Il Trecento ad Aversa: testimonianze d’arte
Il soggiorno di Giotto a Napoli fece nascere in questa città, così com’era avvenuto in
altri luoghi d’Italia, una prima scuola locale: lo testimoniano, non solo la
frequentazione (accreditata dai documenti d’archivio) di alcuni artisti napoletani ai
cantieri giotteschi quanto più compiutamente, l’analisi stessa delle opere pervenuteci.
Non da meno, seppure di minori dimensioni, è l`influenza esercitata sugli artisti locali
dall’altro indiscusso protagonista della pittura trecentesca a Napoli, il senese Simone
Martini, che, con il suo intervento introduce nel regno angioino il sottile fascino della
pittura senese e lascia in città una delle sue
opere più notevoli: la pala di San Ludovico
vescovo e le cinque predelle con Storie
della sua vita. Ed è proprio dagli esponenti
della scuola napoletana che derivano
alcune delle maggiori testimonianze della
pittura gotica nell’Agro aversano, a
Casaluce, ad Aversa, Orta di Atella,
Sant’Arpino. È, infatti, attribuito alla
figura del cosiddetto Maestro di Giovanni
Barrile, un artista sicuramente campano
formatosi alla bottega di Giotto, e di cui
dubitativamente il Bologna ha proposto
l’identificazione con Antonio Speziario
Cavarretto, la realizzazione della bella
Dormitio Virginis di Santa Maria a Piazza
ad Aversa. Qui, diversi affreschi, fra cui
una Madonna in trono e un Crocefisso con
la Vergine e san Giorgio, attestano la
presenza di altre maestranze, sia di scuola
Aversa, Monastero di San Francesco, A.
senese (nel primo caso) che di scuola
Speziario Cavarretto (attr.), Dormitio Virginis giottesca. Nella stessa chiesa vediamo
all’opera anche il primo artista aversano
fin qui noto, quel Tommaso Cardillo che firma la Santa Caterina nell’abside. Sulla
scorta di questo dipinto al pittore aversano è possibile assegnare, altresì, il San
Lorenzo, il Sant’Onofrio e il San Leonardo affrescati nella stessa abside, nonché
l’immagine della Vergine che allatta il Bambino in una cappellina attigua alla chiesa
cimiteriale di San Francesco da Paola a Sant’Arpino. Quasi contemporaneamente, nel
chiostro della chiesa aversana dedicata a San Francesco d’Assisi, un raffinato artista
della prima cerchia di Giotto, il cosiddetto “Maestro delle tempere francescane”, da
identificarsi secondo alcuni studiosi in Cristoforo Orimina, esegue uno dei più begli
affreschi medioevali in città: il doppio Ritratto dei santi Francesco e Chiara. Il
dipinto non è, tuttavia, il solo affresco giottesco presente nel chiostro; gli fanno buona
compagnia, variamente distribuite sui muri e sulle volte delle campate, numerose
figure di Santi, Profeti e Angeli, e una Dormitio Virginis.Alla medesima cultura
sembra appartenere anche l’affresco con
Santa Chiara e le consorelle che si osserva
su una delle pareti, benché un intervento
posteriore - al quale si deve probabilmente
il profilo del paesaggio urbano di Aversa
con le caratteristiche cupole a embrici che
si staglia sul fondo - ne abbia stravolto in
parte lo stile gotico. A questo clima sono
riconducibili pure i dipinti della cappella
del castello di Casaluce. Gli affreschi con
Storie di san Guglielmo di Gellone di
Maravalle, duca di Aquitania furono però
staccati alcuni decenni fa e sono
attualmente esposti nella cappella Santa
Barbara del Maschio Angioino a Napoli.
Attribuiti a Niccolò di Tommaso, pittore di
origini
toscane,
costituiscono
un
eccezionale ciclo che, per l’intensità della
narrazione e la qualità delle figurazioni,
rappresenta la più vasta testimonianza della
presenza toscana nella zona nonché uno dei
maggiori documenti pittorici del Trecento
Napoli , Cappella Santa Barbara, Niccolò di
Tommaso (attr.), Celestino V in trono tra Santi meridionale. Dal convento casalucese
provengono, altresì, il Celestino V in trono
e i coniugi Del Balzo (da Casaluce)
tra i santi Guglielmo e Ludovico da Tolosa
con i coniugi De Balzo inginocchiati, dello stesso artista toscano e il San Giacomo di
Andrea Vanni. Quest’ultima tavola, parte di un polittico smembrato di cui si conserva
un altro pannello a New York, nel museo Altenberg, è custodita a Capodimonte.
Franco Pezzella