Malattie dell’apparato visivo
MALATTIE DELL’APPARATO VISIVO
by Francesco Giuseppe Cannone
ANATOMIA DELL’OCCHIO
L’occhio ha la funzione di ricevere gli stimoli luminosi esterni, trasformali in impulsi elettrici
e convogliarli, tramite le vie ottiche al talamo ottico (corteccia occipitale). L’asse anteroposteriore dell’occhio misura circa 24 mm. L’occhio si trova nella cavità orbitaria costituita
da sette ossa ed è ricoperto dalla palpebre. Le palpebre sono innervate dall’arteria facciale
(ramo della carotide esterna), dall’arteria oftalmica (ramo della carotide interna), dalle vene
giugulari e dal seno cavernoso.
Le lacrime sono formate dalla ghiandola lacrimale situata nella depressione antero-laterale
dell’osso frantale, ma anche dalle ghiandole di Krause e di Wolfring. Le ghiandole di
Meibonio (situate nel tarso) e di Zeiss secernono lipidi. Le gobet cell congiuntivali producono
muco. Le vie di deflusso lacrimali partono dai puntini lacrimali, uno superiore ed uno
inferiore, situati nella parte interna delle palpebre e sboccano nel sacco lacrimale, che
attraverso il dotto nasolacrimale drenano nel meato nasale inferiore.
Attorno al bulbo oculare vi è un cuscinetto adiposo ed una fascia connettivale detta capsula di
Tenone che ingloba anche i muscoli extraoculari e la congiuntiva bulbare (in diretta continuità
con la congiuntiva palpebrale. Questa ultima a livello dell’angolo interno si ispessisce e forma
la caruncola).
I sei muscoli extraoculari si dipartono dall’anello di Zinn (struttura posta all’apice del conoide
orbitario. Serve inoltre a far passare il nervo ottico, l’arteria e la vena oftalmica e i III, IV, VI
nervi encefalici). Quattro muscoli retti: il retto mediale, il retto laterale, il retto superiore ed il
retto inferiore, si attaccano sul bulbo oculare, 5-8 mm posteriormente al limbus. Il muscolo
obliquo superiore si inserisce lateralmente al retto superiore, dopo essere passato attraverso la
troclea. L’obliquo inferiore, unico non proveniente dall’anello di Zinn, si inserisce tra retto
laterale e retto inferiore. I muscoli sono irrorati dall’arteria oftalmica, dalla lacrimale ed
infraorbitaria e sono innervati dal III, IV, VI nervi cranici.
L’occhio è formato da tre membrane o tuniche:
1. L’occhio, nella parte più esterna è costituito dalla cornea che si continua indietro con la
sclera. Cornea e sclera formano il primo guscio (membrana) molto robusto per l’occhio.
La sclera (parte posteriore ispessita, opaca e bianca) ha il compito di opporsi ad eventuali
traumi, la cornea (parte anteriore trasparente) è deputata invece a far passare le immagini
che provengono dall’esterno. La zona di passaggio fra cornea e sclera si chiama limbus.
2. Dietro alla cornea, oltre alla camera anteriore (piena di umor acqueo), vi è l’iride che
insieme ai corpi ciliati ed alla coroide, rappresenta la seconda membrana (tunica
vascolare) dell’occhio. L’iride, i corpi ciliati e la coroide costituiscono l’uvea.
L’iride, è un sottile diaframma contenente melanociti, vasi, tessuto muscolare. È bucata al
centro da una apertura circolare, la pupilla che è deputata a:
ƒ gestire la quantità di luce che entra all’interno dell’occhio (varia il diametro della
pupilla),
ƒ a non far entrare luce al di fuori della pupilla. Infatti l’iride è pigmentata (i soggetti
con occhi azzurri hanno poco pigmento ed hanno quindi grosse difficoltà in presenza
di molta luce).
La midriasi (dilatazione del foro pupillare) dipende dall’attività del muscolo dilatatore
della pupilla (i farmaci simpaticomimetici [fenilefrina] e i parasimpaticolitici [atropina],
inducono midriasi), mentre la miosi (restringimento del foro pupillare) è legata alla
stimolazione del muscolo sfintere (i farmaci parasimpaticomimetici [pilocarpina],
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indicono miosi). A regolare le risposte riflesse del muscolo dilatatore della pupilla e del
muscolo sfintere, vi sono i nuclei di Edinger-Westphal.
L’area di contatto fra iride e cornea forma all’interno della camera anteriore, l’angolo
iridocorneale, struttura che ha il compito di filtrare l’umore acqueo.
I corpi ciliati servono per produrre l’umor acqueo che ha i compito di bagnare il cristallino
e a dare tono all’occhio.
La coroide, che sta dietro i corpi ciliati, rappresenta la parte vascolarizzata (riceve il
sangue dalle arterie ciliari posteriori brevi e lunghe). Non ha alcuna funzione nella
percezione visiva.
Dietro l’iride vi è il cristallino (è costituito dal nucleo, dalla corticale e dalla capsula
esterna).
Dietro il cristallino vi è l’umor vitreo contenuto in una capsula detta ialoide. Il vitreo ha
funzione nutritiva, rifrattiva e morfostatica (mantiene la retina attaccata agli stati
sottostanti)
3. La tunica più interna dell’occhio è la retina (tunica nervosa). La retina si invagina nella
papilla ottica o testa del nervo ottico da dove poi si forma il nervo ottico che arriva alla
corteccia occipitale.
N.B. = una buona funzione visiva si ha solo quando il bulbo oculare, il nervo ottico e la
corteccia occipitale funzionano bene.
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CORNEA
La cornea è la parete più esterna del bulbo oculare. È trasparente e priva di vasi sanguigni. La
cornea si studia con la camera a fessura o biomicroscopia (è un piccolo microscopio che
manda un fascio di luce, che può essere più o meno modulato).
La cornea istologicamente è composta da 5 strati:
1) Epitelio pluristratificato = (5-6-7 strati. Questi strati fanno in modo che in seguito ad un
trauma si ripristina la restituito ad integrum nel giro di 24 ore circa.
2) Membrana limitante esterna o membrana di Bowmann = sono presente i fascetti nervosi.
3) Parenchima corneale = rappresenta la gran parte dello spessore corneale ed è strutturato in
modo da essere otticamente vuoto.
4) Membrana limitante interna o di Deschmet
5) Endotelio monostratificato = è la parte più esterna della camera anteriore. È molto
delicata, infatti se si rompe, l’umor acqueo entra dentro il parenchima corneale che si
opacizza. Se si vedono delle strisce, è segno di un danneggiamento dell’endotelio per cui
l’acqua passa nel parenchima in maniera non più selettiva. Tale condizione può essere
causata o da una endotelite da virus o da una endoteliosi spesso iatrogena (dopo intervento
di cataratta per una manovra che accidentalmente tocca l’endotelio).
La cornea attraverso l’epitelio pluristratificato e l’endotelio è in grado di ricevere la nutrizione
sia dalle lacrime (esterne) che dall’umore acqueo (interno) attraverso un meccanismo di
selezione. Riceve nutrimento ed elimina i cataboliti anche dai vasi arteriosi e venosi che si
trovano nella zona vicino alla cornea (zona perilinfare).
Patologie della cornea
a) Perdita della trasparenza della cornea = la cornea ed il cristallino formano il diottro
oculare, cioè quell’insieme di lenti che consentono ad un occhio normale la messa a fuoco
dell’immagine sulla retina. Tale messa a fuoco può avvenire se il bulbo oculare ha una
lunghezza regolare ed anche se la cornea ha una curvatura regolare. Le maggiori patologie
dovute alla perdita di trasparenza della cornea sono di natura infettiva (virale e batterica) e
sono dette cheratiti:
Cheratiti da adenovirus = sono cheratiti superficiali. Iniziano o con una flogosi
generalizzata (rinofaringe) o con una irritazione della parete esterna della sclera
(congiuntiva), che poi si trasforma in cheratide. Osservando con una lampada a fessura la
cornea si devono valutare se vi sono delle piccolissime perdite di epitelio utilizzando un
artificio: si immette nel sacco congiuntivale la fluorescina o il rosa bengala che si vanno a
posizionare dove manca o non è integro l’epitelio. Se si vedono una miriade di puntini
colorati (la cornea di norma è incolore) vorrà dire che in quei punti (localizzazione
multifocale) si è incuneato il virus ed ha provocato una erosione dell’epitelio. In presenza
di cheratite, siccome nella membrana di Bowmann vi sono dei filetti nervosi superficiali,
si instaura una sintomatologia caratterizzata da fotofobia, lacrimazione e dolorabilità. La
cornea si opacizza. Il decorso è benigno, guarisce da sola o con terapia antivirale
(aciclovir). Il cortisone, per far ritornare la cornea alla normalità, si deve usare solo dopo
che la cicatrice è guarita, perché il cortisone non favorisce la cicatrizzazione.
Cheratiti erpetica da herpes simplex = sono cheratiti superficiali. Il virus erpetico
essendo neurotropo, si localizza nelle terminazioni nervose conferendo alla cornea infetta
dal virus un aspetto arborescente, vescicoloso (nella fase iniziale la vescicola non si
rompe e il paziente non avverte dolore, nelle fasi successivi la vescicola scoppia e
vengono messi a nudo gli strati interni dell’epitelio, la Bowmann e le terminazioni
nervose, per cui il paziente avvertirà dolore). Con la fluorescina si nota una cheratite
detritica, di solito a localizzazione unica (localizzazione monofocale), la patologia è seria
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perché il virus è virulento. In genera il virus è un saprofita congiuntivale per cui spesso si
hanno recidive (soprattutto se le difese immunitarie del paziente sono ridotte) che
interessano anche gli stati più interni della cornea che spesso lasciano delle cicatrici con
conseguente opacità della cornea e grosse conseguenze se l’opacità interessa la parte
centrale della cornea. Si cura con antivirali topici e sistemici ad alte dosi.
Cheratiti da herpes zoster = la cornea è interessata (lo è molto di più nella cheratite
erpetica). Il paziente avverte fortissimo dolore a livello delle terminazioni nervose della
cute. Vi è iperemia dei vasi congiuntivali ed anche perichelatica (sotto la congiuntiva vi è
la capsula del Tenone e sotto i vasi episclerali che in caso d’infiammazione cospicua sono
molto congesti e danno colorazione rossa all’occhio). In alcuni casi si ha aumento della
pressione endoculare. Se non c’è aumento della pressione endoculare, con un
trattamento con antinfiammatori per alcuni giorni, la situazione migliora.
Cheratite intermedia o disciforme = si possono formare nelle cheratiti di qualsiasi
origine, se la cheratide invade il parenchima corneale. La cornea si opacizza al centro, si
forma come un disco scuro che si sovrappone all’iride. Ciò avviene perché la cornea non
riceve nutrimento dall’esterno, né dal circolo perilimbare (limbus = zona di passaggio fra
cornea e sclera) ed il parenchima in quel punto non riesce più a drenare i cataboliti che
sono al centro. Con la lama di luce a fessura, si vede bene una congestione pericheratica.
N.B. = si chiama cheratite a bandelletta la perdita cospicua della trasparenza corneale
nella zona centrale.
Endoteliti da virus ed endoteliosi iatrogene = vedi sopra (endotelio monostratificato).
Cheratite batteriche = sono meno frequenti, ma sono gravi e sostenute da Gram –
(pseudomonas). Oggi è frequenti nei portatori di lenti a contatto perché viene impedita la
nutrizione della cornea. Si può arrivare anche ad una colliquazione della stessa cornea. La
cura è il trapianto della cornea
Traumi = oltre alle infiammazioni, la cornea può essere interessata da traumi che
possono interessare solo l’epitelio o anche il parenchima (si formano le ulcere corneale.
Nel diabetico che ha ipoastesia dei nervi, e che quindi non sente dolore, la polvere non
viene avvertita a livello corneale e quindi strofinandosi l’occhio, si forma una ferita che
sprofonda. Quando viene ulcerato il parenchima, non si può più ristrutturare e diminuisce
la capacità visiva. In seguito all’uso di lenti a contatto la cornea può presenta un’area
biancastra necrotica, cioè si viene a formare l’ascesso corneale che può essere curato con
il trapianto della cornea. I traumi perforanti sono gravi perché portano all’interno
dell’occhio materiale settico che determina infezione. Inoltre dietro la cornea vi è l’iride
(che sanguina) ed il cristallino. I traumi alla cornea possono essere causati anche:
ƒ da ustione da acidi o alcali o calce = determinano: cornea edematosa, perichelatica
bianca, una parte di epitelio si presenta come una pagina di libro girato con presenza
di zone biancastre necrotiche attorno alla cornea (segno prognostico negativo). In caso
di ustioni, bisogna lavare accuratamente l’occhio con acqua o con acqua e zucchero
per bloccare gli acidi, gli alcali o la calce
ƒ da corpo estraneo corneale = si forma un alone intorno al corpo estraneo. Se il corpo
estraneo sprofonda molto, vi è il rischio di bucare la cornea quando si cerca di togliere
il corpo estraneo. Quando ci sono aghi di fichi d’india nella cornea, non bisogna
mettere l’anastetico, ma bisogna infilare il dito, sentirli e toglierli.
La ferita corneale deve essere suturata subito perché rappresenta una porta d’ingresso alle
infezioni, si può determinare una endoftalmite con interessamento di tutto il bulbo oculare
e quindi con compromissione di tutta la funzionalità visiva.
Quando si rompe la cornea, la ferita potrebbe provocare un eccessivo astigmatismo per
cui dopo la sutura si mette una bolla d’aria sotto la cornea. Dopo l’insulto traumatico si
formano le cicatrici che sono di entità crescente man mano che si passa dal semplice
interessamento dell’epitelio (2-3 strati) fino ad un interessamento del parenchima:
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ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Nubecola corneale = si forma quando la cicatrice è meno densa. Si vede una lieve perdita
della trasparenza superficiale (ha un colorino azzurrino),
Leucoma corneale = si forma una cicatrizzazione della cornea quando la cicatrice ha
interessato il parenchima della cornea. In corrispondenza della cicatrice la cornea è
biancastra per perdita di cospicua parte della cornea. Ciò determina un danno visivo,
Leucoma aderente = si forma quando il trauma ha leso la cornea in modo da far
avvicinare l’iride alla cornea perché si crea una differenza di pressione notevole fra
interno ed esterno del bulbo oculare. Si avrà opacità del cristallino, anomala aderenza tra
iride ed endotelio corneale o cornea stessa. Tale condizione deve essere trattata
attentamente perché può portare ad un glaucoma secondario. Inoltre se il trauma è
avvenuto da molto tempo si ha accumulo di liquidi per cui il leucoma diventa giallo con
compromissione delle capacità visiva.
Desmetocele = in seguito a trauma la cornea può sbiancarsi nella parte centrale e
protendere la membrana di Desmet verso l’iride. Scompare la camera anteriore perché
l’iride è stata spinta in avanti. La cornea diventa edematosa con neovascolarizzazione. La
neovascolarizzazione corneale profonda è un fatto gravissimo perchè da fastidio alla vista.
Se la vascolarizzazione è centrale, si accompagna ad opacità che si cura solo con il
trapianto (la neovascolarizzazione può dare problemi di rigetto).
b) Anomalie di grandezza della cornea = una cornea normale è di 12-13 mm. Il bulbo
oculare ha un rapido sviluppo nei primi 3 anni di vita. Le anomalie sono:
- Megalocornea = qualche volta uno a volte entrambi gli occhi, si presentano più grandi
del normale. È raro ma non ha alcun significato patologico.
- Glaucoma congenito o buftalmo (occhio con sclera blu) = uno o due occhi più grossi
con sclera di colore blu. La sclera è formata da fibre elastiche che poi si trasformano
in connettivo. Se c’è un bulbo che si sta accrescendo e la pressione aumenta dentro, la
sclera si espande e diventa più sottile in modo da far trasparire la coroide sottostante.
Mentre la sola megalocornea non è patologica, associata al buftalmo è preoccupante.
- Leucoma congenito = è conseguente al trauma da parto. Si forma sulla cornea. Ciò
determina una ambiliopia, cioè impossibilità ad avere una buona funzione visiva che
non è legata solo ad un danno anatomico ma ad un danno funzionale, cioè
all’incapacità che ha la zona occipitale di vedere bene le immagini che arrivano da
entrambi gli occhi. Ciò avviene perché il cervello non impara per tutta la vita, ma solo
fino al primo anno (età plastica). Superato tale periodo la parte occipitale difficilmente
recupererà la capacità visiva anche se il danno anatomico sarà ristabilito.
- Cheratite a valle netta
- Gerontoxon (alone biancastro) = si ritrova nelle persone anziane che hanno disturbi di
colesterolo. È un fatto degenerativo che da un punto di vista oculistico non ha alcuna
importanza (potrebbe però dare fastidio durante l’operazione di cataratta).
c) Irregolarità della curvatura della cornea = l’effetto finale è la ridotta capacità visiva:
- Cheratocono = la cornea ha uno sfiancamento progressivo della parte centrale.
Compare in età giovanile. È una patologia frequente ed evolutiva (peggiora). La
cornea tende sempre di più a diventare appuntita. Ciò determina alterazione della
nutrizione soprattutto nella punta con comparsa di opacità nell’apice della cornea.
- Cheratoglobo = è uno sfiancamento di tutta la cornea che si sfianca in toto dalla
radice. Provoca grosse alterazioni visive. È una patologia meno frequente e non ha
andamento evolutivo. I pazienti avvertono offuscamento ed a volte anche aloni
colorati attorno alla sorgente luminosa (sintomo aspecifico) l’unica terapia è il
trapianto di cornea. Il rigetto si manifesta con segni di flogosi ed opacizzazione del
lembo corneale.
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GLAUCOMA
Per glaucoma intendiamo una affezione che è caratterizzata da:
1) aumento della pressione endooculare (ipertono),
2) danni della papilla ottica,
3) danni al campo visivo.
Se si trova il solo ipertono oculare e non le altre affezioni, non si può dire di essere in
presenza di un glaucoma ma si può avere il rischio di contrarre il glaucoma. Se invece siamo
in presenza di un paziente con ipertono normale, ma con le affezioni 2 e 3, il paziente è affetto
da glaucoma a pressione normale (è un glaucoma a base vascolare).
Il glaucoma è una malattia subdola che all’inizio non ha sintomatologie importanti. Si
classifica in
a) glaucoma primario
ƒ congenito o infantile
ƒ dell’adulto (ad angolo stretto, ad angolo aperto, ad angolo chiuso)
b) glaucoma secondario
Un occhio affetto da glaucoma può avere un aspetto normale.
1) aumento della pressione endooculare (ipertono) = Il muscolo ciliare produce l’umor
acqueo che determina il tono al bulbo oculare e nutre il cristallino. L’umor acqueo prodotto
passa nella camera posteriore (spazio fra la parete posteriore dell’iride ed anteriore del
cristallino) ed attraverso la pupilla passa nella camera anteriore (spazio fra iride e parete
posteriore della cornea) dove trova una notevole differenza di temperatura. Per tal motivo
l’umore acqueo prima sale, tappezza l’endotelio corneale, nutrendolo e poi va via attraverso
due vie:
ƒ La via convenzionale o principale è quella dell’angolo scleroiridocorneale (dal trabecolato
sclero-corneale passa nel canale di Schlemm per 360° intorno all’occhio ed infine esce
dall’occhio riversandosi nelle vene acquose e poi nelle vene episclerali).
ƒ L’altra via è il deflusso uveo-sclerale, per cui l’umor acqueo per il 10% attraversa le
maglie dell’iride, le maglie del muscolo ciliare, compiendo un percorso a C, poi va dietro
il muscolo ciliare, nello spazio che vi è tra sclera, muscolo ciliare e coroide. La sclera ha
un apparato di aspirazione che aspira questa quota di deflusso dell’umor acqueo che va
nella vena coroideale.
Una diminuzione della pressione intraoculare (ipotono) è dovuta ad una ridotta produzione di
umor acqueo, mentre un aumento della pressione (ipertono) è quasi sempre causato da un
impedimento al deflusso a livello dell’angolo scleroiridocorneale.
La pressione endooculare si misura con i tonometri. In effetti si può misurare anche con la
digitopressione. Un tonometro impiantato su una camera a fessura si chiama tonometro ad
applanazione (il più usato) si appoggia sulla cornea su cui preventivamente è stata messa una
goccia di fluorescina. Attraverso una microvite si provoca una pressione che va via via
crescendo, per cui la cornea si appiattisce. Ad un certo punto, attraverso la lampada a fessura
si vedrà una certa figura, si legge quindi la pressione. Statisticamente la pressione
endooculare è tra 12 e 18 mmHg. Però possono esserci valori fisiologici più alti, così come
valori di 16 mmHg che possono essere normali in un individuo, sono pericolosi e dannosi per
un altro. La pressione dovrebbe essere misurata 4-5 volte al giorno perché esistono variazioni
anche in funzione dell’orto o clinostatismo. Il tonometro più antico e quello a indentazione,
che si posizionava sull’occhio del paziente sdraiato, una bilancina con un peso prestabilito.
Secondo una scala di conversione poi si risaliva al valore della pressione. Con questo metodo,
però, non si teneva in considerazione la rigidità sclerale. Un tonometro più preciso e quello
ad aria che manda un soffio d’aria, per cui il paziente soffre poco.
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2) Danni della papilla ottica = La papilla ottica è rosacea, allungata in senso
anteroposteriore, con dimensioni di circa 1,5 mm. La papilla contiene l’emergenza della vena
ed arteria centrale retinica. Al suo interno presenta una zona più chiara, appena scavata detta
escavazione fisiologica della papilla (vi sono patologie in cui questa escavazione scompare).
Il segno fondamentale della papilla glaucomatosa è l’ingrandimento dell’escavazione, ma vi è
anche un aumento del pallore.
N = Kap /Disc = 0,1 – 0,6 al max (valore max possibile è 1)
Kap = escavazione ,
Disc = papilla
L’aumento di questo rapporto può essere preso ad indice per valutare l’evoluzione o l’effetto
della terapia sul glaucoma. Questi valori sono relativi perché sono legati al medico che li
valuta.
3) Danni al campo visivo = Il campo visivo è la capacità che ciascun occhio ha di
abbracciare, ad occhio fermo, una certa quota di spazio, questo spazio varia in condizioni
fisiologiche in funzione della componente ossea, del naso, dell’arcata sopraciliare. Si ha una
maggiore possibilità di spazio dal lato temporale e verso il basso. La misurazione del campo
visivo si fa con la perimetria (computerizzata).
Un esame che serve a distinguere un granuloma ad angolo aperto o chiuso o stretto, è la
lampada a fessura insieme ad una lente di Goldman (gonioscopio) che serve per vedere
l’angolo camerulare. L’angolo camerulare è formato dalla cornea, sclera, iride e ultima parte
dei corpi ciliari. Se oltre l’iride si vede il trabecolato vuol dire che l’angolo è aperto. Se oltre
l’iride non si vede il trabecolato ma la cornea, l’angolo è chiuso. Si deve vedere se la
situazione è uguale nei 360° dell’angolo e se la situazione tende a modificarsi aumentando la
pressione con il gonioscopio.
Granuloma congenito = Il glaucoma congenito è primario e si ha nei neonati o nei
primissimi anni di vita. È dovuto ad una anomalia congenita o perché non si forma l’angolo
camerulare oppure l’angolo camerulare può essere tappezzato da una membrana (membrana
di Barca) oppure l’angolo è normale, ma vi è una atresia del canale di Schelmn (caso più
grave).Nel glaucoma congenito si vede l’iride, il trabecolato e i ponti iridei che tappezzano
tutto l’angolo fino a sopra la cornea, per cui l’umor acqueo non può uscire.
I segni sono: il bambino piange spesso, ha una marcatissima fotofobia perché le terminazioni
nervose della cornea sono molto superficiali ed essendoci un aumento della pressione vi è una
disepitelizzazione della cornea che sollecita le terminazioni nevose. Per tale motivo il
bambino tende a stare a testa in giù, lontano dalla luce, sente un forte dolore e presenta
breftalmo (ingrandimento di tutto il bulbo oculare) oltre alla megalocornea (da sola non è
patologica). Altri segni sono l’edema della cornea, rottura della parete più interna della
cornea che essendo poco elastica risente dell’aumento della pressione. Tale rottura si
manifesta con le strie di Haab, ma a volte si formano delle bolle.
La diagnosi prenatale si fa con l’ecografia uterina. Nel bambino, invece, la diagnosi si fa
misurando i diametri oculari, della cornea e dell’asse antero-posteriore e latero-laterale con la
biometria ultrasonica. L’occhio miope può essere confuso con un occhio glanulomatoso, per
evitare ciò si misura l’asse latero-laterale perché l’occhio miope è più sfiancato in senso
antero-posteriore.
La terapia è solo chirurgica (non si utilizzano farmaci perché si dovrebbe fare la terapia per
tutta la vita), la trabeculotomia (apertura entro certi limiti di una parte del trabecolato per
favorire l’ingresso dell’umor acqueo verso le vie di deflusso).
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Glaucoma dell’adulto = Il glaucoma dell’adulto si distingue in glaucoma ad angolo aperto,
glaucoma ad angolo chiuso e glaucoma ad angolo stretto. Colpisce i soggetti con forte miopia
in cui si altera il deflusso dell’umor acqueo. La diagnosi si fa con la fotometria, la perimetria,
l’esame della papilla. Il compito dell’oculista è quello di far in modo di stabilizzare la malattia
(farla diventare cronica) e non farla progredire .
Nel glaucoma ad angolo aperto non si ha alcuna sintomatologia perché la diminuzione del
campo visivo avviene in periferia ed il soggetto non ci fa caso.
La terapia del glaucoma ad angolo aperto ha lo scopo di ridurre la pressione intraoculare.
Prima si fanno i trattamenti medici e solo se questi non hanno effetti si passa al trattamento
chirurgico.
ƒ Il farmaco d’elezione è il betabloccante instillato due volte al giorno per sempre (la
malattia è cronica). I betabloccanti si distinguono in selettivi e non selettivi. I non selettivi
non devono essere usati nei broncopatici e cardiopatici. Inoltre i betabloccanti
determinano una iposecrezione lacrimale quindi spesso alle due applicazioni al giorno di
betabloccante si devono aggiungere anche 3-4 applicazione di lacrime artificiali.
ƒ Se non si può utilizzare il betabloccante, o sono insufficienti, si utilizzano associazioni di
parasimpaticomimetici (pilocarpina ed acetilina) che abbassano la pressione (perché
agiscono sul corpo ciliare, ma contraendosi tirano il tabecolato e quindi determinano
miosi). La pilocarpina (instillata 4 volte al giorno) inoltre agisce sul cristallino
spingendolo in avanti portando alla chiusura dell’angolo (è controproducente). Se la
pressione è alta e l’angolo è stretto o chiuso non si devono somministrare antimitotici
perché per effetto paradosso aumenta di più la pressione e la situazione precipita.
L’acetelina (instillata 4 volte al dì) agisce sul corpo ciliare come la pilocarpina. Un effetto
indesiderato dei parasimpaticomimetici è che la miosi e la spinta del cristallino provocano
una modifica della normale gradazione ottica ed il paziente diventa miope.
ƒ Si usano le associazioni di betabloccante e di parasimpaticomimetici perché il
betabloccante riduce la produzione dell’umor acqueo, i parasimpaticomimetici ne
aumentano il deflusso.
ƒ Altri farmaci sono le prostaglandine che agiscono sul deflusso uveo-sclerale
aumentandolo, anche a dosaggi molto bassi. Hanno due vantaggi: non sono
pupillocinetici, ed hanno una capacità di azione di 24 ore (si possono somministrare una
sola volta al giorno). Non si possono utilizzare quando l’occhio è infiammato perchè le
prostaglandine sono i mediatori dell’infiammazione. Inoltre aumentano la pigmentazione
dell’occhio.
ƒ Altro farmaco che si dà in associazione è l’antazolamide (è un inibitore dell’anidrasi
carbonica), (si instilla 3 volte al di) perché riduce la produzione di umor acqueo, però
provoca un leggero ispessimento del parenchima corneale.
ƒ Altri farmaci sono gli alfa-agonisti (derivati dell’adrenalina che diventano attivi dopo
l’instillazione, (si instilla 2 volte al dì), abbassa poco la pressione endooculare.
ƒ Se la terapia medica non ha effetto si passa alla terapia chirurgica, la trabeculoplastica,
che, mediante l’impegno di laser termico focalizzato sul trabecolato, si ottiene un calo
della tensione per aumentato deflusso dell’umor acqueo.
ƒ Se non ha effetto la trabeculoplastica, si ricorre alla trabeculoctomia che consiste nel fare
un foro nella sclera per fare uscire, sotto la congiuntiva, l’umor acqueo. Con questa
tecnica si formano delle cicatrici. Per questo motivo si ricorre a degli accorgimenti come
il massaggio leggero a palpebra chiusa. Se il paziente e giovane e la cicatrizzazione è
rapida, si inietta un antimitotico, il 5-fluoracile, che inibisce la proliferazione ma abbassa
le locali difese immunitarie. Per tale motivo il paziente per i primi 5-6 mesi è a rischio di
infezioni.
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Malattie dell’apparato visivo
Nel glaucoma ad angolo chiuso si ha dolore violentissimo, mal di testa, calo brusco della
vista, l’occhio è congesto, si ha pericheratica di tipo passiva, la cornea è edematosa (perché
l’aumento della pressione ha fatto saltare qualche parte di cellule endoteliali e l’umor acqueo
è entrato nel parenchima), la camera anteriore è molto bassa, la pupilla è in media midriasi e
l’iride è scura e fosca. La terapia del glaucoma ad angolo chiuso ha lo scopo di evitare
l’attacco acuto di glaucoma. L’attacco acuto si può avere quando si ha un blocco pupillare
(elemento scatenante). Il glaucoma ad angolo chiuso si manifesta solo in individui predisposti
che in seguito ad un dispiacere hanno una midriasi. La midriasi fa venire in avanti il
cristallino e chiude il forame e quindi il deflusso acqueo. L’umor acqueo tende a dislocarsi
dietro al cristallino e a spingere il cristallino ancora più avant, peggiorando la situazione. La
terapia dovrebbe essere chirurgica (laser) ma non si può fare subito perché la cornea è
edematosa. Si utilizzano quindi dei farmaci:
ƒ Il mannitolo al 18% (è un osmotico) endovena, che toglie una certa quantità di umor
acqueo,
ƒ Un inibitore dell’anidrasi carbonica,
ƒ Un alfabloccante (agisce solo sull’iride) per provocare una miosi passiva
ƒ Un parasimpaticomimetico
Si esegue una iridotomia che serve solo a guarire l’attacco acuto, ma non il glaucoma.
L’iridotomia con laser consiste nell’esecuzione di un piccolo foro sull’iride per mettere in
comunicazione la camera posteriore con quella anteriore evitando la spinta in avanti dell’iride.
L’occhio con un glaucoma acuto ad angolo chiuso ha delle caratteristiche biometriche
particolari:
- Iride = (rappresenta la parte più bassa dell’angolo camerulare), si ha alterata
inserzione, radice più corta, spessore aumentato, ridotta elasticità.
- Corpi ciliari = (che normalmente sono disposti su un piano verticale rispetto all’iride)
si ha alterato rapporto con l’iride che sono più grandi del normale,
Caratteristiche biometriche
Diametro corneale
Raggio curvatura anteriore
della cornea
Raggio curvatura posteriore
della cornea
Profondità
anteriore)
centrale
(cornea
Spessore del cristallino
Lunghezza dell’occhio
Normale (mm)
11,76
11,05
7,92
7,67
6,46
Glaucoma acuto ad angolo chiuso
10,84
10,72
7,64
7,61
6,23
De Marcelle
Tomlinson
De Marcelle
Lowe
Lowe
2,91
2,8
2,9
4,46
4,5
4,64
23,10
22,58
24,38
1,72
1,8
2,04
5,43
5,09
4,80
22,01
22,06
22,78
De Marcelle
Lowe
Reibaldi
De Marcelle
Lowe
Reibaldi
Lowe
Tomlinson
Reibaldi
Quindi nel glaucoma acuto ad angolo chiuso, la cornea ha una curvatura ridotta, la camera
anteriore è ridotta, il cristallino è più spesso, e tutto l’occhio è più corto. Ciò è un fatto
certamente genetico, infatti nelle nostre latitudini l’angolo chiuso è estremamente raro, mentre
è nettamente più frequente negli asiatici. La differenza fondamentale tra glaucoma ad angolo
aperto e quello ad angolo chiuso è legata alla differente situazione biometria.
Francesco Giuseppe Cannone
9
Malattie dell’apparato visivo
Nel glaucoma ad angolo chiuso si può solo agire sostituendo il cristallino con uno artificiale
(non si fa quindi la trabeculectomia come per quello aperto).
Con le caratteristiche biometriche si possono fare anche diagnosi di glaucoma congenito
(aumento di volume del globo per una abnorme componente elastica della sclera).
All’esame gonioscopico si vede una pupilla in midriasi, iride atrofica tipica di chi ha avuto un
glaucoma acuto, l’iride è bombata ma non ha il trabecolato. Lo stesso occhio dopo
l’intervento mostra ancora l’iride atrofica, ma perde la bombatura e mostra un angolo
camerulare.
Glaucoma secondario = vi è un notevole aumento della pressione che più o meno
velocemente (a secondo dei valori pressori) porterà al danno della testa del nervo ottico e
all’abbassamento dell’acutezza visiva.
a) ci sono situazioni in cui si ha ischemia della retina. Ciò determina neoformazione dei vasi
che dalla retina vanno a tappezzare la parete non visibile dell’iride (cioè dalla camera
anteriore arrivano sulla pupilla e tappezzano anche la parete anteriore dell’iride ed infine
tappezzano il trabecolato). Insieme ai vasi si sviluppa anche un connettivo di supporto.
Quando i vasi arrivano a tappezzare anche l’angolo camerulare, l’umor acqueo trova un
blocco e aumenta la pressione. In questo caso si parla di glaucoma neovascolare (o
emorragico perché i vasi neoformati essendo molto fragili sanguinano facilmente). Le
cause che possono portare al glaucoma vascolare sono la retinopatia diabetica e la
trombosi della vena centrale o l’occlusione dell’arteria centrale. Sono condizioni che
portano l’ischemia e formare dei vasi a cui si può rispondere per ablazione o bruciatura
della retina ischemica, con laser termico o con la crioterapia (una sonda che trasmette
freddo viene messa sulla congiuntiva e provoca necrosi dei vasi). Oppure, se l’occhio non
è vedente, non ha senso operare, ma si corregge il dolore legato alla pressione alta, con
atropina (cicloplegico), guanitidina (che rinforza l’azione dell’atropina) e il cortisone
come antinfiammatorio (perché la pressione alta provoca della flogosi). Se l’occhio vede si
deve diminuire la pressione si usa un betabloccante, ma è preferibile nei casi acuti la
trabeculectomia con antimitotici (nei diabetici determinano molte infezioni). Una
alternativa alla trabeculectomia sono le protesi (tubi di silicone) che pescano nell’umor
acqueo della camera anteriore e lo spostano sotto la congiuntiva. Dopo che la pressione si
abbassa, si esegue l’ablasione della retina per ridurre il rischio di recidiva. (N.B. = la
presenza di sangue nella camera anteriore si dice ipoema).
b) Altra causa di glaucoma secondario è l’angioma che può provocare modificazioni
(normalmente la pressione dell’occhio è più alta della pressione delle vene episclerali e
quindi l’acqua esce dall’occhio e si dirige verso il circolo generale). In caso di angioma si
determina una pressione sfavorevole tra interno ed esterno del bulbo e l’acqua non può
uscire. La stessa cosa si verifica nella fistola artero-venosa.
c) Le sinechie posteriori impediscono che l’acqua passi nella camera anteriore, quindi si
può avere granuloma secondario per l’iride. In questo caso si fa l’iridotomia per creare
una strada alternativa all’acqua.
d) Nella desquamazione (pseudoesfoliazione) del cristallino, le cellule desquamate si
depositano sul trabecolato. Spesso si ha anche lassità della zolla.
e) Altra causa di glaucoma secondario è il glaucoma pigmentario. È più frequente nel Nord
Europa. Consiste nel rilascio di pigmento irideo (per una particolare struttura dell’iride)
che va a depositarsi nell’angolo camerulare e crea ostruzioni. Si parla di sindrome di
dispersione (stato pregranulomatoso) quando si hanno i sintomi della dispersione ma non
si ha pressione alta. Questi soggetti dopo 10-15 anni sviluppano quasi sicuramente il
glaucoma. Tra i segni che si ricercano nel glaucoma pigmentario è la pigmentazione
corneale allungata che è il fuso di Krukenberg. Tale fuso si forma perché l’umor acqueo
arriva dalla camera posteriore alla cornea anteriore, poi per differenza di temperatura
Francesco Giuseppe Cannone
10
Malattie dell’apparato visivo
f)
g)
h)
i)
esegue un movimento dall’alto verso il basso e i granuli di pigmento tendono a depositarsi
sull’endotelio corneale. tale situazione si può mettere in evidenza con un’illuminazione
non diretta. La perdita del pigmento può essere legata ad una anomala curvatura dell’iride
con convessità verso il cristallino, il che determina uno sfregamento tra iride e cristallino e
conseguente perdita del pigmento. In un occhio che ha sindrome da dispersione, facendo
una iridotomia, in genere l’iride si appiattisce e si crea così un aumento della distanza dal
cristallino. In questo modo vi è la possibilità che si eviti la formazione del glaucoma, ma
gli studi sono ancora in corso. Il glaucoma pigmentario in genere è trattato come il
glaucoma ad angolo aperto, perché è asintomatico. L’unica differenza, a parte la struttura
dell’iride), è che è presente in persone molto giovani.
Quando in seguito ad un trauma si ha una iridodialisi con destrutturazione dell’angolo
camerulare, si forma un glaucoma traumatico che può insorgere immediatamente dopo
in trauma (in questo caso la diagnosi è più facile perché il paziente viene sottoposto a
fotometria e vi è anche la possibilità di una riduzione spontanea per destrutturazione
momentanea, per esempio per accumulo di sangue che poi defluisce), oppure
tardivamente, dopo 1-5 anni (in questo caso, siccome non ha avuto sintomatologia, il
paziente arriva dall’oculista con gravi danni).
La lussazione o sublussazione del cristallino secondaria a fatti traumatici o a sindrome
congenita, provoca uno scollegamento del normale iter dell’umor acqueo che può portare
al un glaucoma secondario. Se si lussa nella camera anteriore verso la pupilla i valori
pressori si innalzano moltissimo.
Il glaucoma iatrogeno da cortisone si instaura in individui geneticamente predisposti
(glaucoma responders), quando si iniettano per via generale(spesso per questa via si
instaura la cataratta) o per installazione. È un glaucoma insidioso perché il paziente se ne
accorge solo quando la pressione è così alta da dare dolore. Il cortisone provoca deposito
di mucopolisaccaridi tra le maglie del trabecolato, che ne riducono il lume, con ostacolo
del deflusso.
I tumori se sono molto grandi e molto anteriori, occludono la possibilità di deflusso per
20° - 50° - 100°. I melanomi anulari dell’estrema periferia della coroide, crescendo
strozzano i corpi ciliari che vengono spinti in avanti e chiudono la via di deflusso.
Francesco Giuseppe Cannone
11
Malattie dell’apparato visivo
IRIDE
L’iride ha due caratteristiche:
1) è pigmentata. Più è pigmentata più è scura e meno passa la luce, quindi un occhio con
iride chiara ha maggiore difficoltà in presenza di luce.
2) Al centro ha un foro, la pupilla, che si allarga o si restringe per regolare l’ingresso della
luce. In condizioni normali il diametro della pupilla è di circa 4 mm. Può andare in miosi
serrata quando c’è moltissima luce, oppure può andare in midriasi ampissima in
condizione di buio o per effetto di farmaci.
L’iride è in rapporto con i corpi ciliari che poi si continuano con l’ora serrata. L’iride per
condizioni parafisiologici può presentare differenti colorazioni nei due occhi (eterocromia).
L’iride si studia con la lampada a fessura o biomicroscopio (che studia anche la cornea ed il
cristallino).
Le condizioni patologici dell’iride sono:
1) Persistenza della membrana pupillare = il forame pupillare è occupato da sottili filamenti
biancastri di tessuto epiteliale, la membrana di Vakendoff. Durante la vita fetale la pupilla
è tutta ricoperta da questa struttura che va man mano riducendosi sino a scomparire alla
nascita. Se persiste si vedono questi filamenti che possono creare dei problemi alla vista
perché non consentono il passaggio della luce.
2) Presenza di più forami pupillari = se si hanno più pupille capaci di allargarsi e stringere
anche ai farmaci si parla di policoria; se invece si hanno più pupille o fessure che non
reagiscono ai farmaci, si parla di pseudopolicoria. In questo caso l’iride si presenta
atrofica e non riesce a modularsi alla presenza della luce.
3) Coloboma dell’iride = per un difetto embriologico di chiusura, l’iride non viene
perfettamente saldata, per cui manca un pezzo di iride. L’imperfezione non è grave,
spesso bilaterale, però si ha una difficoltà a modulare la luce. A volte il coloboma
dell’iride si accompagna al coloboma della coroide, in questo caso il problema è più serio.
In presenza di coloboma della coroide, detto a tappo di chiave (largo sopra e stretto
sotto), osservando la retina si vede di aspetto bianco (in genere in un occhio normale, la
retina si vede rossa scura). Se il coloboma della coroide interessa la parte periferica, il
danno è relativo, se invece interessa la parte centrale dell’occhio, la visione sarà
scarsissima, perché manca il supporto nutritivo della coroide affinché possa funzionare la
retina.
4) Anidria = è l’assenza totale o parziale dell’iride. È una alterazione rara ma grave perché il
paziente subisce un insulto dalla luce ancora di più che gli albini. Molto spesso questa
alterazione si associa all’opacità del cristallino, a nistagmo, a glaucoma.
5) Irite = è l’infiammazione dell’iride. I segni sono:
a. Dolore non molto forte,
b. Infiammazione di tipo attivo (l’occhio è rosso),
c. L’iride infiammata è più scura (iride fosca) rispetto all’altra,
d. La pupilla tende alla miosi per congestione dei vasi iridei,
e. Il materiale infiammatorio, sotto forma di precipitati, si trova nella camera
anteriore. I precipitati si trovano sulla superficie superiore, in basso, orientati a
forma trapezoidale. Questi precipitati sono lasciati dall’umor acqueo mentre passa
nella camera anteriore.
6) Iridociclite = è la complicazione dell’irite quando, oltre all’iride, sono interessati i corpi
ciliari. I segni sono molto simili a quelli dell’irite, ma essendo interessati i corpi cilari, che
producono l’umor acqueo, i segni sono più ridondanti e l’elemento più importante è il
Francesco Giuseppe Cannone
12
Malattie dell’apparato visivo
dolore che spesso può essere causato dall’aumento dalla pressione dell’occhio (si può
confondere con un attacco di glaucoma acuto (nell’iride si ha miosi e la profondità della
camera anteriore è normale, nel glaucoma acuto si ha midriasi e la profondità si riduce).
Eziologia dell’irite e dell’iridociclite
L’infiammazione non è mai diretta ma è secondaria (ad esempio ad una tonsillite) o a
fenomeni immunitari. L’irite e l’iridociclite vanno curate in maniera drastica. I farmaci
che si usano sono: localmente l’atropina (parasimpaticolitico) che dà midriasi e
cicloplegia (mette a riposo il corpo ciliare. I cicloplegici si utilizzano pure per mettere in
evidenza i vizi di rifrazione nei bambini), il cortisone (antinfiammatorio) e l’antibatterico
(la congiuntiva è ospitata normalmente da una flora batterica che è silente. Nei processi
flogistici questa flora può virulentarsi per cui è necessario l’uso degli antibiotici).
Successivamente si deve scoprire la causa dell’infiammazione e si fa l’esame delle
tonsille, odontoiatrico, chirurgico (appendicite) e dell’assetto immunitario.
Nell’esito di una iridociclite rimangono delle zolle di pigmento (a grasso di montone) di
colorito scuro, per cui la cornea non è perfettamente trasparente, la camera anteriore è
normale, la pupilla è irregolare perchè per conseguenza della flogosi si è avuta una
essudazione che ha provocato l’anomala aderenza in alcuni punti fra la superficie
posteriore dell’iride e la faccia anteriore del cristallino, che si chiamano sinechie posteriori
(la sinechia anteriore si crea tra faccia anteriore dell’iride e posteriore della cornea, nel
leucoma aderente).
Se nella camera anteriore vi è pus, si parla di ipopion, in tal caso è interessata anche la
cornea. Quando nella camera anteriore vi è materiale flogistico (proteine) si parla di
effetto Tindall (intorbidamento dell’umor acqueo). Se ci sono sinechie per 360° (in tutta la
circonferenza) si parla di seclusione pupillare che comporta rigidità pupillare, ipertono
secondario, l’occlusione pupillare invece si ha per deposizione ed organizzazione di
fibrina in modo da occludere completamente il campo pupillare.
7) Tumori = esistono benigni e maligni. I primi sono i nei, cioè accumuli di pigmento che si
contraddistinguono da un tumore perché non sono rilevati sul piano irideo, non si
estendono ai corpi ciliari, ma vanno controllati nel tempo perché potrebbro degenerare. Se
la lesione è pigmentata e rilevata, è molto probabilmente un melanoma dell’iride, che va
escisso. Molto spesso nasce dai corpi ciliari per cui bisogna intervenire sull’iride e sui
corrispondenti corpi ciliari. Per la diagnosi si può usare l’ultrabiomicroscopia (è un
apparecchio ad ultrasuoni che ha una frequenza di 50 MHertz. Ha lo svantaggio di non
poter analizzare le strutture profonde, ma riesce a dare ottime definizioni delle strutture
superficiali. L’iride normalmente deve essere lineare. In caso di tumore, visibile anche con
la camera a fessura, si possono fare diagnosi in base ad alcune caratteristiche del tumore.
Si può fare diagnosi di iride a banbè (?) quando per delle sinechie che si formano tra iride
e cristallino, l’umore acqueo non riesce a passare in camera anteriore e spinge l’iride fino
a contatto con l’endotelio corneale).
Un tumore a lungo andare può opacizzare il cristallino.
Un tumore può non presentarsi come un accumulo di pigmento ma come concavità
dell’iride, segno che c’è qualche cosa che spinge di dietro; non è detto che si tratti di un
tumore maligno perché può essere anche una cisti. A volte un tumore dell’iride o dei corpi
ciliari si manifesta all’improvviso sulla sclera, con i vasi sentinella che spuntano congesti
ed ectasici (sono i vasi che drenano la parte del bulbo in corrispondenza del tumore). Un
esame utile in questo caso è la gonioscopia (sfrutta la lampada a fessura che manda la luce
su uno specchietto posizionato sull’occhio del paziente. Con questo strumento si vede
l’angolo camerulare che non si vede ad occhio nudo).
Tra i tumori ricordiamo le formazioni riccamente vascolarizzate che possono interessare il
forame pupillare, l’angioma irideo.
Francesco Giuseppe Cannone
13
Malattie dell’apparato visivo
8) Traumi =
a. spesso un trauma all’occhio comporta la dialisi dell’occhio, cioè l’iride si stacca dalla
base, cosicché sono visibili i corpi ciliari, per cui il danno comporta interessamento
delle vie di deflusso dell’umor acqueo ed eventualmente se aumenta la pressione
endooculare si può avere glaucoma traumatico o nell’immediatezza del trauma odopo
qualche tempo.
b. Prolasso dell’iride = va trattato immediatamente perché l’iride è un tessuto
vascolarizzato che in condizioni fisiologiche è ben protetto dal bulbo oculare, ma
messo all’esterno viene attaccato da una miriade di germi con il rischio di una grave
infiammazione. In questo caso la cura è l’escissione (non si deve far entrare l’iride
perché provocheremmo una sicura infezione).
c. Cisti iridei = si possono formare in seguito a traumi. L’iride si scompagina nel suo
aspetto normale ed assume un aspetto cistico. Una cisti si deve ben valutare perché
potrebbe modificare il normale deflusso dell’umor acqueo con riflessi sul tono
oculare.
d. Corpi estranei = vanno tolti immediatamente soprattutto se di ferro. La ferita corneale
o sclerale è sempre molto piccola rispetto alla grandezza del corpo estraneo.
Francesco Giuseppe Cannone
14
Malattie dell’apparato visivo
CRISTALLINO
Il cristallino ha una forma a lenticchia, con un nucleo centrale di materiale corticale duro e
consistente, rivestito da un materiale corticale lasso, da una capsula esterna anteriore ed una
posteriore. È posizionato dietro l’iride ed ha come punti di aggancio i corpi ciliati che fanno
parte della tunica vascolare, insieme all’iride ed alla coroide. Le fibre zonulari (collagene),
legate al muscolo ciliare, si agganciano ai corpi ciliari da un lato, alla parte posteriore del
cristallino ed all’equatore del cristallino nella parte anteriore. Il cristallino, insieme alla cornea
fa parte del diottro oculare, ma il cristallino a differenza della cornea ha la possibilità,
attraverso la contrazione ed il rilassamento dei corpi cellulari, delle fibre zonulari e del
muscolo ciliare, di modificare il proprio spessore (accomodazione) e di mettere a fuoco le
immagini sulla retina. A 40-50 anni tale la capacità comincia a venir meno, non si ha
l’accomodamento e di instaura la presbiopia (la presbiopia è l’opposto della miopia. Se vi è
una lieve miopia, questa compensa la presbiopia, come accade che qualcuno ad 80 anni possa
leggere il giornale senza occhiali).
Il cristallino, che si studia con la lampada a fessura, è normalmente trasparente. Quando
incomincia ad avere segni di flogosi, si opacizza nella parte centrale del nucleo, ma si può
opacizzare anche solo nella corteccia anteriore, in quella posteriore o si può opacizzare tutto.
L’opacizzazione del cristallino determina la cataratta che può essere distinta in:
a) Cataratta congenita = è grave perché impedisce il normale sviluppo visivo degli occhi e
conduce all’ambliopia. È legata al virus rubeolico ed alla trisomia del 21 e 18.
L’intervento può restituire la trasparenza al cristallino ed anche la visione da lontano, ma
non l’accomodamento da vicino (inferiore a 6 metri). La diagnosi nel bambino si può fare
facilmente perché presenta nella pupilla un riflesso biancastro (leucocorìa). La leucocorìa,
oltre che nella cataratta congenita è presente nel retinoblatoma, tumore maligno dei
bambini, oppure può essere dovuta ad una persistenza del vitreo primitivo opaco (il vitreo
durante la vita intrauterina è opaco, schiarisce con il tempo). Altre volte la leucocorìa si
associa allo strabismo (occhio storto in genere verso l’esterno), ciò avviene perché
l’occhio non vede bene, ha perso il punto di fissazione e tende ad andarsene per conto suo.
Nei primi giorni o mesi di vita però è del tutto normale un certo strabismo dato
dall’incoordinazione motoria dei muscoli oculari, perché l’occhio non ha ancora imparato
a vedere.
b) Cataratte traumatiche = si possono avere soprattutto per traumi perforanti (ma anche per
traumi e contusioni), che fanno rompere la camera anteriore, l’umor acqueo imbibisce il
nucleo, il materiale corticale ed immediatamente il cristallino si opacizza.
c) Cataratte idiopatiche o senili = sono le più frequenti ed interessano i soggetti dopo i 65-70
anni. Sono idiopatiche perchè ancora non si capiscono i meccanismi biochimici che
opacizzano il cristallino. Il paziente avverte una riduzione della brillantezza dei colori, è
come se il mondo si stesse ingrigendo, o come se dinanzi agli occhi ci fosse un filtro che
riduce l’ingresso della luce. Se l’opacità è nel nucleo (centrale), il paziente con il Sole non
vede niente, vede all’imbrunire.
Le cataratte possono essere bianche, lattescenti, gialle (ipermature). Le cataratte gialle
possono rappresentare un’urgenza chirurgica perché la capsula anteriore e posteriore si
possono fessurare ed il materiale corticale dall’interno del cristallino può uscire all’esterno e
contaminare l’occhio come un corpo estraneo, come spina irritativa. Si creano delle reazioni
allergiche che possono portare al glaucoma facolitico( da facos = lente, cristallino) (o uveite
facoallergica) con aumento della pressione endooculare. La flogosi cessa con l’asportazione
del cristallino.
Francesco Giuseppe Cannone
15
Malattie dell’apparato visivo
Vi sono patologie legate alla perdita della posizione del cristallino dietro l’iride:
a) Lussazione del cristallino nella camera anteriore = il cristallino, più rotondeggiante e più
piccolo, facilmente entra nel forame pupillare e si disloca nella camera anteriore come
nella sindrome di Markesan (è una connettivopatia. I soggetti sono brachitipi.). Tale
situazione determina lo spostamento del vitreo in avanti fino ad occupare il forame
pupillare, in modo da bloccare l’acqueo che non passa nella camera anteriore e determina
un ipertono. (N.B. = il cristallino può lussarsi anche sulla retina).
b) Sublussazione del cristallino in cornea posteriore = il cristallino è parzialmente dislocato,
non occupa tutto il formane pupillare e non va nella camera anteriore. È ciò che succede a
soggetti predisposti, come quelli con la sindrome di Marfan (è una connettivopatia. I
soggetti sono alti con dita affusolate ed hanno miopia causata della sublussazione) in
seguito ad un trauma.
c) Tridodialisi (mancanza dell’iride) = è una conseguenza di un trauma che ha provocato
una disinserzione della radice iridea dai corpi ciliari.
Esami funzionali del cristallino
Prima di un intervento chirurgico sulla cataratta, bisogna constatare il buon funzionamento e
l’integrità del vitreo, retina e nervo ottico. Gli interventi sono:
1) Ecografia = rivela se vi è distacco della retina, emorragie endovitreali, tumori. Serve pure
per calcolare la lunghezza dell’occhio e decidere che lentina mettere all’interno
dell’occhio. L’ecografia ci da informazioni morfologici, non funzionali.
2) Potenziali visivi evocati, elettroretrografia, elettrooculografia = servono a vedere se a
carico della retina e del nervo ottico vi è conduzione di stimoli elettrici. Sono esami
funzionali che devono precedere l’intervento chirurgico di cateratta.
3) Un intervento che può essere fatto dal medico di base, consiste nel mettere il paziente in
una stanza buia ed accendere una candela. Se la retina ed il nervo ottico sono sani, anche
se siamo in presenza di cataratta, il paziente deve vedere da dove viene la luce.
Con l’intervento, si toglie il cristallino e si sostituisce o con
ƒ una lente “a tempiale” (occhiali) = dà un ingrandimento dell’immagine di 30 volte
rispecchio all’occhio controlaterale normale e il cervello non riesce a vedere bene
l’immagine delle due retine. Il campo visivo è ridotto. Infatti questi pazienti vedono bene
(10/decimi) solo davanti, se spostano lateralmente l’occhio non vedono più bene.
ƒ una lente “a contatto” = l’ingrandimento dell’immagine è di 5-6 volte. Il paziente vede
bene, però la lentina deve essere portata tutta la giornata e presuppone una buona
secrezione lacrimale. Il campo visivo è maggiore di quello che si ottiene con gli occhiali.
ƒ una lente intraoculare posta dentro il bulbo oculare (davanti l’iride, dietro l’iride, nel sacco
capsulare, con una fissazione sclerale) È quella che normalmente viene utilizzata nel 99%
dei casi di asportazione del cristallino. Dà lo stesso ingrandimento dell’altro occhio. Il
campo visivo è ottimale, ed è quindi la migliore soluzione di sostituzione.
Nella cataratta congenita prima di applicare una lente intraoculare si deve misurare la
lunghezza dell’occhio con la biometria (ecografia) e stabilire la gradazione di lente da
mettere. Ma mentre l’occhio di un adulto non cresce più, in un bambino c’è il problema che
l’occhio cresce molto nei primi tre anni di vita. Perciò in caso di una cataratta congenita ma
anche in una traumatica, in un bambino, non si può calcolare la gradazione. Se invece il
paziente ha 10-15 anni, se la cataratta congenita è bilaterale, la migliore correzione è la lente
tempiale che ingrandisce bilateralmente. Si fa un intervento attraverso la “pars placata” posta
dietro i corpi ciliari, si asporta l’opacità del cristallino e si lascia la parte periferica della
Francesco Giuseppe Cannone
16
Malattie dell’apparato visivo
capsula anteriore e posteriore che serviranno da impianto della lente intraoculare (impianto
secondario) quando il paziente sarà cresciuto.
Il problema è più grave se la cataratta congenita è monolaterale. Si deve mettere la lente a
contatto, ma si può arrivare all’ambliopia. Si ha un buon risultato solo se la lente a contatto si
mette tutti i giorni. Verso i 5-6 anni si procede all’impianto secondario di una lente
intraoculare. Nell’impianto secondario si sfrutta l’anello fibrotico residuo della capsula
posteriore.
La soluzione dell’impianto intraoculare definitiva dell’adulto, è quella migliore e si può
posizionare la lente :
ƒ sfruttando il solco ciliare tra il corpo ciliare e l’iride
ƒ mettendo la lente dentro il solco capsulare.
Nel 1° intervento la capsula posteriore è il supporto per la lente che si mette in sostituzione
del cristallino. La capsula posteriore rimane sempre. Sia che mettiamo la lente nel sacco, sia
che la mettiamo nel solco. Ma nel 20-30% dei casi la capsula posteriore tende ad opacizzarsi e
di troviamo di fronte ad una cataratta secondaria che rappresenta l’unica indicazione al
trattamento laser (le cataratte non si possono operare con il laser).
Esistono vari tipi di laser:
1) termico (che brucia)
2) iagh laser (laser che taglia)
Nel trattamento laser vi è il rischio di un distacco della retina del 5%, se la capsula posteriore
è rotta. Ciò avviene perché l’acqueo agisce come un diluente del vitreo che non tampona, non
tiene più la retina attaccata e piccole rotture di retina non vengono tamponate e si arriva al
distacco della retina. In un occhio operato di cataratta, con una capsula posteriore integra, il
distacco della retina è solo dell’0.1-0,3%.
Francesco Giuseppe Cannone
17
Malattie dell’apparato visivo
ANNESSI
Per annessi si intendono quelle strutture che non fanno parte strettamente del bulbo oculare: la
congiuntiva, le palpebre, l’apparato lacrimale e l’orbita.
Malformazioni del bulbo oculare
ƒ Anoftalmo = assenza totale del bulbo oculare
ƒ Microftalmo = piccole dimensioni del bulbo oculare o abnorme sviluppo delle strutture
ossee (distosi mandibulofacciale di Franceschetti [caratterizzata da ipoplasia del malare e
da uno pseudocoloboma della palpebra inferiore], sindrome di Goldenhar [a cui si
associano dermoidi lombari], sindrome di Crouzon [prematura fusione delle suture del
cranio], sindrome di Apert [simile alla sindrome di Crouzono con associata la sindattilia]).
ƒ Dermoidi = sono coristomi localizzati nella zona superotemporale della palpebra
superiore.
Patologie dell’orbita = è una scatola ossea di forma allungata verso l’indietro (l’asse anteroposteriore misura circa 24 mm), formata da 7 ossa: frontale, zigomatico, palatino, sfenoide,
mascellare, etmoide, lacrimale, e da varie fessure ottiche. Nell’orbita passano tutti i nervi che
devono innervare i muscoli estrinseci, il bulbo oculare e vi entrano i vasi sanguigni
(attraverso la fessura orbitarla superiore). Il bulbo oculare sporge dall’orbita solo per alcuni
mm perché vi è l’apparato muscolare che serve a ritrarre e a trattenere il bulbo nell’orbita. Le
patologie dell’orbita si distinguono in:
ƒ Exorbitismo = laterizzazione dell’orbita tipica della malattia di Crouzon.
ƒ Esoftalmo = protrusione del bulbo oculare,
ƒ Enoftalmo = introflessione del bulbo oculare. In genere l’enoftalmo conseguente a
traumi determina diploidia. Può essere conseguenza di fratture del tetto del seno
mascellare.
Il rapporto esolftalmo/enoftalmo è 50/1. Per misurare la protrusione del bulbo oculare si usa
l’esolftalmo di Hertel. Si ritiene che qualora la differenza di protrusione tra un occhio e l’altro
sia maggiore di 3 mm possiamo fare diagnosi di esoftalmo. La miopia molto elevata è causa
di un pseudoesoftalmo. In genere l’esoftalmo è bilaterale per patologie di tipo endocrino,
Basedow, linfoma; in genere l’esoftalmo monolaterale è causato da patologie locali.
L’esoftalmo può essere assile, cioè il bulbo oculare non ha alcuna deviazione, è solo spinto in
avanti. Ciò probabilmente è causata da un tumore che spinge il pavimento dell’orbita, oppure
da un tumore che lo spinge lateralmente o in basso o all’interno, oppure una patologia delle
ghiandole lacrimali spinge il bulbo oculare in alto ed all’esterno.
Quando il bulbo oculare cambia la sua direzione si parla di esoftalmo non assile. L’esoftalmo
può essere riducibile e non riducibile a seconda se la con una manovra manuale riusciamo a
riportare o no il bulbo in sede. Se si ha un esoftalmo non riducibile bisogna pensare che alla
base ci sia una massa dura, se invece è riducibile vuol dire che è un problema vascolare. In
questo caso con uno stetoscopio posto sulla palpebra sentiamo che è pulsante.
L’orbita è contornata dai seni frontale e mascellare. I seni sono pieni d’aria ed in caso di
trauma per vedere se si è rotto qualche setto, occorre fare la palpazione e si sente un crepitio
in caso di rottura perché c’è stata infiltrazione di aria.
In caso di esoftalmo ci può essere o no dolore. Se vi è dolore, l’occhio è rosso e dobbiamo
pensare ad un fatto flogistico. Se l’esoftalmo non è dolente ed il bulbo oculare è spostato in
basso ed all’interno devo pensare ad una patologia lacrimale. Se invece si sposta in basso e
nasalmente, vi potrebbe essere in presenza di una neoplasia.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
Un esame importante è l’ecografia che può essere nono o bidimensionale. L’ecografia
monodimensionale emette un solo fascio di ultrasuoni e ci permette di vedere meglio il
tessuto vascolare. L’ecografia bidimensionale, essendo un esame dinamico, ci permette di
vedere le pulsazioni (l’immagine si ingrandisce e si rimpicciolisce). La TAC ci dà
informazioni sulle strutture ossee, invece la RNM sui tessuti molli.
Un’altra patologia dell’orbita è la cellulite orbitaria (infiammazione dell’orbita). Si presenta
sotto due forme:
ƒ La forma presettale è caratterizzata da edema delle palpebre dovuto in genere ad
infezione staffilococcica.
ƒ La forma orbitaria è caratterizza da edema, dolore diffuso, limitazione della motilità
oculare, compromissione della funzione visiva e pupillare, febbre, prostrazione. Tale
forma si ha in seguito ad infezioni quando si erode la parte che separa l’osso frontale
dall’orbita, poiché è molto sottile.
ƒ Lo pseudotumor presenta degli aspetti fra le due forme.
Il rabdomiosarcoma determina un rapido esoftalmo nel bambino.
Gli emangiomi capillari (hanno aspetto a fragola), emangiomi cavernosi (determinano un
esoftalmo pulsante ed in genere una fistola arterovenosa con il circolo sistemico).
I linfoangiomi sono rari.
La neurofibromatosi è una malattia ereditaria autosomica dominante che è caratterizzata da
macchie color caffè latte in numero superiore a 6.
L’olftalmopatia di Graves. È una malattia autoimmune associata al gozzo tireotossico, Si ha
iperemia congiuntivale, fotofobia, sensazione di corpo estraneo. Gli organi bersaglio sono i
muscoli extraoculari.
S parla di chemosi quando la congiuntiva è edematosa, ma se l’edema comprime anche
l’interno del bulbo oculare ed il nervo ottico si parla di esoftalmo maligno (nel caso del morbo
di Basendow). In questo caso occorre fare un intervento otocompressivo, cioè si fa un tassello
nel parietale, si cerca di togliere quanto più grasso orbitarlo per decomprimere il nervo ottico,
per non farlo atrofizzare.
Patologie delle vie lacrimali e del sacco lacrimale
La ghiandola lacrimale si trova in alto ed all’esterno della palpebra superiore. Il film lacrimale
lubrifica e protegge la superficie anteriore della cornea. All’interno delle palpebre superiori ed
inferiori si trovano i puntini lacrimali che mediante della muscolatura minima, assorbono le
lacrime dopo che hanno umettato il bulbo oculare.
La ghiandola lacrimale è interessata da diverse patologie:
ƒ Tumori = sono poco frequenti.
ƒ Flogosi o dracrioadeniti = hanno l’aspetto clinico simile a quello dei tumori, infatti
quando la ghiandola si ingrossa il bulbo viene spostato in basso ed all’interno per i tumori.
La flogosi della ghiandola lacrimale è rara, più frequente si ha l’ostruzione delle vie
lacrimali.
- Quando i bambini non hanno la canalizzazione delle vie lacrimali si parla di
dacriocistite del neonato in cui vi è un ostruzione del dotti nasolacrimali superiori ed
inferiori ed ha un segno caratteristico, l’epifora (il bambino lacrima malissimo perché
la ghiandola lacrimale secerne normalmente, bagna normalmente il bulbo, ma le
lacrime non riescono a sboccare nel naso perché sono ostruiti i dotti, quello inferiore,
quello superiore o quello comune). Se l’epifora non viene curata in tempo si può
formare prima muco e poi pus, ed alla fine si formano delle cicatrici. Le cicatrici a sua
volta possono determinare atresia dei canalicoli con aggravamento della situazione.
La terapia medica si attua con antibiotici locali (colliri). Bisogna pure fare dei
massaggi nella zona perché l’ostruzione molte volte è determinata da un ridotto lume.
Se gli antibiotici ed il massaggio non bastano, occorre fare un lavaggio ed un
Francesco Giuseppe Cannone
19
Malattie dell’apparato visivo
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sondaggio per riaprire la strada (si immette nel canalicolo inferiore del liquido
colorato con fluorescina così da vedere se esce dal naso).
Una situazione diversa si ha nella dacriocistite dell’adulto. Si tratta di una patologia
più frequente nella donna, in genere di natura ormonale. I pazienti presentano epifora
che si trasforma in muco e poi in pus. In questi casi si fa la dacriocistografia (si inietta
attraverso il puntino inferiore una sostanza radiopaca in modo da vedere se
l’occlusione è nel canalicolo o nel sacco lacrimale), poi si esegue o la
dacriocistectomia (si asporta il sacco lacrimale), oppure la dacriocistorinostomia (si
ripristina la pervietà delle vie lacrimali incidendo la cute, il sottocute e mettendo a
nudo il sacco lacrimale. Con questo intervento sanguina molto l’occhio. Con la pinza
di Citelli si fa un buchino nell’osso, e si trova da una parte il sacco lacrimale e
dall’altro l’osso nasale e la mucosa nasale. Si unisce quindi la mucosa nasale con il
sacco). La dacriocistectomia si effettua quando le pareti del sacco lacrimale, in
conseguenza di fatti flogistici, sono distrutte. Asportando il sacco lacrimale si evita la
formazione di un ascesso. Quando si forma un ascesso in questa sede la situazione è
molto delicata perché vi è il cervello ed il bulbo oculare vicini. La presenza si una
dacriocisti controindica un intervento di cataratta e qualsiasi intervento sul bulbo
perché se entrano batteri vi è il rischio di flogosi all’interno del bulbo.
La dracrioadenite acuta è un’infiammazione della ghiandola lacrimale il cui agente
eziologico spesso è lo stafilococco aureo. Provoca edema, arrossamento della cute
della palpebra superiore, dolore, ptosi ad S italica.
La dacrioadenite cronica , legata spesso al tracoma, alla sifilide, alla tubercolosi, alla
sarcoidosi, ha come sintomatologia un aumento della ghiandola non accompagnata da
dolore ed edema. Si riduce la produzione delle lacrime per una reazione fibrosa della
ghiandola.
La sindrome di Mikulick (lesione linfoepiteliale benigna) è caratterizzata da una
ipertrofia linfoide benigna e simmetrica delle ghiandole lacrimali, delle parotidi e
delle salivari.
La sindrome di Sjogren è caratterizzata da iposecrezione lacrimale, piccole
ulcerazioni corneali, xerosi congiuntivali, iposecrezione salivare ed artrite reumatoide.
Malformazioni congenite delle palpebre
Le palpebre inferiori, dall’esterno verso l’interno sono formate da: cute, sottocute, struttura
scheletrica connettivale rigida (tarso), congiuntiva. La palpebra superiore è un po’ diversa
essendo in grado di muoversi per cui avremmo: cute, sottocute, struttura muscolare (muscolo
elevatore innervato dal III nervo encefalico) che sta sul tarso e muscolo di Muller (muscolo
liscio innervato dal simpatico). Le palpebre hanno il compito di proteggere il globo oculare e
di facilitare la normale diffusione del film lacrimale dell’occhio. La palpebra superiore ha
movimenti involontari (muscolo di Muller) che facilitano la diffusione del film lacrimale.
ƒ Epicanto = si ha quando la distanza delle palpebre dal bulbo oculare è minore. Può
simulare uno strabismo.
ƒ Lagoftalmo = impossibilità a chiudere la rima palpebrale.
ƒ Blefarofimosi = la rima palpebrale è ristretta. Ciò determina ampliopia.
ƒ Blefarocalasi = è una plicatura della cute della palpebra superiore legata all’età.
ƒ Blefarite = le palpebre sono infiammate e la cute e il bordo palpebrale è desquamato ed
arrossato. Quando il bambino lacrima molto, le lacrime invece di andare nel puntino
lacrimale fuoriescono all’esterno e la pelle si desquama in conseguenza dell’ustione
provocata sulla pelle dalle lacrime.
ƒ Coloboma = localizzato a livello della palpebra superiore, si presenta come una perdita di
sostanza triangolare con base corrispondente al bordo libero.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
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Distichiasi = una seconda fila di ciglia si impianta a livello dello sbocco delle ghiandole
del Meibomio ed è rivolta verso il bulbo oculare.
Calatio = infiammazione di una ghiandola di Meibomio contesto della palpebra. Quando è
causata dalla blefarite bisogna mettere a riposo l’occhio infiammato.
Calaziosi = gonfiore bilaterale. Può essere il segnale di uno sforzo accomodativo e quindi
va controllata la vista in cicloplegia. Si utilizzano cortisonici, antibiotici. Se questi non
funzionano si arriva all’asportazione chirurgica del gonfiore. Vi sono individui che sono
predisposti alla calaziosi.
Trichiasi = alterazione acquisita della direzione delle ciglia rivolte verso l’interno.
Orzaiolo esterno = foruncolo (imputabile allo stafilococco aureo) delle ghiandole di Zeiss
localizzate alla base delle ciglia. Si presenta come una tumefazione arrossata del bordo
palpebrale. Si cura con antibiotici locali.
Orzaiolo interno = foruncolo delle ghiandole di Meibomio.
La leismaniosi può dare ulcere palpebrale.
Xantelasma = accumulo di colesterolo che a volte può assumere estensione notevole.
Simblefaron = aderenza anomala, in genere conseguente ad ustioni, tra congiuntiva
palpebrale e bulbare.
Ectropion = eversione della palpebra verso l’esterno. Può essere la conseguenza di
un’infezione virale (tracoma) o di un processo cicatrizzante. Il puntino lacrimale che
normalmente pesca all’interno del bulbo, in questo caso pesca all’esterno e non esplica
più la sua funzione di suzione delle lacrime per cui il paziente lacrima e si asciuga da
sopra verso sotto aggravando la situazione. Vi è anche una mancata protezione del globo
oculare da parte della palpebra. L’ectropion può essere la conseguenza di un incidente che
può aver determinato la ferita palpebrale.
Entropion = palpebra rivolta verso l’interno e le ciglia guardano verso l’interno toccando
la cornea. Nel tracoma si può avere sia entropion che ectropion. Sia l’entropion che
l’ectropion di grado elevato devono essere corretti con l’intervento chirurgico.
Angioma della palpebra = se è cospicuo provoca una ptosi della palpebra che può
sconvolgere il normale sviluppo dell’apparato visivo.
Ptosi = abbassamento della palpebra superiore. Può essere congenita (può ridursi con il
tempo), acquisita (per miastenia o per traumi o per angioma).
Tumori = misti, congeniti, nevi, cisti dermoidi, cisti sebacee, fibromi, lipomi, papillomi
epiteliomi.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
RETINA
Le immagini vengono messe a fuoco sulla parte centrale della retina che si chiama macula. Al
centro della macula vi è la fovea. La macula è la zona di massima concentrazione di elementi
deputati alla visione, i coni, che si trovano al centro, mentre man mano che si va in periferia si
trovano i bastoncelli. La macula non è vascolarizzata. La macula si può forare e ciò provoca
grave diminuzione della capacità visiva.
La retina ha colorito rosato che dipende dalla coroide sottostante e da un pigmento, perché la
retina di per se è grigia. Verso la zona nasale della retina vi è il nervo ottico, la papilla (disco
ottico), che presenta colorito roseo, bordi netti, una escavazione centrale ed emergenza
dell’albero vascolare (l’arteria e la vena centrale della retina che poi si riversano nell’arteria e
vena temporale superiore ed inferiore e nell’arteria e vena nasale superiore ed inferiore).
Dal punto di vista funzionale la retina si distingue in neuroepiteliale ed epitelio pigmentato
(filtro per la luce intensa che disturba la trasmissione ottica. Più saranno scuri i pigmenti, più
sarà scuro il colorito di fondo della retina.
La retina si può suddividere in tre zone (che si possono suddividere istologicamente in 10
strati): strato dei fotorecettori, più esterno, direttamente a contatto con l’epitelio pigmentato;
strato delle cellule bipolari; strato delle cellule ganglionari, confinanti con il vitreo.
La retina si può studiare con:
ƒ L’oftalmoscopio = può essere monoculare o binoculare, indiretto o diretto.
o L’olfatalmoscopio indiretto ha il grosso vantaggio di farci vedere tutta la retina, in
modo rovesciato, anche le parti più periferiche, in modo da vedere i fenomeni
ischemici. Utilizza una lente per poter vincere il potere del diottro oculare.
o L’oftalmoscopio diretto ha il vantaggio di non interporre una lente, che invece si
trova all’interno dello strumento, però non ci fa vedere la periferia.
Con l’oftalmoscopio si vede il colore e la forma della retina, della papilla e dei vasi. Le
arterie sono di calibro inferiore rispetto alle vene, con un rapporto 2/3 .
Le arterie hanno un decorso rettilineo (le tortuosità sono patologiche) ed un colorito rosso
vivo, mentre le vene sono di colorito più scuro.
L’esame del fondo dell’occhio può mettere in rilievo un incrocio vasale che a volte è
causa di stasi a monte, con diminuito flusso sanguigno e possibilità di trombosi.
Aree più chiare (chiamati impropriamente essudati.) nel contesto del fondo sono il segno
di una degenerazione dello strato delle cellule nervose.
Le emorragie a fiamma che decorrono nello strato delle fibre nervose sono tipiche
dell’arteriosclerosi e di una pressione elevata arteriosa.
L’arteria può presentare un colore più chiaro centralmente, ciò è tipico dell’arteriosclerosi,
definito a filo d’argento, per l’ispessimento delle pareti e per la diminuzione del lume.
Una pressione troppo elevata può dare edema delle papilla e chiazze degenerative della
macchia, per cui si parla di stella maculare.
ƒ La fluorangiografia consiste nell’immissione tramite una vena del braccio di una sostanza
colorata (fluorescina). Serve a mostrare l’albero vascolare e i territori non irrorati. Non si
può utilizzare in presenza di emorragie, Con la fluorangiografia, se la situazione
vascolare è mantenuta normale (non si ha perdita di permeabilità) si dovrebbe vedere
colorata solo l’arteria o solo la vena. Solo tardivamente si dovrebbero vedere entrambi
colorati. La comparsa di una chiazza chiara (essudato formatosi per perdita di colorante e
quindi di sangue) indica che i vasi hanno perso l’integrità delle loro pareti ed intorno
all’essudato si ha una neovascolarizzazione ed una ischemia della zona. Quando si
trovano queste aree ischemiche si fa l’ablazione con il laser che brucia il tessuto nervoso
retinico. Il laser riduce il campo visivo, ma impedisce la neovascolarizzazione.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
Retinopatia diabetica
È presente in circa il 2% della popolazione affetta da diabete, dopo 10 anni di malattia il 15%
dei pazienti presenta retinopatia, dopo 20 anni circa l’80%. Il rischio è elevato, legato anche
ad un grave deficit visivo.
Fattori di rischio = quanto maggiore è il tempo di malattia diabetica, tanto più alto è il rischio.
Inoltre il grado di rischio aumenta quanto il compenso metabolico è gravemente insufficiente.
Nel diabete giovanile (insulino-dipendente) è più grave ed è difficile tenere sotto controllo.
Sintomatologia = riduzione dell’acuità visiva.
Classificazione
ƒ retinopatie diabetiche non proliferative (e alterazioni sono contenute nello spessore del
tessuto retinico),
ƒ retinopatie diabetiche proliferative (ha caratteri clinici più gravi perché le alterazioni
superano la retina e tendono ad invadere il corpo vitreo).
Caratteristiche cliniche della fase iniziale
ƒ macula normalmente pigmentata in modo scuro che presenta delle chiazzette più chiare,
con diverse aree di emorragie (microemorragie) diffuse.
o microemorragie puntiformi. Possono scomparire dopo alcuni mesi per ricomparire
dopo. La diagnosi si fa con la fluorescina.
o microaneurismi
ƒ essudati:
o nelle retinopatie diabetiche non proliferative gli essudati non sono segno di
flogosi, ma di necrosi delle cellule nervose, infatti l’essudato è giallo scuro.
o nelle retinopatie proliferative, l’essudato è bianco e quasi sollevato dal piano
retinico, ed è espressione di una ischemia retinica localizzata, non è necrosi e può
regredire se curata preventivamente.
Caratteristiche cliniche della fase avanzate
ƒ Nella forma non proliferante si ha edema cronico ed essudati duri.
ƒ Nelle forme proliferative si ha ischemia e neovascolarizzazione. Le microemorragie hanno
aspetto tipico, non intraretinico, ma raggiante dalla retina. Si può avere anche un
abbassamento visivo e frequentemente un edema nella macula. Si tratta con la
fotocoagulazione a laser a griglia. Se invece le pareti dei vasi tendono a coartarsi e a
sprofondarsi, portano con se la retina e determinano il distacco tradizionale della retina (il
paziente vede come una tenda sugli occhi, perché vi è emorragia sulla macula). Si
interviene togliendo tutto il vitreo (vitrectomia), il sangue e i vasi neoformati, poi si
riattacca la retina sulla sclera a tutto spessore. Si fanno 4 buchi: un buco serve per far
passare l’acqua in modo da mantenere continuamente la pressione interna normale. Nel
secondo buco si fa passare la luce, nel terzo buco si fa passare lo strumento e il quarto,
serve per togliere il materiale.
Retinopatia ipertensiva
Quando i quadri pressori sono più alti (ipertensione maligna), la vasocostrizione non è più in
grado di compensare l’aumento della pressione e, conseguentemente, aumenta il flusso
retinico per restringimento dei vasi arteriosi (arteriosclerosi), per l’irregolarità del calibro
delle arteriole e per la frequente presenza di noduli cotonosi. Per la presenza
dell’arteriosclerosi, le pareti delle arteriole diventano visibili e giallastre con aspetto a filo
d’argento. A livello con l’incrocio con le venule, le venule possono diventare dure, si
schiacciano e si interrompe il flusso ematico. Ciò determina occlusioni vascolari, microinfarto
retinico con edema, degenerazione delle fibre nervose retiniche che assumono aspetto a
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
chiazza bianca, e formazione di essudato cotonoso. Si hanno rotture vascolari, emorragie a
fiamma perché il sangue si distribuisce lungo le fibre nervose ed edema della papilla ottica.
Angiopatia retinica ipertensiva
Le alterazioni dell’angiopatia sono espressione della vasocostrizione arteriolare (ipertensione
benigna) che si verifica in risposta all’aumento della pressione arteriosa. Si possono
distinguere tre stadi:
1. forma lieve = i vasi arteriosi delle retina hanno calibro e decorso regolare,
2. forma moderata = sono visibili gli incroci arterovenosi che predispongono all’occlusione
venosa,
3. forma marcata = vi è una congestione dei vasi venosi con associati, molto spesso dei
microaneurismi.
Patologie vascolari della retina
Trombosi della vena centrale retinica
A causa di un trombo, viene bloccato il deflusso venoso a livello della lamina cribrosa, dove il
percorso è sinuoso e la vena non è elastica. Ciò avviene nell’età avanzata in seguito ad
aritmie, fibrillazioni, ipertensione, diabete mellito, ipercoagulabilità ematica, dislipidemie. La
sintomatologia è una riduzione della vista quasi mai drammatica. La papilla ottica è
edematosa con margini sfumati, la retina appare coperta da emorragie superficiali a fiamma o
profonde a stampo. Il trattamento con fotocoagulazione laser, deve essere repentino perchè se
eseguito dopo tempo, quando la macula è colpita, è quasi impossibile recuperare la vista. Si
deve fare la diagnosi differenziale con la papilla da stasi di vecchia data (emorragia, vasi
atresici, edema maculare) perché l’aspetto oftalmoscopico è simile ma nella trombosi della
vena centrale retinica il visus non è mai maggiore di 1/10, mentre nella stasi, almeno nelle fasi
iniziali, il visus è normale. La fotocoagulazione si utilizza sia nella trombosi, che nella
papilla da stasi per evitare che l’ischemia provochi neoformazione che dalla periferia si sposta
all’iride. causando glaucoma secondario. N.B. = non è possibile eliminare un’emorragia
intraretinica, si elimina solo se è davanti alla retina.
Trombosi di un ramo della vena centrale retinica
L’occlusione si verifica a livello di un incrocio arterovenoso. Si vede una papilla normale,
stasi del flusso, emorragia ed essudati molli (possono essere presenti essudati duri). Il quadro
deve essere controllato nel tempo con la fluoroangiografia (per circa 3 mesi pervedere
l’eventuale sviluppo di ischemia). Il visus è legato all’emorragia; se la fovea (la parte centrale
della macula) non è colpita, si ha una buona vista, con la sola limitazione del campo visivo.
La terapia si fa con anticoagulanti (aspirina). Se il paziente ha un occhio con cataratta e si
instaura un glaucoma, allora si deve fare la terapia per il dolore (atropina). Se invece è
vedente è necessario intervenire chirurgicamente per ridurre l’edema.
Occlusione dell’arteria centrale retinica
La macula è circondata da un abbondante edema bianco chiaro (ischemica) perché vi è stata
un’improvvisa occlusione dell’arteria centrale dovuta ad un embolo o a fatti funzionali per
aumento brusco della pressione (in pochi minuti). Si ha un evidente edema, emorragia
peripapillare, brusca diminuzione della vista. La prognosi è infausta perchè non arriva più
sangue e si determina una atrofia del nervo retinico con un grave difetto del visus. La terapia
deve essere urgente con farmaci antiedemigeni associati a vasodilatatori.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
Occlusione di un ramo dell’arteria centrale retinica
Le lesioni restano confinate al distretto di pertinenza del ramo occulto. Quando la macula fa
parte del distretto occluso, il danno funzionale è drammatico; quando invece è risparmiata, si
produce uno scotoma periferico.
Occlusione dell’arteria temporale superiore
Vi è un risparmio della macula, ma vi è sempre edema.
Retinite da AIDS
Si hanno emorragie ed edemi profondi. Tali manifestazioni sono importanti perché si possono
evidenziare prima della manifestazione clinica vera e propria dell’AIDS. Tali manifestazioni
sono dovute o ad un’azione diretta dell’HIV o per sovrainfezione da citomegalovirus.
Frequentemente è bilaterale con abbassamento del visus. Altre manifestazioni secondarie
sono le infiammazioni perivasali con essudati ed emorragia e le emorragie intraretiniche.
Malformazioni congenite della retina
Presenza di arterie cilioretiniche
Si originano dalle arterie ciliari posteriori. Di norma non sono presenti, ma quando sono
presenti nell’occlusione, servono a nutrire la macula salvandola.
Fibre mieliniche
La guaina mielinica (si vede come chiazze biancastre poste in vicinanza del disco ottico)
rivestono le fibre ottiche (in genere sono amieliniche). Non determinano alcuna conseguenza.
Tortuosità congenita dei vasi retinici
I vasi hanno un decorso insolitamente tortuoso, che può simulare una patologia (emorragie,
anomalie di calibro ecc.).
Retinopatia del prematuro (ROP)
Circa l’8% dei prematuri è affetto da retinopatia, di cui solo il 3% si trova al III stadio.
Fattori di rischio
Peso alla nascita inferiore a 1500 gr; età gestazionale inferiore alle 32 settimana. Anche le
trasfusioni, le flogosi possono essere chiamati in causa.
Etiologia
1. Terry nel 1942 pensò che la massa biancastra presente dietro il cristallino fosse un residuo
del vitreo primitivo
2. Campbell nel 1943 iniziò a puntare l’attenzione sull’ossigeno dell’incubatrice utilizzato
per i bambini prematuri. Ma si vide che invece ere più esatto prendere in considerazione il
peso e l’età gestazionale.
3. Parker nel 1961 prese in considerazione la prematurità.
4. Shaat nel 1983 riprese a considerare il basso peso e l’età gestazionale.
5. Lucy nel 1984 e Purhart nel 1985 confermarono l’età gestazionale.
Rappresentazione della normale evoluzione dell’albero vascolare
Nei primi giorni di formazione della retina, l’albero vascolare nasce dalla testa del nervo
ottico (papilla) fino ad arrivare alla periferia del vitreo alla fine della gestazione.
Se il bambino nasce di 6 mesi, la parte centrale della retina sarà vascolarizzata normalmente,
mentre tutto il resto sarà ischemico ed è chiaro che ci saranno tutti i presupposti per
l’instaurarsi della neovascolarizzazione (per via dell’ischemia), cioè il nostro organismo si
Francesco Giuseppe Cannone
25
Malattie dell’apparato visivo
rende conto che esiste una parte che non è vascolarizzata ed allora cercherà di colonizzarla,
avendosi così neovascolarizzazione.
Stadiazione della retinopatia del prematuro
È stato proposto uno schema dove la retina viene distinta in 3 zone:
1. zona centrale = parte di retina che ha come centro la papilla, è 4 mm di diametro, ed è
quella parte più nobile della retina. Ecco perché una patologia nella zona centrale
rappresenta una situazione gravissima.
2. zona periferica che arriva all’estrema periferia dal lato nasale, ma poco meno che
all’equatore dal lato temporale.
3. zona periferica rimanente.
Stadiazione della ROP
Stadio I = vi è una linea di demarcazione fra retina normale e retina ischemica. Ma man mano
i vasi retinici colonizzano interamente la retina. Visitare con l’oftalmoscopio i bambini
prematuri è difficile perché hanno occhi piccoli.
Stadio II = compare una cresta, struttura connettivale che separa nettamente la retina
vascolare da quella avascolare. Siamo ancora sul piano retinico.
Stadio III = la cresta fibrovascolare comincia a sollevarsi e tende a spostarsi verso il vitreo.
Vi è ancora la distinzione fra retina ischemica e retina vascolare, inoltre i vasi (spesso le vene)
che arrivano dalla zona vascolare sono congesti, spesso emorragici. A poco a poco tali vasi
iniziano a salire sulla cresta fibrovascolare. Mentre il I e II stadio hanno una risoluzione
benigna perché la retina periferica si vascolarizza, il III stadio è considerato uno stadio di non
ritorno. Quando si arriva alla “soglia” (la soglia si realizza quando la rete fibrovascolare che
arriva al vitreo è presente per 8 ore discontinue o 6 ore continue) allora vuol dire che
quell’occhio non potrà più avere , se non trattato, una restituito ad integrum o comunque una
rivascolarizzazione della periferia della retina. A complicare le cose sono le plus disease, cioè
le tortuosità e dilatazioni vascolari nella zona 1 e 2 (fattori prognostici negativi quando
presenti). Altra situazione per fortuna molto rara è la rush disease, cioè la
neovascolarizzazione soprattutto nella zona 1 (ma anche nella zona 2) che va velocemente
avanti (è frequente in Giappone) ed aggrava la patologia. Nello stadio III vanno presi dei
provvedimenti.
Stadio IV = la proliferazione vascolare con vasi neoformati continua ad andare avanti nel
vitreo e colonizza il vitreo. Si formerà una retinopatia proliferante che può tirare la retina
determinando il distacco della retina. Nelle prime fasi, il distacco della retina può non
interessare la macula (questo è meno grave dal punto di vista funzionale); se invece viene
sollevata anche la macula il quadro sarà ancora più grave.
Stadio V = c’è sempre il distacco della retina che però si va sempre più chiudendo, formando
un imbuto. La retina si vedrà tutta accartocciata in avanti, dietro al cristallino.
Prognosi
Stadio I – II
Stadio III
Stadio IV
Stadio V
Anatomica
Ottima
Buona
Discreta
scarsa
Funzionale
Ottima
Buona – discreta
Scarsa
Pessima
La prognosi funzionale dello stadio III dipende dal tipo di operazione, perché se l’operazione
è centrale vi saranno cicatrici che ridurranno la capacità visiva.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
Trattamento
Nello stadio III ci troviamo di fronte ad una situazione simile a quella di una patologia
diabetica con aree ischemiche. Come nel caso della retinopatia diabetica si fa una ablazione
delle zone di retina ischemica (si fa quindi un danno all’occhio del paziente perché distrugge
la struttura anatomica e funzionale della retina, ma evita che da quella zona possano nascere
ulteriori guai). Oggi l’ablazione si esegue con la fotocoagulazione, utilizzando uno strumento
che alla punta emette del freddo (-80° - 90°) che si mette sulla congiuntiva e provoca una
bruciatura della zona retinica interessata. Una volta effettuata la fotocoagulazione, la cresta di
sollevamento ischemica trattata si abbassa e si osserverà un passaggio dei vasi retinici da
sotto, verso sopra.
Distacco della retina
Per distacco della retina si intende la separazione del foglietto neuroepiteliale da quello
dell’epitelio pigmentoso retinico. Può essere distinto in primitivo e secondario e tale
classificazione dipende dalla presenza o meno di una rottura. L’incidenza è del 9-24% su
100.00 per anno. Prima si opera più recupero visivo vi è. Ciò perché quando il neuroepitelio si
distacca dall’epitelio pigmentoso, più tempo passa meno è probabile che si ripristini il
collegamento tra neuroepitelio e cervello.
1. Primitivo o regmatogeno: il distacco si ha perché c’è stata una lesione di continuo della
retina (non può esistere quindi un distacco di retina primitivo senza che ci sia una rottura
di retina). La bozza di sollevamento retinico tende al grigio perché si evidenzia il colore
della retina. La bozza è molto mobile (a meno che non intervengono fenomeni epi o
sottoretinici) perché fra neuroepitelio ed epitelio pigmentoso vi è molto liquido. Le sedi di
rottura in genere sono alla periferia e poi possono restare lì o dirigersi verso il centro.
2. Secondario = è dato da una serie di situazioni: ad esempio un tumore della coroide che
spinge verso l’interno del bulbo, solleva la coroide e solleva pure la parte di retina
sovrastante. Oppure da un tumore della retina che provoca il sollevamento retinico. Si può
originare pure come manifestazione del diabete, con emorragie, formazione di membrane
che aderiscono alla retina, contrazione dei fibroblasti. La bozza di sollevamento retinica
prende il colore a seconda del tipo istologico del tumore. Per esempio è rossa scura, se il
tumore è un angioma, oppure può essere pigmentato o apigmentato. La bozza è immobile.
La sede delle rotture possono essere localizzate o variabili, mai estese.
Durante la vita embrionale, 7°- 8° settimana di vita, vi è un’invaginazione tra neuroepitelio ed
epitelio pigmentoso. Esiste una non unione tra questi due strati, infatti sono soltanto contigui.
Le strutture che mantengono il neuroepitelio e l’epitelio pigmentoso vicini sono:
ƒ Vitreo che spinge dal di dentro verso l’esterno il neuroepitelio verso l’epitelio
pigmentoso.
ƒ La differente polarità che esiste tra il neuroepitelio e l’epitelio pigmentoso, che
contribuisce a mantenere adese queste due strutture.
ƒ La particolare capacità di distensione dell’epitelio pigmentoso su piccole particelle di
liquido. Fra il neuroepitelio e l’epitelio pigmentoso si forma pochissimo liquido che viene
drenato attraverso l’effetto pompa dell’epitelio pigmentoso.
Fattori di rischio del distacco retinico primitivo
Generali = età (oltre 50-60 anni. Sono dovuti a fattori vascolari)., miopia elevata in età
giovanile (oltre 10-12 diottrie), ereditaria, sesso (donne).
Locali =
ƒ Lesioni retiniche regmatogene = alterazioni della retina che possono provocare con
l’andare del tempo una rottura (lesione di continuo della retina) e dar luogo al distacco.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
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Afachia = mancanza del cristallino. È un fattore predisponente perché il vitreo
normalmente è dietro al cristallino, per cui mancando il cristallino guadagna una parte di
spazio che prima non gli competeva, però lascia lo spazio dietro e quindi esplica
un’azione meno importane come tamponamento della retina con possibile distacco della
retina.
Rottura della capsula posteriore = è l’ultima parte del cristallino che viene mantenuta
quando si fa un intervento di cataratta. La rottura accidentale può creare dei fenomeni
infiammatori e fenomeni di liquefazione del vitreo perché l’acqueo prende una strada
diversa e si potrà simulare una afachia.
Emorragie enovitreali = sono pericolose perché il sangue può organizzarsi a formare delle
membrane che si possono portare dietro la retina ed avere quindi un distacco.
Disorganizzazione vitrale = è meno importante perché se il vitreo è compatto ed
omogeneo esplicherà la sua funzione di tamponamento sulla retina; quando invece il
vitreo è scompaginato, ad esempio nella miopia elevata, allora l’azione di tamponamento
è minore con conseguente maggiori rischi di rottura e di distacco.
Traumi = scompaginano la normale architettura della retina e del vitreo, portando
all’interno dell’occhio materiale estraneo, ad esempio sangue o tracce di congiuntiva e
favorendo il distacco.
Situazione normale di un occhio sano
Quando il vitreo è indentato, la retina si mantiene incollata se esiste un buon trofismo della
retina, della coroide e della sclera. Se la sclera presenta delle estroflessioni, esplica un’azione
meno importante di tamponamento dall’esterno verso l’interno della retina con possibile
distacco della retina.
Indentazione del vitreo Æ retina incollata Æ buon trofismo (retina, coroide, sclera)
Patogenesi del distacco della retina
Non ci può essere un distacco primitivo della retina se la retina non si rompe.
ƒ la retina deve essere rotta. La rottura c’è sempre anche quando non si vede.
ƒ se la retina è rotta e c’è un vitreo che tampona bene (nei giovani) non è detto che avviene
il distacco, anzi è quasi impossibile. Se invece c’è una scarsa indentazione del vitreo, o
perché il vitreo è liquido, o perché c’è un alterato trofismo della retina per cui l’epitelio
pigmentoso non pompa, la coroide è atrofica e quindi non spinge, la sclera non esplica la
sua azione di indentazione dall’esterno e si avrà distacco della retina. Il distacco si realizza
perché attraverso la rottura, la parte più liquida del vitreo arriva all’interno e stacca il
neuroepitelio dall’epitelio pigmentoso.
scarsa indentazione vitreo, alterato trofismo retina, coroide atrofica, scarsa indentazione retina
Æ rottura retina Æ distacco della retina
Patologia retinica
La degenerazione retinica può comportare l’assottigliamento con formazione di fori retinici,
oppure un’adesione vitreo-retinica con conseguente trazione della retina, prima rottura e poi
distacco.
Si po’ avere pure che il vitreo si fluidifica (non è più gel). Ciò fa formare delle membrane che
determinano il distacco della retina.
Degenerazioni regmentose
Sono quelle degenerazioni che possono determinare il distacco. Sono:
ƒ degenerazione a palizzata = si ha perché vi sono anomalie proliferative a livello
dell’epitelio pigmentoso che non può più esplicare il suo effetto pompa. La retina si
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
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presenta assottigliata, i capillari retinici sono fibrotici e diminuiscono per tale motivo la
loro funzione di nutrizione. Il vitreo è fluidificato davanti alla lesione e prende delle
aderenze anormali soprattutto alla periferia, ai bordi della lesione. In tale situazione, il
solo fatto di muovere l’occhio provocherà delle continue trazioni che alla fine daranno
rottura (è la più frequente causa).
degenerazione a bava di lumaca = una parte della retina ha un aspetto lattescente perché
c’è atrofia della retina, vi sono accumuli di natura lipidica ed addensamento del vitreo
lungo i margini della lesione. Anche i movimenti dell’occhio possono arrivare a far
rompere la retina. In tale condizioni il paziente non avverte nulla, a meno che non ci sia la
rottura di un vaso ed il paziente avvertirà delle mosche volanti nere.
aderenze paravascolari = sono determinate da un assottigliamento retinico focale e da
degenerazione vitreale localizzata (liquefazione). Si creano delle aderenze molto forti tra
epitelio pigmentato, retina e vitreo ed alla fine si avrà rottura della retina.
bianco con o senza pressione = se osserviamo l’occhio con l’oftalmoscopio binoculare
diretto, sulla retina si vede una zona di aspetto biancastro. Tale zona può essere presente
alla semplice osservazione oppure facendo una manovra di indentazione (cioè con uno
strumento si spingerà sul bulbo. Con la pressione la retina cambierà di colore in quel
punto e diventerà chiara. Questa condizione è pericolosa perchè nella zona si avrà diffusa
atrofia retinica, rimaneggiamento dell’epitelio pigmentato (non funziona più bene), vi sarà
interruzione della membrana limitante interna e trazione del vitreo sulla retina lungo il
bordo posteriore della lesione. Alla fine si avrà rottura.
Tipi di rotture retiniche
1) a stampo = nella zona di rottura della retina, si ha un colore rosso più scuro rispetto alla
retina circostante, perché nella rottura manca il neoepitelio e traspare, dall’epitelio
pigmentato, la coroide. In questo caso si parla di rottura a stampo perchè non esiste la
parte che manca.
2) a lembo = il lembo retinico permane e il neuroepitelio è sollevato ad orletto perché in tale
punto vi è il vitreo che ha preso intima aderenza. Ancora in questa situazione non vi è
rottura, ma ogni movimento del nostro occhio farà muovere il vitreo che andrà a tirare il
neuroepitelio, per cui più tira il vitreo e più il vitreo (liquido) staccherà il neuroepitelio
dall’epitelio pigmentoso. Ecco perché le rotture con il lembo sono molte più pericolose da
quelle a stampo perché c’è una maggiore compartecipazione con il vitreo.
3) disinserzione = a seguito di un trauma la retina si distaccherà dalla base e si disinserisce.
Questo è tipico nel distacco della retina.
Se è vero che le lesioni regmatogene nella grande maggioranza dei casi possono portare a
distacco, dovremmo preoccuparci di effettuare un trattamento preventivo che mira (in
presenza di una rottura di retina o di una lesione a palizzata) a bruciare (e poi cicatrizzare)
tutto attorno a tale zona di lesione, in modo tale da evitare che la rottura possa far staccare il
neuroepitelio dall’epitelio. Tutto il trattamento può essere fatto con il laser oppure con la
crio. Molte volte però la lesione è molto estesa e non può essere fatto il trattamento
preventivo per 360° perché si avrebbero delle alterazioni in quanto si riscalda tutto il vitreo. Il
trattamento preventivo (laser, crio, indentazione, cerchiaggio) deve essere fatto quando vi
sono rotture retiniche. Quando invece vi sono lesioni regmatogene, bisogna tener presente dei
possibili effetti collaterali e dovrà essere valutato caso per caso.
ƒ Laser = con il laser si esegue uno sbarramento (bisogna fare sempre uno sbarramento di
360° perché il vitreo, invece di andare avanti andrà indietro) attorno alla lesione. Dopo 1520 giorni la bruciatura si trasforma in cicatrice che salderà la zona di neuroepitelio
all’epitelio pigmentoso che vi è attorno alla rottura. Creandosi tale aderenza abbiamo fatto
prevenzione in quella zona a rischio.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
ƒ
Crio = Il laser non si può fare quando il danno è all’estrema periferia oppure quando a
seguito ad una emorragia o di una cataratta non si riesce a vedere bene. In tale evenienza
si userà la crio (sonda che emette temperature di -70°-90° e provoca una bruciatura a
freddo).
ƒ Indentazione = si utilizza quando si ha un distacco localizzato o una rottura singola. Non
si può utilizzare il laser o la crio perché nel distacco localizzato vi è del liquido che blocca
sia il laser che la crio. L’indentazione della sclera con la coroide si effettua spingendo con
dei fili, verso l’interno, una spugna di silicone. Dall’altro lato, il vitreo spinge verso
l’esterno, per cui la rottura si chiude.
ƒ Cerchiaggio = viene fatto dall’esterno applicando una benderella di silicone. Quando vi è
il distacco, si forma del liquido che viene eliminato pungendo con un ago la sclera. Ciò
comporta un afflosciamento dell’occhio, si stringe la parte distaccata e si esegue una
indentazione.
N.B. = l’obiettivo dell’intervento è quello di chiudere i fori e di eliminare le eventuali
trazioni.
Le possibilità di intervento chirurgico sono:
ƒ Pneumoretinopessia = si immette dentro l’occhio un gas (SF6 – esafluoruro di zolfo
oppure C3F8 ottofluoruro di carbonio). Tali gas hanno emivita diversa: SF6 dura 5-6 giorni,
mentre l’ C3F8 dura 15-20 giorni. Se si ha una rottura in alto, mettendo dentro l’occhio una
bolla di gas, risalirà verso l’alto ed andrà a chiudere (con opportuni posizionamenti della
testa del paziente), il buco. Si avrà quindi un’azione indentante dell’interno, con un
trauma minimo per il paziente. Si otterrà così accollamento retinico perché chiudendosi il
buco, l’effetto pompa dell’epitelio pigmentato porterà via il liquido sottoretinico che si era
formato e si avrà di nuovo una retina su un piano soltanto, con una rottura, ma senza
distacco. A questo punto si fa il trattamento con crio o con il laser. Per effettuare la
pneumoretinopessia, le rotture dovranno essere localizzate nei settori superiori perché i
gas potrebbero provocare, per effetto flogogeno, la formazione di membrane che
vanificherebbero lo scopo del trattamento. Le conseguenze della pneumoretinopatia sono
- Ipertono
- Bolla che per sbaglio rimane sotto la congiuntiva e gonfia la congiuntiva. Più bolle ci
sono più si distende la retina è più permane il distacco.
- Cataratta
ƒ Chirurgia ab esterno (identazione), che spinge da fuori verso l’interno.
ƒ Chirurgia ab interno, nei casi più gravi. Se ci sono trazioni si devono togliere, si fa
vitrectomia e si sostituisce il vitreo con una sostanza tamponante.
N.B. = la bozza che si forma nel distacco della retina primitiva, ha colorito grigiastro. Se il
distacco è recente la bozza è molto mobile, invece se il distacco diventa vecchio e più il
liquido sottoretinico tende a rimanere, la bozza sarà meno mobile e vi sarà sicuramente una
rottura.
Terapia del distacco della retina secondario
Nella maggior parte dei casi prima si rimuove la causa che lo ha generato e poi, se occorre, si
esegue una vitrectomia.
Esami strumentali
1. oftalmoscopia
2. transilluminazione = si mette il paziente sul tavolo operatorio con la pupilla ben dilatata.
Si manda attraverso una sonda luminosa la luce messa sul fornice congiuntivale (tra bulbo
e palpebra, e si guarda dove abbiamo il sospetto che ci sia il sollevamento. Se il distacco
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
della retina è primitivo, la luce passa , se invece è secondario a tumore, la luce non passa
agevolmente. È un esame indolore.
3. ecografia a scan monodimensionale = si manda un fascio ultrasonico che attraverso la
consistenza che incontra ci darà una determinata risposta:
a. Se si ha un distacco di retina primitiva, il fascio entra, incontra la retina staccata e
ci sarà un picco. Dietro vi è liquido che determina una ricaduta e poi un successivo
picco quando incontra l’epitelio pigmentato.
b. Se il fascio ultrasonico entra e trova un tumore, se è melanoma la reflettività è
bassa perché vi è necrosi e fibrosi.
c. L’angioma ha reflettività molto alta, simile alla retina.
d. La reflettività di un tumore metastatico è invece media.
4. ecografia bidimensionale = consente di vedere il sollevamento e mostra la consistenza di
ciò che gli sta dietro (liquido nel distacco primitivo [anecogena]; solido nel distacco
secondario[esogena]).
Se si è in presenza di una neoformazione e si vuole diramare il dubbio, se è primitivo o
secondario si devono eseguire l’ecografia del fegato (perché se vi è un melanoma la prima
sede di metastasi è il fegato), oppure si fanno esami ad ampio raggio perché potrebbe esserci
un cancro alla prostata che ha dato una metastasi. Se si è sicuri che siamo in presenza di un
distacco primitivo si esegue la terapia.
Tumori del bulbo oculare
1) Melanoma della coroide = è il più frequente e colpisce gli ultrasettantenni, ma può
svilupparsi anche nei giovani. Per la terapia è sufficiente una fotocoagulazione che lo
delimita e lo brucia.
2) Tumore metastatico = il problema oculare è in secondo piano
3) Angioma della coroide = tumore maligno abbastanza frequente che provoca un
sollevamento. Se ha centrale, probabilmente per un fatto di vascolarizzazione, il suo
colorito è più scuro della retina normale (se prevalgono fatti necrotici è più chiaro).
a. Si esegue la fluorangiografia per vedere se ha una vascolarizzazione propria,
come l’angioma. La terapia prima si faceva con l’enucleazione che permetteva
una sopravvivenza fino a 5 anni.
b. Oggi, se il tumore e grande ed interessa la parte centrale si fa l’enucleazione e
si cerca di togliere più nervo ottico possibile. Poi si vede se fino a 8 mm dalla
papilla non vi sono segni di infiltrazione (fattore prognostico positivo).
c. Se il tumore è periferico, ed è piccolo (il soggetto vede bene e possibilmente è
giovane, si bombarda con l’acceleratore di protoni la sclera (in narcosi,
mettendo dei cips sentinelle, entro cui viene convogliato il fascio). Questo
intervento ha come effetto collaterale, l’ischemia retinica che porta al
glaucoma neovascolare o edema maculare. Però ha il vantaggio di essere un
intervento breve.
d. Altro intervento nei tumori piccoli periferici è l’uso di placche radioattive
(prima si usava il cobalto, ora si usa il rutenio) messe in situ sul tumore per
alcuni giorni con lo scopo della distruzione.
e. Altra possibilità è la tumorectomia per il tumore di non oltre 10 mm e non
allogato nel polo posteriore (non impegna la macula): si apre e si disseca la
sclera, si taglia il tumore in anestesia profonda (perché la coroide è molto
vascolarizzata ed se il paziente ha la pressione alta c’è il rischio di emorragia)
Resterà la sclera bianca, assottigliata, visibile dall’interno. Si esegue l’esame
anatomo-istologico per essere sicuri di aver resecato tutto il tumore. Con
l’acceleratore di protoni e con le placche radioattive, non si è sicuri del tipo di
tumore e se il tumore è stato del tutto neutralizzato.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
4) Malattia di von Hippel = sono angiomi vascolari bilaterali in cui arrivano un’arteria
ed una vena retinica, abnormemente dilatate. La terapia si esegue con
fotocoagulazione. Se non trattata adeguatamente, per fenomeni essudativi, si possono
avere distacchi della retina.
5) Malattia di Coars = è un angioma dell’età pediatrica, è solo monolaterale e determina
gravi fenomeni essudativi.
6) Angiomatosi miliare di Leber = colpisce gli adulti. I fenomeni essudativi sono poco
importanti. Si cura con laser terapia.
7) Aneurisma cirsoide = consiste in un’anastomosi monolaterale arterovenosa. Non è
indicata alcuna terapia.
8) Retinoblastoma = è un tumore maligno che colpisce i bambini da zero a 4 anni, con un
picco verso 1-2 anni. È dovuto ad un’alterazione della banda 14 del cromosoma 13,
con attivazione di oncosoppressori. È un tumore subdolo, di cui è difficile
accorgersene. I segni aspecifici sono lo strabismo improvviso, la leucoria (colorazione
biancastra dietro la pupilla), vasi neoformati. Il retinoblastoma ereditario ha maggiore
rischio di essere bilaterale. Il retinoblastoma ha un colorito biancastro, costituito da
una massa singola o multipla. L’aspetto più frequente è l’endofitico, cioè che tende a
crescere verso l’interno del vitreo. Quando è esofitico, che tende a crescere verso
l’esterno della sclera, difficilmente si riesce a vedere, se non quando ha raggiunto
dimensioni cospicue. Il retinoblastoma esofitico dà metastasi attraverso il nervo ottico
(fegato, cervello). La terapia se il tumore interessa un solo occhio si fa mediante
l’enucleazione. Se non vi è infiltrazione nel nervo ottico, consente una sopravvivenza
di oltre il 90% dei casi a 5 anni, ed di oltre l’10% di 10 anni e più. Se il tumore è
bilaterale si fa l’enucleazione di un occhio e la fotocoagulazione con laser (in
profondità ) per l’altro occhio (in questo caso si ha possibilità di vedere solo se la
fotocoagulazione non ha danneggiato la macula.
Corpi estranei
Vanno tolti subito perché gia dopo due giorni si può opacizzare il vitreo per flogosi.
L’esportazione non garantisce nulla perché possono insorgere fatti flogistici gravi (coroidite
reattiva che si studia con la fluoroangiografia) che porta a perdita del visus.
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
NERVO OTTICO
Il nervo ottico è costituito dagli assoni delle cellule ganglionari della retina che escono dalla
papilla ottica (le due papille mandano immagini da sue angolature diverse, al cervello, e
grazie a ciò il cervello può percepire la profondità o stereopsi. Se il cervello non riesce a fare
ciò, si ha l’ambliopia) e si portano nel chiasma ottico. Subito dopo le fibre costituiscono i
tratti ottici che si dirigono verso i corpi genicolati laterali, dai quali, attraverso le radiazioni
ottiche di Gratiolet arrivano alla corteccia visiva (occipitale).
Il colore è leggermente più chiaro del contesto retinico circostante, i bordi sono differenziati
per la presenza di una escavazione nella papilla. Esistono dei segni clinici particolari:
ƒ Dolore = spontaneo e nei movimenti oculari,
ƒ Deficit = del visus (più o meno cospicui) e del campo visivo,
ƒ Alterazioni = della papilla e del senso cromatico.
Patologie del nervo ottico
1) Patologia infiammatoria = l’infiammazione può propagarsi per via ematica, lungo le fibre
nervose o attraverso le meningi. Si determinano:
a. Papillite = si hanno segni tipici come il dolore ed un brusco calo della vista.
L’oftalmoscopia rivela una papilla rossa, ischemica a margini sfumati per
l’essudazione, l’escavazione si perde perché è ricoperta di essudato ed il vitreo
che sta di fronte alla papilla, si presenta corpuscolato. Quando i caratteri non sono
così evidenti si ha la necessità di fare fluorangiografia. Si deve fare subito terapia
per evitare l’atrofia del nervo.
b. Pseudopapillite vascolare o neuropatia ottica ischemica anteriore = vi è un
abbassamento visivo poco importante. L’oftalmoscopia rivela un aspetto di
papillite con margini sfumati, il colore non è rosso e compaiono i fenomeni
vascolari (emorragie). L’ischemia si determina per la riduzione del calibro che
irrora la testa del nervo ottico. Si ha nelle persone anziane (maggiore di 70 anni)
oppure negli ammalati dell’arterite di Horton (si ha una chiusura dei vasi che
irrorano la testa del nervo ottico. Ciò determina dolore, calore, turgore dei vasi
retinici, febbre cefalea, embolia cerebrale. La terapia si effettua con il cortisone).
2) Patologia demielinizzante = è determinata dalla sclerosi multipla, neuromielite multipla di
Devic, encefalomielite acuta disseminata, encefalite diffusa periassiale di Schilder. La più
importante è la sclerosi multipla, di cui una neurite ottica restrobulbare rappresenta spesso
il primo segno. In questi casi l’esame oftalmoscopio mostra una papilla normale, ma il
visus è bruscamente e fortemente ridotto (< 1/10), quasi mai bilaterale, qualche volta si
accompagna a nistagmo. La diagnosi si effettua con RMN. Si possono fare anche esami
elettrofunzionali (PEV). La terapia si effettua con cortisone per via generale con
possibilità di recuperare la vista (100% dei casi) rispetto a quelli non trattati. Esistano pure
neuriti retrobulbari secondari ad intossicazioni (alcool, tabacco, piombo, arsenico,
chinino, solfuro di carbonio. Si possono riscontrare anche nella gotta, diabete, gravidanza,
allattamento), nel qual caso il cortisone non fa nulla. La neurite retrobulbare da
intossicazioni è bilaterale ed associata a perdita di acuità visiva che però non è grave e può
essere reversibile, se si elimina l’intossicazione. L’esame del campo visivo rivela la
presenza di uno scotoma centrocecale.
3) Patologia espansiva = è determinata da pseudotumor, accidenti vascolari, traumi, ascessi
cerebrali, meningiti ….
4) Atrofia ottica = può essere primaria (ascendente se le cellule gangliari sono distrutte
prima, discendente se gli assoni sono distrutte prima), secondaria (se è dovuta ad altre
Francesco Giuseppe Cannone
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Malattie dell’apparato visivo
otticopatie). Sia nella primaria che nella secondaria, l’acutezza visiva è fortemente
compromessa (cecità). Nella atrofia primaria discendente, il colore della papilla è cereo e
l’escavazione è minima (per un danno cerebrale o per un danno dell’arteria centrale). Se
l’escavazione è molto ingrandita, il risultato è un glaucoma.
La papilla è bianca nella degenerazione tabeto-retinica ereditaria (malattia di Best) o
degenerazione maculare vitelliforme, in quanto si ha una completa distruzione delle fibre
nervose con accumulo di pigmento lipofuscinico a livello delle cellule dell’epitelio
pigmentato. È una malattia ereditaria dominante con manifestazioni che compaiono nella
prima o seconda decade di vita.
5) Papilla da stasi = è conseguenza di una ipertensione cranica. L’aspetto è sovrapponibile a
quello della trombosi della vena cerebrale, però la capacità visiva dei pazienti con papilla
da stasi è conservata a lungo (diversamente dalla trombosi). Si ha edema molto intenso
con elevatezza marcata della papilla. Entrambi gli occhi sono interessati a meno che, come
nel caso della sindrome di Foster-Kennedy non vi sia un tumore del lobo frontale o un
meningioma della piccola ala dello sfenoide che per compressione diretta determina un
occhio (omolaterale) atrofico ed un occhio da papilla da stasi per ipertensione
endocranica.
L’oftalmoscopio monoculare diretto serve per quantizzare l’edema. Prima si mette a fuoco
sull’edema e si rileva il valore per diottrie sulla lente dello strumento, poi si mette a fuoco
sulla retina e si rivela il valore delle diottrie. Si sottrae il valore delle diottrie della retina
da quello dell’edema. La differenza rappresenta l’edema. Rifacendo l’esame a distanza di
tempo si vede se l’edema sta regredendo (sapendo che ogni 3 diottrie corrispondono a 1
mm).
Tumori del nervo ottico
ƒ
ƒ
Melanocitoma = neoformazione di colorito scuro, benigno e quindi non va trattato perché
è compatibile con il visus e con la vista.
Glioma = tumore delle fibre nervose, maligno, con prognosi sia funzionale (la vista si
riduce), sia quod vitam pessima se non si interviene con trattamento radicale. Cresce
rapidamente e rapidamente da metastasi. Se è interessato tutto il nervo, si enuclea
l’occhio; se è interessato un tratto, si elimina solo la parte interessata.
Francesco Giuseppe Cannone
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