Urbanistica Informazioni – Legge Consumo di Suolo

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Lo scorso 12 maggio la Camera dei Deputati ha approvato in prima
lettura la legge sul “Contenimento del consumo del suolo e riuso
del suolo edificato”. Un passaggio ancora intermedio ma per nulla
scontato, se si tiene conto dell’iter piuttosto lungo e accidentato
che ha caratterizzato il testo base, originato da un disegno di
legge di iniziativa governativa e poi profondamente modificato
e arricchito nel corso dell’esame in Commissione Ambiente e
Agricoltura. Nonostante il testo licenziato dalla Camera sia ora
passato all’esame del Senato, va sottolineato con indubbio favore il
fatto che i temi del consumo di suolo, del riuso del suolo edificato
e della valorizzazione delle aree agricole siano finalmente giunti
all’attenzione del legislatore nazionale, anche grazie alla spinta
determinata da una maggiore consapevolezza dell'opinione
pubblica, dall’apporto del mondo accademico, scientifico e delle
professioni riguardo ai limiti ormai evidenti di un modello di
sviluppo che per molto tempo non si è misurato in modo adeguato
con il tema della finitezza delle risorse ambientali e territoriali.
Secondo l'Istat dal 1971 al 2010 l'Italia ha perso il 28 per cento
della sua superficie agricola, una superficie equivalente a quella
di Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna. L'evoluzione della
superficie agricola utilizzata registra una tendenza inversa
rispetto all'andamento demografico e la continua perdita di
terreno agricolo porta l'Italia a dipendere sempre più dall'estero
per l'approvvigionamento di risorse alimentari. Molte variabili
incidono sulla perdita di superfici agricole e possono essere
ricondotte a due macro fenomeni: l'abbandono dei terreni e la
cementificazione. Per queste ragioni, quando si affronta il tema
del consumo di suolo occorre certamente fare riferimento a dati
quantitativi - l’ultimo Rapporto ISPRA ci dice che, nonostante la
crisi del settore delle nuove costruzioni, si continua a consumare
suolo al ritmo di 55 ettari al giorno, 7 metri quadrati al secondo ma esiste anche un aspetto qualitativo che è altrettanto e forse più
rilevante.
Il consumo di suolo si associa sempre di più ad una progressiva
diffusione insediativa che disperde sul territorio nuclei abitati,
attività produttive e infrastrutturali e che ha un profondo impatto
sull'equilibrio ambientale a livello locale e globale. Come ci
racconta il rapporto annuale del 2016 del Centro di ricerca sul
consumo di suolo, l'espansione delle aree urbanizzate, sempre
con maggiore evidenza, è guidata da processi di diffusione e di
dispersione, che causano la perdita del limite tra aree urbane e
rurali con un impatto negativo amplificato in termini paesaggistici
e ambientali, dovuti a una limitazione delle funzioni del suolo e
degli ecosistemi naturali, ma anche di natura economica e sociale,
con costi crescenti legati alla mobilità, alla realizzazione e alla
gestione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria
e all'impatto dell'aumento dell'esposizione al rischio di parti
rilevanti del territorio italiano. L'impermeabilizzazione del suolo
è individuata dalla Commissione europea come la minaccia
più grave e causa di degrado ed erosione di servizi ecosistemici;
incide in maniera negativa sul ciclo idrogeologico, ne aumenta
l'instabilità e nelle aree sigillate le funzioni produttive del suolo
vengono definitivamente compromesse, oltre a perdere la capacità
di assorbire CO2, con un'influenza negativa sul clima che è
direttamente percepibile dagli stessi cittadini.
Per queste ragioni il disegno di legge approvato dal Parlamento
mette al centro il “suolo” secondo una definizione che vuole
rendere conto della pluralità di funzioni che gli sono attribuite,
una definizione non orientata esclusivamente alla sua
valorizzazione a fini edificatori ma che ne riconosca pienamente il
valore ecologico e sociale, prima ancora che economico.
Il testo licenziato dalla Camera si è posto l’obiettivo di determinare
e fissare dei limiti quantitativi al consumo di nuovo suolo
agricolo, coerente con gli obiettivi europei, traendo ispirazione
anche dalla legislazione di altri Paesi che da diversi anni si sono
dotati di una normativa nazionale sull'argomento. Il quadro di
riferimento europeo rimane, naturalmente, quello a cui questa
legge si ispira - consumo di suolo tendente a zero nel 2050 - anche
auspicando una ripresa di iniziativa a livello europeo per una
nuova direttiva sui suoli. Nella sua struttura, in alcune parti
piuttosto articolata e complessa, la legge tiene ovviamente conto
del quadro di competenze che sono attribuite a livello nazionale e a
livello regionale dal vigente assetto costituzionale e dalla modifica
del Titolo V della stessa riforma costituzionale recentemente
approvata. La legge però non ha un impianto verticistico, poiché
prevede in tutti i passaggi il coinvolgimento delle Regioni e
riconosce ai Comuni la titolarità delle scelte di trasformazione
del territorio, nel rispetto ovviamente degli obiettivi di riduzione
stabiliti.
Il provvedimento, pur nelle varie modifiche subite, ha mantenuto
la sua principale finalità, quella cioè di salvaguardare il suolo
libero ad uso agricolo, stabilendo l’obbligo di una riduzione
progressiva del consumo di suolo. Fin dal titolo è altrettanto
chiaro tuttavia l’altro obiettivo fondamentale della legge: spingere
l’acceleratore sui processi di riuso del suolo edificato o comunque
già “consumato”. Le trasformazioni profonde del mercato delle
costruzioni, le esigenze rinnovate dell’abitare, del produrre, dei
flussi di movimento sul territorio fanno emergere la centralità di
processi di trasformazione della città esistente, di ripensamento
delle infrastrutture e di recupero a valore ambientale di aree già
compromesse. In molti passaggi del testo licenziato dalla Camera
emerge questa attenzione. A partire dall’articolo 1 dove si esplicita
che “il riuso e la rigenerazione urbana, oltre alla limitazione del
consumo di suolo, costituiscono principi fondamentali della
materia del governo del territorio” e dove si stabilisce l’obbligo
della priorità del riuso e della rigenerazione urbana. Questo
principio comporta, a sua volta, la necessità, in via ordinaria, di
una valutazione delle alternative di localizzazione a cui sottoporre
le scelte di nuova pianificazione e di realizzazione anche delle
opere pubbliche. La legge cerca di far fare un passo in avanti
sul fronte del riuso dell’esistente, passando dalle numerose
misure settoriali già esistenti (una su tutto l’incentivo fiscale per
ristrutturazioni edilizie e energetiche) ad una visione di sistema.
L’articolo 4 prevede l’obbligo della redazione del censimento
degli edifici e delle aree dismesse, non utilizzate o abbandonate
esistenti, quale presupposto necessario e vincolante per
l’eventuale pianificazione di nuovo consumo di suolo. L’articolo 5
reca una delega al Governo per l'adozione, entro nove mesi dalla
data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi,
volti alla semplificazione delle procedure per gli interventi
di rigenerazione delle aree degradate da un punto di vista
urbanistico, socio-economico, ambientale, secondo alcuni principi
e criteri direttivi, tra i quali la garanzia che i progetti assicurino
elevati standard di qualità e prestazioni elevate dal punto di
vista energetico, nella qualità architettonica, l'individuazione di
misure per una adeguata fiscalità di vantaggio. L’articolo 8 prevede
misure di incentivazione e semplificazione immediatamente
operative per gli interventi di recupero e rigenerazione
urbana. Anche il riportare gli oneri di urbanizzazione alla loro
destinazione originaria, quella cioè di sostenere le spese per
gli investimenti pubblici, e insieme prevedere che si possano
applicare anche per quella parte di spese correnti che riguardano
la manutenzione di opere pubbliche, la messa in sicurezza del
territorio, la riqualificazione degli spazi verdi urbani, è una scelta
coraggiosa ma ormai non più rinviabile. Differenziare gli oneri
e la componente del costo di costruzione per gli interventi di
recupero del patrimonio edilizio esistente, creando un regime di
favore rispetto alle nuove costruzioni risponde a questa volontà:
seppur non quanto avremmo desiderato questa legge introduce il
principio fondamentale secondo cui recuperare quello che già c’è
deve risultare più semplice e più conveniente che non occupare
nuovo suolo libero ai fini edificatori.
La discussione in sede parlamentare ha consentito di far fare
un passo in avanti rispetto alla necessità di un passaggio di
scala sui temi della rigenerazione urbana: dall’intervento sul
singolo edificio ad un progetto più ampio che riguarda la città
e il territorio. Questa non è (ancora) una riforma della legge
urbanistica nazionale, ma certamente rafforza un orientamento
che persegue obiettivi di riuso del suolo edificato, anche facendo
emergere in modo evidente la necessità di regole e strumenti
nuovi per gestire e accompagnare processi di trasformazione
e di sostituzione, che hanno caratteristiche ed esigenze molto
differenti da quelli tipicamente di espansione degli anni ‘50 e ‘60.
Ci auguriamo che il percorso del disegno di legge al Senato possa
rafforzare ulteriormente questi aspetti. Certamente però grande
attenzione dovrà essere dedicata anche allo sforzo di comprendere
meglio “cosa è” consumo di suolo oggi. Solo una lettura puntale
dei processi in corso potrà aiutare ad orientare ed accompagnare in
modo appropriato il percorso di applicazione della legge stessa ed
in questo l’apporto del mondo scientifico e delle professioni sarà
fondamentale.
Questa legge è uno degli strumenti che possono aiutare a far fare
un passo in avanti al Paese sui temi del governo del territorio;
sappiamo bene che non è sufficiente ma il cantiere è aperto e di
questo occorre approfittare, per superare ritardi e resistenze al
cambiamento che rallentano processi virtuosi di trasformazione e
riqualificazione, fisica e sociale, delle nostre città.
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