Outline
Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il caso italiano
Andrea F. Presbitero
E-mail: [email protected]
Pagina web: www.dea.unian.it/presbitero/
Dipartimento di Economia
Università Politecnica delle Marche
Corso di Economia dello Sviluppo
A.F. Presbitero
Il caso italiano
Outline
Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
1
Un’introduzione storica
2
Le caratteristiche italiane
Il dualismo economico
Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa
I distretti industriali
3
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Un confronto con l’UE: poca innovazione
A.F. Presbitero
Il caso italiano
Le imprese italiane negli anni 2000
Outline
Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
La rincorsa dell’Italia
L’Italia ha iniziato il suo processo di sviluppo in ritardo, non solo rispetto
ad Inghilterra e Stati Uniti, ma anche all’Europa continentale.
Il decollo avviene intorno alla fine del XIX secolo ed il proceso di sviluppo
è sostenuto, tanto che il tasso di crescita italiano supera quello
statunitense.
Questa prima rincorsa si interrompe con la prima Guerra Mondiale e agli
inizi degli anni Cinquanta il reddito italiano è sceso a poco più di un terzo
di quello statunitense e ha perso terreno rispetto alla media europea.
Il periodo 1950–1973 rappresenta il periodo di massima convergenza, con
tassi di crescita doppi rispetto a quelli americani.
Con le crisi degli anni Settanta il processo di rincorsa rallenta fino
all’arresto ed all’inversione di tendenza degli anni Novanta, quando
tuttavia l’Italia non aveva ancora raggiunto i livelli della frontiera.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
PIL pro capite e grado di industrializzazione
Pil pro capite, sinistra − Industrializzazione, destra
25000
.35
20000
.3
15000
.25
10000
.2
5000
1970
1974
1978
1982
1986
1990
1994
1998
Pil pro capite, CN
Pil pro capite, M
Industrializzazione, CN
Industrializzazione, M
2002
Fonte: CRENoS; Il grado di industrializzatione è la quota del valore aggiunto dell’industria sul totale. Il PIL pro
capite è a prezzi costanti 1995
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Occupazione in Italia: 1980–2004
Quota sul totale delle unita di lavoro
.3
.25
.2
.15
.1
.05
1980
1984
1988
1992
Agricoltura
1996
2000
Industria
Costruzioni
Commercio e trasporti
Finanza e attività immobiliari
Altre attività di servizi
Fonte: ISTAT, Conti Economici Regionali, Unità di lavoro totali.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
2004
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il dualismo economico
Il dualismo Nord–Sud e il NEC
Fino a inizio Novecento, quando inizio il processo di crescita dell’Italia, il
tasso di industrializzazione era piuttosto omogeneo (intorno al 20%) su
tutto il territorio.
Con il processo di industrializzazione del paese inizia ad osservarsi il
divario tra Nord e Sud del Paese.
Fino alla fine degli anni Cinquanta l’economia italiana si caratterizza per
il forte ritardo del Mezzogiorno, mentre, nel decennio successivo, inizia la
rapida crescita delle regioni del Nord–Est e del Centro (NEC), che
convergono verso i livelli di reddito del triangolo industriale.
L’area NEC si costituisce come una periferia industriale tra il centro
(Nord–Ovest) e il margine (Mezzogiorno), caratterizzata da una
moltitudine di piccole imprese operanti nei settori maturi, dove la piccola
dimensione non rappresenta uno svantaggio.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il dualismo economico
Occupazione nelle 4 macro–regioni: 1980–2004
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Mezzogiorno
Quota sul totale delle unita di lavoro
.4
.2
0
.4
.2
0
1980
1984
1988
1992
1996
2000
2004 1980
Agricoltura
1984
1988
1992
1996
Industria
Costruzioni
Commercio e trasporti
Finanza e attività immobiliari
Altre attività di servizi
Graphs by reg
Fonte: ISTAT, Conti Economici Regionali, Unità di lavoro totali.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
2000
2004
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il dualismo economico
PIL pro capite delle regioni italiane (Italia=100)
Regione
PIE
VDA
LOM
TAA
VEN
FVG
LIG
EMR
TOS
UMB
MAR
LAZ
ABR
MOL
CAM
PUG
BAS
CAL
SIC
SAR
Centro–Nord
Mezzogiorno
Deviazione standard
Campo di variazione
1960
130
198
144
119
107
97
129
114
106
79
91
123
67
57
70
65
50
57
58
75
121
64
37.4
148
1970
119
156
127
113
105
105
114
114
109
86
98
113
77
64
73
74
69
66
72
87
115
73
24.6
93
1980
114
141
125
122
109
116
117
129
109
98
107
108
88
74
69
73
67
59
68
76
116
70
24.6
82
1990
116
131
131
122
115
118
115
126
107
95
104
112
88
74
67
70
61
56
66
74
119
68
25.4
75
Fonte: CRENoS.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
1996
116
127
129
125
122
122
114
131
108
96
106
110
87
77
63
69
67
57
64
71
119
66
25.9
74
2002
115
133
128
130
115
114
110
125
111
97
101
112
86
81
65
67
72
63
68
77
118
69
23.9
70
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il dualismo economico
Gli anni del riavvicinamento
I due decenni tra il 1950 e il 1970 rappresentano il momento di maggior sviluppo
che ha consentito una riduzione delle disparità tra Centro–Nord e Mezzogiorno,
rimasta poi piuttosto stabile nel periodo successivo.
Negli anni si osserva soprattutto un avvicinamento delle regioni dell’area NEC a
quelle del triangolo industriale, oltre ad una riduzione dello scarto tra le regioni
più povere del Mezzogiorno e quelle più ricche del Nord.
Parte della dinamica di avvicinamento delle regioni del Sud al reddito pro capite
medio nazionale è imputabile all’andamento della popolazione, legato a
fenomeni di emigrazione dalle regioni meridionali verso il più ricco Nord–Italia
(negli anni Cinquanta e Sessanta quasi il 12% della popolazione del
Mezzogiorno emigrò sia verso destinazioni nazioanli che estere).
Il ruolo della politica economica si concretizzò in un forte intervento pubblico
volto ad attirare capitali verso l’industria meridionale (nel 1970 gli investimenti
diretti delle imprese a partecipazione statale superarono il 50% del totale degli
invesimenti effettuati nel Mezzogiorno).
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il dualismo economico
La diffusione dello sviluppo
teorie della divergenza
Oltre un determinato livello di sviluppo, la dinamica cumulativa può esaurirsi, a causa
delle diseconomie di agglomerazione. Ne consegue una spinta ad allontanarsi dalle
aree più sviluppate che genera una diffusione della crescita verso altre aree.
Filtering down theory
Economie di scala crescenti sono alla base di fenomeni di saturazione e dell’aumento
dei prezzi dei fattori fissi e quasi fissi (K e L). Le imprese decentrano verso le aree
periferiche alcune fasi produttive non strategiche e ad elevato utilizzo di fattori costosi.
Le teorie del filtro presuppongono uno sviluppo guidato dal centro, mentre in
realtà lo sviluppo dell’area NEC è imputabile a forze endogene.
Una lettura alternativa dello sviluppo dell’area NEC considera il processo di
decentramento iniziale guidato dalle regioni ricche come un fenomento
temporaneo, necessario per superare la soglia oltre la quale possono entrare in
gioco le forze endogene della crescita economica.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa
La struttura produttiva
Se la grande impresa fu la protagonista del “miracolo economico”, fu la
piccola impresa a rivelarsi la vera protagonista della crescita dell’industria
e della sua diffusione territoriale.
Dalla piccola impresa prende corpo il miracolo del “made in Italy”: l’Italia
acquisisce vantaggi competitivi in alcuni comparti in cui diventa leader
mondiale, grazie allo sviluppo dei distretti industriali.
In Italia si osserva storicamente una straordinaria rilevanza dei settori
manifattureri tradizionali (tessile, abbigliamento, pelli e calzature), che
occupavano un quarto degli addetti manifatturieri nel 1972 (quota scesa
al 20% nel 2000).
La specializzazione nei settori del “made in Italy” si ripercuote in un peso
minore della meccanica, rispetto agli altri Paesi europei.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa
Quote percentuali di occupazione manifatturiera, 2002
Settore
France
Germany
Italy
Japan
Spain
UK
USA
Alimentari
Tessile, pelli e calzature
Industria del legno
Carta, editoria
Chimica
Minerali non metalliferi
Siderurgia e metallurgia
Meccanica
Trasporti
Altro
15.8%
6.2%
2.3%
8.4%
12.8%
4.5%
14.9%
19.7%
10.6%
4.9%
11.7%
3.1%
2.1%
7.0%
12.3%
3.6%
14.1%
28.9%
13.7%
3.6%
8.4%
16.9%
2.9%
5.6%
10.2%
7.1%
15.4%
21.8%
6.2%
5.3%
14.0%
6.3%
1.9%
8.3%
5.8%
3.6%
12.4%
29.4%
10.1%
8.3%
14.3%
12.6%
4.1%
7.7%
10.5%
7.2%
14.1%
13.0%
10.3%
6.3%
13.0%
5.8%
2.3%
12.3%
13.4%
3.5%
12.9%
20.8%
10.4%
5.8%
10.8%
5.5%
3.5%
13.8%
11.6%
3.2%
12.6%
19.7%
11.2%
8.0%
Fonte: OECD STAN Database 2005.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa
Il ruolo della piccola impresa
Storicamente, la piccola impresa è sempre state difesa:
1
2
dalla sinistra poichè, benchè tecnicamente inefficiente, era
vista come un alleato nella battaglia contro il capitale;
dai democristiani, dato che era vista come un luogo in cui
sopravvivono i sani valori della tradizione.
Tuttavia, la piccola impresa è stata spesso considerata
inefficiente ed arretrata.
Solo a fine anni sessanta Becattini propone un’interpretazione
alternativa delle “aree di industrializzazione leggera”,
sostenendo che si deve osservare non la piccola impresa, ma i
sistemi di piccole imprese.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Specializzazione settoriale e dimensione d’impresa
La piccola impresa
Dal confronto con gli altri Paesi ad inizio anni Novanta emerge la predominanza
della micro impresa nell’indutria italiana:
1 un quarto degli addetti era occupato in imprese con meno di dieci
dipendenti (negli USA la quota era del 3% e in Germania del 7,4%);
2 il 71% della forza lavoro era concentrato in PMI (con meno di 250
addetti), mentre questa quota era pari al 37% per Germania e Stati Uniti.
Dai dati censuari si nota come nel 1951 la struttura industriale italiana fosse
dominata da grandi (oltre 500 addetti) e piccolissime (meno di 10 addetti)
imprese.
Questa polarizzazione scompare tra gli anni Sessanta e Settanta a causa di due
importanti trasformazioni della struttura industriale:
1 il completamento del processo di formazione del mercato nazionale in
importanti settori come l’abbigliamento, il mobilio, le calzature e
l’industria alimentare;
2 l’avvio del proceso di integrazione europea.
Dagli anni Settanta riprende a crescere il peso della piccola impresa e si riduce
drasticamente quello della grande impresa: nel 1991 gli addetti delle aziende con
meno di 50 addetti sono il 58% del totale, mentre solo il 13% è occupato nella
grande impresa, contro il 24% nel 1971.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
I distretti industriali
Che cosa sono i distretti industriali?
Un distretto industriale (DI) è un’agglomerazione sistemica (divisione del lavoro
localizzata) di un considerevole numero di imprese specializzate a dimensione
ridotta in territori circoscritti (Nardozzi, 2004).
Le piccole imprese distrettuali traggono vantaggio dall’ambiente industriale che
le circonda e dal tessuto istituzionale con cui interagiscono.
Becattini sottolinea come il fenomeno distrettuale possa essere compreso solo
richiamando tre concetti marshalliani:
1 le economie esterne all’impresa, ma interne alla comunità locale;
2 l’atmosfera industriale marshalliana, che chiariva il ruolo e la portata della
conoscenza pratica e della moralità commerciale diffusa nel decollo
industriale;
3 la grande mobilità sociale e professionale dell’organizzazione del processo
produttivo.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
I distretti industriali
I distretti industriali e il “made in Italy”
Brusco e Paba (1997) nel 1951 erano censiti 149 distretti che occupavano
360.000 lavoratori, mentre nel 1991 il numero era salito a 238, per un totale di
1.700.000 occupati.
La quota dell’occupazione manifatturiera nei istretti sul totale nazionale è
aumentata considerevolmente, passando dal 10% nel 1951 al 32% nel 1991.
Nell’ultimo decennio, la crescita dei DI si è arrestata. Il numero dei DI si è
ridotto e la struttura distrettuale si è modificata: cresce la dimensione
d’impresa, e aumenta il grado di internazionalizzazione ed innovazione.
Vi è una notevole correlazione tra il successo dei DI e quello del “made in Italy”:
nel 1995 la componente distrettuale dell’export nazionale era pari al 70% per gli
articoli di gioielleria e oreficeria, al 66% per i tessuti, al 60% per i prodotti della
concia e del cuoio, al 42% per le calzature, al 40% per la runbinetteria e il
valvolame, al 58% per i macchinari dell’industria tessile (in Becattini, 2007)
Secondo dati ISTAT, il 60% degli addetti manifatturieri nei distretti opera nei
settori del “made in Italy”.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
I distretti industriali
La geografia dei distretti industriali
Fonte: ISTAT.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
Le imprese italiane negli anni 2000
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
L’Italia del Seicento e quella attuale
Quando un paese si trova nella sfortunata situazione in cui si trovò
l’Italia agli inizi del Diciasettesimo secolo, presto o tardi varie forze,
spontanee o indotte, vengono a mettere inmoto un processo di
aggiustamento.
...
Se il paese riesce a sviluppare nuove produzioni o ad aprirsi nuovi
mercati eso può grosso modo mantenere sia il suo livello di impiego
che il suo tenore di vita. Altrimenti deve assoggettarsi a una
drastica riduzione del tenore di vita e probabilmente anche del suo
livello di occupazione.
Carlo Cipolla – Il declino economico dell’Italia, 1959
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Il declino italiano
Alla base della debole crescita della nostra economia si ritrova una perdita
di competitività sia sul mercato internazionale sia su quello interno.
Il volume delle esportazioni italiane è aumentato tra il 1995 e il 2001 del
25%. Nello stesso periodo lo sviluppo del commercio mondiale è stato del
45%; quello delle esportazioni degli altri undici paesi dell’area dell’euro del
55. La quota percentuale di prodotti italiani nel commercio mondiale,
valutata a prezzi costanti, è diminuita tra il 1995 e il 2001 dal 4,6 al 3,7
per cento.[. . . ]
La produttività è fattore chiave per la competitività sul mercato interno e
su quello internazionale. In Italia la produttività del lavoro è nettamente
rallentata tra gli anni ottanta e gli anni novanta.[. . . ]
La competitività della nostra industria ha risentito della frammentazione
dell’attività in un numero elevatissimo di imprese piccole. Dimensioni
aziendali ridotte conferiscono elasticità al sistema, ma rendono più difficile
lo sviluppo di prodotti e tecniche innovativi, limitano l’efficienza.
Banca d’Italia – Considerazioni Finali, Maggio 2002
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Crescita relativa del PIL pro capite italiano: 1951–2004
Fonte: Daveri e Jona–Lasinio (2005). Italy’s Decline: Getting the Facts Right, Giornale degli Economisti e Annali
di Economia.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Un problema di concorrenza
Nardozzi (2004) nota come la concorrenza sia alla base sia del miracolo
economico del secondo dopoguerra che del declino attuale.
Il mercato unico europeo, la globalizzazione e la liberalizzazione del
commercio internazionale espongono le imprese ad una elevata
concorrenza estera.
Una maggiore concorrenza non si è tradotta in aumenti di produttività,
con il risultato di una perdita dei vantaggi competitivi.
Il “nanismo” industriale e il ritardo nel mutamento della specializzazione
produttiva sono espressione, secondo Nardozzi, di un difetto di pressione
competitiva.
Il capitalismo assistito (a cui sono seguite le privatizzazioni che non sono
riuscita a dare una spinta competitiva) e la rinuncia alla stabilità
monetaria (interrotta prima negli anni Ottanta e poi con l’Euro) hanno
fornito una serie di protezionismi che hanno limitato gli incentivi alla
crescita e alla riconversione industriale.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Declino economico e produttività
Il tasso di crescita del PIL pro capite italiano è passato dal 5,4% negli
anni Cinquanta, al 5,1% negli anni Sessanta, al 3,1% negli anni Settanta,
al 2,2% negli anni Ottanta e all’1,4% negli anni Novanta (Daveri, 2006).
Il rallentamento italiano, perfettamente in linea con il modello di Solow,
non è comune agli altri paesi europei, nei confronti dei quali, dal 1995 in
poi, la crescita italiana è stata minore.
Il recente rallentamento dell’economia italiana è imputabile soprattutto
alla crescita della produttività del lavoro, non alla riduzione delle ore
lavorate.
Dal 1995 il contributo delle ore lavorate alla crescita del PIL è diventato
positivo, a causa dell’incremento del tasso di occupazione e di una certa
stabilità nelle ore lavorate per ogni lavoratore.
Il tasso di crescita della produttività del lavoro è invece diminuito. Questa
riduzione si è intensificata negli ultimi anni, passando da un tasso annuo
di 0,9% nel periodo 1995–2000 a -0,1% nel quinquennio 2000–2004.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Produttività e ore lavorate
Scomposizione del tasso di crescita del PIL
PIL
PIL
HW
FL
=
×
×
POP
HW
FL
POP
(1)
HW = ore lavorate
FL = persone in età lavorativa
POP = popolazione
Periodo
1970-80
1980-95
1995-04
PIL
POP
3.1
1.8
1.3
PIL
HW
HW
FL
FL
POP
3.9
2.1
0.5
-0.8
-0.7
1.0
0
0.4
-0.2
Fonte: Daveri e Jona–Lasinio (2005). Italy’s Decline: Getting the Facts Right, Giornale degli Economisti e Annali
di Economia.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Il modello di specializzazione
Faini e Sapir (2005) identificano nel modello di specializzazione italiano,
ancora più sbilanciato che in passato verso i settori tradizionali
(maggiormente esposti alla concorrenza dei PVS), uno dei responsabili del
rallentamento dell’economia italiana.
La posizione di rendita di cui l’Italia godeva nei settori tradizionali a bassa
intensità di capitale umano è andata scomparendo con l’apertura del
commercio internazionale ai PVS.
L’analisi degli indici di Balassa mostrano un vantaggio comparato
dell’Italia nei settori tradizionali, mentre gli indici sono negativi (e in
diminuzione dal 1970 al 2002) nei settori più avanzati, nei quali l’Italia è
andata despecializzandosi.
L’Italia presenta un vantaggio comparato che si è accentuato nel tempo
nei settori a bassa intensià di capitale umano, in netta controtendenza
rispetto agli altri paesi industrializzati.
La mancata convergenza del modello di specializzazione italiano verso
quello degli altri paesi industriali è imputabile alla limitata dotazione di
capitale umano, che ha reso difficile la reazione al duplice shock –
tecnologico e commerciale – verificatosi negli anni Novanta.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Il declino italiano
Piccolo può essere bello?
Becattini (2007) prende le difese del cosiddetto “nanismo” delle imprese
italiane criticando il principio di asimmetria, secondo cui ciò che può
essere fatto da una piccola impresa può essere fatto da una grande
impresa, ma non viceversa.
L’effetto distretto nasce dall’elevata mobilità professionale e sociale e
dalla spinta ad una suddivisione continua e prograssiva della filiera
produttiva locale.
La specializzazione nei settori del “made in Italy” può sı̀ rappresentare
una trappola (per via della pressione concorrenziale estera), ma anche
una risorsa secondo una via latina dell’industrializzazione.
Non è la quantità dimerci esportate che conta (la quota mondiale
dell’export è destinata a diminuire), ma il valore che i consumatori del
mondo affuente riconoscono al “made in Italy” che è rilevante. Questi
settori, che hanno sostenuto la crescita, vanno presidiati per ricavare
nicchie di eccellenza.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Un confronto con l’UE: poca innovazione
Un confronto europeo
Dal confronto con Spagna, Francia, Regno Unito e Germania emerge che
l’Italia:
1 ha il peso più elevato se si considera la numerosità delle imprese
(32%);
2 ha un peso ridotto (18%) in termini di addetti e ancora minore
(15%) di valore aggiunto.
L’Italia mostra una maggiore vocazione manifatturiera, insieme alla
Germania, e nel comparto dei trasporti e comunicazioni.
Tra i settori che nel 2004 contribuiscono maggiormente alla
specializzazione, vi sono i più classici comparti del “made in Italy”: cuoio
e calzature, con una quota di valore aggiunto più che tripla rispetto agli
altri paesi.
Tra il 2000 e il 2004 l’Italia ha rafforzato la propria specializzazione nelle
produzioni considerate a più basso contenuto di tecnologia, indebolendosi
soprattutto in quelle a intensità medio–alta.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Un confronto con l’UE: poca innovazione
Imprese, addetti e valore aggiunto nei principali paesi
europei – Anno 2004 (valori percentuali)
Fonte: ISTAT, Rapporto annuale 2006.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
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Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Un confronto con l’UE: poca innovazione
Ricerca e sviluppo
Nei principali paesi dell’UE la spesa
per R&S (in % del PIL) è lontana
dall’obiettivo di Lisbona stabilito nel
2000: 3% per l’intera UE nel 2010,
con almeno i due terzi della spesa
sostenuti dal settore privato.
La spesa per R&S in Italia è stabile
su valori che eccedono di poco l’1%.
Spesa per ricerca e sviluppo (% del PIL) – Anni
La composizione della spesa totale
italiana per R&S è orientata verso il
settore pubblico (incluse le
università) e con un ruolo minore
delle imprese (48% contro la media
europea del 63%).
1991–2005. Fonte: ISTAT, Rapporto annuale 2006.
A.F. Presbitero
Il caso italiano
Outline
Un’introduzione storica
Le caratteristiche italiane
Le imprese italiane negli anni 2000
Un confronto con l’UE: poca innovazione
L’innovazione delle imprese
Nel periodo 2002–2004 circa il 41% delle imprese dell’UE, con almeno 10
addetti, è stato impegnato in progetti di innovazione.
Il ruolo trainante spetta alla Germania, con circa il 56% di imprese
innovatrici, ma anche ad Irlanda, Austria e Lussemburgo.
L’Italia registra una quota di imprese innovatrici inferiore al livello medio
europeo (35,4%), accentuando il divario del 1998–2000.
L’analisi per classe dimensionale consente di osservare che la propensione
ad innovare aumenta con la dimensione aziendale: solo una impresa su tre
con meno di 50 addetti è ha introdotto innovazioni nel triennio
2002–2004, mentre questa percentuale sale al 72% per le grande impresa
(con oltre 250 addetti).
A.F. Presbitero
Il caso italiano