Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il caso italiano Andrea F. Presbitero E-mail: [email protected] Pagina web: www.dea.unian.it/presbitero/ Dipartimento di Economia Università Politecnica delle Marche Corso di Economia dello Sviluppo A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane 1 Un’introduzione storica 2 Le caratteristiche italiane Il dualismo economico Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa I distretti industriali 3 Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Un confronto con l’UE: poca innovazione A.F. Presbitero Il caso italiano Le imprese italiane negli anni 2000 Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 La rincorsa dell’Italia L’Italia ha iniziato il suo processo di sviluppo in ritardo, non solo rispetto ad Inghilterra e Stati Uniti, ma anche all’Europa continentale. Il decollo avviene intorno alla fine del XIX secolo ed il proceso di sviluppo è sostenuto, tanto che il tasso di crescita italiano supera quello statunitense. Questa prima rincorsa si interrompe con la prima Guerra Mondiale e agli inizi degli anni Cinquanta il reddito italiano è sceso a poco più di un terzo di quello statunitense e ha perso terreno rispetto alla media europea. Il periodo 1950–1973 rappresenta il periodo di massima convergenza, con tassi di crescita doppi rispetto a quelli americani. Con le crisi degli anni Settanta il processo di rincorsa rallenta fino all’arresto ed all’inversione di tendenza degli anni Novanta, quando tuttavia l’Italia non aveva ancora raggiunto i livelli della frontiera. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 PIL pro capite e grado di industrializzazione Pil pro capite, sinistra − Industrializzazione, destra 25000 .35 20000 .3 15000 .25 10000 .2 5000 1970 1974 1978 1982 1986 1990 1994 1998 Pil pro capite, CN Pil pro capite, M Industrializzazione, CN Industrializzazione, M 2002 Fonte: CRENoS; Il grado di industrializzatione è la quota del valore aggiunto dell’industria sul totale. Il PIL pro capite è a prezzi costanti 1995 A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Occupazione in Italia: 1980–2004 Quota sul totale delle unita di lavoro .3 .25 .2 .15 .1 .05 1980 1984 1988 1992 Agricoltura 1996 2000 Industria Costruzioni Commercio e trasporti Finanza e attività immobiliari Altre attività di servizi Fonte: ISTAT, Conti Economici Regionali, Unità di lavoro totali. A.F. Presbitero Il caso italiano 2004 Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il dualismo economico Il dualismo Nord–Sud e il NEC Fino a inizio Novecento, quando inizio il processo di crescita dell’Italia, il tasso di industrializzazione era piuttosto omogeneo (intorno al 20%) su tutto il territorio. Con il processo di industrializzazione del paese inizia ad osservarsi il divario tra Nord e Sud del Paese. Fino alla fine degli anni Cinquanta l’economia italiana si caratterizza per il forte ritardo del Mezzogiorno, mentre, nel decennio successivo, inizia la rapida crescita delle regioni del Nord–Est e del Centro (NEC), che convergono verso i livelli di reddito del triangolo industriale. L’area NEC si costituisce come una periferia industriale tra il centro (Nord–Ovest) e il margine (Mezzogiorno), caratterizzata da una moltitudine di piccole imprese operanti nei settori maturi, dove la piccola dimensione non rappresenta uno svantaggio. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il dualismo economico Occupazione nelle 4 macro–regioni: 1980–2004 Nord Ovest Nord Est Centro Mezzogiorno Quota sul totale delle unita di lavoro .4 .2 0 .4 .2 0 1980 1984 1988 1992 1996 2000 2004 1980 Agricoltura 1984 1988 1992 1996 Industria Costruzioni Commercio e trasporti Finanza e attività immobiliari Altre attività di servizi Graphs by reg Fonte: ISTAT, Conti Economici Regionali, Unità di lavoro totali. A.F. Presbitero Il caso italiano 2000 2004 Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il dualismo economico PIL pro capite delle regioni italiane (Italia=100) Regione PIE VDA LOM TAA VEN FVG LIG EMR TOS UMB MAR LAZ ABR MOL CAM PUG BAS CAL SIC SAR Centro–Nord Mezzogiorno Deviazione standard Campo di variazione 1960 130 198 144 119 107 97 129 114 106 79 91 123 67 57 70 65 50 57 58 75 121 64 37.4 148 1970 119 156 127 113 105 105 114 114 109 86 98 113 77 64 73 74 69 66 72 87 115 73 24.6 93 1980 114 141 125 122 109 116 117 129 109 98 107 108 88 74 69 73 67 59 68 76 116 70 24.6 82 1990 116 131 131 122 115 118 115 126 107 95 104 112 88 74 67 70 61 56 66 74 119 68 25.4 75 Fonte: CRENoS. A.F. Presbitero Il caso italiano 1996 116 127 129 125 122 122 114 131 108 96 106 110 87 77 63 69 67 57 64 71 119 66 25.9 74 2002 115 133 128 130 115 114 110 125 111 97 101 112 86 81 65 67 72 63 68 77 118 69 23.9 70 Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il dualismo economico Gli anni del riavvicinamento I due decenni tra il 1950 e il 1970 rappresentano il momento di maggior sviluppo che ha consentito una riduzione delle disparità tra Centro–Nord e Mezzogiorno, rimasta poi piuttosto stabile nel periodo successivo. Negli anni si osserva soprattutto un avvicinamento delle regioni dell’area NEC a quelle del triangolo industriale, oltre ad una riduzione dello scarto tra le regioni più povere del Mezzogiorno e quelle più ricche del Nord. Parte della dinamica di avvicinamento delle regioni del Sud al reddito pro capite medio nazionale è imputabile all’andamento della popolazione, legato a fenomeni di emigrazione dalle regioni meridionali verso il più ricco Nord–Italia (negli anni Cinquanta e Sessanta quasi il 12% della popolazione del Mezzogiorno emigrò sia verso destinazioni nazioanli che estere). Il ruolo della politica economica si concretizzò in un forte intervento pubblico volto ad attirare capitali verso l’industria meridionale (nel 1970 gli investimenti diretti delle imprese a partecipazione statale superarono il 50% del totale degli invesimenti effettuati nel Mezzogiorno). A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il dualismo economico La diffusione dello sviluppo teorie della divergenza Oltre un determinato livello di sviluppo, la dinamica cumulativa può esaurirsi, a causa delle diseconomie di agglomerazione. Ne consegue una spinta ad allontanarsi dalle aree più sviluppate che genera una diffusione della crescita verso altre aree. Filtering down theory Economie di scala crescenti sono alla base di fenomeni di saturazione e dell’aumento dei prezzi dei fattori fissi e quasi fissi (K e L). Le imprese decentrano verso le aree periferiche alcune fasi produttive non strategiche e ad elevato utilizzo di fattori costosi. Le teorie del filtro presuppongono uno sviluppo guidato dal centro, mentre in realtà lo sviluppo dell’area NEC è imputabile a forze endogene. Una lettura alternativa dello sviluppo dell’area NEC considera il processo di decentramento iniziale guidato dalle regioni ricche come un fenomento temporaneo, necessario per superare la soglia oltre la quale possono entrare in gioco le forze endogene della crescita economica. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa La struttura produttiva Se la grande impresa fu la protagonista del “miracolo economico”, fu la piccola impresa a rivelarsi la vera protagonista della crescita dell’industria e della sua diffusione territoriale. Dalla piccola impresa prende corpo il miracolo del “made in Italy”: l’Italia acquisisce vantaggi competitivi in alcuni comparti in cui diventa leader mondiale, grazie allo sviluppo dei distretti industriali. In Italia si osserva storicamente una straordinaria rilevanza dei settori manifattureri tradizionali (tessile, abbigliamento, pelli e calzature), che occupavano un quarto degli addetti manifatturieri nel 1972 (quota scesa al 20% nel 2000). La specializzazione nei settori del “made in Italy” si ripercuote in un peso minore della meccanica, rispetto agli altri Paesi europei. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa Quote percentuali di occupazione manifatturiera, 2002 Settore France Germany Italy Japan Spain UK USA Alimentari Tessile, pelli e calzature Industria del legno Carta, editoria Chimica Minerali non metalliferi Siderurgia e metallurgia Meccanica Trasporti Altro 15.8% 6.2% 2.3% 8.4% 12.8% 4.5% 14.9% 19.7% 10.6% 4.9% 11.7% 3.1% 2.1% 7.0% 12.3% 3.6% 14.1% 28.9% 13.7% 3.6% 8.4% 16.9% 2.9% 5.6% 10.2% 7.1% 15.4% 21.8% 6.2% 5.3% 14.0% 6.3% 1.9% 8.3% 5.8% 3.6% 12.4% 29.4% 10.1% 8.3% 14.3% 12.6% 4.1% 7.7% 10.5% 7.2% 14.1% 13.0% 10.3% 6.3% 13.0% 5.8% 2.3% 12.3% 13.4% 3.5% 12.9% 20.8% 10.4% 5.8% 10.8% 5.5% 3.5% 13.8% 11.6% 3.2% 12.6% 19.7% 11.2% 8.0% Fonte: OECD STAN Database 2005. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa Il ruolo della piccola impresa Storicamente, la piccola impresa è sempre state difesa: 1 2 dalla sinistra poichè, benchè tecnicamente inefficiente, era vista come un alleato nella battaglia contro il capitale; dai democristiani, dato che era vista come un luogo in cui sopravvivono i sani valori della tradizione. Tuttavia, la piccola impresa è stata spesso considerata inefficiente ed arretrata. Solo a fine anni sessanta Becattini propone un’interpretazione alternativa delle “aree di industrializzazione leggera”, sostenendo che si deve osservare non la piccola impresa, ma i sistemi di piccole imprese. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa La piccola impresa Dal confronto con gli altri Paesi ad inizio anni Novanta emerge la predominanza della micro impresa nell’indutria italiana: 1 un quarto degli addetti era occupato in imprese con meno di dieci dipendenti (negli USA la quota era del 3% e in Germania del 7,4%); 2 il 71% della forza lavoro era concentrato in PMI (con meno di 250 addetti), mentre questa quota era pari al 37% per Germania e Stati Uniti. Dai dati censuari si nota come nel 1951 la struttura industriale italiana fosse dominata da grandi (oltre 500 addetti) e piccolissime (meno di 10 addetti) imprese. Questa polarizzazione scompare tra gli anni Sessanta e Settanta a causa di due importanti trasformazioni della struttura industriale: 1 il completamento del processo di formazione del mercato nazionale in importanti settori come l’abbigliamento, il mobilio, le calzature e l’industria alimentare; 2 l’avvio del proceso di integrazione europea. Dagli anni Settanta riprende a crescere il peso della piccola impresa e si riduce drasticamente quello della grande impresa: nel 1991 gli addetti delle aziende con meno di 50 addetti sono il 58% del totale, mentre solo il 13% è occupato nella grande impresa, contro il 24% nel 1971. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 I distretti industriali Che cosa sono i distretti industriali? Un distretto industriale (DI) è un’agglomerazione sistemica (divisione del lavoro localizzata) di un considerevole numero di imprese specializzate a dimensione ridotta in territori circoscritti (Nardozzi, 2004). Le piccole imprese distrettuali traggono vantaggio dall’ambiente industriale che le circonda e dal tessuto istituzionale con cui interagiscono. Becattini sottolinea come il fenomeno distrettuale possa essere compreso solo richiamando tre concetti marshalliani: 1 le economie esterne all’impresa, ma interne alla comunità locale; 2 l’atmosfera industriale marshalliana, che chiariva il ruolo e la portata della conoscenza pratica e della moralità commerciale diffusa nel decollo industriale; 3 la grande mobilità sociale e professionale dell’organizzazione del processo produttivo. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 I distretti industriali I distretti industriali e il “made in Italy” Brusco e Paba (1997) nel 1951 erano censiti 149 distretti che occupavano 360.000 lavoratori, mentre nel 1991 il numero era salito a 238, per un totale di 1.700.000 occupati. La quota dell’occupazione manifatturiera nei istretti sul totale nazionale è aumentata considerevolmente, passando dal 10% nel 1951 al 32% nel 1991. Nell’ultimo decennio, la crescita dei DI si è arrestata. Il numero dei DI si è ridotto e la struttura distrettuale si è modificata: cresce la dimensione d’impresa, e aumenta il grado di internazionalizzazione ed innovazione. Vi è una notevole correlazione tra il successo dei DI e quello del “made in Italy”: nel 1995 la componente distrettuale dell’export nazionale era pari al 70% per gli articoli di gioielleria e oreficeria, al 66% per i tessuti, al 60% per i prodotti della concia e del cuoio, al 42% per le calzature, al 40% per la runbinetteria e il valvolame, al 58% per i macchinari dell’industria tessile (in Becattini, 2007) Secondo dati ISTAT, il 60% degli addetti manifatturieri nei distretti opera nei settori del “made in Italy”. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane I distretti industriali La geografia dei distretti industriali Fonte: ISTAT. A.F. Presbitero Il caso italiano Le imprese italiane negli anni 2000 Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 L’Italia del Seicento e quella attuale Quando un paese si trova nella sfortunata situazione in cui si trovò l’Italia agli inizi del Diciasettesimo secolo, presto o tardi varie forze, spontanee o indotte, vengono a mettere inmoto un processo di aggiustamento. ... Se il paese riesce a sviluppare nuove produzioni o ad aprirsi nuovi mercati eso può grosso modo mantenere sia il suo livello di impiego che il suo tenore di vita. Altrimenti deve assoggettarsi a una drastica riduzione del tenore di vita e probabilmente anche del suo livello di occupazione. Carlo Cipolla – Il declino economico dell’Italia, 1959 A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Il declino italiano Alla base della debole crescita della nostra economia si ritrova una perdita di competitività sia sul mercato internazionale sia su quello interno. Il volume delle esportazioni italiane è aumentato tra il 1995 e il 2001 del 25%. Nello stesso periodo lo sviluppo del commercio mondiale è stato del 45%; quello delle esportazioni degli altri undici paesi dell’area dell’euro del 55. La quota percentuale di prodotti italiani nel commercio mondiale, valutata a prezzi costanti, è diminuita tra il 1995 e il 2001 dal 4,6 al 3,7 per cento.[. . . ] La produttività è fattore chiave per la competitività sul mercato interno e su quello internazionale. In Italia la produttività del lavoro è nettamente rallentata tra gli anni ottanta e gli anni novanta.[. . . ] La competitività della nostra industria ha risentito della frammentazione dell’attività in un numero elevatissimo di imprese piccole. Dimensioni aziendali ridotte conferiscono elasticità al sistema, ma rendono più difficile lo sviluppo di prodotti e tecniche innovativi, limitano l’efficienza. Banca d’Italia – Considerazioni Finali, Maggio 2002 A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Crescita relativa del PIL pro capite italiano: 1951–2004 Fonte: Daveri e Jona–Lasinio (2005). Italy’s Decline: Getting the Facts Right, Giornale degli Economisti e Annali di Economia. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Un problema di concorrenza Nardozzi (2004) nota come la concorrenza sia alla base sia del miracolo economico del secondo dopoguerra che del declino attuale. Il mercato unico europeo, la globalizzazione e la liberalizzazione del commercio internazionale espongono le imprese ad una elevata concorrenza estera. Una maggiore concorrenza non si è tradotta in aumenti di produttività, con il risultato di una perdita dei vantaggi competitivi. Il “nanismo” industriale e il ritardo nel mutamento della specializzazione produttiva sono espressione, secondo Nardozzi, di un difetto di pressione competitiva. Il capitalismo assistito (a cui sono seguite le privatizzazioni che non sono riuscita a dare una spinta competitiva) e la rinuncia alla stabilità monetaria (interrotta prima negli anni Ottanta e poi con l’Euro) hanno fornito una serie di protezionismi che hanno limitato gli incentivi alla crescita e alla riconversione industriale. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Declino economico e produttività Il tasso di crescita del PIL pro capite italiano è passato dal 5,4% negli anni Cinquanta, al 5,1% negli anni Sessanta, al 3,1% negli anni Settanta, al 2,2% negli anni Ottanta e all’1,4% negli anni Novanta (Daveri, 2006). Il rallentamento italiano, perfettamente in linea con il modello di Solow, non è comune agli altri paesi europei, nei confronti dei quali, dal 1995 in poi, la crescita italiana è stata minore. Il recente rallentamento dell’economia italiana è imputabile soprattutto alla crescita della produttività del lavoro, non alla riduzione delle ore lavorate. Dal 1995 il contributo delle ore lavorate alla crescita del PIL è diventato positivo, a causa dell’incremento del tasso di occupazione e di una certa stabilità nelle ore lavorate per ogni lavoratore. Il tasso di crescita della produttività del lavoro è invece diminuito. Questa riduzione si è intensificata negli ultimi anni, passando da un tasso annuo di 0,9% nel periodo 1995–2000 a -0,1% nel quinquennio 2000–2004. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Produttività e ore lavorate Scomposizione del tasso di crescita del PIL PIL PIL HW FL = × × POP HW FL POP (1) HW = ore lavorate FL = persone in età lavorativa POP = popolazione Periodo 1970-80 1980-95 1995-04 PIL POP 3.1 1.8 1.3 PIL HW HW FL FL POP 3.9 2.1 0.5 -0.8 -0.7 1.0 0 0.4 -0.2 Fonte: Daveri e Jona–Lasinio (2005). Italy’s Decline: Getting the Facts Right, Giornale degli Economisti e Annali di Economia. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Il modello di specializzazione Faini e Sapir (2005) identificano nel modello di specializzazione italiano, ancora più sbilanciato che in passato verso i settori tradizionali (maggiormente esposti alla concorrenza dei PVS), uno dei responsabili del rallentamento dell’economia italiana. La posizione di rendita di cui l’Italia godeva nei settori tradizionali a bassa intensità di capitale umano è andata scomparendo con l’apertura del commercio internazionale ai PVS. L’analisi degli indici di Balassa mostrano un vantaggio comparato dell’Italia nei settori tradizionali, mentre gli indici sono negativi (e in diminuzione dal 1970 al 2002) nei settori più avanzati, nei quali l’Italia è andata despecializzandosi. L’Italia presenta un vantaggio comparato che si è accentuato nel tempo nei settori a bassa intensià di capitale umano, in netta controtendenza rispetto agli altri paesi industrializzati. La mancata convergenza del modello di specializzazione italiano verso quello degli altri paesi industriali è imputabile alla limitata dotazione di capitale umano, che ha reso difficile la reazione al duplice shock – tecnologico e commerciale – verificatosi negli anni Novanta. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Il declino italiano Piccolo può essere bello? Becattini (2007) prende le difese del cosiddetto “nanismo” delle imprese italiane criticando il principio di asimmetria, secondo cui ciò che può essere fatto da una piccola impresa può essere fatto da una grande impresa, ma non viceversa. L’effetto distretto nasce dall’elevata mobilità professionale e sociale e dalla spinta ad una suddivisione continua e prograssiva della filiera produttiva locale. La specializzazione nei settori del “made in Italy” può sı̀ rappresentare una trappola (per via della pressione concorrenziale estera), ma anche una risorsa secondo una via latina dell’industrializzazione. Non è la quantità dimerci esportate che conta (la quota mondiale dell’export è destinata a diminuire), ma il valore che i consumatori del mondo affuente riconoscono al “made in Italy” che è rilevante. Questi settori, che hanno sostenuto la crescita, vanno presidiati per ricavare nicchie di eccellenza. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Un confronto con l’UE: poca innovazione Un confronto europeo Dal confronto con Spagna, Francia, Regno Unito e Germania emerge che l’Italia: 1 ha il peso più elevato se si considera la numerosità delle imprese (32%); 2 ha un peso ridotto (18%) in termini di addetti e ancora minore (15%) di valore aggiunto. L’Italia mostra una maggiore vocazione manifatturiera, insieme alla Germania, e nel comparto dei trasporti e comunicazioni. Tra i settori che nel 2004 contribuiscono maggiormente alla specializzazione, vi sono i più classici comparti del “made in Italy”: cuoio e calzature, con una quota di valore aggiunto più che tripla rispetto agli altri paesi. Tra il 2000 e il 2004 l’Italia ha rafforzato la propria specializzazione nelle produzioni considerate a più basso contenuto di tecnologia, indebolendosi soprattutto in quelle a intensità medio–alta. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Un confronto con l’UE: poca innovazione Imprese, addetti e valore aggiunto nei principali paesi europei – Anno 2004 (valori percentuali) Fonte: ISTAT, Rapporto annuale 2006. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Un confronto con l’UE: poca innovazione Ricerca e sviluppo Nei principali paesi dell’UE la spesa per R&S (in % del PIL) è lontana dall’obiettivo di Lisbona stabilito nel 2000: 3% per l’intera UE nel 2010, con almeno i due terzi della spesa sostenuti dal settore privato. La spesa per R&S in Italia è stabile su valori che eccedono di poco l’1%. Spesa per ricerca e sviluppo (% del PIL) – Anni La composizione della spesa totale italiana per R&S è orientata verso il settore pubblico (incluse le università) e con un ruolo minore delle imprese (48% contro la media europea del 63%). 1991–2005. Fonte: ISTAT, Rapporto annuale 2006. A.F. Presbitero Il caso italiano Outline Un’introduzione storica Le caratteristiche italiane Le imprese italiane negli anni 2000 Un confronto con l’UE: poca innovazione L’innovazione delle imprese Nel periodo 2002–2004 circa il 41% delle imprese dell’UE, con almeno 10 addetti, è stato impegnato in progetti di innovazione. Il ruolo trainante spetta alla Germania, con circa il 56% di imprese innovatrici, ma anche ad Irlanda, Austria e Lussemburgo. L’Italia registra una quota di imprese innovatrici inferiore al livello medio europeo (35,4%), accentuando il divario del 1998–2000. L’analisi per classe dimensionale consente di osservare che la propensione ad innovare aumenta con la dimensione aziendale: solo una impresa su tre con meno di 50 addetti è ha introdotto innovazioni nel triennio 2002–2004, mentre questa percentuale sale al 72% per le grande impresa (con oltre 250 addetti). A.F. Presbitero Il caso italiano