Revisione FB – a Cotroneo 17_9_13 Il Mediterraneo occidentale all’inizio del I millennio a.C. Il mare misterioso Il Mediterraneo occidentale e le terre che vi si affacciano entrarono nella storia molto più tardi rispetto alle zone del Mediterraneo orientale. I viaggi di Odisseo, di cui narra l’Odissea, diretti per lo più proprio verso le terre occidentali, ambientati nel XIII secolo a.C., ma raccontati da Omero intorno all’800 a.C., rivelano che le terre d’Occidente erano ancora ammantate di mistero, abitate da mostri e maghe, situate ai confini con il mondo dell’aldilà. A quanto pare i greci, che pure scorrazzavano nel Mediterraneo orientale ormai da secoli, non avevano ancora, all’epoca di Omero, una conoscenza diretta dell’ovest: così il racconto omerico somiglia piuttosto a quelli di certi marinai in esplorazione verso terre remote, che al loro ritorno narrano di viaggi avventurosi in luoghi magici e lontani dalla realtà. All’epoca di Omero stava in effetti cominciando l’esplorazione di quelle terre dove si sarebbe diretta, di lì a poco, un’intensa colonizzazione. La diffusione dell’agricoltura in Europa Il nostro continente entrò nella storia molto in ritardo rispetto all’Asia. L’agricoltura vi penetrò dall’Asia Minore solo nel VI millennio a.C., secondo due direttrici principali: le coste Mediterranee e le pianure lungo le valli del Danubio e del Reno. I villaggi neolitici si diffusero prima, intorno al 5500 a.C, in Grecia e Macedonia, poi in Italia verso il 5000 a.C. e progressivamente nell’Europa centrale, in Francia e Spagna, per arrivare solo intorno al 3000 a.C. in Inghilterra. 6.1 Le prime civiltà in Europa I celti Anche le prime civiltà in Occidente si svilupparono tardi, rispetto al vicino Oriente. Nel II millennio a.C. nell’Europa centrale giunsero popolazioni di lingua indoeuropea che i greci chiamarono celti o galati, i romani galli. Essi diedero vita a due culture principali. Intorno al 1000 a.C. in una regione tra Svizzera e Austria, ricca di miniere di salgemma e di oro, i celti, che vivevano in vari villaggi e basavano la loro economia sull’estrazione e sul commercio del sale e dell’oro, svilupparono la cosiddetta cultura di “Hallstatt”, dal nome della località austriaca in cui sono state rinvenute duemila tombe di questa civiltà. I celti costruivano centri fortificati con alcune residenze lussuose e, accanto ai villaggi, enormi tumuli dove i capi si facevano seppellire con i carri da guerra, le armi e i gioielli. Dall’attuale Austria a partire dall’VIII secolo a.C., essi, divisi in clan riuniti in tribù, migrarono alla ricerca di terre fertili in gran parte d’Europa, stabilendosi in varie zone: alcune tribù si diressero a ovest verso la Francia, la Spagna e le isole britanniche; altre, dirette verso sud, si stanziarono nell’Italia settentrionale; altre ancora, dirigendosi a est, si insediarono nel centro Europa, nei Balcani, lungo il Danubio, fino a giunger in Asia Minore. Già nel VII secolo a.C. la cultura di Hallstatt diede vita alla cultura di “La Tène”, dal nome della cittadina svizzera in cui si trovarono i primi resti. Questa cultura era diffusa nelle attuali Francia e Repubblica ceca. La sua ricchezza derivava dal commercio: da nord arrivavano metalli (stagno, rame, oro), pelli, pellicce e schiavi; dal sud mediterraneo, vino e manufatti artigianali. Per influenza delle civiltà che si erano sviluppate nel Mediterraneo, si diffuse anche la cultura aristocratica. L’aristocrazia celtica La società celtica aveva al vertice una ristretta casta di nobili guerrieri, che facevano della guerra e delle razzie la loro occupazione principale. A volte costituirono principati spesso in lotta tra loro o, più raramente, riuniti in confederazioni. Un ruolo di primaria importanza rivestiva anche la casta dei sacerdoti, strutturata gerarchicamente: al suo vertice erano i druidi. Di origini nobili, i druidi erano custodi delle tradizioni, celebravano i sacrifici, erano i consiglieri del sovrano, svolgevano la funzione di giudici e di educatori dei giovani. La cultura era tramandata dai bardi, i cantori che 1 Revisione FB – a Cotroneo 17_9_13 tenevano vive le tradizioni, celebrando le imprese dei principi, cantando i miti degli dei e degli eroi. La cultura celtica rimase essenzialmente orale e quindi ne sono rimaste scarse testimonianze. La religione attribuiva particolare importanza alla venerazione degli alberi: i riti si svolgevano quindi nelle radure dei boschi, in recinti che delimitavano lo spazio sacro. Non si costruivano invece templi. Anche qui i celti vengono semplicemente introdotti … e poi abbandonati per passare all’Italia. Siamo sicuri questa struttura “romanzesca” non risulti poi caotica e disorientante? Visto che facciamo qui un quadro del popolamento dell’Italia, secondo me i celti stanno bene qui, mentre parlarne quando invadono Roma nel 390 a.C. mi sembra sviare il discorso. 6.2. Le prime civiltà in Italia I celti nel VI secolo a.C. arrivarono anche in Italia, dove si erano stanziate già altre popolazioni assai diverse tra loro. L’Italia è la penisola centrale del Mediterraneo e per secoli lo è stata in ogni senso, non solo in quello geografico. Il clima mite e la conformazione del suo territorio hanno favorito sin dalle epoche più antiche l’insediamento umano. Questa parte va ridotta, citando i popoli più rilevanti Una penisola di tante genti L’agricoltura si diffuse nella nostra penisola, forse a opera di popolazioni provenienti dalla costa siro-libanese, a partire dalle zone più fertili, pianeggianti e con clima favorevole, come la piana di Catania e il Tavoliere delle Puglie, dove i primi villaggi neolitici risalgono al 5500 a.C. e dove sono stati trovati i primi oggetti di ceramica. Da lì, l’agricoltura si diffuse alle pianure costiere della Basilicata e della Calabria. Nell’Italia settentrionale, invece, fino al 4000 a.C. gli uomini continuarono a vivere di caccia e di raccolta. L’agricoltura si diffuse poi nelle zone ai piedi delle Alpi e sulle colline, nelle Prealpi e sui colli Euganei. Nel III millennio a.C. tutta la penisola era ancora dominio delle foreste e scarsamente popolata. Le prime culture si diffusero solo nel millennio successivo. I popoli stanziati in questo periodo nella penisola erano mediterranei pre-indoeuropei. Nel territorio compreso tra la Provenza, la Liguria, il Piemonte e la Lombardia fino alla foce dell’Arno e all’Appennino tosco-emiliano, nel II millennio a.C. erano stanziati i liguri, un popolo pre-indoeuropeo che nel corso dei secoli VI e V a.C., sotto la pressione degli etruschi e dei celti, fu costretto a ritirarsi in una zona sempre più ristretta. I romani li consideravano un popolo assolutamente barbaro. In Sardegna erano stanziati i sardi. Gli etruschi, di cui si ignora ancora l’origine, abitavano a nord del Tevere, nell’alto Lazio e in Toscana. Gli elimi erano stanziati nella parte occidentale della Sicilia: secondo la tradizione sarebbero stati troiani fuggiaschi, ma in realtà si trattava forse di popolazioni liguri. Le prime culture in Italia (II millennio a.C.) Una cultura antichissima è quella che ha lasciato più di quarantamila incisioni rupestri in una valle lombarda, nella parte settentrionale della provincia di Brescia. La Val Camonica, lunga circa cento chilometri, si estende dal passo del Tonale fino al lago d’Iseo ed è percorsa dal fiume Oglio. Qui erano stanziati nel neolitico i camuni, da cui la valle ha preso il nome. La loro origine è controversa, però, visto che le incisioni presentano influssi culturali diversi, si pensa è probabile che si trattasse di popolazioni provenienti da località diverse. 2 Revisione FB – a Cotroneo 17_9_13 A partire dal 1600 a.C., nell’Emilia occidentale, è attestata la cosiddetta cultura delle terramare, in cui i villaggi erano circondati da un fossato e da un argine e le capanne sorgevano su un tavolato rivestito d’argilla e di sabbia, poggiato su pali di legno conficcati al suolo. I terramaricoli praticavano l’allevamento e l’agricoltura, conoscevano già una forma rudimentale di tessitura e cremavano i morti, le cui ceneri venivano raccolte in urne. In alcune zone, accanto all’incinerazione, si continuava a praticare l’inumazione. Probabilmente alla metà del II millennio a.C. risale la nascita della civiltà nuragica, anche se testimonianze certe se ne possono datare solo a partire dal XII secolo a.C. La civiltà prende il nome dalle massicce torri circolari a tronco di cono, costruite con grandi blocchi di pietra, presenti in gran parte della campagna sarda, che si chiamano in dialetto nuraghos. I nuraghi sono alti anche venti metri e a volte sono distribuiti a formare un villaggio intorno a una torre principale, come nel famoso villaggio di Barumini (v. fig.x). Si trattava forse di fortezze difensive, collocate in punti strategici: sulle coste, alle foci dei fiumi, in corrispondenza di valichi o di guadi. In tutta la Sardegna se ne contano settemila. Attorno ai nuraghi sorgevano i villaggi di capanne circolari dove vivevano pastori e contadini, mentre i guerrieri vivevano nei nuraghi. La civiltà, molto ricca per le risorse minerarie dell’isola che permisero la fabbricazione di armi e utensili, raggiunse il massimo splendore nel 1200 a.C., poi lentamente decadde fin quando la Sardegna finì in mano cartaginese nel VI secolo a.C. e la civiltà nuragica perse le sue caratteristiche peculiari. Nel sud Italia e in Sicilia, nella seconda metà del II millennio a.C., divenne sempre più forte l’influenza della civiltà micenea, allora in piena espansione, attestata da numerosi ritrovamenti di ceramiche di fattura micenea nelle due zone. Storia di parole La terra mala Il termine terramara nel dialetto emiliano indica cumuli di terra particolarmente grassa e nera in cui furono rinvenuti resti, risalenti ad epoca preistorica, di scheletri e altri resti umani, spesso bruciati, e perciò definita, con termine latino, terra mala, “cattiva”. Ma l’etimologia della parola può anche derivare da “marna”, che indica la roccia calcarea che contiene una gran quantità di argilla, quella con cui si coprivano i tavolati sui quali erano poste le capanne. L’arrivo dei popoli indoeuropei in Italia intorno al 1000 a.C. Nel I millennio a.C. ai popoli originari, si aggiunsero popolazioni di lingua indoeuropea, migrate forse con la grande crisi del XII secolo a.C. Intorno al 1000 a.C. dall’Illiria, sulla costa dalmata, giunsero in Italia due popolazioni di stirpe illirica, i veneti, che si stanziarono nell’arco nord-orientale della penisola, e gli japigi o apuli che occuparono la Puglia. Gli umbri, alla cui lingua si diede il nome di osca (e perciò spesso vengono definiti oscoumbri), dilagarono dalla regione del Po, dove svilupparono la civiltà villanoviana, fino al Lazio orientale. Più a sud si stanziarono popoli imparentati con gli umbri: sul preappennino tirrenico gli equi, gli ernici e i volsci; sulle coste adriatiche i piceni; lungo l’Appennino centrale i sanniti. I falisci-latini si stanziarono a sud del Tevere fino al Circeo. Gli itali-enotri in Calabria: con il nome di itali i greci designarono prima le popolazioni della Calabria, poi di tutta la penisola; da loro derivavano i lucani, stanziati nella parte interna della Basilicata, e i bruzi nella Calabria meridionale. I siculi-sicani occuparono la Sicilia orientale e centrale. Pare che i siculi provenissero dallo stesso ceppo dei celtici britanni. 3 Revisione FB – a Cotroneo 17_9_13 La separazione linguistica Una linea ideale, che corre lungo il 12° parallelo e, partendo dalla bassa valle dell’Adige, giunge alla bassa valle del Tevere e poi prosegue dividendo in due la Sicilia, separa le lingue mediterranee a ovest da quelle indoeuropee a est. Questa dislocazione delle lingue lascia supporre che i popoli di lingua indoeuropea siano arrivati da est e non da nord, come ipotizzano alcuni. A partire dall’VIII secolo a.C. nella penisola si diffusero dialetti greci, in seguito alla colonizzazione greca dell’Italia meridionale e della Sicilia. 2.3 L’Italia del I millennio a.C.: gli etruschi La civiltà villanoviana Con il I millennio a.C. ebbe inizio anche in Italia l’età del ferro e con essa anche la storia, in notevole ritardo rispetto alle civiltà orientali. Lo sviluppo della penisola non fu però affatto omogeneo. La civiltà più notevole dell’età del ferro è quella villanoviana, che si affermò in Emilia e in Toscana fino al Lazio settentrionale. Sull’origine dei villanoviani si discute ancora, alcuni li ritengono indoeuropei, precisamente umbri, altri invece li considerano i progenitori degli etruschi, che non parlavano una lingua indoeuropea. Stanziati nei pressi dell’attuale Bologna, i villanoviani praticavano l’incinerazione e conoscevano il ferro. La loro cultura si sviluppò tra l’XI e l’VIII secolo a.C., quando si formarono centri abitati di maggiori dimensioni, i villaggi più piccoli furono abbandonati e la popolazione preferì trasferirsi nei centri più grandi, che cominciarono a diventare città. Nel VI secolo a.C. la civiltà villanoviana sarà assorbita dagli etruschi e, in parte, si fonderà con la civiltà latina. La nascita della civiltà etrusca Gli etruschi, stanziati tra il corso dell’Arno e quello del Tevere, in una zona che i romani chiamarono Etruria, furono i primi popoli della nostra penisola a creare, nel VII secolo a.C., città in grado di competere per dimensioni con le città greche. Le città sorgevano per lo più sulle alture, sia per scopi difensivi sia perché le pianure erano spesso paludose e malsane. Spinti proprio dalla presenza di molte zone paludose a escogitare ingegnosi sistemi di bonifica, gli etruschi divennero eccellenti ingegneri idraulici. Altre città erano poste in siti da cui si poteva accedere facilmente al mare, verso cui erano diretti gran parte degli scambi. tra storia e leggenda L’origine controversa degli etruschi Sull’origine degli etruschi discutevano già i greci e il dibattito è tuttora aperto. Lo storico greco Erodoto nel V secolo a.C. sosteneva che gli etruschi erano giunti per mare dalla Lidia, in Asia Minore, scappando da una terribile carestia guidati da Tirreno, da cui presero il nome sia il mar Tirreno sia gli stessi etruschi che i greci chiamarono tirreni. Una teoria moderna ancora accreditata sostiene che alla fine del XIII secolo a.C. movimenti migratori in Asia Minore e i popoli del mare fecero fuggire i tyrseni, che abitavano sulla costa dell’Asia Minore e nelle isole adiacenti. Essi in parte si stanziarono nelle isole all’ingresso dell’Ellesponto, in parte attraversarono il mare a sud-est e minacciarono l’Egitto. Iscrizioni egizie parlano infatti del popolo dei Tursha come uno dei popoli del mare particolarmente aggressivo. Poi alcuni gruppi di tyrseni passarono in Italia e si stanziarono in Etruria. I latini li chiamarono tusci o etrusci. Talvolta però li chiamavano anche lidi, proprio in ragione della loro origine. L’altra teoria è quella dello storico Dionigi d’Alicarnasso, vissuto nel I secolo a.C. Egli sosteneva che gli etruschi erano autoctoni, discendenti dei popoli mediterranei che abitavano la penisola nel neolitico, prima dell’arrivo degli indoeuropei. Oggi gli storici moderni tendono a dar ragione, in parte, a Dionigi e collegano l’origine degli etruschi alla civiltà villanoviana, ma con l’apporto decisivo di popolazioni provenienti da oriente, 4 Revisione FB – a Cotroneo 17_9_13 come sosteneva Erodoto, portatrici di una cultura e di tecnologie più avanzate, come quella del ferro. Tra ricche risorse e floridi commerci Oltre all’incremento demografico e allo sviluppo della società, favorirono l’urbanizzazione proprio i contatti commerciali con le colonie greche fondate nel sud Italia. Città come Cuma e altre colonie greche in Campania erano interessate a quelle stesse risorse minerarie che avevano spinto gli etruschi a stanziarsi in Etruria: miniere di ferro, piombo argentifero e stagno si trovavano infatti nelle Colline Metallifere in Toscana, nell’isola d’Elba, posta di fronte alle coste toscane, e nei monti della Tolfa dell’alto Lazio. Carrara offriva poi il famoso marmo. I greci intrattennero perciò fitti rapporti commerciali con gli etruschi, che poterono così sviluppare la propria economia e gli insediamenti urbani. La città dove l’attività siderurgica era più intensa era Populonia, nei pressi dell’attuale Piombino, l’unica città etrusca costruita sulla costa, perché lì arrivavano i carichi di ferro dall’isola d’Elba e dalle Colline Metallifere. L’intera zona un secolo fa era ancora interamente ricoperta dalle scorie ferrose, conseguenza della lavorazione del ferro. Per alimentare i forni di fusione del ferro, gli etruschi disboscarono le zone circostanti, con grave danno per l’ambiente. Oltre a Populonia, centri importanti erano Arezzo, Volterra, Perugia, Chiusi, Vulci, Tarquinia, Cere, Veio. Una società aristocratica La ricchezza derivata dallo sfruttamento delle risorse minerarie favorì la nascita di un’aristocrazia ricca e colta, che dai greci e dai popoli orientali acquistava opere d’arte e manufatti. Essi si erano impossessati delle terre più fertili, dove si producevano cereali, olio, vino assai rinomato e altri prodotti destinati all’esportazione. Al controllo delle attività agricole, i nobili associavano anche attività commerciali molto redditizie. Gli etruschi non diedero vita a uno stato unitario, ma una serie di città-stato, di cui le maggiori erano dodici, indipendenti ma unite in una confederazione, la Dodecapoli (dal greco dódeca, “dodici”, e polis, “città”), di carattere religioso ed economico. Ogni città era governata da un lucumone, un re elettivo che restava in carica a vita e aveva il potere giudiziario e militare. I simboli del suo potere erano la corona d’oro, lo scettro, il trono o sella curulis e i fasci simbolo del potere giudiziario: sono gli stessi simboli che passeranno ad alcuni magistrati romani. Il lucumone era affiancato da un Consiglio degli anziani, formato dagli esponenti più autorevoli dell’aristocrazia terriera, composta a sua volta da gruppi familiari uniti da vincoli di sangue. Solo all’inizio del VI secolo a.C. il lucumone fu sostituito da magistrati eletti annualmente, rappresentanti anch’essi dell’aristocrazia. Pessima la condizione sociale dei contadini, sfruttati nei campi, mentre artigiani e mercanti che popolavano le città assunsero un ruolo economico e sociale via via crescente e spesso entrarono in conflitto con la classe dominante. Numerosi gli schiavi, prigionieri di guerra o persone rapite dai pirati o debitori insolventi (G). L’espansione Dall’VIII al VI secolo a.C., gli etruschi divennero una potenza navale e commerciale, superiore a qualsiasi altro popolo presente nella penisola, se si escludono i greci delle colonie. Poterono così espandersi sia sul mare sia sulla terraferma. Sul mare riuscirono a dominare coi loro commerci, ma anche con atti di pirateria, per altro piuttosto abituali nel mondo antico, il Tirreno centrale fino alla Corsica, dove, alleati dei cartaginesi, sconfissero i greci. Quando cominciarono a estendere il loro dominio via terra, sembrava che potessero unificare l’intera penisola: 5 Revisione FB – a Cotroneo 17_9_13 a nord, fondarono nella pianura padana varie colonie, tra cui Felsina (la futura Bologna), Modena, Mantova (l’unico centro etrusco a nord del Po); in Corsica nel VI secolo, avevano tentato di insediarsi alcuni coloni greci provenienti da Focea, una colonia greca dell’Asia Minore, in fuga dai persiani che avevano conquistato la regione. Gli etruschi allora si allearono con Cartagine per sconfiggere i greci, da cui entrambi si sentivano minacciati. La battaglia navale avvenne nelle acque presso Alalìa, in Corsica, nel 540 a.C. I focesi superstiti furono costretti a spostarsi verso l’Italia e fondarono la colonia di Velia in Campania, la Corsica entrò nella sfera di influenza etrusca, che raggiunge il suo massimo splendore, la Sardegna in quella cartaginese e da allora il Mediterraneo occidentale divenne un mare cartaginese. La sfera di influenza greca rimase in Sicilia e nell’Italia meridionale e i commerci greci si svilupparono nel tratto di mare tra l’Italia e l’Asia Minore; a sud, nel VI secolo a.C., imposero il proprio controllo su Roma (dove governarono per tutto il secolo re di origine etrusca e si parlava etrusco oltre che latino) e si estesero fino alla Campania, dove furono bloccati dalle colonie greche di Cuma e Napoli, che delimitavano verso nord la zona di colonizzazione greca. La loro presenza ha lasciato tracce a Capua, che divenne città etrusca, a Nola e nell’agro Falerno. Il declino A cavallo tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C. iniziò però la decadenza, quando l’aristocrazia terriera fu soppiantata dall’emergere dei nuovi ceti sociali che si erano arricchiti con attività artigianali e mercantili: nel 509 a.C. fu cacciato da Roma l’ultimo re etrusco e i romani tentarono di espandersi oltre il Tevere; Cuma allora, approfittando delle difficoltà degli etruschi, tentò di espandersi verso l’interno della Campania. Nella battaglia presso Ariccia nel 504 a.C., i cumani sconfissero gli etruschi di Chiusi, guidati da Porsenna e posero fine all’influenza etrusca nel Lazio meridionale; alla fine del VI secolo, i celti cominciarono a dilagare al di qua delle Alpi e all’inizio del IV secolo distrussero le città etrusche della pianura padana, anche se i due popoli probabilmente per un certo periodo convissero; malgrado l’alleanza coi cartaginesi, la decadenza etrusca era ormai avviata. Dopo che i cartaginesi furono sconfitti dai greci di Siracusa nel 480 a Imera, anche gli etruschi nel 474 a.C. si scontrarono con Siracusa, nelle acque di fronte a Cuma. Vinsero i siracusani che affondarono la flotta degli etruschi e sottrassero loro la supremazia sul Tirreno. Presto tutta l’Etruria sarebbe, invece, finita in potere di Roma. CULTURA E IDENTITÀ Presenze divine Gli etruschi erano considerati nell’antichità un popolo profondamente religioso. Il loro modo di concepire gli dei era più vicino a quello dei popoli mesopotamici che a quello greco o romano. I greci avevano, infatti, una visione religiosa sostanzialmente serena, i romani basavano il loro rapporto con gli dei su uno scambio reciproco: sacrifici in cambio della protezione divina; gli etruschi invece sentivano incombere gli dei su di loro come una presenza schiacciante. La loro concezione religiosa li portava a leggere in ogni fenomeno naturale un’espressione della volontà divina e la vita pubblica e privata era condizionata dall’interpretazione dei segni che manifestavano questa volontà. 6 Revisione FB – a Cotroneo 17_9_13 I sacerdoti etruschi erano esperti nell’arte divinatoria (G), che si esprimeva in un rituale complesso, era fondata su libri di antica tradizione, che costituivano la “disciplina”, e ricorreva a diverse forme di interpretazione dei segni divini, spesso di origine orientale: gli auguri interpretavano il volo degli uccelli, da cui traevano l’auspicio che permetteva di conoscere la volontà divina; gli aruspici, che esercitavano l’arte aruspicina, interpretavano l’aspetto delle viscere, soprattutto del fegato (v. fig x), degli animali sacrificati. altri sacerdoti interpretavano i fulmini: a seconda del suo punto di partenza nel cielo, un fulmine assumeva una diverso significato. Gli etruschi infatti suddividevano in varie zone il cielo, di cui erano grandi conoscitori, come i popoli mesopotamici: a oriente, secondo le loro credenze, vivevano le divinità celesti protettrici della natura, benevole con gli uomini, nella parte nord-occidentale le divinità terrestri e infernali, considerate ostili. Erano perciò di buon auspicio i fenomeni che si verificavano verso oriente e sfavorevoli quelli a occidente. Per lo stesso motivo gli etruschi si preoccuparono di dare il giusto orientamento verso sud-est alle città e ai templi. Naturalmente il potere dei sacerdoti era molto forte, anche a livello economico, perché possedevano grandi proprietà che facevano coltivare ai contadini. Il pantheon etrusco e il culto dei morti Al vertice della grande famiglia degli dei stava la triade celeste, costituita da Tinit, che corrispondeva al greco Zeus e al romano Giove, Uni (Era, Giunone), Menerva (Atena, Minerva). Accanto a loro, altre divinità: Laran (Ares, Marte), Turan (Afrodite, Venere), Turms (Hermes, Mercurio), Apulu (Apollo), Hercle (Eracle, Ercole). Su tutti gli dei dominava il fato. Un influsso orientale si può supporre nella particolare attenzione dedicata al culto dei morti. Per loro erano costruite le necropoli, vere e proprie città dei morti, come dice la stessa parola (dal greco nekrós, “morto”, e polis, “città”), in cui si riproducevano le differenze sociali dei vivi: gli aristocratici si facevano, infatti, costruire tombe principesche, concepite come abitazioni sotterranee, dove essi potevano continuare a dimorare, arredate con mobili e suppellettili, adorne di dipinti che riproducevano la loro vita sfarzosa, fatta di danze, giochi, banchetti. Le necropoli ci forniscono la maggior parte delle notizie sulla civiltà etrusca, che non ha lasciato testi scritti di rilievo e per il resto fu assimilata dalla cultura latina e perse ben presto le proprie caratteristiche. La religione triste del declino Quando la civiltà etrusca era ormai avviata alla decadenza, e in particolare dal III secolo a.C., la visione dell’oltretomba si incupì e il mondo dei morti venne rappresentato come un luogo angosciante, dominato dal fato minaccioso rappresentato dalla dea Vanth, dotata di grandi ali e di una torcia accesa, e popolato da demoni come Charun (che i greci chiameranno Caronte, il traghettare delle anime), armato di un martello a simboleggiare il colpo definitivo del destino, e Tuchulca, dal volto di rapace e orecchie d’asino, circondato di serpenti, che puniva con pene atroci i malvagi. È probabile che i Libri Acherontici, ormai perduti, prospettassero però anche la possibilità di salvezza attraverso riti di purificazione. 7