Università Mediterranea di Reggio Calabria – Facoltà di Architettura Corso di Formazione in Elementi di Edilizia - FEED Corso di DISEGNO – Modulo 2 Prof. Franco Prampolini Unità didattica n. 2.02 Lineamenti di Teoria della Misura e degli Errori Lineamenti di Teoria della Misura e degli Errori “Mi sia concesso iniziare con una affermazione che può sembrare un paradosso: volendo parlare di errori occorre essere molto precisi. Precisi e metodici sopratutto nelle definizioni che costituiscono le premesse indispensabili di ogni indagine e che in particolare, trattando degli errori, costituiscono anche gli elementi di paragone teoretici dei risultati pratici”. M. Cunietti, Gli errori di misura (Conferenza tenuta l'11 aprile 1961) Definizione: Lord Kelvin “When you measure what you are speaking about and express it in numbers, you know something about it, but when you cannot express it in numbers your knowledge about is of a meagre and unsatisfactory kind.” “… quando potete misurare ed esprimere in numeri ciò di cui state parlando, solo allora sapete esprimere qualcosa di esso; ma quando non vi è possibile esprimere numericamente l’oggetto della vostra indagine, allora la vostra conoscenza è scarsa ed insoddisfacente. …” William Thomson (Lord Kelvin) (1824 - 1907) Le Grandezze Abbiamo visto, nell’introduzione, che l’uomo tende a rappresentare se stesso l’ambiente che lo ospita in molteplici atteggiamenti: parte legati alla concettualità pura (fantasia) parte legati a più concrete forme di interazione con l’ambiente stesso. Ciò che l’uomo misura, indipendentemente dalla finalità della misura stessa, è riconducibile a qualcosa che può essere quantificato e che, in quanto tale, è suscettibile di misura. Definiamo una Grandezza come una caratteristica che viene riconosciuta come comune in singole concretizzazioni di Concetti che nascono dall’osservazione della realtà. Esempio: sollevando oggetti diversi ne riportiamo una differente sensazione di sforzo; da questa osservazione nasce il concetto di peso; il peso è una caratteristica che riconosciamo come comune in oggetti diversi; il peso è una grandezza. Classi di Grandezze Bertrand Russell definisce una grandezza come … una coppia di relazioni definibili, maggiore o minore; queste relazioni sono simmetriche e transitive e sono incompatibili, nel senso che ogni volta una è valida tra A e B e l’altra è valida tra B ed A. I termini che sono suscettibili di queste relazioni sono grandezze. Ogni grandezza ha una certa relazione particolare con qualche concetto, che si esprime dicendo che essa è una grandezza di quel concetto. Due grandezze che hanno questa relazione con medesimo concetto si dicono dello stesso genere; essere dello stesso genere è la condizione necessaria e sufficiente per una relazione del tipo ‘Maggiore’ o ‘Minore’”. Una classe di grandezze è l’insieme delle grandezze dello stesso genere. La “Misura”: B. Russel Esistono varie definizioni di Misura. Bertrand Russell La definizione data da Bertrand RUSSELL nel suo volume The Principles of Mathematics è probabilmente ancora oggi la più generale e intrinsecamente completa: Dicesi misurazione di grandezze, nel senso più generale, qualsiasi metodo con cui si stabilisca una correlazione univoca e reciproca tra tutte o tra alcune grandezze di un determinato genere e tutti o alcuni numeri interi, razionali o reali secondo il caso. In questo senso generale la misurazione richiede una relazione uno-uno tra i numeri e le grandezze in questione, relazione che può essere diretta o indiretta, importante o banale, secondo le circostanze. La “Misura” - Definizioni 1 La misura è il procedimento che permette di ottenere la descrizione quantitativa di una grandezza fisica. Questo processo presuppone sempre: • l’elaborazione di un modello descrittivo di ciò che si vuole misurare, mediante la sua definizione e la formalizzazione di relazioni fisico/geometriche tra la grandezza misurata e altre grandezze; • la formalizzazione di una scala di misura, che consenta di conoscere una relazione d’ordine tra i diversi valori che il misurando può assumere. • L’oggetto che materializza la scala di misure e ne consente l’impiego ai fini della misura, detto Strumento. La “Misura” - Definizioni 2 MISURA: informazione costituita da un numero, un’incertezza ed un’unita di misura, assegnata a rappresentare un parametro in un determinato stato del sistema. INCERTEZZA: intorno limitato del valore di un parametro, corrispondente agli elementi della fascia di valore assegnatagli come misura. UNITA DI MISURA: termine di riferimento adottato, per convenzione, per confrontare una grandezza con altre della stessa specie. Misure Dirette e Indirette Le misure si classificano in DIRETTE e INDIRETTE. Sia le une che le altre possono essere Condizionate. Sono misure DIRETTE di una grandezza quelle che possono eseguirsi sovrapponendo I'unita di misura alla grandezza da misurare e leggendo direttamente il valore. Per esempio le misure di una lunghezza effettuata mediante l'impiego di un cordella metrica. Sono misure INDIRETTE di una grandezza quelle che possono essere ottenute attraverso relazioni analitiche, che legano tra loro altre grandezze misurate direttamente. Misure condizionate Entrambe le precedenti tipologie di misure vengono poi definite CONDIZIONATE, quando le grandezze che si determinano debbono sottostare a delle condizioni note. Ad esempio se si misurano gli angoli interni di un poligono di n vertici, le misure effettuate dovranno soddisfare la condizione αi n 2 π Gli Strumenti Ogni misura, come detto, necessita di uno Strumento. Ai fini della presente esposizione saranno quindi approfondite le implicazioni logiche dell’uso degli strumenti in quanto parte integrante del processo di misura. In questo senso lo strumento funziona essenzialmente come materializzazione dell’unità di misura e dell’organo di confronto. È, in quanto tale, la materializzazione di una grandezza della stessa classe del misurando, ma, in qualche modo, è allo stesso tempo, al di fuori dal contingente: per dirla con le parole di Roberto Masiero: una cosa non può essere, allo stesso tempo, misura e misurata. Gli Strumenti: portata e sensibilità Sul piano pratico poi, innanzitutto, bisogna tener conto dell’intervallo di funzionamento di uno strumento. Difatti ogni strumento è in grado di fornire delle misure di una grandezza partendo da un valore minimo detto soglia e fino ad un valore massimo che ne è la portata. L’ampiezza di questo intervallo dipende dalle sue caratteristiche costruttive e queste sono pure responsabili del fatto che al di fuori di questi limiti la risposta dello strumento è in genere alterata in modo che la corrispondenza tra questa e la grandezza da misurare non offre più sufficienti garanzie di riproducibilità. Si definisce pertanto sensibilità di uno strumento il minimo valore della grandezza che si vuole misurare ancora apprezzabile dallo strumento e l’indeterminazione che ne segue nella misura della grandezza è detta errore di sensibilità. Gli Strumenti: precisione Si definisce precisione di uno strumento il rapporto tra la sensibilità dello strumento e la massima quantità di grandezza che lo strumento può misurare (portata). Una riga millimetrata lunga 1 metro ha una precisione di 1 * 10-3; una bilancia che misura fino a 20 Kg con la graduazione del grammo ha una precisione di 2 * 10-4. La precisione è quindi ADIMENSIONALE. Per il fatto di essere ADIMENSIONALE, la precisione ci permette di confrontare l'accuratezza di misure di diverso tipo che intervengono nella determinazione di una grandezza misurata indirettamente. Si definisce inoltre come errore ( νi ) di una generica misura ν i = X i – Xm la differenza tra il valore Xi che corrisponde a quella misura e il valore Xm che si avrebbe effettuando la misura in una situazione in cui i parameri ambientali assumessero il loro valore medio. Incertezza: W. Heisenberg Werner Heisenberg Tutti gli strumenti di misurazione sono costruiti dall’uomo e non hanno quindi caratteristiche soprannaturali, possiamo affermare, con certezza, che non esiste nessuno strumento in grado di effettuare una misurazione esatta (ammesso che tale concetto sia in questo campo utilizzabile). Ricordiamo il principio di indeterminazione di Heisenberg che afferma che “Non è possibile conoscere simultaneamente posizione e quantità di moto di un dato oggetto con precisione arbitraria”. In Fisica moderna, in altre parole, non ha senso chiedersi qual è la traiettoria di una particella, ossia cercare di individuare con la medesima precisione posizione e velocità del sistema, perché ciò è vietato dalla stessa interazione con lo strumento di misura. Quando si effettua la misurazione di una grandezza fisica, cioè, si produce un’interferenza sul sistema. Il solo atto della misurazione produce una variazione dell’entità da misurare rendendola affetta da errore in quanto non conforme al suo stato preesistente. Non ha quindi senso parlare di un “valore vero” della misura, ma è opportuno considerare il “valore istantaneo” della stessa. Incertezza: B. Russell Ancora una volta la definizione di incertezza che ci viene da B. Russell è di particolare efficacia: “Siamo portati a pensare che, per effettuare in pratica misure precise, sia preferibile usare una sbarra d'acciaio piuttosto che un'anguilla viva. È uno sbaglio; non perché l'anguilla ci dica quel che si presume la sbarra debba dirci; bensì perché in realtà la sbarra non ci dice niente di più di quel che non ci dica l'anguilla. Non è che le anguille siano rigide: è che in realtà le sbarre d'acciaio si contorcono. A un osservatore che si trovasse in un determinato stato di moto, l'anguilla apparirebbe rigida mentre la sbarra sembrerebbe agitarsi esattamente come noi vediamo agitarsi l'anguilla. Per chiunque si muovesse in modo diverso sia da noi sia da questo osservatore, tanto l'anguilla quanto la sbarra apparirebbero in agitazione. E non è il caso di affermare che un osservatore ha ragione e un altro ha torto. In faccende del genere, quel che si vede non va riferito unicamente al processo fisico osservato, ma anche al punto di vista dell'osservatore. Le misure delle distanze e dei tempi non rivelano direttamente le proprietà delle cose misurate, ma i rapporti tra le cose e il misuratore”. (da L'ABC della Relatività) Incertezza: Einstein Non è facile adeguarsi a questo modo di pensare e non sorprende che molti fisici lo considerassero inaccettabile. Tra gli oppositori di questa concezione ci fu anche il più grande fisico del Novecento, Albert Einstein (1879-1955): Albert Einstein e Niels Bohr “Sembra difficile poter dare un’occhiata alle carte di Dio. Ma che Dio giochi a dadi come la attuale teoria quantistica gli richiede, è un fatto che non posso credere neppure per un solo momento. Le teorie di Bohr mi interessano moltissimo, tuttavia non vorrei essere costretto ad abbandonare la causalità stretta senza difenderla più tenacemente di quanto abbia fatto finora. Trovo assolutamente intollerabile l'idea che un elettrone esposto a radiazione scelga di sua spontanea volontà la direzione del salto. In questo caso preferirei fare il croupier di casinò piuttosto che il fisico”. Incertezza: Bohr Vs. Einstein Questa famosissima frase di Einstein venne pronunciata, tra l’altro, nel corso della 5a Solvay Conference, tenuta nell’ottobre del 1927, che aveva come tema “Neutroni e Fotoni” e dove i fisici più famosi del mondo si riunirono per discutere la “Teoria dei Quanti” da poco divulgata. Le figure più rappresentative erano Einstein e Bohr che replicò ad Einstein dicendo “Einstein! Smetti di dire cosa Dio deve fare!”. E ancora "Non solo Dio gioca a dadi, ma bara pure". Ben 17 dei 29 partecipanti a questa conferenza divennero poi vincitori di Premi Nobel. Senza tuttavia scomodare la meccanica quantistica, che ci porta alle radici stesse del problema, possiamo comunque ritenere che il processo della misurazione, Attività eminentemente umana, come la definiva Carlo Monti nel 1984 (Fondamenti di Rilevamento Generale, Utet), che consente di correlare una grandezza ad un numero, avvenga in un sostanziale ambito di incertezza anche nel “mondo reale”. Incertezza: Ambiti 1 Possiamo individuare sostanzialmente quattro ambiti nei quali si articola, sul piano fenomenologico, l’incertezza del processo di misurazione: 1. Incertezza della grandezza oggetto da misurare: al di la, come dicevamo, dei problemi indotti dalla meccanica quantistica, gli oggetti reali possono mutare il loro stato in base alle condizioni ambientali, ad esempio per la temperatura, o per l’umidità o, più semplicemente, per l’usura o l’esposizione agli agenti atmosferici. Ciò determina che la grandezza da misurare non si presenta costante nel tempo. 2. Incertezza dello strumento che utilizziamo per la misura, il quale può essere soggetto a varie imperfezioni costruttive, rispetto alle sue caratteristiche geometriche, alla graduazione che materializza l’unità di misura, ecc. Incertezza: Ambiti 2 3. Incertezza metodologica: anche utilizzando il medesimo strumento per misurare la medesima classe di grandezze è possibile utilizzare tecniche e metodiche mensorie sostanzialmente differenti che generano misurazioni affatto diverse. 4. Incertezza nell’operatore: se la misura è atto eminentemente umano (anche quando la misura viene effettuata in modo automatico da macchine, la definizione delle condizioni operative e la taratura del sistema è sempre riconducibile all’attività dell’uomo) e il giudizio dell’operatore risulta comunque determinante ai fini della precisazione del risultato finale, è di piena evidenza come questa dipendenza crei di fatto una situazione di aleatorietà. Incertezza: Esiti Il risultato di questa situazione è costituito, in ultima analisi, dal fatto che se ripetiamo più volte la misura di una stessa grandezza il numero che rappresenta la misura non sarà costante, ma varierà in modo aleatorio all’interno di determinati limiti. Una misura, quindi, è si presenta sempre come una variabile casuale e può essere intesa come somma di un evento deterministico (misurando) e di altri eventi sovrapposti (errori di misura/correzioni). Per una stima corretta della misura e degli errori è necessario applicare tecniche statistiche per il trattamento dei dati casuali e la teoria della probabilità. Definiamo ulteriormente la PRECISIONE come la capacità di quantificare in modo rigoroso l’ambito di incertezza nel quale la misurazione ha luogo. Errori grossolani e sistematici Gli errori, connaturati al processo di misura, si possono suddividere in tre categorie fondamentali: grossolani, sistematici e accidentali. Gli errori grossolani (outlier) sono gli sbagli, quelli dovuti a qualche svista nell'eseguire le misure come, ad esempio, quelli di trascrizione, o di cattiva lettura della scala. Tali errori non sono temibili in quanto se si effettuino più misure di una grandezza si nota subito se fra le misure concordanti ce n’è qualcuna che si discosta notevolmente dalle altre. Gli errori sistematici (bias) sono quelli dovuti all'impiego di uno strumento o un metodo di misura che faccia sbagliare sempre nello stesso senso. Tali errori hanno dunque segno costante e possono influire anche gravemente sulle misure; in genere operando con accuratezza possono essere individuati e valutati. Si possono quindi correggere le misure o si possono usare gli strumenti con metodi che consentano di eliminare tali errori. Errori accidentali o casuali Gli errori accidentali o casuali, sono errori dovuti a cause diverse, indipendenti fra di loro, che possono agire sia in un senso che nel senso opposto. Sono generalmente dovuti all’osservatore, agli effetti dell’ambiente, agli strumenti, all’ora di osservazione, ecc. e possono contenersi in limiti ristretti se si opera con attenzione e con le necessarie cautele. Tali errori si presentano quindi nelle misure a volte con un segno, a volte col segno opposto, e quasi sempre con valori piuttosto piccoli. Gli errori accidentali sono radicati, come si è visto, nel processo stesso della misura e non possono mai essere evitati. Occorre però valutarli per definirne l’entità e per minimizzarne gli effetti. La teoria degli Errori 1 Lo studio di questi errori presuppone l’esecuzione di un numero sufficientemente alto di misure, svolte tutte, per quanto possibile, nelle medesime condizioni. Ottenuta la relativa distribuzione sarà possibile valutarla con le metodiche proprie della statistica che consentiranno di estrarre indici descrittivi dei valori e affidabilità delle misure e degli strumenti. La teoria degli errori che consideriamo riguarda specificamente gli errori casuali di osservazione e si occupa di determinare i limiti entro i quali devono essere contenuti gli errori per poter essere considerati casuali, di calcolare il valore più probabile della grandezza e di definire un giudizio sulla precisione delle misure eseguite. La teoria degli Errori 2 La teoria degli errori di osservazione, trova applicazione quando si effettuano numerose misure di una grandezza. I risultati sono tanto più accettabili quanto maggiore è il numero delle determinazioni della grandezza in esame. Gli sviluppi di tale teoria consentono poi di ricavare, per i vari tipi di misura, la precisione che ci si deve attendere nel determinarle e, quindi, la tolleranza accettabile per ciascun tipo di operazioni. In base alla diversa tipologia di errori possiamo poi definire le caratteristiche proprie di uno strumento, due parametri fondamentali: Precisione e Accuratezza. Vediamone una descrizione intuitiva col classico esempio del tiro a bersaglio. Precisione e Accuratezza Accuratezza m Precisione m J 1 m J J 2 m 3 J 1 - preciso ed accurato 3 - impreciso ed accurato 4 2 - preciso ed inaccurato 4 - impreciso ed inaccurato La misura come evento aleatorio La misura quindi si presenta come un evento aleatorio, o, meglio, il valore della misura (osservazione) si comporta come una variabile statistica casuale monodimensionale. Se si misura più volte la stessa grandezza si hanno risultati diversi specialmente se le misure si fanno con alta precisione. Per studiare quindi un processo di misura si parte con l’estrazione di un campione statistico significativo della misura stessa, eseguendo cioè più osservazioni e raccogliendo i valori ottenuti, e si prosegue quindi nella graficizzazione del fenomeno studiato costruendone l’istogramma. Il Campione statistico Principali parametri statistici del Campione: a) Popolazione: l'insieme di ‘N’ individui che possiedono tutti una stessa caratteristica che si presenta in quantità differenti; b) Attributo: la caratteristica suddetta; c) Valori argomentali: i differenti valori dell'attributo che possono presentarsi negli individui della popolazione; d) Frequenza assoluta: il numero degli individui che hanno lo stesso valore argomentale; e) Frequenza relativa: il rapporto tra la frequenza assoluta ed il numero totale degli individui della popolazione. I Valori misurati Immaginiamo di aver misurato per 500 volte la lunghezza di circa 1 metro e 80 cm (1800 mm) con uno strumento con la sensibilità del millimetro. Contiamo quante volte un certo valore compare nel campione e costruiamo la relativa tabella. La distribuzione tipica sarà la seguente: Lunghezza (mm) Frequenza Probabilità 1793 1 0,2% 1794 4 0,8% 1795 4 0,8% 1796 18 3,6% 1797 38 7,6% 1798 56 11,2% 1799 69 13,8% 1800 96 19,2% 1801 72 14,4% 1802 68 13,6% 1803 41 8,2% 1804 18 3,6% 1805 12 2,4% 1806 2 0,4% 1807 1 0,2% L’Istogramma dei valori Costruiamo ora l’istogramma dei dati, secondo la frequenza, ovvero secondo la percentuale, con la quale ogni singolo valore si è presentato: frequenza 120 100 96 80 60 40 69 72 68 1 4 4 frequenza 41 38 18 18 12 2 1 _1793 _1794 _1795 _1796 _1797 _1798 _1799 _1800 _1801 _1802 _1803 _1804 _1805 _1806 _1807 Percentuale Valori 25,0% 20,0% 15,0% Probabilità 10,0% 5,0% Valori _1807 _1806 _1805 _1804 _1803 _1802 _1801 _1800 _1799 _1798 _1797 _1796 _1795 _1794 0,0% _1793 Percentuale 20 0 56 Intervalli e Frequenza Si riportano sull’asse delle ascisse i valori, determinando opportuni intervalli che tengono conto del valore massimo e minimo ottenuti (di norma la scala dei valori tende a coincidere con la sensibilità dello Strumento). Sull’asse delle ordinate sarà riportata, anche in questo caso con intervalli opportuni rapportati al numero delle osservazioni fatte, la frequenza con la quale i valori, compresi nell’intervallo prescelto, si sono presentati all’interno del campione (quante volte è comparso un determinato valore), ovvero la percentuale con la quale lo stesso evento si è verificato. frequenza 120 100 96 80 60 40 72 68 1 4 4 frequenza 41 38 18 18 12 2 1 _1793 _1794 _1795 _1796 _1797 _1798 _1799 _1800 _1801 _1802 _1803 _1804 _1805 _1806 _1807 20 0 56 69 Valori Il Postulato della Media Questa distribuzione può essere descritta in prima battuta da tre indici statistici di primo grado: MODA: valore di massima frequenza (f = max) MEDIA: X0 X1 X 2 ... Xn n MEDIANA: valore che divide in due la distribuzione Il Postulato della Media afferma che, non potendo determinare, il “valore vero” di una grandezza, si assume il valore Medio, come il valore più attendibile, o verosimile, della grandezza considerata. Per un numero sufficientemente alto di valori i tre indici tendono a coincidere. Il valore “vero” della misura Questa scelta lascia però aperto il campo ad una considerazione. Se un osservatore esegue n misure di una grandezza e ne fa la media ottiene un certo valore; se un altro osservatore ripete le misure n volte ne ottiene con molta probabilità un altro. Quindi siamo ancora in presenza di valori non univoci. La risposta che dà la teoria della misura è questa: se si vuole che una serie di misure dia un valore univoco indipendentemente da chi la esegue, occorrerebbe fare infinite misure. In altre parole: per una serie di infinite misure di una stessa grandezza, la media aritmetica degli infiniti valori delle due serie di misure sarà uguale. Il valore che si otterrebbe facendo infinite misure è quello che la teoria della misura definisce “valore vero” della misura stessa. La natura dell’”errore” Poiché nessuno è in grado di fare infinite misure di una grandezza è chiaro che il valore vero della misura non sarà mai noto. L’operazione di misura ci porterà quindi a conoscere solo una stima empirica del “valore vero”; in altre parole sia una generica misura di una serie di n misure, sia la media aritmetica della serie di misure sono delle stime empiriche della misura vera. La media aritmetica viene assunta come valore più rappresentativo della misura vera ricavabile dalla serie di misure fatte, perché essa ha maggior probabilità di essere più vicina al valore vero di quella che ha una qualsiasi generica misura della serie. La differenza tra un generico valore di misura di una quantità di grandezza e il “valore vero” si chiama errore. Gli Scarti La Media dei valori, nell’esempio che precede, è di 1800 mm (il valore esatto sarebbe 1800,138, ma per le considerazioni esposte più sopra per gli strumenti, non ha senso considerare valori inferiori alla sensibilità strumentale). A questo punto possiamo riconsiderare le misure che già abbiamo effettuato sotto una nuova luce. Se il valore medio è il più verosimile, il “miglior valore possibile” per la misura, allora possiamo considerare gli errori occasionali come scostamenti da questo valore, e chiameremo “scarto” la differenza fra la singola misura effettuata e la Media. Attenzione!! I valori che coincidono con la media non sono i valori “giusti” e gli altri quelli più o meno “sbagliati”: semplicemente, in modo casuale, il loro scarto è uguale a 0. La tabella precedente si presenterebbe dunque così: La distribuzione degli scarti Lunghezza (mm) Frequenza Scarto (dal valore medio di 1800 mm) 1793 1 -7 1794 4 -6 1795 4 -5 1796 18 -4 1797 38 -3 1798 56 -2 1799 69 -1 1800 96 0 1801 72 +1 1802 68 +2 1803 41 +3 1804 18 +4 1805 12 +5 1806 2 +6 1807 1 +7 Gli “scarti” sono qui indicati in millimetri come scostamento dal valore medio. Si noti che la frequenza, ovviamente, non varia. L’istogramma degli scarti L’istogramma assumerebbe, di conseguenza, l’aspetto che segue. Se ne ricava che, ai fini pratici, studiare le misure o gli scarti rispetto al valore medio porta ai medesimi risultati sul piano quantitativo, ma risulta più chiaro al fine della definizione della precisione del processo di misura. frequenza 120 96 100 80 56 60 38 40 20 0 1 4 4 18 69 72 68 frequenza 41 18 12 2 1 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 +4 +5 +6 +7 Scarti Caratteristiche degli errori Da una prima analisi dei dati possiamo ricavare che • gli errori positivi si presentano con uguale frequenza di quelli negativi; • gli errori piccoli sono più frequenti di quelli grandi (gli errori si addensano intorno allo zero, cioè alla Media), ovvero, se si considerano due intervalli di eguale ampiezza uno prossimo allo zero e l'altro più discosto, nel primo cade un numero maggiore di errori; • gli errori sono compresi entro determinati limiti. • l'istogramma è approssimativamente simmetrico rispetto al valore medio delle misure effettuate. frequenza 120 96 100 80 56 60 38 40 20 0 1 4 4 18 69 72 68 frequenza 41 18 12 2 1 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 +4 +5 +6 +7 Scarti i Minimi Quadrati 1 Il valore più conveniente di una grandezza che si può ricavare dagli n valori risultanti dalle misure può essere determinato anche in base a criteri più rigorosi. Sia m0 il valore che cerchiamo. Gli errori commessi nelle n misure effettuate saranno quindi: x1 - m0, x2 - m0, …, xn - m0 ovvero, dalla definizione di “scarto”: ν1 = x1 - m0 ν1, ν2, …, νn Se accettiamo che un sistema di misure “migliore” quando gli errori diventano sempre più piccoli, allora possiamo anche accettare che la somma di tali errori debba pure essere la minore possibile. Ma se ci limitiamo a sommare gli scarti non andiamo molto lontano. Gli errori, come si è visto, sono equiprobabili rispetto al segno, possono essere cioè in egual modo positivi o negativi. La proprietà della Media è proprio quella di rendere nulla la somma degli scostamenti del campione da quel valore. La somma degli scarti, in altre parole, è sempre uguale a 0. i Minimi Quadrati 2 Per poter analizzare il campione dobbiamo quindi valutare il valore assoluto degli scarti, considerando i loro quadrati. Si può accettare di scegliere fra tutti i valori che può assumere m0 come più conveniente, quello per il quale la somma dei quadrati degli errori risulta minima (Principio dei minimi quadrati). n 2 ν i min i1 Consideriamo la funzione di m0 f(m0) = (x1 – m0)2 + (x2 – m0)2 + … + (xn – m0)2 E cerchiamo il valore che la minimizza. i Minimi Quadrati 3 Sarà sufficiente eguagliare a 0 la derivata prima della funzione e risolvere per m0: 2(x1 – m0) + 2(x2 – m0) + … + 2(xn – m0) = 0 cioè m0 x1 x2 ...xn n Questo valore non può essere un massimo, per la funzione f(m), in quanto una somma di quadrati é sempre crescente al crescere (in valore assoluto) delle basi; quindi è il valore che rende minima la somma dei quadrati degli errori. Il Principio dei minimi quadrati porta a scegliere come valore più conveniente di una grandezza la media aritmetica delle determinazioni fatte della grandezza stessa. Questo principio equivale al postulato della media e lo rafforza. Si ha cioè: M = m0 La curva di Gauss 1 Aumentando il numero delle osservazioni e rendendo più piccolo l’intervallo l’istogramma tenderebbe sempre di più a coincidere con una curva. Tale operazione, per x tendente a 0, si chiama “normalizzazione” dell’istogramma e genera una curva come quella che segue, detta “Curva di Gauss” che esprime la legge teorica di distribuzione della frequenza degli errori per un sistema di misure. La curva descrive la cosiddetta “distribuzione normale di una variabile casuale monodimensionale. L’equazione della curva di Gauss: h è un parametro che ha un valore per ciascun sistema di misure e dal quale dipende la forma della curva stessa. La curva di Gauss 2 La “Gaussiana” è una curva a campana (scambia cioè concavità e convessità in corrispondenza di due flessi che si trovano all’incirca ai 3/5 dell’altezza della curva), è simmetrica, rispetto al valor medio, e asintotica rispetto all’asse delle ascisse. La densità di probabilità gaussiana, (o normale), ha un ruolo fondamentale in statistica, poiché i risultati di molti tipi di misure fisiche si distribuiscono secondo questa funzione. Abbiamo visto come la misura sia formata da due parametri fondamentali: il valore numerico e la precisione ad esso associata. Per la determinazione del valore numerico abbiamo definito due possibili alternative risultate poi equivalenti. Vedremo ora come, attraverso la curva di Gauss, sarà possibile quantificare rigorosamente questo secondo parametro. La Varianza Per valutare la “qualità” della distribuzione delle misure utilizziamo un indice statistico di secondo grado: la Varianza. Tale indice descrive come i valori si distribuiscono attorno alla media e, per i fini della presente trattazione, può essere identificato con l’”Errore Quadratico Medio”, o “Deviazione Standard” e si indica per convenzione con la lettera greca “σ” h 2 h2 2 σ xi e xi dx π 2 da cui si dimostra che 1 σ h 2 La curva di Gauss L’errore quadratico medio é inversamente proporzionale alla precisione, e un sistema é tanto migliore quanto più piccolo é il suo σ, che è funzione del parametro h. La curva di Gauss, allora, potrà essere definita essendo noti la Media e la Deviazione Standard di un insieme di misure e assumerà un aspetto diverso al variare di σ (in alcuni casi indicato anche con la lettera μ). L’errore quadratico medio Nella pratica, tuttavia, facciamo un numero finito di determinazioni e quindi gli errori sono in numero finito. Se si pensa di dividere l’intervallo in cui cadono in tanti intervalli di ampiezza Δx, all’integrale si può sostituire una somma di un numero finito di termini. ni 2 x12 x 22 ... x n2 σ xi n n 2 Ovvero: x12 x22 ... xn2 σ n L'errore quadratico medio di un sistema di misure, quindi, si può calcolare molto facilmente tramite la radice quadrata della media dei quadrati degli errori. Lo Scarto quadratico medio L’espressione ottenuta è però funzione degli “errori veri” che, come si è detto, non si conoscono. Se il numero delle determinazioni n è abbastanza grande, in pratica si usa un’altra espressione, funzione degli scarti vi (errori apparenti): Ovvero: 12 22 ...n2 n1 Applicando quest’ultima formula otteniamo quello che più correttamente può essere definito scarto quadratico medio (s.q.m.); tale valore sarà maggiore di quello dato dalla formula per l’errore quadratico medio. Gli errori apparenti sono infatti ottenuti come differenze fra i risultati delle misure e il valore più conveniente, che é da considerare un po’ differente dal valore vero. Per n abbastanza grande, le due formule praticamente si equivalgono. La curva di Gauss La determinazione dello Scarto Quadratico Medio è molto importante perché ci consente di analizzare la curva di Gauss in termini di probabilità che un certo valore si presenti. Con l’integrale della funzione di Gauss tra -σ e +σ otteniamo la probabilità che uno scarto qualsiasi, sia compreso entro detti limiti. Tale probabilità, indipendente da h, è sempre uguale a 0,683, ciò significa che, qualsiasi sia la serie di osservazioni (caratterizzata dal parametro h), la probabilità che uno scarto qualsiasi, preso ad arbitrio tra quelli calcolati, cada nell’intervallo tra -σ e +σ è sempre del 68,3%. Per meglio chiarire: al variare della serie di osservazioni l’intervallo ±σ varierà, aumentando per serie meno precise e diminuendo per quelle più precise, mentre il parametro h diminuirà per serie meno precise ed aumenterà per serie più precise: si otterranno cioè curve a campana più o meno schiacciate sull’asse delle ascisse, ma l’area sottesa dalla curva e l’asse delle ascisse entro i limiti ± σ sarà sempre uguale a 0,683, fatta uguiale ad 1 l’area totale sottesa dalla curva stessa. La “Tolleranza” Se proseguiamo l’analisi e calcoliamo successivamente l’integrale della funzione di Gauss tra -2σ e +2σ otteniamo una probabilità pari al 95,7%. e se andiamo a -3σ e +3σ arriviamo al 99,7%. In pratica, su 1000 misure prese, almeno 997 presenteranno un errore, cioè uno scostamento dalla media in valore assoluto, non maggiore di 3σ. Questa può essere considerata la soglia che distingue gli errori casuali da quelli grossolani e ci consente definire la tolleranza (errore temibile) del nostro sistema di misure con il valore: T 3σ 3 h 2 Analisi delle misure realizzate La “deviazione standard” dell’esempio che stiamo analizzando risulta di 2,3 mm. La misura della lunghezza che abbiamo analizzato, quindi, risulta la seguente: 1800 ± 2,3 mm. La “varianza campionaria” risulta pari a 5,25 mm. Lo “scostamento massimo” del campione a 7 mm. Associare ad una misura un e.q.m. può evidenziare due diverse situazioni. • Può essere che siano state eseguite un certo numero di misure e le si siano trattate come è stato precedentemente descritto. • Può però anche essere che si sia operato con uno strumento tale da consentire di valutare l'e.q.m. delle misure di una quantità di grandezza, anche se si è eseguita una sola misura. Conclusioni 1 Se infatti operiamo diverse serie di misure sulla stessa quantità di grandezza con uno stesso strumento e, in condizioni ambientali medie, ne costruiamo le curve di distribuzione relative, se esse si disperdono in un intervallo costante, possiamo dire che utilizzando lo strumento in una situazione ambientale media, è noto lo scarto quadratico medio della popolazione di misure. Anche effettuando quindi un'unica misura saremo in grado di indicarne a priori l'accuratezza teorica, semplicemente basandoci sul valore dell'e.q.m. fornito per lo strumento dalla casa costruttrice, quello che viene definito lo “scarto standard dello strumento”. Conclusioni 2 Nei capitolati d'appalto per l’esecuzione di rilievi, in architettura come in cartografia, vengono fissati dei limiti di precisione che devono venire rispettati dalle Ditte che eseguono i lavori. La precisione alla quale deve soddisfare il lavoro viene stabilita assegnando l'e.q.m. (errore quadratico medio) con il quale devono essere eseguite le misure, oppure assegnando un limite massimo d'errore che non deve essere superato e che viene indicato con il nome di tolleranza. Che significa dire che una misura può essere affetta da un errore massimo prefissato? Conclusioni 3 Per chiarire questo punto, bisogna ricordare che per errore di una misura si intende lo scostamento della misura dal valore M che è il valore centrale dell'intervallo di dispersione delle misure. Pertanto fissare una tolleranza significa fissare la massima quantità in cui una misura può discostarsi dal valore M; in pratica significa fissare l'ampiezza dell'intervallo di dispersione delle misure, nell’entità che più sopra abbiamo definito come “Tolleranza”. Se pertanto viene richiesto di determinare una quota di un punto con la tolleranza di ±2 cm , questo significa che si dovrà operare con strumenti e una metodologia tale per cui la popolazione di misure possibili sia tutta contenuta entro un intervallo che va da -2 cm a +2 cm nell'intorno del valore M, che abbiamo definito come “miglior valore possibile” della quota considerata. Conclusioni 4 Ma, per ottenere questo risultato, le operazioni dovranno essere effettuate con un metodo che consenta il conseguimento di un e.q.m. di un terzo di ± 2 cm. Generalmente di un metodo di misura o di uno strumento si considera l'e.q.m. a priori. Si dice ad esempio: con questo teodolite si possono misurare gli angoli con errore di ± 2", intendendo con questo che si può “sbagliare” nella misura k dell'angolo fino a 6". Imporre l'e.q.m. significa imporre anche le condizioni di accidentalità degli errori e della loro distribuzione gaussiana. Conclusioni 5 Sta a noi decidere se l’incertezza così definita è congruente con le finalità per le quali abbiamo realizzato il rilievo oppure no. In altre parole non ha significato parlare di precisione in senso assoluto, ma questa va sempre considerata in funzione dell’utilizzo che è previsto per i dati. Ricordiamo che la precisione costa cara. Aggiungere un decimale dopo la virgola, in termini di valore significativo, è questione generazionale. Se pensiamo alle stazioni totali, la differenza di costo fra uno strumento al secondo centesimale (0,0001 grad, un decimillesimo di grado centesimale) e uno ai cinque secondi (0,0005 grad) può essere quasi di 2 a 1. Conclusioni 6 Ricordiamo inoltre che quanto detto vale solo in condizioni ambientali medie di laboratorio e perde di significatività quando si opera, come accade al topografo, sulla realtà fisica dove risultano quanto mai variabili le condizioni ambientali, cosicché l'e.q.m. caratteristico dello strumento è da ritenersi solo indicativo, mentre il vero e.q.m. sarà determinabile operando una serie di misure e trattandole in modo rigoroso come indicato più sopra. Agire rigorosamente nel campo del rilevamento generale, indipendentemente cioè dallo specifico settore applicativo, significa operare preliminarmente una specifica progettazione che tenga conto degli effetti combinati dell’impiego di determinati metodi mensori e determinati strumenti, al fine di poter determinare anticipatamente i risultati del processo di misurazione. Parafrasando una nota frase da un vecchio film … misurare vuol dire … non dover mai dire ‘mi dispiace’.