DOMANDE di RIEPILOGO - Corsi di Laurea a Distanza

Economia e organizzazione aziendale I
DOMANDE di RIEPILOGO
UNITA’ A - ANALISI ECONOMICA DELL’IMPRESA
Lez 3 Aspetti organizzativi dell’impresa
Natura e forme istituzionali
Domanda 1
Quali sono le caratteristiche dell’impresa come istituzione gerarchica alternativa al mercato?
Risposta
Il mercato è un’istituzione di natura contrattuale (ivi cioè si stipulano i contratti sulla base dei
segnali di prezzo che da esso emergono), mentre l’impresa è un’istituzione di natura gerarchica, in
cui – anziché i prezzi – sono i segnali di comando a regolare i rapporti: procedure amministrative,
norme e decisioni provenienti dall’alto della gerarchia e che devono essere attuate dai subordinati.
La teoria dei costi di transazione sostiene che si opta per la costituzione dell’impresa, quando i costi
di transazione sono troppo elevati. L’organizzazione gerarchica fa leva sul principio di autorità, che
vige all’interno dell’impresa e che presenta i seguenti vantaggi:
assicura un’efficiente organizzazione del lavoro;
permette di dirimere le controversie, imponendo la soluzione gradita al management;
consente di prendere le decisioni in modo più efficiente, data la razionalità limitata dei
managers (incapacità di scegliere tra molte alternative, incertezza sul risultato delle proprie
decisioni, imperfetta informazione e ridotta capacità di calcolo).
Domanda 2
Quali sono le caratteristiche dell’impresa come istituzione contrattuale?
Risposta
Secondo un’interpretazione alternativa a quella gerarchica, anche l’impresa, come il mercato, è
un’istituzione di natura contrattuale: al suo interno e verso l’esterno (per effetto della personalità
giuridica riconosciuta all’impresa) si stipulano contratti ottimali con le controparti (lavoratori,
fornitori, azionisti e creditori). Il contratto è uno strumento che serve a trovare un compromesso tra
gli obiettivi conflittuali, che vada a vantaggio di tutti.
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Economia e organizzazione aziendale I
Domanda 3
Si spieghino le differenze tra impresa capitalistica classica e impresa manageriale.
Risposta
Nell’impresa capitalistica classica il proprietario del capitale è anche il decisore e supervisore
dell’impresa, per cui non sussiste conflitto tra gli obiettivi. Nel caso di aumento delle dimensioni
aziendali il proprietario può assumere un manager che lo aiuti a gestire l’impresa, ma il controllo
resta in capo al proprietario, per cui anche in questo caso il conflitto non emerge.
Con la crescita sostenuta delle dimensioni aziendali, i proprietari però non sono più in grado di
finanziare autonomamente l’impresa e quindi cercano nuovi soci, attuando così un progressivo
frazionamento del capitale. L’impresa si trasforma da società di persone a società di capitali, con
alcuni vantaggi (la possibilità dei proprietari di diversificare il portafoglio e la responsabilità
limitata al patrimonio netto investito), ma anche con uno svantaggio rilevante: la necessità di dover
ricorrere a un manager con capacità imprenditoriali che governi l’impresa al loro posto e che quindi
prenda le decisioni in modo autonomo.
Di conseguenza, nell’impresa manageriale la proprietà è separata dal controllo, in quanto la
parcellizzazione del capitale fra tanti azionisti impedisce a costoro di esercitarlo. Emerge quindi un
conflitto di obiettivi: quelli del management (o del gruppo di controllo che lo esprime) in
contrapposizione a quelli dei proprietari, i quali devono utilizzare strumenti volti ad allineare gli
obiettivi a loro vantaggio. Il manager non è remunerato con il profitto, che è invece l’obiettivo
centrale dei proprietari, per cui le sue preferenze riguardano soprattutto:
obiettivi personali (remunerazione e prestigio), legati principalmente alla crescita delle
dimensioni dell’impresa;
l’autofinanziamento, cioè la quota di profitti trattenuta all’interno, allo scopo di finanziarsi
senza ricorrere al mercato, adottando anche procedure contabili di occultamento di utili in
presenza di asimmetria d’informazione (gli outsiders non sono in grado di verificare
adeguatamente il livello effettivo del profitto).
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Proprietà e controllo: struttura del capitale
Domanda 1
Come viene risolto il conflitto d’interessi tra proprietari e manager secondo la teoria dell’agenzia?
Risposta
Un imprenditore che possiede totalmente l’impresa massimizza il suo benessere, eguagliando
l’utilità marginale indotta da un aumento della sua ricchezza (il profitto) all’utilità marginale
derivante da benefici non monetari (spese discrezionali o fringe benefits). Se è solo parzialmente
proprietario dell’impresa, la scelta sarà diversa: il manager tenderà ad elevare i benefici non
monetari a svantaggio del profitto, diventando avverso al rischio, mentre i proprietari sono neutrali
in quanto possono diversificare il loro portafoglio. Questa soluzione, ottimale per il manager, è
invece subottimale per il resto dei proprietari, in quanto comporta una minore propensione ad
investire in attività rischiose ad alta profittabilità, determinando una caduta del valore di mercato
dell’impresa,. Si noti che le conclusioni sono opposte a quelle della teoria manageriale, per la quale
i managers sono indotti a sovrainvestire per massimizzare la crescita dell’impresa.
Secondo la teoria dell’agenzia i proprietari e i creditori si vedono allora costretti a imporre
all’impresa costi per il controllo dell’operato dei managers (costi di agenzia del capitale di rischio e
del capitale di debito): i monitoring costs, conseguenti a verifiche contabili e incentivi volti ad
allineare gli obiettivi, e i bonding costs, sostenuti direttamente dal manager per convincere i
proprietari del suo corretto comportamento (certificazione dei bilanci e acquisizione di rilevanti
quote azionarie nell’impresa). La soluzione per il manager di uguaglianza tra costi marginali di
agenzia e benefici netti marginali è nuovamente una soluzione inefficiente per i proprietari, in
quanto comporta sottoinvestimento e valore dell’impresa sul mercato inferiore al massimo.
Domanda 2
Come si spiega la struttura finanziaria all’interno della teoria dell’agenzia?
Risposta
Per spiegare la scelta di una struttura ottimale del capitale, occorre prima premettere i vantaggi
dell’indebitamento:
sostituisce il capitale azionario e quindi riduce il rischio di perdita per i proprietari;
permette la deduzione degli interessi dal reddito imponibile, consentendo un risparmio
d’imposte;
induce il management a perseguire il profitto per evitare il fallimento dell’impresa, dato il
vincolo del rimborso e del pagamento di un onere fisso per gli interessi sul debito;
comporta un controllo da parte dell’istituto finanziatore prima dell’erogazione del prestito;
ma anche i relativi svantaggi:
più elevati interessi e garanzie imposti dal creditore, se il debito è talmente elevato da
indurre a investire in progetti eccessivamente rischiosi, sapendo di perdere eventualmente
solo piccole somme di capitale azionario;
maggiori costi di agenzia per controllare l’operato dei managers ed evitare l’insolvenza (con
conseguenti basse percentuali di recupero del debito in caso di fallimento).
Si può allora trovare una struttura finanziaria ottimale che eguagli i benefici marginali netti per il
management con i costi marginali di agenzia relativi al debito e al capitale di rischio.
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Proprietà e controllo: meccanismi di disciplina
Domanda 1
Quali sono i meccanismi esterni di disciplina per allineare gli obiettivi dei managers a quelli dei
proprietari?
Risposta
I meccanismi esterni consistono nelle minacce provenienti dai mercati o nei vincoli imposti dalla
legge:
la minaccia di scalata (takeover) può verificarsi quando il valore di mercato dell’impresa è
più basso di quello massimo, con lo scopo di sostituire il management, massimizzare il
profitto e rivendere infine le azioni a un prezzo più elevato di quello di acquisto; il
meccanismo è spesso inefficace, se i piccoli azionisti si rifiutano di vendere o se si innesta
una corsa agli acquisti che sfocia in un eccessivo rialzo del prezzo di borsa, rendendo troppo
onerosa la scalata;
la competizione sul mercato del prodotto dovrebbe indurre il management a perseguire
l’obiettivo del profitto per non fallire, ma il meccanismo è inadeguato se l’impresa opera in
settori monopolistici o con basso tasso di innovazione di processo e di prodotto;
un efficiente mercato del lavoro dei managers dovrebbe segnalare il salario corrispondente
all’abilità di ciascun soggetto, cui si può aggiungere l’informazione connessa alla
reputazione acquisita in precedenti esperienze; ma questi segnali non garantiscono ex post
l’allineamento degli obiettivi;
una legislazione favorevole ai proprietari dovrebbe porre vincoli all’operato dei managers,
facilitando le scalate e le azioni legali (con pene severe in caso di falso in bilancio),
imponendo la distribuzione dei dividendi (per evitare l’accumulo di ingenti mezzi di
autofinanziamento che massimizzino la discrezionalità del management), obbligando alla
certificazione del bilancio e imponendo dei limiti alle deleghe di voto.
Domanda 2
Quali sono i meccanismi interni di disciplina per allineare gli obiettivi dei managers a quelli dei
proprietari?
Risposta
I meccanismi interni poggiano su strumenti o contratti finalizzati a indurre un comportamento
manageriale virtuoso nei confronti dei proprietari:
il Consiglio di amministrazione dovrebbe essere un organo di controllo dell’operato dei
managers, ma generalmente questi ultimi (insiders) fanno parte di tale organismo e gli
indipendenti (outsiders) si prestano al gioco dei primi per corruzione o asimmetria
d’informazione;
gli schemi di remunerazione dei dirigenti possono essere costruiti in modo da allineare gli
obiettivi (bonus sui profitti, stock-options e premi azionari, cioè la possibilità di acquistare
azioni dell’impresa a prezzo scontato e di venderle alla scadenza al prezzo di mercato), ma
in genere non sono rilevanti, possono indurre comportamenti speculativi contingenti e
possono ostacolare le scalate ostili (arrocco manageriale);
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alcune tipologie di investitori (fondi d’investimento, fondi pensione e banche), potrebbero
garantire un comportamento vantaggioso per i proprietari, ma la loro strategia è tipicamente
orientata a ottimizzare il portafoglio, non a svolgere il ruolo dell’imprenditore; si potrebbe
allora ricorrere a un gruppo di controllo con possesso rilevante, anche se minoritario, ma in
genere il controllore collude con il management a svantaggio degli altri azionisti; anche la
scelta di un manager che possieda una grossa quota di azioni non risolverebbe il problema a
causa della sua avversione al rischio;
il debito potrebbe essere uno strumento di disciplina del management, ma solo se fosse
talmente elevato da far crescere fortemente il rischio di fallimento e quindi indurre a
perseguire l’obiettivo di massimo profitto, limitando la discrezionalità del management.
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Proprietà e controllo: confronto fra paesi
Domanda 1
Quali sono i caratteri distintivi dei paesi anglosassoni in tema di proprietà e controllo delle imprese?
Risposta
Nei paesi anglosassoni la proprietà delle grandi imprese è molto dispersa, soprattutto negli USA,
per cui è sufficiente disporre di una quota consistente (ma non elevata) di azioni per detenere il
controllo dell’impresa (blockholders). Raramente le imprese sono organizzate in gruppi.
Inoltre risulta molto diffusa la presenza degli investitori istituzionali, che in Gran Bretagna
detengono la maggioranza del capitale delle imprese.
La proprietà delle piccole e medie imprese è invece generalmente familiare.
Domanda 2
Quali sono i caratteri distintivi dell’Unione europea in tema di proprietà e controllo delle imprese?
Risposta
Nei paesi dell’Unione europea la proprietà delle grandi imprese è in mano a gruppi di controllo (in
genere famiglie), che detengono una maggioranza assoluta o consistente attraverso la costruzione di
piramidi di controllo o di partecipazioni incrociate: oltre il 50% delle maggiori imprese quotate in
Italia, circa 40% in Germania e Spagna. In Germania i grandi azionisti sono spesso rappresentati da
banche d’affari.
La proprietà delle piccole e medie imprese è in tutti i paesi dell’UE tipicamente familiare.
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