Analisi microeconomica e scelte pubbliche - ISBN - LED

SCIENZE SOCIALI
Manuali
Nicola Boccella
Cesare Imbriani
Piergiuseppe Morone
ANALISI
MICROECONOMICA
E SCELTE PUBBLICHE
INTRODUZIONE
Il volume propone sia le principali nozioni di Microeconomia, tenendo anche conto delle scelte individuali in condizioni di rischio
e d’incertezza, sia i fondamenti della teoria delle scelte pubbliche.
Tale impostazione è coerente con la riforma degli ordinamenti universitari; pertanto il volume, oltre a coprire i temi previsti nei moduli dedicati all’analisi microeconomica di base, apre a tematiche
più avanzate poi affrontate in corsi di Economia pubblica e Scienza delle finanze. L’utilizzo di un linguaggio a un tempo rigoroso e
facilmente accessibile, spesso arricchito da esempi pratici, rende il
volume un valido strumento didattico per la preparazione di base
di economia nei corsi di laurea di primo livello. Inoltre, l’impiego
di box di approfondimento conferisce una modularità al testo di sicura utilità sia per i docenti sia per i discenti, nel definire il livello
di approfondimento anche in un’ottica di didattica intermedia. Il
manuale è suddiviso in tre parti, precedute da due capitoli di natura
introduttiva dedicati all’analisi del funzionamento dei mercati e della
determinazione dei prezzi. La prima parte si occupa del consumo e
della produzione analizzando in dettaglio la teoria delle scelte del
consumatore, la determinazione della domanda individuale, le scelte
di produzione delle imprese e le strutture di costo da esse fronteggiate. La seconda parte è dedicata allo studio delle tipologie di mercato,
analizzando la concorrenza perfetta, il monopolio, le varie forme di
oligopolio e, per ultimo, la concorrenza monopolistica. La terza parte è dedicata allo studio dell’equilibrio economico generale e alle
varie cause del suo fallimento quali, ad esempio, la presenza di beni
pubblici; si affronta, infine, la teoria delle scelte pubbliche, analizzando con adeguato grado di approfondimento e rigore metodologico
il ruolo dello stato nell’economia e i connessi concetti di efficienza
ed equità; viene in tale contesto dato rilievo al ruolo della Autorità
garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) nel quadro delle
varie autorità indipendenti presenti nel nostro Paese. Il lettore viene
passo passo aiutato nella comprensione della disciplina, sia tramite
un’esposizione accurata, sia tramite l’utilizzo di modalità di supporto grafico ed analitico. Per tali caratteristiche, questo manuale può
risultare uno strumento didattico particolarmente utile anche per chi
desideri avvicinarsi per la prima volta allo studio della scienza economica e ai problemi del mondo reale.
9
1.
DI COSA SI OCCUPA
L’ANALISI ECONOMICA
1.1. Che cos’è l’economia politica
L’economia è la scienza di cui tutti si occupano, di cui tutti sanno: su
tutti i quotidiani ritroviamo articoli sullo stato dell’economia a livello locale, nazionale e internazionale; le informazioni riguarderanno
l’aumento dei prezzi, le variazioni dei tassi di interesse, la disoccupazione, la recessione.
La realtà è che l’economia influenza il nostro modo di vivere e
di relazionarci al resto del mondo. Nel tentativo di capire meglio di
cosa effettivamente si occupa l’economia politica, possiamo tracciare
una prima distinzione tra Macroeconomia e Microeconomia. Queste
sono due branche della stessa disciplina, e rivolgono rispettivamente
la loro attenzione al ‘grande’ e al ‘piccolo’.
La Macroeconomia si interessa a quantità economiche aggregate:
tasso di interesse, inflazione, tasso di crescita del prodotto interno,
disoccupazione, recessione, equilibrio delle transazioni internazionali, dell’instabilità ciclica e delle politiche economiche adottate dai
singoli Stati e dalle entità politiche internazionali.
La Microeconomia si occupa di tutti i singoli soggetti che intervengono nelle decisioni economiche, di come questi interagiscano
tra loro per poi dare origine alla creazione di entità maggiori quali
mercati e settori produttivi.
1.1.1. La Microeconomia, pur analizzando in modo preciso e dettagliato grandezze monetarie (retribuzione dei lavoratori, costo dei
beni, entità delle spese e profitti delle imprese), si occupa di temi
non esclusivamente legati alla moneta, ma pur sempre tipicamente
economici, quali la produzione e il consumo.
In relazione alla produzione di beni e servizi l’analisi economica si
interessa soprattutto alla quantità del prodotto, alla quantità di forza
lavoro utilizzata e alle tecniche produttive impiegate.
Gli aspetti del consumo di beni e servizi che maggiormente interessano l’economista possono essere così sintetizzati: il rapporto tra
prodotto consumato e risparmio effettuato da uno o più individui
che interagiscono tra loro; le quantità acquistate di ciascun bene (o
servizio) in rapporto alle caratteristiche peculiari dei soggetti che ac-
Macro e Microeconomia
Produzione e consumo
11
1. Di cosa si occupa l’analisi economica
Scelte individuali
e scarsità
quistano tali prodotti; l’effetto che i prezzi, la pubblicità e l’ambiente
circostante hanno sulle scelte di consumo (cioè come tali fattori riescono a influenzare i consumi).
Ma qual è il rapporto tra le scelte individuali (cioè quelle scelte
compiute da ogni singolo soggetto economico) e l’andamento complessivo di un’economia? La risposta a questa domanda è, in prima
approssimazione, molto semplice: il comportamento aggregato di
un’economia è determinato dalla somma dei comportamenti (cioè
delle scelte) individuali. Dunque, l’analisi economica non può prescindere dallo studio delle decisioni individuali.
Nella realizzazione delle scelte individuali, dettate dalle esigenze e dai desideri, tutti si trovano a dover affrontare il problema della scarsità: fondamentalmente ci riferiamo alla scarsità di tempo a
nostra disposizione e alla scarsità di budget di cui disponiamo (vale
a dire la nostra capacità di spesa); una maggiore capacità di spesa
e una maggiore disponibilità di tempo ci permetterebbero di avere
una maggiore quantità di beni e servizi.
Le scelte indotte da tali scarsità riguardano la distribuzione del
tempo tra le diverse attività: lavoro, divertimento, istruzione ecc., e
la ripartizione della capacità di spesa tra le diverse esigenze: abitativa, alimentare, ludica. Ogni scelta positiva (fare qualcosa) comporta
anche una scelta negativa (non fare qualcos’altro).
1.1.2. I consumatori, i lavoratori e le imprese hanno a disposizio-
Le scelte del consumatore
Le scelte del lavoratore
12
ne, nell’attuale economia di mercato, un vasto set di possibilità di
scelta tra cui allocare le proprie risorse scarse. La Microeconomia
si interessa della scelta tra le diverse opzioni alternative, cioè studia il problema della scelta ottima (del consumatore, del lavoratore,
dell’impresa) in un contesto di risorse scarse.
Il consumatore tende a massimizzare il proprio benessere scegliendo quantità diverse di beni in base alle proprie preferenze (le c.d.
preferenze individuali), ma anche in base a esigenze indotte da situazioni ambientali contingenti (difficilmente un abitante dell’Alaska acquisterà un condizionatore d’aria; viceversa, un abitante del
Marocco non avrà l’esigenza di acquistare un cappotto foderato in
piuma d’oca).
Il lavoratore compie una prima scelta relativa al momento di
ingresso nel mondo del lavoro. Successivamente deve scegliere tra
occupazioni alternative e deve scegliere quanto tempo dedicare al
lavoro e quanto al tempo libero. Il tipo di lavoro e la retribuzione
sono in gran parte determinati dal livello conoscitivo (il c.d. capitale
umano) e dalle esperienze accumulate.
Tuttavia, la retribuzione e la possibilità di carriera del lavoratore
sono anche influenzate dalle caratteristiche dell’impresa, le cui scelte
produttive sono limitate dalla richiesta del mercato dei beni e servizi
da essa prodotti (cioè l’offerta di output) e dalla disponibilità delle
risorse impiegate per la produzione (cioè la domanda di input). In
altre parole, l’impresa impiega vari input per trasformarli in output.
1.1. Che cos’è l’economia politica
La scelta dell’impresa riguarda, dunque, quali output offrire sul mercato (cosa produrre) e con quali input produrre tali beni e servizi
(come produrre).
Le scelte dell‘impresa
1.2. Scarsità delle risorse e razionalità delle scelte
Lo scopo ultimo di una società evoluta è (o perlomeno dovrebbe
essere) quello di migliorare la qualità della vita dei singoli individui
che la compongono, offrendo un miglior tenore di vita, un ambiente
più sano e più sicuro, elevando il livello culturale e sanitario.
Il raggiungimento di questi obiettivi è limitato dalla scarsità delle risorse a disposizione, cioè dalla scarsità degli input necessari (e
indispensabili) per la produzione di quei beni e di quei servizi che
migliorano la vita dei singoli individui.
In maniera schematica possiamo definire tali risorse scarse nel
modo seguente. I beni che non si esauriscono rapidamente (meno
di un anno) e che vengono usati nella produzione costituiscono il
capitale. I beni fisici durevoli (macchinari, capannoni, impianti di
diversa natura, utensili vari usati nella produzione) costituiscono il
capitale fisico. Le abilità, le conoscenze e le esperienze che ogni lavoratore ha acquisito nel tempo attraverso istruzione e addestramento
sono elementi durevoli e indispensabili alla produzione di altri beni e
costituiscono quello che viene definito capitale umano. Una nazione
ha a sua disposizione in ogni momento una certa quantità di capitale,
nelle sue due forme, fisico e umano, che nel complesso viene definita
stock di capitale. Al capitale umano e al capitale fisico si uniscono,
infine, le risorse naturali: minerali, paesaggistiche e ambientali.
1.2.1. L’economia si occupa dei problemi che derivano dalla necessità di effettuare delle scelte a causa della scarsità di tali risorse necessarie alla produzione. Le singole famiglie, a causa della limitatezza
dei loro redditi, sceglieranno con estrema attenzione come spendere
il denaro a loro disposizione per l’acquisizione di beni e servizi. Le
imprese, il cui fine ultimo è quello di realizzare profitti, sceglieranno
con grande ponderazione che cosa produrre, quanto produrre e con
quali mezzi. I budget a disposizione del settore pubblico (amministrazioni centrali e locali) sono sempre molto limitati, per cui sarà
indispensabile determinare gli scopi sociali da perseguire.
Ciascuna scelta ha come conseguenza il sacrificio di tutte le possibili alternative (ad esempio, quanto più si investe in cultura, tanto
minori risorse si potranno investire nella produzione di altri beni).
Ciò implica che ogni scelta ha un costo e dunque va ben ponderata.
Il costo cui si fa riferimento è il costo-opportunità di una scelta, che
corrisponde al valore della migliore tra tutte le possibili alternative
a cui si rinuncia.
Scarsità delle risorse
Il costo-opportunità
13
1. Di cosa si occupa l’analisi economica
Un esempio di costo-opportunità
Uno studente che frequenta l’università affronta delle spese: vitto, alloggio, trasporti, costo dei testi, costo del materiale didattico da utilizzare e
tasse universitarie. Le spese relative a vitto, alloggio e trasporti sarebbero
comunque sostenute dalla famiglia anche se il figlio non frequentasse l’università; per cui dobbiamo considerare solo le spese relative all’acquisto
dei testi, del materiale didattico e al pagamento delle tasse. Questo tipo
di costi che consistono nella rinuncia di denaro sono definiti costi espliciti e sono una parte del costo-opportunità.
Frequentare dei corsi universitari per quattro anni comporta anche
costi (sacrifici) di natura differente, i costi impliciti; nel caso da noi considerato il tempo rappresenta il costo preponderante, ma come possiamo
quantificare il valore del tempo?
Uno studente che per quattro anni frequenta l’università rinuncia a un
reddito da lavoro a tempo pieno che sicuramente non sarebbe conciliabile con lo studio e la frequenza dei corsi; questo reddito è dunque un
reddito sacrificato. Il costo-opportunità di frequentare un corso universitario sarà determinato, dunque, dalla somma dei costi impliciti e dei
costi espliciti.
Un principio fondamentale che si può dedurre dall’analisi dell’esempio riportato è che il tempo ha un suo valore monetario; sacrificare il
proprio tempo equivale, quindi, a sacrificare il proprio denaro.
Come si può quantificare il valore del tempo? Ogni ora del tempo impiegato in una certa attività (passeggiare, andare al cinema,
giocare una partita a pallone) ha un valore che dipenderà dal reddito del soggetto preso in considerazione, e che si potrà determinare
semplicemente dividendo il reddito mensile per il numero di ore lavorate nel mese.
Una conseguenza di questo tipo di valutazione è che per i soggetti
a reddito più elevato il tempo rappresenta la quota più elevata del
costo-opportunità, mentre il costo monetario diventa sempre meno
rilevante con l’aumentare del reddito.
Le persone con reddito molto elevato utilizzano negozi con maggiori servizi (commessi, banconisti e cassieri), ma più cari perché
il loro tempo vale molto più della differenza che risparmierebbero
in un supermercato. Questi stessi soggetti tendono a compiere più
azioni simultaneamente (ad esempio, telefonare mentre si recano sul
posto di lavoro) e a condurre una vita molto più frenetica.
In un’analisi di questo tipo riguardante il singolo individuo il costoopportunità deriva dalla scarsità di tempo o di denaro, me se prendiamo in considerazione una qualsiasi società, il costo-opportunità sarà
determinato dalla scarsità delle risorse di cui potrà disporre la stessa
società. Ogni produzione ha un suo peculiare costo-opportunità che
sarà determinato dal fatto che la società dovrà rinunciare a produrre
altro. Il principio del costo-opportunità in economia si applica non
solo all’analisi del comportamento dei soggetti economici, ma anche
all’analisi dei problemi sociali.
14
Parte I
CONSUMO E VINCOLO DI BILANCIO
PRODUZIONE E COSTI DELL’IMPRESA
3.
LE SCELTE DI CONSUMO
IL VINCOLO DI BILANCIO
3.1. Le scelte di consumo: premessa
L’approccio convenzionale allo studio delle scelte di consumo si basa sulle seguenti assunzioni:
a. i consumatori ricevono soddisfazione dall’acquisto di beni e servizi in quanto: (i) soddisfano direttamente i bisogni, come nel caso
del consumo di prodotti alimentari per cibarsi o di capi di vestiario per coprirsi, oppure (ii) ricavano vantaggi posizionali, che
derivano loro dai cosiddetti consumi vistosi, che hanno lo scopo
primario di promuovere socialmente l’individuo o la famiglia; è
questo il caso dell’acquisto di beni di lusso;
b. i consumatori si presentano sul mercato con preferenze ben definite e sono razionali nelle loro scelte; essi sono in grado di ordinare la preferenze, di disporre cioè diverse combinazioni o panieri
di beni in ordine di preferenza; essi, inoltre, scelgono sempre,
tra tutte quelle che possono acquistare, la combinazione di beni
‘migliore’, o preferita, in rapporto alla soddisfazione dei propri
bisogni.
Come si è detto, il problema di scelta che fronteggia un consumatore
tipo può essere descritto in termini di obiettivi da massimizzare (la
massima soddisfazione possibile dei bisogni) in presenza di vincoli
(la quantità limitata di risorse, o reddito, di cui si dispone). Egli, infatti, deve scegliere come impiegare un dato ammontare di reddito,
che dipende dalle risorse di cui dispone, nell’acquisto dei vari beni,
in modo da soddisfare al meglio i suoi bisogni.
La scelta di una particolare combinazione di beni dipenderà fondamentalmente da due ordini di elementi:
•la capacità di acquisto del consumatore, che, a sua volta, dipende
dal reddito acquisibile con le risorse di cui dispone e dal prezzo
dei vari beni;
•i gusti, o preferenze, del consumatore.
Il modo più utile di procedere al riguardo è di individuare in primo
luogo l’ambito delle scelte effettivamente accessibili per il consumatore, e poi analizzare come avviene la scelta fra le varie combinazioni
di beni effettivamente accessibili, in rapporto ai gusti e alle preferenze individuali.
Le scelte
del consumatore
63
3. Le scelte di consumo, il vincolo di bilancio
Considerare l’ambito delle scelte effettivamente accessibili significa fare riferimento non a tutte le scelte astrattamente possibili,
cioè a tutte le combinazioni di beni che un consumatore potrebbe
astrattamente desiderare, ma alle alternative di scelta concretamente
possibili, cioè solo alle combinazioni di beni che, dato il prezzo dei
beni e date le risorse di cui egli dispone, il consumatore potrebbe
effettivamente acquisire.
In questo capitolo esamineremo appunto questo aspetto del problema. Analizzeremo, cioè, il vincolo di bilancio di un consumatore
tipo, verificando quali sono le variabili economiche che incidono su
questo vincolo di bilancio e in che modo incidono sull’insieme delle
combinazioni concretamente accessibili per il nostro consumatore.
3.2. Il vincolo di bilancio
3.2.1. In generale gli individui, o le famiglie, vorrebbero consumare
Il vincolo di bilancio
dipende dal reddito
e dai prezzi
beni e servizi in quantità superiore rispetto a quella che effettivamente consumano. In realtà l’insieme di beni effettivamente accessibile
è limitato dal fatto che la spesa è vincolata dall’effettiva disponibilità
di reddito di cui ogni singolo consumatore può disporre.
Proviamo a verificare con un esempio come il reddito può vincolare la spesa di un consumatore. Consideriamo, per semplicità,
un individuo che acquista due soli beni: hamburger e Coca Cola.
Si supponga che il nostro consumatore abbia a disposizione 2.000
€, che il prezzo della Coca Cola sia di 2 € a lattina e quello di una
porzione di hamburger di 10 €. Se spende tutto il reddito di cui dispone nell’acquisto di hamburger e Coca Cola, con 2000 € il nostro consumatore può acquistare diverse combinazioni dei due beni.
L’insieme delle combinazioni acquistabili è riportato nella Tabella
3.1. Può darsi il caso, illustrato nella prima riga della tabella, che il
Porzioni di
hamburger
Tabella 3.1. –
Le combinazioni accessibili.
64
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
Lattine di
Coca Cola
Spesa per gli Spesa per hamburger la Coca Cola
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1.000
2.000
1.800
1.600
1.400
1.200
1.000
800
600
400
200
0
0
200
400
600
800
1.000
1.200
1.400
1.600
1.800
2.000
Spesa
totale
2.000
2.000
2.000
2.000
2.000
2.000
2.000
2.000
2.000
2.000
2.000
3.2. Il vincolo di bilancio
consumatore scelga di acquistare solo hamburger; in questo caso con
2.000 € egli potrà acquistare 200 porzioni di hamburger e nessuna
lattina di Coca Cola. Il fatto che il reddito sia limitato comporta che,
se vuole incrementare il consumo di Coca Cola, il consumatore deve necessariamente rinunciare ad acquistare hamburger e viceversa.
Ciò appunto perché l’insieme delle combinazioni accessibili, dato il
suo reddito, è limitato.
Si vede, infatti, che, via via che si procede in basso nella tabella
e il consumo di Coca Cola aumenta, sono prese in considerazione
combinazioni, o panieri, di beni in cui il numero delle porzioni di
hamburger si riduce. Ad esempio alla quinta riga si considera il caso
in cui i 2.000 € sono spesi per acquistare 120 hamburger e 400 lattine
di Coca. Nell’ultima riga, infine, si considera il caso estremo in cui il
nostro consumatore spende tutto il suo reddito nell’acquisto di Coca
Cola (ben 1.000 lattine), rinunciando del tutto agli hamburger.
L’insieme di tutte le possibili combinazioni di hamburger e Coca
Cola che comportano una spesa di 2.000 € è rappresentato graficamente nella Figura 3.1.
Sull’asse orizzontale riportiamo il numero di porzioni di hamburger, mentre sull’asse verticale riportiamo il numero di lattine di Coca
Cola. Nel punto rosso, corrispondente al caso descritto nella prima
riga della tabella, il consumatore acquista 200 porzioni di hamburger
e nessuna lattina di Coca Cola; nel punto blu, corrispondente al caso
de-scritto nell’ultima riga della tabella, acquista 1.000 lattine di Coca
Cola e nessuna porzione di hamburger; nel punto giallo, corrispondente al caso descritto nella quinta riga, consuma 400 lattine di Coca
e 120 porzioni di hamburger.
1000
Coca Cola
800
600
400
200
0
0
50
100
150
Hamburger
200
Figura 3.1. – Combinazioni
accessibili.
65
3. Le scelte di consumo, il vincolo di bilancio
Il consumatore, naturalmente, dato il suo reddito e dati i prezzi dei
beni, può scegliere una qualsiasi delle combinazioni considerate, ma
non può, ad esempio, scegliere di consumare sia 400 lattine di Coca
Cola, sia 140 porzioni di hamburger, perché non dispone del reddito necessario ad acquistare questa particolare combinazione dei
due beni. Ciò riflette appunto il vincolo di bilancio a cui ogni consumatore, nell’effettuare le sue scelte di consumo, è necessariamente
soggetto.
3.2.2. Il reddito effettivo costituisce dunque, per il singolo consumatore, un vincolo, in quanto definisce la spesa massima che egli
può affrontare per acquistare i beni necessari a soddisfare i suoi bisogni. Di fatto la spesa complessiva per la combinazione di beni effettivamente acquistata non può superare il reddito che il soggetto ha
a disposizione. È questo il concetto di vincolo di bilancio.
Supponendo che il consumatore tipo conosca il proprio reddito
R e il prezzo dei beni tra i quali può scegliere, p1, p2, …, pn, il vincolo
di bilancio può essere espresso nel seguente modo:
La capacità d’acquisto
dipende dal reddito
e dai prezzi
p1q1 + p2q2 + … + pnqn ≤ R(3.1)
L’equazione 3.1 ci dice che la somma spesa per l’acquisto del bene
1, p1q1 (cioè la quantità del bene 1 per il prezzo unitario del bene 1)
più la somma spesa per l’acquisto del bene 2, p2q2 (cioè la quantità
del bene 2 per il prezzo unitario del bene 2), più la somma spesa per
l’acquisto di tutti gli altri beni oggetto della scelta del consumatore,
fino al bene ennesimo (+ … + pnqn), deve essere inferiore o al massimo uguale al reddito di cui un consumatore dispone (R).
Nelle sue scelte di consumo egli deve dunque tener conto, sia del
livello del proprio reddito nominale (R), sia dei prezzi dei beni (p1, p2,
…, pn ), che, associati al livello del reddito, consentono di determinare la effettiva capacità d’acquisto del consumatore.
Il vincolo di bilancio riflette, in sostanza, il tetto massimo di spesa
possibile per un consumatore, e deve essere tenuto in considerazione
nell’individuazione delle combinazioni di beni che si possono acquistare con un dato livello di reddito. Le combinazioni accessibili
dipendono, inoltre, dai prezzi dei beni e dal prezzo relativo di un
bene rispetto all’altro.
In definitiva, il vincolo di bilancio impone che il valore della spesa
per l’acquisto di tutti i beni a disposizione deve essere minore o uguale al reddito che il singolo soggetto economico ha a disposizione.
3.3. Vincolo di bilancio e retta di bilancio
3.3.1. Allo scopo di poter rappresentare anche graficamente il problema della scelta del consumatore, analogamente a quanto esposto
nell’esempio, limiteremo la nostra analisi al caso di due soli beni.
Questa assunzione non compromette il grado di generalità dei risul66
3.3. Vincolo di bilancio e retta di bilancio
tati che otterremo. Se, infatti, consideriamo due soli beni, il bene 1 e
il bene 2, e intendiamo studiare la domanda del bene 1 q1 (ad esempio gli hamburger), possiamo ragionare come se q2 rappresentasse la
domanda di tutti gli altri beni che il consumatore desidera consumare oltre a q1. Possiamo, cioè, trattarlo, come un bene composito, cioè
un bene immediatamente traducibile in uno qualsiasi degli altri beni,
il cui prezzo sarebbe pari a 1.
Supponiamo, dunque, che il nostro consumatore tipo possa scegliere tra due soli beni, q1 e q2, e che egli conosca il proprio reddito
R e il prezzo dei beni tra i quali può scegliere, p1 e p2. In questo
caso il vincolo del bilancio del consumatore può essere espresso nel
seguente modo:
p1q1 + p2q2 ≤ R(3.2)
L’equazione ci dice che, se i beni tra cui può scegliere sono due (q1
e q2) e hanno rispettivamente il prezzo p1 e p2, le combinazioni dei
due beni che il consumatore può acquistare sono tutte quelle che
non costano più di R. Esse costituiscono l’insieme di bilancio del
consumatore.
La retta di bilancio rappresenta, invece, l’insieme delle combinazioni di beni, o panieri, per acquistare i quali il consumatore spende esattamente tutto il suo reddito, cioè l’insieme dei panieri dei due beni
il cui costo, dati i prezzi dei beni, è esattamente uguale al reddito R:
p1q1 + p2q2 = R(3.3)
L’insieme di bilancio è descritto dall’area quadrettata nella Figura
3.2. La retta di bilancio è la linea che unisce i punti blu e rosso, cioè
l’insieme dei panieri il cui costo è esattamente uguale al reddito R.
Il consumatore che disponga di un reddito pari a R, dati i prezzi dei
due beni, può acquistare tutte le combinazioni dei due beni contenute nell’area quadrettata e tutte quelle lungo la retta di bilancio.
q2
R
p2
R
p1
q1
Figura 3.2. – Il vincolo
di bilancio.
67
3. Le scelte di consumo, il vincolo di bilancio
3.3.2. Per costruire la retta di bilancio è sufficiente individuare i
due punti blu e rosso del grafico e congiungerli con una retta. Il
punto blu è l’intercetta della retta di bilancio sull’asse delle ordinate,
lungo la quale riportiamo le quantità acquistabili del bene 2. Esso
indica semplicemente la quantità del bene 2 che il consumatore può
acquistare se spende tutto il suo reddito per acquistare q2, rinunciando ad acquistare il bene 1. Per calcolare questa quantità è sufficiente
porre q1 uguale a zero nell’equazione e risolvere per q2: se q1 = 0,
p1q1 = 0 e quindi q2 =
. Il punto rosso è l’intercetta della retta
di bilancio sull’asse delle ascisse, lungo la quale riportiamo le quantità acquistabili del bene 1. Esso indica semplicemente la quantità
del bene 1 che il consumatore può acquistare se spende tutto il suo
reddito per acquistare q1, rinunciando ad acquistare il bene 2. Per
calcolare questa quantità è sufficiente porre q2 uguale a zero nell’equazione e risolvere per q1: se q2 = 0, allora p2q2 = 0 (p2 si moltiplica
per 0) e quindi q1 =
.
Queste sono le due alternative estreme di consumo: nel primo
caso la quantità del bene 2 acquistata è q2 =
quantità del bene 1 acquistata è q1 =
Il vincolo di bilancio
.
La retta di bilancio delimita dunque il vincolo di bilancio del
consumatore, cioè tutte le possibili combinazioni di due beni che egli
può acquistare dato il suo reddito. Le combinazioni accessibili sono
naturalmente quelle lungo la retta di bilancio, per acquistare le quali il consumatore spenderebbe tutto il suo reddito, più tutte quelle
contenute nell’area sottesa alla retta, per acquistare le quali il consumatore non spenderebbe tutto il reddito. Non sono invece accessibili le combinazioni che si collocano in alto a destra rispetto alla
retta di bilancio, come quella corrispondente al punto indicato nella
Figura 3.3. Per acquistare quella determinata combinazione, infatti,
il consumatore dovrebbe disporre di un reddito superiore rispetto
al livello dato.
Il vincolo di bilancio
ci preclude la scelta di
combinazioni a destra
della linea di bilancio.
q2
← no
Figura 3.3. – Punti
raggiungibili
dal consumatore.
68
; nel secondo caso la
q1
7.
TEORIA DELL’IMPRESA
7.1. L’obiettivo dell’impresa
Come abbiamo illustrato nei capitoli precedenti, le scelte che il consumatore compie sulla base delle proprie preferenze e del proprio
vincolo di bilancio sono alla base della formazione della domanda.
Analogamente, l’offerta è determinata dal comportamento del produttore (l’impresa) e dalle decisioni che egli prende in vista dei suoi
obiettivi, il primo dei quali è la massimizzazione del profitto.
Al fine di raggiungere tale obiettivo, l’impresa deve prendere decisioni in merito alla produzione: cosa produrre, quanto produrre, in
che modo produrre. Tali decisioni implicano un’analisi sia dei mezzi
impiegati nella produzione (macchinari, terra, lavoro), sia dei costi che
la produzione stessa richiede. In questo capitolo ci occuperemo del
primo aspetto, ossia del legame che collega l’impiego dei fattori produttivi con il livello della produzione.
Relativamente al comportamento dell’impresa, va rilevato che le
decisioni che sono adottate sono diverse secondo la forma di mercato in cui l’impresa è inserita.
Come già detto, le principali forme di mercato sono le seguenti:
a. concorrenza perfetta;
b. concorrenza monopolistica, o imperfetta;
c.oligopolio;
d.monopolio.
La concorrenza perfetta è costituita da un mercato in cui vi sono tantissimi consumatori e tantissimi produttori. Ognuno di questi ultimi
offre una quantità di beni che, per quanto possa essere grande per il
singolo imprenditore, è comunque piccola se rapportata all’insieme
del mercato. Inoltre tutti i produttori offrono lo stesso tipo di bene,
cioè un bene non differenziato. Tali caratteristiche fanno sì che, in
concorrenza perfetta, il prezzo del bene si determina sul mercato e la
singola impresa non può influire sul prezzo stesso.
Se, ad esempio, una impresa aumenta il proprio prezzo, la domanda si rivolge alle altre imprese, e di conseguenza l’impresa che
ha aumentato il prezzo vede annullarsi la domanda rivolta alla propria produzione. Va sottolineato che nella concorrenza perfetta la
somma delle imprese che producono tutte lo stesso bene costituisce
119
7. Teoria dell’impresa
Monopolio
Oligopolio
Concorrenza
monopolistica
120
l’industria. La domanda di mercato è, quindi, una domanda che si
rivolge all’intera industria e non coincide con la domanda rivolta alla
singola impresa. Pertanto, la curva di domanda di mercato rivolta
all’intera industria è decrescente, mentre la curva di domanda rivolta
alla singola impresa si presenta costante per ciascun livello di prezzo.
Il regime di mercato all’opposto della concorrenza perfetta è il
monopolio. In questa forma di mercato vi è un solo produttore, e
non esistono sostituti della merce prodotta. In questo caso, vi è piena coincidenza fra impresa e industria. Pertanto la curva di domanda
dell’industria coincide con la curva di domanda della singola impresa, ed è decrescente proprio perché l’impresa può intervenire sul
prezzo di vendita.
L’oligopolio, invece, è una forma di mercato in cui poche imprese
producono uno stesso bene. Pertanto, l’industria di quel bene sarà
costituita da poche imprese. Il duopolio è la forma di mercato per
la quale le imprese sono solamente due; non vi è coincidenza fra
impresa e industria. La curva di domanda di mercato non coincide
con la curva di domanda della singola impresa, anche se entrambe si
presentano decrescenti.
Infine, la concorrenza monopolistica è caratterizzata dalla presenza di moltissime imprese che però, a differenza di quanto avviene
nella concorrenza perfetta, riescono a differenziare il bene in modo
da acquisire una leggera capacità d’influenza sul prezzo.
Anche in questo caso non vi è coincidenza fra la curva di domanda rivolta all’industria e la curva di domanda che interessa ogni
singola impresa. Tuttavia, a differenza della concorrenza perfetta, le
imprese che operano in regime di concorrenza monopolistica possono intervenire, seppure in misura ridotta, sul prezzo. Pertanto,
anche la curva di domanda rivolta alla singola impresa si presenta
decrescente.
Com’è agevole derivare da quanto fin qui esposto la capacità della singola impresa di influire sul prezzo del bene varia a seconda
della forma di mercato in cui si opera.
In concorrenza perfetta il prezzo si determina sul mercato e per
il singolo produttore si presenta come dato: la singola impresa può
solo decidere se produrre o non produrre e, qualora decida di produrre, può vendere solo al prezzo che si determina sul mercato.
Negli altri casi, invece, la singola impresa ha il potere di influenzare il prezzo. Tale potere è relativamente ridotto in concorrenza
monopolistica, più elevato in oligopolio, massimo in monopolio.
In altre parole, la possibilità della singola impresa di determinare il
prezzo di mercato del bene aumenta man mano che diminuisce il numero dei produttori. Com’è facilmente intuibile, minore è il numero
d’imprese che forniscono un determinato bene, maggiore sarà il loro
potere sul mercato.
Anticipiamo i ragionamenti che dobbiamo sviluppare nel seguito
della nostra esposizione, per fornire al lettore il quadro di riferimento dei problemi che deve affrontare una impresa.
7.1. L’obiettivo dell’impresa
La forma di mercato all’interno della quale opera una impresa
differenzia l’andamento del ricavo. Ora, l’obiettivo di una impresa,
indipendentemente dalla forma di mercato all’interno della quale opera, è massimizzare il profitto. L’impresa deve individuare la
quantità da offrire sul mercato in corrispondenza della quale il profitto è il massimo possibile. Il profitto è dato dalla differenza fra i
ricavi totali ed i costi totali. Pertanto, per individuare la quantità in
corrispondenza della quale massimo è il profitto si deve conoscere
l’andamento sia dei ricavi sia dei costi. Ora, mentre le caratteristiche dei costi di una impresa non variano a seconda della forma di
mercato, l’andamento del ricavo si differenzia a seconda del regime
di mercato.
L’andamento del ricavo si differenzia a seconda delle diverse
forme di mercato proprio in ragione del diverso potere che hanno
le imprese per influire sul prezzo. Questa diversità determina le
scelte dell’impresa e le caratteristiche dell’offerta che ne scaturiscono.
In questo capitolo inizieremo ad analizzare l’offerta partendo dal
concetto della funzione di produzione, per evidenziare il collegamento che si stabilisce fra le condizioni di produzione e l’andamento
dei costi, che sarà esaminato in dettaglio nel capitolo 8.
Ribadiamo che l’analisi che segue è comune a tutte le forme di
mercato.
Il profitto
Efficienza X
La teoria dell’efficienza X è stata sviluppata da Leibeinstein (in un lavoro
pubblicato sull’American Economic Review nel 1966) per analizzare il
grado di capacità delle organizzazioni aziendali, siano esse pubbliche o
private, di allocare in modo efficiente le risorse disponibili.
La loro attività non viene, però, valutata in base alle regole di mercato,
ma in base al grado di efficienza interna. Leibeinstein, infatti, sposta il
focus dell’analisi dal problema allocativo delle risorse fra i differenti usi,
al grado di inefficienza che può provocare un uso improprio dei fattori
di produzione.
Le cause di efficienza o inefficienza X vanno ricercate, principalmente,
nella mancata o inesatta specificazione degli obiettivi dell’organizzazione; tale circostanza stimola comportamenti discrezionali dei lavoratori,
operanti a qualsiasi livello, i quali saranno spinti a perseguire propri
obiettivi a discapito di quelli organizzativi. Tale fenomeno tende a verificarsi principalmente nel caso in cui l’impresa presenti al proprio interno
un rapporto di agenzia a informazione asimmetrica quale è quello in cui
la gestione dell’impresa è delegata a managers, i quali agiscono secondo il modello principale-agente (di cui parleremo in modo più diffuso
nel capitolo 14), perseguendo obiettivi diversi dalla massimizzazione dei
profitti: l’assenza del vincolo concorrenziale permette agli agenti di perseguire tali obiettivi senza per questo compromettere l’esistenza dell’impresa; conseguentemente, la loro eventuale negligenza non produrrà necessariamente segnali rilevabili all’esterno dell’impresa stessa.
Viceversa, una maggiore concorrenza incentiva gli agenti alla minimizzazione dei costi e riduce l’azzardo morale, dato che, in condizioni di
121
7. Teoria dell’impresa
concorrenza, una impresa inefficiente può facilmente fallire determinando la perdita del lavoro per il manager e, di conseguenza, il riavvicinamento degli obiettivi tra principale e agente. L’ingresso di nuove imprese
sul mercato, pertanto, svolgendo questa funzione incentivante, permetterà un incremento di efficienza produttiva.
7.2. Il concetto di funzione di produzione
La funzione
di produzione
Per produrre e immettere i beni sul mercato, l’impresa utilizza i mezzi di produzione, detti fattori produttivi, come illustrato nel capitolo 1.
Ad esempio, per produrre un qualsiasi bene è necessario utilizzare diversi fattori, quali i macchinari ed il lavoro. In altre parole, con
il termine fattore produttivo s’intende ciò di cui l’impresa necessita
per produrre.
I fattori produttivi sono solitamente suddivisi in tre grandi categorie: terra, capitale, lavoro. La terra è indispensabile non solo per
la produzione di prodotti agricoli, ma anche dei prodotti industriali.
Il capitale è il capitale fisico utilizzato nel processo produttivo: impianti, macchinari e materie prime. Il lavoro è il numero di lavoratori
impiegati, ovvero il numero d’ore lavorate.
La funzione di produzione rappresenta il vincolo di natura tecnologica dell’impresa, perché identifica il collegamento che, data la
tecnologia, intercorre fra le quantità prodotte e le quantità impiegate
dei fattori produttivi.
Per semplicità, restringiamo l’analisi considerando solamente
due fattori produttivi, capitale e lavoro, che indicheremo rispettivamente con K e L.
Esaminiamo il comportamento di un imprenditore che ha deciso
di immettere sul mercato un dato bene.
Il primo passo che deve compiere è impiegare i fattori di produzione, nel nostro caso capitale e lavoro, e verificare quali sono i
possibili livelli di produzione consentiti dalla tecnologia.
In generale, se indichiamo con Q la quantità prodotta e con K e L
i fattori produttivi capitale e lavoro, possiamo affermare che il livello
di produzione dipende dalle quantità impiegate dei fattori. Possiamo
pertanto scrivere:
Q = f (K, L)
Questa funzione misura il legame fra il livello di produzione e la
quantità dei fattori produttivi impiegati.
Possiamo affermare che la quantità prodotta aumenta all’aumentare dei fattori produttivi utilizzati. Ciò è vero sia se aumentano entrambi i fattori produttivi, sia se aumenta uno solo dei due, ferma
restando la quantità impiegata dell’altro fattore produttivo.
La funzione sopra illustrata presenta tre variabili: la quantità prodotta Q e le quantità dei due fattori produttivi considerati: K e L.
122
7.3. La funzione di produzione a un fattore variabile
7.3. La funzione di produzione a un fattore variabile
Possiamo esaminare la funzione di produzione in due distinte specificazioni. Nel primo caso esaminiamo il legame fra la variazione della
quantità prodotta e la variazione di uno solo dei fattori produttivi,
fermo restando l’altro. In questo caso, esaminiamo la funzione di produzione con variabilità di un solo fattore produttivo.
Nel secondo caso, manteniamo costante il livello di produzione
Q e, facendo variare la dotazione di entrambi i fattori produttivi,
esaminiamo le possibili combinazioni di capitale e lavoro che danno
luogo a un identico livello di produzione. In questo caso esaminiamo
le caratteristiche della funzione di produzione con variabilità di due
fattori produttivi.
Cominciamo con l’esame della funzione di produzione con variabilità di un solo fattore produttivo. In particolare, considereremo gli
effetti di un aumento del fattore lavoro a fronte di una dotazione di
capitale costante. Possiamo affermare che la quantità prodotta aumenta all’aumentare del fattore produttivo variabile, ossia il lavoro L
fermo restando l’altro fattore produttivo, ossia il capitale K.
Per esaminare questa relazione dobbiamo introdurre il concetto
di prodotto marginale e di prodotto medio.
Il prodotto marginale misura la variazione del prodotto totale al
variare del fattore produttivo; il prodotto medio è invece dato dal
rapporto fra il livello della quantità prodotta e il livello del fattore
produttivo.
In altre parole il prodotto marginale (o produttività marginale) è
l’incremento che registra il prodotto totale quando s’incrementa di
un’unità il fattore lavoro. Il prodotto medio (o produttività media)
misura il livello di produzione per unità di lavoro impiegato.
Dobbiamo, ora, esaminare in modo più dettagliato il tipo di legame che vi è fra la variazione della quantità prodotta e la variazione
del fattore produttivo lavoro. Per sviluppare quest’analisi, distinguiamo tre funzioni di produzione: la prima caratterizzata da andamento costante di produttività marginale, la seconda con andamento
crescente e la terza con andamento decrescente.
Esaminiamo, pertanto, una funzione di produzione a un solo fattore variabile, del tipo:
–
Q = f (K , L)
La variabile indipendente è data dalle ore di lavoro e, man mano che
queste aumentano, aumenta anche la quantità prodotta.
Questa funzione di produzione indica che la quantità prodotta
del bene varia al variare del fattore produttivo impiegato (ore di lavoro), cioè aumenta all’aumentare del fattore produttivo.
Possiamo dare una rappresentazione grafica di questa relazione,
misurando sull’asse delle ascisse le ore di lavoro e sull’asse delle ordinate la quantità prodotta del bene che stiamo considerando, come
in Figura 7.1.
La funzione
di produzione
con variabilità di un solo
fattore produttivo
Prodotto marginale
e prodotto medio
Q
L
Figura 7.1. – Funzione
di produzione lineare.
123
Parte II
LE FORME DI MERCATO
9.
LA CONCORRENZA PERFETTA
9.1. Premessa
Il nostro esame delle forme di mercato comincia dall’analisi del
comportamento di un imprenditore che opera in un mercato di concorrenza perfetta. Il mercato di concorrenza perfetta è caratterizzato
dalla presenza di tantissime imprese che offrono uno stesso bene e di
tantissimi acquirenti. Proprio per questo motivo ogni singola impresa non ha la possibilità di influenzare il mercato, non può governare
il prezzo a cui vendere i propri beni e non può modificare il prezzo
di mercato.
Mentre nel monopolio vi è una sola impresa che produce e che
quindi rappresenta la totalità dell’industria, in concorrenza perfetta
l’industria è costituita da tutte le imprese che offrono quel determinato bene. Tali imprese sono di ridotte dimensioni e l’influenza che
esercitano sul mercato è il risultato della somma dei loro comportamenti. Il prezzo in concorrenza perfetta non nasce dall’azione di una
singola impresa poiché essa non ha il potere di influenzarlo.
L’impresa accetta il prezzo che si determina sul mercato sulla base dell’interazione tra domanda (formata dall’unione delle domande
dei singoli consumatori) e offerta dell’industria (formata dalla somma delle offerte delle singole imprese). Utilizzando un’espressione
largamente diffusa, in concorrenza perfetta l’impresa è price-taker e,
come avremo modo di vedere nelle pagine seguenti, proprio in questo consiste una delle maggiori peculiarità dei mercati perfettamente
concorrenziali.
Le caratteristiche della concorrenza perfetta sono:
1. infinito frazionamento della domanda e dell’offerta; ci sono molti
piccoli acquirenti e produttori, nessuno dei quali è in grado di
influenzare il mercato;
2. omogeneità di prodotto;
3. assenza di barriere all’entrata e all’uscita per le imprese;
4. perfetta informazione; tutti possono sapere cosa fanno gli altri
soggetti e ogni comportamento è per tale motivo perfettamente
trasparente.
159
9. La concorrenza perfetta
9.2. Ricavi e produzione
La massimizzazione
del profitto
Il ricavo totale
In concorrenza perfetta l’obiettivo dell’impresa è quello di massimizzare il profitto, cioè di rendere massima la differenza tra i ricavi totali
e i costi totali; l’impresa che riesce a ottenere tale risultato raggiunge
una posizione di equilibrio, individuando la quantità da immettere
sul mercato. Per far ciò l’impresa deve tenere contemporaneamente
conto dell’andamento dei ricavi e del vincolo rappresentato dai costi.
Il ricavo totale è definito come il prodotto tra il prezzo e le quantità (ossia il prezzo del singolo bene moltiplicato per il numero di
unità vendute del bene):
RT = p · q
Ogni singola impresa può decidere di produrre qualsiasi quantità,
ma dovrà venderla al prezzo di mercato.
Come nel caso dei costi, anche per i ricavi è importante esaminare in dettaglio la relazione che si stabilisce fra quantità vendute e
livello del ricavo totale. Nell’analisi della concorrenza perfetta considereremo le seguenti funzioni di ricavo:
– la funzione di ricavo totale (RT);
– la funzione di ricavo marginale (RMg), che corrisponde al rapporto fra la variazione del ricavo totale e la variazione della quantità;
– la funzione di ricavo medio (RMe) dato dal rapporto tra ricavo
totale e quantità venduta.
9.2.1. Il ricavo totale
RT
3
1,5
1 2
Q
Figura 9.1. – Funzione del
ricavo totale.
160
Iniziamo la nostra analisi dalla funzione del ricavo totale. Come detto
il ricavo totale è dato dal prodotto tra il prezzo e la quantità. Supponiamo che sul mercato delle penne il prezzo sia stato fissato a 1,5 €:
significa che qualsiasi sia il livello di penne che l’impresa immette sul
mercato, il prezzo di una penna sarà sempre di 1,5 €.
Se il prezzo è sempre uguale qualsiasi sia la quantità immessa sul
mercato da questa impresa, è molto semplice determinare la funzione del ricavo totale. Abbiamo affermato, infatti, che la funzione del
ricavo totale è data dal prezzo per la quantità: se il prezzo è sempre lo stesso, il ricavo totale aumenta all’aumentare della quantità
venduta e aumenta in modo proporzionale sempre in egual misura,
poiché ogni unità in più immessa sul mercato viene venduta sempre
allo stesso prezzo. Nella Figura 9.1. è rappresentata graficamente la
funzione di ricavo totale della singola impresa in concorrenza perfetta.
Sull’asse delle ascisse è misurata la quantità, mentre su quello delle
ordinate il livello di ricavo totale che corrisponde a ciascun livello
di quantità prodotta. La funzione ha un andamento lineare dovuto
al fatto che il ricavo totale aumenta proporzionalmente all’aumento
della quantità, in ragione del livello del prezzo, che rimane costante.
La funzione del ricavo totale parte dall’origine degli assi. Infatti, se
9.2. Ricavi e produzione
prendiamo in considerazione la formula del ricavo totale, si ha che
RT = p · q, quindi quando q = 0 allora RT = 0, quando q = 1 allora
RT = p.
Il ricavo totale dipenderà quindi dal prezzo applicato; nel nostro
esempio è pari a 1,5 €, quindi in corrispondenza di una quantità pari
a 1 il ricavo totale sarà pari a 1,5, in corrispondenza di una quantità
pari a 2 il ricavo totale sarà 3 e così via.
Dato un livello di prezzo, ogni impresa avrà sempre la stessa funzione di ricavo totale. Il livello del ricavo totale dipende, poi, dalla
quantità che ogni singola impresa immetterà sul mercato.
Un cambiamento nel livello del prezzo di mercato porterà invece a
modificare la pendenza della curva: maggiore sarà il prezzo di mercato, più ripida sarà la curva del ricavo totale; viceversa, ad un prezzo
minore corrisponderà una curva più piatta.
9.2.2. Il ricavo marginale
Il ricavo marginale è la variazione di ricavo totale che si ottiene al
variare della quantità prodotta. Poiché, nel caso considerato, il ricavo totale varia sempre in eguale misura, al variare della quantità
prodotta il ricavo marginale è costante.
Il ricavo marginale
La funzione di RMg, definita come variazione di RT al variare della
quantità prodotta, ha un valore costante qualunque sia il livello della
quantità prodotta, sia che si passi da 1 a 2 unità di penne, sia che si
passi da 1.000 a 1.001.
Il RMg coincide con il valore 1,5 che è il livello del prezzo. Il RMg,
qualsiasi sia la quantità prodotta, è sempre uguale a 1,5 perché gli
incrementi di RT al variare della quantità prodotta sono costanti e
coincidono con il prezzo che viene applicato al bene che l’impresa
produce.
Possiamo affermare che in questa particolare forma di mercato,
per la singola impresa, il RMg è uguale al livello del prezzo, livello
che rimane sempre lo stesso man mano che aumenta la quantità che
si immette sul mercato.
Questo non significa che quando il prezzo è 1,5 (prezzo = RMg)
tale prezzo non possa cambiare. È la singola impresa che non può
cambiare questo prezzo, ma sul mercato si possono determinare le
condizioni per cui il prezzo della penna può passare ad esempio da
1,5 a 3 €.
Se il prezzo aumenta, la singola impresa non deve far altro che
prendere atto di questo aumento del prezzo e applicarlo al bene che
sta immettendo sul mercato.
Se il prezzo della penna passa a 3 € il RT, per ogni determinata
quantità venduta, sarà ovviamente più elevato. Se, prima, per 1 unità
venduta il RT era pari a 1,5, adesso, in corrispondenza di 1 unità
venduta, il RT è pari a 3; se prima in corrispondenza di 2 unità ven-
Il ricavo marginale
coincide con il prezzo
Se varia il prezzo
la funzione di ricavo
totale si modifica
161
9. La concorrenza perfetta
dute il RT era 3, adesso che il prezzo è diventato 3 il RT sarà pari a
6 e così via. Si avrà, pertanto, una nuova funzione di ricavo totale che
assumerà un altro andamento.
Questa nuova funzione di RT, supponendo p = 3, è più inclinata della precedente perché, per uguali quantità vendute, il RT sarà
maggiore.
9.2.3. Il ricavo medio
Il ricavo medio
Il ricavo medio, per una impresa che opera in un mercato di concor.
renza perfetta, assume sempre costanti valori perché
Supponiamo che il prezzo praticato sia pari a 1,5 € e la quantità
venduta 1: il ricavo medio è pari a 1,5 €; se la quantità venduta è pari
a 2, il ricavo medio è sempre 1,5, e così via. Il ricavo medio, quindi, è uguale al ricavo marginale che a sua volta è uguale al prezzo
(RMe = RMg = p).
Le imprese si differenziano fra loro per la diversa funzione dei costi: ogni impresa ha una propria funzione di costo. Questo significa
che per ogni impresa il problema della determinazione della quantità
che massimizza il profitto si pone in modo diverso, non perché sia
diversa la funzione di RT o quella di RMg, ma appunto perché ogni
impresa ha una propria funzione di costo.
9.3. La scelta di una impresa nel breve periodo
Abbiamo visto che per una impresa che opera in regime di concorrenza perfetta RMe, RMg e p assumono sempre lo stesso valore e sono
costanti, cioè non variano al variare della quantità prodotta. Inoltre
ogni singola impresa non può intervenire sul livello dei prezzi, perché sta producendo una quantità piccola rispetto alle dimensioni del
mercato.
Siamo perfettamente in grado di poter determinare la quantità da
produrre che consente all’impresa di raggiungere il massimo profitto
possibile (P): il profitto viene massimizzato quando la differenza tra
il ricavo totale e il costo totale è la massima possibile.
Possiamo illustrare graficamente come un imprenditore che opera in regime di concorrenza perfetta determina la quantità da immettere sul mercato confrontando la funzione del ricavo totale con la
funzione dei costi totali.
Supponiamo che sul mercato si sia determinato il prezzo di vendita di un bene. L’imprenditore non fa altro che prendere atto del
prezzo e applicarlo alla quantità che immette sul mercato; si avrà una
funzione del ricavo totale lineare che parte dall’origine degli assi, la
cui pendenza misura il prezzo, il ricavo marginale e il ricavo medio.
Dobbiamo aggiungere la funzione di costo totale e in presenza
di costi fissi (Figura 9.2.) la curva CT non partirà dall’origine degli
162
9.3. La scelta di una impresa nel breve periodo
assi dal momento che, anche se la quantità prodotta fosse zero, si
dovrebbero comunque affrontare i costi fissi.
Da un punto di vista grafico la differenza massima tra costi e ricavi si ha nei punti in cui la tangente alla CT è parallela alla RT. Nel
caso della Figura 9.2. ciò avviene in due punti, ma uno solo di essi
rappresenta la scelta ottimale per l’impresa, il punto verde, in corrispondenza di una quantità prodotta pari a 8.
Infatti, osserviamo che in corrispondenza di Q = 4 le due curve
CT e RT si incontrano, vale a dire che i costi totali sono uguali ai
ricavi totali. Se l’imprenditore producesse una quantità minore di 4,
si troverebbe a sopportare costi maggiori dei ricavi (prima di Q = 4
la curva RT è più bassa della CT) e perciò il punto blu non può
rappresentare la scelta ottimale dell’impresa. In corrispondenza del
punto verde invece, oltre a essere massima la distanza tra le due curve, i ricavi sono maggiori dei costi: è perciò questa la scelta ottimale
e l’impresa produrrà la quantità relativa a tale posizione (nel nostro
caso Q = 8).
Come illustra la Figura 9.3. se il prezzo è minore del costo medio
totale l’area del rettangolo rappresenta una perdita (profitto negativo). Questo imprenditore non può assolutamente presentarsi sul
mercato perché ha valori dei costi che sono sistematicamente su-
S
450
La scelta ottimale
RT
CT
300
150
1
2
3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Q
Figura 9.2. – Ricavo totale
e costo totale in regime
di concorrenza perfetta.
CMeT
CMg
P = RMe = RMg
CMeT
P
Figura 9.3. – L’impresa
concorrenziale in perdita.
163
9. La concorrenza perfetta
periori ai valori dei ricavi. Un imprenditore che abbia costi totali
sistematicamente superiori ai ricavi è un imprenditore che produce
sempre in perdita, e perciò non è neanche in grado di entrare nel
mercato.
Perché l’imprenditore possa entrare nel mercato si devono realizzare ricavi totali che siano almeno uguali ai costi totali: questo
rappresenta la condizione di ingresso per un imprenditore in un
mercato di concorrenza perfetta.
9.4. Gli aggiustamenti nel lungo periodo
Per esaminare l’equilibrio per una impresa nel lungo periodo dobbiamo far riferimento all’analisi sviluppata nel precedente Paragrafo
8.4.
In modo analogo a quanto esaminato nel breve periodo, la massimizzazione del profitto si realizza in corrispondenza di quella quantità per la quale il costo marginale eguaglia il prezzo.
Illustriamo il punto di equilibrio nella Figura 9.4.
In corrispondenza di un prezzo di mercato pari a p, la quantità
che consente all’impresa di massimizzare il profitto sarà pari a OC e
l’impresa, per produrre quella quantità, dovrà utilizzare l’impianto
K3.
Nel punto di equilibrio per l’impresa si registra l’eguaglianza fra
il costo marginale di lungo periodo e il costo marginale dell’impianto
scelto per la produzione, nel nostro caso K3.
Se il prezzo diminuisce, l’impresa modificherà la propria scelta,
adattando la dimensione di impianto alla quantità in corrispondenza
della quale massimizza il profitto. Stesso ragionamento nell’eventualità di un aumento del prezzo.
Costi
Costo medio
lungo periodo
Costo marginale
lungo periodo
Costo marginale
breve periodo
prezzo P
Figura 9.4. –
Massimizzazione del profitto
nel lungo periodo.
164
Quantità prodotta
10.
MERCATI NON CONCORRENZIALI
10.1. Premessa
In questo capitolo analizziamo le forme di mercato diverse dalla
concorrenza perfetta, in particolare: il monopolio, l’oligopolio e la
concorrenza imperfetta (o monopolistica). Le prime due forme di
mercato si differenziano dalla concorrenza perfetta, e tra loro, per il
numero di imprese presenti sul mercato: una sola impresa nel caso
del monopolio, poche nel caso dell’oligopolio. Nel caso della concorrenza imperfetta sono invece presenti molte imprese e la peculiarità di questa forma di mercato va ricercata nel fatto che le imprese
hanno la possibilità di differenziare i beni che producono: l’impresa
può offrire un bene che presenta differenze rispetto a quelli che
offrono le altre imprese presenti sul mercato e, grazie a questa differenziazione, può guadagnare un leggero margine di influenza sul
prezzo.
Lo studio di queste forme di mercato, oltre ad essere parte imprescindibile di una preparazione basilare in economia, può rivestire
un interesse che va anche al di là dei fini strettamente didattici. Nella
realtà, infatti, è piuttosto difficile osservare mercati perfettamente
concorrenziali, mentre molto più diffuse sono le forme di mercato
che studieremo in questo capitolo.
I monopoli possono essere costituiti per beni che presentano costi
di produzione elevati ma devono essere forniti a prezzi accessibili perché sono indispensabili per uno standard di vita minimo: è il
caso, ad esempio, delle infrastrutture per la fornitura di acqua ed
energia elettrica.
Gli oligopoli sono diffusi in mercati in cui la produzione comporta ingenti investimenti, come nel caso nel mercato del petrolio e dei
carburanti.
Anche le caratteristiche della concorrenza monopolistica possono essere facilmente osservate nella realtà quotidiana. Questa forma
di mercato è contraddistinta dal fatto che i produttori riescono a
differenziare i beni che producono; tale differenza potrebbe essere,
però, più virtuale che effettiva. Che la differenza esista o meno, quello che conta è che il consumatore la percepisca: è il caso, ad esempio,
della pubblicità.
187
10. mercati non concorrenziali
Obiettivo dell’impresa:
massimizzare il profitto
Forme di mercato con caratteristiche differenti fanno sì che l’obiettivo dell’impresa, pur essendo lo stesso (cioè la massimizzazione
del profitto), sia perseguito attraverso diversi modi di azione, facendo riferimento a differenti criteri di scelta.
Se nel caso della concorrenza perfetta, l’imprenditore doveva accettare il prezzo del mercato e in base a quello conformava le sue
scelte, nei mercati non concorrenziali l’impresa si trova a dover compiere valutazioni non solo sui prezzi, ma anche sulla risposta che i
consumatori daranno a incrementi o decrementi dei prezzi.
In concorrenza perfetta l’imprenditore poteva ‘ignorare’ i suoi
concorrenti in quanto le sue decisioni dipendevano dal prezzo di
mercato e dai costi della propria impresa. Come sarà dimostrato nel
corso del presente capitolo, l’interazione tra imprese, che può assumere le forme della collaborazione e della competizione, riveste un
ruolo fondamentale all’interno dei regimi oligopolistici.
10.2. Le caratteristiche del monopolio
L’impresa monopolista
è price-maker
188
In un mercato perfettamente concorrenziale esiste un numero sufficiente di compratori e venditori tale da non permettere a un singolo
compratore o venditore di influenzare il prezzo. Quest’ultimo, infatti, viene determinato dall’interazione della domanda e dell’offerta
di mercato e per questo motivo si afferma che l’impresa si comporta
da price-taker, ossia considera il prezzo come un dato limitandosi a
determinare la quantità di prodotto che le permetta di massimizzare
il profitto.
Il regime di monopolio è caratterizzato dalla presenza di un’unica
impresa che opera sul mercato e detiene perciò la totalità dell’offerta
del prodotto. In un tale mercato è assai improbabile che l’impresa
si comporti da price-taker come avviene nella concorrenza perfetta,
poiché sa di poter influenzare, con le proprie decisioni, il prezzo
di mercato. Di conseguenza, nel massimizzare il profitto l’impresa
monopolistica non sceglie solo la quantità da produrre, come abbiamo evidenziato per l’impresa concorrenziale, bensì anche il prezzo:
l’impresa monopolistica agisce perciò da price-maker.
Il fatto che nel monopolio vi sia una sola impresa che detiene la
totalità della produzione presente sul mercato significa che tutta la
domanda di mercato deve rivolgersi a quella singola impresa, poiché
essa rappresenta l’intera offerta. Esiste, quindi, una piena coincidenza
tra impresa e industria. Poiché il monopolista è l’unico produttore di
un bene, la curva di domanda di mercato mette in relazione il prezzo,
che il monopolista riceve, con la quantità che egli pone sul mercato.
Quindi, la funzione di domanda dell’impresa coincide con la funzione
di domanda del mercato e sarà decrescente da sinistra verso destra.
Nel mercato di concorrenza perfetta, invece, la funzione di domanda
dell’industria è decrescente da sinistra verso destra, mentre la funzione di domanda per la singola impresa, che non può assolutamente
10.2. Le caratteristiche del monopolio
influenzare il prezzo, coincide con la linea del prezzo ed è orizzontale.
In un regime di monopolio, il monopolista può far variare il prezzo: deve però considerare che appena il prezzo varia, la quantità domandata si adeguerà poiché il monopolista ha di fronte una curva di
domanda inclinata negativamente.
Se il monopolista ha di fronte una curva di domanda inclinata negativamente, la determinazione del profitto richiede un’analisi delle
caratteristiche della domanda.
Consideriamo la curva di domanda della Figura 10.1. A un prezzo pa la quantità domandata è pari a zero perché nessuno è disposto
ad acquistare il bene a quel prezzo. Ci troviamo nel punto A.
Mano a mano che il prezzo diminuisce e ci si muove lungo la
curva di domanda, la quantità tende ad aumentare.
Possiamo, quindi, immaginare che, pur di aumentare la quantità
venduta, il monopolista faccia talmente abbassare il prezzo da ridurlo praticamente a zero perché, in corrispondenza di quel prezzo,
riesce a soddisfare tutta la domanda di quel bene. Quando il prezzo
è zero, la quantità domandata è la massima possibile. Ci troviamo
nel punto B.
A un prezzo molto elevato, quindi, la quantità domandata è zero;
a un prezzo vicino a zero, praticamente nullo, la quantità domandata è la massima possibile. Se uniamo i due punti A e B otteniamo
la linea di domanda relativa a una impresa che opera in regime di
monopolio.
Questo ragionamento ha implicazioni sulla funzione di ricavo totale, che varia in relazione alla quantità venduta.
Ricordiamo che il ricavo totale è dato dal prezzo per la quantità,
si possono individuare già due valori della funzione di ricavo totale.
Quando il prezzo è molto elevato, la quantità venduta è pari a
zero, ci troviamo cioè nel punto A. Il ricavo totale sarà pari a zero
perché, per quanto possa essere elevato il prezzo, in corrispondenza
di una quantità venduta nulla il ricavo totale è nullo.
In corrispondenza di una quantità B, il prezzo è zero perché per
poter vendere la quantità B, che è massima, si deve scendere a un
prezzo zero: questo significa che il ricavo totale, in quel punto, è
zero.
È agevole intuire quanto sia diversa la funzione di ricavo totale
del monopolista rispetto a quella dell’imprenditore che opera in un
mercato di concorrenza perfetta.
In concorrenza perfetta è stato affermato in precedenza che la
funzione di ricavo totale era pari a zero in corrispondenza di una
quantità zero e poi cresceva al crescere della quantità venduta.
Nel caso di una funzione di ricavo totale del monopolista si hanno due casi limite: il ricavo totale vale zero in corrispondenza di una
quantità venduta pari a zero (punto A) e vale zero anche in corrispondenza di una quantità venduta altissima (punto B) perché, per
poter vendere quella quantità, si dovrà abbassare il prezzo fino ad
arrivare a zero.
prezzo
Pa A
B
quantità
Figura 10.1. – Linea
di domanda.
Il ricavo totale
per il monopolista
Elasticità della domanda
e andamento del ricavo
totale
189
10. mercati non concorrenziali
Tabella 10.1.
p qRT
10
100 1.000
Tabella 10.2.
p qRT
5
110 550
Tabella 10.3.
p qRT
5
300 1.500
Per esaminare l’andamento del ricavo totale il monopolista non
può prescindere dai valori dell’elasticità della domanda rispetto al
prezzo. L’imprenditore monopolista può far variare il prezzo, ma
quando il prezzo varia, cambia anche la quantità domandata.
Se il prezzo diminuisce, la caduta di prezzo ha ovviamente un impatto negativo sul livello del ricavo totale, però la quantità domandata
aumenta provocando un impatto positivo sul livello del ricavo totale.
Si hanno due opposte tendenze: da un lato abbiamo un effetto prezzo (p↓) in base al quale il ricavo totale diminuisce quando il prezzo
diminuisce; dall’altro, si ha un effetto quantità (q↑) in base al quale
il ricavo totale aumenta quando il prezzo diminuisce proprio perché
stanno aumentando le quantità.
Qual è il risultato di queste opposte tendenze? A seconda se prevalga l’effetto negativo o positivo si avrà un ricavo totale che aumenta o che diminuisce. Se prevale l’effetto negativo della caduta
di prezzo, il ricavo totale diminuisce. Se prevale l’effetto positivo
dell’aumento di quantità, il ricavo totale aumenta.
Per stabilire quale sia il risultato complessivo di queste due opposte tendenze si devono ricostruire i valori dell’elasticità della domanda
rispetto al prezzo; infatti l’aumento o la diminuzione del ricavo totale
dipende dal modo in cui la quantità domandata reagisce alle variazioni di prezzo.
Partiamo da una situazione iniziale di un prezzo pari a 10 e di
quantità vendute 100: il ricavo totale (p · q) sarà pari a 1.000 (Tabella
10.1.).
Supponiamo che il prezzo scenda a 5 e la quantità domandata
aumenti a 110: in questo caso si ha una forte caduta del prezzo (da
10 a 5) e un debole aumento della quantità domandata. Ci dobbiamo aspettare una caduta del valore del ricavo totale: infatti il ricavo
totale (5q) sarà pari a 550 (Tabella 10.2.).
La caduta del prezzo è più alta di quanto non sia stato l’aumento
di quantità.
Supponiamo che il prezzo da 10 scenda a 5, ma la quantità domandata passi da 100 a 300 (Tabella 10.3.).
In questo caso il ricavo totale aumenta perché la variazione di
quantità è di gran lunga più accentuata della variazione di prezzo.
Misuriamo il confronto tra variazioni di quantità e di prezzo con
l’elasticità della domanda rispetto al prezzo.
Ricordiamo che l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è data dalla variazione percentuale della quantità domandata sulla variazione percentuale del prezzo:
Se la domanda è elastica
quando il prezzo
diminuisce il ricavo totale
aumenta
190
Se la domanda è elastica, significa che la variazione percentuale della
quantità è superiore alla variazione percentuale del prezzo, quindi l’im-
10.2. Le caratteristiche del monopolio
patto negativo dovuto a una caduta del prezzo è più che compensato da
un impatto positivo dovuto a un aumento della quantità venduta.
Viceversa, se la domanda è anelastica, significa che le variazioni
percentuali della quantità domandata sono inferiori alle variazioni
percentuali del prezzo, quindi l’impatto negativo della caduta di
prezzo è maggiore dell’impatto positivo esercitato dall’aumento della quantità. Nel primo caso, nonostante la quantità sia aumentata, il
ricavo totale è diminuito perché siamo in un tratto anelastico della
curva di domanda. Nel secondo caso, il ricavo totale aumenta perché
la domanda è elastica (Tabella 10.4.).
Facciamo un altro esempio. Illustriamo la relazione tra quantità
e prezzo e supponiamo di avere quantità 0, 1, 2, … Con un prezzo
molto elevato, pari a 1.000, la quantità venduta di questo bene è
nulla; man mano che il prezzo diminuisce, la quantità di domanda
aumenta (Tabella 10.5.).
Il ricavo totale è dato da RT = p · q.
Conosciamo i due valori estremi del ricavo totale: quando la
quantità è zero, il ricavo totale sarà pari a zero; quando il prezzo è
zero, il ricavo totale sarà sempre pari a zero.
Al variare del prezzo, la quantità domandata varia. Questo significa che non conosciamo e non possiamo affermare con precisione,
in anticipo, quale sia l’andamento della funzione di ricavo totale:
dobbiamo studiarla in relazione ai rapporti tra le due variazioni di
quantità e di prezzo.
Per sviluppare l’analisi è indispensabile considerare il ricavo medio e il ricavo marginale.
Il ricavo medio (RMe) è dato dal rapporto tra il ricavo totale e la
quantità:
In questo caso il ricavo medio coincide con il prezzo.
Il ricavo marginale (RMg) è, invece, la variazione del ricavo totale
al variare della quantità venduta (è la differenza tra 90 e 50, tra 120 e
90, tra 140 e 120, e così via).
L’andamento della funzione di ricavo medio coinciderà con l’andamento della linea del prezzo.
L’andamento della funzione di ricavo marginale è decrescente,
infatti il ricavo totale aumenta, ma gli incrementi sono via via sempre
più piccoli. Continuando ad aumentare la produzione, e quindi a
diminuire il prezzo, si arriverà ad un punto in cui il ricavo marginale
è zero (quando passiamo da q = 5 a q = 6 in Tabella 10.5.), ossia pur
essendo stata prodotta un’unità aggiuntiva, il ricavo totale non cambia. Continuando ad aumentare la produzione, inizieremo ad avere
ricavi marginali negativi, perché il ricavo totale sta decrescendo. Vi
sarà perciò una quantità in corrispondenza della quale il ricavo totale
non aumenterà più e una quantità a partire dalla quale il ricavo totale
diminuirà (Figura 10.2.).
Tabella 10.4.
I caso
pq
10
100
5
110
II caso
pq
10
100
5
300
Ricavo marginale
Tabella 10.5.
q pRT
01.000
0
1 5050
2 4590
3 40120
4 35140
5 30150
6 25150
7 20140
… … …
… … …
1.000
0
0
191
10. mercati non concorrenziali
Ricordiamo quanto affermato sui valori dell’elasticità della domanda e sulla rappresentazione grafica della curva di domanda.
Nel punto in cui è esattamente divisa a metà la distanza tra zero e
la quantità massima domandata, il valore dell’elasticità della domanda è pari a 1. In tutto il tratto superiore, l’elasticità della domanda è
superiore a 1; viceversa, nel tratto inferiore l’elasticità della domanda
è minore di 1, cioè la domanda è anelastica.
In un regime di monopolio, il prezzo non è più una costante per
l’impresa, come nel caso della concorrenza perfetta, e tra prezzo e
quantità vi è una relazione inversa.
Possiamo analizzare tre ipotesi.
La prima è che la variazione percentuale della quantità sia maggiore della variazione percentuale del prezzo:
In questo caso alla diminuzione del prezzo, la quantità domandata
aumenta e l’incremento della quantità domandata non solo annulla
l’effetto negativo dovuto alla diminuzione del prezzo, ma fa crescere
il ricavo totale.
La seconda ipotesi è che la variazione percentuale della quantità
uguale
alla variazione percentuale del prezzo:
sia
In questo caso, una caduta del prezzo del 10% è compensata da un
aumento della quantità domandata del 10%: il ricavo totale rimane
inalterato perché le due tendenze sono di uguale entità, di uguale
RT
RMg 9
RMe
8
ricavo medio
ricavo marginale
ricavo totale
7
6
domanda
elastica
5
4
domanda
anelastica
3
2
1
Figura 10.2. – Ricavo totale,
ricavo marginale
e ricavo medio in regime
di monopolio.
192
O
1
2
3
4
5
6 Q
10.2. Le caratteristiche del monopolio
valore. Quando la variazione percentuale della quantità coincide con
la variazione percentuale del prezzo, il ricavo totale non si modifica.
La terza ipotesi si manifesta ogni volta in cui la variazione percentuale della quantità domandata è inferiore alla variazione percentuale
del prezzo:
Questo significa che l’incidenza negativa sul ricavo totale della caduta del prezzo è maggiore dell’incidenza positiva che il conseguente
aumento della quantità esercita sul ricavo totale.
Ogni volta che la variazione percentuale della quantità domandata è maggiore della variazione percentuale del prezzo, la domanda è
elastica; tutte le volte in cui si verifica l’uguaglianza tra la variazione
percentuale della quantità e la variazione percentuale del prezzo, la
domanda ha elasticità pari a 1; ogni volta che la variazione percentuale della quantità è inferiore alla variazione percentuale del prezzo,
la domanda è anelastica o rigida.
Questi tre valori dell’elasticità si incontrano procedendo lungo
una stessa curva di domanda.
Mano a mano che ci si sposta da sinistra verso destra, l’elasticità
diminuisce.
Pertanto nella funzione di ricavo totale sono presenti tutte e tre
queste ipotesi, cioè il caso in cui il ricavo totale aumenta, il caso in
cui il ricavo totale rimane stazionario e quello in cui il ricavo totale
diminuisce.
Se osserviamo la serie di dati presentata in precedenza (Tabella
10.5.) possiamo notare che il ricavo totale aumenta fino alla quantità
5, rimane stazionario tra la quantità 5 e la quantità 6, e comincia a
decrescere a partire dalla 7a unità in poi. Questo significa che fino
alla 5a unità siamo in presenza di una variazione percentuale della
quantità superiore alla variazione percentuale del prezzo, cioè nel
tratto elastico della funzione di domanda.
Nel tratto tra la 5a e la 6a unità, il ricavo totale rimane invariato.
Significa che siamo in presenza di un valore dell’elasticità della domanda pari a 1. La caduta del prezzo è pienamente compensata, dal
punto di vista dell’impatto sul valore del ricavo totale, dall’aumento
della quantità. A partire dalla 7a unità, ci troviamo nel tratto anelastico della funzione di domanda (Figura 10.3.).
Riassumendo, quindi, possiamo affermare che la funzione di ricavo totale in regime di monopolio parte da un punto pari a zero in
corrispondenza di una quantità pari a zero; raggiunge il suo punto
di massimo nel punto B, in corrispondenza di un’elasticità della domanda pari a 1; diventa ancora zero nel punto M perché, in questo
punto, il prezzo è pari a zero (Figura 10.4.).
La funzione di ricavo marginale si annulla nel punto in cui il ricavo totale è massimo, diventa negativa nel tratto in cui il ricavo totale
diminuisce. Il ricavo marginale, infatti, è definito come variazione
I valori dell’elasticità
Il ricavo marginale
193
10. mercati non concorrenziali
P
tr
an atto
ela
sti
co
tr
ela atto
sti
co
N
E=1
p
Figura 10.3.
O
linea di domanda
= RMe
ricavo totale
A
M
Q
P
N
p
Figura 10.4.
O
linea di domanda
= RMe
RT
RMg
B
E
A
M
Q
del ricavo totale sulla variazione della quantità: se il valore del ricavo
totale diminuisce, questi valori sono negativi (dal punto A a seguire).
Il ricavo marginale ha valori positivi, ma via via sempre più piccoli,
nel tratto precedente OA.
È sulla base della specifica funzione di domanda e sulla relativa
funzione di ricavo totale che il monopolista determina la quantità in
corrispondenza della quale il profitto è massimo, ossia è massima la
differenza tra ricavi totali e costi totali.
La funzione di costi totali si presenta con andamento analogo a
quella che abbiamo esaminato per una impresa che opera in concorrenza perfetta. I costi totali crescono all’aumentare della quantità
prodotta, con incrementi dapprima decrescenti e poi via via crescenti. Il costo marginale è dapprima decrescente, raggiunge un punto di
minimo, e poi diventa crescente.
Supponiamo di esaminare le scelte di una impresa che opera in
regime di monopolio con funzioni di costo totale e di ricavo totale
con le caratteristiche illustrate nella Figura 10.5.
Come è agevole verificare, una impresa che abbia l’andamento
del costo totale e del ricavo totale riportati nel grafico non è assolutamente in grado di operare sul mercato, perché i costi totali sono sistematicamente superiori ai ricavi totali. Può essere utile ricordare che
le caratteristiche assunte dalla funzione di costo totale dipendono
dalle caratteristiche della funzione di produzione di quell’impresa.
194
10.2. Le caratteristiche del monopolio
Abbiamo esposto questo caso per evidenziare che le scelte dell’impresa non dipendono solamente dalle caratteristiche della curva
di domanda e quindi dalle caratteristiche della funzione di ricavo
totale che ne consegue. La decisione relativa alla massimizzazione del
profitto è strettamente collegata anche alla funzione di costo, che deriva a sua volta dalle caratteristiche della funzione di produzione.
Nella Figura 10.6. illustriamo il caso di una impresa monopolista la cui funzione di costi consente di produrre e di determinare la
quantità da offrire sul mercato.
La massima distanza che vi è tra la funzione di costo totale e la
funzione di ricavo totale (e quindi la massima differenza tra costi e
ricavi) si ha in corrispondenza del punto in cui le due funzioni hanno
uguale pendenza.
Nell’esempio riportato nella rappresentazione grafica, la massimizzazione del profitto si realizza in corrispondenza del punto E, che
individua la quantità Oq. La quantità Oq è quella che consente di
massimizzare il profitto, perché massima è la distanza tra ricavi totali
e costi totali. Sappiamo, però, che la pendenza della funzione di ricavo totale altro non è che il ricavo marginale e la pendenza del costo
totale rappresenta il costo marginale. Nel punto E questi valori sono uguali. Possiamo, quindi, affermare che la quantità che consente
all’imprenditore, che opera in regime di monopolio di massimizzare
CT
RT
La massimizzazione
del profitto
CT
RT
Figura 10.5. – Costo totale
e ricavo totale
per una impresa
monopolista.
Q
O
RT
CT
CT
RT
B
E
O
q
M
Q
Figura 10.6.
195
10. mercati non concorrenziali
Il principio
dell’eguaglianza,
ricavo marginale
e costo marginale
Prezzo e ricavo marginale
il profitto, è quella in corrispondenza della quale il ricavo marginale
è uguale al costo marginale.
Il principio dell’eguaglianza ricavo marginale e costo marginale si
applica pertanto, anche in regime di monopolio, come si era applicato per una impresa perfettamente concorrenziale. La similitudine
fra le due forme di mercato va circoscritta solamente a questo aspetto. Infatti, in concorrenza perfetta si realizza anche l’eguaglianza fra
ricavo marginale, ricavo medio e prezzo. Questa eguaglianza non si
riscontra invece per l’impresa monopolista.
Mentre, dunque, per l’impresa perfettamente concorrenziale il
prezzo coincide con il valore del ricavo marginale, per l’impresa
monopolista dopo aver determinato la quantità che le consente di
massimizzare il profitto si deve individuare il prezzo di vendita. Per
risolvere questo problema, dobbiamo esaminare la funzione di domanda per vedere a quale prezzo il mercato è disposto ad acquistare
la quantità immessa sul mercato. Come possiamo verificare nella Figura 10.7., il prezzo corrisponde a Op1.
Abbiamo ribadito che, in corrispondenza della quantità Oq, la
pendenza delle funzioni di costo totale e di ricavo totale sono identiche e perciò il costo marginale è uguale al ricavo marginale. Possiamo rappresentare graficamente l’equilibrio dell’imprenditore che
opera in regime di monopolio anche analizzando le funzioni di ricavo marginale e di costo marginale. Come illustrato in precedenza, la
funzione di ricavo marginale è decrescente da sinistra verso destra e
raggiunge il valore zero in corrispondenza del punto in cui il ricavo
totale raggiunge il suo punto di massimo.
Se il produttore volesse vendere la quantità Oq a un prezzo più
elevato, i consumatori non sarebbero disposti ad acquistarla. Infatti,
se l’impresa volesse fissare un prezzo maggiore di p1 la domanda si
ridurrebbe e, data la funzione di costo marginale, non si raggiungerebbe più la massimizzazione del profitto.
Per tutti questi motivi, dati i valori dell’elasticità della domanda,
la massimizzazione del profitto, per un imprenditore in regime di
monopolio, si realizza in corrispondenza della quantità in cui i ricavi
marginali sono uguali ai costi marginali. In questo punto la distanza
CMg
RMg
p1
linea di domanda
RMg
CMg
H
E
O
Figura 10.7.
196
q
Q
10.2. Le caratteristiche del monopolio
tra i costi totali e i ricavi totali è massima e questo permette di individuare la quantità da produrre.
La principale differenza tra un imprenditore che opera in regime
di monopolio e uno in regime di concorrenza perfetta non riguarda
l’andamento dei costi marginali ma quello del ricavo marginale.
In concorrenza perfetta, in corrispondenza della quantità in cui il
profitto è massimo, costo marginale e prezzo sono uguali (CMg = p).
Questo non è più vero per un mercato di monopolio, perché non
vi è l’uguaglianza tra ricavo marginale e prezzo (Figura 10.8.). I consumatori sono disposti a comprare la quantità Oq se il prezzo è pari
a p 1.
La quantità Oq, quindi, viene immessa sul mercato a un prezzo
p1 che è maggiore del valore assunto dal ricavo marginale. Viceversa,
in concorrenza perfetta il prezzo coincide con il ricavo marginale.
Corollario all’analisi che abbiamo fin qui svolta è che l’impresa in
regime di monopolio non produrrà mai in corrispondenza del tratto
anelastico della propria curva di domanda. Infatti, quando l’elasticità
della domanda è inferiore a 1 il ricavo totale diminuisce e il ricavo
marginale assume valori negativi. La massimizzazione del profitto
può essere raggiunta solamente in corrispondenza di quantità che
ricadono nel tratto elastico della curva di domanda. Possiamo allora
affermare che l’equilibrio del monopolista si avrà nel punto di incontro tra costo marginale e ricavo marginale, nel tratto in cui il ricavo
marginale è decrescente ma assume comunque valori positivi.
Se nel monopolio si dovesse applicare la stessa logica che abbiamo applicato nella concorrenza perfetta, il prezzo si determinerebbe
dall’incontro tra la domanda e l’offerta. L’offerta è il tratto ascendente della funzione di costo marginale. In concorrenza perfetta il
punto di equilibrio sarebbe stato E. In corrispondenza di questo
punto di equilibrio la quantità sarebbe stata maggiore di quella che
si ha per il monopolista e il prezzo sarebbe stato inferiore. A parità
di funzione di costi, in un regime di monopolio, il prezzo di vendita
sarà superiore a quello che si sarebbe avuto in regime di concorrenza
perfetta, nel quale il prezzo di equilibrio sarebbe stato pe e la quantità immessa sul mercato OH.
P
linea di domanda
RMg
CMg
p1
pE
E
B
O
q
H
Q
Figura 10.8.
197
10. mercati non concorrenziali
Monopolio senza costi
198
Per completare l’analisi è importante esaminare il caso in cui si abbia
un monopolio senza costi, qualora il monopolista riesca a immettere sul mercato quantità senza sostenere i costi (Figura 10.9.). Quale
quantità immetterà sul mercato? Vale lo stesso principio secondo il
quale si immette sul mercato quella quantità in cui il ricavo marginale deve essere uguale al costo marginale?
Se il costo totale è nullo, quello marginale è zero. Questo significa che se vale il principio dell’uguaglianza tra costo marginale e
ricavo marginale, la quantità che massimizza il profitto è quella in
cui il ricavo marginale è zero. Esiste una quantità in cui il ricavo
marginale è zero ed è il punto in cui si annulla, cioè il punto H. In
questo caso, costo marginale e ricavo marginale, sono uguali a zero
e si eguagliano.
In caso di assenza di costi l’imprenditore, per massimizzare il profitto, si collocherà nel punto di massimo del ricavo totale e venderà
la corrispondente quantità a un prezzo pe, in relazione a un valore
unitario dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo. Anche in
questa eventualità il prezzo è maggiore del ricavo marginale. Il prezzo
di vendita si determina sulla funzione di domanda: la quantità OH è
venduta al prezzo pe.
Abbiamo visto che in un mercato concorrenziale esiste una precisa relazione tra quantità offerta e prezzo, relazione che consiste
appunto nella curva di offerta, che esprime la quantità che verrà prodotta in corrispondenza di ogni prezzo.
In un mercato monopolistico, invece, non esiste una curva dell’offerta, non esiste cioè una relazione univoca tra il prezzo e la quantità
prodotta. Il motivo risiede nel fatto che la decisione di quanto produrre per il monopolista dipende non soltanto dalla curva del costo
marginale ma anche dalla forma della curva di domanda. Infatti, variazioni della domanda non si trasformano in nuove combinazioni di
prezzi e di quantità come accade con una curva di offerta in un mercato concorrenziale. Si può notare come variazioni della domanda
possono condurre ad una variazione di prezzo e a nessuna variazione
della produzione, oppure a variazioni della quantità e a nessuna variazione di prezzo o, infine, a variazioni sia di quantità sia di prezzo.
Possiamo osservare graficamente quanto appena detto (Figura
10.10.). Essendo D1 la curva di domanda iniziale, RMg1 la relativa
curva del ricavo marginale e p1 e q1 la combinazione iniziale di prezzo e quantità, possiamo notare come, a seguito di uno spostamento
della curva di domanda verso il basso in D2, la nuova curva del ricavo
marginale, RMg2, interseca la curva del costo marginale in corrispondenza dello stesso punto rispetto a RMg1. Quindi, la quantità prodotta rimane invariata, mentre il prezzo diminuisce da p1 a p2.
Nel caso in cui la curva di domanda si sposti in D3 (Figura 10.11.)
ruotando verso l’esterno, la nuova curva del ricavo marginale, RMg3,
si incrocia con la curva del costo marginale in corrispondenza di una
quantità superiore q3. Il prezzo, tuttavia, rimane invariato.
Questi casi mostrano, quindi, una importante distinzione tra una
10.2. Le caratteristiche del monopolio
P
linea di domanda
RMg
CMg = 0
E
pe
H
O
Q
Figura 10.9.
P
CMg
D1
D2
RMg1
RMg2
p1
p2
O
q1=q2
Q
Figura 10.10.
P
CMg
D1
D3
RMg1
RMg3
p1 = p3
O
q1
q3
Q
Figura 10.11.
impresa monopolistica e una di concorrenza perfetta: mentre un settore
concorrenziale offre una determinata quantità per ogni prezzo, questa
relazione univoca non esiste più in un mercato monopolistico. Infatti,
a seconda di come varia la curva di domanda, si può avere una variazione della quantità offerta mentre il prezzo rimane invariato o, al
contrario, si potrebbe modificare il prezzo ma non la quantità offerta.
10.3. Il monopolista discriminante
Il monopolista può applicare un prezzo uniforme, oppure discriminare a seconda dei consumatori.
Discriminare significa che il monopolista applica prezzi diversi
per lo stesso bene.
199
10. mercati non concorrenziali
Ad esempio , il consumatore X paga un prezzo diverso da quello
pagato dal consumatore Y, come risultato delle strategie di prezzo
adottate dal monopolista. Per poter differenziare il prezzo, l’impresa
deve avere informazioni quanto più precise possibili sulla domanda
dei singoli consumatori (o gruppi di consumatori). In base al livello
della conoscenza che il monopolista ha della disponibilità a pagare
per i diversi livelli di prezzo da parte dei consumatori, possiamo distinguere tre tipi di discriminazione:
a. discriminazione di primo grado, o discriminazione perfetta;
b. discriminazione di secondo grado, o discriminazione di quantità;
c. discriminazione di terzo grado, o discriminazione per classi.
Il monopolista può applicare la discriminazione di primo grado se
ha una perfetta conoscenza della disponibilità a pagare da parte dei
singoli consumatori nei confronti dei quali applicare la strategia di
prezzi differenziati. In questa eventualità, si registra un aumento del
profitto.
Nella discriminazione di secondo grado, il monopolista vende diverse quantità di beni a prezzi diversi. Pertanto, i consumatori che
acquistano la stessa quantità pagano identico prezzo. Ad esempio,
per acquistare tre unità in unico blocco di un bene si paga un dato
prezzo, supponiamo 120 €, pari a 40 € per ciascuna unità; per acquistarne una sola il prezzo è di 50 €. In questo modo si discrimina per
quantità, incentivando l’acquisto da parte del consumatore di più
unità per lo stesso bene. Il caso delle vendite abbinate rientra nella
tipologia della discriminazione di secondo grado.
Nella discriminazione di terzo grado, il monopolista vende lo
stesso bene a prezzi diversi, differenziati per gruppi. Ad esempio,
prezzo di ingresso a un concerto differenziato per classi di età.
10.4. Mercati oligopolistici
Il mercato di oligopolio è caratterizzato dalla presenza di un limitato
numero di imprese offerenti un dato bene e da un numero indefinito
di richiedenti questa merce. Essendo poche le imprese che operano
nel mercato, sono probabilmente di grandi dimensioni e quindi hanno un peso rilevante in rapporto alla domanda che sono in grado di
coprire.
Ciò induce ciascuna di esse a tenere in debita considerazione l’offerta delle altre. La grande dimensione, inoltre, può dare all’impresa
una forza tale da consentirle di influire in qualche modo sul prezzo
di mercato.
La presenza di mercati oligopolistici nella realtà è piuttosto diffusa, specialmente per quei settori in cui l’aumento delle dimensioni
dell’impresa può dar luogo alla formazione di consistenti economie
di scala, ovvero a rendimenti globali crescenti (si pensi al settore automobilistico o a quello delle telecomunicazioni).
200
Parte III
EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE
E SCELTE PUBBLICHE
12.
EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE
ED ECONOMIA DEL BENESSERE
12.1. Alcune nozioni di economia del benessere
L’obiettivo fondamentale dell’economia del benessere è fornire strumenti di valutazione al fine di effettuare delle scelte in un quadro
condiviso. In sintesi, l’economia del benessere consente la classificazione di situazioni economiche ritenute preferibili, che possono
essere modificate attraverso interventi di policy ai fini di modificare
l’efficienza allocativa delle risorse e l’equità distributiva delle stesse.
I due distinti piani di analisi individuati, quello dell’efficienza e
quello dell’equità, nel corso dell’analisi spesso vengono posti in contrapposizione nell’ambito di un trade-off tra equità redistributiva ed
efficienza allocativa.
Vilfredo Pareto, economista italiano vissuto a cavallo tra il XIX
e il XX secolo, ha individuato un criterio, largamente accettato, per
definire una situazione ottimale o efficiente che consenta la cosiddetta efficienza allocativa in termini di benessere degli individui. Più
precisamente, tale concetto stabilisce che l’allocazione delle risorse di
una data società è efficiente se non è possibile, mediante una qualche
modificazione, aumentare l’utilità di almeno un individuo senza diminuire quella degli altri. Per converso, una situazione è inefficiente se
è possibile aumentare l’utilità anche di un solo individuo lasciando
invariata l’utilità dei restanti individui.
Come risulta chiaro, tale principio si basa essenzialmente sull’analisi dell’efficienza allocativa trascurando completamente ogni problema di carattere redistributivo. L’efficienza allocativa paretiana si
fonda su due principi: l’individualismo etico (che postula che ciascun
individuo è sempre il miglior giudice della propria utilità) e il principio dell’aggregazione (cioè la considerazione congiunta delle preferenze individuali).
L’utilità individuale viene valutata mediante la teoria microeconomica della massimizzazione dell’utilità del consumatore, mentre il
principio dell’aggregazione si esplica, come abbiamo detto, nell’idea
di ‘ottimo paretiano’ secondo cui uno stato del mondo è un ottimo
paretiano se, date determinate condizioni iniziali, non è possibile aumentare l’utilità di un individuo senza diminuire quella di qualcun
altro.
L’efficienza allocativa
paretiana
L’ottimo paretiano
245
12. Equilibrio economico generale ed economia del benessere
Ma, ribadiamo, il concetto di ottimo paretiano non consente di
effettuare alcune valutazioni in caso di interventi redistributivi. Per
superare tale limite logico, alcuni economisti (tra gli altri, John Hicks
e Nicholas Kaldor) hanno introdotto un ‘criterio di compensazione’
secondo il quale uno stato del mondo A può essere giudicato preferibile ad uno stato del mondo B anche se il passaggio da B ad A comporta il peggioramento della situazione di alcuni individui, se coloro
che sono avvantaggiati sono in grado di compensare integralmente i
soggetti svantaggiati e rimanere, tuttavia, in una situazione migliore
rispetto a quella goduta nello stato del mondo B; non è, tuttavia,
essenziale che la compensazione sia concretamente effettuata, in
quanto l’opportunità o meno di una compensazione è un problema
che attiene alla sfera distributiva la cui applicazione è affidata, nella
logica paretiana, alle scelte del policy-maker.
L’impostazione moderna dell’economia del benessere, che vede
in Abraham Bergson uno tra i suoi principali esponenti, ha puntato
sulla formalizzazione esplicita di criteri per confrontare le utilità dei
diversi individui, tramite la costruzione di funzioni di benessere sociale
attraverso le quali possiamo esprimere le preferenze dello Stato circa
la distribuzione del benessere. Ma passiamo ora ad analizzare, più
specificamente, le condizioni di efficienza di un sistema economico.
12.2. C
ondizioni di efficienza
di un sistema economico
L’equilibrio economico
generale
x
F
O
P y
Figura 12.1. – Frontiera
di produzione.
246
Consideriamo la più semplice delle economie in cui esiste un unico
fattore della produzione (il lavoro, L) utilizzato per produrre due
beni x ed y da distribuire per il consumo ai due soggetti che compongono la collettività, A e B. Qui di seguito svilupperemo un’analisi del cosiddetto equilibrio economico generale, ambito in cui è
riscontrabile l’equilibrio nei diversi mercati che compongono l’economia. Nell’ipotesi di concorrenza perfetta, più precisamente, tale
equilibrio economico generale è garantito da una struttura di prezzi
che assicuri l’eguaglianza fra domanda e offerta in tutti i mercati.
Infatti, nel modello di equilibrio economico generale, gli scambi di
beni avvengono soltanto quando sia stato raggiunto un prezzo di
equilibrio che assicuri la perfetta coincidenza tra domanda e offerta. Nella formulazione del modello di equilibrio generale proposta
dall’economista francese Walras, si ipotizza l’esistenza di un ipotetico banditore il quale dà il via agli scambi tra gli operatori soltanto
quando si è giunti alla fissazione di un prezzo che assicura il perfetto
equilibrio tra domanda e offerta in un contesto di concorrenza perfetta.
Iniziamo ad analizzare il lato della produzione: la quantità del
fattore produttivo (L) è data, e può essere utilizzata alternativamente
per la produzione dei beni x e y. In Figura 12.1. abbiamo riportato
la funzione di produzione che individua tutte le possibili coppie di
12.2. Condizioni di efficienza di un sistema economico
output (x ed y) che possono essere prodotte dato il fattore L. Se il
lavoro dovesse essere impiegato interamente per produrre x, allora
si potrebbe ottenere una quantità di x pari al segmento OF; simmetricamente, se si producesse soltanto il bene y allora si produrrebbe
una quantità pari al segmento OP. Tutti i punti che giacciono nell’area OFP rappresentano possibili combinazioni di x ed y ottenibili
dato il fattore L. Più precisamente, tutte le combinazioni che giacciono sulla frontiera FP implicano una produzione di x ed y che utilizzi
completamente l’input L di produzione. Dunque, possiamo definire
la frontiera di produzione FP il luogo geometrico delle combinazioni
efficienti di x ed y.
Tale frontiera di produzione è inclinata negativamente poiché la
quantità di lavoro disponibile è considerata costante e, dunque, la
produzione di un bene può essere aumentata solo diminuendo quella di un altro. Inoltre, la frontiera avrà concavità rivolta verso l’origine
poiché la produzione avviene in condizioni di costi relativi crescenti.
L’inclinazione della curva FP equivale al saggio marginale di trasformazione (SMT), che indica, come già evidenziato, la quantità di
produzione di un bene (ad esempio cibo) alla quale si deve rinunciare per ottenere un’unità aggiuntiva di un altro bene (ad esempio
vestiario).
Possiamo dimostrare che il SMTxy è pari al rapporto tra il costo
marginale di x e quello di y. Infatti, avremo SMT =
La frontiera di produzione
Il saggio marginale
di trasformazione
, in cui
può essere interpretato come il rapporto tra la variazione
marginale della quantità di lavoro (unico fattore della produzione)
richiesta per diminuire la produzione di x (cioè
) e la varia-
zione marginale richiesta per aumentare la produzione di y (cioè
). Poiché il fattore lavoro è l’unico input della produzione,
si avrà che
= CMgx e
= CMgy, da cui risulta SMT =
.
Dunque, i punti sulla funzione di produzione rappresentano
combinazioni efficienti dei due prodotti. Dobbiamo, a questo punto,
effettuare la scelta della combinazione efficiente a partire dalla quale
non è possibile aumentare l’utilità di un consumatore senza ridurre
quella di un altro.
Per condurre tale analisi, partiamo nuovamente dalla frontiera
di produzione e ipotizziamo che l’ipotetico pianificatore scelga di
fissare la produzione in P’ dove verranno prodotte OXʹ quantità del
bene x, ed OYʹ quantità del bene y, come riportato nella Figura 12.2.
Il rettangolo OXʹPʹYʹ è chiamato scatola di Edgeworth, dal nome
dell’economista inglese che lo ha usato per la prima volta. La dimensione della scatola dipende dalla disponibilità totale dei due beni
presenti sul mercato e ogni punto all’interno del rettangolo rappresenta una certa distribuzione dei due beni tra i due individui.
Consideriamo un punto qualunque all’interno del rettangolo, ad
La scatola di Edgeworth
247
12. Equilibrio economico generale ed economia del benessere
esempio V, che rappresenta la dotazione iniziale. Questo sta a significare che l’individuo A ha una dotazione iniziale di OL unità
del bene y e di OK unità del bene x, mentre l’individuo B ha una
dotazione iniziale di PʹM unità del bene y e di PʹN unità del bene x.
I gusti dei due individui sono rappresentati da due mappe di curve
di indifferenza riportate rispettivamente in Figura 12.3a. e 12.3b.;
invertendo gli assi è possibile rappresentare le mappe dei due individui in un unico grafico in cui le curve di indifferenza dell’individuo
A sono disegnate rispetto ai lati che hanno origine in O e quelle
dell’individuo B sono disegnate rispetto ai lati che hanno origine in
Pʹ (Figura 12.3c.). Tale grafico sarà di seguito utilizzato per individuare quantità dei due beni in dotazione ai due individui che siano
Pareto-efficienti.
Ritorniamo ora a considerare la distribuzione dei due beni, arbitrariamente scelta, diciamo in V in Figura 12.4. La domanda che ci
poniamo è, dunque, se tale punto sia Pareto-efficiente o meno. Per
verificare tale condizione dobbiamo valutare se esistono dei punti
nella scatola di Edgeworth per cui l’utilità di almeno uno dei due soggetti aumenti senza che diminuisca quella dell’altro. Come abbiamo
visto, il punto V comporta una certa distribuzione del bene x e del
bene y fra l’individuo A e l’individuo B. Il punto V, che è il punto
di intersezione fra le due curve, appartiene alla curva di indifferenza
1A dell’individuo A e alla curva di indifferenza 1B dell’individuo B.
Figura 12.2. – Scatola
di Edgeworth.
x
P'
M
X'
V
K
N
Figura 12.3.
curve di
indifferenza A
curve di
indifferenza B
y
O
L
y
Y'
P'
Bene y
y
O
248
x
(a)
P'
x
(b)
O
Bene x
(c)
12.2. Condizioni di efficienza di un sistema economico
Supponiamo ora di spostarci da V a Vʹ; in Vʹ c’è una diversa distribuzione del bene x e del bene y fra i due individui; però, nel passaggio
da V a Vʹ l’individuo A resta sulla stessa curva di indifferenza 1A e
l’individuo B va su una curva di indifferenza più alta, cioè 3B. Il punto V, infatti, è il punto di contatto fra 1A e 1B e quindi appartiene ad
entrambe le curve. Nel passaggio da V a Vʹ l’individuo A non viene
danneggiato, ma l’individuo B viene avvantaggiato. Pertanto, V non
è una situazione di ottimo paretiano, perché Vʹ è migliore di V.
In maniera simmetrica i due individui da V, anziché andare a Vʹ,
potrebbero andare a Vʺ. In questo caso, l’individuo A va su una curva di indifferenza più alta, cioè 3A, e l’individuo B resta sulla stessa
curva di indifferenza, cioè 1B. Nel passaggio da V a Vʺ l’individuo A
viene avvantaggiato, ma l’individuo B non viene danneggiato. Quindi, anche in questo caso, uno dei due individui ha migliorato la propria situazione senza danneggiare l’altro. Lo spostamento da V ad un
punto interno all’area racchiusa tra le curve 1A e 1B, ad esempio V*,
avverrà attraverso scambi volontari tra i due individui: l’individuo A
troverà conveniente vendere unità del bene x in cambio di unità del
bene y, perché in tal modo andrà su una curva superiore, e l’individuo B venderà unità del bene y in cambio di unità del bene x per lo
stesso motivo.
Riassumendo, partendo dalla distribuzione iniziale V, si possono individuare un numero infinito di equilibri Pareto-efficienti, tutti
all’interno della porzione di spazio compresa tra le curve di indifferenza 1A ed 1B. Più precisamente, tutti i punti di equilibrio Paretoefficienti che si possono raggiungere grazie allo scambio, partendo
da V, giacciono lungo il tratto di curva compreso tra Vʹ e Vʺ, perché
da essi non è possibile spostarsi senza danneggiare almeno un individuo. In ogni punto di contatto si verifica, inoltre, l’uguaglianza fra i
x
Frontiera di produzione
Curve di indifferenza A
Curve di indifferenza B
SMT
Curva dei contratti
3A
X'
1A 2A M
V
V*
K
P'
V''
N
V'
2B
3B
O
L
1B
Y'
y
Figura 12.4.
249
12. Equilibrio economico generale ed economia del benessere
saggi marginali di sostituzione (formalmente avremo SMSA = SMSB),
giacché le due curve hanno la stessa pendenza. Si ricordi che il SMS
è un rapporto di quantità, in quanto il rapporto tra i prezzi relativi
dei due beni
La curva dei contratti
Prima condizione di
efficienza dello scambio
individua la quantità di bene x a cui bisogna ri-
nunciare per ottenere una unità del bene y. Pertanto, l’uguaglianza
dei SMS implica che entrambi gli individui non hanno più interesse
a sostituire i due beni tra di loro e, pertanto, si raggiunge l’efficienza
nello scambio.
Congiungendo tutti i punti Pareto-efficienti così ottenuti, individuiamo la curva dei contratti, così chiamata poiché è costituita dai
punti che vengono raggiunti mediante gli scambi volontari tra i due
individui. Infatti, gli individui si sposteranno dai punti di intersezione e mediante gli scambi che sono convenienti raggiungeranno i
punti di contatto, dai quali non si sposteranno perché in un punto
di contatto lo scambio non può avvenire se non danneggiando uno
dei due.
Partendo dalla curva dei contratti possiamo ora formulare la prima condizione di efficienza dello scambio: si ha una situazione efficiente nello scambio quando si registra l’uguaglianza nei saggi marginali di sostituzione dei beni interessati allo scambio.
Come possiamo notare, abbiamo individuato un numero infinito
di punti di ottimo paretiano, ciascuno caratterizzato da una diversa
distribuzione del reddito tra gli individui, in quanto generato da una
diversa dotazione iniziale delle risorse. Tali punti sono, tuttavia, non
confrontabili tra di loro, nel senso che il criterio di Pareto non ci
consente di affermare quale sia la migliore distribuzione del reddito;
ciò, come già discusso in precedenza, può essere fatto solo sulla base
di un criterio etico ed esogenamente definito.
Questa condizione è, tuttavia, solo una condizione parziale di efficienza in quanto la garantisce solo dal lato dello scambio. Supponiamo, ad esempio, che nel punto di equilibrio sul quale si stabilizza
l’economia il saggio marginale di sostituzione di x con y sia pari ad
(cioè entrambi i consumatori sono disposti a cedere una unità
di x per ottenere 3 unità di y). Supponiamo, inoltre, che in corrispondenza di questo equilibrio il saggio marginale di trasformazione
sia pari a
; allora, riducendo la produzione di 3 unità del bene
y si potranno produrre 2 unità del bene x. Come risulta da questo
esempio, sarà quindi possibile aumentare il consumo di uno dei due
soggetti di due unità di x, riducendo il consumo di y di sole 3 unità.
Tale cambiamento genererà un aumento di utilità per il consumatore A
senza che l’utilità di B sia variata. Dunque, vi sarà margine per un miglioramento paretiano fin tanto che non sarà rispettata la condizione
globale di efficienza e cioè SMSA = SMSB = SMT. Graficamente tale
condizione è verificata nel punto E* in Figura 12.5.
Abbiamo così individuato le condizioni di efficienza per un gene250
12.2. Condizioni di efficienza di un sistema economico
x
Curva di indifferenza A
Curva di indifferenza B
SMT
Frontiera di produzione
P'
X'
E*
O
y
Y'
Figura 12.5.
rico livello di produzione Pʹ scelto in maniera casuale dalla frontiera
di produzione. Resta, a questo punto, da capire quali criteri possano
essere utilizzati per scegliere la combinazione ‘migliore’ di x ed y.
12.3. La frontiera del benessere e l'ottimo sociale
In Figura 12.6. abbiamo riportato la distribuzione di utilità dei due
individui per ciascun punto della frontiera di produzione. L’insieme
dei punti che individuano le possibili combinazioni di utilità dei due
individui è detta frontiera del benessere o anche frontiera delle possibilità di utilità.
La frontiera del benessere, per costruzione, è il luogo geometrico
dei punti globalmente efficienti, che cioè soddisfano le condizioni
Frontiera del benessere
UA
frontiera del benessere
O
UB
Figura 12.6. – Frontiera
del benessere.
251
12. Equilibrio economico generale ed economia del benessere
L’ottimo degli ottimi
generali di efficienza. Il passaggio da un punto ad un altro della frontiera implica la diminuzione dell’utilità di un individuo e l’aumento
dell’utilità di un altro individuo. Dunque, non sarà possibile scegliere tra i vari punti della frontiera del benessere utilizzando il criterio
dell’efficienza paretiana.
Come già discusso in precedenza, al fine di scegliere tra tutte le
possibili combinazioni di utilità Pareto-efficienti dei soggetti A e B
(cioè, UA ed UB) quella socialmente preferibile, bisognerà dotarsi di
un criterio etico di scelta. La soluzione comunemente adottata consiste nel postulare l’esistenza di una funzione del benessere sociale
(social welfare function) atta ad aggregare l’utilità individuale di tutti
i soggetti che compongono la società.
Sovrapponendo una mappa di funzioni di benessere sociale con
una frontiera del benessere precedentemente ottenuta è possibile
ottenere un punto di equilibrio generale, detto ottimo degli ottimi,
in cui la social welfare function (SWF) è tangente alla frontiera del
benessere, come in Figura 12.7. Nella sua formulazione più classica
(quella adottata dagli utilitaristi, il cui maggior esponente è senz’altro il filosofo inglese J. Bentham), la funzione del benessere sociale
si fonda sul principio per cui bisogna perseguire la ‘massima felicità
del maggior numero possibile di persone’. Dunque, l’obiettivo che
dovrebbe guidare le scelte sociali è la massimizzazione del benessere
totale, ottenuto come somma delle utilità individuali.
La SWF è, sostanzialmente, il corrispettivo a livello sociale della
funzione di utilità individuale. Come gli individui traggono la propria utilità dai beni che consumano così la società deriva il proprio
benessere dall’utilità goduta dai suoi membri. Le curve di indifferenza sociali illustrano tutte le combinazioni fra le utilità dei diversi
individui per cui la funzione del benessere sociale è costante. È evidente l’analogia con le curve di indifferenza individuali, che rappresentano le combinazioni dei diversi beni per cui la funzione di utilità
ha lo stesso valore.
UA
Frontiera
del benessere
Funzioni
di benessere
sociale
E*
O
Figura 12.7.
252
UB
12.3. La frontiera del benessere e l'ottimo sociale
A questo punto della nostra analisi è lecito domandarsi se esistono
sistemi di mercato in grado di condurre l’economia verso un equilibrio Pareto-efficiente, un equilibrio che cioè giace sulla frontiera del
benessere.
I due teoremi sull’economia del benessere forniscono una risposta a tale quesito. Più precisamente, affermano che:
1. ogni allocazione delle risorse, generata come equilibrio generale
di un sistema concorrenziale, costituisce un ottimo paretiano;
2. ogni allocazione delle risorse, ottimale in senso paretiano, può
essere raggiunta tramite la soluzione di un equilibrio generale, in
un’economia concorrenziale.
Come abbiamo già evidenziato nel capitolo 9, un mercato perfettamente concorrenziale è una forma di mercato caratterizzata dall’alto numero di venditori e compratori, dall’omogeneità del prodotto
offerto, dalla libertà di entrata ed uscita delle imprese dal mercato
e dall’assenza di comportamenti collusivi da parte delle imprese. In
tale forma di mercato non è possibile per alcun soggetto economico influire sulla determinazione del prezzo che, invece, è il risultato
della libera contrattazione tra offerenti e acquirenti. È chiaro che, in
un processo logico inverso, le caratteristiche di tale forma di mercato
possono essere dedotte dai fondamentali dell’equilibrio economico
generale poc’anzi discusso. Dunque, la concorrenza perfetta è pervasiva nell’ambito della teoria dell’equilibrio economico generale,
poiché essa richiede il simultaneo equilibrio in tutte le domande
ed offerte dei mercati. È quindi evidente che la forma di perfetta
concorrenza è l’unica forma di mercato rilevante ai fini della determinazione di un equilibrio generale che soddisfi simultaneamente le
condizioni di efficienza sia nello scambio sia nella produzione. Più
precisamente, la teoria della concorrenza perfetta conduce alla massima efficienza che può essere intesa come la realizzazione simultanea sia dell’efficienza nella produzione (in cui si realizza la minimizzazione dei costi), sia dell’efficienza nell’allocazione delle risorse.
In estrema sintesi, perdere le condizioni della concorrenza perfetta
significherebbe violare tali condizioni.
Volendo ricordare in maniera sintetica seppur rigorosa le principali caratteristiche di tale mercato, esse sono:
– atomicità: nel mercato sono presenti numerosi soggetti economici, ognuno dei quali domanda ed offre beni che costituiscono una
piccolissima percentuale della merce complessivamente presente
sul mercato; in tal modo nessun singolo operatore economico individualmente considerato è in grado di influenzare con il suo
comportamento la domanda o l’offerta e, di conseguenza, il prezzo del bene;
– trasparenza: le condizioni delle contrattazioni, i prezzi e la qualità
delle merci sono note a tutti gli operatori; ciò implica che l’informazione presente nel mercato è completa e diffusa;
– libertà: ciascun operatore è libero di acquistare o vendere le quantità che desidera; ogni soggetto economico, inoltre, deve essere in
I due teoremi
sull’economia
del benessere
Efficienza nello scambio
e nella produzione
253
12. Equilibrio economico generale ed economia del benessere
grado di entrare in qualsiasi momento nel mercato come consumatore o produttore; non devono, infine, esistere intese fra gli
imprenditori tendenti ad impedire l’entrata nel mercato di nuove
imprese;
– omogeneità: tutti i compratori possono acquistare beni che presentano analoghe caratteristiche presso un qualsiasi produttore;
– fluidità: i produttori e i consumatori al prezzo di mercato riescono a vendere e ad acquistare tutta la merce che desiderano.
Ogniqualvolta anche una sola delle sopraelencate caratteristiche viene meno, allora il mercato fallisce. Dunque, l’assenza di condizioni
di perfetta concorrenza può essere generata da diverse forme di fallimenti del mercato, e funge da ostacolo alla determinazione di un
equilibrio Pareto-efficiente così come è stato descritto in questo paragrafo. Di seguito studieremo, in maggior dettaglio, quali possono
essere le cause che inducono il mercato a fallire.
12.4. L inee di tendenza dell’analisi economica
del diritto
È opportuno sottolineare che le norme a elevato impatto economicistico devono essere prese in considerazione non tanto in ragione
del loro contenuto giuridico, quanto soprattutto per i loro effetti sul
comportamento degli individui e per la loro capacità di orientare tali
comportamenti verso situazioni allocative delle risorse più efficienti.
Una tale impostazione teorico-metodologica, che si deve, tra i tanti
altri, a Richard Posner e a Steven Shavell, induce a riflettere sulla
necessità di definire un common ground tra l’economia e il diritto.
Si fa risalire la nascita della c.d. Law and Economics a circa cinquant’anni orsono; l’articolo di Coase sul problema dei costi sociali 1
fornì un paradigma innovativo agli studiosi, aprendo a due distinte
linee di ricerca. La prima andò nella direzione di una fusione tra
diritto ed economia, tant’è che economisti come Coase, Becker e Director sostenevano che il diritto fosse incorporato nella logica economica dei rapporti tra soggetti e che, a sua volta, l’economia fosse una
sorta di scienza neutrale 2; la seconda, invece, ha assunto una posizione più critica rispetto alle automatiche determinazioni della prima,
sostenendo che l’economia è essenzialmente utile perché, verificato
il comportamento giuridico, ne assume anche in buona parte, come
si vedrà, la complessità sociale.
1 2 254
R. Coase, The Problem of Social Cost, Journal of Law and Economics, 2 (1960).
G. Minda, Teorie postmoderne del diritto, Bologna, Il Mulino, 2001.
13.
I FALLIMENTI DEL MERCATO
E POSSIBILI CORRETTIVI
13.1. I fallimenti del mercato
Per fallimento del mercato si intende una situazione in cui il mercato
si rivela incapace di realizzare l’uso ottimale delle risorse, ovvero è
incapace di realizzare una situazione di ottimo paretiano e dunque si
allontana dalle caratteristiche di concorrenza perfetta.
La teoria economica individua varie cause di fallimento dei mercati proponendo anche alcuni rimedi che, in pratica, presuppongono l’intervento dello Stato. Se il mercato non riesce ad indurre un’allocazione efficiente delle risorse, vi è la necessità da parte dello Stato
di correggere il malfunzionamento. Che spazio c’è, dunque, in questo quadro teorico, per interventi microeconomici di policy? Come
abbiamo ampiamente discusso, un intervento del policy-maker sarà
giustificato ogniqualvolta l’economia non possieda le caratteristiche
di concorrenza perfetta: il fondamento giustificativo dell’intervento
di policy deriva quindi dai ‘fallimenti del mercato’, ossia dalla sua incapacità di pervenire spontaneamente ad una allocazione efficiente
delle risorse. Come abbiamo già visto, vi sono diverse circostanze in
cui tale fallimento si realizza. In generale, possiamo dire che un mercato fallisce quando si discosta dalle condizioni che caratterizzano
un regime di concorrenza perfetta.
Le principali cause di fallimento di mercato possono essere così
individuate:
–l’esistenza di situazioni di potere di mercato, dovute alla presenza
di mercati imperfetti che provocano un uso distorto delle risorse,
in violazione dei requisiti di atomicità e libertà;
–la presenza di informazioni incomplete o asimmetriche, in violazione al principio di trasparenza;
–la presenza di esternalità positive o negative, in violazione ai requisiti di trasparenza e fluidità;
–la presenza dei cosiddetti beni pubblici (cioè di quei beni che
come si vedrà nel Paragrafo 13.1.3. sono, per loro natura,
non rivali e non escludibili nel consumo) 1, in violazione al princi-
Le cause di fallimento
del mercato
1 È opportuno ricordare che un bene è non rivale nel consumo se può essere
consumato congiuntamente da più individui senza che ciò riduca la possibilità di con-
259
13. I fallimenti del mercato e possibili correttivi
pio di omogeneità.
In questo capitolo verranno analizzate nello specifico queste quattro
cause fondamentali di fallimento del mercato e verranno valutati,
in seguito, alcuni dei possibili rimedi per la loro soluzione. Infatti,
al fine di risolvere i problemi di inefficienza legati alla presenza di
esternalità, si possono prospettare due tipologie di soluzioni, una
privata e una pubblica.
La soluzione contrattuale all’inefficienza allocativa elaborata da
R. Coase indica che il mercato può eliminare endogenamente l’inefficienza soltanto se si specifica correttamente il sistema dei diritti di
proprietà. La soluzione pubblica si attua attraverso la fissazione di
tasse o sussidi; ad esempio, attraverso un’imposta sulla produzione è
possibile incentivare l’impresa a produrre di meno, raggiungendo la
quantità di beni socialmente efficiente e riducendo, di conseguenza,
l’esternalità. Tali interventi di policy saranno dunque giustificati, su
un piano sia pratico sia di efficienza, solo in presenza di uno scostamento dalle condizioni di concorrenza perfetta, e dunque dall’ottimalità paretiana dell’allocazione e della produzione.
13.1.1. Potere di mercato
Monopolio e perdita
di benessere
per la collettività
Al fine di analizzare la situazione di inefficienza che si determina
in presenza di potere di mercato (cioè quando un venditore o un
compratore hanno la capacità di influenzare il prezzo) è necessario
analizzare, innanzitutto, in che modo viene influenzato il benessere
dei consumatori e dei produttori. A tal fine, partendo dal concetto
di ottimo paretiano che è per sua natura un concetto di equilibrio
economico generale, possiamo verificare l’impatto sull’efficienza di
un mercato utilizzando, più convenientemente, la nozione di perdita
secca.
Un caso tipico di potere di mercato è quello del monopolista, che
al fine di massimizzare il proprio profitto ha convenienza a mantenere alto il livello dei prezzi dei beni prodotti e a limitare la quantità
venduta; ciò, lo ribadiamo, in violazione dei requisiti di atomicità e
libertà. Il monopolio comporta una perdita di benessere per la collettività; l’equilibrio, infatti, non coincide con l’ottimo sociale, vale
sumo dello stesso bene da parte di un altro individuo; in altri termini il consumo di
un bene non rivale è indivisibile. Un bene è non escludibile se il possessore (o il produttore) non è in grado di escludere dal consumo i soggetti che non corrispondono
un prezzo (che non contribuiscono alla produzione del bene). La non e­scludibilità
può essere di natura tecnica (cioè quando è tecnicamente impossibile implementare
un meccanismo di esclusione) o economica (nel caso in cui l’esclusione implicherebbe
costi eccessivi). In presenza di tali caratteristiche il mercato non riesce, privatamente,
ad offrire la quantità socialmente desiderabile di tali beni, poiché i benefici derivanti
dal loro godimento si estendono anche ad individui non disposti a pagarne il relativo
prezzo di mercato. Esempi di beni pubblici puri (cioè di quei beni che possiedono entrambe le caratteristiche su menzionate) sono: la difesa nazionale e l’ordine pubblico;
le trasmissioni radiofoniche e televi­sive via etere; l’illuminazione di una città; paesaggi
naturali particolarmente bel­li, ecc.
260
13.1. I fallimenti del mercato
a dire che il prezzo a cui il bene viene scambiato è maggiore del costo marginale di produzione. La perdita secca rappresenta la perdita
complessiva risultante dalla somma della perdita di benessere del
consumatore e del produttore dovuta alla riduzione della quantità
prodotta. Per questo è necessario quantificare le perdite e i guadagni
sia dei consumatori sia dei produttori connessi al semplice fatto che
il prezzo (e di conseguenza la quantità) di un bene sia più alto o più
basso. Il surplus del consumatore misura la differenza tra la somma
massima che il consumatore sarebbe disposto a pagare per avere la
quantità del bene che desidera e la somma che effettivamente paga
per ottenere quella quantità. Il surplus del produttore è la differenza
tra il ricavo corrente ed il ricavo minimo al quale il produttore è disposto a vendere la quantità corrente.
Per verificare in che modo l’esistenza di un potere di monopolio
possa condurre ad un’allocazione inefficiente delle risorse, è necessario confrontare l’equilibrio di monopolio con l’equilibrio che si
realizzerebbe se nel mercato vi fosse concorrenza perfetta, alle stesse
condizioni di domanda e di costi di produzione.
Abbiamo esposto in precedenza che, in un mercato di concorrenza perfetta, ciascuna impresa decide quanto produrre in base alla
regola ottimale p = costo marginale. Abbiamo anche evidenziato che
in monopolio, in corrispondenza della quantità prodotta dall’unica
impresa presente sul mercato, il prezzo è maggiore del ricavo marginale (RMg) e, quindi, per la regola di massimizzazione del profitto
RMg = CMg, anche del costo marginale, p > CMg.
Nella Figura 13.1. è possibile notare come la condizione di equilibrio valida in concorrenza perfetta, p = CMg, date le curve RMe
e CMg, si realizza nel punto C, in cui la curva del costo marginale
CMg interseca la curva del ricavo medio. Il monopolista per massimizzare il profitto produce al punto in cui il ricavo marginale è
uguale al costo marginale, in modo che il prezzo e la quantità siano
P m e Q m.
Ricavo medio,
ricavo marginale,
costo medio,
costo marginale,
prezzo
RMe
CMg
RMg
A
Pm
Pc
Il surplus
del consumatore
B
C
E
O
Qm
Qc Quantità
Figura 13.1.
261
13. I fallimenti del mercato e possibili correttivi
La perdita totale
derivante dal potere
monopolistico
In un mercato monopolistico l’inefficienza deriva, quindi, dal fatto
che il prezzo è più alto e la quantità prodotta più bassa rispetto a
quanto accade in concorrenza perfetta. Più precisamente, l’inefficienza deriva dalla perdita netta ovvero dalla perdita di surplus.
Il monopolista, producendo una quantità troppo bassa, non riesce a servire quella parte del mercato caratterizzata da consumatori
che sono disposti a pagare per il bene più di quanto costa al monopolista produrlo. Il motivo per cui il monopolista non crea surplus
(producendo beni che potrebbe vendere ad un prezzo superiore a
quello di produzione) è intuitivo: per vendere di più dovrebbe ridurre il prezzo, riducendo i ricavi sulle unità che venderebbe comunque.
Quindi, se il mercato passasse da un equilibrio di concorrenza
perfetta (punto C) con prezzo Pc e quantità Qc, ad un equilibrio di
monopolio (punto E), con prezzo e quantità rispettivamente Pm e
Qm, si otterrebbe una perdita sociale pari alla variazione del surplus
dei consumatori e del produttore. A causa del prezzo più alto i consumatori di quel bene perdono surplus pari all’area del rettangolo Pm,
Pc, A, B. Anche i consumatori che pagano Pc invece che Pm perdono
surplus per un ammontare pari all’area del triangolo ABC. Il produttore, invece guadagna il rettangolo Pm, Pc, A, B vendendo al prezzo
più alto, ma perde il triangolo CBE. Sottraendo la perdita di surplus
del consumatore dal guadagno di surplus del produttore otteniamo
una perdita netta di surplus data da ABC + CBE che costituisce appunto la perdita totale derivante dal potere monopolistico.
13.1.2. Asimmetrie informative
Selezione avversa
e azzardo morale
262
Come ampiamente discusso nel Paragrafo 12.3., il primo teorema
fondamentale dell’economia del benessere afferma che ogni economia perfettamente concorrenziale è Pareto-efficiente. D’altra parte
questo teorema non è altro che la versione moderna del concetto di
‘mano invisibile’ di Adam Smith che presuppone la trasparenza delle
informazioni sulle variabili economiche fondamentali. È, infatti, sia
in base al prezzo dell’output sia al costo degli input, dati come non
modificabili dal singolo imprenditore, che il mercato determina l’efficienza in termini di uguaglianza tra prezzo e costo marginale. Questa caratteristica endogena dei mercati concorrenziali viene disattesa
nelle economie con informazione imperfetta che violano il requisito
della trasparenza informativa.
Sono tre grandi economisti come George A. Akerlof, Michael A.
Spence e Joseph E. Stiglitz (vincitori del premio Nobel 2001) che
con i loro prestigiosi contributi hanno arricchito profondamente i
problemi economici derivanti dalle informazioni asimmetriche.
Un classico fallimento del mercato si verifica in campo assicurativo, dove le asimmetrie informative sono maggiormente evidenziate
attraverso i fenomeni della selezione avversa e dell’azzardo morale.
Le due categorie di selezione avversa e azzardo morale distinguono
problemi di asimmetrie informative ex-ante (selezione avversa), da
13.1. I fallimenti del mercato
asimmetrie informative ex-post (azzardo morale).
Si ha selezione avversa, o informazione nascosta, quando una
delle parti della transazione non può osservare alcune caratteristiche note all’altra parte della transazione; esempi tipici sono quelli
del mercato delle auto usate, dell’offerta di credito da parte delle
banche e del contratto di assicurazione. Le conseguenze riguardano un’insufficiente allocazione delle risorse disponibili e quindi un
cattivo funzionamento del mercato. All’atto della stipulazione di un
contratto, infatti, le parti non hanno una distribuzione omogenea
delle informazioni. In particolare è il venditore, di solito, ad essere
avvantaggiato in quanto il compratore non è in grado di osservare
compiutamente la qualità dei beni offerti. Nel caso in cui volesse
farlo dovrebbe sostenere un costo altissimo per il reperimento della
cosiddetta informazione nascosta ed il contratto risulterebbe svantaggioso. Un classico esempio è quello del mercato delle automobili
usate, nel quale è complicato valutare se la condizione dell’automobile sia buona oppure no, condizione ovviamente nota al venditore.
Si ha azzardo morale, o comportamento nascosto, quando expost non sono osservabili i comportamenti di uno dei due contraenti.
Tipici esempi di contratti in cui si verificano fenomeni di moral hazard sono quelli assicurativi: dopo la stipula, l’assicurato può modificare il proprio comportamento e mostrarsi meno diligente o meno
vigile. Poiché non è possibile, per le imprese assicurative, osservare
direttamente il comportamento di ciascun individuo, esse non possono discriminare efficacemente il premio, con conseguente fallimento
del mercato ed un’inefficiente allocazione delle risorse: infatti, nel
punto di equilibrio, i consumatori sarebbero disposti ad acquistare
una quantità maggiore di servizi assicurativi e le imprese assicurative
sarebbero disposte ad offrirli a patto che i consumatori non mutino
il proprio atteggiamento. Se tale maggiore offerta si realizzasse, però,
proprio un mutato comportamento sarebbe una scelta razionale da
parte del consumatore.
In presenza di asimmetrie informative, quindi, tipicamente i consumatori non riescono a capire la qualità dei prodotti e commettono
errori nelle proprie decisioni di consumo; d’altra parte, i produttori
potrebbero produrre quantità sub-ottimali di alcuni beni, commettendo così errori nelle proprie decisioni di produzione. Dunque le
asimmetrie informative, attraverso l’allontanamento dalla perfetta
concorrenza, possono generare inefficienze sia nello scambio sia nella produzione, causando un sostanziale allontanamento dall’ottimo
paretiano.
Moral hazard
13.1.3. Beni pubblici
Il bene pubblico può essere definito come un bene i cui benefici
possono essere forniti a tutte le persone a un costo non superiore a
quello necessario per fornirlo ad una persona sola. Questo implica
che i beni pubblici siano, per definizione, non esclusivi, il che equi263
13. I fallimenti del mercato e possibili correttivi
Costo marginale nullo
per i beni pubblici
Bene rivale
Bene non rivale
Bene escludibile
Bene non escludibile
Condizione di ottimo
per i beni pubblici
Comportamento
free riding
264
vale a affermare che possono essere consumati simultaneamente da
più individui senza che il consumo di uno di essi impedisca ad un
altro di consumare quello stesso bene. Un tipico esempio di bene totalmente pubblico è costituito dall’ambiente naturale: un paesaggio
ha sicuramente il pregio di generare esternalità positive (valutabili in
termini di benessere) per tutti coloro che lo guardano. I beni pubblici forniscono, quindi, alle persone benefici ad un costo marginale
nullo, poiché nessuno può essere escluso dal goderne.
Caratteristiche essenziali di un bene pubblico sono, quindi: 1)
la non rivalità e 2) la non escludibilità. Un bene è rivale quando il
suo consumo da parte di un soggetto non può essere condiviso da
un altro soggetto. Viceversa, un bene è non rivale quando il suo consumo da parte di un soggetto non impedisce ad un altro di godere
dello stesso bene. Un bene è escludibile se il suo consumo può essere
regolamentato, ossia se è possibile consentirlo ad un soggetto ma
impedirlo ad un altro, a costi non proibitivi. Viceversa, un bene è non
escludibile se singoli individui non possono essere esclusi, se non a
costi proibitivi, dal consumo di tale bene.
Appare allora molto difficile che il meccanismo di scambio, che
consente un’ottima allocazione delle risorse e la soddisfazione dei bisogni del consumatore, possa essere applicato nel caso di beni pubblici. Per i beni pubblici le condizioni di ottimo sono date dall’uguaglianza tra il saggio marginale di trasformazione e la somma dei saggi
marginali di sostituzione dei componenti la collettività. È evidente
come un bene pubblico costituisca una possibile causa di fallimento
del mercato: se non è possibile escludere chi non paga e se tutti godono egualmente del bene, vi sarà un permanente sottodimensionamento della sua produzione.
Infatti, il raggiungimento di un livello di produzione efficiente
del bene pubblico è tipicamente precluso dal fatto che gli agenti tendono ad adottare un comportamento strategico. I singoli agenti hanno un ridotto interesse a rivelare le loro vere preferenze. La caratteristica della non escludibilità implica infatti che, una volta disponibile,
il bene potrà essere goduto da tutti senza che chi ha provveduto a
sostenere i costi di produzione possa implementare un meccanismo
di esclusione. Ogni individuo spera, quindi, di poter raggiungere il
livello ottimale di consumo individuale indipendentemente dal suo
contributo ai costi di produzione. Questo comportamento è detto
di free riding (letteralmente ‘corsa gratis’) e si verifica ogni volta che
un soggetto cerca di non pagare il prezzo di un bene pur godendo
dell’utilità derivante dal suo consumo. Di conseguenza i costi di tale
consumo si ripercuotono su tutta la collettività. Va poi aggiunto che
se anche un solo individuo può beneficiare gratuitamente del bene
pubblico, allora la scelta migliore per ciascun individuo sarà proprio
quella di comportarsi da free rider. Da ciò deriva la necessità di un
intervento dello Stato al fine di imporre il pagamento e di offrire la
quantità socialmente ottimale del bene pubblico.
La presenza di atteggiamenti di free riding ci pone, dunque, di
13.1. I fallimenti del mercato
fronte ad un’inefficiente allocazione delle risorse, dovuta al fatto che
il beneficio privato è inferiore al costo, pur essendo il beneficio sociale superiore al costo stesso. Di fronte a tale fenomeno, pertanto,
il libero mercato non produrrà beni pubblici. Solo lo Stato oppure imprese private sussidiate dal Governo possono essere disposti a
produrre tali beni.
13.1.4. Esternalità
Il concetto di esternalità ha svolto un ruolo molto importante nella storia della teoria economica: si tratta, infatti, di un’idea che ha
fortemente influenzato le motivazioni teoriche delle politiche economiche. Secondo una definizione classica, un’esternalità è presente
ogniqualvolta le funzioni di utilità o di produzione di un individuo A
includono variabili reali i cui valori sono determinati da scelte fatte
da altri (persone, aziende, Governi) senza particolare attenzione agli
effetti sul benessere di A. Dunque, le attività di consumo o di produzione implicano costi o benefici che vanno a cadere su soggetti diversi da quelli direttamente coinvolti generando un’allocazione delle
risorse non ottimale. Si verifica, quindi, un’esternalità quando un
produttore o un consumatore influenza le attività di produzione o di
consumo degli altri, in una maniera che non si riflette direttamente
sul mercato. Le esternalità si manifestano attraverso la divergenza
tra il costo sociale ed il costo privato per le attività di produzione
e la divergenza tra il beneficio sociale ed il beneficio privato per le
attività di consumo. Tale divergenza genera uno scostamento dalle
condizioni di concorrenza perfetta e, dunque, allontana l’economia
dalle condizioni di equilibrio generale. Anche in questo caso di allontanamento dall’ottimo paretiano vi sarà un margine di intervento
per un policy-maker che intende ripristinare una situazione paretianamente efficiente. Possibili strumenti microeconomici di intervento sono rappresentati dall’introduzione di imposte e sussidi atti ad
eliminare tali divergenze.
In altri termini, le esternalità sono l’effetto di un’azione economica che si estende a un terzo non direttamente coinvolto nell’azione
(sia essa di scambio, produzione o consumo). Gli esempi tipici sono
l’inquinamento, l’istruzione, il progresso tecnologico, ecc. In presenza di esternalità l’equilibrio di mercato non è ottimale perché costi e
utilità private non coincidono con i costi e le utilità sociali.
Sono state tentate diverse classificazioni delle esternalità. Una
distinzione immediata è quella tra esternalità al consumo e alla produzione. Nelle prime, le scelte di consumo di alcuni soggetti influenzano l’utilità di altri, mentre nelle seconde il risultato dell’attività
produttiva di alcune imprese è influenzato dall’attività produttiva
di altre.
Altra classificazione altrettanto immediata è quella tra esternalità
negative – quando l’azione di una parte impone dei costi ad un’altra – e positive – quando l’azione di una parte è un vantaggio per
Esternalità ed equilibrio
non ottimale
Esternalità negative
e positive
265
13. I fallimenti del mercato e possibili correttivi
un’altra. Tra le esternalità negative vi è il caso, per esempio, di un’industria operante a monte di un fiume che inquina le acque usate dai
centri abitati a valle; poiché l’industria non paga alcun costo per gli
eventuali danni da inquinamento provocati, essa tende ad utilizzare
senza limite l’acqua del fiume. Tra le esternalità positive vi è il caso,
per esempio, della costruzione di una nuova linea ferroviaria, che
comporterà effetti esterni positivi per i ristoranti situati nelle vicinanze delle nuove stazioni, ma avrà presumibilmente effetti negativi
sul valore dei terreni edificabili situati vicino ai binari.
Cerchiamo ora di capire, attraverso un semplice trattamento algebrico, quali sono gli effetti generati da una situazione in cui un
soggetto economico esercita una esternalità negativa su un altro soggetto.
Come espresso in precedenza, l’esistenza di esternalità provoca
un’allocazione Pareto-inefficiente delle risorse. Prendiamo in considerazione due individui (l’individuo 1 e l’individuo 2) e supponiamo
che l’individuo 2 eserciti una esternalità negativa sull’individuo 1 (ad
esempio, come esposto in precedenza, inquina le acque di un fiume).
Dunque le funzioni di benessere dei due soggetti saranno sinteticamente le seguenti:
B1 (x1;x2)(13.1)
B2 (x2)(13.2)
L’individuo 2 massimizza il proprio benessere in x2* quando il beneficio marginale è pari a zero:
BMg2 (x2*) = 0
(13.3)
L’individuo 1 invece massimizza il proprio benessere B1(x1;x2) considerando dato x2 = x2* e facendo variare x1 in sua funzione. Dunque
avremo:
B1 = B1 (x1;x2*)(13.4)
ma poiché x*1 = x1 (x2*) si avrà B*1 = B1 (x1(x2*);x2*) e quindi:
B*1 = B1 (x2*)(13.5)
Il beneficio marginale BMg1 (x2*) è negativo poiché x2 rappresenta,
come esposto in precedenza, un’esternalità negativa per l’individuo
1. Poniamo ora:
– BMg1 (x2*) = DMg1 (x2*)(13.6)
dove denominiamo DMg il disagio marginale sopportato dall’individuo 1.
L’individuo 2 massimizza la sua utilità quando il beneficio al margine è pari a zero (BMg2 = 0). Ipotizzando che il benessere sociale
(cioè il benessere di tutti gli individui componenti la collettività) sia
pari alla somma delle utilità individuali, allora avremo che il benessere sociale è massimizzato se e solo se il beneficio sociale marginale
266
13.1. I fallimenti del mercato
P
P*
BMg2
DMg1 =
–BMg1
E
a
e
c
O
d
x **
2
x *2
X2
Figura 13.2.
(BSMg) risulta pari a zero, cioè quando BSMg = BMg2 + BMg1 = 0, e
dunque BMg2 = DMg1.
Ciò avviene in corrispondenza del punto E della Figura 13.2. Ma
poiché l’individuo 2 ignora l’effetto di x2 sull’individuo 1, sarà indotto a consumare quantità del bene x2 tale che x2 = x2*.
Se esistesse un mercato del bene x2 tra l’individuo 1 e l’individuo 2, si potrebbe internalizzare l’esternalità. Infatti, il beneficio
che trarrebbe l’individuo 1 se la quantità di x2 fosse fissata al livello
di x**
2 sarebbe tale da compensare pienamente l’individuo 2 per la
perdita di beneficio che ne conseguirebbe.
Questo lo si può capire meglio osservando la Figura 13.2. Se i due
soggetti in questione riuscissero a mettersi d’accordo allora il livello
di produzione del bene x2 sarebbe fissato in x**
2 . Il beneficio che l’individuo 1 trarrebbe da questo accordo sarebbe pari alla somma delle
aree d ed e, mentre la perdita di utilità sopportata dall’individuo 2
sarebbe uguale all’area d.
Dunque in un qualsiasi mercato in cui vi siano esternalità non è
possibile raggiungere una situazione Pareto-efficiente, a meno che non
vi sia spazio per la contrattazione tra gli individui.
Questa idea è stata formalizzata per la prima volta in un saggio
del 1960 dall’economista Ronald Coase. Per comprendere la tesi
principale di quello che è passato alla storia come il teorema di Coase, sarà opportuno prima definire il concetto di ‘diritti di proprietà’.
13.2. Le esternalità e i diritti di proprietà
Come abbiamo esposto nel Paragrafo 13.1., si possono prospettare
due tipologie di soluzioni al fine di correggere le disfunzioni e le
inefficienze del mercato, vale a dire, 1) la soluzione pubblica (che si
attua, ad esempio, attraverso la fissazione di standard o di sussidi)
e 2) la soluzione privata elaborata da Coase, in cui un mercato è in
grado di eliminare endogenamente tali inefficienze soltanto se si specifica chiaramente il sistema dei diritti di proprietà.
La teoria economica dei diritti di proprietà ha avuto un notevole
sviluppo nell’ultimo ventennio negli Stati Uniti, a opera sia di giuristi
I diritti di proprietà
267
13. I fallimenti del mercato e possibili correttivi
Diritti di proprietà privati
o comuni
268
come Richard Posner sia di economisti come Harold Demsetz. Alla
base delle loro analisi vi è la considerazione che in ogni transazione
di mercato avviene un implicito scambio fra diritti di proprietà. L’aspetto fondamentale dei diritti di proprietà risiede nel fatto che essi
definiscono chi ha la proprietà, gli usi che si possono fare di un determinato bene, i diritti altrui e il modo in cui è possibile trasferirli.
L’accezione economica (diversa in parte da quella puramente
giuridica) di diritto di proprietà si riferisce alla possibilità che ogni
agente economico ha di usufruire di un bene. I diritti di proprietà
non devono essere intesi come diritti assoluti ed universali: essi sono
circoscritti dalle regole comuni che tutti gli individui di una società
accettano di seguire. Ad esempio, il diritto a coltivare la terra non
comprende anche il diritto di far crescere piante d’oppio. Si dice
allora che i diritti di proprietà sono attenuati da una serie di altre
regole unanimemente accettate e condivise.
Per capire l’importanza dei diritti di proprietà ritorniamo all’esempio dell’impresa che scarica sostanze inquinanti nel fiume. L’ipotesi sottostante tale situazione è che l’impresa abbia un diritto
di proprietà sull’uso del fiume, mentre i pescatori non godano del
diritto di proprietà per pescare in acque pulite. In questo caso, l’impresa non ha incentivo ad includere il costo derivante dalle sostanze
inquinanti nei suoi costi di produzione. Se, invece, ipotizziamo che
siano i pescatori a detenere un diritto di proprietà sul fiume, allora potrebbero chiedere all’impresa di pagare una certa somma per
acquisire il diritto di scaricare sostanze inquinanti nel fiume. L’impresa si troverebbe a dover scegliere se interrompere la produzione
oppure pagare i costi associati allo scarico di sostanze inquinanti ed i
costi verrebbero in tal modo internalizzati, ottenendo un’allocazione
efficiente delle risorse. I diritti di proprietà possono, pertanto, creare
incentivi a internalizzare le esternalità. Ciò, però, è possibile solo se il
costo delle transazioni necessarie per internalizzare le esternalità non
è troppo elevato rispetto ai ricavi.
I diritti di proprietà su di un determinato bene possono essere
privati o comuni. Si dicono privati quei diritti che possono essere
goduti da una sola persona, e comuni quei diritti in cui l’uso della
proprietà in questione è condiviso con altri soggetti.
A questo punto, definiti i diritti di proprietà, passiamo ad analizzare una situazione in cui, in presenza di esternalità negative, colui
che viene inquinato possiede diritti di proprietà, più precisamente il
diritto a non essere inquinato.
Abbiamo evidenziato nell’esempio precedente che un inquinatore, non sottoposto a regolamentazione, è portato a produrre quantità
del bene x2 pari a x*2, dove i profitti sono massimi; d’altro canto, il
livello socialmente ottimale è in corrispondenza di x**
2 per cui sembra che il funzionamento del mercato e l’obiettivo di un livello socialmente ottimale siano incompatibili.
La situazione cambia se l’inquinato possiede il diritto a non essere inquinato. In questo caso il punto di partenza si avrà in corrispon-
13.2. Le esternalità e i diritti di proprietà
denza dell’origine della Figura 13.2.: l’inquinato desidera un livello
nullo di inquinamento e, poiché possiede il diritto di proprietà, potrà far prevalere la sua posizione.
Cosa accadrebbe se le due parti potessero negoziare sul livello
di esternalità? Se questa negoziazione potesse essere conclusa si
vedrebbe (come dimostrato in precedenza) che entrambi i soggetti
– inquinato ed inquinante – migliorerebbero la propria situazione
spostandosi verso x *2* .
Una situazione analoga si verificherebbe se i diritti di proprietà fossero attribuiti all’inquinante: in questo caso il punto
di partenza sarebbe x*2 ma, dando spazio alla contrattazione, ci
si sposterebbe ancora in x *2*. Dunque possiamo notare come, a
prescindere da chi possieda i diritti di proprietà, esiste una tendenza naturale a spostarsi verso x *2* che rappresenta il livello di
attività socialmente ottimale.
È questa la tesi del teorema di Coase espressa nel saggio del 1960:
se essa è corretta non vi sarà bisogno di alcun intervento esterno volto a regolare i mercati in presenza di esternalità, poiché il mercato,
lasciato a se stesso, sarà in grado di allocare le risorse in maniera
efficiente.
A questo teorema, tuttavia, sono state mosse non poche critiche
e qui di seguito prenderemo in esame le più rilevanti. Anzitutto, va
detto che il teorema di Coase vale solo se il mercato dei beni negoziati è in concorrenza perfetta e, come noto, tale situazione non è
verificata.
La seconda critica a questo teorema prende le mosse dalla difficoltà ad immaginare, nella realtà, dei processi di negoziazione come
quelli ipotizzati da Coase. È in effetti abbastanza difficile immaginare una grande impresa, che inquina l’aria respirata da migliaia e
migliaia di persone, contrattare con ciascuna di esse un accordo sul
livello socialmente ottimo di inquinamento. È chiaro che, così come
riconosciuto dallo stesso Coase, gli elevati costi di transazione rendono impraticabile questa strada.
La terza critica mossa al teorema di Coase prende in considerazione il caso in cui la negoziazione stessa non possa avere luogo.
Può verificarsi, infatti, che al momento in cui si dovrebbe svolgere la
contrattazione non esistano ancora gli individui destinati ad essere
inquinati, rendendo impossibile parlare di due parti che si incontrano per negoziare. Questa terza critica è fortemente legata alla definizione di sviluppo sostenibile che diede la commissione Brundtland
nel 1987.
Consideriamo adesso le diverse forme d’intervento diretto dello
Stato volte a risolvere alcuni dei limiti posti al teorema di Coase. Esamineremo, in particolare, l’introduzione di una tassa, la fissazione di
uno standard ambientale, l’introduzione di sussidi alla produzione e
la definizione dei permessi di inquinamento negoziabili.
Il teorema di Coase
Critiche al teorema
di Coase
269
SCIENZE SOCIALI
——————————————————————
Collana diretta da Nicola Boccella
MANUALI
N. Boccella - C. Imbriani - P. Morone • Analisi microeconomica e scelte pubbliche
N. Boccella - F. D’Orlando - A. Rinaldi • Macroeconomia
A. Coppola - B. Ricciardi • Fondamenti di economia aziendale
V. Feliziani - R. Imbruglia • Fondamenti di politica economica • In preparazione
G. Marotta • Teorie criminologiche. Da Beccaria al postmoderno
F. Antolini - F. Truglia • La statistica e le statistiche. Dal dato amministrativo al dato statistico.
STRUMENTI
A. Billi - N. Boccella • Strumenti per lo studio dell’economia politica
S. Pergolesi • Appunti e letture di macroeconomia keynesiana
Rinaldi - M. Siddivò • Strumenti per l’analisi dei sistemi economici comparati
Le istituzioni finanziarie nel nuovo contesto internazionale • A cura di E. Caviglia
Le ONG protagoniste della cooperazione allo sviluppo • A cura di F. Serra
Diritti umani e nuove forme di cooperazione. I rapporti euro-maghrebini • A cura di K. Scannavini
La cooperazione decentrata. L’esperienza del Comune di Roma • A cura di P. Luzzatto
Temi di criminologia • A cura di G. Marotta
E. Sapienza • La politica regionale dell’Unione Europea
A. Testi • Il commercio internazionale. Disciplina multilaterale e sviluppo economico
A. Napolitano • Le legislazione nazionale e regionale per il turismo
P. Laurano • Il viaggiatore glocale. Mobilità, globalizzazione, comunicazione
C. Spizzichino • Il mercato del lavoro tra vecchie e nuove sfide
STUDI E RICERCHE
Ch.P. Oman - G. Wignaraja • Le teorie dello sviluppo economico dal dopoguerra a oggi
La transizione dal piano al mercato in Cina • A cura di M. Siddivò
R. Pasca di Magliano • Fondi di Ricchezza Sovrana
Mutamento sociale, diritti, parità di genere • A cura di S. Petilli
G. Bechtle • Potere e soggetto. Il dibattito sul post-fordismo
G.P. Orsello • Antonio Labriola. Il pensiero del filosofo e l’impegno del politico
L’ideologia fondamentalista tra identità e differenza. Dal Maghreb all’Africa a sud del Sahara. Un profilo storico
A cura di A. Piga e I. Pizzardi
Quale futuro per l’Africa: le prospettive della Nigeria • A cura di A. Billi e R. Miranda
Tecnologie dell’informazione e comportamenti devianti • A cura di G. Marotta
Le Organizzazioni Non Governative. Risorse e modelli di organizzazione • A cura di N. Boccella e O. Tozzo
CIDEM - IPS • Comunicare la cooperazione. Una sfida difficile
CIDEM - IPS • Comunicare la cooperazione. Terzo rapporto. La stampa settimanale europea
Diritti umani e diritto allo sviluppo. La promozione dei diritti dei minori da una prospettiva di genere
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volumi sopra citati: di tutti si può consultare il sommario, di alcuni vengono date un certo numero di
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