico-narrativa del testo, che cela tuttavia delle sorprese per chi si sforzi di andare oltre la parola, nello spazio infinito del pensiero: Il Sole si era già immerso nell'Oceano…quando Ermes giunse di corsa ai monti ombrosi della Pieria dove i sacri buoi degli dei beati avevano le loro stalle […] Fra quelli il figlio di Maia… separò dall'armento cinquanta vacche dal muggito profondo. Quindi le spingeva attraverso il terreno con una strana andatura, rovesciando le orme; egli non dimenticava l'arte dell'inganno, e invertiva le tracce degli zoccoli: quelli anteriori dietro, quelli posteriori davanti; egli invece procedeva di fronte. E senza indugio, sulla sabbia marina, intrecciò con vimini sandali inauditi, impensati, opera meravigliosa unendovi tamerici e rami di mirto. Dio creativo par excellence , Hermes è fraudolento, scaltro, abile artigiano del gesto e della parola, è la versione olimpica di Ulisse, un Ulisse evidentemente assimilato a Dedalo, il mitico costruttore e progettista del labirinto, e inventore provetto. Hermes diviene metafora di ogni mente aperta al rischio, alla potenza eroica dell'inganno e nello stesso tempo genesi del dialettico , ossia del filosofo che vede nella incongruenza delle cose la possibilità di cercare un centro unificatore, che non può non essere il pensiero stesso, la speculatività ancora acerba nell'atto del suo germinare ctonio, segreto, ma non occulto, se è vero che Hermes è divinità solare, un personaggio del corteo di Apollo, l'incontrastato monarca della luce. Tuttavia la sapienza ermetica, nel senso dell'Hermes di Omero e non del Trismegistòs – più prossimo al Theut/Thot egizio – non era l'unica forma di conoscenza pre-filosofica che circolava nella grecità più remota. Esisteva una dottrina occulta che, nei tratti più speculativi, influenzò e molto varie filosofie: l'Orfismo. V. Natura del Dionisimo e genesi del movimento orfico La religione olimpica, che presupponeva una struttura teologica debole , non prevedendo testi sacri né dogmatiche da far rispettare, pur tuttavia si riconosceva per la centralità attribuita ad alcuni nuclei tematici forti, dai miti politeistici all' universo – ristretto ma dinamico – della pòlis. Ciò che risultava fortemente ridimensionata, in questa prospettiva, era una certa spiritualità interiore e volta al misticismo, che trovò espressione non già nella religione olimpica, ma nel Dionisismo. La religione di Dioniso proponeva una diversa spiritualità, e, almeno parzialmente, un elevato grado di esaltazione di quegli aspetti estatici, nella nuance greca di ekstasis, cioè l'uscita da questo mondo mediante l'entusiasmo e l'interpretazione, da parte umana, della “divina follia” di Dioniso. Nella figura di Dioniso veniva associata al concetto di altro, di alterità, facendo da tramite fra il mondo umano e quello divino, tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. La fuga dall'Olimpo, archetipica sede degli dei mitologici tradizionali, non implica eo ipso un approfondimento del concetto di “anima” ( psychè ) e del rapporto di quest'ultima con il divino, in un legame dialogico (inter- e trans- personale tra l'umano e il sovrumano) come avverrà nella dottrina orfica. Tuttavia c'è un'anticipazione nel momento in cui l'anima perderà i connotati di aleatorietà fantasmatica, destinata all'abbandono del corpo dopo la morte in una prospettiva negatrice dell'immortalità personale. Con una ripresa della prima religiosità animistica, precedente all'assunzione di una prospettiva mitologica, cominciò a baluginare l'idea di un'anima personale, attraverso la metafora di un daimon preesistente al corpo e reincarnantesi di volta in volta. La nozione di immortalità dell'anima esprime una visione del mondo, dionisiaca di origine, che farà sentire i suoi influssi sul piano dell'Orfismo e dei suoi sviluppi, relativamente alla prima filosofia, e alla compagine dei suoi interpreti – quelli che, con termine inesatto ma efficace, sono classificabili come Presocratici, attribuendo comunque al “pre” un senso di precedenza storica più che concettuale. In particolare, il Movimento Orfico presenta dei collegamenti evidenti col Dionisismo, in dipendenza non solo dal culto di Dioniso ma anche da elementi apollinei, dato che l'Orfismo prende nome dal mitico poeta tracio Orfeo, e la poesia, essendo specifica materia di Apollo e sua arte favorita. Tuttavia nel mito di Orfeo costui riceve il dono di scendere all'Ade per riprendere la giovane sposa Euridice e tentare di resuscitarla, tentativo non riuscito, che è comunque sufficiente ad individuarlo come agente salvifico, capace di superare i confini tra la morte e la vita, e quindi di farsi poeta del reale e profeta dell'ideale (orfico). Le tradizioni documentarie risalgono ad Onomacrito (VI secolo avanti Cristo) e percorrono la storia della cultura greca fra il II e il V dopo Cristo, con gli Inni Orfici e gli Argonautici . Una sistemazione del corpus orfico si deve all'opera filologica di O.Kern, che nel 1922 raccolse 363 frammenti e 262 testimonianze scritte. Plausibile è, come abbiamo visto, la teoria di una filiazione dell'Orfismo dai culti misterici incentrati su Dioniso, avanzata fra gli altri da E. Rohde in Psyche (1894). A fondamento di questa teoria c'è il mito di Dioniso-Zagreus, della sua uccisione e del fiero pasto ad opera dei Titani, in seguito inceneriti da un fulmine scagliato da Zeus, il padre degli dei. Dato che gli uomini nacquero, per trasformazione, dalle ceneri dei Titani, oltre che dello stesso Dioniso, poi risorto magicamente dal proprio cuore, ognuno di noi conserva una scintilla divina, affiancata alla natura titanica, sostanzialmente empia e sacrilega. La dimensione titanica viene espressa nel mito di un dàimon insito nell'uomo, come nel Dionisismo più evoluto quando si formò una sorta di anticanone che, oltre alla celebrazione dei misteri, era imperniato su una complessa dottrina mistica. Alla base c'era l'idea che nel singolo dimorasse un demone. Sul demone, non disgiunto dall'anima, pesava una condanna originaria: il ciclo delle rinascite poteva interrompersi ricorrendo a purificazioni rituali. Gli iniziati, scegliendo la vita orfica, intendevano assicurarsi l'immortalità dell'anima con la mortificazione della carne, ricettacolo d'espiazione, e le pratiche ascetiche. A questo punto si può citare lo “sconcertante” Erodoto, il padre della storia, che intelligentemente correlava la prospettiva escatologica orfico-dionisiaca con la spiritualità egizia. Questo quasi a discapito della interpretazione corrente, che tende a screditare, talora con un senso di fastidio, il rapporto tra credenze egiziane e culti dionisiaci. Il legame non è banale, né astorico o mitologico (nel senso della mitologia storicistica dei primordi). È un dato di fatto che gli antichi Egizi credessero nella vita ultraterrena, pur avendo una maggiore cura per pratiche inerenti la conservazione del corpo, riguardanti specialmente le gerarchie più elevate. Questa convinzione deriva dal mito di Osiride, che era riuscito a tornare in vita per volere di Iside, quasi una metafora del passaggio nell'aldilà che doveva per forza –così pensavano gli antichi Egizi – estendersi a tutti gli uomini in quanto generati dallo stesso demiurgo che aveva creato gli Dei, Atum-Rha. Non sappiamo in che misura, ma è chiaro che ci sia più di una coincidenza tra i due sistemi cultuali. Tuttavia l'Orfismo fu più influente dei culti misterici dell'antico Egitto, almeno per la prospettiva pre-filosofica fin qui adottata. L'importanza dell'Orfismo consiste nell'aver anticipato molti temi della speculazione greca, come quello della metempsicosi, cioè la trasmigrazione delle anime, e del dualismo pitagorico, e poi platonico, di anima e corpo, vedendo nel secondo una specie di carcere e vincolo dell'identità spirituale di ognuno. L'Orfismo sarà inoltre presente nella concezione naturalistica dei primi filosofi, che fiorì proprio in contrapposizione polemica alle religioni, e in particolare alla dottrina del mitico Orfeo che ne rappresentava una radicalizzazione in senso misteriosofico. La filosofia nasce libera dai condizionamenti della religione, tuttavia ci saranno molte affinità con l'impostazione orfica e le sue molteplici diramazioni.